L’Autore GIORGIO ROSATO, giornalista e scrittore, è una delle firme più apprezzate in Italia nel settore del fotogiornalismo e del reportage. Abruzzese di nascita, ma romano di adozione e per formazione culturale, ha iniziato giovanissimo a viaggiare intorno al mondo con la sua inseparabile reflex a tracolla raccogliendo migliaia di immagini nei più remoti angoli della Terra: dal Sahara all’Himalaya, dalle Ande all’Artide Canadese, dalla Polinesia alla Grande Barriera Corallina australiana. Finora ha visitato 52 paesi in tutti e cinque i continenti (oltre ad essere uno dei primi giornalisti europei a recarsi in Vietnam dopo la fine della guerra) e il suo archivio fotografico raccoglie oltre 15.000 diapositive. Dall’80 all’83 ha collaborato presso le maggiori riviste di turismo (Gente Viaggi, Tuttoturismo, Atlante, Weekend, etc.) e le più autorevoli testate di fotografia (tra cui Reflex e Fotografare) e del settore automobilistico (Quattroruote, Gente Motori e Automobilismo). Nell’82 è chiamato dalla Longanesi per collaborare alla stesura dell’opera “Scuola di Fotografia”, contribuendo alla realizzazione di sette volumi. Nell’83 consegue il diploma di giornalismo presso l’Istituto Superiore di Giornalismo e Tecniche Audiovisive dell’Università di Camerino. Ha svolto inoltre un’intensa collaborazione con la RAI come consulente nel settore dei viaggi-avventura e del trekking. Con il materiale fotografico prodotto nel corso dei suoi viaggi ha anche realizzato 3 mostre fotografiche, organizzate con il patrocinio del Comune di Roma: “Un obiettivo intorno al mondo” (’82), “Un obiettivo sulla natura” (’83) e “La condizione femminile nei paesi del Terzo Mondo” (’87). Ha frequentato la Scuola di Sopravvivenza diretta da Jacek Palkiewicz e nell’84 è stato finalista alle selezioni del Camel Trophy, classificandosi tra i primi 30 su un team di oltre 45.000 candidati. Dall’84 all’85 è stato redattore del mensile Caravanning, collaborando contemporaneamente al quotidiano Reporter come responsabile della pagina del turismo. Nell’86 ha lavorato nei periodici musicali Ciao 2001, Hallò e Music, intervistando numerose rockstar internazionali tra cui Madonna, Mick Jagger e David Bowie. Nell’estate dell’87, sponsorizzato dalla Philip Morris e patrocinato dal WWF, ha guidato la famosa “Fitzcarraldo Expedition”, la prima spedizione italiana nel cuore dell’Amazzonia peruviana, in una regione ancora inesplorata, raggiungendo tra mille insidie il misterioso istmo di Fitzcarraldo (la cui storia è stata portata sullo schermo dal celebre film interpretato da Klaus Kinsky e Claudia Cardinale). Dall’88 al ’90 è stato capo-redattore del prestigioso mensile di politica ed economia TOP Magazine. Dal ’91 ha fondato e dirige l’agenzia giornalistica “EXPLORER”, una struttura multimediale specializzata nella produzione di audiovisivi, libri, video e reportage di viaggio. Dal ’93 ha collaborato al mensile Autoruote 4x4 occupandosi di tecnica di guida, prove, itinerari, turismo e accessori. Nel 1994 ha vinto il premio giornalistico “Un carburante per il futuro”, assegnato dal Consorzio Italiano GPL Autotrazione. Nel biennio 1997-98 ha curato una serie di Corsi di Guida in fuoristrada per la Polizia di Stato, realizzando 6 video e un libro. Nell’inverno 1998 ha guidato la spedizione “Sahara-Challenge Magnum-Pirelli”, attraversando il Grand Erg Orientale con un solo veicolo off-road. Dal gennaio 2001 è Direttore Responsabile di Autoruote 4x4. La sua bibliografia completa è la seguente: GRAN BRETAGNA OGGI ........................................................................Edizioni Leti PIANETA 2000 ........................................................................................Edizioni Leti STARBENE IN VIAGGIO ..........................................................................Edizioni Leti IL PARADISO DEI CARAIBI .....................................................................Edizioni Leti MAL D’AFRICA .......................................................................................Edizioni Leti COLOMBIA ..................................................................................................Calderini VIAGGIO & SALUTE ......................................................................................Edipress MANUALE DEL PLEIN-AIR ...........................................................................Calderini LA MEDICINA DELLA VACANZA .................................................................Calderini GUIDA AL SAHARA ...........................................................................................Odos GUIDA AL VENEZUELA ......................................................................................Odos MANUALE DI FOTOGRAFIA ........................................................................Calderini GUIDA AL CANAVESE ..................................................................................Demetra PROFESSIONE REPORTER ............................................................................Demetra MANUALE DI GUIDA IN FUORISTRADA (2000) ..........................................Magnum SCUOLA DI FOTOGRAFIA: IL PAESAGGIO ..................................................Demetra SCUOLA DI FOTOGRAFIA: IL RITRATTO .....................................................Demetra TORINO LUOGHI D’INCANTO .....................................................................Demetra 40 ITINERARI OFF-ROAD ..............................................................................Graphot L’ARTE DI AVERE UN’AMANTE ....................................................................Lingham MANUALE DI GUIDA IN FUORISTRADA ..........................................................Nissan L’ARTE DI AVERE UN’AMANTE ....................................................................Lingham STORIA DEL FUORISTRADA ..........................................................................Explorer MANUALE DELL’OFF-ROAD.........................................................................Calderini LANCIANO: I LUOGHI DELLA FEDE......................................................New Explorer Attualmente vive e lavora a Torino. Pubblicato su Mondo Fuoristrada per gentile concessione della New Explorer Fotografie: Giorgio Rosato, Archivio New Explorer, Archivio Mondo Fuoristrada © Copyright 2000 by EXPLORER © Copyright 2001 by NEW EXPLORER Corso Grosseto, 202 - Torino Tel. (0)339.1004588 - Fax (0)11.2203441 E-mail: [email protected] Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy La riproduzione con qualsiasi processo di duplicazione delle pubblicazioni tutelate dal diritto d’autore è vietata e penalmente perseguibile (Art. 171 della Legge 22 aprile 1941, N. 633). Quest’opera è protetta ai sensi della legge sul diritto d’autore e delle Convenzioni internazionali per la protezione del diritto d’autore (Convenzione di Berna, Convenzione di Ginevra). Nessuna parte di questa pubblicazione può essere quindi riprodotta, memorizzata o trasmessa con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi forma (fotomeccanica, fotocopia, trasmissione elettronica, etc.) senza l’autorizzazione scritta dell’editore. In ogni caso di riproduzione abusiva si procederà d’ufficio a norma di legge. Introduzione Considerata a ragione come l’espressione tecnologica più caratteristica e significativa del XX secolo, l’automobile ha radicalmente stravolto il sistema dei trasporti, innescando a sua volta uno stile di vita completamente diverso da quelli precedenti. La sua diffusione in ogni angolo del mondo risulta ormai talmente consolidata da farne un bene di consumo a prova di qualsiasi recessione; alcuni economisti di fama mondiale, inoltre, hanno ipotizzato che il grado di benessere di un paese altamente industrializzato è strettamente connesso allo stato di salute della sua industria automobilistica. E tra le attuali tipologie che caratterizzano le moderne industrie automobilistiche, una delle più dinamiche e tecnologicamente avanzate è rappresentata proprio da quella dei mezzi a quattro ruote motrici. L’affascinante storia dei fuoristrada inizia all’alba del Novecento, praticamente a ridosso della nascita dell’automobile, quando il concetto di off-road non era ancora legato all’avventura o al tempo libero, ma costituiva praticamente una scelta obbligata. In assenza di strade, e in alcuni casi anche di piste carrabili, l’esigenza di poter disporre di un veicolo in grado di assicurare un’adeguata mobilità in qualsiasi condizione ambientale si rivelò infatti determinante nell’indirizzare le tipologie della nascente industria automobilistica. Con l’avvento dei conflitti mondiali e, soprattutto in occasione della Seconda Guerra, il fuoristrada compie un gran balzo tecnologico in avanti adottando soluzioni che ancora oggi, seppur continuamente migliorate, costituiscono gli elementi fondamentali della sua struttura. Ripercorrendo le pagine più significative che hanno accompagnato la nascita della maggior parte dei veicoli a quattro ruote motrici (apparsi sui mercati di tutto il mondo) abbiamo seguito uno schema che, seppur ispirato necessariamente ad una classificazione cronologica, è comunque riconducibile a quei modelli che sotto svariati aspetti hanno fatto la storia del fuoristrada. Dai primi modelli a trazione integrale che solcavano le polverose piste tracciate agli inizi del XX secolo, fino alle attuali ed ipertecnologiche 4x4 in grado di avventurarsi in assoluta tranquillità attraverso i deserti e le giungle più inaccessibili, disimpegnandosi tuttavia altrettanto bene anche nella normale viabilità di tutti i giorni. Nel corso della nostra ricerca abbiamo cercato di scandagliare la maggior parte dei modelli della produzione internazionale ma, data la vastità dell’argomento, non è escluso che qualcuno sia sfuggito alla nostra disamina. Per gli appassionati più attenti potrebbe essere uno stimolante punto di ricerca e di suggerimenti, per ampliare ulteriormente la prossima edizione della prima “STORIA DEL FUORISTRADA” pubblicata in Italia. L’Autore 5 Prefazione alla seconda edizione Lo scorso anno alla presentazione della prima edizione della “STORIA DEL FUORISTRADA”, avvenuta in occasione del Salone dell’Auto di Torino, la nostra iniziativa è stata accolta subito con ampi consensi sia da parte degli appassionati del settore che dalle aziende automobilistiche e dagli operatori impegnati nella produzione e nella distribuzione di ricambi e accessori. Lo stesso successo di vendite, costante nell’intero arco dell’anno, è andato ben oltre le più rosee previsione dell’Editore che quest’anno per l’edizione 2001 ha deciso di impegnarsi in uno sforzo notevole per proporre un volume ancora più ricco e completo di informazioni, ulteriormente arricchito di immagini a colori. Quest’anno la “STORIA DEL FUORISTRADA” si presenta infatti con ben 320 pagine al cui interno i lettori più affezionati potranno individuare un’ideale suddivisione in due sezioni: una prima parte, comprendente in pratica gli argomenti della prima edizione (opportunamente aggiornati e rivisitati nella immagini), e una seconda parte completamente nuova. Quest’ultima contiene i principali eventi che hanno caratterizzato il mondo del fuoristrada nel corso del 2000, dal Salone di Ginevra al Motorshow di Bologna, oltre alle tradizionali “pillole” e all’appendice dedicata alla cronistoria dei vari modelli. Grazie a tutti i lettori che hanno decretato il successo della passata edizione e arrivederci al prossimo anno. L’Autore 7 Indice Capitolo 1 DALLE ORIGINI ALLA NASCITA DELLA LAND ROVER pag. 11 Capitolo 2 DALLA LAND CRUISER ALLA JIMNY pag. 27 Capitolo 3 DALLA RANGE AL TRAMONTO DELLA CAMPAGNOLA pag. 39 Capitolo 4 MADE IN ITALY: DALLA LAMBORGHINI ALLA MAGNUM pag. 51 Capitolo 5 GLI ANNI DEL BOOM pag. 63 Capitolo 6 L’OFF-ROAD SCOPRE LE JOINT-VENTURE pag. 73 Capitolo 7 IL FUORISTRADA METTE L’ABITO DA SERA pag. 87 Capitolo 8 LE NUOVE PROPOSTE PER IL TERZO MILLENNIO 9 pag. 109 la storia in pillole 1907: L’ITALA TRIONFA ALLA PECHINO-PARIGI pag. 15 IL SAHARA A MOTORE pag. 26 ASSALTO ALLA GIUNGLA pag. 41 UN CAMION INTORNO AL MONDO pag. 43 NINO CIRANI: UNA VITA PER L’OFF-ROAD pag. 50 PANDA 4X4: AVVENTURE NEL MONDO pag. 67 FITZCARRALDO EXPEDITION pag. 72 RENAULT RACOON: OFF-ROAD AD ASSETTO VARIABILE pag. 78 PEUGEOT TOUAREG: UNA 4X4 ELETTRICA PER IL FUTURO pag. 86 1997: IL SORPASSO DI “LIGHT TRUCK” 4X4 NELLE VENDITE USA pag. 96 LEXUS STORY pag. 103 CRONISTORIA DELLA RANGE ROVER pag. 107 GIRO DEL MONDO IN CROSS COUNTRY pag. 122 CROSS COUNTRY STORY pag. 128 10 Dalle origini alla nascita della Land Rover CAPITOLO 1 1900-1948 Le origini e l’evoluzione dei veicoli a trazione integrale sono legate inevitabilmente alla storia dell’intera mobilità a motore che, fin dalla seconda metà del XIX secolo, ha caratterizzato gli albori della moderna era industriale. Non c’è da stupirsi quindi che i primi, seppur alquanto rudimentali, sistemi di trazione integrale, siano apparsi sui treni prima ancora che l’automobile fosse inventata. I primi tentativi di cui si hanno notizia risalgono addirittura al 1824 quando due inglesi, Timothy Burstali e John Jill, costruirono una carrozza a vapore a quattro ruote motrici. Questo veicolo, dal peso complessivo di circa 7 tonnellate e in grado di raggiungere una velocità massima di poco superiore ai 35 Kmh., venne sottoposta ad una serie di numerosi test tra il 1826 e il 1827. Nessun problema fu riscontrato nel corso delle prove su rotaia, ma il progetto venne ben presto abbandonato nel 1827 in seguito all’esplosione di una caldaia. Molti anni dopo dall’altra parte dell’oceano l’americano Emmett Bandelier, un agricoltore dell’Indiana con particolari attitudini per la meccanica, progettò un motore a vapore per un veicolo a quattro ruote motrici (1883) che avrebbe dovuto equipaggiare i mezzi utilizzati nelle maggiori fattorie della zona. Questo motore conteneva numerose soluzioni tecniche altamente innovative per l’epoca, ma il suo ideatore non riuscì purtroppo a ricavarne un prototipo funzionante. L’agricoltore dell’Indiana lasciò cadere il brevetto verso la fine del 1883 e alcuni anni dopo Henry Ford utilizzò alcune delle soluzioni tecniche di Bandelier nella produzione delle sue prime automobili. Il primo veicolo a trazione integrale della storia è una 4x4 elettrica realizzata tra la fine del secolo scorso e l’inizio del ‘900 dall’austriaca Lohner in collaborazione con un giovanissimo tecnico che rispondeva al nome di Ferdinand Porsche. Era il 1898 quando la Lohner (azienda leader in Europa nella costruzione di carrozze che, a Lohner-Porsche 4x4 partire dal 1896, si specializza nella 11 produzione di automobili elettriche) assume il giovane Porsche, allora ventiquattrenne, per affidargli un ambizioso progetto destinato alla realizzazione di una 4x4 elettrica. Il 19 settembre del 1900 la Lohner-Porsche 4x4 è pronta e viene consegnata ad un facoltoso cliente inglese. Questa vettura (battezzata “La Toujours Contente”), con carrozzeria scoperta a 4 posti, era equipaggiata in pratica di un motore per ogni ruota e disponeva di una serie di accumulatori (situati al centro del veicolo) il cui peso complessivo sfiorava i 1.800 Kg. che sviluppavano una potenza, notevole per l’epoca, di 100 CV. Dopo i primi entusiasmanti test, la vettura venne ampiamente modificata nel tentativo di battere il record mondiale di velocità (105.12 Kmh.) conquistato in Francia, ma riuscì a raggiungere soltanto gli 80 Kmh. Tre anni più tardi, al Salone di Parigi del 1903, debutta invece l’olandese Spyker 50 HP, la prima vettura da competizione a quattro ruote motrici con motore a benzina; dotata di trazione integrale permanente e differenziale centrale, la Spyker 50 HP era equipaggiata con un propulsore a 6 cilindri in linea di 8.681 cc. (50 CV a 1.400 giri al minuto, 75 Kmh.), raffreddato tramite due radiatori a “V”; la trasmissione era assicurata da un albero cardanico collegato direttamente alla scatola del cambio da dove, tramite due alberi di trasmissione, veniva trasferito il moto ai due differenziali. Spiker 50 HP Negli stessi anni negli Stati Uniti un altro costruttore, Charles Cotta di Rockford (Illinois) sviluppò un veicolo equipaggiato con un motore a vapore che, grazie ad un sistema di trasmissione a catena, riusciva a distribuire la trazione su tutte e quattro le ruote. Non esistono dati sul numero di veicoli costruiti da Cotta che nel primo anno di produzione (1902) pubblicizzò la sua vettura anche sulla più famosa rivista dell’epoca (Automobile Trade Journal). L’anno successivo Cotta vendette il progetto e il brevetto della sua auto (considerata a tutti gli effetti come la prima 4x4 americana) alla 12 Milwuakee Four-Wheel Drive Wagon Company che costruì una piccola serie di auto e camion 4x4 fino al 1907. Sempre nell’ambito dei camion 4x4 un’altra azienda americana, la Couple Gear Freight Company di Grand Rapids (Michigan) avviò nel 1904 la produzione di camion elettrici a quattro ruote motrici e sterzanti; la gamma completa era basata su tre modelli (da 1, 2 e 5 tonnellata come capacità di carico) la cui velocità massima era compresa tra i 10 i 13 Kmh. Nello stesso anno anche in Europa iniziano ad apparire i primi modelli di camion a quattro ruote motrici quando la Austro-Daimler (divisione austriaca della German Daimler Company, antesignana della Daimler-Chrysler) costruì una linea di camion 4x4 di media e alta portata destinata alle forze armate; il telaio e la meccanica di questi veicoli verranno successivamente utilizzati per la realizzazione dei futuri mezzi blindati destinati all’Esercito Austriaco. In alcuni casi tuttavia la realizzazione di veicoli a trazione integrale rimase confinata alla fase di prototipo, come avvenne per quello costruito nel 1905 da Charles Van Winkle di San Joachin (California); si trattava di una piccola 4x4 da turismo il cui progetto venne ceduto ad un’azienda di recente costituzione (la Stockton Four Drive Auto Company) che abbandonò l’idea prima ancora di avviare la produzione. Una sorte analoga toccò anche al camion sperimentale a quattro ruote motrici e sterzanti realizzato nel 1906 dalla American Motor Truck Company, sebbene il prototipo venne utilizzato in seguito (1911) dalla stessa azienda per avviare una produzione limitata di camion 4x4 di varia portata (1, 2, 3, 5 e 10 tonn.) disponibili con motori a 2 e 4 cilindri. Ad un’altra azienda americana, la Duplex Power Car Company, si deve la realizzazione di quello che viene considerato come il primo veicolo commerciale 4x4, realizzato nel 1908; questo mezzo, denominato “Model B”, era un piccolo camioncino (3/4 tonn.) che restò in produzione per due anni, prima di essere sostituito dalla nuova versione (1913). Ancora la Mercedes, nel 1907, costruì una serie limitata di una piccola 4x4 a quattro ruote sterzanti, destinata alle amministrazioni coloniali stanziate in Africa orientale; questo veicolo, molto spartano nell’allestimento e completamente diverso dalle auto Mercedes fino ad allora cotruite, era equipaggiato con un motore a benzina che sviluppava 45 CV. Nel 1908 si verifica negli Stati Uniti un evento che ha grande risonanza anche sul Vecchio Continente, noto nelle cronache della storia del fuoristrada come lo “sfondamento americano”. Due macchinisti del Wisconsin, Otto Zachow e William Besserdich, costruirono un veicolo a quattro ruote motrici che segnò il debutto della prima scatola dello sterzo integrata direttamente nell’assale anteriore. I primi test iniziarono nell’ottobre dello stesso anno ed evidenziarono sorprendenti prestazioni nell’utilizzo off-road, e il nuovo fuoristrada riuscì a superare i terreni più accidentati nei pressi di Clintonville (Wisconsin) attraverso i quali nessun veicolo a motore allora in circolazione riusciva ad avventurarsi. 13 La nuova versione (1909) del fuoristrada creato da Zachow e Besserdich risultò ulteriormente perfezionata rispetto al modello precedente, suscitando un crescente clamore negli ambienti automobilistici americani. Grazie al potente motore a 4 cilindri, in grado di erogare 45 cavalli, questo veicolo rappresentava la massima espressione tecnologica in fatto di prestazioni fuoristradistiche per una 4x4. A tale proposito venne battezzata affettuosamente “Battleship” (nave da guerra) poiché niente riusciva a fermarla nel corso delle prove effettuate nelle proibitive condizioni ambientali intorno a Clintonville. In seguito i due macchinisti-costruttori si associarono con la Badger Four Wheel Drive Auto Company, sperando di offrire all’America un’auto 4x4 adatta a muoversi in ogni tipo di terreno con qualsiasi condizione di tempo. La Badger iniziò la regolare produzione di veicoli e con l’entrata nel gruppo di Walter A. Olen, un avvocato di Clintonville che assunse il comando della compagnia, mutò il nome dapprima in Four Wheel Drive Auto Company (1910) e in seguito semplicemente in FWD. Le prestazioni del FWD 4x4 erano talmente elevate rispetto alla concorrenza che la Casa costruttrice offriva un premio di 1.000 dollari (una cifra ragguardevole per quei tempi) a qualsiasi auto che fosse riuscita a seguire una Battleship attraverso il percorso off-road di prova per almeno 15 minuti; centinaia di auto si cimentarono nell’impresa, ma nessuna riuscì a star dietro alla “nave da guerra” di Zachow e Besserdich. Dopo aver prodotto soltanto sette auto da turismo a quattro ruote motrici, la FWD si rese conto che il mercato non era ancora pronto ad accogliere un veicolo del genere, constatando tuttavia che i tempi erano maturi per il mercato dei camion 4x4. Ben presto alla FWD iniziarono a prendere in considerazione l’idea di entrare in questo settore, soprattutto dopo la richiesta dell’Esercito Americano (che all’epoca aveva una flotta di 12 camion) di effettuare una serie di test impegnativi su percorsi off-road con la Battleship. I vertici dell’Esercito avevano alcune riserve in merito alle capacità di carico del veicolo, ma avviarono lo stesso le prove per valutare la fattibilità del progetto. L’Esercito acquistò una FWD 4x4 e, dopo i test di guida in condizioni ambientali esasperate, effettuò alcune modifiche alla carrozzeria: al veicolo venne tagliata la parte posteriore dell’abitacolo, trasformandolo in pratica in un pick-up con l’aggiunta di un ampio pianale di carico. Era nato lo Scout Car 4x4, un autocarro leggero a trazione integrale in grado di assicurare una capacità di carico di una tonnellata e mezza. All’inizio del 1912 lo Scout Car venne sottoposto ad una serie di prove per otto settimane consecutive, nel corso delle quali percorse circa 2.500 chilometri superando con un ampio margine, soprattutto nel traino degli armamenti attraverso le pozze di fango, gli altri tre veicoli selezionati per i test. Dopo il successo dei test effettuati presso l’Esercito Americano, la FWD debutta nel 1912 con il primo vero modello di camion 4x4 di 3 tonnellate che si candidava a consolidare ulteriormente la fama conquistata nell’ambiente militare. Questo obiettivo venne raggiunto con la partecipazione ad alcune manovre mi14 1907: l’Itala trionfa al raid Pechino-Parigi L a storia dei veicoli a trazione integrale, seppur influenzata inizialmente dal mondo agonistico, rimane tuttavia strettamente legata alla nascita e all’evoluzione dell’automobile, soprattutto in funzione della sua naturale vocazione itinerante che, fin dai primi anni del Novecento, ha creato le premesse per lo sviluppo dei primi raid intercontinentali che rappresenteranno l’ideale terreno d’azione dei primi modelli 4x4. Una pietra miliare nel campo dei grandi viaggi in automobile è senz’altro la mitica Pechino-Parigi (16.000 Km., di cui 12.000 in fuoristrada) realizzata nel 1907 dal principe Scipione Borghese e dal giornalista del Corriere della Sera Luigi Barzini. Protagonista della spedizione fu la Itala, un’auto di produzione interamente italiana che, pur essendo dotata di sola trazione su due ruote motrici, si disimpegnò con estrema disinvoltura anche sui percorsi off-road (all’epoca le strade erano praticamente inesistenti in molte zone). Fu proprio in questa 15 occasione che si evidenziò per la prima volta la necessità di poter disporre di un veicolo in grado di affrontare, seppur nei limiti delle tecnologie allora disponibili, qualsiasi tipo di percorso. Esigenza ulteriormente appalesatasi in seguito alle prime trasferte automobilistiche nell’Africa mediterranea e, soprattutto, all’indomani della conclusione del primo conflitto mondiale: entrambe le situazioni suggerirono ad alcune tra le maggiori case automobilistiche l’ideazione dei primi veicoli 4x4. litari con una flotta di 12 camion 4x4 (tra cui anche alcuni FWD Scout Car) che seguì una missione della Guardia Nazionale da Dubuque, nello Iowa, fino a Sparta (Wisconsin). Il successo dei camion fuoristrada della FWD è legato in parte anche a quella tendenza che caratterizza l’intero mercato automobilistico nel primo decennio del secolo scorso quando, con l’approssimarsi del primo conflitto mondiale, la produzione di automobili evidenziò una netta flessione (intorno al 1910) a favore di quella dei camion. Tra le numerose aziende che adeguarono la produzione verso i mezzi pesanti vi fu anche la Walter Automobile Company (fondata a New York nel 1902), apprezzata per le sue berline di lusso (famosa la Walmobile, prodotta fino al 1909), che realizzò il primo camion 4x4 nel 1911 dopo aver mutato la ragione sociale in Walter Motor Truck. Nel 1913 un’altra azienda americana, la Thomas B. Jeffery Company esordì con un prototipo di camion 4x4 (2 tonn.) a quattro ruote sterzanti, battezzato “Quad”, entrato regolarmente in produzione a partire dal 1914. Con lo scoppio della Prima Guerra mondiale, appena innescata in Europa, questo veicolo venne subito “arruolato” presso gli eserciti russi, inglesi e francesi, dove si comportò altrettanto bene come in quello americano. Nel 1916 l’azienda venne ceduta alla Nash Company e il Quad assunse la denominazione di Nash Quad. Il nuovo camion venne costruito e venduto in un gran numero di esemplari durante la Prima Guerra mondiale, ma le vendite iniziarono ad affievolirsi progressivamente a partire dal 1919 fino a quando, nel 1928, il Nash Quad uscì di produzione. Da ricordare nel 1914 l’apparizione del camion Renault EG, che segnò l’ingresso della Casa francese nel settore dei veicoli a trazione integrale; si trattava di un grosso e pesante camion destinato al trasporto di cannoni, equipaggiato con un motore da 7.2 lt. in grado di sviluppare 45 CV e una velocità massima di 15 chilometri orari. Oltre alle quattro ruote motrici, ognuna delle quali sterzanti, disponeva di ruote gemellate che assicuravano una notevole motricità su qualsiasi tipo di terreno. Nel 1915 la General Motors Truck costruì un prototipo sperimentale di un camion 4x4 da 2 tonnellate che non entrò in produzione prima della metà degli anni Trenta, mentre due anni più tardi la Oshkosh Motor Company (azienda creata da alcuni soci del Wisconsin Duplex e della FWD) realizzò un nuovo prototipo di camion 4x4 battezzato Old Betsy. Questo veicolo, caratterizzato da un innovativo design, pneumatici speciali e differenziale centrale autobloccante, era disponibile nelle versioni da 1 a 3 tonnellate. Il modello di serie, chiamato Model A, entrò in produzione nel 1918 e all’epoca rappresentava il più avanzato camion 4x4 esistente al mondo. Quattro anni dopo arriva sul mercato americano un’altra azienda automobilistica, la American Coleman di Littleton (Colorado), che produce il primo camion 4x4 nel 1925. Specializzata soprattutto in veicoli a trazione integrale di grossa 16 portata, la Coleman entrò nel mercato dei fuoristrada leggeri nel 1947 con un veicolo derivato da un Chevy trasformato in un 4x4; la produzione di fuoristrada cessò nel 1956 e nel 1986 la Coleman si ritirò dal mercato. Anche la popolarissima Ford T ha avuto (1923) una versione a quattro ruote motrici, realizzata grazie a uno speciale kit di trasformazione messo a punto da una piccola azienda americana. Tra le aziende europee, una delle prime a scendere in campo nel settore del trasporto pesante a trazione integrale fu la Citroen (da sempre all’avanguardia Citroen-Kegresse in fatto di tecnologie innovative in campo automobilistico) che, agli inizi degli anni Venti, realizza il semicingolato Kegresse. Questo veicolo, a metà strada tra un’automobile e un carro militare, era caratterizzato da una struttura ibrida che vedeva l’adozione di due grossi cingoli nel retrotreno abbinati ad un tradizionale avantreno a ruote sterzanti. Dotato di una motricità impressionante in qualsiasi condizione ambientale, il semicingolato Kegresse si impone ben presto anche nel settore dell’avventura portando a termine quattro importanti spedizioni che segneranno una pietra miliare nella storia dell’esplorazione automobilistica: dopo aver concluso la prima traversata sahariana (1922-23), il fuoristrada della Citroen percorre tutta l’Africa, da Algeri fino al Madagascar (“crociera nera”, 1924-25), l’Asia Centrale (“crociera gialla”, 1931-32) e l’Alaska (“crociera bianca”, 1934). Nel frattempo negli stessi anni in Francia è ancora la Renault a mettere a punto un progetto per un veicolo espressamente progettato per l’utilizzo in fuoristrada, battezzato Six 10 CV, che dopo aver superato brillantemente una serie di severi test di collaudo viene avviato alla produzione di serie; anche in questo ca17 so si tratta di un mezzo particolare (ancora lontano dai fuoristrada tradizionali), dotato di tre assi sui quali veniva adottato lo schema di trazione 6x4 (sei ruote di cui 4 motrici). Negli anni successivi (a partire dal 1923) viene sviluppata un’ulteriore versione, battezzata MH, che nelle intenzioni della Renault doveva rappresentare la risposta alla “crociera nera” della Citroen; per qualche tempo i camion Renault a 3 assi, adeguatamente attrezzati per il deserto, portarono in giro in lungo e in largo per le piste sahariane i facoltosi viaggiatori provenienti da ogni angolo dell’Europa. A poco a poco la tipologia dei veicoli a trazione integrale inizia a diffondersi anche in altri paesi europei e, tra questi, è soprattutto la Germania (grazie anche alla collaborazione con l’austriaca Steyer e la cecoslovacca Tatra) ad acquisire velocemente le tecnologie più avanzate dell’epoca. Nel 1922 la Mercedes-Benz avvia la produzione di fuoristrada leggeri destinati alle forze armate con il modello Gelandewagen 1 (G1), allestito su un telaio molto robusto a tre assi di cui due motrici (4x6); seguirono diversi altri modelli fino all’abbandono della gamma con il G4, una versione 6x6 ancora più potente prodotta in una serie molto limitata (57 modelli in tutto) destinata ad alcuni alti ufficiali del III Reich tra cui lo stesso Hitler. Mercedes G 3 assi Della Mercedes G4 vennero realizzate due versioni: una a 6 ruote motrici e una, la più diffusa, con trazione solo sui due assi posteriori; lunga complessivamente 5.4 metri, alta 1.8 e larga 1.89, la G4 era equipaggiata con un motore a 8 cilindri in linea di 5.019 cc. che erogava una potenza massima di 100 CV a 3.400 giri, cambio a 4 velocità e differenziali bloccabili. Per quanto riguarda le prestazioni, la Mercedes G4 a 3 assi si disimpegnava con una certa disinvoltura sui percorsi offroad non particolarmente impegnativi (grazie all’altezza minima da terra di 23.3 cm.), mentre su strada consentiva di raggiungere una velocità massima di 65 Kmh. con un consumo di 4 km./lt. (3 Km./lt. in fuoristrada). Tra i 4x4 leggeri, uno dei veicoli che meglio di qualunque altro esprimeva la sintesi della più alta tecnologia dell’epoca fu senz’altro la BMW Typ 325, un fuo18 ristrada a cinque porte con carrozzeria torpedo (soft-top) destinata soprattutto ad un utilizzo militare. Il progetto iniziale, avviato nell’ambito di una più ampia pianificazione militare tesa a dotare le truppe della Wehrmacht di un veicolo da trasporto agile e veloce, venne battezzato con la sigla “le.gl.Einch.Pkw.(4x4)”, acronimo della denominazione completa “leichter gelandeganging Einheits Personenkraftwagen 4x4” (auto fuoristrada leggera standardizzata a quattro ruote motrici). Realizzato in collaborazione con un’altra azienda tedesca (Stoewer), il primo prototipo venne presentato nel 1936 e l’anno dopo la BWM (coadiuvata da una terza azienda, la Hanomag) iniziò la produzione di serie della 325 che in circa tre anni venne prodotta in oltre 3.200 unità. Il propulsore adottato per tutte le versioni era un 6 cilindri in linea (2.000 cc. 50 CV a 3.759 giri/min.) in grado di fornire prestazioni molto brillanti; dal punto di vista fuoristradistico la BMW 325 era equipaggiata, oltre alle quattro ruote sterzanti (il volante poteva agire, a scelta, su 2 o 4 ruote), di trazione integrale permanente, sospensioni a ruote indipendenti e tre differenziali bloccabili. Gli elevati costi di produzione si tradussero purtroppo anche in un prezzo assai elevato necessario per acquistare una BMW 325 che alla fine degli anni Trenta veniva a costare 6.000 marchi (circa il doppio di una Kubelwagen, venduta a 2.782 DM); ciò provocò una progressiva flessione nelle forniture all’esercito tedesco che ben presto, soprattutto nel corso della motorizzazione delle truppe impegnate nell’invasione della Russia, iniziò a sostituire la 325 con la più economica Kubelwagen fino a quando (1940) la produzione venne definitivamente abbandonata. Sempre nel 1937 ritorna alla ribalta della produzione di 4x4 ancora una volta la Mercedes con la realizzazione della 35 che, oltre a rappresentare il primo veicolo a quattro ruote motrici prodotto dalla stella a tre punte, era dotata di 4 ruote sterzanti con comando idraulico. Questo dispositivo assicurava alla Mercedes 35 una sorprendente versatilità anche nei passaggi più impegnativi, evenienza piuttosto ricorrente nel corso delle operazioni belliche cui era destinata; equipaggiata con un propulsore a 4 cilindri (2.000 cc., 50 CV a 2.500 giri/min.), raggiungeva una velocità max di 80 Kmh. Il fiore all’occhiello della produzione tedesca alla vigilia del secondo conflitto mondiale rimane comunque la mitica Kubelwagen, caratterizzata dalla stessa meccanica che equipaggerà alcuni anni dopo il famoso Maggiolino e una carrozzeria particolarmente spigolosa (da cui la denominazione kubel=tinozza). La prima versione è ancora a due ruote motrici, ma ben presto verrà introdotto anche un modello a trazione integrale, affiancato successivamente da una trasformazione anfibia, la Schwimmwagen; anche quest’ultima, con carrozzeria chiusa (simile alla struttura di uno scafo) ed elica retraibile, era dotata di trazione integrale inseribile, due differenziali bloccabili e una prima marcia ridotta, molto corta, che consentiva di superare pendenze fino al 60%. La Schwimmwagen era equipaggiata con il tradizionale motore VW di 1.131 cc 19 Schwimmwagen (25 CV) che consentiva una velocità massima di 80 Kmh. su strada, mentre in acqua (in condizioni di calma piatta e senza correnti) poteva raggiungere i 10 Kmh. Tra il 1942 e il 1945 la Volkswagen produsse tuttavia anche una serie limitata di 4x4 con la tradizionale carrozzeria del Maggiolino; questo modello, opportunamente modificato anche nelle sospensioni e nell’adozione di grossi pneumatici tassellati, era siglato con il numero 87 e venne costruito in 564 esemplari. Tra il 1949 e il 1944 viene allestita in Francia una versione a quattro ruote motrici della Bugatti, denominata Tripper SG6/41; questo veicolo, costruito in circa 1.000 esemplari, era equipaggiato con motore Opel a sei cilindri o con motore Tatra a otto cilindri (SG7). Nello stesso periodo all’altro capo del mondo, sul fronte asiatico, la Mitsubishi metteva in cantiere la PX 33 (riproposta in una versione remake verso la metà degli anni Ottanta, su telaio e meccanica del Pajero). Sul fronte americano intanto, proprio a causa delle difficoltà emerse durante la guerra nell’ambito della movimentazione delle truppe e del trasporto pesante, si rafforza l’esigenza di poter disporre di un veicolo a quattro ruote motrici che, oltre a spiccate doti di versatilità e robustezza, fosse caratterizzato anche da un peso particolarmente contenuto in grado di assicurare un’estrema mobilità su qualsiasi tipo di percorso e, non ultimo, risultasse aviotrasportabile con relativa 20 PX 33 facilità. Fino ad allora i veicoli a quattro ruote motrici realizzati in America erano rappresentati in massima parte da camion 4x4 e, nonostante l’avvio della produzione di alcuni marchi (famosi i camion GMC e Dodge 4x4 costruiti tra il 1934 e il 1939) destinati ad un grande avvenire nel settore della mobilità a trazione integrale, si avvertiva l’esigenza di poter disporre di un fuoristrada leggero. A tale scopo venne bandito un concorso dallo Stato Maggiore dell’Esercito Americano per la realizzazione di un progetto dal quale sarebbe scaturito un veicolo con queste caratteristiche. Numerose furono le aziende contattate (135), ma solo tre risposero all’appello e tra queste risultò vincitrice la Willys Overland Inc. che, nel 1940, presenta il primo prototipo della Jeep (che entrerà ufficialmente in produzione nel 1941), denominato MB, che riscuote immediatamente un clamoroso successo in tutto il mondo con ben 637.747 esemplari prodotti (359.851 dalla Willis e 227.896 dalla Ford, su licenza). Circa l’origine del nome vi sono diverse ipotesi che ancora oggi non mettono d’accordo tutti gli appassionati, ma la più accreditata sembra essere quella che fa risalire la parola jeep alla contrazione dei vocaboli “general” e “purpose”, GP (traducibile approssimativamente come “per tutti gli scopi”) utilizzati all’epoca della presentazione del veicolo. La Jeep era caratterizzata da una meccanica molto semplice (motore a 4 cilindri di 2.199 cc., in grado di sviluppare 60 CV a 4.000 giri) e da un’estrema versa21 tilità, dimostrata dal successivo sviluppo di versioni semi-cingolate, 6x6, anfibie e corazzate, oltre al prototipo a 4 ruote sterzanti. La versione anfibia, battezzata “Seep” (Seagoing Jeep) venne sviluppata dalla Marmon Herrington Co. in collaborazione con l’allora affermato studio nautico Sparkman & Stephens; lunga 4.65 metri e larga 1.6, la Seep pesava 1.500 Kg. (540 in più della normale Jeep), poteva superare una pendenza massima del 45% e raggiungeva una velocità di 80 Kmh. su strada (8 Kmh. in acqua). La sua produzione, avviata nel 1942, prevedeva la realizzazione di 12.778 esemplari, ma venne sospesa l’anno successivo quando erano state costruite circa 6.000 macchine. La notevole pianificazione di motorizzazione militare avviata dagli Stati Uniti si estese tuttavia anche nel settore della produzione dei truck di 3/4 tonnellate a trazione integrale che nel 1942 portò alla nascita della Beep, nota anche come la “Gippona”. Realizzata dalla Dodge Division della Chrysler Corporation che, in collaborazione con la Ford, aveva presentato il prototipo di un truck da 3/4 tonnellate, la Beep era disponibile in diversi allestimenti di carrozzeria (torpedo, station wagon, pick-up, ambulanza, autobotte, etc.) e, a partire dal 1943, venne introdotto anche un modello 6x6 (portata una tonnellata e mezza). Jeep MB 22 Entrambe le versioni erano equipaggiate con un motore a 6 cilindri di 3.786 cc. in grado di sviluppare 92 CV a 3.200 giri, con cambio a 4 velocità, sospensioni a balestre longitudinali e freni a tamburo; l’adozione del riduttore era invece disponibile solo sulla versione 6x6. Per i vertici dell’esercito a stelle e strisce venne inoltre allestita una speciale versione della Beep, denominata “Truck Command”, munita di verricello anteriore e in grado di superare una pendenza massima del 60%. Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale un altro veicolo che svolse un ruolo particolarmente significativo nella movimentazione delle truppe europee fu la Steyr 1500, realizzata dall’austriaca Steyr (un’antica fabbrica di armi, fondata nel 1864, che iniziò la produzione di motori per l’aviazione durante il primo conflitto mondiale avviando la realizzazione dei primi autoveicoli nel 1920). La Steyr 1500, nata dopo la fusione aziendale con un altro marchio nazionale (Austro Daimler Puch) avvenuta nel 1934, è una grossa torpedo a quattro ruote motrici ad 8 posti (V8, 3.517 cc.) prodotta in oltre 12.000 esemplari. Con la fine della guerra il mito della Jeep non va in pensione, ma continua a diffondersi in tutto il mondo grazie alla produzione avviata su licenza in diversi paesi sudamericani (Argentina e Brasile), orientali (Giappone, India, Corea e Taiwan) e mediterranei (Spagna, Turchia, Egitto e Israele). L’esigenza di poter disporre di un fuoristrada adeguato ai più disparati impieghi operativi nel corso delle operazioni militari legate alla Seconda Guerra Mondiale veniva comunque avvertita anche dalle forze armate di quei paesi che, non allineandosi con alcun schieramento, si erano dichiarati neutrali. Uno di questi nella vecchia Europa era la tranquilla Svezia che, ritenendo forse non molto credibile un simile atteggiamento in condizioni di disarmo, decise di mostrare comunque i muscoli anche nel settore della mobilità delle truppe avviando un progetto destinato alla produzione di nuovi veicoli appositamente realizzati per l’utilizzo off-road. Naturalmente fu la Volvo, la maggiore azienda nazionale, ad impostare una nuova berlina a trazione integrale. Era il 1943 quando venne varato il primo prototipo della Volvo PV 801/802, entrata in produzione l’anno dopo e costruita fino al 1946 in oltre 200 esemplari. Equipaggiata con un motore di 3.670 cc. (6 cilindri, 86 CV), il fuoristrada della Volvo, pur assicurando prestazioni di tutto rispetto, evindenziò diverse lacune negli impieghi più gravosi, sia per l’eccessiva lunghezza del passo che per alcuni problemi legati alla carburazione e sistema di lubrificazione che si manifestavano soprattutto in presenza di forti pendenze. Sempre nel 1943 apparve anche la Gaz 67, la prima autovettura russa militare da fuoristrada dalle modeste prestazioni e fortemente ispirata (stilisticamente e meccanicamente) alla Bantam; questo modello, utilizzato prevalentemente sul territorio nazionale, verrà ulteriormente sviluppato dieci anni dopo (1953) con il debutto della Gaz 69, antesignana delle attuali Uaz attualmente ancora in circolazione. Il 17 luglio del 1945 la Willis è la prima azienda automobilistica statunitense a presentare il nuovo modello del dopo-guerra, riveduto e corretto per un utilizzo in abiti civili. 23 Nasce così la Jeep “Universal” che viene posta in vendita al prezzo di 1.090 dollari, affiancata a partire dal 1946 dalla prima station wagon a due porte interamente realizzata in carrozzeria metallica; nel 1947 sono oltre 100.000 le Jeep civili prodotte (ca. 25.000 quelle esportate nel mondo). Negli stessi anni la Dodge lancia sul mercato americano la Power Wagon, uno dei più famosi pick-up 4x4 mai apparsi negli Stati Uniti; entrata in produzione nel 1946, la Power Wagon verrà costruita in larga scala fino al 1971 pur continuando ad essere prodotta in una serie limitata fino al 1978. Ancora pochi anni e, nel 1948, debutta sulla ribalta internazionale la mitica Land Rover che, continuando la tradizione avviata con la Jeep, presenta una carrozzeria decisamente innovativa per l’epoca interamente realizzata in alluminio (l’acciaio industriale era stato quasi tutto assorbito dalla produzione bellica); in breve tempo la Land Rover si afferma in tutto il mondo, divenendo in pochi anni il simbolo della mobilità a motore in fuoristrada. Il progetto “Land Rover” (land = terra e rover = vagabondo) venne avviato all’inizio del 1947 e i primi prototipi vennero allestiti a tempo di record nello stesso anno; non essendo ancora perfettamente messo a punto il telaio progettato dalla Rover, venne utilizzato il telaio di una Jeep Willis sul quale venne assemblata la carrozzeria in alluminio e altre componenti prelevate dalle berline di produzione Rover. Il motore era un quattro cilindri di 1.389 cc. in grado di sviluppare 48 CV, mentre la trasmissione integrale permanente era abbinata ad un tradizionale cambio stradale sul quale era montato un riduttore di nuova pro- Land Rover I Serie 24 gettazione. Superati i primi test di collaudo, la Rover approva la delibera (il 4 settembre del ‘47) per la realizzazione della prima preserie (50 veicoli) per affrontare l’ormai imminente esordio. Il debutto ufficiale avviene il 30 aprile del 1948 presso i padiglioni del Salone dell’Automobile di Amsterdam, dove viene presentata la prima Land Rover 80, così denominata in riferimento alla lunghezza del passo (80 pollici) corrispondente a 2,032 metri. L’immediato successo riscosso fin dalla sua prima apparizione viene inoltre ulteriormente confermato dalle crescenti ordinazioni che arrivano ben presto da ogni angolo del pianeta e la stessa famiglia reale ne subì il fascino. Re Giorgio V, dopo averla provata a lungo nei dintorni del castello di Balmoral, ordinò diversi esemplari per le varie residenze di corte e anche alcuni personaggi della politica restarono affascinati dal nuovo fuoristrada (famosa la foto del grande statista Winston Churchill immortalato, con il suo immancabile sigaro, al fianco della Land Rover). L’azienda di Solihull venne ben presto subissata di ordinazioni e, per evadere la crescente mole di richieste, la Land Rover decise di avviare la produzione su licenza in numerosi paesi europei. Tra questi i più tempestivi furono il Belgio (dove la Land assunse il nome di Minerva), la Germania (che la mise in produzione con il nome di Tempo) e la Spagna dove ancora oggi viene costruita con il marchio Santana. Già nel 1956 la Land Rover veniva allestita in 30 nazioni diverse grazie all’adozione di numerose componenti che, abbinate a kit di montaggio preassemblati, venivano importate direttamente dalla Gran Bretagna. Nel 1958 debutta la II Serie, mentre la III Serie verrà introdotta nel 1971. 25 Il Sahara a motore N ella lunga e avventurosa storia dell’esplorazione automobilistica del Sahara i veicoli fuoristrada hanno svolto naturalmente un ruolo di primo piano nel processo di antropizzazione delle aree meno esplorate del più grande deserto del mondo, sebbene i primi tentativi di penetrazione a motore siano stati compiuti con tradizionali veicoli a due ruote motrici. Agli inizi del Novecento infatti alcuni aristocratici francesi sbarcarono sulle coste dell’Algeria portando per la prima volta un veicolo a motore tra gli abitanti dell’Africa mediterranea. Nei primissimi anni del secolo viene organizzato il primo Circuito delle Oasi Tunisine (1901, Gaetan de Meaulme) e il raid AlgeriTouggourth (1902, Henry Crawhez), mentre qualche anno più tardi (1916) è il generale francese Leperrine a raggiungere l’oasi di Ouargla effettuando in venti giorni un tragitto di 800 chilometri. Per la prima traversata completa del Sahara (in direzione nord-sud) bisogna attendere il 1920 quando un altro militare francese, Lucien Fenouil, realizza una spedizione con 23 camion Fiat 15-ter con l’intento di allestire una serie di punti di appoggio per gli aerei in procinto di compiere la prima trasvolata del deserto. Tre anni dopo entra direttamente in scena la prima grande casa automobilistica europea quando la Citroen organizza la famosa “Crociera delle sabbie” (1923) che raggiunge la mitica Timbunctù, seguita a ruota dalla Renault (1925) con l’allestimento di una spedizione che collega le regioni sahariane tra l’Algeria e il Niger. Sempre la Renault (con il modello 10 CV) porta a termine la prima traversata del continente, con la spedizione “Transafrica” (1925) lungo la rotta Bechar-Città del Capo lungo un itinerario di 18.000 chilometri, ripetendo l’impresa nel 1930. Un’altra azienda francese, la Berliet, specializzata nella produzione di camion, realizza tre spedizioni lungo la rotta Algeri-Gao-Al- geri (1926-1932-1941) e una quarta nel 1959 (Spedizione Tenèrè) allestita per aprire una nuova pista tra Djanet e il lago Tchad. Tra le spedizioni italiane, una delle più importanti del passato è stata senz’altro quella realizzata dalla Fiat, con una Campagnola, che nell’inverno ‘51-52 effettua il raid Algeri-Città del Capo in 11 giorni stabilendo il record mondiale della traversata del continente africano. Negli anni Settanta vanno segnalate inoltre l’iniziativa “Raid Afrique” (1973) della Citroen, nel corso della quale una carovana di 60 vetture 2 CV compie l’intera traversata del Sahara da Tunisi ad Abidjan in Costa d’Avorio e la “Crociera delle Sabbie” (1975-76) della Saviem che realizza l’intera traversata WE del Sahara, da Dakar ad Aswan; un nuovo collegamento in linea diretta dal Niger (Timbuctù) al lago Tchad viene aperto (1977) con la spedizione “Fiat-Castiglioni” (ribattezzata “Dall’acqua all’acqua”), realizzata dagli esploratori italiani Angelo e Alfredo Castiglioni a bordo di camion Fiat 75 PC 4x4. CAPITOLO 2 Dalla Land Cruiser alla Jimny 1950-1969 Pochi anni dopo il debutto della Land Rover si affaccia nel mondo del fuoristrada anche l’industria del Sol Levante quando, nel 1950, l’Esercito Americano si rivolge alla Toyota per la realizzazione di un veicolo che fosse particolarmente resistente, forte e indistruttibile per i suoi soldati di stanza in Giappone. In realtà la Toyota aveva già avviato, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, un progetto per la realizzazione di un veicolo 4x4 (1/4 tonn.) battezzato AK10 che entrò in produzione solo a conclusione del conflitto. Toyota BJ Dopo la commessa statunitense i tecnici della Toyota si rimettono al lavoro e nell’arco di sei mesi fu allestito il primo modello BJ che, quattro anni più tardi, verrà commercializzato come Land Cruiser riscuotendo un grande successo in ogni angolo del mondo (negli Stati Uniti arriverà nel 1958 con la sigla FJ-25) rivelandosi, soprattutto sulle piste sahariane, come la più temibile rivale della Land Rover. Va sottolineato inoltre che in quegli anni l’industria automobilistica giapponese, allineandosi ad un’esigenza del resto avvertita da molte case costruttrici eu27 ropee e americane, era molto più attenta alle richieste provenienti dal settore militare che non alle esigenze del mercato civile. Non riuscì a sottrarsi a questa tendenza neanche la Nissan (nata nel 1933 a Yokoama) che, proprio all’indomani della conclusione della Seconda Guerra Mondiale, riceve dall’Esercito imperiale l’incarico di studiare un fuoristrada simile alla Jeep basandosi su alcuni esemplari sequestrati alle truppe americane catturate nel Pacifico. I vari progetti vennero tuttavia ben presto abbandonati, e non solo nell’ambito delle 4x4, per cui la Nissan si dedicò esclusivamente alla produzione dell’autocarro 180 (avviata agli inizi degli anni Quaranta). Con l’avvento degli anni Cinquanta inoltre iniziava a surriscaldarsi di nuovo la situazione politica in tutto l’Estremo Oriente e gli stessi Stati Uniti, presagendo il ruolo non trascurabile delle forze armate nipponiche nelle turbolenze che si stavano innescando in Vietnam e Corea, premono nuovamente sulle case automobilistiche giapponesi invitando la Nissan a rispolverare i progetti relativi alla produzione di 4x4. Dopo una serie di prototipi realizzati sulla falsariga della Jeep, la Nissan presenta nel 1951 la Patrol 4WD 60 che, com’era prevedibile, ricordava molto da vicino la gloriosa fuoristrada americana del ‘41. Nel panorama europeo la Renault lancia nel 1951 la Colorale Prairie, una mastodontica station-wagon 4x4 destinata sia al trasporto agricolo che alla movimentazione nelle colonie francesi africane. La notevole altezza minima da terra, seppur penalizzando l’accesso nell’abitacolo, assicurava ottime prestazioni nell’utilizzo in fuoristrada ma il veicolo (allestito anche versione pick-up, con porta- Nissan Patrol 4 WD 60 28 ta fino a 500 Kg.) ebbe uno scarso successo nelle vendite a causa del prezzo elevato e delle modeste prestazioni, lontane da quelle assicurate da Jeep e Land Rover. Agli inizi degli anni ‘50 finalmente anche la produzione italiana, seppur tardivamente dopo alcune esperienze nel settore dei camion militari, si cimenta nel campo dei fuoristrada; sia l’Alfa Romeo Matta che la Fiat, infatti, partecipano al concorso indetto dal Ministero della Difesa per la realizzazione di un veicolo militare leggero e nascono così la Matta e la Campagnola. L’Alfa Romeo Matta, così battezzata dall’ingegner Antonio Alessio, all’epoca direttore generale dell’Alfa, per le sue eccezionali doti di robustezza e l’estrema versatilità evidenziata (fino ad allora inedita) nell’utilizzo off-road di un veicolo, era caratterizzata da un avantreno a ruote indipendenti e un tipo di allestimento che, seppur adattabile ad impieghi civili, rimaneva tuttavia circoscritto in un ambito prettamente militare. I primi studi iniziarono nel gennaio del ‘51 e già nell’aprile dello stesso anno era pronto il primo prototipo per i collaudi; il primo modello di serie uscì dalle catene di montaggio di Napoli nel marzo del ‘52. L’Alfa Romeo Matta, prodotta complessivamente in 2.200 esemplari prima di uscire di produzione del ‘53, fu protagonista di un’importante spedizione amazzonica nel Mato Grosso e in un’edizione della Mille Miglia si concesse persino il lusso di battere una Fiat Campagnola. Assai simili erano le caratteristiche tecniche della Fiat Campagnola D, il cui debutto avviene alla Fiera del Levante di Bari del 1951 dove viene presentato il modello “D” con motore a benzina (1.901 cc., 19 CV, 100 Kmh.), da cui deriva anche la versione militare denominata A.R. 51 (Autovettura Ricognizione 1951); a partire dal ‘53 la Campagnola viene costruita anche nella versione con motore diesel (1.901 cc., 40 CV, 85 Kmh.) e le successive versioni (A.R. 51 B, A.R. 55 e A.R. 59) resteranno in produzione fino al 1973: la produzione complessiva è stata di 39.076 veicoli, di cui 7.783 diesel. Grande agitazione sul mercato tedesco nel 1954 quando tre grosse aziende na- Fiat Campagnola D - Nuova Campagnola 29 zionali (Auto Union, Goliath e Porsche) presentano i prototipi per una 4x4 militare destinata alla Bundeswehr (l’esercito tedesco). Il prototipo Goliath era equipaggiato con motore anteriore a due tempi a 3 cilindri (886 cc., 40 CV) e tre anni dopo verrà riproposto con un motore a quattro tempi più potente (1.093 cc., 50 CV) e la trazione integrale abbinata alle marce ridotte. La Porsche presenta un prototipo dalla linea a cuneo molto moderna, equipaggiato con un motore raffreddato ad aria di 1.488 cc. (50 CV) e differenziale posteriore autobloccante; due anni dopo esordisce un secondo prototipo Porsche 4x4 con motore di 1.582 cc. Porsche 4x4 Entrambi questi modelli furono scartati dai vertici della Bundeswehr che preferirono il terzo prototipo realizzato dalla Munga D.K.W., battezzato Munga in riferimento alla corrispondente sigla dell’idioma tedesco “Mehrzweck Universal Gelandewagen mit Allradantrich” (veicolo universale da fuoristrada a quattro ruote motrici). Anche la Munga (analogamente al prototipo della Goliath) disponeva di un propulsore a due tempi (3 cilindri in linea, raffreddato ad acqua) di 896 cc. in grado di sviluppare 38 CV a 4.200 giri. Dotata di trazione integrale permanente e marce ridotte, la Munga era disponibile solo nella versione con carrozzeria aperta e consentiva di superare una pendenza massima del 60%. Nel 1957 venne introdotta una versione leggermente più potente (40 CV), mentre tra il ‘54 e il ‘56 apparvero anche alcune versioni con motore da 980 cc. (44 CV). Nonostante le prestazioni limitate e i consumi non proprio contenuti (17 lt./100 Km. in fuoristrada), la Munga riscosse un discreto successo nelle commesse militari e rimase in produzione fino al 1968 (oltre 50.000 gli esemplari consegnati alla Bundeswehr) registrando un certo numero di vendite (ca. 500 veicoli) anche nella versione civile. Negli stessi anni (1954), nella Corea del Sud, la Ssang-Yong avvia la produzio30 ne di una 4x4 (costruita su licenza Jeep) destinata alle forze armate. Da segnalare nello stesso periodo l’entrata in produzione della GAZ 69, un veicolo russo con motore anteriore longitudinale (2.430 cc., 65 CV), disponibile sia nella versione torpedo (4 porte, 5 posti) che nell’allestimento pick-up (con cassonetto posteriore e 8 posti); prodotta dal ‘52 alla fine degli anni Sessanta, la Gaz 69 era destinata soprattutto per equipaggiare le forze armate del Patto di Varsavia, ma riscosse un discreto successo anche nell’impiego civile. Nel ‘56, pur mantenendo lo stesso nome, assunse la denominazione ufficiale di Uaz 69 fino a quando, uscita di produzione, venne sostituita dalla Uaz 469 il cui prototipo iniziale risale al 1961. Sulla scena europea riappare intanto la svedese Volvo che, rispolverando il progetto della PV 801/802 che aveva esordito dieci anni prima, lancia sul mercato delle 4x4 militari la nuova TP 21. Questo modello, seppur derivato dalla precedente versione, presenta tuttavia numerose innovazioni tecnologiche che avrebbero dovuto eliminare i difetti della prima Volvo a trazione integrale. La nuova TP 21, oltre al passo accorciato e ad una maggiore altezza minima da terra (ulteriormente esaltata dall’adozione di ruote maggiorate), presenta anche una carrozzeria più contenuta nelle dimensioni, ma sempre a 4 posti, e un motore leggermente incrementato nella potenza (da 86 a 90 CV). Inedito anche il nuovo frontale che non contribuisce comunque ad alleggerire le linee molto dure e squadrate del veicolo (i connazionali continuano a chiamarlo “sugga”, che in svedese significa “scrofa”, per via del lungo muso). La Volvo TP 21 venne prodotta tra il 1953 e il 1958 in 720 esemplari nel suo allestimento base, oltre a numerose altre versioni introdotte negli anni successivi. Tra queste ricordiamo la Volvo P 2104 Special (a 7 posti, presentata nel 1954 e rimasta solo allo stadio di prototipo) e la Volvo 6x6 P 2204/TL 22, prodotta in 857 esemplari tra il 1954 e il 1958. Lo scarso successo nelle vendite, nonostante l’elevato standard qualitativo sempre all’altezza della Volvo e l’affidabilità nelle prestazioni, è riconducibile essenzialmente a motivi politici dovuti proVolvo TP 21 prio alla condizione di neutralità della Svezia. I contrapposti blocchi militari che si stavano formando in Europa infatti (da un lato la Nato e dall’altro il Patto di Varsavia), tendevano a dotare i pro31 pri eserciti con veicoli già ampiamente collaudati (soprattutto Jeep, Land Rover e Gaz), mentre per esigenze di trasporto più pesanti erano disponibili sul mercato dell’usato i robusti e mastodontici Dodge americani, “reduci” della Seconda Guerra Mondiale e molto accessibili nel prezzo. L’ultima versione fu la 4x4 L 2034, nota come “Valpen” (“cucciolo”), che decretò la definitiva uscita di scena della Volvo dal settore dei fuoristrada. A proposito dei veicoli americani è proprio la Dodge a lanciare nel 1957 un nuovo camioncino 4x4, equipaggiato con motore a 8 cilindri, affiancato ben presto da alcune versioni espressamente realizzate per l’uso civile (Town Wagon e Town Panel); nello stesso anno la Chevrolet lancia lo Chevy 3100, un altro pickup 4x4 destinato a riscuotere un grande successo sul mercato americano. Un altra tappa significativa del fuoristrada americano porta la firma della Ford che, nel 1959, lancia sul mercato due nuovi modelli di pick-up 4x4, l’F-100 e l’F250, entrambi destinati a svolgere negli anni successivi un ruolo fondamentale nella storia dell’off-road a stelle e strisce. Nella prima metà degli anni Cinquanta si afferma inoltre, per un breve periodo, anche la Austin Champ prodotta dalla British Motor Corporation; dopo la realizzazione dei primi prototipi, debuttano una versione civile (1952) e una militare (1953), ma dopo alcuni anni la produzione viene abbandonata nel 1956. Maggiore fortuna ebbe invece un’altra interessante 4x4 di origine americana, la M 422, anch’essa destinata alle forze armate impegnate sul fronte vietnamita. Nota come la “Jeep dei Marines” e affettuosamente ribattezzata “Mighty Mite” (piccola forzuta), la M 422 nasce dall’esigenza di equipaggiare il corpo dei Marines con un nuovo veicolo che fosse particolarmente adatto alle operazioni militari nella giungla. Il primi prototipi vennero realizzati nel 1953 dalla Mid America Research Corporation, equipaggiati con motore Porsche raffreddato ad aria a 4 cilindri (44 CV), con cambio a tre marce e trazione integrale permanente. Dopo una lunga serie di collaudi, nel 1959, inizia la produzione di serie da parte dell’American Motors e la M 422 viene equipaggiata con un motore progettato e costruito dalla Casa americana (un 4 cilindri a V interamente realizzato in alluminio e raffreddato ad aria), con trazione anteriore inseribile. La Mighty Mite, costruita in circa 4.000 esemplari, rimane in produzione fino al 1963. Chiudono la panoramica dei principali fuoristrada europei degli anni Cinquanta la Gipsy della Austin e l’Halflinger dell’austriaca Steyr. Caratterizzata da una linea compatta e abbastanza originale nel frontale, la Gipsy introduce nel 1958 la novità delle sospensioni a quattro ruote indipendenti abbinate per la prima volta a dei silent-block di gomma; equipaggiata con cambio a 4 velocità e trazione anteriore inseribile, era disponibile sia nella versione a benzina (2.199 cc., 62 CV) che a gasolio (2.178 cc., 55 CV). La Gipsy venne sostituita dalla Austin della II Serie nel 1960 (MK II, 72 CV), affiancata anche dalla versione a passo lungo. Dal 1958 al 1968 la Gipsy venne prodotta in oltre 17.000 unità e un numero limitato di esemplari venne importato anche in Italia. L’Halflinger della Steyr debutta nello stesso anno della Gipsy e, pur disco32 Austin Champ standosi dalla tradizionale tipologia dei fuoristrada più diffusi, riscuote un certo successo grazie alla carreggiata ad ampiezza limitata (largo 1.35 mt.) che la rendevano particolarmente adatta per un utilizzo lungo le mulattiere alpine. Equipaggiata con un motore bicilindrico raddreddato ad aria di 643 cc. (22 CV a 4.500 giri, 75 Kmh.), era dotata di trazione anteriore inseribile, bloccaggio dei differenziali e nell’utilizzo in fuoristrada superava pendenze massime del 65%. Tra le proposte originali apparse sul mercato dei veicoli a trazione integrale, ed in particolar modo delle piccole vetture derivate dalla produzione di serie, va segnalato il debutto nel 1958 della Citroen 2 CV a quattro ruote motrici. Strettamente derivata dalla 2 CV di serie, la versione 4x4 della storica utilitaria francese, battezzata “Sahara”, era caratterizzata dall’adozione di due motori raffreddati ad aria di 425 cc. (13.5 CV a 4.500 giri), sempre derivanti dal modello di serie, montati sull’avantreno anteriore e su quello posteriore; la velocità massima raggiungibile sfiorava i 100 Kmh., mentre la pendenza massima superabile si aggirava attorno al 45%. Negli anni Sessanta (mentre in Romania la Aro avvia la produzione di una 4x4, denominata M 461, analoga alla Gaz 69) anche la Ford torna in prima linea nel 33 settore delle auto a quattro ruote motrici, con la Mutt M 151, un fuoristrada equipaggaiato con un propulsore a quattro cilindri (2.319 cc.) in grado di sviluppare 71 CV a 4.000 giri al minuto. Esaurite le vicende nel corso del secondo conflitto mondiale, l’esercito americano si ritrova di nuovo al fronte (dopo circa cinque anni) nella guerra di Corea. La Jeep, fino ad allora leader indiscussa della mobilità militare a stelle e strisce, inizia a dimostrare i primi acciacchi per cui l’U.S. Army avverte l’esigenza di poter disporre di un nuovo veicolo nel settore dei mezzi per supporto tattico. Nel 1951 la Ford riceve la commessa per lo studio di una nuova vettura che, oltre ad esprimere migliori prestazioni, potesse anche candidarsi ad erede della Jeep. Il primo prototipo viene presentato nel 1952 ma, dopo lunghi quanto interminabili collaudi, la produzione di serie della M 151 viene avviata solo nel 1959. Il nome Mutt deriva dalla sigla Military Utility Tactical Truck (veicolo militare per impiego tattico) e il battesimo di fuoco avverrà poco dopo nel corso delle prime avvisaglie della guerra in Vietnam. Nel 1964, dopo 35.000 veicoli prodotti, debutta la versione M 151 A1 (ca. 100.000 esemplari) rafforzata nelle sospensioni posteriori e dotata di un kit per l’impiego nelle regioni polari. Equipaggiata con un motore a 4 cilindri di 2.319 cc. (71 CV a 4.000 giri), la M 151 era dotata di un cambio a tre marce abbinato ad un “primino” per l’utilizzo in fuoristrada, mentre l’inserimento della trazione anteriore poteva effettuarsi anche in marcia; le prestazioni su strada consentivano una velocità massima di 106 Kmh., con una pendenza massima superabile del 60%. L’ultima versione ulteriormente rimaneggiata (Mutt 151 A2) esordisce il 26 gennaio del 1970. Contemporaneamente alla produzione della M 151 realizzata dalla Ford, nel 1959 la American Motor Corporation lancia, come già ricordato, sul mercato la “Mighty Mite” conosciuta con la sigla M 422. Costata alla A.M.C. cinque lunghi anni di studio per lo sviluppo del prototipo, la Mighty Mite era destinata soprattutto alle truppe aviotrasportate e da sbarco; il motore a 4 cilindri raffreddato ad aria (1.775 cc., 55 CV a 3.600 giri) era dotato di cambio a 3 marce più il classico “primino”, mentre la velocità massima raggiungibile era di 96 Kmh. Nel 1961 la Renault lancia sul mercato la R4, una piccola vettura destinata a restare nella storia dell’automobile che verrà prodotta fino al 1993, conquistando un ruolo di rilievo (assieme alla Mini e alla 2CV della Citroen) nella nicchia delle auto “evergreen”. 34 Renault 4 TL La Renault 4 inoltre ebbe anche un discreto successo nell’ambito del fuoristrada grazie alla trasformazione della Sinpar, un’azienda francese specializzata nella trasformazione di veicoli di serie che elaborò diverse versioni a quattro ruote motrici. La prima Renault 4 Sinpar 4x4 esordì nel 1966 in versione pick-up, riscuotendo ottimi risultati nel Rally des Cimes nonostante le modeste prestazioni assicurate dal suo propulsore di soli 850 cc.; le principali modifiche realizzate dalla Sinpar riguardavano l’adozione di una scatola di rinvio collocata anteriormente al cambio originale, un dispositivo per l’innesto della trazione integrale sul cruscotto, un nuovo retrotreno e una serie di modifiche estese alle sospensioni, al serbatoio di carburante e alla ruota di scorta. Sempre nel 1961 un’azienda americana, la International Harvester, scuote il panorama mondiale della produzione di 4x4 con la presentazione della Scout, un fuoristrada che per la prima volta offre qualcosa (un minimo di comfort) che nessun veicolo off-road aveva finora preso in considerazione. L’arrivo sul mercato dell’International Scout rappresentò inoltre uno dei maggiori incentivi per lo sviluppo del Bronco da parte della Ford e, probabilmente, svolse un ruolo determinante anche nella gestazione del Blazer e della Range Rover. Successivamente la Scout riscosse un notevole successo per molti anni grazie anche all’introduzione di nuove versioni (come la Scout 80 del ‘64) fino a quando, nel 1980, uscì definitivamente di produzione in seguito ad una serie di vicissitudini aziendali. Sempre nel 1961 la Ferguson (un’azienda inglese di Coventry specializzata nella produzione di organi di trasmissione) realizza un prototipo a quattro ruo35 te motrici (una station-wagon carrozzata da Michelotti) decisamente originale e all’avanguardia per l’epoca. Equipaggiata con un motore boxer a quattro cilindri (2.200 cc., 100 CV) la Ferguson SW 4WD disponeva di trazione integrale permanente, cambio automatico e dispositivo di bloccaggio di frenata. Questo veicolo non entrò in produzione, ma diversi elementi della sua innovativa tecnologia vennero adottati qualche anno più tardi (1966) sulla Jensen Interceptor FF (equipaggiata con motore Chrysler) che rimase in produzione fino al 1971. Verso la fine del 1961 approda in America la Nissan Patrol che, grazie alle sue qualità di robustezza e affidabilità, ebbe un buon impatto nel mercato americano riscuotendo un discreto successo nelle vendite. Con la presentazione del Ford Bronco, il cui debutto risale alla fine del 1965, il settore dei veicoli ricreazionali leggeri a quattro ruote motrici subisce una radicale trasformazione d’immagine che, inevitabilmente, si tradusse anche in una più massiva penetrazione di mercato. Il Bronco non era esattamente un camioncino simile a quelli fino ad allora apparsi sul mercato, né rientrava nella tradizionale tipologia delle station-wagon. La sua peculiarità essenziale era quella di sintetizzare al meglio le caratteristiche di entrambe le categorie, estendendone inoltre la versatilità d’utilizzo grazie all’adozione delle quattro ruote motrici. Quando appare la versione successiva equipaggiata con un motore V8, agli inizi del 1966, il Bronco è il primo fuoristrada americano a montare un simile propulsore su una 4x4 compatta; una nuova versione a 6 cilindri viene introdotta nel 1966 e nel 1977 questo modello esce di produzione. Nel 1967 la Jeep lancia sul mercato la famosa Commando, un fuoristrada completamente diverso nell’impostazione rispetto ai tradizionali modelli della Casa americana. Lunga 4.43 metri, la Commando monta un motore V6 di 3.802 cc. (100 CV a 3.600 giri) e viene allestita con carrozzeria station-wagon a 2 porte con tetto rigido asportabile. L’anno dopo debuttano sul mercato italiano la Ranger, una piccola vettura a quattro ruote motrici su meccanica Fiat 600 (presentata già nel ‘66 al Salone di Torino nella versione a due ruote motrici), e la Yeti; quest’ultima, allestita su meccanica Fiat 850, rimase però confinata alla fase di prototipo nonostante le sue interessanti caratteristiche tecniche (quattro ruote motrici e sterzanti). Sul finire degli anni Sessanta esordisce in Giappone un altro fuoristrada destinato a fare epoca quando la Suzuki avvia il progetto per una 4x4 leggera riservato al mercato interno delle vetture di piccola cilindrata. Era il 1968 e la Suzuki, dopo una serie di prototipi destinati a mettere a punto le caratteristiche del nuovo veicolo, avvia la produzione di una limitata preserie della Jimny. Questo veicolo, estremamente leggero (600 Kg.) e compatto nelle dimensioni (il passo misurava appena 1.93 mt.) e dotato di una straordinaria maneggevolezza, era inoltre estremamente semplice dal punto di vista meccanico. Il motore a due tempi, raffreddato ad aria, era un bicilindrico di 360 cc. in gra36 37 do di sviluppare 25 Suzuki Jimny CV consentendo al veicolo una velocità massima di circa 80 Kmh. Anche la carrozzeria, seppur ispirata nelle linee essenziali a quella della Jeep, era molto semplice e spartana con le portiere in tela e il vetro anteriore ribaltabile anterior-mente sul cofano motore. Per limitare al massimo gli ingombri esterni vi erano inoltre solo tre posti poiché, a lato del sedile posteriore, era stata inserita la ruota di scorta. La Suzuki Jimny entrerà regolarmente in produzione in tutto il Giappone a partire dal 1970 (con la siglia LJ 10), divenendo in pochi anni uno dei più diffusi 4x4 nel settore dei fuoristrada leggeri. Quattro anni dopo viene lanciata sul mercato australiano la nuova versone (LJ 50) con un motore maggiorato (540 cc.) a 3 cilindri. Nel 1977 debutta sul mercato nazionale la LJ 80 (800 cc., 4 cilindri) che, l’anno successivo, rappresenta la prima Suzuki 4x4 esportata in Europa. Nel 1969, prima dell’avvento sul mercato della Range Rover, la General Motors lancia il glorioso Blazer realizzato (come già ricordato) sulla scia delle innovazioni stilistiche e d’utilizzo introdotte dall’International Scout e dal Ford Bronco, spingendosi ancora oltre in quanto a design e tecnologia. Decisamente più grande nelle dimensioni sia della Scout che del Bronco, il Blazer nasce come un camion fuoristrada di mezza tonnellata ed ha il suo asso nella manica nella soluzione fornita del tettuccio amovibile che, una volta montato sul veicolo, lo trasformava in una comfortevole station-wagon. Dalla Range al tramonto della Campagnola CAPITOLO 3 1970-1979 Tra i variegati movimenti d’opinione e i bizzarri fenomeni di costume che hanno contrassegnato i “favolosi” anni Sessanta, sembra che una delle questioni più travagliate sia stata quella scaturita da uno strano malessere di alcuni nobili possidenti inglesi. Un’inquietudine appalesatasi soprattutto nel corso dei week-end alla dimora rurale immersa nelle highland (o durante le trasferte motorizzate che precedevano la cerimonia della caccia alla volpe) quando gli aristocratici più avventurosi erano costretti a subire, loro malgrado, lo scarso comfort offerto dagli spartani fuoristrada dell’epoca rappresentati in massima parte dalle Land 88 e 109. Per ovviare a questi fastidiosi elementi di turbativa i progettisti della Rover furono costretti a rimboccarsi le maniche, avviando la progettazione di un nuovo veicolo che in breve tempo avrebbe rivoluzionato l’utilizzo delle 4x4, oltre ad iniziare quella che (senza alcun ombra di dubbio) può essere considerata come l’era moderna del fuoristrada. Siamo nel 1970 e l’azienda di Solihull, ancora una volta, con la presentazione della Range Rover, riesce ad imprimere un’altra pietra miliare nella storia del fuoristrada. In realtà l’idea di realizzare un veicolo che, oltre ad esprimersi al meglio in qualsiasi situazione off-road, fosse in grado di disimpegnarsi con altrettanta disinvoltura anche su strada e nelle lunghe marce di trasferimento su asfalto, è assai più remota e si era insinuata tra i progettisti della Land Rover (indipendentemente dalle aspettative dei baronetti) fin dai primi anni di attività dell’Azienda. Era infatti il lontano 1950, appena due anni dopo il debutto al Salone di Amsterdam, quando venne avviato il progetto di un nuovo veicolo denominato Road Rover caratterizzato da dimensioni maggiori rispetto alla classica Land; questo veicolo, rimasto allo stadio di prototipo, era caratterizzato da una carrozzeria tipo station-wagon, con rifiniture molto curate e assai simili a quelle di un’autovettura. Neanche il prototipo successivo, realizzato nel ‘57 e battezzato Road Rover Serie II, ebbe uno sviluppo nella produzione di serie e venne ben presto abbandonato. Ancora una volta i progettisti della Rover si resero conto che per sfornare un nuovo modello, in grado di affermarsi su tutti i mercati mondiali, doveva attingere ispirazione dalla produzione americana. Analogamente a quanto era già avvenuto per la nascita della Land Rover (uno dei primi prototipi era realizzato 39 su telaio della Jeep Willis), anche per la Range Rover si rivelò determinante l’influenza della produzione fuoristradistica americana degli anni Sessanta. A tale proposito nel 1965 viene organizzata una “spedizione esplorativa” negli Stati Uniti alla quale partecipano alcune eminenze grigie dell’azienda di Solihull, con l’intento di individuare un modello che potesse fornire la giusta ispirazione per la nascita di quella che sarebbe diventata la futura Range Rover. Vennero studiate in quell’occasione alcune tra le più note staion-wagon americane e le ultime novità nel settore dei fuoristrada (erano appena uscite la Jeep Wagoneer e la Ford Bronco), sebbene alla Rover fossero indirizzati più verso una grossa giardinetta a due ruote motrici ed erano piuttosto freddini nei confronti di una 4x4. La scelta definitiva verso questa seconda soluzione scaturì dall’adozione del propulsore 3.5 V8 della General Motors, di cui la Rover aveva acquistato i diritti di costruzione su licenza. Un motore così potente richiedeva un asse di trasmissione molto robusto che, solo se abbinato a una trazione integrale permanente, avrebbe espresso al meglio le sue potenzialità senza penalizzare le prestazioni del veicolo. Tornati in patria, i responsabili della Rover si misero subito al lavoro e nel ‘67 era già pronto il primo modello statico, che continuava ancora a chiamarsi Road Rover. L’anno successivo erano pronti i primi due prototopi marcianti che, per depistare la concorrenza (e soprattutto i giornalisti), vennero battezzati con il nome Velar. Nel settembre del ‘69 altri due prototipi vengono spediti con il massimo riserbo in Algeria, per essere sottoposti ad una serie di massacranti test sulle piste sahariane in condizioni ambientali esasperate e nell’estate successiva arriva finalmente il momento del grande debutto. Il 17 giugno del 1970 il veicolo siglato come progetto Land Rover 100 inch Station Wagon viene presentato alla stampa internazionale, con il nome definitivo di Range Rover, nella campagna della Cornovaglia occidentale. Dal punto di vista meccanico, oltre al potente propulsore a benzina (3.500 cc., 8V) va segnalata l’innovativa introduzione della trazione integrale permanente e l’adozione del terzo differenziale centrale; per la prima volta nella produzione Land Rover, le tradizionali balestre vengono sostituite con le sospensioni a molle elicoidali, mentre la mole del veicolo (seppur contenuta rispetto a quella delle principali concorrenti americane) e la potenza del motore (che consentiva alla Range di raggiungere i 180 Kmh.) richiesero l’adozione dei freni a disco, montati inizialmente solo sull’asse anteriore e in seguito su tutte e quattro le ruote. Ma sono soprattutto l’impostazione generale e il grado di rifiniture, curatissime fin nei minimi particolari, a creare la differenza. Seppur ispirata alle voluminose 4x4 a stelle e strisce, la Range segna una svolta radicale nell’immagine del fuoristrada, fino ad allora abbinata inevitabilmente ad un grado di rifiniture e ad un tipo di utilizzo che penalizzavano sensibilmente il comfort. Per il lancio mondiale della Range Rover venne organizzata una mega-spedizione nell’istmo mesoamericano, nella giungla di Panama, con l’ambizioso pro40 Assalto alla giungla T ra le numerose spedizioni che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia del fuoristrada, una delle più incredibili ed entusiasmanti è rappresentata senz’altro dalla “British Trans-Americas Expedition”, organizzata nel 1971-72 dalla Rover per il lancio mondiale della Range. Due Range Rover, supportate da una serie di veicoli di appoggio e da un team altamente addestrato dell’Esercito inglese, sono partite nell’inverno del 71 da Ancorage, in Alaska, per affrontare l’intero percorso della Panamericana (circa 23.000 Km.) fino ad Ushauia, situata alle estreme propaggini meridionali della Terra del Fuoco. L’ostacolo maggiore della spedizione era rappresentato da quel tratto di giungla panamense noto come “El Tapòn (il tappo) del Darien”, esteso su una lunghezza di circa 400 chilometri e al cui interno non esisteva alcuna pista offroad transitabile. L’intera traversata è stata portata a termine tra mille difficoltà in 96 giorni, dal 17 gennaio al 23 aprile del ‘71, conquistando un primato ancora oggi attuale poiché da allora nessuna spedizione è mai riuscita a ripetere l’impresa. Per superare l’intricata giungla 41 del Darien, i componenti della “British Trans-Americas Expedition” (alla quale era aggregata anche un’équipe di scienziati per studiare la fauna, la flora e alcune popolazioni indios locali) hanno dovuto aprire la pista a colpi di macete e dinamite tra la vegetazione, superare tratti con ponti di fortuna, trasportare i veicoli su gommoni e difendersi da insetti e serpenti velenosi. getto di attraversare la Serrania del Darien, un intricato labirinto di vegetazione impenetrabile che interrompeva il tragitto della Panamericana impedendo l’accesso via terra in Colombia. Due Range Rover, appositamente allestite e affidate ad una squadra speciale guidata da un ufficiale dell’Esercito inglese, riuscirono ad attraversare per la prima volta l’intero tratto di giungla in 3 mesi grazie alla perfetta organizzazione tecnica e al grande spiegamento di mezzi (numerosi i portatori impegnati ad aprire la pista a colpi di macete e motosega). Con l’arrivo sul mercato della Range Rover (la cui linea, a parte l’introduzione del modello a quattro porte realizzato nel 1981, rimarrà immutata per quasi venticinque anni) anche gli appassionati dell’off-road, oltre ai baronetti inglesi, scoprono che si possono affrontare sterrati e mulattiere viaggiando comodamente seduti come su una berlina di lusso, all’interno di un abitacolo perfettamente isolato acusticamente con un elevato grado di comfort che aveva ben poco da invidiare ai fuoristrada di provenienza americana. Ed è proprio dagli States che, nella metà degli anni Settanta, avrà inizio l’avventura di un nuovo veicolo, la Jeep Cherokee, ancora oggi continuamente rinnovato e apprezzato in tutto il mondo. La storia della Cherokee ha inizio nel 1974, con la presentazione di un modello a tre porte di grosse dimensioni (lungo 4.6 metri e largo 1.9), analogo alla col- Range Rover 42 Un camion intorno al mondo N el settore dei fuoristrada pesanti, una delle maggiori spedizioni effettuata in 4x4 rimane ancora oggi il giro del mondo in camion, realizzato dal giornalista Daniele Pellegrini tra il 17 agosto del 1976 e 10 aprile del 1979. Nel corso del lunghissimo viaggio attraverso tutti e traverso 48 paesi superando ogni genere di difficoltà. Dalle sterminate piste asiatiche che si addentrano nella favolosa catena afgana (allora percorribili senza problemi) ai deserti centrali dell’Outback australiano; dagli spazi desolati delle dune del Kalahari alle sabbie cellula abitativa che, seppur grossolana nelle dotazioni e nelle rifiniture, consentiva l’alloggiamento dei tre uomini dell’equipaggio (Pellegrini era accompagnato dal padre Lino, anch’egli giornalista, e dal pilota di rally Cesare Gerolimetto). Equipaggiato di un robusto verricello monta- cinque i continenti, il camion Pigafetta (così battezzato in onore dello storiografo vicentino che nel XVI secolo accompagnò Magellano nella prima circumnavigazione del globo) ha percorso circa 184.000 chilometri at- roventi del Sahara; dalle intricate fangaie della giungla amazzonica alle vertiginose altezze della catena andina. Dal punto di vista meccanico, il Pigafetta era allestito su un camion Fiat 75 PC 4x4 sul quale era montata una to sul paraurti anteriore, il camion Pigafetta era dotato di un grosso serbatoio di carburante (800 lt.) e di taniche di scorta sul tetto che assicuravano un’autonomia complessiva di circa 2.000 chilometri. laudata Wagoneer apparsa per la prima volta nel 1962 e ampiamente rivisitata nella linea e nelle motorizzazioni nel 1972 (V6 di 4.983 cc. con 195 CV, V8 di 4.983 cc. con 145 CV e V8 di 5.900 cc. con 185 CV). Anche i motori della Cherokee non scherzano in quanto a potenza: il propulsore fornito nella versione base è un 6 cilindri in linea di 4.235 cc. in grado di sviluppare 112 CV a 3.500 giri, ma a richiesta sono disponibili anche tre motorizzazioni a 8 cilindri assai più potenti (4.900 cc. da 177 CV, 5.900 cc. da 198 CV e 6.600 cc. da 238 C). La trazione è posteriore (anteriore inseribile) e il cambio a scelta tra manuale (a 3 o a 4 rapporti) e automatico (a tre rapporti). Tre anni dopo, nel 1977, viene introdotta la nuova versione a 5 porte (come nella gamma Wagoneer) e due anni dopo, con la presentazione della Jeep Cherokee Chief, si ha la prima metamorfosi di look. Il nuovo modello ha subito un profondo e accurato restyling, si presenta meglio rifinito nei particolari ed equipaggiato con un motore ad 8 cilindri di 5.900 cc. che sviluppa 121 CV a 3.450 giri; i fantasmi scaturiti dalla crisi energetica causata dall’embargo arabo dell’autunno del ‘73 non sono tuttavia ancora del tutto dissolti per cui, per l’utenza più attenta ai consumi di carburante, viene proposta anche una versione con un propulsore meno assetato (4.200 cc. a 6 cilindri) e con una potenza più contenuta (solo 98 CV ad appena 3.200 giri al minuto). Con l’avvento degli anni Settanta inoltre, la Jeep assume anche un nuovo assetto societario in quanto la vecchia Kaiser Jeep Corporation (titolare del marchio fin dalla nascita, nel 1940) viene acquisita il 5 febbraio del 1970 dalla A.M.C. (American Motors Corporation) per 70 milioni di dollari. Nel 1974 viene presentato il prototipo di un nuovo fuoristrada, battezzato VCL (Véhicule de Commandement et Liaison=veicoli da comando e collegamento), che nelle intenzioni dei costruttori (un consorzio formato da Fiat, Man e Saviem) doveva essere destinato alle forze armate di Italia, Germania e Francia. Estremamente compatto nelle dimensioni (4.05 mt. di lunghezza per 7 posti), il VCL era una fuo- Daihatsu Rocky 44 ristrada anfibio equipaggiato con un motore a quattro cilindri di 1.995 cc. (75 CV a 4.600 giri al minuto), molto maneggevole ed estremamente versatile nell’utilizzo in fuoristrada. Contrariamente alle ambizioni dei paesi della Nato promotori dell’iniziativa (il piano iniziale prevedeva la realizzazione di 50.000 esemplari, dei quali 30.000 alla Germania Federale e 10.000 ciascuno all’Italia e alla Francia), il progetto relativo al VCL venne abbandonato verso la fine del 1975 a causa dei costi elevati e del disinteresse (soprattutto italiano) dei vertici militari. Sia la Germania che l’Italia raccolsero tuttavia parte dell’eredità tecnologica acquisita con questo prototipo che, direttamente o indirettamente, offrirà svariati punti per la successiva realizzazione della Volkswagen Iltis (versione aggiornata della classica Munga) e della nuova Fiat Campagnola che adotterà (proprio come la VCL) le sospensioni a barra di torsione. Il 1974 vede anche il debutto della nuova Fiat Campagnola, destinata a sostiture i vecchi modelli degli anni Cinquanta, usciti di produzione l’anno precedente. L’esordio ufficioso, quasi in sordina, è affidato alla passerella primaverile del Salone di Belgrado, mentre la presentazione ufficiale avviene verso la metà di giugno in Italia. Equipaggiata con un motore derivato dalla 132 (un quattro cilindri di 1.995 cc. che sviluppa 80 CV), la nuova Campagnola presenta un’ampia dotazione accessoristica e, a partire dal ‘76, sarà disponibile anche nella versione “Lunga” e “Hard Top”, con la carrozzeria integralmente metallica. Nella primavera del 1974 viene presentata la Daihatsu Taft F10, un piccolo fuoristrada equipaggiato con un motore a benzina di 1.000 cc. (58 CV) caratterizzato da dimensioni molto contenute (lungo 3.32 mt.) abbinate a straordinarie doti di robu- Uaz Marathon 45 Lada Niva stezza. Questo modello, che nell’arco di circa dieci anni verrà proposto in numerose versioni, riscuote molto successo anche sul mercato italiano. Tra i vari allestimenti vanno segnalati la Taft F20 (1976) con motore 1.600 (66 CV), la Taft “Gran”che debutta al Salone di Ginevra del ‘78 sottoposta ad un primo restyling. Con la Taft F55 viene fornita anche la motorizzazione diesel da 2.5 lt., con dimensioni adeguate alla nuova motorizzazione (la lunghezza sale a 4.27 mt.). Due anni più tardi, sempre al Salone di Ginevra, debutta la Taft F20 L che, pur essendo firmata nel design da uno stilista italiano (Michelotti), non arriverà sul nostro mercato. Nel 1982 la Daihatsu presenta due nuove versioni, una all’inizio dell’anno (la F20 LK3) e una nel mese di novembre, la Taft 2.8 diesel (77 CV); quest’ultimo modello rappresenta l’ultima motorizzazione adottata sulla Taft che uscirà di produzione nel 1983. Al Salone di Tokyo dello stesso anno la Daihatsu presenta il prototipo Rugger che verrà lanciato l’anno successivo in tutto il mondo (Italia compresa) con il nome di Rocky. Sempre negli anni Settanta un’altra casa giapponese, la Suzuki, sviluppa un nuovo veicolo fuoristrada denominato Jimni 410 Q, disponibile sia con motore a 3 cilindri di 540 cc. con 28 CV, che con un 4 cilindri di 970 cc. in grado di erogare 45 CV, di dimensioni particolarmente contenute, ideato soprattutto per i paesi del Terzo Mondo. Questo veicolo (al quale abbiamo già accennato), antesignano della successi46 va serie SJ (oltre un milione gli esemplari venduti in tutto il mondo), e anche dell’attuale Vitara, ebbe invece un grosso successo nei paesi occidentali, ed in particolar modo in quelli europei, proprio grazie ai suoi ridotti ingombri che lo rendevano particolarmente adatto ad un utilizzo off-road su piste e mulattiere particolarmente impervie e con spazi limitati. Negli stessi anni, grazie soprattutto al prezzo contenuto e all’economia d’utilizzo, si affermano su mercati comunitari anche alcuni veicoli provenienti dall’Europa orientale i cui portabandiera sono rappresentati dalla spartana Uaz (1973) e dalla piccola Lada Niva che, ancora oggi, difendono discretamente le loro quote di mercato. La Lada Niva, prodotta negli stabilimenti di Togliattigrad, esordisce nel 1976 e arriva in Italia nel 1981 nella versione a benzina (con un motore di 1.568 cc. di derivazione Fiat) e nel 1984 nella versione a gasolio (con un motore Peugeot di 1.905 cc.). La metà degli anni Settanta registra il ritorno alla grande della Volkswagen nel settore del fuoristrada che, dopo i fasti del passato (Kubelwagen e Schwimmwagen), inaugura il nuovo corso dei veicoli a trazione integrale con l’Iltis. Sull’onda dei grossi successi commerciali conseguiti con alcune vetture di nuova produzione come la Golf e la Passat (di cui la Iltis adotta il motore), espressione e sintesi di alcune significative esperienze maturate da gloriosi marchi quali NSU, Audi e DKW (acquisiti dalla Volkswagen nel corso degli anni Sessanta), l’Azienda di Wolfsburg si propone proprio con la Iltis di confermare anche nel settore dell’off-road il trend positivo registrato con le vetture stradali. Progettata soprattutto per un utilizzo militare, la Volkswagen Iltis è equipaggiata con un motore di 1.714 cc. (75 CV a 5.500 giri a minuto), trazione posteriore (anteriore inseribile) e cambio a 5 marce. Nonostante l’eccezionale robustezza del telaio e della meccanica e le sorprendenti prestazioni sia su strada che in fuoristrada (la pendenza massima superabile del 77%), la Iltis aveva dei costi di realizzazione proibitivi che si ripercuotevano negativamente sul prezzo di listino tagliandola fuori dal mercato per l’utenza civile. Complessivamente vennero prodotti circa 10.000 esemplari, la maggior parte dei quali (8.800) assorbiti dall’Esercito tedesco, e solo un migliaio furuno venduti ai privati. Sulla scia di questi risultati qualche anno dopo la Volkswagen cedette licenza e diritti di costruzione ad un’azienda canadese (Bombardier) specializzata nella produzione di veicoli militari. Nel frattempo una grande azienda europea, la Daimler-Benz, stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di tornare in grande stile nel mondo dei fuoristrada dopo l’esordio degli anni Venti con la G1. Tutto nacque dal naufragio di un ambizioso progetto, denominato “Programma Jeep-Europe”, che si proponeva di dotare tutte le forze armate del Vecchio Continente (ed in particolar modo le truppe della Nato) con una 4x4 che, oltre ad essere particolarmente versatile in qualsiasi condizione d’utilizzo, anfibio ed aviotrasportabile, fosse anche sviluppato da un progetto comune affidato a tutti i paesi della Nato. Il fallimento dell’iniziativa indusse la casa di Stoccarda a prendere la decisione di avventurarsi nella realizzazione di un nuovo fuoristrada e il primo passo, in 47 Papamobile Mercedes G linea con il pragmatismo dei tecnici Mercedes, fu quello di passare al setaccio l’intera produzione allora disponibile valutando al tempo stesso le esigenze e le richieste della clientela sia civile che militare. Venne individuato nella Land Rover 88 il veicolo più adatto a superare la maggior parte delle situazioni di guida offroad e, mediante un’attenta analisi, vennero sottolineati quei parametri che, a detta della Mercedes, potevano essere ulteriormente perfezionati. Il nuovo veicolo, riprendendo la denominazione dell’antenata degli anni Quaranta, venne battezzato semplicemente Gelandewagen (in tedesco significa “vettura fuoristrada”) e in base alle più severe specifiche militari richieste dalle forze armate europee doveva soddisfare alcune esigenze molto particolari; tra 48 queste era prevista una garanzia di almeno 25 anni contro la corrosione (sia per la carrozzeria che per il telaio), mentre per una valutazione attendibile della resistenza meccanica il veicolo avrebbe dovuto superare un test di 15.000 Km. percorsi a pieno carico in condizioni di guida off-road particolarmente impegnative. Nel bienno 1975-76 vennero allestiti i primi prototipi della Mercedes 230 G, equipaggiati con un motore a benzina a quatro cilindri (2.307 cc., 102 CV) ed iniziarono i severi collaudi indispensabili per superare le rigide normative di accettazione militare. Per quanto riguarda invece la strategia commerciale, la Mercedes preferì avviare la produzione della serie Gelandewagen in un nuovo stabilimento, appositamente costruito a Graz in Austria; questa struttura, nelle intenzioni della Casa di Stoccarda, doveva essere in grado di assicurare una produzione che, seppur quantitativamente contenuta, fosse in grado di garantire un elevato standard qualitativo (parametro che ancora oggi, grazie anche alle numerose operazioni di assemblaggio effettuate quasi tutte a mano, costituisce uno dei punti di forza dell’intera gamma Mercedes). Tra il 1977 e il 1978 lo stabilimento Steyr-Daimler-Puch di Graz venne ulteriormente ampliato e l’anno successivo la Mercedes G era pronta per il debutto. Alla 230 si affiancò ben presto un’altra versione a benzina con alimentazione a iniezione, la 280 GE (2.746 cc., 156 CV), e due a gasolio; queste ultime, denominate 240 e 300 GD, erano inoltre disponibili sia a 4 (2.399 cc., 72 CV) che a 6 cilindri (2.998 cc., 88 CV). Il sistema di trazione integrale (inseribile sull’asse anteriore) prevedeva un riduttore a due rapporti sincronizzati, con cambio a 4 velocità abbinato alla possibilità di bloccare entrambi i differenziali. Agli inizi del 1979 torna alla ribalta la Renault 4L Sinpar 4x4 che, sfidando tutti i pronostici, conquista il secondo posto assoluto alla Parigi-Dakar con una vettura affidata ai fratelli Marreau, ottenendo un risultato all’epoca clamoroso. Oltre alle tradizionali modifiche adottate dalla Sinpar sulla trasformazione 4x4 della Renault 4, questo modello era equipaggiato con un motore della Renault 5 TS (1.300 cc.) in grado di sviluppare un’elevata coppia; la definitiva consacrazione della Renault nella mitica maratona africana avverrà tre anni dopo (1982) quando i fratelli Marreau conquistano la vittoria assoluta alla Pargi-Dakar a bordo di una R 20 Turbo 4x4 che sbaraglia tutta la concorrenza, comprese le vetture allora più quotate e preparate come la Mercedes G e la Range Rover. Nell’ottobre del 1979 ha inizio l’avventura della Subaru nel settore dei veicoli a trazione integrale, con la presentazione della Leone 4WD, una 4x4 equipaggiata con motore a quattro cilindri (1.800 cc., 75 CV, 160 Kmh.) disponbile nelle versioni berlina, coupè, pick-up e station-wagon; quest’ultima dispone anche di riduttore e consente di superare in prima ridotta pendenze massime prossime al 68%. Da allora la Subaru ha invaso i mercati di tutto il mondo con la sua produzione di vetture a quattro ruote motrici fino ad arrivare, ai nostri giorni, con una gamma di 5 modelli (Justy, Impreza, Legacy, Outback e Forester) disponibile in un ampio assortimento di versioni. 49 Nel novembre del 1979 la Fiat lancia sul mercato quella che sarà l’ultima versione del suo fuoristrada, con la presentazione della Nuova Campagnola, equipaggiata con motori diesel Sofim di 2.000 (60 CV) e 2.500 cc. (72 CV). Entrambi i modelli sono disponibili nelle versioni hard-top (lunga e corta) e torpedo (lunga e corta) e possono superare pendenze di oltre il 100%, mentre la velocità massima non supera i 120 Km. Seppur presente sul mercato in una serie di allestimenti particolari, realizzati dalle firme più prestigiose del design, e spesso alla ribalta in manifestazioni agonistiche di risonanza internazionale, o impegnata in alcuni raid africani, la Campagnola non riesce tuttavia a conquistare il grosso pubblico degli appassionati di off-road, soprattutto per la continua e variegata offerta di proposte che arrivano a getto continuo sul mercato dalle case europee e, in particolar modo, da quelle giapponesi che intuirono con straordinario tempismo le mutate esigenze dell’utenza off-road, sempre più attenta (oltre che alle prestazioni) alla linea e al comfort. Neanche nella successiva fase degli anni del boom l’Azienda torinese seppe fiutare (analogamente a quanto avvenne nell’84 per il settore delle monovolume, all’epoca del debutto dell’Espace della Renault) l’enorme potenziale del mercato dei fuoristrada e la Campagnola, quasi abbandonata a se stessa, si ritrovò a misurarsi con modelli tecnologicamente sempre più avanzati e raffinati nell’estetica. Iniziò quindi una lenta eutanasia di uno dei modelli più importanti e prestigiosi della produzione italiana degli ultimi decenni fino a quando entrambi i modelli della Nuova Campagnola Diesel usciranno definitivamente di produzione nel 1987. Nino Cirani: una vita per l’off-road A gli inizi degli anni Sessanta, quando gli unici fuoristrada circolanti dalle nostre parti erano (tranne rare eccezioni) le Campagnola in dotazione alle forze armate, c’era già qualcuno in Italia che affrontava le piste e i deserti di tutto il mondo a bordo di una Land Rover. Il suo nome era Nino Cirani (1926-1998) e la prima avventura che lo vede protagonista nel 1962 è la traversata da Milano a Ceylon (138 giorni, 31.000 Km.) su una Land Rover 88, battezzata “Aziza 1” (dall’arabo aziza=carina). Alcuni anni dopo, nel 1965, è la volta dell’Africa, che viene traversata da Città del Capo fino al Cairo (otto mesi e mezzo, 53.000 Km.) a bordo di una Land Rover 109 (Aziza 2). Tra l’estate del ‘68 e la primavera del ‘69 Cirani porta a termine quella destinata a diventare la sua maggiore impresa: la traversata dell’intero continente americano, da nord a sud, a bordo di una nuova Land Rover 109 (la mitica Aziza 3), che si trasforma in un vero e proprio viaggio da record: in circa 11 mesi vengono percorsi 102.000 chilometri dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco, attraverso 18 paesi e 64 controlli doganali. Negli anni suc- cessivi Nino Cirani continua instancabile la sua attività di raidman a trazione integrale intorno al mondo, effettuando cinque ricognizioni nel Sahara (1972-73-74-7679), una nuova traversata in Asia (1975) e in Africa (1977) e il periplo dell’Australia (1978), della Nuova Zelanda (1978) e dell’Islanda (1980). CAPITOLO 4 Made in Italy: dalla Lamborghini alla Magnum 1980-1984 Lamborghini LM 002 Sul finire degli anni Settanta un’altra azienda italiana, apprezzata più per la produzione di bolidi granturismo da 300 all’ora che non per la sua vocazione fuoristradistica, decide di tentare la sfida nel mondo dell’off-road avviando un progetto che, seppur destinato ad esaurirsi nell’arco di pochi anni, lasciò un’impronta indelebile nel settore dei veicoli a trazione integrale. Stiamo parlando della Lamborghini che, nel 1977, realizzò il prototipo di un fuoristrada il cui utilizzo (oltre che in ambito militare) avrebbe dovuto soddisfare le esigenze dei ricchi sceicchi sauditi. Il veicolo, battezzato Cheetah, venne presentato al Salone di Ginevra ed era equipaggiato inizialmente con un motore posteriore V8 Chrysler le cui caratteristiche, sia in affidabilità che in robustezza, sembravano garantire un ampio margine di funzionalità anche nelle più esasperate condizioni operative nelle quali si muovevano gli eserciti che gravitavano nel golfo Persico. 51 Questo motore venne però presto abbandonato e la Lamborghini produsse un secondo prototipo equipaggiato con un propulsore AMC, anch’esso destinato ad essere sostituito. A causa di una serie di svariati problemi infatti, tra cui numerose beghe legali, derivanti soprattutto da alcune “somiglianze” troppo marcate tra la Cheetah e un veicolo militare americano, i primi prototipi non ebbero alcun seguito. La Lamborghini si orientò quindi nello sviluppo di un veicolo interamente “fatto in casa”, per cui nell’82 debuttò un nuovo prototipo 4x4 (LMA) che montava per la prima volta sotto il cofano un poderoso V 12. La versione definitiva della Lamborghini LM 002 debutta nel 1985 suscitando un enorme scalpore anche al di là dei confini nazionali. I suoi numeri infatti erano tutti da record: dal frazionamento del motore (12 cilindri) alla cilindrata (5.167 cc.), dalla mostruosa potenza erogata (455 CV) al prezzo astronomico (240 milioni) al quale viene posta in vendita. La prima versione, commercializzata nel 1986, era equipaggiata con motore aspirato (l’iniezione elettronica era disponibile solo per il mercato americano), ma a partire dal 1989 viene introdotta anche sul mercato italiano la versione con iniezione elettronica che (mantenendo lo stesso 12 cilindri della Countach) ha consentito un lieve incremento di potenza (salita da 450 a 455 CV). Equipaggiato di trazione posteriore (e anteriore inseribile manualmente), la Lamborghini LM-002 disponeva inoltre di cambio a 5 rapporti e riduttore, abbinati ai tre differenziali tutti autobloccanti (al 25% quello anteriore, al 75% il centrale e il posteriore); in condizioni particolarmente esasperate quello centrale poteva anche essere bloccato meccanicamente. Eccezionale nelle prestazioni su strada, la LM-002 esprime a una buona motricità (ingombri permettendo) anche nell’utilizzo off-road, grazie ai valori degli angoli di attacco (50°) e di uscita (45°) e a quelli relativi alla pendenza massima superabile (120°) e all’inclinazione laterale (45°). Ma la LM-002 a causa di una serie di problemi alla carrozzeria e, probabilmente, penalizzato dal prezzo, non riscosse quel successo auspicato dai tecnici della Lamborghini e uscì definitivamente di produzione nel 1991. Con l’arrivo degli anni Ottanta le vendite di fuoristrada subiscono un sensibile incremento sui pricipali mercati mondiali e anche in Italia le immatricolazioni (nell’85 supereranno la soglia dei 45.000 veicoli) raggiungono cifre da primato, grazie all’esplosione di quella che può essere considerata una vera e propria moda che, non di rado, ha sconfinato persino nell’ambito del fenomeno di costume. Anche l’enorme vitalità dimostrata dalle maggiori aziende costruttrici ha contribuito non poco a tale affermazione, grazie ad un continuo e assortito afflusso di nuovi modelli provenienti soprattutto da ogni angolo d’Europa. Nel nostro continente infatti l’offerta è particolarmente ricca proprio agli inizi degli anni Ottanta quando, a fianco dei modelli più famosi, appaiono diversi fuoristrada le cui alterne fortune hanno determinato in tempi più o meno brevi la sparizione dell’azienda costruttrice o la loro importazione in Italia. Tra questi 52 ricordiamo un’interessante versione della Citroen Mehari 4x4 (602 cc., 29 CV) e della Peugeot 504 4x4 (motore diesel di 2.304 cc., 68 CV), la Cournil 2300 (motore Peugeot diesel di 2.304 cc., 67.4 CV), la Portaro 260 (un fuoristrada costruito in Portogallo su licenza della romena Aro, equipaggiato con motore Daihatsu diesel di 2.530 cc., 72 CV), lo Scoiattolo Super (motore Fiat a benzina di 652 cc., 24 CV) e la Zaz 969 M (motore a benzina di 1.196 cc.); tra le elaborazioni costose, caratterizzate da abitacoli lussuosi, meccanica potenziata e accessori a profusione, vanno ricordate la Moretti Sporting (allestita su meccanica della Fiat Campagnola), la Monteverdi Safari (motore V8 di 5.653 cc., 165 CV), la Wood & Pickett Sheer Rover (restyling della Range) e la Sbarro 4x4, un fuoristrada derivato dalla Mercedes G disponibile sia nella versione a due assi (Windhound) che in quella a tre assi (Windhawk, 6x6. 4.500 cc.). In America continua intanto la costante evoluzione della Cherokee e, nel 1981, l’American Motors Corporation presenta la nuova Jeep Cherokee Brougham, una versione lusso particolarmente arricchita nelle finiture; le potenze vengono nuovamente incrementate e il V6 (4.200 cc.) sviluppa ora 112 CV, mentre per il V8 (5.900 cc.) la potenza erogata sale a 157 CV. In questo periodo tutti i veicoli Jeep sono commercializzati in Italia dalla Renault, in base all’accordo di cooperazione firmato il 5 febbraio del 1980 tra la Casa francese e l’AMC: la Renault diviene comproprietaria dell’American Motors Corporation con il 46.4 del pacchetto azionario. La Nissan nel frattempo, stimolata dal successo nelle vendite degli ultimi anni (dalle 10.000 Patrol del ‘74 si arriva alle 20.000 del ‘80), presenta proprio nel 1980 la nuova Patrol Safari, introducendo per l’occasione due nuove motorizzazioni: oltre alla nuova versione V6 (4 lt.), le nuove Nissan sono ora equipaggiate con un 6 cilindri a benzina (2.8 lt., 120 CV) e un 6 cilindri diesel aspirato (3.3 lt., 95 CV), abbinato successivamente al turbocompressore (110 CV). Ma la novità di maggiore rilievo del nuovo decennio arriva sul mercato mondiale dall’Estremo Oriente quando la Mitsubishi, nell’autunno del 1981, presenta al Salone di Tokyo la prima versione della Pajero. Dopo una lunga produzione, durata circa trent’anni, per il mercato giapponese di alcuni modelli di jeep costruiti su licenza dell’American Motors Corporation, la Casa nipponica decide di scendere in campo con un proprio veicolo ispirandosi per il nome a quello di uno dei felini più diffusi della Patagonia. Ispirata alla nuova filosofia dell’utilizzo “comodoso”, inaugurata dieci anni prima dalla Range Rover, la Mitsubishi Pajero riscuote subito un vasto e crescente successo sia in Europa che in America, grazie alla sua linea accattivante e alle sue caratteristiche tecniche. Equipaggiato con un motore a quattro cilindri (1.997 cc., 110 CV per la versione a benzina, 2.346 cc., 75 CV per quella diesel), il nuovo fuoristrada giapponese debutta inizialmente nella sola versione torpedo hard-top, a 2 porte e 5 posti. Il Pajero arriva in Italia dopo circa un anno, in compagnia di altri modelli nipponici tra cui segnaliamo le Nissan Patrol Safari con motore a benzina (la versio53 Mitsubishi Pajero ne diesel debutterà nell’83) e Patrol Station Wagon, la Daihatsu Taft, la Isuzu Rodeo Bighorn e la Toyota Land Cruiser Station Wagon; quest’ultima (disponibile anche nella versione diesel con motore a 4 cilindri da 3.431 cc. con 98 CV) riscuote molto successo in Africa e in Nord America nella versione a benzina, equipaggiata con un 6 cilindri in linea (4.230 cc.,140 CV) grazie alle sue prestazioni e all’ampia disponibilità di spazio assicurata dalle sue dimensioni ( lunga 4.75 mt., alta 1.79 e larga 1.80) che, nel fuoristrada impegnativo, evidenziavano i limiti imposti dall’elevato sbalzo posteriore. Sempre sul mercato asiatico appare un’altra vettura che, seppur senza mai approdare sul mercato italiano, suscita qualche interesse tra gli appassionati dei 4x4 spartani ed essenziali fino all’estremo. E’ la cinese Peking BJ 212, un fuoristrada espressamente costruito per l’impiego militare, rivelatosi abbastanza lento e rumoroso anche nelle versioni civili (prive di qualsiasi grado di comfort) approdate in alcuni paesi satelliti della Cina; due le versioni disponibili (a 2 e 4 porte) con carrozzeria torpedo, entrambe equipaggiate con un motore a quattro cilindri a 54 55 Toyota Land Cruiser SW Peking BJ 212 benzina (2.445 cc., 75 CV). Per le forze armate dell’Occidente, più esigenti in materia di comfort e prestazioni maggiori, arriva invece la Peugeot P 4, nata dalla collaborazione tra Peugeot e Mercedes per fornire alle Forze Armate Francesi un fuoristrada militare di elevate prestazioni; questo veicolo è in pratica un Mercedes G equippagiato con motore Peugeot (2.000 a benzina o 2.300 diesel). Anche l’Esercito Italiano, in vista dell’uscita di scena della Fiat Campagnola, è alla ricerca di un nuovo fuoristrada costruito (o perlomeno assemblato) nel nostro Paese, sebbene i ripetuti tentativi attuati in diverse occasioni non siano mai approdati a nulla per l’assoluta latitanza di nuovi fuoristrada nostrani. Uno dei primi tentativi di questa ricerca risale all’estate del 1982 quando apparve l’Astra L1, un fuoristrada compatto (era lungo appena 2.3 mt.) ed estremamente leggero (ca. 600 Kg.) equipaggiato con un motore Volkswagen Maggiolino di 1.600 cc. (47 CV). Dotato di trasmissione idrostatica, l’Astra L1 disponeva di una pompa collegata direttamente al motore che, azionando quattro turbine idrauliche (ciascuna collegata ad una ruota) realizzava una trazione integrale permanente. La carrozzeria era costituita da due scafi con intelaiatura in alluminio e pannelli di resina che potevano inclinarsi separatamente su ciascun lato del veicolo assicuran56 do la massima motricità delle ruote. Il ridotto peso del veicolo (che lo rendevano comunque facilmente aviotrasportabile e paracadutabile) e la limitata scorta di cavalli disponibili garantivano tuttavia un discreto margine di portata (600 Kg.) e di capacità di traino (1.000 Kg.). Nonostante l’estrema versatilità in fuoristrada, assicurata dalla totale assenza di sbalzi anteriore e po-steriore, da una notevole altezza minima da terra (variabile da 33 a 38 cm.), una capacità di guado di 50 cm. e una pendenza massima superabile del 100%, questo veicolo rimase confinato allo stadio di prototipo. Sul mercato italiano arrivano inoltre due modelli che, per alcuni anni, riscuoteranno un certo successo nella fascia più economica, come le rumene ARO 10.1 (equipaggiata agli inizi degli anni ‘80 con motore Renault a benzina a 4 cilindri di 1.289 cc., 54 CV, e con un diesel Indenor di 1.905 cc., 65 CV) e ARO 240 (costruita dall’aprile ‘72 (motore Aro a benzina di 2.495 cc. con 80 CV, diesel Peugeot di 2.112 cc. con 64 CV e turbodiesel Peugeot di 2.304 cc. con 80 CV) e la portoghese UMM 494 2.3, costruita da un’azienda di Lisbona (la Uniao Metalo Mecanica) ed equipaggiata con motore diesel Peugeot (4 cilindri, 2.304 cc., 66.5 CV). Sul mercato americano esce intanto il Bronco II con il quale la Ford cerca di rinnovare il lungo successo riscosso da questo puledro purosangue (il nome deriva da una celebre razza di cavalli americani) che, nelle ambizioni della Casa di Deanborn, lancia la sfida ai 4x4 europei e giapponesi. Il Bronco II, pur mantenendo l’impostazione generale e le caratteristiche generali del modello precedente, presenta dimensioni più contenute e una motorizzazione più vicina ai tradizionali standard europei; il propulsore è infatti un 6V di 2.800 cc. abbinato a un cambio a quattro marce. Tra le curiosità apparse in questo periodo nel panorama europeo va segnalata una singolare realizzazione di un’azienda tedesca (Rheimaner Maschinen und Armaturenbau GmbH) che, nel 1983, debutta al Salone di Ginevra con un fuoristrada anfibio denominato Amphy Ranger. Questo veicolo, che alla versatilità di un fuoristrada abbinava anche la navigabilità in acqua, era caratterizzato anche da una linea particolare che rifletteva le sue ambizioni nautiche, con una prua accuratamente carenata e rialzata, una no57 Amphy Ranger tevole altezza da terra e una carrozzeria pick-up che di profilo lo faceva assomigliare vagamente a un gozzo. Equipaggiato con un motore a quattro cilindri di derivazione Ford di 1.954 cc., in grado di sviluppare 74 CV a 5.200 giri, poteva montare a richiesta anche un V6 di 2.772 cc. (99 CV) e disponeva di trazione posteriore (anteriore inseribile). In acqua la trazione era assicurata da un’elica ribaltabile elettricamente che consentiva di raggiungere una velocità massima prossima ai 13-18 Kmh. con un’autonomia variabile tra le 2 e le 3 ore. Lunga complessivamente 4.8 metri, larga 1.83 e alta 1.95, la Amphy Ranger è stata senz’altro la 4x4 anfibia di medie dimensioni più famosa della produzione degli ultimi anni, sebbene il suo particolare tipo di utilizzo ne abbia condizionato sensibilmente il successo su vasta scala. Per quanto riguarda le prestazioni stradali, la velocità massima era di 120 Kmh. nella versione con motore a 4 cilindri e di 140 in quella a 6 cilindri, mentre nell’utilizzo off-road (pur evidenziando ottimi valori negli angoli di attacco di uscita grazie alla sua linea idrodinamica) non consentiva prestazioni di particolare rilievo fuoristradistico. Decisamente più performante, e mastodotico, è invece l’anfibio Iveco 4x4 6640G lanciato nell’estate del 1983 per sostituire la precedente versione (Fiat 4x4 6640A) in servizio presso i maggiori enti di protezione civile da una decina d’anni. Rialzato di circa 20 centimetri e potenziato nella motorizzazione (diesel di 3.499 cc., 195 CV) rispetto al vecchio modello, l’Iveco 4x4 6640G ha una massa superiore alle otto tonnellate e raggiunge su strada una velocità massima di 100 Kmh. (11 Kmh in acqua). 58 Dotato di cambio automatico a 3 marce e differenziali anteriore e posteriore bloccabili, può superare una pendenza massima del 60% e marciare lungo inclinazioni laterali fino al 30%, assicurando inoltre una portata utile di due tonnellate e un trasporto per 14 passeggeri (più 3 persone in cabina). La propulsione in acqua, diversamente dal sistema ad elica adottato sul modello precedente, è assicurata da un idrogetto di nuova concezione che grazie ad un sistema orientabile sui 360 gradi facilita sensibilmente anche le manovre di attracco offrendo una spinta trasversale. Nella fase di collaudo (fra l’aprile dell’82 e il marzo dell’83) l’Iveco 4x4 6640G è stato protagonista di una storica spedizione in Amazzonia guidata dal comandante Jacques-Yves Cousteau avente lo scopo di esplorare l’intero bacino del Rio delle Amazzoni; oltre al veicolo anfibio dell’Iveco, la spedizione ha utilizzato per i trasporti terrestri anche un camion fuoristrada Iveco 6x6. Oltre al fenomeno dei fuoristrada anfibi, un’altra tipologia che si affermò per un breve periodo verso la metà degli anni Ottanta è rappresentata dai 4x4 blindati, destinati soprattutto agli istituti di sorveglienza o al trasporto valori. In Italia i fuoristrada più famosi lanciati in questo settore nel 1983 sono stati il Guardian Mark della ASA (Advanced Security Agency) di Milano e l’RM 82 prodotto dalla carrozzerria Repetti e Montiglio di Casale Monferrato in provincia di Alessandria; entrambi i modelli, disponibili con diversi allestimenti di blindatura e armamento, derivavano dalla Fiat Campagnola a benzina nella versione Hard Top. Nella storia del fuoristrada va ricordato inoltre l’apparizione sul mercato di una piccola vettura a quattro ruote motrici che, seppur destinata soprattutto ad un uso prevalentemente stradale, evidenzierà una discreta versatilità anche nell’utilizzo off-road. Si tratta della Fiat Panda 4x4, che fa la sua prima apparizione alla fine di giugno del 1983 come un’ulteriore versione del collaudato modello a due ruote motrici lanciato dalla Casa torinese tre anni prima. Concepita come un Fiat Panda 4x4 59 fuoristrada leggero, la Panda 4x4 viene prodotta in collaborazione con l’austriaca Steyer (cui è affidata la trazione integrale) ed equipaggiata con un motore a benzina a quattro cilindri di 965 cc. (48 CV). Per ottimizzare le prestazioni offroad (in assenza di riduttore) e favorire il disimpegno nei passaggi più difficili è stato adottato un rapporto della prima molto corto, mentre il telaio è stato rinforzato rispetto alla versione normale. Sempre nell’ambito delle piccole 4x4, anche se si tratta in questo caso di un fuoristrada vero e proprio, nell’estate del 1983 viene presentata in Giappone la nuova versione della Toyota Blizzard (lanciata nel 1980); questo veicolo, destinato soprattutto al mercato nazionale, è in pratica una riedizione della nuova Rocky della Daihatsu e rappresenta il modello che va a sostituire la Taft F 10; equipaggiata con motore diesel di 2.446 cc. (lo stesso della Hi-Lux), sviluppa 83 CV a 4.000 giri al minuto. Nel 1984 la Chrysler presenta la Nuova Jeep Cherokee, a 3 e 5 porte (nota negli USA come “model year ‘84), nel nuovo look che, seppur con diversi restyling, sopravvive ancora oggi. Decisamente più compatta dei precedenti modelli ( lunga solo 4.20 metri, larga 1.76 e alta 1.63) la Nuova Jeep Cherokee si rivela contenuta anche nella cilindrata grazie al suo propulsore di 2.500 cc. a 4 cilindri (106 CV a 4.800 giri). Nello stesso anno si sveglia anche il mercato italiano con l’arrivo sulla passerella del Salone di Torino della Magnum Vip 2.5, realizzata a tempo di record ad appena un anno dall’allestimento del primo prototipo. Realizzata da un’azienda del cuneese (allora Rayton-Fissore, oggi Magnum Industriale) leader nel settore degli allestimenti speciali per carrozzeria, la Magnum (motore Sofim TD di 2.499 cc. in grado di sviluppare 90 CV) rappresenta ancora oggi (stesso motore, ma con 120 CV, 150 Kmh.) l’unico porta-bandiera della produzione nazionale nel settore dell’off-road. Nonostante le sue dimensioni ( lunga 4.57 metri, larga 2.01 e alta 1.78) presenta delle prestazioni fuoristradistiche di tutto rispetto e la sua linea, seppur immutata dall’epoca del suo esordio, rimane ancora estremamente piacevole e particolarmente valida dal punto di vista aerodinamico. Nel panorama internazionale dell’off-road il 1984 segna un’altra tappa fondamentale nella storia del fuoristrada poiché da alcune indiscrezioni salta già fuori un nome che sette anni dopo, in occasione della Guerra del Golfo, diverrà per un breve periodo il veicolo a trazione integrale più famoso del mondo. Avrete già capito che stiamo parlando dell’Hummer, il mastodontico fuoristrada scelto dall’U.S. Armed Forced per sostituire la Jeep come mezzo tattico nella categoria H.M.M.W.V. (High Mobility Multi-purpose Wheleer Vehicle=veicolo a ruote multiruolo ad alta mobilità). Equipaggiato con un propulsore a 8 cilindri di oltre 6 litri, l’Hummer presenta una linea molto squadrata e possente che, abbinata alle sue dimensioni ( lunga quasi cinque metri e larga due metri e venti), le conferisce un aspetto veramente imponente e mastodontico. Dotato di trazione integrale permanente e cambio automatico questo veicolo, nonostante gli ingombri, si rivelerà estremamente versatile nell’utilizzo off-road grazie alla notevole altezza minima da terra (41 cm.) e alle elevate pendenze superabili (massima 60%, laterale 40%). 60 61 Magnum Classic Verso la metà degli anni Ottanta è da segnalare inoltre la commercializzazione di 4x4 Nissan con il marchio Datsun e l’entrata in scena della spagnola Ebro, anch’essa legata alla Casa giapponese. Per alcuni anni la Ebro costruirà su licenza Nissan, negli stabilimenti di Barcellona, la versione europea della Patrol equipaggiata inizialmente con un motore a quattro cilindri (2.8 lt., 76 CV) prodotto in Spagna ma di progettazione Perkins. Successivamente venne adottato anche con il tradizionale 6 cilindri 3.3 litri della Nissan quando, a partire dal 1988, mutò la propria ragione sociale in Nissan Motor Iberica acquisendo il diritto di commercializzare i propri veicoli su tutti i mercati europei con il marchio Nissan. Hummer 62 CAPITOLO 5 Gli anni del boom 1985-1990 Nella seconda metà degli anni Ottanta il fuoristrada vive, soprattutto in Italia, uno dei momenti più entusiasmanti e gloriosi della sua storia. Sono gli anni delle immatricolazioni d’oro e, oltre ai concessionari e ai rivenditori specializzati, si afferma sul mercato anche quella singolare categoria di operatori, nota come “importatori paralleli”, presso i quali a volte possibile acquistare (spesso a prezzi inferiori) un fuoristrada giapponese o americano prima ancora del loro arrivo in Italia attraverso i canali tradizionali. Nonostante l’immediato successo iniziale (bilanciato dalle polemiche sollevate dalla tradizionale rete di vendita), svariati problemi e una scarsa attenzione all’utenza nell’after-market e nell’assistenza, hanno in seguito ridimensionato in maniera considerevole il fenomeno. Ma questi sono anche gli anni dei saloni specializzati e delle esposizioni riservate esclusivamente ai fuoristrada e alle auto a quattro ruote motrici. In Italia la manifestazione più importante del settore fu senza dubbio l’Expofuoristrada di Torino che, nella prestigiosa sede di Torino Esposizioni ha presentato dall’83 al ‘91 le novità più interessanti della produzione mondiale. Una delle edizioni di maggiore successo dell’Expofuoristrada fu proprio l’edizione del 1985, che vide la partecipazione di 140 espositori in rappresentanza di 12 nazioni, con oltre 100.000 visitatori provenienti da ogni parte della penisola. Proprio nel corso di questa edizione la Rover presentò la nuova Land 90 con motore V8 (3.528 cc., 115 CV), mentre dal Giappone arrivò la nuovissima Isuzu Trooper (I Serie) che aveva debuttato l’anno precedente al Salone di Tokyo. La Isuzu Trooper TD monta un motore a 4 cilindri (2.238 cc., 75 CV), ha la trazione anteriore inseribile e la carrozzeria station-wagon a 3 porte. 63 Daihatsu Feroza SsangYong Korando Suzuki Vitara Nello stesso anno arriva inoltre in Italia la nuova Toyota Land Cruiser BJ (II Serie), equipaggiata con un 4 cilindri a gasolio di 3.431 cc. in grado di erogare 124 CV a 3.400 giri al minuto; con la presentazione di questo modello (che subirà un ulteriore restyling nell’89) va definitivamente in pensione la mitica BJ (I Serie) apparsa nei primi anni ‘50. L’anno successivo viene presentata negli Stati Uniti la Jeep Wrangler, destinata a sostituire le ormai obsolete CJ 7 le cui caratteristiche tecniche, seppur con alcune migliorie, erano ancora ispirate ai modelli dei primi anni Cinquanta. Neanche la Wrangler (4 cilindri a benzina di 2.464 cc. in grado di erogare 105 CV a 5.600 giri al minuto) si presenta in realtà come un veicolo rivoluzionario, ma gli sforzi evidenziati dal suo look moderno e aggressivo (pur riallacciandosi ai modelli che l’hanno preceduta) la rendono estremamente gradevole e adatta al pubblico più giovane. Al suo arrivo in Italia, nell’ottobre dell’89, riscuote un certo successo grazie anche alla rete vendita della Renault Italia che, in quegli anni, curava l’importazione della Jeep sul territorio nazionale. Le vecchie Jeep continuano comunque a difendersi ancora bene in alcune par64 ti del mondo dove sono numerose le aziende che utilizzano le carrozzerie delle gloriose CJ3 e CJ4 per assemblare dei fuoristrada la cui produzione, in alcuni casi, riesce anche a varcare la soglia dei confini nazionali. Uno degli esempi più significativi è rappresentato dall’indiana Mahindra che, nel 1986, presenta la CJ 340 D, un fuoristrada disponibile con propulsori a gasolio Perkins o Peugeot (2.112 cc., 75 CV); quest’ultima versione viene importata in Italia per alcuni anni dalla Four Drive di Torino che realizza anche un prototipo con motore a benzina Ford (1.993 cc., 130 CV), derivato direttamente dalla Scorpio. Nel 1987 debutta al Salone di Tokyo la nuova Nissan GR (Grand Raid), un fuoristrada di grosse dimensioni (lungo 4.2 metri, largo 1.93 e alto 1.81) equipaggiato con tre diverse motorizzazioni: un 6 cilindri diesel aspirato (4.2 lt., 125 CV), un 6 cilindri a benzina (4.2 lt., 145 CV) e un 6 cilindri diesel turbocompresso (2.8 lt., 116 CV) che diventerà la versione di maggiore successo sulle Nissan Patrol vendute all’interno dei mercati comunitari. Appena un anno dopo, nel corso dell’estate 1988, la Suzuki presenta l’attesissima Vitara con l’impegnativo compito di bissare sul mercato le fortunate imprese della richiestissima Samurai. La Vitara centrò in pieno l’obiettivo confermando il primato della Suzuki nel settore dei fuoristrada leggeri. Fin dalla sua immediata commercializzazione, la Suzuki Vitara riscuote un ampio successo di pubblico attestandosi per diverse stagioni al vertice delle vendite di fuoristrada in Italia e, nel corso degli anni, la gamma si estende progressivamente con nuovi modelli. Alla originale versione a 3 porte (1.590 cc., 74 CV) si affiancano successivamente i modelli a 5, porte a passo lungo, e quella cabrio (denominata Open Air), mentre nel ‘94 viene introdotta la nuova motorizzazione a 16V (la potenza sale a 98 CV) e, due anni dopo, esordiscono i nuovi motori 2.0 V6 (disponibile sulla SW 5P, sviluppa 136 CV) Nissan GR (Grand Raid) 65 e l’attesa versione a gasolio; quest’ultima disponibile sulla Vitara 1.9 TD SW 5P (1.905 cc., 75 CV) e sulla Vitara 2.0 TDi SW 5P (87 CV). Sempre nel settore delle piccole 4x4, verso la fine dell’88 arriva in Italia un altro fuoristrada giapponese, la Daihatsu Feroza, che si propone come una delle più temibili concorrenti della Suzuki Vitara. Nata da una lunga esperienza fuoristradistica della Daihatsu (un’azienda del gruppo Toyota), la Feroza raccoglie l’eredità di precedenti modelli ampiamente affermati sul mercato nipponico (come la Taft o la Rocky) e abbastanza conosciuti anche in Italia. La nuova Feroza presenta una linea molto filante e pulita, con carrozzeria hard-top (in fibra di vetro) a 3 porte, ed equipaggiata con un motore a benzina di 1.589 cc. (16V, 95 CV a 5.700 giri al minuto) con alimentazione elettronica. Nello stesso anno inizia l’importazione in Italia della Korando, che aveva esordito come una delle vetture ufficiali ai recenti giochi olimpici di Seoul. Costruita nella Corea del Sud dalla Ssangyong, la Korando (considerata come una replica della Jeep) dispone di un motore Isuzu diesel di 2.238 cc. che sviluppa 61 CV; sul mercato asiatico è disponibile anche nella versione a benzina, con due motorizzazioni (4 cilindri da 2.000 cc. e 6 cilindri da 4.200 cc.). Nel biennio ‘88-89 il panorama italiano è interessato dalla sporadica apparizione di una nuova azienda dall’assetto societario assai complesso, la Ali CIEMME, che debutta ufficialmente nel settore del fuoristrada. Nostante le grandi ambizioni (ca. 4.000 veicoli l’anno) e un discreto successo nelle vendite (agevolato da un prezzo competitivo), sparirà nel giro di pochi anni, travolta forse da quegli stessi meccanismi, strettamente legati ad alcune forze politiche della regione nella quale era sorta l’azienda, dai quali era scaturita la sua rapida crescita. Dopo una stretta collaborazione con la ARO rumena, la Ali CIEMME aveva venduto 1.980 veicoli nell’86 (su un totale di 19.000 unità assorbite dal mercato italiano) e 1.980 nell’87 (su un totale di 25.000). Il 1989 segna l’anno della grande ristrutturazione e la Ali CIEMME, con l’inaugurazione del faraonico stabilimento di Piazzano di Atessa, in provincia di Chieti, avvia la produzione in proprio di due nuovi fuoristrada denominati OFF 4WD e Pick-Up Sport Limited Edition. Entrambi i modelli sono equipaggiati con motori Volkswagen a 4 cilindri di 1.600 cc., disponibili nelle versioni a benzina (74 CV), diesel (54 CV) e turbodiesel (70 CV); modeste le prestazioni in fuoristrada, nonostante la trazione integrale (inseribile sull’asse anteriore) e le marce ridotte, sia per la scarsa potenza erogata dai motori che per la ridotta altezza da terra. La produzione cessa verso la fine del ‘92. Tra le altre meteore a trazione integrale, protagoniste di un’apparizione (e relativa immediata scomparsa) ancora più fulminea, tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, vanno segnalate inoltre la Biagini e la IATO. La Biagini, nata come una divisione della ACM con sede ad Atessa in Abruzzo, produsse per un breve periodo un fuoristrada di piccole dimensioni battezzato Pass; questo veicolo, derivato direttamente dalla Volkswagwn Golf a trazione in66 Panda 4x4: avventure nel mondo A d appena pochi anni dalla sua presentazione la Fiat Panda 4x4, grazie al notevole supporto fornito dalla Casa torinese, inizia a far capolino anche nel mondo dell’avventura a motore partecipando ad un’edizione della Parigi-Dakar, affidata a Paolo Contegiacomo, e al raid Parigi-Pechino sulle orme della mitica Itala del principe Borghese che aveva effettuato la stessa traversata nel 1907. A partire dal 1985 un tour operator specializzato un viaggi-avventura lancia una nuova formula di raid turistici, denomi- nata “I raid del coraggio”, la cui novità è rappresentata proprio dall’utilizzo delle Panda 4x4. La prima spedizione, che vede impegnata 50 vetture, attraversa tutto il Sahara da Tunisi fino ad Abidjan, in Costa d’Avorio, lungo un itinerario di oltre 7.000 Km. Nell’86 è la volta del “Raid del coraggio” in Australia, da Sydney a Perth (8.800 Km. tra Outback e barriera corallina) e nell’87 la carovana si trasferisce in Islanda per effettuare il periplo dell’isola (2.700 Km.), nel corso del quale viene realizzata anche la 67 prima traversata automobilistica del ghiacciaio Vatnajokull. Dopo la spedizione in Amazzonia era previsto un raid in Cina (1989), ma i disordini del 4 giugno in piazza Tienanmen a Pechino fanno saltare i programmi. Negli anni successivi il clamore iniziale suscitato dai “Raid del coraggio” inizia progressivamente a scemare fino a quando, soprattutto per i problemi economici dovuti alla troppo disinvolta gestione del tour operator che organizzava i viaggi, i raid con le Panda 4x4 vanno in pensione. tegrale da cui differiva soprattutto per l’assetto rialzato e un look particolarmente aggressivo (e grossolano), era equipaggiato con un motore a benzina di 1.781 cc. (72 CV/5.400 giri). La IATO allestì uno stabilimento a Nusco, in provincia di Avellino, e assemblò alla meglio tre modelli di scarso successo caratterizzato da una linea abbastanza ordinaria e da tre diverse motorizzazioni Fiat: due a benzina, la IATO 1600 SPI (1.585 cc.) e la IATO 2000 CHT (1.999 cc.) e uno a gasolio, la IATO 2000 TD (1.929 cc.). Nel 1988 si affaccia alla ribalta europea un altro veicolo russo, la Volin 696 costruita dalla Luaz, equipaggiato con un motore Ford di 1.117 cc.,49 CV, che per alcuni anni verrà regolarmente importata in Italia a partire dalla fine dell’89. Sul versante americano viene presentata a Los Angeles, agli inizi dell’89, la Laforza V8 4.9i che rappresenta in pratica la vesione a stelle strisce della italianissima Ma- gnum. Seppur equipaggiata con un potente motore Ford V8 a benzina (4.942 cc.) in grado di erogare 185 CV, la Laforza presenta telaio, carrozzeria ed interni della Magnum, spediti direttamente in California dall’Azienda italiana di Cherasco; una serie di problemi inerenti alla distribuzione sul territorio americano e, soprattutto, il prezzo non competitivo negli States, hanno purtroppo decretato l’insuccesso dell’iniziativa. Nell’ottobre del 1989 viene presentata in Giappone la Nissan Terrano, un altro fuoristrada destinato a riscuotere ampi successi anche sui mercati europei. In Laforza V8 68 Italia arriverà entro l’anno successivo la sola versione diesel a 3 porte (2.663 cc., 99 CV), ma entro il ‘91 la gamma dei Terrano disponibili si arricchirà anche dei due modelli turbodiesel (a 3 e 5 porte) e delle versioni a benzina 2.4 SW 3 P (2.389 cc., 103 CV) e 3.0 SW 5 P (2.960 cc., 148 CV). Nel settore dei pick-up arriva sui nostri mercati la Toyota Hi Lux 2.4 Double Cab (2.446 cc., 83 CV), che riscuote un discreto successo in Italia per la sua estrema versatilità che ne consente l’utilizzo, oltre che nel tempo libero e nelle diverse attività legate all’aria aperta (tra cui la possibilità di montare una cellula abitativa per la trasformazione in camper), anche in svariati impieghi lavorativi. Sul fronte europeo arriva invece un’altra grossa novità sul finire degli anni Ottanta quando la Land Rover presenta in anteprima mondiale al Salone di Francoforte (1989) un nuovo veicolo, battezzato Discovery, che arriverà sul nostro mercato nei primi mesi del 1990. Nelle intenzioni dell’azienda di Solihull la Discovery dovrebbe inserirsi tra la classica Land e la lussuosa Range, e nasce soprattutto con l’intento di rosicchiare quote di mercato ai 4x4 dagli occhi a mandorla che, proprio in quegli anni (siamo a cavallo tra la fine degli anni ‘80 e gli inizi del ‘90), spadroneggiano un po’ ovunque sui mercati europei e nordamericani. Nissan Terrano Land Rover Discovery Toyota Hi Lux Double Cab 69 La nuova Land Rover Discovery (4 cilindri a gasolio di 2.495 cc., 113 CV) è disponibile nelle versioni SW (a 3 e 5 porte) e può essere equipaggiata anche col cambio automatico. Con l’apparizione della Discovery, inoltre, la Rover introduce anche una radicale trasformazione nella denomizione del più classico e glorioso modello della gamma. Le tradizionali Land Rover 90 e 110 diventano infatti da questo momento Defender 90 e 110 e, per sottolineare ulteriormente l’evoluzione del nuovo veicolo, la Defender eredita direttamente dalla Discovery anche il nuovo propulsore TDi ad iniezione diretta, con un sensibile incremento della potenza (108 CV contro 86) che, oltre a migliorare le prestazioni stradali e le condizioni di utilizzo nell’off-road, dovrebbe agevolare anche la penetrazione sui mercati nordamericani. Ed proprio dagli States che, agli inizi del ‘90, esplode il “caso” Hummer che, seppur presente da qualche anno, mette a rumore tutto il mondo dell’off-road. L’AMC M998 infatti, appena un anno dopo, nel gennaio del ‘91, si esibirà sui teleschermi di tutto il mondo nel corso delle evoluzioni nel deserto del Kuwait durante la missione americana nella Guerra del Golfo. Mastodontico sia nelle dimensioni (lungo 4.7 mt. e largo 2.19) che nella motorizzazione (è equipaggiato con un motore Chevrolet a 8 cilindri di 6.270 cc.), l’Hummer rimane tuttavia confinato nelle sterminate praterie yankee, sebbene diversi esemplari siano approdati anche in Europa (e in Italia), soprattutto tra i collezionisti di veicoli militari. Nel frattempo erano arrivate in Italia le nuove Isuzu Trooper II Serie (Metal Top e Metal Top SE) con le nuove motorizzazioni TDi 2.8 (2.771 cc., 106 CV), la Toyota Runner (disponibile sia nella versione col V6 a benzina di 3 litri, presentata nel 1989 al Salone di Francoforte, che in quella equipaggiata col 4 cilindri a gasolio di 2.5 litri) e la Isuzu Campo Sportcab Pick-up LS con motore a gasolio di 2.499 cc. in grado di sviluppare 76 CV; tutte le novità della Isuzu (l’azienda giapponese è uno dei marchi della General Motors, una multinazionale che, oltre all’Isuzu, raggruppa anche Opel, Cadillac e Bedford) vengono presentate in anteprima europea proprio in Italia in occasione della rassegna primaverile di Exopofuoristrada ‘90. Non arriverà invece sui nostri mercati (almeno attraverso i canali ufficiali) un altro fuoristrada della stessa casa giapponese, la Isuzu MU (Misterious Utility), che aveva debuttato nell’autunno precedente all’ultima edizione del Salone di Tokyo. A metà strada tra un pick-up e una hard-top, l’Isuzu MU è una 4x4 compatta ed estremamente versatile, equipaggiata con un motore a benzina a 4 cilindri la cui cilindrata (2.559 cc., 120 CV) penalizzò (per motivi fiscali) la sua diffusione, oltre che in Italia e in molti paesi europei, sullo stesso mercato giapponese. Creato espressamente per il ricco mercato americano, questo veicolo era già in vendita negli USA (dove appare anche una versione station-wagon a 5 porte, battezzata Rodeo, con motore 6 cilindi a V di 3.135 cc. erogante 120 CV) con il nome di Amigo, ma la sua storia non è destinata ad esaurirsi tanto presto. Sentiremo infatti di nuovo parlare dell’Isuzu Amigo poiché, nel giro di circa un an70 no, costituirà la base di partenza per un nuovo ed interessante progetto dal quale scaturirà uno dei fuoristrada più noti e venduti su tutti i mercati europei nei primi anni Novanta. Da segnalare inoltre in questo periodo la presentazione, al Salone di Ginevra del ‘90, del pick-up Volkswagen Taro 2.4i 4x4, disponibile nelle versioni Double Cab e Normal Cab, dotato di motore a benzina a 4 cilindri (2.366 cc., 114 CV); entrambe le versioni non verranno importate in Italia, dove arriverà invece un modello analogo privo di trazione integrale. Hummer 71 Fitzcarraldo Expedition T ra le numerose aree ancora semi-esplorate presenti all’interno dell’Amazzonia, una delle più affascinanti e selvagge è rappresentata dalla giungla presente in territorio peruviano. E’ qui che nell’estate del 1987 si svolta la “Fitzcarraldo Expedition”, ideata e realizzata da Giorgio Rosato grazie alla sponsorizzazione di una multinazionale americana del tabacco (Philips Morris) e al patrocinio del WWF. Gli scopi della spedizione, oltre a quello di raggiungere via terra il mitico istmo di Fitzcarraldo (la cui storia è stata portata sullo schermo nel film di Herzog, interpretato da Klaus Kinsky), prevedevano anche un accurato censimento dell’avifauna amazzonica (oltre 2.000 specie di uccelli sono state individuate da Barry Wilker, l’ornitologo di fama internazionale dell’Università di Birmingham aggregato alla spedizione). Nel corso della “Fitzcaraldo Expedition” (la prima spedizione italiana a spingersi nel Parco Nazionale del Manù, sul rio Gran Madre de Dios) è stata utilizzata per la marcia di avvicinamento al villaggio di Atalaya una Toyota Land Cruiser BJ 80. Capolinea di partenza è stata la città di Cuzco, non lontana da Machu Picchu, da dove i membri della spedizione si sono messi in viaggio alla volta dell’Amazzonia peruviana. Sono stati percorsi complessivamente oltre 2.000 Km, di piste (ed altrettanti in canoa lungo i maggiori affluenti del Rio delle Amazzoni), mentre sulle Ande è stata toccata la quota di 4.600 metri nei pressi del Passo delle 3 Croci. 72 CAPITOLO 6 L’off-road scopre le joint-venture 1991-1994 Con l’arrivo degli anni Novanta inoltre il mondo dell’off-road è interessato da un altro fenomeno, quello delle joint-venture, che proprio grazie alle sinergie instaurate tra diverse case costruttrici darà origine a nuovi veicoli che, seppur tra mille difficoltà, riusciranno ad affacciarsi sul mercato per alcune stagioni raccogliendo tiepidi consensi. Anche il mercato italiano, sempre tempestivo nel raccogliere mode e tendenze esterofile, non è immune a questo fenomeno e uno dei casi più emblematici è rappresentato senz’altro dal Freeclimber della Bertone il cui debutto in grande stile avviene nell’estate dell’89. Il Freeclimber è un fuoristrada di eleganti ambizioni che utilizza carrozzeria ed impostazione meccanica della Daihatsu Rocky abbinate a propulsori BMW, mentre l’allestimento generale e le accurate finiture sono realizzati dalla Bertone. I motori disponibili, tutti a 6 cilindri, sono rappresentati da una versione a gasolio (2.5 litri) e da due a benzina (da 2 e 2.7 litri). L’anno successivo debutta anche la versione Cabrio e tre anni dopo, nell’estate del ‘93, viene presentato il Freeclimber 2. Nel ‘91 viene presentato un altro fuoristrada di piccole dimensioni, il Rocsta, Freeclimber Bertone 73 prodotto nella Corea del Sud dalla Asia Motors (con propulsore Hurricane della scuderia Mitsubishi). Ispirato stilisticamente alla Jeep, questo veicolo presenta dimensioni molto contenute e una meccanica semplice e affidabile ed è disponibile sia nella motorizzazione diesel (2.184 cc., 72 CV) che nella versione a benzina (1.789 cc., 85 CV), entrambe a 4 cilindri. Agli inizi del 1991, nel mese di marzo, anche la Opel annuncia il suo ingresso nel settore del fuoristrada anticipando il lancio della Frontera che arriverà sul mercato a fine anno. Prodotta negli stabilimenti della ISKBC Vehicles (la jointevnture costituita dalla General Motors e dalla Isuzu a Luton, in Inghilterra), interamente ristrutturato nell’84 con un investimento di oltre 200 milioni di marchi, la Opel Frontera nasce da un complesso progetto di cooperazione internazionale. Telai, componenti delle sospensioni e dell’assale posteriori sono prodotti in Gran Bretagna, mentre i motori arrivano dagli appositi stabilimenti Opel in Germania; i gruppi della trasmissione e del cambio, le sospensioni anteriori, i freni e il cruscotto provengono invece direttamente dal Giappone. Opel Frontera L’impostazione meccanica generale della Frontera deriva da un progetto Isuzu (nel quale non è difficile riconoscere la silhouette della Amigo), ma lo styling interno ed esterno è stato finalizzato espressamente alle esigenze e ai gusti del mercato europeo; l’obiettivo della Opel è quello di inserirsi nel mondo dell’offroad (nel corso degli anni ‘80 il mercato europeo dei veicoli a quattro ruote motrici è aumentato quasi del 700%) con un mezzo in grado di esprimere, in una perfetta simbiosi, un livello di comfort automobilistico abbinato ad eccellenti prestazioni in fuoristrada. I modelli disponibili al momento dell’esordio sono rappresentati dalla versio74 ne Sport a passo corto, con carrozzeria hard-top a 2 porte e dalla versione Station-Wagon 4 porte a passo lungo; le motorizzazioni, tutte di casa Opel, prevedono per la Sport un 2 litri a benzina (115 CV) e per la Station-Wagon sono disponibili un motore a benzina da 2.4 litri (125 CV) e un turbodiesel intercooler da 2.3 litri (100 CV). Alcuni anni dopo, verranno adottati motori di 2.8 litri, utilizzati fino all’estate del ‘96 quando sotto il cofano delle Opel Frontera viene installato il collaudato Sofim turbodiesel da 2.5 litri. A partire dal ‘91 inoltre la Mercedes introduce nella sua ormai collaudata gamma di fuoristrada della serie G l’innovazione della trazione integrale permanente; inedito anche il sistema di bloccaggio in sequenza dei tre differenziali (anteriore, centrale e posteriore), mentre per quanto riguarda le motorizzazioni vengono introdotti nella gamma due nuovi propulsori; un 6 cilindri a benzina (2.960 cc., 125 CV) e un 4 cilindri a gasolio (2.996 cc., 113 CV). Nello stesso anno la Mazda lancia sul mercato americano la Proceed Marvie, una 4x4 di spiccata vocazione automobilistica che, nonostante l’assetto di impostazione tipicamente stradale, si rivela estremamente versatile nell’utilizzo offroad; equipaggiata con un 4 cilindri a benzina con 12 valvole (2.605 cc., 120 CV), la Mazda Proceed Marvie è dotata di cambio manuale a cinque marce con riduttore e rappresenta una delle prime sport-utility nipponiche approdate in USA. Sempre nel ‘91 arrivo sul nostro mercato il nuovo Mitsubishi Pajero, completamente rinnovato nella linea e nelle motorizzazioni, dopo il restyling della II Serie dell’84 (la cilindrata dei turbodiesel passa dagli originari 2.346 cc. ai 2.477 cc.) e della III Serie dell’87 (la motorizzazione è immutata ma vi sono notevoli migliorie estetiche, nonostante la linea sia rimasta praticamente invariata rispetto al primo modello dell’81). Il nuovo Pajero è invece completamente diverso, con un look molto grintoso e accattivante caratterizzato dalla scomparsa di spigolosità e linee nette nel disegno della carrozzeria, che cedono il passo a profili morbidi e più arrotondati, in sintonia con le nuove tendenze stilistiche che si vanno affermando tra la maggior parte dei costruttori mondiali. Un’altra novità interessante che debutta al Salone di Tokyo del 1991 è la coreana Sportage (approdata in Italia nel ‘94), presentata dalla Kia Motors come una sport-utility wagon che assicura il comfort di una berlina, lo spazio di una monovolume e la robustezza di un fuoristrada, in grado di garantire al tempo stesso una notevole maneggevolezza grazie alle sue contenute dimensioni (l’ingombro “fuori tutto” è di soli 4.33x1.79 mt.). La nuova Kia Sportage (2 litri a benzina in grado di sviluppare 128 CV a 5.300 giri al minuto) è caratterizzata da una linea scaturita da una serie di lunghi studi nella galleria del vento che ha consentito di raggiungere valori estremamente interessanti (Cx 0.39), senz’altro notevoli per un veicolo off-road. Con la presentazione della nuova versione turbodiesel (1996) disponibile in tre allestimenti (2.0 TDI, 2.0 TDI Comfort e 2.0 TDI Top), la Kia Sportage viene a costituire una vera e propria gamma (grazie anche alla versione con il cambio au75 Kia Sportage tomatico, adottato solo sui veicoli a benzina). Anche nel caso della Kia Motors, come abbiamo visto in altre occasioni (Peugeot-Mercedes, Opel-Isuzu, BertoneBMW-Daihatsu, etc.), registriamo una importante joint-venture tra l’azienda coreana e la Karmann GmbH per la costruzione, a partire dal 1994, della Sportage in Germania. Sempre nel 1991 un’altra importante azienda sudcoreana, la SsangYong avvia una joint-venture con la Mercedes-Benz in base alla quale l’Azienda di Stoccarda (che nel ‘92 acquisisce il 5% della SsangYong) fornisce la tecnologia di tutte le componenti meccaniche (motori, cambio e trasmissioni) dei fuoristrada prodotti dall’Azienda coreana. La prima realizzazione di questa nuova collaborazione d’impresa è la Musso, un veicolo a trazione integrale entrato in produzione nell’agosto del ‘93 (in Italia il debutto ufficiale avviene al Salone di Torino del ‘96) lanciato dalla SsangYong come “una berlina granturismo trasformabile in fuoristrada”. L’innovativa linea della Musso nasce dal moderno Centro Stilistico della Musso, in Inghilterra, ed esprime un profilo particolarmente aerodinamico (Cx 0.42) che consente di raggiungere velocità elevate (190 Kmh.) in condizioni di assoluta sicurezza. Per quanto riguarda le motorizzazioni, la Musso è equipaggiata con propulsori Mercedes-Benz (costruiti su licenza) ed è disponibile nella versione V6 a benzina (3.199 cc., 220 CV) e in due modelli V5 turbodiesel (2.299 cc. da 80 CV e 2.877 cc. da 100 CV). Nell’estate del ‘92 la Isuzu inizia la commercializzazione in Europa del Bighorn Irmsher, un fuoristrada di grosse dimensioni ( lungo 4.66 mt., alto 1.84 e largo 1.74) in grado di fornire prestazioni eccezionali grazie ai potenti motori che equipaggiano sia la versione turbodiesel ad iniezione diretta (3.059 cc., 125 CV a 3.600 giri) che quella a benzina (V6 3.200 cc., 24 valvole, 193 CV a 5.600 giri); entrambi i modelli sono dotati di cambio manuale a 5 marce (con riduttore e trazione anteriore inseribile), ma è disponibile anche una versione con cambio automatico per la motorizzazione a benzina, leggermente depotenziata (177 CV a 5.200 giri). Nella primavera successiva, al Salone di Ginevra del ‘93, c’è aria di collaborazioni internazionali anche da parte della Renault che presenta in anteprima mondiale un fuoristrada ipertecnologico battezzato Racoon. Pur trattandosi di un progetto assimilabile alla categoria delle concept car, la Renault Racoon è un veicolo anfibio ipermobile in grado di muoversi a proprio agio sia in acqua che su qualsiasi tipo di terreno. Realizzata assieme ad alcune aziende leader a livello europeo nella fornitura di acciai speciali, la Racoon presenta un telaio interamente realizzato in acciaio ad alto coefficiente di elasticità; sorprendenti le doti di leggerezza (pesa circa il 30% in meno rispetto agli acciai convenzionali), abbinate ad un’elevata robustezza che assicura la massima resistenza in qualsiasi condizione di utilizzo. La carrozzeria comprende la scocca (sono in acciaio anche la superficie esterna e il rivestimento interno) e l’ampia vetratura che, oltre ad assicurare una no77 Renault Racoon: off-road ad assetto variabile E stranea al concetto di auto da rally o veicolo da raid, né tantomeno assimilabile ad eventuali applicazioni di tipo militare, la Racoon anticipa una nuova categoria di veicoli 4x4 che non conosce ostacoli. Le sue peculiarità costruttive, abbinate alle sofisitcate soluzioni tecnologiche adottate, la rendono praticamente inarrestabile nella marcia offroad; soprattutto grazie al carattere polivalente delle sue sospensioni che assicura un’estrema versatilità nelle prestazioni su fondi sconnessi e accidentati. Le sospensioni della Racoon sono formate infatti da due elementi dinamici che consentono di ottenere variazioni dell’assetto (e della distanza dal suolo) con una notevole escursione in altezza. Azionati da martinetti idraulici, i bracci dell’assetto controllano la distanza dal terreno e, grazie alla loro escursione massima di 200 mm., permettono di variare l’altezza da terra da un minimo di 300 mm. (nella marcia normale) ad un massimo di 500 mm. (in fuoristrada). L’escursione delle sospensioni (azionata direttamente dal posto di guida), permette inoltre di controllare anche l’assetto del veicolo al profilo del terreno. Oltre alle due posizioni base (alta e bassa) infatti, c’è la possibilità di variare l’assetto del veicolo in altre tre posizioni: 1) attivazione dei due bracci anteriori o dei due posteriori, allo scopo di diminuire l’incidenza negativa (picchiata) o positiva (cabrata) della carrozzeria in salita o in discesa; 2) attivazione dei due bracci laterali (sia a destra che a sinistra) per attenuare gli effetti della pendenza laterale (soprattutto nei passaggi di massima inclinazione); 3) attivazione simultanea dei quattro bracci allo scopo di adattare in maniera ottimale la posizione delle ruote alle asperità del terreno. In quest’ultimo caso il pilota può adattare con estrema precisione la variazione di assetto, grazie 78 a quattro potenziometri a cursore che consentono di modificare in ogni istante la posizione di ogni singola ruota rispetto al piano orizzontale. tevole visibilità su ogni lato, viene anche a formare le superfici apribili di accesso al veicolo. Il propulsore, montato posteriormente in posizione longitudinale, è un V6 biturbo di 2.963 cc. in grado di sviluppare 262 CV a 6.000 giri al minuto che trasmette la trazione integrale permanente mediante un cambio a sei rapporti. Ideato per privilegiare il comfort e la sicurezza piuttosto che le prestazioni velocistiche, questo motore ha una distribuzione variabile che favorisce la coppia necessaria sia per la ripresa in autostrada che nei passaggi a bassa velocità su terreni particolarmente impegnativi. Grazie inoltre ad un’apposita trasmissione a cinghia dentata, il V6 della Racoon aziona anche due idrogetti che consentono al veicolo di muoversi agevolmente in acqua ad una velocità di 5 nodi (9.26 Kmh.); due eliche intubate (e dotate di griglie di protezione) generano un flusso d’acqua fra le entrate poste sotto lo scafo a tenuta stagna e le uscite degli idrogetti alloggiate nella scudo posteriore. Per quanto riguarda la fase di progettazione, lo studio della Racoon è stato avviato nel novembre del 1991 dall’équipe di Patrick Le Quèment, direttore del Design industriale, in collaborazione con la Direzione Prodotto, Ricerca e Studi avanzati Renault; verso la fine del 1992 il progetto era pressoché ultimato nelle sue linee essenziali e nel dicembre dello stesso anno la Racoon debuttava in marcia. Oltre alle eccezionali doti fuoristradistiche, la Racoon assicura inoltre un eccellente comfort di marcia sia grazie alla sua linea avveniristica che alle molteplici soluzioni di alta tecnologia, adottate per migliorare la sicurezza nella marcia; tra queste figurano il sistema ad ultrasuoni per detergere l’acqua dall’ampia superfice vetrata convessa (sprovvista dei tradizionali tergicristalli), i potenti fari di ricerca orientabili (abbinati ad un telecamera ad infrarossi) per la marcia notturna e il sistema di basculaggio delle vetrature (apribili con un telecomando dall’esterno e da un pulsante interno) che consente l’accesso al veicolo. Un altro esempio di joint-venture viene proposto nel 1993 dalla Nissan, in occasione della presentazione della Terrano II che sostituisce la precedente versione. Il nuovo fuoristrada giapponese infatti, completamente rinnovato nello styling, presenta una linea disegnata dall’I.DE.A. Institute di Torino, è stato progettato in Inghilterra (dal Nissan Technology Center) e viene costruito in Spagna dalla Nissan Motor Iberica. La Nuova Terrano II si allinea perfettamente alla nuova filosofia costruttiva prevalente negli ultimi anni, caratterizzata da profili meno aggressivi e un look più automobilistico e aerodinamico (Cx 0.44), senza tuttavia penalizzare la robustezza del telaio e della meccanica. La scocca, la lunghezza e il passo sono diversi nelle due versioni a 3 e 5 porte, mentre per quanto riguarda le motorizzazioni (a 4 cilindri) sono disponibili sia il propulsore a benzina di 2.380 cc. (124 CV) che il turbodiesel di 2.663 cc. (100 CV). Con la realizzazione della Terrano II, la Nissan avvia inoltre (ed qui la vera jointventure) un classico esempio di collaborazione con la Ford dalla quale scaturirà 79 Nissan Terrano II un altro fuoristrada denominato Maverick. La Ford Maverick, anch’essa costruita negli stabilimenti della Nissan Motor Iberica, è in realtà una Terrano II con un marchio diverso e verrà tenuta a battesimo in anteprima mondiale nel film “Jurassick Park” di Spielberg (è la 4x4 che scorrazza i protagonisti tra i dinosauri preistorici). Restando nella produzione dell’Estremo Oriente, nell’ottobre del 93 diverse novità arrivano sulla passerella del Salone di Tokyo, dove debuttano la Nissan Mistral (derivata direttamente dalla Terrano, è destinata esclusivamente al mercato giapponese) e la Nissan Rasheen (1.500 cc. e trazione integrale permanente) che si fa notare per il design leggermente retrò che si discosta dalle linee tradizionali della normale produzione. La rassegna giapponese vede inoltre il debutto della Honda nel settore dell’off-road con due modelli che, seppur commercializzati nel mercato asiatico con il marchio Honda, sono in realtà scaturiti da una serie di joint-venture con altre aziende. Nel primo caso si tratta della Honda Cross Road, versione giapponese della Land Rover Discovery equipaggiata per l’occasione con il V8 di 3.5 lt. (166 CV, 170 Kmh.) e nel secondo caso della Honda Jazz; quest’ultima, scaturita da un accordo tra Honda-Isuzu, è una versione super-accessoriata della Opel Frontera Sport. Particolarmente vivace e dinamico inoltre il panorama delle nuove proposte nel settore delle concept car a trazione integrale, che annovera diversi modelli. 80 Nissan Terrano MY 2005 81 Tra questi, vanno segnalati le Isuzu Vehicross e XU-1, le Mitsubishi Lynx e Pajero Fiel d-Guard e la Daihatsu Multi Personal 4. La Isuzu Vehicross (sarà l’unica 4x4 concept ad approdare alla produzione di serie) equipaggiata con un 4 cilindri (1.588 cc.) sovralimentato e turbocompresso, caratterizzata da una emissione particolarmente ridotta degli idrocarburi incombusti (inferiore persino al già contenuto standard in vigore sul mercato americano); dotata di trazione integrale permanente, la Isuzu Vehicross presenta una linea molto futuribile, che si discosta sensibilmente dalla normale produzione, abbinata a dimensioni estremamente contenute (lunga meno di 4 metri, con un passo di 2.51 mt.). Ancora più esasperati i profili e il look della Isuzu XU-1, più grande (è lunga 4.46 mt.) e più potente nella motorizzazione (V6 di 3.165 cc.); da segnalare dal punto di vista estetico le ruote di grande diametro e le portiere apribili verso l’alto. Anche le proposte della Mitsubishi sono rivolte al futuro, sia per quanto riguarda l’allestimento che le innovazioni tecnologiche introdotte su alcune concept car estremamente avveniristiche. La prima, battezzata Lynx, presenta una linea molto slanciata e un assetto rialzato abbinato a dimensioni molto contenute ( lunga appena 3.29 mt.); equipaggiata con un 4 cilindri a doppio albero con Isuzu Vehicross 82 5 valvole per cilindro, sviluppa 64 CV a 3.500 giri e presenta un’aria molto sbarazzina grazie all’originale soluzione del parabrezza in due elementi separati (l’unica concessione alle tipologie tradizionali rappresentata dalla collocazione esterna della ruota di scorta nella parte posteriore). La seconda concept targata Mitsubishi è la Fiel d-Guard, una particolare evoluzione del collaudatissimo Pajero che, oltre ad aver subito una radicale trasformazione stilistica, è in grado di affrontare i percorsi off-road più impegnativi, soprattutto nell’attraversamento di corsi d’acqua dove rivela una capacità di guado di 80 centimentri. Riservata ad un utilizzo prevalentemente urbano è invece la Multi Personal 4 della Daihatsu, una vetturetta a trazione integrale (1.589 cc.) con cambio automatico a 4 rapporti caratterizzata da un abitacolo molto flessibile che può essere modificato in funzione del numero degli occupanti. Ma la vera novità del Salone di Tokyo nell’ambito della produzione di serie (destinata soprattutto ai mercati nord-americani e medio-orientali) viene ammirata nello stand Toyota, dove viene presentato l’imponente Mega Cruiser (lunga addirittura 5 metri) che, nelle intenzioni della Casa nipponica, dovrebbe essere la risposta giapponese al gigante americano Hummer. Dotata di cambio automatico e trazione integrale permanente, la Toyota Mega Cruiser è equipaggiata con un propulsore a 4 cilindri turbodiesel (4.104 cc., 155 CV) e presenta un originale (seppur non inedito) sistema di sterzatura esteso anche alle ruote posteriori, in controfase con le anteriori, che assicura un raggio di sterzata di appena 5.6 metri. Ma poiché spesso gli estremi si toccano, la Toyota esordisce pochi mesi dopo anche nel settore delle 4x4 stradali quando, nel marzo del ‘94, presenta la piccola RAV 4 (1.998 cc., 4 cilindri a benzina, 129 CV, 170 Kmh.), dotata di trazione integrale permanente e bloccaggio del differenziale centrale azionabile elettricamente. Infrangendo una tradizione che sembrava ormai ampiamente collaudata tra la maggior parte delle aziende del Sol Levante, la Toyota sceglie l’Europa, ed in particolare la passerella del Salone di Ginevra, per l’anteprima mondiale della RAV 4 (Ricreational Active Vehicle), il nuovo fuoristrada della casa giapponese progettato e costruito tenendo presente soprattutto le esigenze del mercato europeo. Nella primavera del ‘94 la General Motors presenta la nuova Blazer S-10 (disponibile sia nelle versioni con passo corto a 3 porte che in quella lunga a 5 porte) e un’inedita versione pick-up serie “S”. Tutti i modelli, commercializzati con i marchi Chevrolet e GMC, si distinguono per il robusto telaio a longheroni con traverse abbinato ad un avantreno a ruote indipendenti con bracci trasversali, barre di torsione longitudinali e barra stabilizzatrice. Equipaggiate con un motore V6 di 4.300 cc. in grado di sviluppare 156 CV, le nuove Blazer assicurano prestazioni molto brillanti su strada (170 Kmh., con un’accelerazione da 0 a 100 Kmh. di circa 12 secondi) e una buona versatilità nell’utilizzo off-road. 83 UAZ 3160 Toyota RAV4 Range Rover mod. 94 Al top della tipologia dei lussuosi pick-up a trazione integrale si colloca un’altra interessante novità “made in USA”, rappresentata dal Dodge Ram 1500 4x4 Laramie SLT che costituisce una delle proposte più raffinate e interessanti del settore. Equipaggiato con un impianto frenante dotato di dischi autoventilanti anteriori, ABS, airbag lato guida, barre anti-intrusione alle portiere e cambio automatico rinforzato a quattro rapporti, il Dodge Ram 4x4 ha la trazione anteriore inseribile tramite la stessa leva che aziona il riduttore. Per quanto riguarda le motorizzazioni, la gamma dei motori assicura un’ampia scelta di propulsori che nelle versioni a benzina comprende un V6 di 3.9 lt. (175 CV), un V8 di 5.2 lt. (220 CV), un V8 da 5.9 lt. (230 CV) e un V10 da 8 lt. (300 CV). Tra le versioni a gasolio è disponibile un V8 turbodiesel con intercooler di 5.9 lt. (175 CV a 2.500 giri) sul modello equipaggiato con cambio manuale a cinque marce; lo stesso motore, leggermente depotenziato (160 CV a 2.500 giri) è montato inoltre anche sul modello con cambio automatico. 84 Rimanendo nelle dimensioni extralarge, ma trasferendoci nel panorama della produzione europea, va segnalato nello stesso periodo l’arrivo sul mercato italiano della Land Rover Defender 110 Pick-up. L’abitacolo, a doppia cabina, consente di ospitare fino a sei persone e l’ampio cassone posteriore assicura una capacità di carico di 1391 Kg. Dall’Europa dell’Est arriva la proposta della nuova UAZ 3160 che, nonostante le ambizioni della Ulianovskiy Automobilnyl Zavod (Fabbrica Automobili di Ulyanovsk), è destinata purtroppo a rimanere nella fase di prototipo a causa della pesante crisi ecomonica conseguente alla frantumazione dell’impero sovietico. Continuando la tradizione della gloriosa, anche se datata, Uaz 469B (in produzione da oltre vent’anni), la Uaz 3160 non è il prodotto di una semplice operazione di design, ma rappresenta un nuovo modello sotto tutti i punti di vista. La linea, radicalmente stravolta rispetto alla tradizione Uaz, si ricollega a quella delle 4x4 più moderne, con linee morbide e arrotondate, ed è caratterizzata dall’assenza di grondine e dal terzo finestrino laterale situato in corrispondenza del bagagliaio. Dal punto di vista meccanico la nuova Uaz 3160 è equipaggiata con sospensioni a molle elicoidali (che hanno sostituito le vecchie balestre) sia anteriormente che posteriormente e monta un motore a benzina a quattro cilindri con iniezione; per il mercato interno era prevista una versione a carburatore con cilindrata leggermente maggiorata (2.900 cc.) per compensare la perdita di potenza che non supera comunque gli 85 CV. Piuttosto lenta su asfalto e nei percorsi misto-veloci, ma estremamente affidabile nel fuoristrada, la Uaz 3160 doveva essere esportata anche in America ma non mai uscita dalle linee di montaggio. Dall’altra parte dell’oceano arrivano intanto le prime indiscrezioni sullo sbarco “made in USA” della Mercedes, con l’avvio della costruzione degli stabilimenti a Tuscaloosa (Alabama). Le notizie sono ancora frammentarie e le riviste specializzate pubblicano i primi bozzetti di alcuni pick-up e di un elegante 4x4 a passo corto che, alcuni anni dopo approderà (opportunamente rielaborata), sui mercati di tutto il mondo nella gamma della Classe M. Echi di novità e anticipazioni arrivano anche dal mercato giapponese quando, già nella seconda metà del ‘94, iniziano a circolare le prime voci sulle future novità della Honda e della Mitsubishi. Per la Honda si tratta di un esordio assoluto, dopo le precedenti “escursioni” off-road del marchio effettuate con la Crossroad (vesione giapponese della Land Rover Discovery) e la Jazz (Isuzu Amigo-Opel Frontera), ma ci vorrà ancora qualche anno per arrivare alla versione definitiva della CR-V. Assai più rapida sarà invece la gestazione della Mitsubishi Pajero Mini, un piccolo fuoristrada caratterizzato da dimensioni estremamente ridotte ( lungo 3.29 mt., largo 1.35 mt. e alto 1.63 mt.) e un propulsore a quattro cilindri di soli 659 cc. che sviluppa 54 CV a 5.400 giri; destinato esclusivamente al mercato interno, questo modello sarà affiancato da un’altra versione leggermente più grande (3.5 metri) e potente nella motorizzazione (1.095 cc., 80 CV a 6.500 giri). 85 Peugeot Touareg: una 4x4 elettrica per il futuro P resentata a sorpresa al Salone di Ginevra del 1997, la Peugeot Touareg ha suscitato una grande curiosità per la nuova concezione e le soluzioni inedite adottate per la prima volta su un veicolo a quattro ruote motrici. La Peugeot Touareg rappresenta infatti una originalissima quanto singolare 4x4 a trazione elettrica. Vagamente ispirata nella linea ai dune-buggy degli anni Settanta, questo bizzar- ro veicolo si propone essenzialmente come una concept car che intende riconciliare il concetto di automobile con quello del rispetto per l’ambiente. Caratterizzata da una carrozzeria monoscocca in fibra di carbonio, verniciata in uno smagliante blu elettrico (sul quale spicca il rosso vivo degli interni), la Touareg è una tutto-terreno scoperta a 2 posti il cui look futuribile si presenta decisamente inu- 86 suale per un’auto a quattro ruote motrici. Lunga 3.5 mt., larga 1.93 e alta 1.31, la Touareg dispone di un propulsore elettrico (35.5 kW) situato in posizione centrale e consente di raggiungere una velocità massima di ca. 115 Kmh. Tra le dotazioni di bordo è inserito inoltre un gruppo elettrogeno che permette la ricarica delle batterie, assicurando un’autonomia di 300 Km. con 15 litri di carburante. Il fuoristrada indossa l’abito da sera CAPITOLO 7 1995-1998 Con il debutto della nuova Range Rover, presentata in anteprima nell’autunno del ‘94, viene archiviato un altro capitolo riguardante i miti inossidabili che avevano segnato le tappe fondamentali nella storia del fuoristrada moderno. A solo un anno dal traguardo dell’ambizioso anniversario delle nozze d’argento, la vecchia Range viene mandata (forse troppo frettolosamente) in pensione. La nuova ammiraglia dell’azienda di Solihull, seppur impeccabile nella linea e affidabile in fatto di motore e prestazioni, accentua ulteriormente il solco tracciato nel 1970 dalla prima Range Rover. Anche in questo caso comfort e abitabilità sono fuori discussione, ma si è passati da un salotto ad un vera e propria suite a quattro ruote motrici che ha fatto arricciare il naso ai driver più ortodossi; né lasciava alcun ombra di dubbio l’esclusiva fascia di mercato (il modello più caro costa oggi oltre 120 milioni) dei potenziali acquirenti. Ormai il concetto del fuoristrada puro la cui immagine, sia chiaro, non dev’essere necessariamente legata ad un veicolo scomodo e spartano che avanza come una lumaca in autostrada, è definitivamente sparito dalle tipologie offerte da un mercato in continua evoluzione. Anche l’industria giapponese, sempre tempestiva nel recepire le nuove tendenze, non rimane a guardare e tra i primi colossi impegnati a rispolverare la produzione figurano la Toyota e la Mitsubishi. Entrambe le aziende presentano, tra il ‘95 e il ‘96 le nuove versioni dei rispettivi modelli di punta ma mentre la Mitsubishi si limita ad equipaggiare con due inedite motorizzazioni (2.8 Turbodiesel Intercooler e 3.5 V6 Benzina) l’ormai collaudatissimo Pajero, la Toyota lancia sul mercato internazionale la nuova ed elegante versione della Land Cruiser. Equipaggiata con propulsori di grande potenza, sia nella motorizzazione a benzina (4.477 cc., 151 CV) che nelle versioni diesel (2.982 cc. da 92 CV; 4.164 cc. da 125 CV), anche la nuova Toyota Land Cruiser è ormai lontana anni luce dalla gloriosa BJ che per decenni aveva conteso lo scettro sui mercati di tutto il mondo alla Land Rover. La stessa linea del veicolo ha poco o nulla a che fare con i modelli precedenti e, forse anche per la progettazione CAD (adottata ormai dalla maggior parte dei costruttori), si allinea un po’ troppo sfacciatamente ad alcuni modelli già in circolazione. Nel 1995 inoltre, in occasione del Salone della Val d’Isere, suscita molto clamore la mastodontica Mega Track, una 4x4 prodotta da un’azienda artigiana francese specializzata in prototipi con tecnologie d’avanguardia abbinate ad un design moderno, caratterizzato da linee molto innovative. 87 Mega Track Mercedes AAV La Mega Track si distingue dagli altri fuoristrada innanzitutto per la sua linee, che la fanno assomigliare ad una delle tante GT presenti sul mercato. In realtà le sue dimensioni imponenti (è lunga oltre 5 metri e larga 2.25) e la sua monumentale silhouette, oltre a farla apparire come un vero “mostro” di potenza, le conferiscono un aspetto maestoso al cui confronto anche un comune fuoristrada (una Defender è lunga 3.86 mt. e larga 1.79) sembra un’auto in miniatura. L’idea originale risale al 1987 quando alla Mega, dopo una fase di rodaggio nella produzione di 4x4 di piccole dimensioni, prende forma l’ipotesi di realizzare un coupé sportivo a quattro ruote motrici. Le caratteristiche del veicolo dovevano assicurare un utilizzo ottimale su qualsiasi tipo di percorso, dalla pista allo sterrato, in condizioni di massima affidabilità e a qualsiasi velocità. Un progetto ambizioso, ma che nei giro di sei anni ha portato alla realizzazione del modello definitivo, presentato in anteprima assoluta nella primavera del ‘95. Per la motorizzarione, la scelta è caduta sul 12 cilindri Mercedes di 6 litri, munito di cambio automatico, in grado di sviluppare una potenza di 395 CV a 5.200 giri al minuto. La velocità massima, nonostante la generosa scorta di cavalli, è limitata a 250 Kmh., mentre la trazione integrale permanente ripartisce la coppia al 34% sull’asse anteriore e al 66% su quello posteriore. Le sospensioni automatiche consentono un’escursione in altezza di oltre 20 centimetri. Da segnalare l’adozione di freni surdimensionati (4 dischi da 376 mm.) e delle gomme Michelin 285/55x20 anteriori e 325/50x20 posteriori, appositamente sviluppate e realizzate per la Mega Track. Il costo di questa 4x4 da sogno si aggira attorno ai due milioni di franchi (siamo intorno ai 600 milioni di lire) e assicura una accessoristica di prim’ordine che comprende condizionatore a regolazione elettronica, sedili anteriori regolabili elettricamente, videoretromarcia, volante regolabile in altezza e profondità, sistema audio-video Blaupunkt, impianto CD e telefono cellulare GSM. Per quanto riguarda invece l’andamento del mercato, il bienno ‘95-96 rappresenta un periodo di grande ripresa per il numero di immatricolazioni di 4x4 sul mercato nazionale. Siamo ancora lontani dalle cifre della prima metà degli anni ‘80, ma i segni di ripresa sono inequivocabili: nel ‘95 le vendite raggiungono le 29.568 unità (1.7% del totale delle immatricolazioni in Italia), che salgono a 35.452 nel ‘96 (2.06%): il primo posto nella hit parade spetta in entrambi i casi al Pajero (3.770 unità nel ‘95, 5.387 nel ‘96), mentre la postazione d’onore viene conquistata dall’Opel Frontera nel ‘95 (3.167 unità) e dalla Nissan Terrano II nel ‘96 (3.524 unità). Da segnalare inoltre, sempre nel ‘96, l’apparizione al Salone di Ginevra della Mercedes AAV, un prototipo interamente realizzato negli stabilimenti americani della casa di Stoccarda, che suscitò ampi consenti tra il pubblico e molta curiosità tra gli addetti ai lavori. La Mercedes AAV (All-Activity-Vehicle) venne presentata come un precursore dei futuri veicoli a trazione integrale per il tempo libero che sarebbero stati lanciati sul mercato americano nel ‘97, per approdare sui mercati europei a partire dalla primavera dell’anno successivo. 89 Estremamente innovativa nella linea, molto dinamica e dal look particolarmente accattivante, la AAV esprime e sintetizza al meglio quel concetto di veicolo multiuso e polivalente che, nei fuoristrada dell’ultima generazione, sembra essere la tendenza prevalente a cui si ispirano la gran parte delle aziende automobilistiche attualmente impegnate nella produzione di veicoli a trazione integrale. Ed proprio nel sistema di trazione integrale adottato dai progettisti che la Mercedes AAV rivela uno dei suoi maggiori punti di forza; per la prima volta infatti appare in un veicolo 4x4 una trazione integrale permanente basata su un sistema di trazione a comando elettronico, in grado di assicurare un’ulteriore stabilità in condizioni esasperate di guida. Il cuore del sistema è basato su un microcomputer integrato nel meccanismo di trazione integrale che riconosce, in base a segnali emessi da microsensori, lo slittamento di ogni singola ruota riducendo in presenza di situazioni critiche la coppia del motore fino a quando l’aderenza delle ruote non abbia raggiunto nuovamente un valore ottimale. Purtroppo la AAV, come capita alla maggior parte delle concept car, non arriverà sul mercato nella grintosa veste esibita sulla passerella del debutto e darà origine, riveduta e corretta, alla prestigiosa Classe M che nel 1998 viene insignita del titolo di “Migliore Fuoristrada del mondo” dalla più autorevole rivista automobilistica tedesca, emergendo con grande distacco dalle altre vetture della categoria. Il lancio europeo avviene nel corso del Salone di Francoforte del 1997 dove la Classe M (che ripropone il sistema di trazione integrale con gestione elettronica invece dei bloccaggi differenziali) si presenta con due motorizzazioni a benzina: la ML 230 (2.3 cc., 4 cilindri, 110 CV, 180 Kmh.), espressamente realizzata per il mercato europeo ed equipaggiata con cambio manuale a 5 marce, e la ML 320 (3.2 cc., V6, 160 CV, 180 Kmh.), con cambio automatico. La continua ricerca stilistica e prestazionale che, lo ribadiamo ancora una volta, ha radicalmente stravolto le tradizionali tipologie di veicoli off-road venendo a creare una serie di veicoli per i quali si resa necessaria persino la coniazione di neologismi (sport utility, all terrain, family wagon, etc.) sempre più ricorrenti nella recente produzione di fuoristrada. In alcuni casi tuttavia la ricerca ha prodotto delle concept-car molto raffinate che, nonostante la silhouette futuribile, non è escluso che possano quanto prima rimpiazzare la produzione di serie di alcuni dei modelli più in voga attualmente in produzione. Un esempio significativo è quello della Jeep che negli ultimi anni ha stupito tutti con la presentazione dei rivoluzionari prototipi Icon (1997) e Jeepster (1998), destinati a raccogliere la pesante eredità della mitica Jeep alle soglie del terzo millennio. La “Jeep Icon”, come ha dichiarato John E. Herlitz (Vice Presidente della Chrysler Corporation), “rappresenta un’eplorazione creativa verso una nuova generazione di Jeep Wrangler. E’ solida, costruita come un truck e le sue capacità sono state ulteriormente valorizzate”. 90 Mercedes Classe M Jeep Icon SsangYong Musso SsangYong KJ Pur trattandosi di un prototipo, la Jeep Icon costituisce indubbiamente una delle proposte più affascinanti di fine secolo e, fin dal primo approccio, appare evidente il grosso sforzo realizzato dai progettisti della Chrysler. Riproponendo la Wrangler del Duemila, sono riusciti infatti ad ottenere un look estremamente compatto e aggressivo, grazie soprattutto al sovradimensionamento dei paraurti, dei pneumatici e dei passaruota. Tra gli altri interventi, è stata allargata la carreggiata (12.7 cm.) e aumentata l’escursione della ruota da otto a dieci pollici (20.3 a 24.5 cm.), mentre la lunghezza è stata ridotta di 12.7 cm. L’elemento principale risiede comunque nel fatto che la Jeep Icon (2.4 lt., 5 marce, ABS e freni a disco sulle 4 ruote) ha la carrozzeria realizzata in un corpo unico, con una gabbia di protezione integrata in alluminio. Appena un anno dopo la Jeep Icon, la Chrysler presenta al Salone di Detroit (e dopo pochi mesi a Givevra) la Jeepster, un’altra innovativa proposta per il fuoristrada del terzo millennio. Direttamente elaborata dal Centro Stile Jeep, la Jeepster si propone di coniugare stilisticamente le peculiarità di un normale fuoristrada con le linee di una vettura sportiva. Il risultato scaturito da questo singolare esperimento è una linea estremamente accattivante e insolita nella quale, pur essendo riconoscibili i tratti (seppur sfumati) della classica Jeep, sono evidenti tutte le tendenze stilistiche che probabilmente ritroveremo sulle 4x4 della prossima generazione. Equipaggiata con un motore a 8 cilindri da 4.7 litri a 32 valvole (lo stesso allora in dotazione sulla Grand Cherokee), la Jeepster è dotata inoltre di trazione automatica a quattro rapporti (Quadra Trac) e presenta un assetto variabile in funzione dell’utilizzo su strada (altezza minima da terra 14.6 cm.) e dell’impiego in fuoristrada (24.6 cm.). Sul versante europeo è ancora la meccanica Mercedes a stupire, con un’ardita elaborazione stilistica realizzata dal Gruppo Henri Heuliez, in collaborazione con la Heuliez Torino, che nel ‘97 presenta il coupé Intruder. Si tratta di una concept-car (la linea rappresenta una sintesi inedita tra un coupè roadster e una 4x4) allestita su telaio e meccanica della Mercedes G (3.199 cc., V6, 155 CV) caratterizzata da una linea estremamente filante e aerodinamica abbinata a prestazioni in fuoristrada di tutto rispetto, sia per quanto riguarda la capacità di superare pendenze sino all’80% che nei valori degli angoli di attacco (35° anteriormente e 30° posteriormente) e della distanza minima da terra (30 cm). L’insieme della trasmissione si compone di un cambio automatico a 4 rapporti e di una scatola di trasferimento a 3 alberi con differenziali interposti bloccabili al 100%. Per quanto riguarda i veicoli di serie, la produzione degli ultimi anni è ormai storia recente e ha visto un’ampia gamma di nuovi modelli immessi sul mercato con una costante regolarità. Nel 1996, oltre alla nuova Jeep Wrangler, sono soprattutto le aziende giapponesi e sudcoreane a sfornare novità e rivisitazioni di modelli già in produzione; tra queste vanno segnalate la Suzuki (SX-90 e Vitara Wagon con motore turbodiesel), la SsangYong (KJ e Musso Special), e la Kia (Sportage Cabrio e Turbodiesel). 92 La Suzuki X-90, pur presentandosi come una tre volumi, rappresenta una perfetta simbiosi tra una vettura “targa a due posti” e le polivalenti prerogative di una compatta tutto terreno. Ideata per assicurare la massima versatilità in qualsiasi condizione d’utilizzo, dall’impiego cittadino ai percorsi in fuoristrada, dalle lunghe trasferte autostradali ai tragitti misto-veloci, la X-90 è dotata inoltre di un tettuccio asportabile che consente di passare rapidamente dalla configurazione chiusa a quella aperta; è sufficiente azionare l’apposita leva di sblocco per togliere le due parti trasparenti che compongono il tetto che, una volta rimosse, possono essere stivate nell’apposito vano del baule. Dal punto di vista meccanico, la Suzuki X-90 è equipaggiata con un motore a 4 cilindri di 1.590 cc. (16 valvole con iniezione multi-point) che sviluppa una potenza massima di 96 CV a 5.600 giri/min.); per l’impiego in fuoristrada è disponibile la trazione anteriore inseribile e i rapporti ridotti. La SsangYong KJ si presenta come un veicolo caratterizzato da una linea che, pur essendo leggermente retrò nei suoi tratti essenziali, risulta tuttavia gradevole e non priva di una certa componente aerodinamica. Soprattutto per quanto riguarda il muso tondeggiante, delineato dal generoso profilo del cofano motore alleggerito in parte dalle fiancate laterali dei passaruota (sulle quali si appoggia con un taglio netto) e dalla depressione presente nella parte centrale posteriore. Equipaggiata con trazione integrale permanente, la SaangYong KJ ha esordito in due versioni denominate E 23 e E 32, identiche nelle dimensioni (lunghezza 4.25 mt., larghezza 1.85 mt., altezza 1.84 mt.) e nel tipo di cambio (a richiesta sia il cambio manuale che automatico). Diverse invece le motorizzazioni, entrambe a benzina, fornite sulla KJ E 23 (4 cil., 2.295 cc., 110 CV, 5.300 giri/min.) e sulla KJ E 32 (6 cil., 3.199 cc., 162 CV, 5.500 giri/min.). Nel 1997 la SsangYong presenta una nuova versione della KJ, denominata Korando, mentre la Daihatsu lancia la Terios, un fuoristrada “tascabile” lungo appena 3.84 metri, equipaggiato con un motore di soli 1.296 cc. che sviluppa 83 CV. Presentata al Salone di Ginevra del ‘96 come prototipo con la sigla MS-X97, la Daihatsu Terios rappresenta uno dei fuoristrada più piccoli e versatili attualmente presenti sul mercato dei veicoli a quattro ruote motrici. Particolarmente maneggevole e a proprio agio su qualsiasi tipo di percorso, grazie al servosterzo e al ridotto diametro di svolta (9.4 mt.), la Terios è dotata di trazione integrale permanente, ABS, doppio airbag, impianto di climatizzazione, autoradio con lettore di cassette e differenziale autobloccante sul retrotreno, oltre ad una vasta gamma di numerosi altri accessori. Ma la grossa novità dell’anno è comunque la Honda CR-V, già ammirata come prototipo al Salone di Ginevra dell’86, dopo il debutto in anteprima mondiale sul mercato giapponese nell’ottobre del ‘95. L’Honda CR-V (Compact Recreational Vehicle) è equipaggiata con un nuovo 4 cilindri in linea di 2 litri (1.973 cc.) a 4 valvole per cilindro, in grado di sviluppare 128 CV a 5.500 giri. Oltre a segnare il debutto della casa nipponica nel settore delle 4x4, la nuova Honda a trazione integrale si propone inoltre l’ambizioso 93 compito di fornire un approccio diverso nell’ambito dell’utilizzo del fuoristrada. Questo obiettivo, che in pratica si prefigge di coniugare in maniera ottimale il comportamento stradale di una berlina di lusso con le condizioni di aderenza in grado di superare qualsiasi ostacoli nei tragitti off-road, si basa soprattutto sul sofisticato sistema di trazione, denominato Real Time 4 WD Dual Pomp, che inserisce automaticamente le quattro ruote motrici. Grazie a due pompe idrauliche la coppia di trazione-propulsione è suddivisa mediante un ripartitore che, in base alle difficoltà di aderenza, consente di trasferire la trazione anche sull’asse posteriore (la ripartizione varia in base alle condizioni del fondo dal 100% all’anteriore e 0% al posteriore a una condizione del 50% sui due assali). Per quanto riguarda il cambio, presente sul modello d’esordio solo nella versione automatica, è ora disponibile anche nella versione meccanica a 5 marce. Ricordiamo ancora una volta, comunque, che la Honda CR-V, pur segnando l’ingresso ufficiale del colosso giapponese nel mondo dei fuoristrada, non rappresenta il primo veicolo off-road commercializzato con il marchio Honda. Alcuni anni prima infatti, in occasione del Salone di Tokyo del ‘93, erano gi apparsi due veicoli con lo stesso marchio realizzati grazie ad accordi di collaborazione con altre case automobilistiche come la Honda Jazz (Isuzu MU) e la Honda CrossRoad (Land Rover Discovery). Nei primi mesi del 1998, debutta l’attesissima Freelander della Land Rover le cui tiepide prerogative fuoristradistiche sono ulteriomente sottolineate dall’assenza del riduttore, mentre dall’infaticabile mercato del Sol Levante arrivano alcune interessanti novità dalla Suzuki, con la nuova Grand Vitara, dalla SsangYong (Korando Cabrio) e dalla Nissan che, oltre al nuovo Patrol GR, presenta un’inedita versione pick-up (Double Cab Navara). Per la Suzuki il lancio della Grand Vitara ha coinciso inoltre con la festa di compleanno in occasione del trentesimo anniversario della Casa nipponica nel settore dei veicoli a trazione integrale (era il 1968 quando venne avviato il progetto della mitica Jimny), che cade tra l’altro a dieci anni esatti dalla presentazione della Vitara. Leggermente sovradimensionata rispetto alla Vitara a passo lungo ( lunga 4.195 mm., larga 1.780 e alta 1.740), la nuova Grand Vitara 5 Porte è disponibile in due diverse motorizzazioni a benzina da 2 litri (4 cilindri, 16 valvole, 94 CV, 150 Kmh.) e da 2.5 litri (6 cilindri, 24 valvole, 106 CV, 165 Kmh.). Entrambi i modelli possono essere equipaggiati sia con il tradizionale cambio a 5 rapporti che con la trasmissione automatica, oltre al nuovo selettore che consente di passare dalla normale trazione sulle due ruote alla trazione integrale (Drive Select 4x4). Arrivato in Europa in occasione del Salone di Ginevra, il nuovo Nissan Doble Cab Navara è stato presentato ufficialmente nell’estate del ‘98 a Praga, arrivando in Italia nel mese di settembre in occasione della Fiera del Levante di Bari. Sempre dall’Estremo Oriente arriva in Europa la Tata Safari, un’interessante 4x4 a 5 porte presentata in anteprima mondiale al Salone di Ginevra, che affianca la già consistente gamma di fuoristrada finora prodotti (Pick-up, Sport e Van). 94 Land Rover Freelander Suzuki Grand Vitara Hyundai Galloper Honda CR-V Nissan Double Cab Navara 1997: il sorpasso dei “light truck” 4x4 nelle vendite in USA L ’automobile è diventata ormai un bene di consumo a prova di qualsiasi crisi economica. E anche le esigenze legate alla mobilità individuale, ampiamente esaudite dal punto di vista tecnologico e dalla diffusione dei veicoli in ambito familiare (ogni componente dispone oggi di una “propria” auto), ha determinato lo spostamento dell’attenzione dell’utente in procinto di acquistare un nuovo veicolo verso quei parametri definiti come sovrastrutturali. In altre parole si è attirati soprattutto nei confronti di una gratificazione di ordine estetico ed emotivo che, assai spesso, si associa anche ad desiderio di esibire un personale stile di vita e (non di rado) anche il proprio “status”. Sulla scia di queste considerazioni anche il veicolo off-road è stato ben presto risucchiato nel vortice della moda e, seppur privilegiando ancora nel suo utilizzo la passione e il di- Taxi 4x4 a New York 96 vertimento, rende sempre più indissolubile il legame esistente tra la produzione dei nuovi modelli e le varie tendenze che si vanno affermando da alcuni anni a questa parte. Ad esaltare ulteriormente questo fenomeno è stata inoltre la crescente importanza assunta negli ultimi anni, soprattutto nelle società più evolute e industrializzate, delle svariate attività legate al tempo libero. Ecco spiegata, in estrema sintesi, la nascita e il successo delle sport-utility registrate a partire dalla metà degli anni Novanta sul mercato statunitense, da sempre patria indiscussa di tutte le mode e di ogni fenomeno di costume. La consacrazione definitiva si è avuta nel 1997 quando, per la prima volta nella storia del panorama automobilistico americano, l’esplosione dei “light truck” (termine che raggruppa sia le sport-utility che i pick-up 4x4) è stata talmente intensa che la produzione ha superato per la prima volta quelle delle tradizionali vetture stradali. Rispetto all’anno precedente infatti, quando i “light trucks” si erano attestati sulle 5.658.812 unità (48.3% del mercato) contro i 6.055.939 veicoli stradali (51.7%), nel 1997 la produzione dei fuoristrada USA raggiunge quota 6.013.084 (50.5%) contro i 5.885.200 (49.5%) di automobili. La fetta più grande di questa grossa torta spetta al pick-up F 150 della Ford, con 746.111 unità vendute, seguito dai modelli Chevrolet (553.729), dal Ford Explorer (383.852), dal Dodge Ram (350.257) e dal Ford Ranger (298.796). L’anno d’oro per le aziende americane è confermato inoltre dal controllo dell’85% del mercato delle sport-utility e dei pickup che si traducono in introiti economici di tutto rispetto; nei primi nove mesi del ‘97 le tre grandi Case di Detroit (Chrysler, Ford e General Motors) hanno guadagnato complessivamente circa 12 miliardi di dollari, pari a 21.800 miliardi di lire. Questo sorpasso dei 4x4 ha scatenato gli appetiti di molte aziende anche lontano dai clamori dei saloni specializzati, come nel caso della Cadillac (divisone di lusso della GM) che, allarmata forse dal successo di altri modelli nazionali e stranieri (come la Lincoln Navigator e la Lexus RX 300, i SUV di lusso dei marchi Ford e Toyota) ha dichiarato proprio in questa occasione di voler entrare quanto prima nel settore delle sport-utility. Presente sul mercato delle quattro ruote dal 1945 la Telco, società automobilistica del gruppo TATA (con i suoi 9 miliardi di dollari di fatturato rappresenta il maggiore gruppo industriale presente in India) ha fatto registrare nella stagione ‘97 un numero di vendite di oltre 215.000 veicoli divenendo la principale azienda automobilistica indiana. Caratterizzata da una linea moderna e aerodinamica, nella quale prevalgono i profili arrotondati delle ultime tendenze stilistiche, la nuova Tata Safari presenta un profilo abbastanza compatto a dispetto delle sue dimensioni (è lunga 4.650 mm., larga 1.819 e alta 1.918). Espressamente progettata per i mercati internazionali, la Tata Safari a 5 porte è arrivata in Italia entro la fine del ‘98, inizialmente equipaggiata con un motore turbodiesel con intercooler (2 litri, 90 CV, 125 Kmh.) e, a partire dalla primavera del ‘99, anche nella versione a benzina (2 litri, 16 valvole, 134 CV, 145 Kmh.); tutti i modelli Tata, a partire dal 1995 (anno in cui approdarono le prime versioni Pick-Up e Van a due ruote motrici), sono importati e distribuiti sul territorio nazionale dalla Melian Italia, un’azienda di Rovere in provincia di Trento specializzata nel settore degli importatori e dei rappresentanti ufficiali di casa automobilistiche straniere. Sempre nell’edizione ‘98 del Salone di Ginevra vengono presentate inoltre l’ultima versione della Opel Monterey e la nuovissima Honda J-WJ. Lanciata nel 1992 la Monterey (si tratta in pratica dell’Isuzu Tropeer con il marchio Opel) si presenta completamente rinnovata dal punto di vista estetico, posizionandosi al vertice della gamma dei fuoristrada Opel abbinando al comfort di una berlina di lusso un’estrema mobilità nella guida in fuoristrada. I punti di forza della nuova Monterey sono rappresentati dai nuovi propulsori bialbero a 4 valvole per cilindro: un V6 a benzina di 3.2 litri (177 CV) e un turbodiesel a 4 cilindri di 3.1 Lt. (114 CV) ad iniezione diretta “common rail”, con 4 valvole per cilindro; sulla versione a benzina è disponibile anche la trasmissione automatica a 4 rapporti invece del normale cambio manuale a 5 marce. Sulle nuove versioni il passaggio di trazione dalle 2 alle 4 ruote motrici (e viceversa) può avvenire anche con il veicolo in marcia (al di sotto dei 100 Kmh.); a tale scopo è sufficiente utilizzare l’apposito pulsante situato sul cruscotto che agisce elettronicamente sulla trazione. Dal punto di vista della sicurezza, oltre all’airbag lato guida e alle barre antisfondamento inserite nelle quattro porte, sono stati adottati dei rinforzi in corrispondenza delle soglie, dei montanti e delle maniglie delle porte. La Honda J-WJ è 4x4 concept che nelle intenzioni della Casa nipponica si propone di bissare il successo della ormai affermata CR-V. L’idea stavolta quella di una 4x4 leggera e compatta, con una linea estremamente innovativa in perfetta sintonia con le nuone tendenze stilistiche affermatesi negli ultimi anni. Equipaggiata con un motore a 4 cilindri di 1.500 cc., la Honda J-WJ Concept presenta dimensioni molto contenute (è lunga 3.95 metri, larga 1.78 e alta 1.77) e dispone di un sistema automatico di trazione (Real Time 4WD) che assicura l’inserimento automatico delle quattro ruote motrici ogni qualvolta le condizioni 98 stradali lo richiedano. Presentata solo come prototipo, la Concept J-WJ (che debutterà sul mercato l’anno successivo come Honda HR-V) è equipaggiata inoltre con ABS e doppio airbag, ed dotato di un sosfisticato sistema di navigazione. Ancora dal mercato asiatico, ma stavolta dalla Corea del Sud, esordisce una nuova ed interessante proposta nata dalla collaborazione tra la Mitsubishi e la Hyundai, battezzata Galloper. Sia i modelli a passo corto che a passo lungo, derivano in pratica dalle precedenti versioni della Mitsubishi Pajero uscite di produzione, completamente rivisitate in numerosi particolari estetici. La Hyundai Galloper presenta un look molto gradevole e accattivante che, ben presto, riscuote in discreto successo nelle vendite grazie anche a un prezzo che, seppur allineato alla concorrenza, consente tuttavia di risparmiare alcuni milioni rispetto ai 4x4 di maggiore prestigio. I modelli per il mercato nazionale sono tutti equipaggiati con motore turbodiesel con intercooler da 2.5 litri (101 CV a 4.000 giri/min.). Sul versante italiano arrivano finalmente due interessanti novità realizzate dalla Magnum Industriale che, in occasione dell’edizione ’98 del Salone dell’Auto di Torino, ha presentato (a quattordici anni dal debutto, risalente all’84) la nuova versione stradale della Magnum e la Magnum V.A.V., allestita per impieghi militari. Dopo una lunga assenza dai saloni specializzati la Magnum Industriale, completamente rigenerata dopo il recente riassetto societario, rappre- Magnum V.A.V. 99 senta ancora oggi l’unico portabandiera della produzione italiana nel settore dei fuoristrada e si appresta a vivere una nuova ed entusiasmante giovinezza grazie ad una gamma di veicoli completamente rinnovata sia nell’estetica che nelle motorizzazioni. La nuova Magnum è stata completamente ridisegnata sia nelle linee esterne che negli allestimenti interni, che presentano un ulteriore tocco di eleganza grazie ai nuovi colori e alla pelle pregiata scelta per le tappezzerie e il cruscotto; numerose le innovazioni che hanno interessato diverse componenti del veicolo, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza; l’impianto frenante si avvale ora di un nuovo sistema che prevede i freni a disco anche sull’asse posteriore, mentre sono disponibili il doppio air-bag e l’ABS. Per quanto riguarda le motorizzazioni, la nuova Magnum può essere equipaggiata con un propulsore turbodiesel con intercooler da 2.500 cc. (150 CV) e con due motori a benzina da 2.800 cc. (185 CV) e da 5.000 cc. (V8, 225 CV). La nuova Magnun V.A.V. (Veicolo Attacco Veloce) utilizza in pratica le stesso telaio e le componenti meccaniche della versione stradale, abbinate ad una radicale trasformazione che ha interessato sia la carrozzeria che l’allestimento generale del veicolo. La linea, essenziale e priva di fronzoli come si addice ad un fuoristrada destinato ad impieghi militari, si presenta estremamente compatta nonostante le dimensioni ed è stata appositamente progettata per soddisfare le più svariate esigenze operative (prevista anche una versione blindata). Sotto il cofano della Magnum V.A.V. alloggiato un motore turbodiesel con intercooler di 2.800 cc. (122 CV). Nella seconda metà dell’anno inizia la commercializzazione della nuova Mercedes G 500, equipaggiata con un poderoso propulsore a cilindri di 4.966 cc., in grado di sviluppare 300 CV a 5.700 giri. Capace di esprimere una straordinaria accelerazione (da 0 a 100 Kmh. in 7 secondi), la Mercedes G 500 consente di raggiungere una velocità massima di circa 200 Kmh. ed assicura prestazioni stradali da granturismo, grazie anche all’adozione di pneumatici ribassati. Superlativo anche il disimpegno nella guida off-road, grazie alla trazione integrale permanente e ai differenziali (anteriore e posteriore) autobloccanti, affiancati al differenziale centrale ripartitore, anch’esso bloccabile. La serie G 500, equipaggiata solo con cambio automatico a 5 rapporti (+RM), è disponibile in tre differenti versioni: Cabrio, Station-Wagon Corto e Station-Wagon Lungo. Nonostante la presentazione avvenuta a stagione avanzata e il prezzo non indifferente, che supera la soglia dei 150 milioni, la nuova G 500 riscuote un incredibile successo nelle vendite (superiore a qualsiasi aspettativa) posizionando questo modello ad una quota prossima al 70% del venduto della Casa di Stoccarda. Tra i nuovi arrivi autunnali apparsi sulla scena internazionale (oltre alla Suzuki Jimny) per sfidare il mercato del ‘99, le novità più interessanti sono rappresentate dalle nuove versioni della Opel Frontera (disponibile in Italia entro la fine dell’anno) e della Jeep Grand Cherokee (che arriverà sul nostro mercato nella successiva primavera), e dalla piccola Mitsubishi Pajero Io. 100 Opel Frontera Jeep Grand Cherokee 99 Suzuki Jimny A sette anni dal debutto nel settore dell’off-road, la Opel Frontera si riprensenta al vasto pubblico dei suoi estimatori completamente rivisitata (la carreggiata ora allargata di 6 cm. e anche il passo, sulla Sport, è stato allungato di 13 cm. assicurando una migliore abitabilità) e con una linea ancora più moderna e aggressiva, nonostante le linee addolcite che strizzano l’occhio alle sport-utility di maggiore successo. Le novità di maggiore rilievo sono comunque rappresentate dai nuovi propulsori tra cui spicca il turbodiesel da 2.2 litri a 16 valvole con iniezione diretta in grado di sviluppare 115 CV; tra i motori a benzina sono disponibili una versione aggiornata del 2.2. 16 valvole da 136 CV e un potente 3.2 V6 che eroga 205 CV. Diverse novità anche per quanto riguarda la trasmissione (dotata di un selettore 2WD-4WD a gestione elettronica, azionabile in marcia fino ai 100 Kmh.), che può essere abbinata anche ad un cambio automatico sia nella versione diesel che in quella a benzina. Con la nuova Grand Cherokee “model year 1999” la Chrysler manda definitivamente in pensione la vecchia versione (risalente al ‘92), allineandosi anche in questo caso alle nuove tendenze del mercato (ancora una volta rivolto alle sportutility) senza tuttavia penalizzare troppo quelle spiccate prerogative fuoristradistiche da sempre evocate dal marchio Jeep. Per il mercato europero la nuova Grand Cherokee, dopo alcuni adeguamenti nell’allestimento e nelle specifiche tecniche, verrà prodotta negli stabilimenti austriaci di Graz. Il restyling della carrozzeria ha reso estremamente più filante tutta la linea, caratterizzata da un parabrezza più inclinato e da proiettori più moderni; le dimensioni, pur mantenendo invariato il passo, sono sensibilmente aumentate (è più lunga di 11 cm., più alta di 5.5 e più larga di 4), mentre le attitudini stradali sono sottolineate da una leggera riduzione (2.5 cm.) dell’altezza minima da terra. Per il mercato italiano sono previste tre motorizzazioni, due a benzina (da 4.0 e 4.7 lt.) e una turbodiesel, equipaggiata con il nuovo motore VM 3.2 litri a 5 cilindri. Il nuovo mini Pajero “io” (battezzato, non a caso, con un nome italiano come buon auspicio per la successiva joint-venture con la Pininfarina di cui sarà il protagonsita) è riservato esclusivamente al mercato giapponese dove fa il suo eserdio sul finire dell’estate ‘98. Lungo appena 3.68 metri, è equipaggiato con un motore da 1.8 litri GDI ad iniezione diretta a benzina e viene fornito di serie con cambio automatico e riduttore. Arriva invece subito in Europa, in occasione del Salone di Parigi, la Suzuki Jimny (a trent’anni esatti dal debutto della sua celebre e omonima antesignana) con l’obiettivo di raccogliere la gloriosa eredità della Samurai. Estremamemte contenuta nelle dimensioni (lunga 3.62 mt. e larga 1.6) e compatta negli ingombri, la nuova Jimny pur essendo un fuoristrada a tutti gli effetti (dotata di trazione integrale, inserible, e marce ridotte) si propone anche come brillante “city car” per il normale utilizzo quotidiano nel traffico metropolitano. Completamente rinnovata nel look rispetto al vecchio modello, la Jimny di og102 Lexus Story L a decisione della Lexus di entrare nel mercato delle sport-utility 4x4 risale all’aprile del 1995, quando venne annunciato per gli inizi del ‘96 la prima vettura a trazione integrale. In realtà la storia della Lexus inizia molti anni prima, nel lontano 1983 quando i vertici della Toyota iniziano a studiare la possibilità di avviare un nuovo progetto per realizzare un’auto di lusso che fosse in grado di sfidare le più prestigiose vetture presenti sul mercato. Nel luglio dell’85 erano pronti i primi 450 prototipi marcianti, frutto del lavoro di 60 designer, 24 team di ingegneri (con 1.400 ingegneri e 2.300 tecnici) e 220 lavoratori di supporto. Nel gennaio del 1988 il logo Lexus venne introdotto per la prima volta al Los Angeles Auto Show e l’anno successivo le prime due vetture (Lexus LS 400 e ES 250) debuttano al Detroit Auto Show. Nel 1996 (nello stesso anno in cui viene festeggiato il traguardo delle 500.000 vetture vendute) esordisce sul mercato la LX 450 e la Lexus entra ufficialmente nel mondo delle sport-utility. Il successo è travolgente e appena due mesi dopo il suo debutto, nel marzo del ‘96, la Lexus Lx 450 balza al vertice delle vendite delle sport-utility del segmento di lusso, sorpassando persino la Range Rover. Nel febbraio del ‘97 debutta la concept SLV (Sport Luxury Vehicle) al Chicago Auto Show dal cui progetto solo due mesi più tardi si delinea una nuova vettura di serie che verrà posta in vendita nella prima metà del 1988 col nome di RX 300. Nel dicembre del ‘97 viene presentata al Los Angeles International Auto Show la nuova LX470, rivisitata nella linea ed equipaggiata con so- concessionarie presenti sul mercato americano. La RX 300, oltre a contribuire in maniera determinante ad un ennesimo incremento delle vendite, riscuote anche alcuni significativi riconoscimenti, come il titolo di “Most Appealing Luxury Sport Utility Vehicle”, assegnato dal J. D. Power and Associates Appeal Study, e quello di “Sport-Utility of the Year” attribuito dalla rivista Motor Trand; quest’ultimo testimonia inoltre la crescente popolarità delle SUV sul mercato spensioni idropneumatiche e un nuovo motore V8 e finalmente, al North American International Auto Show di Detroit (gennaio 1998) debutta la RX 300 con la quale la Lexus posiziona sul mercato delle sport-utility la sua vettura a trazione integrale. Entrambi i modelli (LX 470 e RX 300) sono poste in vendita a partire dal marzo del 1998 attraverso le 174 americano poiché per la prima volta il premio “Truck of the Year” è stato suddiviso da Motor Trend in due riconoscimenti distinti (truck e sport-utility). Nel 1999 la Lexus, oltre a celebrare il 10° anniversario dall’inizio della commercializzazione sul mercato americano, festeggia anche il primo milione di veicoli venduti negli Stati Uniti. gi presenta un frontale molto originale per un fuoristrada, con due gruppi ottici quadrangolari di generose dimensioni, una mascherina a cinque fori e un ampio paraurti avvolgente che si raccorda con il profilo dei due fascioni laterali. Il motore, un quattro cilindri di 1.298 cc. ad iniezione elettronica (80 CV a 6.000 giri/min.), è interamente realizzato in alluminio e dispone di un cambio manuale a 5 velocità. Il sistema Drive Action 4x4 permette alla Jimny di passare dalle 2 alle 4 ruote motrici anche durante la marcia del veicolo, in rettilineo e a velocità inferiori ai 100 Kmh. Molto curata la dotazione di serie nell’ambito della sicurezza, che comprende tra l’altro i freni a dischi anteriori (con servofreno a depressione), cinture di sicurezza con 3 punti di ancoraggio e pretensionatori, barre laterali antintrusione e doppi airbag; a richiesta è disponibile anche il sistema ABS. Sulla passerella parigina debutta inoltre, a dieci anni esatti dall’esordio, la nuova Land Rover Discovery, completamente rinnovata nel look ed equipaggiata per la prima volta con un motore a 5 cilindri (2.495 cc., 138 CV a 4.200 giri). L’inedito propulsore turbodiesel (denominato Td5) comune a tutte le versioni della gamma, tra cui spiccano i due allestimenti previsti per il mercato italiano (Td5 Luxury e Td5 Vogue). La carrozzeria è più lunga di 15 centimetri rispetto al modello precedente e, oltre a conferire al veicolo una linea più slanciata e proporzionata, assicura un’ampia disponibilità di spazio nella zona posteriore; ciò ha consentito inoltre di poter disporre, nella versione a 7 posti, di due sedili aggiuntivi fronte marcia (completi di poggiatesta ancorati al tetto tramite un supporto pieghevole), o di ampliare ulteriormente il vano di carico del bagagliaio nella versione a 5 posti. Numerose le sofisticate innovazioni adottate per migliorare la maneggovolezza e la tenuta di strada su percorsi asfaltati, come l’ACE e l’SLS, due sistemi di controllo della dinamica del mezzo tecnologicamente avanzati che (assieme alla carreggiata maggiorata) contribuiscono ad aumentare la stabilità e il comfort di marcia. Il sistema automatico di stabilizzazione trasversale ACE (Active Cornering Enhancement) è formato essenzialmente da un attuatore, situato su ogni assale, che indurisce la corrispondente barra di rollio contrastando in maniera ottimale l’inclinazione laterale (responsabile del rollio) che si innesca in seguito all’accelerazione laterale impressa al veicolo nel corso di una curva affrontata a velocità sostenuta. L’intero sistema gestito da un computer che valuta la forza da imprimere agli attuatori basandosi su una serie di parametri diversi, tra i quali i segnali provenienti da sofisticati accelerometri, in funzione delle svariate condizioni stradali. Su fondi sconnessi il sistema ACE viene prontamente attivato, mentre su percorsi rettilinei con fondi regolari resta idraulicamente inoperativo, permettendo quindi alle sospensioni di ammortizzare al meglio (a tutto vantaggio del comfort di marcia) ogni eventuale sobbalzo. L’ACE è in funzione anche della velocità per cui nell’off-road particolarmente impegnativo, dove solitamente l’andatura è assai contenuta, non viene attivato; 104 gli assali sono liberi di oscillare consentendo quindi alle ruote una perfetta aderenza al terreno. Nel caso però la velocità dovesse risultare eccessiva il sistema ACE, superata una determinata accelerazione laterale, diminuisce progressivamente la sua azione realizzando una sorta di meccanismo di feed-back che ripristina l’equilibrio dinamico del veicolo. Per un’altrettanto elevata stabilità longitudinale entra invece in azione il sistema di sospensioni autolivellanti SLS (Self Levelling Suspension), ideale complemento funzionale del sistema ACE, che equipaggia l’asse posteriore. Land Rover Discovery Range Rover Autobiography Analogamente al dispositivo adottato sulla Range Rover (presenti su entrambi gli assi), le sospensioni autolivellanti aumentano (o diminuiscono) la loro pressione in funzione del carico grazie a particolari elementi elastici pneumatici a controllo elettronico; un apposito telecomando consente inoltre di abbassare o sollevare le sospensioni posteriori anche dall’esterno, agevolando in questo modo sia le operazioni di carico e scarico, che l’eventuale allineamento tra il gancio di traino e il timone di un rimorchio. Fornito di serie sulla versione Vogue, è disponibile come optional sulla Luxury, mentre il sistema ACE è optional su entrambe le versioni. Fedele inoltre alla consuetudine in base alla quale molte delle innovazioni tecnologiche adottate sulla Discovery vengono prima o poi trasferite anche sulla Defender, la Land Rover lancia sul mercato anche la nuova Defender Td5 che arriva in anteprima in Italia in occasione del Motorshow di Bologna, mentre la sua commercializzazione viene avviata nei primi mesi del ‘99. Praticamente identica nella linea e nell’estetica alla classica Defender a quattro cilindri, la Td5 viene ora equipaggiata con il nuovo propulsore montato sulla nuova Discovery, anche se leggermente depotenziato (122 CV contro 138). Il nuovo motore a 5 cilindri 2.5 litri Storm rientra ampiamente nei limiti fissati dalla normativa sulle emissioni allo scarico (ECD2) entrata in vigore in Europa nell’ottobre 1998, senza rendere necessaria il ricorso ad eventuali dispositivi catalizzatori. Tra le altre novità, oltre al sistema ABS e al controllo elettronico della trazione (ETC), entrambi disponibili a richiesta, la Defender Td5 è dotata di sistema antisinghiozzo ASC (Anti Shunt Control) che modula la risposta nei cambi di marcia e nella guida off-road, e di comando rapido dell’acceleratore TFC (Fast Throttle Control) che ottimizza la risposta del motore al comando dell’acceleratore in base alla selezione dei rapporti del riduttore, indipendentemente dall’utilizzo della gamma veloce o della gamma lenta. In situazioni di emergenza entra in azione un particolare dispositivo (“Limp Home”) che, ogni qualvolta si verifica un avaria ai sensori principali cui è affidata la gestione dei sistemi elettronici di bordo, entra automaticamente in azione posizionando il motore ad un regime di 1.200 giri al minuto; ciò consente di proseguire la marcia senza problemi fino a destinazione o al centro di assistenza tecnica più vicino. Entro il ‘98 inoltre l’Azienda di Solihull, in perfetta sintonia con la filosofia del “fuoristrada in abito da sera”, presenta la nuova Range Rover Autobiography (in Italia arriverà all’inizio del ‘99), una versione estremamente raffinata ed elegante dell’indiscussa ammiraglia dell’Azienda di Solihull. Riservata agli appassionati di off-road della fascia più alta ed esclusiva di mercato, la Range Rover Autobiography è equipaggiata con una dotazione accessoristica talmente sofisticata da far quasi invidia al sultano del Brunei. Partendo dal modello base (si fa per dire) 4-6 HSE, la Land Rover è riuscita a creare un veicolo ultra-esclusivo caratterizzato da una serie di optional che rendono la Range ulteriormente raffinata e sontuosa il cui prezzo d’acquisto viene quasi a sfiorare i 180 milioni. 106 Cronistoria della Range Rover 1970: 1981: 1982: 1983: 1984: 1985: 1986: 1987: 1988: 1989: 1990: 1992: 1993: 1994: 1999: 2000: 2001: Presentazione della Range Rover con carrozzeria a 2 porte (V8, 3.5 lt., alimentazione a carburatori). Primo allestimento in versione Luxury; prima versione a 4 porte. Viene introdotta, a richiesta, la versione con cambio automatico. Nuovo cambio manuale a 5 marce. Il modello Luxury assume la denominazione Vogue ed entra nella normale produzione di serie. Introduzione del modello V8 con alimentazione elettronica. Nuova trasmissione automatica a 4 velocità. Viene introdotta la versione diesel (4 cil., 2.4 lt.). La Range Rover approda sul mercato USA. Presentazione della Range Rover Vogue SE. Cessa la produzione di propulsori V8 a carburatori. Aumento della cilindrata sia per il V8 a benzina (3.9 lt.) che per la versione diesel (2.5 lt.); vengono introdotti per la prima volta l’ABS, il differenziale centrale con giunto viscoso e il riduttore con trasmissione a catena silenziosa. Introduzione delle sospensioni antirollio. Presentazione della Vogue LSE, modello top della gamma Range Rover, equipaggiata con motore V8 di 4.2 litri; introduzione delle sospensioni pneumatiche, del nuovo turbodiesel intercooler e dell’iniezione diretta di 2.5 litri (Tdi). Viene avviato il programma Autobiography. Debutto della Range Rover di seconda generazione, equipaggiata con due motori V8 a benzina (4.0 e 4.6 lt.) e con il turbodiesel BMW a 6 cilindri (2.5 lt.). Presentazione della versione Limited Edition “Linley”, la più costosa (ca. 300 milioni) Range Rover mai commercializzata. La Land Rover festeggia i 30 anni della Range Rover la speciale versione “30th Anniversary Edition”. Debutta al Salone di Ginevra una nuova versione in edizione limitata della Range Rover, battezzata “Westminster”, ulteriormente arricchita nella dotazione accessoristica e prodotta in soli 400 esemplari. Nel frattempo aumentano sulle riviste specializzate le indiscrezioni sulla nuova Range Rover, la cui presentazione attesa entro la fine dell’anno. 107 La super-ammiraglia inglese può essere ora equipaggiata con navigatore satellitare (11.928.000) dell’ultima generazione, body-kit in tinta con la carrozzeria (3.050.000), vetri oscurati (2.215.000), kit video e tv (24.419.000) comprendente videoregistratore e 2 monitor integrati nei poggiatesta anteriori, interni in radica (3.238.000) e volante rifinito in radica e pelle (2.028.000). Dal punto di vista meccanico anche la versione Autobiography, in coincidenza dell’introduzione del modello Range Rover 1999, è equipaggiata con la versione evoluta del motore V8, denominata “Thor” (disponibile solo sulla versione con cambio automatico). Il nuovo sistema di gestione elettronica (Bosh Motronic) e il collettore di aspirazione più efficiente assicurano una potenza e una coppia più elevata, abbinate ad una concomitante riduzione delle emissioni di scarico; tra le altre migliorie apportate in questa motorizzazione che, oltre ad abbassare i costi di gestione assicurano una maggiore longevità del V8 “Thor”, vanno segnalate inoltre le candele al “doppio platino” a lunghissima durata, le bobine di accensione sdoppiate e i cavi di alta tensione provvisti di rivestimento siliconico. Sul versante della sicurezza, vanno segnalati inoltre l’introduzione degli airbag laterali e il controllo elettronico della trazione (presente dal ‘94 solo sulle ruote anteriori) esteso ora su tutte e quattro le ruote. Per la Land Rover il 1998 si conclude con un bilancio decisamente positivo (appannato solo in parte dalle pesanti flessioni registrate sul versante delle vetture stradali) sul mercato italiano. Per la prima volta infatti, viene superato il tetto delle 10.000 unità vendute, attestandosi al primo posto nella hit-parade delle vendite sul nostro mercato. Incrementando sensibilmente la quota dell’anno precedente (7.150), la Rover Italia ha venduto nel ‘98 in Italia 10.238 veicoli battendo, seppur di stretta misura, la più diretta inseguitrice (la Mitsubishi, con oltre 9.500 veicoli immatricolati, si è classificata al secondo posto). Il modello più gettonato dell’anno è stato il Freelandar, con 4.010 unità. 108 Le nuove proposte per il terzo millennio CAPITOLO 8 1999-2000 Con l’arrivo del 1999, data fatidica che anticipa l’arrivo del terzo millennio,diventa incandescente il dibattito intorno al fuoristrada del 2000. Addetti ai lavori, case costruttrici, designer e guru del marketing, si affannano nel cercare di delineare il più verosimilmente possibile quali possano essere gli scenari e le future tipologie del veicolo a trazione integrale. Negli ultimi anni l’industria automobilistica si è sbizzarrita in una ricca e assortita terminologia che ha dato origine ad una vera e propria babele semantica, non priva di qualche confusione, all’interno delle varie tipologie off-road. RAV (Ricreational Active Vehicle), AAV (All Activity Vehicle), SUV (Sport Utility Vehicle), SAV (Sport Activity Vehicle), SUT (Sport Utility Truck), CR-V (Compact Recreational Vehicle), HR-V (High Recreative Vehicle), MPV (Multi Purpose Vehicle), MAV (Multi Activity Vehicle), SSU (Super Sport Utility) e HMMWV (High Mobility Multipurpose Wheeld Vehicle), sono soltanto alcune delle svariate sigle che hanno accompagnato le maggiori novità prodotte intorno alla seconda metà degli anni Novanta dai maggiori costruttori di 4x4. Anche all’inizio del 1999 i riflettori di tutto il mondo sono puntati sulla passerella americana di Detroit dove, ai primi di gennaio, sfilano tra gli stand dell’Auto Show le principali attrazioni e le novità di maggiore rilievo pronte a invadere i mercati internazionali. Tra le novità della normale produzione di serie, già ampiamente anticipata sul finire dell’anno precedente con una serie di numerose indiscrezioni accompagnate dalle solite immagini “rubate”, il pezzo forte del Salone di Detroit è rappresentato dall’anteprima mondiale della BMW X5. Definita come la prima Sports Activity Vehicle, la BMW X5 sembra (almeno all’aproccio iniziale) più destinata ad allargare le qualità di sportività e comfort delle tradizionali berline BMW su percorsi sterrati o fondi sconnessi, che non inseguire ambizioni fuoristradistiche vere e proprie. Le stesse caratteristiche del veicolo, che rispetto al tradizionale ponte rigido e al telaio a longheroni dei normali fuoristrada è dotato di carrozzeria portante, lasciano ben pochi dubbi sul tipo di utilizzo cui è destinata la X5. Comfort e prestazioni sono in linea con la migliore tradizione BMW, grazie all’adozione di un sofisticato sistema di controllo delle sospensioni definito DSC (Dynamic Stability Control), il cui impianto integra tutte le funzioni di ABS con CBC (Cornering Brake Control), DBC (Dynamic Brake Control) e ASC (Automatic Stability Control). Dal punto di vista fuoristradistico, la BMW X5 è equipaggiata di trazione integrale permanente (senza riduttore) che, in condizioni normali, invia il 62% della coppia al ponte posteriore e il 38% a quello anteriore; per affrontare le discese ri109 pide c’è l’ormai classico dispositivo HDC (Hill Discent Control), mentre in sostituzione dei differenziali autobloccanti interviene il sistema automatico ADB (Automatic Differential Brake). La X5 è costruita negli stabilimenti americani di Spartanburg (Carolina del Sud) e, stando alle prime anticipazioni, dovrebbe essere equipaggiata sia con motori a 6 cilindri in linea che nella versione V8; quest’ultima inoltre è fornita di serie con sospensioni autolivellanti. Ma il vero fiore all’occhiello dell’Auto Show di Detroit porta ancora una volta la firma della Chrysler che, dopo gli exploit degli anni precedenti, riesce ancora una volta a distanziare (seppur nell’ambito delle concept car) la concorrenza presentando in anteprima mondiale la Jeep Commander. Quasi in sintonia col vecchio adagio “non c’è due senza tre”, la Chrysler stupisce di nuovo appassionati e addetti ai lavori con una nuova e ipertecnologica concept car. Dopo l’innovativa Jeep Icon (1997) e l’avveniristica Jeepster (1998), ecco approdare al Salone di Detroit del 1999 la Jeep Commander, il nuovo gioiello realizzato dalla Chrysler. Diversamente da qualsiasi altro fuoristrada finora prodotto, la Jeep Commander è equipaggiata con due motori elettrici azionati da pile a combustibile (alimentate a metanolo) in grado di creare corrente autonomamente assicurando una trazione integrale permanente. Per quanto riguarda l’estetica la Jeep Commander presenta un look molto hightech e raffinato che ben si armonizza con la carrozzeria in fibra di carbonio; l’adozione di questo materiale consente di risparmiare fino al 40% in termini di peso, mentre sui costi di fabbricazione il risparmio oscilla tra il 10 e il 50%, senza contare che è riciclabile al 100%. Tra le numerose particolarità presenti nell’ampia dotazione accessoristica vanno segnalati gli specchietti retrovisori dotati di tergicristalli e specchi convessi a 180°, in grado di eliminare ogni zona d’ombra, e un elaborato computer di bordo. Quest’ultimo, oltre a fornire dati GPS, consente inoltre di accedere ad Internet e di ottenere informazioni meteo, stradali, telefoniche, indirizzi e-mail e una serie di ragguagli sulla diagnostica del veicolo; in caso di furto inoltre, una macchina fotografica inserita nel cruscotto trasmette elettronicamente l’immagine del guidatore alla polizia. Oltre alla Jeep Commander la produzione americana, sempre estremamente dinamica e particolarmente prolifica in occasione del Salone di Detroit, ha presentato nella metropoli americana una vasta gamma di novità nella maggior parte dei padiglioni dei marchi più prestigiosi (Dodge, Ford, Lincoln, Chevrolet e Hummer). Altrettanto ardita e innovativa come proposta per il fuoristrada del terzo millennio è il Dodge Power Wagon, una 4x4 realizzata dalla Daimler Chrysler come soluzione estrema (ma altamente sofisticata) della più tradizionale tipologia pick-up. Considerato erroneamente a prima vista come un semplice esercizio stilistico, seppur molto raffinato ed esclusivo, il Dodge Power Wagon presenta un look estremamente accattivante che ha suscitato una straordinaria ammirazione fin dalla sua prima apparizione. La classica linea del pick-up è stata completamente rivisitata in 110 BMW X5 Jeep Commander Lincoln Blackwood Dodge Dakota Quad Cab Hummer TT4 111 chiave moderna, nonostante le linee retrò che si ricollegano senza troppa enfasi ai canoni stilistici dei vecchi modelli Dodge degli anni Quaranta. Decisamente all’altezza dell’intero progetto il propulsore scelto per il Dodge Power Wagon, sotto il cui cofano è alloggiato un 6 cilindri turbodiesel di 7.2 litri in grado di sviluppare 250 CV; questo motore è stato inoltre particolarmente studiato per ridurre al minimo l’inquinamento ambientale, grazie all’utilizzazione di un nuovo carburante di sintesi (privo di zolfo e derivati del metano), e ad un nuovo sistema Common rail che riduce le emissioni di ossido di azoto. Sempre con il marchio Dodge debutta a Detroit il nuovo Dakota Quad Cab, un poderoso pick-up che grazie all’allestimento a doppia cabina assicura una notevole abitabilità interna senza penalizzare (visto le sue dimensioni) le capacità di carico del voluminoso cassone posteriore; tra le motorizzazioni previste, entrambe a benzina, figurano un V8 Magnum (4.7 lt., 245 CV) e un V6 (3.9 lt., 175 CV). In occasione del Salone di Detroit la Chevrolet ha inoltre aggionato la sua vasta gamma di fuoristrada, tra cui il nuovo pick-up Silverado a doppia cabina e un’elaborata versione del classico Tahoe, presentato nella versione allungata; battezzato come Suburban, questo veicolo supera la lunghezza di 5 metri e viene proposto sia con la trasmissione integrale permanente che con quella inseribile. La maggione novità della produzione ‘99 della Chevrolet riguarda comunque il nuovo motore V8 da 5.3 litri che, nonostante la lieve riduzione di cilindrata rispetto al vecchio propulsore finora montato sul Tahoe (5.7 lt.) sviluppa una potenza maggiore (270 CV contro 255). Tra le taglie “mini”, da segnalare la versione speciale della Geo Trucker, battezzata ZR2, ennesima elaborazione della Vitara nata dalla joint-venture tra Chevrolet e Suzuki destinata al mercato americano. Anche la Ford ha puntato le sue carte sui pick-up, soprattutto per quanto riguarda la gamma F 150 (da anni ai vertici nella hit-parade sul mercato americano) che ha visto l’introduzione del nuovo modello 2000 Crew Cab a doppia cabina, disponibile solo con cambio automatico; enorme nelle dimensioni ( lungo 5.4 metri) ed estremamente spazioso e confortevole, può essere equipaggiato con due motori V8 da 4.6 o 5.6 litri. Più contenuto nelle dimensioni invece il Ford Explorer Sport Trac, un pick-up a doppia cabina lungo meno di 5 metri ed equipaggiato con cambio automatico e motore V6 da 4 litri (204 CV). La tendenza “made in USA” a fondere la tipologia dei pick-up con quella delle sport-utility ulteriormente confermata dalla concept Lincoln Blackwood, un elegante pick-up (già visto il mese prima al Los Angeles), anch’esso a 4 porte, derivato dalla altrettanto lussuosa Navigator, caratterizzata da un cassone in alluminio interamente rivestito in legno e dotato di un hard-top idraulico (sollevabile a 45°) con ribaltina a doppia anta. Equipaggiato di navigatore satellitare e cambio automatico, la Lincoln Blackwood monta un motore V8 di 5.4 litri. Aria di novità anche per l’austero Hummer che, dopo aver conquistato le roventi sabbie dei deserti del Golfo (e combattuto in mezzo mondo), si ripropone nel ‘99 in una versione ulteriormente evoluta equipaggiata con il controllo elettronico della trazione TT4 che, affinando la già sofisticata trazione integrale permanente mes112 sa a punto dai progettisti della AM General, ottimizza il sistema frenante per trasferire la coppia alle ruote con minore motricità. Tra le aziende giapponesi, sempre più diffuse sul mercato americano, interessanti novità sono approdate a Detroit dalla Nissan, dalla Toyota e dalla Mitsubishi, mentre un’altra presenza significativa della produzione asiatica è stata quella della coreana Hyundai. La proposta della Nissan, prodotta direttamente negli stabilimenti americani della Casa giapponese, è una sport utility dalle dimensioni molto contenute e dalla linea compatta, battezzata Xterra, equipaggiata inizialmente con un motore V6 da 3.3 lt. (179 CV) e un 4 cilindri da 2.4 lt. (143 CV). Nell’ambito delle concept car la Nissan presenta anche una nuova interpretazione del pick-up, denominata SUT (Sport Utility Truck), con carrozzeria a doppia cabina e portellone posteriore sollevabile come su una normale station-wagon; questa soluzione, del tutto inedita finora su questa tipologia di 4x4, offre ampie possibilità di carico rispetto ai normali pick-up una volta ribaltato il sedile posteriore. Equipaggiato con un motore V6 di 3.3 litri in grado di sviluppare 170 CV, la Nissan SUT dotata di cambio automatico a 4 rapporti con riduttore a due rapporti, freni a disco e ABS. Nello stesso segmento si cimenta anche la Toyota che propone la Tundra, un pickup a doppia cabina di grosse dimensioni, equipaggiato con un motore V8 di 4.7 litri (245 CV) che per la prima volta nel suo segmento risponde appieno alle normative antinquinamento LEV (Low Emission Vehicle). Controcorrente invece la Mitsubishi che lancia a Detroit l’avveniristica SSU (Super Sport Utility) realizzata nei modernissimi stabilimenti americani di Cypress, in California, sede di uno dei più avanzati centri di progettazione della Casa giapponese. Pur trattandosi di una concept car, la Mitsubishi SSU presenta numerose soluzioni innovative che non escludono una futura produzione di serie. Il veicolo, caratterizzato da una linea decisamente originale e insolita, offre un’ampia abitabilità a cinque persone e un elevato grado di comfort (grazie all’assenza dei montanti centrali che agevola l’accesso ai sedili posteriori), assicurando una velocità massima prossima ai 240 Kmh.; dotato di trazione integrale permanente, equipaggiato con un motore V6 biturbo di 2.5 litri a 24 valvole capace di sviluppare 310 CV, abbinato ad una trasmissione automatica a cinque rapporti. Completamente “made in Usa” nonostante le origini asiatiche è anche la nuovissima Hyundai Santa Fe, il modello che segna il debutto della Casa coreana nel settore delle sport-utility. Interamente progettata dalla Hyundai presso il centro stile americano di Fountain Valley, dove ha sede lo Hyundai California Design, la Hyundai Santa Fe presenta una linea grintosa ma abbastanza tradizionale che si ricollega a quella di molte station-wagon presenti sul mercato; notevoli le prestazioni assicurate dal potente motore V6 (realizzato in alluminio) di 3.0 litri, abbinato alla trazione integrale permanente e al cambio automatico a 4 rapporti con gestione elettronica. Per quanto riguarda la produzione europea infine, al Salone di Detroit (oltre alla BMW X5) debutta anche la ML 55, la nuova ammiraglia della Classe M Mer113 cedes che, seppur presentata come prototipo, ha suscitato molto interesse per le sue prestazioni quasi da record; la ML 55 è infatti equipaggiata con un motore V8 di 5.5 litri, in grado di erogare 340 CV, che assicura accelerazioni notevoli (da 0 a 100 Kmh. in 7 secondi) e una velocità di punta prossima ai 240 Kmh. Sempre dal mercato americano, e proprio da Detroit dove ha sede la fabbrica della Cadillac Division, arriva in Europa la Escalade (già presentata verso la fine del ‘98), un sontuoso modello di 4x4 con la quale la Cadillac fa in suo ingresso in grande stile nel settore delle maxi-fuoristrada di lusso. Con questo veicolo la General Motors (proprietaria del marchio) si propone di attestarsi tra le posizioni di vertice delle sport-utility di grosse dimensioni destinate alla fascia più alta del ricco mercato americano. Un mercato nel quale l’attesa per una 4x4 tagata Cadillac è già proiettata alla primavera del 2001, nel corso della quale dovrebbe arrivare (stando alle voci e alle indiscrezioni fatte circolare negli ultimi anni) un fuoristrada più compatto e del tutto inedito. Nel frattempo la General Motors, utilizzando la tecnologia acquisita su veicoli ormai ampiamente collaudati (come lo Chevrolet Tahoe o il GMC Yukon) ha notevolmente anticipato i tempi per il suo debutto nella supernicchia dei fuoristrada da sogno. In questo territorio la Cadillac Escalade prende le distanze sia dalle più dirette concorrenti di casa (come la Lincoln Navigator ad esempio) che sulle avversarie d’oltreoceano di produzione giapponese (Lexus) o anglosassone (Range Rover). Imponente nelle dimensioni ( lunga 5.11 mt., larga 1.96 e alta 1.89), la Escalade presenta un grado di finiture e una cura dei particolari che non teme confronti (nei sedili, oltre ad ogni tipo di regolazione elettrica possibile, è inserito persino un supporto lombare vibrante per massaggiare la schiena!), assicurando sempre il massimo comfort in qualsiasi condizione di guida e velocità (max 180 Kmh.). Impostata sulla tradizionale carrozzeria station wagon a 5 porte, la Cadillac Escalade è equipaggiata con un 8 cilindri (anteriore e longitudinale) a V di 5.733 cc. in grado di sviluppare 258 CV a 4.600 giri. La trazione (posteriore, anteriore inseribile) è abbinata ad un cambio automatico a quattro velocità, con riduttore a due rapporti che (compatibilmente con le dimensioni del veicolo) consente prestazioni di rilievo anche nella guida off-road; sicura e decisa anche la frenata, nonostante il peso del veicolo (2.528 Kg.) e la presenza dei dischi autoventilati solo sui freni anteriori. Archiviato il clamore delle prime anticipazioni sfilate sulla passerella a stelle e strisce di Detroit, i riflettori internazionali si spostano sul Salone di Ginevra. Giunto per l’ultimo appuntamento del secolo alla 69a edizione, il Salone di Ginevra rappresenta da molti anni un preciso punto di riferimento per la produzione mondiale, sia in virtù della particolare strategia commerciale (ancora oggi rappresenta l’unica rassegna internazionale a svolgersi con cadenza annuale) che grazie all’assenza di un’industria automobilistica nazionale; quest’ultimo punto inoltre, allontanando il sospetto di eventuali favoritismi, pone praticamente le maggiori aziende in una sorta di terreno neutrale al cui interno tutti possono misurarsi in condizioni di parità rispetto alla con114 correnza. Una concorrenza sempre più agguerrita che negli ultimi tempi ha dato il via a una serie di fusioni e alleanze che hanno completamente ridisegnato il panorama automobilistico mondiale sia tra i grandi nomi (Chrysler-Daimler e Ford-Volvo) che tra le aziende asiatiche (Hyundai-Kia e Daewoo-SsangYong). Sul fronte europeo inoltre la BMW proprio a Ginevra ha ribadito che non è in alcun modo intenzionata a vendere (né a cedere), nonostante le pesanti perdite nel settore delle autovetture, la Rover. Tra le novità presenti a Ginevra (oltre al debutto europeo della BMW X5 e della Jeep Commander), l’evento di maggior interesse rappresentato dall’anteprima mondiale del Mitsubishi Mini Pajero Pinin. Dopo tante indiscrezioni e smentite, sia dalla Mitsubishi che dalla Pininfarina, e una serie di notizie filtrate col contagocce, è apparso finalmente l’attesissimo Pajero Pinin che, nelle intenzione di entrambi i partner, dovrebbe introdurre una nuova concezione di sport utility compatta per il fuoristrada e la citta. Filosofia ulteriormente sottolineata dalla presenza al Salone di Ginevra di due prototipi che, seppur simili nelle caratteristiche tecniche, presentano un look diverso in funzione del tipo di utilizzo. Il primo, elegante e sobrio nelle linee, è identificato con la sigla “City-size Refinenment” e si presta ad un utilizzo prevalentemente urbano, mentre il secondo, battezzato “Off-road Excitement” strizza l’occhio agli appassionati di fuoristrada e si presenta con un look molto aggressivo e grintoso. Estremamente compatto nelle dimensioni (lungo 3.7 mt., largo 1.6 e alto 1.6), il Pajero Pinin è equipaggiato con il nuovo motore GDI (Gasoline Direct Injection) a benzina di 1.8 litri ad alto rendimento che riduce notevolmente i consumi; la trazione integrale adotta l’esclusivo sistema Mistubishi Super Select 4x4 che consente di selezionare quattro modalità di guida, di cui due riservate alla guida off-road. Concepito in Giappone e sviluppato appositamente per le esigenze del mercato europeo, in collaborazione con la Carrozzeria Pinifarina, il Pajero Pinin (dotato di sistema di navigazione con display a cristalli liquidi) verrà prodotto a partire dal mese di luglio nei nuovi stabilimenti di Bairo Canavese per arrivare sul mercato entro il mese di settembre; entro la fine del ‘99 è prevista la produzione di 11.000 veicoli che, a partire dal 2000, dovrebbe attestarsi sulle 35.000 unità annue. Tra le altre novità apparse al salone ginevrino vanno segnalate inoltre altri tre interessanti modelli rappresentati dalla Suzuki Grand Vitara 3P, dalla Status & Class Contender XG e dalla Mercedes ML 430. A un anno esatto dal debutto della Grand Vitara a 5 porte, presentata al Salone di Ginevra del ‘98, la Suzuki amplia la gamma con un’inedita versione a 3 porte del collaudato modello (già approdato in Europa in occasione del Salone di Birmingham che precede di poco sul calendario quello svizzero). Decisamente più compatta nelle dimensioni rispetto al precedente modello, la nuova Grand Vitara 3P assicura un’eccellente flessibilità in fuoristrada, ulteriormente esaltata dal nuovo Drive Select che consente di passare tranquillamente in marcia dalle 2 alle 4WD e viceversa. In ogni istante è possibile adattare lo stile di guida alle svariate condizioni di marcia senza alcuna perdita di trazione; l’unica precauzione alla quale attenersi è quella di effettuare entrambe le operazioni al di sot115 to dei 100 Kmh., mentre per l’inserimento delle marce ridotte è necessario che il veicolo sia fermo. L’altra novità dello stand Suzuki è stata la Grand Vitara a 5 porte equipaggiata col nuovo propulsore Doch V6 da 2.5 litri a 24 valvole, che assicura un elevato rapporto peso-potenza grazie all’ampio utilizzo dell’alluminio (usato per la realizzazione della parte inferiore della coppa dell’olio, il monoblocco cilindri, la testata e la copertura della testata). Per quanto riguarda le motorizzazioni, sul mercato italiano verrà importata la versione equipaggiata con un motore a benzina da 1.600 cc a 16 valvole (sul modello presentato a Ginevra c’era un 2.0 litri), mentre bisognerà attendere qualche tempo per l’arrivo della nuova versione a 5 porte con il motore V6 da 2.5 litri. Alle soglie del terzo millennio il mondo dell’auto, e quello del fuoristrada in particolare, vuole anche riuscire ad abbinare il meglio dell’alta tecnologia espressa oggi nell’industria delle quattro ruote motrici con la migliore tradizione artigianale europea, con l’intento di offrire un veicolo esclusivo in ogni particolare riservato ad una ristretta fascia di utenza. Questi, in sintesi, gli ambiziosi obiettivi della Status & Class (fondata a Ginevra nel ‘96), una ditta svizzera che ha scelto proprio la passerella di casa per il debutto europeo del Contender XG, presentato in anteprima mondiale al Gulf 4x4 & Off-road Show svoltosi a Dubai nel novembre ‘98. Allestito su telaio e meccanica del Mercedes Benz G, il Contender XG è il primo coupé off-road ad essere prodotto di serie che, grazie ad una serie di caratteristiche esclusive, si propone di ampliare le potenzialità delle normali sport-utility grazie al generoso propulsore di 3.2 litri (V6, 215 CV) che consente velocità di punta prossime ai 200 Kmh. Dotato di trazione integrale permanente, bloccaggio dei differenziali, marce ridotte e cambio automatico a 4 velocità, il Contender XG assicura prestazioni fuoristradisitiche di tutto rispetto grazie alla notevole altezza da terra e all’ampiezza degli angoli di attacco e uscita. Tra gli accessori forniti di serie figurano il sistema di navigazione satellitare estraibile (lo schermo a cristalli liquidi può essere utilizzato anche come schermo tv-color) e impianto stereo multi-CD integrato nella parte posteriore dell’abitacolo. Destinato soprattutto ai ricchi mercati arabi che gravitano attorno al Golfo Persico, il Contender XG è già disponibile sul mercato; per averlo basta sborsare 270.000 dollari. Direttamente da casa Mercedes arriva invece a Ginevra la nuova Classe ML 430 che, nel prossimo futuro, rappresenterà il modello di punta dell’intera gamma sul mercato europeo. Il potente propulsoere a 8 cilindri (4.300 cc., 272 CV) è in grado di fornire un’accelerazione da 0 a 100 Kmh. in soli 8 secondi e 4 decimi, con una velocità di punta di 210 Kmh. In occasione del Salone di Ginevra viene inoltre ufficializzato l’accordo DaewooSsangYong (quest’ultima diventa un marchio del gruppo Daewoo Motor Company) per cui anche i fuoristrada Musso e Korando si presentano con il nuovo logo (in Ita116 Mazda B2500 Cab Plus Mitsubishi Mini Pajero Pinin Kia Sportage Cabrio Renault Scenic Rx4 Status & Class Contender XG 117 lia comunque continueranno a chiamarsi SsangYong); sostanzialmente invariati rispetto ai modelli già noti, i 4x4 Daewoo mantengono sia i motori che gli organi di trasmissione basati sul know-how Mercedes. Assente a Ginevra invece il nuovo pick-up della Mazda, il B 2500 Cab Plus, che arriva subito dopo su tutti i mercati europei. Sottoposto ad un lieve restyling, è equipaggiato con un motore diesel di 2.5 lt. (78 CV nella versione aspirata, 110 con il turbo), la nuova Mazda B 2500 è dotata di trazione integrale azionabile elettricamente ed è omologata come autocarro (versioni a 2,4 e 5 posti). Elevato il livello di sicurezza, assicurato dalla presenza del doppio airbag e dalle barre di protezioni laterali. Nello stesso periodo arrivano in Italia anche i nuovi pick-up della Isuzu (Space Cab, Crew Cab e Single Cab),equipaggiati con motori turbodiesel ad iniezione diretta a quattro cilindri, di 2.5 lt. (76 CV) per la Single Cab e la Space Cab, e di 3.1 lt. (109 CV) disponibile sia sulla Space Cab e sulla Crew Cab, entrambi caratterizzati da un’elevata coppia ai bassi regimi e da una ridotta emissione dei gas di scarico. Nel frattempo un’altra casa giapponese sale alla ribalta della scena economica internazionale quando (il 27 marzo del 1999) viene annunciato l’accordo Nissan-Renault. Più che un accordo, si tratta in realtà di una vera e propria acquisizione che salva dalla bancarotta la Nissan, un’azienda la cui mole di debiti (oltre 35 mila miliardi) aveva già messo in fuga altri pretendenti come Ford e Daimler-Chrysler. Per la Renault tutto è stato più facile grazie alla pesante presenza dello stato francese che controlla il 42% del capitale, e dovrà impegnare nell’operazione 10.000 miliardi per sottoscrivere l’aumento di capitale della Nissan divenendo il primo azionista con il 35% delle azioni. L’accordo Nissan-Renault sancisce inoltre di fatto la nascita del quarto polo automobilistico mondiale che si attesta su una quota di mercato pari al 9.1%. All’ottavo posto della hit-parade dei big dell’auto si trova invece la Honda (4.3%) che, diversamente da molte altre aziende giapponesi gode di ottima salute e non ha bisogno al momento di alcun partner, né di joint-venture. La Honda infatti si rivela altamente competitiva grazie ad una produzione globale annua di oltre sette milioni di motori per auto, moto e imbarcazioni. Nel settore dell’off-road inoltre la Honda, nonostante sia approdata solo di recente nel mondo dei veicoli a trazione integrale con la CR-V, ha ulteriormente consolidata la sua posizione mettendo a segno un altro colpo ben centrato con l’introduzione della HR-V. La storia dell’Honda HR-V (High Recreative Vehicle) ha inizio nell’autunno del ‘97 con la presentazione al Salone di Tokyo della Honda Concept J-WJ, una 4x4 leggera e compatta caratterizzata da una linea molto innovativa. Equipaggiata con un motore a 4 cilindri di 1.500 cc., la Honda J-WJ presenta dimensioni molto contenute ( lunga 3.95 metri, larga 1.78 e alta 1.77) e dispone di un sistema automatico di trazione (Real Time 4WD) che assicura l’inserimento automatico delle quattro ruote motrici ogni qualvolta le condizioni stradali lo richiedano. 118 In Europa la vediamo alcuni mesi dopo in occasione del Salone di Ginevra del ‘98, dove costituisce la principale attrazione degli stand della Honda. La successiva evoluzione della J-WJ porta in meno di un anno alla realizzazione della versione definitiva della Honda HR-V che viene presentata in anteprima europea in Italia in occasione del Motorshow di Bologna nel dicembre del ‘98. Appena quattro mesi dopo, nel marzo ‘99 arriva sul mercato italiano riscuotendo subito un notevole successo nelle vendite grazie alla sua immagine sbarazzina e al buon rapporto qualitàprezzo. Sulla HR-V il motore è stato leggermente aumentato nella cilindrata (1.6 lt., 105 CV a 6.200 giri) e, come nella precedente versione Concept, il veicolo presenta un’ampia e assortita dotazione di serie che comprende tra l’altro l’ABS e il doppio airbag. Estremamente versatile su strada (consente una velocità massima di oltre 160 Kmh.) e sugli sterrati veloci, l’Honda HR-V evidenzia i suoi limiti sui percorsi fuoristrada particolarmente impegnativi (manca il riduttore) e nell’abitabilità generale (l’accesso ai sedili posteriori si rivela alquanto difficoltoso). Nella primavera del ‘99 arriva inoltre in Italia anche la nuova Kia Sportage Cabrio, assieme ai modelli della nuova gamma, completamente rivisitata nell’estetica e migliorata nei dettagli, pur mantenendo invariate le motorizzazioni. Dopo un 1998 molto travagliato, nel corso del quale la Kia ha rischiato di essere travolta dalla bufera economica che ha investito l’intero Sud-Est asiatico, l’Azienda sud-coreana ha superato brillantemente la pesante crisi. La proprietà, in minima parte controllata dalla Ford, era frazionata tra numerosi azionisti nessuno dei quali in grado di risollevare le sorti del marchio. Con l’acquisizione della Kia Motors da parte della Hyundai (da sempre considerata come il principale rivale storico) che ha rilevato il pacchetto azionario di maggioranza la situazione si avvia verso la normalizzazione e la produzione, pur continuando con i due marchi ben distinti, consolida l’ottimo stato di salute dimostrato negli ultimi anni dalla Kia soprattutto sul mercato americano. Sul fronte di casa nostra inoltre, l’acquisizione da parte della Hyundai determina il passaggio della Kia Motors Italia nel gruppo Koelliker che diventa così uno dei poli più attivi e consolidati in Italia nel settore dei 4x4. Tra le novità riservate al mercato coreano la Kia presenta inoltre una nuova versione allungata della Sportage a 5 porte che, pur avendo la carrozzeria estesa nella parte posteriore di 30.5 cm., mantiene lo stesso passo delle versioni a 3 porte e a 5 porte standard. La Sportage allungata, pur assicurando un notevole aumento di volume nelle dimensioni del bagagliaio, mantiene inoltre la stessa lunghezza massima (mt. 4.43) della normale versione a 5 porte grazie all’assenza sul portellone posteriore della ruota di scorta; quest’ultima è stata collocata sempre esternamente, ma sotto il pianale garantendo quindi un’ulteriore disponibilità di spazio all’interno del bagagliaio. Oltre ai tradizionali nuovi arrivi, i primi mesi del 1999 fanno registrare anche il ritorno (dopo alcuni anni di assenza) dell’Isuzu Trooper, importato per la prima volta in Italia dalla General Motors nella metà degli anni Ottanta. 119 Il nuovo Isuzu Tropper le cui linee estetiche, non nuovissime (risalgono al ‘91) si ricollegano naturalmente all’Opel Frontera, sebbene lo stesso veicolo (Monterey) sia prodotto anche con il marchio Opel. Il principale punto di forza della nuova Isuzu Trooper 3.0 TDI S (versione che costituisce il modello di accesso alla gamma), è il famoso motore Isuzu a 4 cilindri (16 valvole) di 3 litri; questo propulsore uno dei primi Common rail ad essere montato su una 4x4 e la notevole potenza erogata (156 CV) distanzia notevolmente diversi modelli della concorrenza (sia la Toyota Land Cruiser 3.0 TD che la Mitsubishi Pajero 2.8 TDI sviluppano 125 CV), sulla quale è inoltre avvantaggiata anche da un prezzo più contenuto. La nuova gamma Isuzu formata da due modelli di carrozzeria (a 3 e 5 porte) e da due diversi allestimenti, mentre per quanto riguarda le motorizzazioni (oltre a quella a gasolio) è disponibile anche una versione a benzina; in questo caso si tratta di un 6 cilindri di 3.5 litri a 24 valvole che sviluppa 215 CV a 5.400 giri. Da segnalare che l’intera gamma di Isuzu Trooper non è importata in Italia come in passato dalla General Motors (propietaria del marchio Isuzu), ma dalla Midi Europe di Cerea in provincia di Verona. Tornando nell’ambito delle celebrazioni dei modelli che hanno fatto la storia del 4x4, dopo i 50 anni della Land Rover (festeggiati nella primavera del ‘98), scocca anche per la Mercedes Benz una ricorrenza importante quando la Casa di Stoccarda taglia il traguardo dei 20 anni della Serie G. Dal 1979 al 1999 sono state prodotte negli stabilimenti di Graz circa 140.000 fuoristrada della Serie G (il 95% ancora in circolazione) venduti sui mercati di tutto il mondo con il marchio Mercedes e con quello Steyer-Puch in alcuni paesi europei (Svizzera, Austria, Slovenia, Serbia, Croazia, Grecia e Macedonia). Le stesse vetture sono inoltre costruite su licenza per le forze armate in Francia (equipaggiate con motore Peugeot) e in Grecia, dove la produzione si è attestata sulle 1.000 unità all’anno. A vent’anni dalla sua presentazione la Mercedes G mantiene ancora una posizione invidiabile sul mercato (ulteriormente rafforzata dopo il clamoroso successo della G 500 presentata nel ‘98) con un trend produttivo di 17-22 vetture al giorno, in crescita del 10% ed estensibile fino a 45 unità con un ciclo di assemblaggio basato su due turni. Da segnalare comunque una leggera flessione negli ultimi anni delle commesse militari che, in un passato recente, assorbiva fino al 50% degli ordini totali mentre nel biennio 1998-99 si sono attestate su una quota di circa il 25% della produzione complessiva di Mercedes G. Ancora oggi il fuoristrada tedesco, nonostante l’introduzione della nuova Classe M, rappresenta uno dei 4x4 più versatili e affidabili dell’intera produzione mondiale. Le sue caratteristiche, seppur affinate nel corso di questi venti anni per quanto riguarda numerosi particolari tecnici, sono ancora oggi validissime sotto ogni punto di vista; tra queste, oltre all’eccezionale demoltiplicazione delle ridotte (abbinate a un riduttore a due velocità sincronizzate), va segnalata soprattutto la possibilità (straordinaria nella guida off-road) di bloccare entrambi i differenziali ai ponti. Con l’arrivo dell’estate ‘99 (il 6 luglio) sbarca ufficialmente sul mercato la nuova Mitsubishi Pajero Pinin, presentata in anteprima mondiale alcuni mesi prima al Sa120 Giro del mondo in Cross Country N el corso della 70ª edizione del Salone di Ginevra è stato presentato in anteprima assoluta, nello stand Volvo, il giro del mondo in solitario a bordo di una Cross Country ideato dal giornalista svedese Christer Gerlach. Consumato driver-globetrotter, Gerlach (55 anni) ha realizzato la sua prima avventura nel lontano 1972 quando a bordo di una Citroen da 32 CV attraversò per la prima volta il deserto del Sahara. Da allora le sue imprese nel settore dei raid automobilstici lo hanno portato in lungo e in largo per il mondo attraverso 67 nazioni in tutti i continenti. Il primo giro del mondo in solitario lo ha portato a termine tra il 1988 e il 1989, impresa che gli valse l’iscrizione nel famoso “Guinness dei primati”. Negli anni successivi ha effettuato (sempre in solitario) la traversata da Capo Nord fino a Capo Agulhas, a sud di Città del Capo (Sudafrica), e quella dell’intero continente americano; quest’ultima, compiuta nel 1998 dall’Alaska alla Terra del Fuoco, è stata effettuata a bordo di una Volvo V 70 Cross Country. Il nuovo giro del mondo ha preso il via nell’aprile 2000 da Stoccolma, per concludersi nuovamente nella capitale svedese dopo circa quattro mesi di viaggio. L’itinerario si è snodato attraverso Europa, Nord Africa e Medio Oriente, Turchia, Iran, Pakisthan, India e Nepal; dopo aver attraversato la Malesia e la regione del “Triangolo d’oro” in Thailandia, la Volvo Cross Country è arrivata a Singapore da dove la vettura è stata imbarcata alla volta dell’Australia. Nel frattempo il tachimetro è salito a quota 18.000 chilometri e, dopo una lunga traversata oceanica verso il Nord America, il viaggio è ripreso dalla California per proseguire verso il Messico e raggiungere quindi New York. Dalla “Grande Mela” un’ennesima trasferta via mare riporterà Gerlach e la sua Volvo in Europa per giungere nuovamente a Stoccolma, capolinea terminale della spedizione, dopo aver percorso complessivamente circa 40.000 chilo- metri. Nell’era dell’informazione globale una particolare attenzione è stata posta nell’allestimento a bordo del veicolo delle più sofisticate tecnologie che saranno in grado di assicurare una comunicazione in tempo reale su tutte le fasi del viaggio. Grazie ad un trasmettitore GPS è stato possibile seguire su Internet la posizione della Cross Country di Gerlach accedendo sul sito www.V70XCTour.volvocars.com, mentre un sistema di telefonia satellitare (abbinato ad un computer portatile e ad una telecamera digitale) ha permesso la trasmissione su Internet di resoconti e immagini del viaggio. Nessuna modifica invece per quanto riguarda la Volvo Cross Country, perfettamente di serie, che era equipaggiata solo con due taniche di benzina, due ruote di scorta, proiettori supplementari e alcune parti di ricambio. lone di Ginevra. Con un vernissage in grande stile, alla quale interviene dal Giappone anche Katsuhiko Kawasoe, presidente della Mitsubishi Motors Co., viene lanciato il nuovo fuoristrada nel nuovissimo stabilimento di Bairo Canavese a circa 40 chilometri da Torino. Esteso su una superficie complessiva di 150 mila metri quadrati (di cui 20.000 coperti), questo impianto rappresenta la massima espressione tecnologica della moderna industria automobilistica e potrà produrre (una volta avviato a pieno regime) oltre 60.000 vetture all’anno; alla realizzazione del Pajero Pinin lavorano complessivamente 600 persone (450 nella nuova sede e 150 negli stabilimenti Pinifarina di Grugliasco, alle porte di Torino). Sviluppato su una versione già ampiamente collaudata in Giappone (Pajero Io), il Pajero Pinin assorbirà circa la metà dei volumi produttivi del gruppo torinese e l’intero sviluppo del progetto ha richiesto un investimento globale di circa 140 milioni di dollari (100 per la Mitsubishi e 40 per la Pininfarina). Come anticipato in occasione dell’anteprima al Salone di Ginevra di quattro mesi prima, è prevista entro la fine dell’anno la realizzazione di circa 11.000 veicoli, mentre entro il 2000 la produzione (e le relative previsioni di vendite) dovrebbe attestarsi attorno alle 35.000 unità annue. Previsioni del resto abbastanza attendibili sia in considerazione della penetrazione su diversi mercati europei (dopo l’Italia il Pajero Pinin verrà venduto in Spagna, Germania, Portogallo, Gran Bretagna, Austria, Belgio e Svizzera), sia in rapporto al successo registrato dal Pajero Io che in Giappone ha venduto in un anno 55.000 pezzi. Ma l’arrivo in Italia di Katsuhiko Kawasoe, a due anni dal precedente viaggio del ‘97 (in occasione dell’accordo con la Pininfarina), suscita molto interesse sui media per l’annuncio (reale o presunto, ancora non è chiaro) di un accordo con la Fiat proprio in merito alla realizzazione di un nuovo veicolo fuoristrada. All’indomani della cerimonia inaugurale dello stabilimento di Bairo Canavese infatti, il presidente della Mitsubishi si reca al Lingotto per incontrare l’amministratore delegato Paolo Cantarella. Già in occasione della presentazione del Pajero Pinin, Kawasoe anticipa che sono in corso trattative con la Fiat per siglare esclusivamente collaborazioni di tipo commerciale che, almeno per il momento, non includono alcuna forma di azionariato incrociato, né la possibilità di fusione con la Fiat o con altre Case. L’8 luglio i maggiori quotidiani annunciano in prima pagina quello che ormai viene definito il “patto Fiat-Mitsubishi”, definito come un accordo di collaborazione tecnica finalizzato allo sviluppo e alla realizzazione di un veicolo fuoristrada a quattro ruote motrici. Da indiscrezioni poco malcelate si lascia intendere che la Fiat curerà il design e lo stile della nuova 4x4, mentre la Mitsubishi si prenderà carico del telaio e della meccanica di base. Per quanto riguarda i tempi, la produzione del nuovo veicolo dovrebbe iniziare nei primi mesi del 2001 negli stessi stabilimenti Pininfarina di Bairo Canavese, con una previsione di 30.000 mezzi all’anno. L’investimento complessivo dell’operazione è stimato attorno ai 250 miliardi, con un impegno per la Fiat di 120 milioni di Euro. 123 Per quanto riguarda le caratteristiche del futuro fuoristrada Fiat-Mitsubishi, viene solo anticipato che si tratterà di una sport-utility (tipologia che sembra ormai destinata a conquistare spazi sempre più ampi nella produzione mondiale di veicoli a quattro ruote motrici) disponibile sia nella versione a 3 che a 5 porte. Con l’accordo Fiat-Mitsubishi, anche se ancora allo stato embrionale, continua nel mondo delle quattro ruote (e del fuoristrada in particolare) quel processo di globalizzazione che negli ultimi anni ha radicalmente stravolto il panorama automobilistico mondiale. Anche in questo caso la produzione nipponica ha svolto sempre un ruolo di primo piano, impegnandosi in prima persona (oltre che nelle joint-venture) anche in impianti di assemblaggio in diversi paesi europei e americani, che hanno rappresentato un provvidenziale toccasana nella dilagante crisi congiunturale che ha dovuto affrontare il Giappone negli ultimi anni (come dimostra il recente accordo Nissan-Renault). Le industrie nipponiche sono inoltre presenti da anni in Europa, come testimoniano gli stabilimenti in Gran Bretagna della Toyota (Burnaston) e della Isuzu (Luto), quelli spagnoli della Nissan Motor Iberica (Barcellona/Avila) dove vengono realizzati la Patrol e la Terrano, e quelli portoghesi (Villa Franca) della Mitsubishi dove viene costruito il Pajero. Tornando alla produzione europea, la Rover ripropone una nuova versione dell’esclusiva Range Autobiography ulteriormente arricchita nella già ampia dotazione accessoristica che, viste le origini e l’epoca della presentazione, potremmo definire (parafrasando una commedia giovanile di Shakespeare) come un autentico “sogno di una notte di mezza estate”. Il 21 luglio infatti nel cuore della campagna inglese del West Sussex, a circa 40 chilometri da Londra, viene presentata alla stampa mondiale nel corso del “Summer Press Event” organizzato dalla Land Rover il nuovo programma Autobiography che rappresenta la massima espressione tecnologica e qualitativa della Range Rover. Dal 1994 (anno dell’introduzione del nuovo modello) ad oggi sono state prodotte oltre 120.000 Range Rover, con un trend di mercato in continua ascesa; in alcuni paesi europei inoltre, a parte il segmento dei fuoristrada, la Range ha riscosso ampi consensi anche nel settore delle auto di lusso facendo registrare volumi di vendite superiori a quelli di alcune berline della fascia più alta. Per il 1999 la gamma Range Rover, notevolmente migliorata sotto tutti gli aspetti, è equipaggiata con un motore V8 sostanzialmente perfezionato, controllo della trazione sulle quattro ruote, airbag laterali e una serie di migliorie interne che rendono ancora più esclusivo l’elevato standand qualitativo del suo allestimento. Da segnalare anche la consueta adozione del dispositivo EAS (Electronic Air Suspension), un sistema di controllo direzionale ad alta tecnologia che assicura un comfort di guida impareggiabile. Va ricordato a tale proposito che la Land Rover è stata la prima azienda automobilistica impegnata nel settore dei 4x4 ad introdurre nel 1982 il sistema EAS su una vettura a quattro ruote motrici (Range Rover Classic LSE). Dodici anni dopo, in occasione del lancio della nuova Range, il sistema EAS è stato ulteriormente potenziato e perfezionato a tal punto da ottimizzare al massi124 mo le prestazioni ottenibili sui modelli della nuova gamma. Il cuore del sistema è rappresentato da una pompa ad aria abbinata ad un serbatoio e da due unità di controllo (una elettronica e una di controllo sul cruscotto), che consentono una regolazione su cinque diverse posizioni. La gamma delle altezze di guida comprende cinque livelli, da “access” (accesso) ad “extended” (esteso) che possono essere selezionati sia automaticamente che tramite un apposito selettore manuale, assicurando una perfetta sintonia delle sospensioni del veicolo alle più diverse situazioni di guida su strada e alle condizioni off-road più esasperate. Collocando il selettore sulla posizione “access”, il veicolo si abbassa al minimo livello di altezza consentendo l’ingresso e l’uscita dall’abitacolo con la massima facilità; il sistema EAS consente inoltre di viaggiare sempre in condizioni di perfetta equilibratura del veicolo indipendentemente dalle condizioni di carico. Per quanto riguarda l’andamento del mercato anche i primi sei mesi del ‘99, analogamente all’annata precedente, fanno registrare dati molto positivi per la Rover Group sia sul mercato americano che in Europa. Negli Stati Uniti, dove la Range Rover è stata introdotta nel 1987, si è avuto un incremento nelle vendite del 50%, mentre in Gran Bretagna la Freelander ha conquistato il 40% del suo segmento. Nello stesso periodo in Italia si è avuto un aumento del 92% rispetto al ’98, con circa 8.800 veicoli Land Rover immatricolati da gennaio a giugno, corrispondenti ad una quota del 46% del mercato nazionale. Incoraggianti anche i dati relativi alla Range Rover, che registrano nella prima metà dell’anno un volume di vendite di poco superiore alle 150 unità, tra cui oltre 30 modelli nella versione Autobiography (4.6 lt.). Considerata come la punta di diamante dell’intera produzione Rover nel settore delle 4x4, l’Autobiography (oltre ad essere un fuoristrada che si colloca tra le posizioni leader nell’ambito dei più lussuosi veicoli a trazione integrale) rappresenta un esclusivo programma di personalizzazione appositamente creato per soddisfare anche le più esigenti richieste della clientela della gamma Range Rover. Con la nuova versione, che mantiene la denominazione “Autobiography”, è possibile ora scegliere sia il colore della carrozzeria che quello degli interni della vettura, entrambi nelle combinazioni (e nelle sfumature) adatte alla propria personalità. Il programma Autobiography comprende infatti una gamma di 25 colori selezionati e offre una possibilità di scelta praticamente illimitata poiché ogni colore (in base alla scelta effettauta è possibile conferire alla vettura un look sportivo o classico) può essere anche selezionato nella tonalità desiderata. Altrettanta cura viene posta nel trattamento artigianale della carrozzeria di una Range Rover destinata a trasformarsi in Autobiography. Ogni veicolo viene completamente smontato e, una volta rimossi i pannelli principali, il cofano e le portiere, si passa alla complessa fase della verniciatura. Questa prevede l’applicazione manuale di 6 mani di vernice multistrato, seguite da 3 di colore base e 3 di vernice trasparente, dopodiché si procede al processo di lucidatura (anch’essa eseguita a mano) che può interessare sia la vettura completa (cerchi inclusi) che essere effettuata mantenendo i classici dettagli in nero tipici della Range Rover; per un ulteriore tocco di personalizzazione è possibile inoltre applicare l’esclusivo badge posteriore, con la scritta Autobiography, placcato in oro 18 carati. 125 Anche gli interni dell’abitacolo offerti dal programma Autobiography non sono da meno rispetto alla carrozzeria, con un’ampia dotazione di rifiniture in legno di radica e pelli pregiate applicate al cruscotto, al tunnel centrale, al volante e alle portiere. Gli interni in pelle, come nel caso della carrozzeria, consentono una vasta scelta per quanto riguarda la gamma di colori, sia nella scelta delle tinte che nelle tonalità e negli abbinamenti che, a seconda dei gusti, possono essere contrastanti o complementari. Per i più esigenti si possono avere anche i sedili posteriori riscaldati, una speciale consolle (inserita nello schienale dei sedili anteriori) permette l’alloggiamento di vari accessori quali fax, frigorifero, minibar e umidificatore, mentre per salvaguardare al massimo la privacy all’interno dell’abitacolo è possibile scegliere i colori dei cristalli tra una gamma completa di colori. Dal punto di vista tecnologico il programma Autobiography equipaggia la Range Rover con sistemi modernissimi e all’avanguardia nel campo dell’elettronica. Tra le dotazioni fornite figurano l’impianto TV, TV-Video e navigazione satellitare che si avvale di tre schermi (uno collocato sulla consolle centrale e due nei poggiatesta dei sedili anteriori) che possono essere utilizzati sia per la proiezione di programmi TV (o video) che per la visualizzazione delle informazioni della navigazione; un apposito dispositivo di sicurezza assicura inoltre la commutazione dello schermo anteriore (durante la marcia) sulle informazioni riguardanti la navigazione. La diffusione sonora è garantita invece dal normale sistema audio Range Rover o, in alternativa, da sosfisticate cuffie a raggi infrarossi. Il sistema di navigazione, all’avanguardia tra i migliori modelli presenti sul mercato, consente di pianificare il tragitto ottimale verso la destinazione desiderata grazie ad una serie di informazioni provenienti da vari input. Oltre ai sensori di velocità (posti sulle ruote del veicolo) e alla bussola giroscopica di bordo, il sistema di navigazione utilizza i dati provenienti dalla rete satellitare GPS (Global Positioning System) e da un CD-ROM contenente i database dei dati stradali (sono disponibili CD a copertura della maggior parte delle nazioni europee, del Giappone e degli Stati Uniti). Realizzata dalla divisione Land Rover Special Vehicles, la Range Rover Autobiography è disponibile presso la normale rete dei concessionari Land Rover; per il futuro è in programma comunque la creazione di una serie di punti vendita specializzati, denominata “Autobiography Studios”, il primo dei quali è stato aperto in Kuwait nel 1998. La Range Rover Autobiography è un’auto esclusiva anche nel prezzo che, in base alla dotazione accessoristica adottata, può arrivare a sfiorare quasi i 300 milioni di lire. Con la presentazione della Autobiography nel West Sussex, la Rover Group va in vacanza disertando il Salone Internazionale 4x4 della Val d’Isere, dove partecipa solo tramite un concessionario locale dell’Alta Savoia. Giunto nel 1999 alla sua sedicesima edizione, il Salone della Val d’Isere fotografa come sempre lo stato di salute dell’intero panorama europeo dell’off-road, nonostante diverse aziende non le riconoscano forse quell’importanza che merita. 126 Land Rover Range Rover MY 2006 127 Cross Country Story I ntrodotta per la prima volta sul mercato nel 1997, la Volvo Cross Country ha riscosso fin dalla sua immediata commercializzazione un ampio successo di vendita, costituendo nel 2000 circa il 18% delle immatricolazioni della V70. Analizzando alcuni dati relativi alle vendite nei segmenti nei quali si posiziona la Volvo Cross Country si evidenziano cifre incoraggianti sia nel settore delle station wagon a trazione integrale che in quello delle sport-utility. Nel primo caso, a parte la lieve flessione registrata tra il ‘96 e il ‘97 (quando si passati dalle 1.963 alle 1.312 unità), si avuto un costante aumento negli ultimi due anni (2.590 unit nel 1998 e 3.880 nel 1999) e per il 2001 le previsioni ipotizzano il superamento del tetto delle 5.000 station wagon immatricolate. Sul mercato italiano inoltre le SW 4x4 di grandi dimensioni rappresentano il 18% dell’intero segmento (il 57% costituito da modelli a benzina). Per quanto riguarda il mercato italiano delle SUV la progressione nelle vendite stata costante negli ultimi cinque anni (19.969 nel 1995, 24.266 nel 1996, 26.308 nel 1997, 29.844 nel 1998 e 34.888 nel 1999), con una previsione per il 2001 di oltre 40.000 unità; in questo caso la diffusione di modelli a benzina si attesta sul 15%. Considerando che la Volvo Cross Country si posiziona a cavallo tra i due segmenti, gli esperti di marketing della Casa svedese prevedono per il prossimo anno una penetrazione di mercato prossima al 4% del totale delle SW e delle SUV, corrispondenti a circa 340 unità. 128 In Francia il mercato delle 4x4 gode ottima salute (solo le riviste specializzate sono 7 contro le 3 diffuse in Italia) e le previsioni di vendite di fuoristrada per il 2000 dovrebbero attestarsi (analogamente a quanto auspicato per il mercato italiano e quello spagnolo) attorno alle 60.000 unità; il positivo trend di crescita inoltre lascia supporre che, seppur lentamente, la Francia si sta avvicinando ai valori della Germania e della Gran Bretagna dove ogni anno il mercato fa registrare rispettivamente un incremento di 80.000 e 100.000 veicoli nuovi immatricolati. La novità di maggiore rilievo del Salone (presentata in anteprima mondiale proprio da un’azienda nazionale) è la Renault Scenic Rx4, definita come la “prima compatta 4x4 monovolume” e con la quale la Casa francese entra ufficialmente nella nicchia delle sport-utility. Questo settore, nato come un fenomeno peculiare del mercato statunitense, si è ampiamente diffuso anche in Europa a partire dalla metà degli anni Novanta, con un incremento del 5% annuo negli ultimi anni che ha fatto registrare punte del 25% tra il ‘97 e il ‘98). Dopo sei anni di assenza dal mondo delle quattro ruote motrici (nel ‘93, anno in cui apparve la concept car Racoon, cessò anche la commerciailzzazione del marchio Jeep), e a 17 dalla clamorosa vittoria ottenuta alla Parigi-Dakar (1982-Renault 20 Turbo 4x4), la Renault rientra in grande stile nel settore dei veicoli a trazione integrale. La nuova Scenic Rx4 si candida a diventare una delle più agguerrite concorrenti della sua categoria (alla quale appartengono la Toyota RAV 4, la Honda CR-V e la Land Rover Freelander), grazie all’ampia abitabilità interna e alla notevole versatilità assicurata dai potenti propulsori. A tale proposito sono disponibili due motori, uno a benzina (2.0 lt., 16V, 140 CV) e un Common rail diesel (1.9 lt., 105 CV). Dotato di un sistema di trasmissione integrale permanente, sviluppato dalla Renault in collaborazione con lo specialista austriaco Steyer-Puch, la Scenic Rx4 è equipaggiata inoltre di controllo elettronico della trazione; dopo l’annunciata presentazione ufficiale al Frankurt Motor Show, la nuova SUV della Renault dovrebbe arrivare sul mercato nella prima metà di gennaio del 2000. Tra le altre novità apparse al Salone della Val d’Isere vanno segnalate l’anteprima mondiale della nuova Opel Campo Pick-Up (equipaggiata con un turbodiesel da 2.5 litri ad inezione diretta da 76 CV sulla versione con cabina singola e un diesel da 3.1 lt. da 109 CV su quella a doppia cabina) e della nuova Mitsubishi L 200 (equipaggiata con la nuova trasmissione Easy Select che consente di passare dalla trazione 4x2 alla 4x4 fino a velocità inferiori ai 100 Kmh.) la cui presentazione ufficiale è prevista per l’autunno in occasione del Salone di Francoforte, mentre per i 20 anni della Mercedes, la Casa di Stoccarda ha presentato una versione speciale della G 500. Sul finire dell’estate, tra la fine di agosto e i primi di settembre, la Nissan presenta in anteprima assoluta la nuova Terrano II per l’anno 2000, scegliendo come scenografia la splendida cornice del paesaggio islandese dove viene convocata per l’occasione tutta la stampa specializzata europea. A metà settembre si svolge la 58a edizione del Salone di Francoforte (IAA - In129 ternationale Automobil-Ausstellung), considerato come l’ultimo importante appuntamento del secolo per gli appassionati del mondo dell’automobile. La rassegna del ‘99 si apre decisamente all’insegna dei record, a partire dalle novità presentate in antprima mondiale (51), oltre ad 8 prime europee e 38 tedesche. Da segnalare inoltre nella sconfinata area dei dieci padiglioni della Fiera di Francoforte (250.000 mtq., comprese le aree espositive all’aperto), la presenza di circa 1.200 espositori provenienti da 43 paesi diversi. Nel settore dei fuoristrada, da sempre presenti in maniera significativa a Francoforte, hanno debuttato numerose novità all’ombra della Messeturm tra cui un’anteprima mondiale assoluta, rappresentata dalla Land Rover Project SVX, e svariate altre proposte che complessivamente hanno portato a 12 il numero delle novità dei 4x4. Tra queste ultime, molto interesse hanno suscitato l’anteprima europea della Lexus RX e del- la Lincoln Blackwood, oltre alla nuovissima Mercedes ML 55 realizzata dalla AMG; quello degli allestitori rappresenta, soprattuto nel mercato tedesco, un settore molto vitale e dinamico che ha presentato al Salone di Francoforte le ultime novità dei marchi Brabus, Bertrand, Edag e Delta 4x4. Nell’ambito della normale produzione di serie, sono arrivate dal Giappone la nuova Honda HR-V a 5 porte e la versione cabrio della Suzuki Jimny, mentre la Land Rover ha presentato la Freelander Commercial; la produzione europea era inoltre rappresentata anche dalla Renault Scenic Rx4 che i francesi, come sempre nazionalisti ad oltranza, avevano già presentato il mese prima in occasione del Salone in Val d’Isere. Derivata direttamente dall’ultima Defender Td5, la Land Rover Defender Project SVX propone un’interpretazione ulteriormente spinta del concetto di fuoristrada, introducendo una nuova tipologia che si colloca a metà strada tra il prototipo e il 4x4 agonistico. Il propulsore adottato per questo modello, pur derivando direttamente dal nuovo 5 cilindri turbodiesel Td5 che equipaggia le Defender dell’ultima generazione, è stato sensibilmente potenziato per quanto riguarda il programma elettronico; ciò ha consentito un incremento del 25% della coppia che raggiunge ora (anche al di sotto dei 2.000 giri) i 375 Nm. (contro i 300 della Defender). La particolare attenzione posta dalla Rover nei confronti di un utilizzo off-road estremo è testimoniata dall’adozione, su entrambi gli assi, di differenziali autobloccanti maggiorati a comando pneumatico la cui attivazione è regolata da un apposito pulsante situato sul cruscotto. Quando i differenziali sono bloccati, il sistema disattiva automaticamente l’ETC (Electronic Traction Control). La gestione ottimale della marcia su qualsiasi tipo di terreno è inoltre agevolata dalle innovative molle elicoidali che assicurano una corsa a doppia rigidezza associata all’ammortizzatore pressurizzato, alimentato da un accumulatore separato. A tale proposito un ruolo non trascurabile viene svolto anche dai cerchi in lega da 20 pollici e dai pneumatici tuttoterreno a scolpitura speciale. Su questi ultimi è possibile montare anche il sistema di gonfiaggio CTIS (Central Tyre Inflation System), in grado di utilizzare il compressore e l’accumulatore di pressione dei bloccaggi dei differenziali. 130 Per quanto riguarda la gestione elettronica, la Defender Project SVX è equipaggiata di serie con ABS a quattro canali (appositamente adattato per l’utilizzo offroad), EBD (Electronic Brake Distribution), ETC (Electronic Traction Control) agente su tutte le ruote e HDC (Hill Descent Control). Da segnalare inoltre le nuove soluzioni adottate per la realizzazione del telaio e della carrozzeria, entrambi ampiamente rivisitati in funzione di un utilizzo off-road particolarmente impegnativo. Il telaio, completamente sottoposto a galvanizzazione per immersione, presenta un pianale interamente protetto da lastre e può essere abbinato a un argano elettrico smontabile. La carrozzeria, identica nelle sue linee essenziali a quella della normale Defender Td5, presenta i passaruota allargati, un imponente paracolpi anteriore in alluminio e le porte (anteriori e posteriore) completamente smontabili. Una particolare attenzione è stata posta anche nell’ambito della sicurezza, con l’adozione di un grosso roll-bar a gabbia (sulla quale è montato uno snorkel in grado di consentire un’estrema profondità di guado), mentre entrambi i sedili sono stati appositamente studiati per l’off-road e sono rivestiti di materiale idrorepellente e dotati di appigli integrati e cinture di sicurezza a bretella a quattro punti. Completamente diversa nella concezione (e nel target) è invece la Lexus RX presentata dalla Casa giapponese come la versione europea del modello statunitense RX 300 che, a partire dall’autunno 2000, sarà disponibile su tutti i mercati comunitari. La RX 300 ha riscosso ampi consensi negli USA toccando nel corso del ‘98 la ragguardevole cifra delle 40.000 unità vendute (38% del totale Lexus) divenendo una delle sport-utility di maggiore successo. Combinando lo styling e l’abitabilità di una station-wagon con la versatilità di una vettura a trazione integrale, la Lexus RX (equipaggiata con un V6 da 3 litri) si propone come “un’alternativa al fuoristrada convenzionale” in grado di soddisfare appieno le aspettative di quella fascia di utenza alla ricerca di un fuoristrada di lusso. Ideata in Europa presso il centro di progettazione europeo della Toyota (EPOC), la Lexus RX monta ruote da 19 pollici appositamente realizzate e presenta un assetto ribassato (l’altezza massima di ca. 20 cm. inferiore rispetto ai normali fuoristrada) che sottolineano ulteriomente le proporzioni distintive e dinamiche dell’automobile tradizionale. L’interno, elegantissimo e in linea con l’elevato standard qualitativo del veicolo, presenta sedili rivestiti in pelle nera combinata a particolari cuciture in rilievo. I sedili anteriori sono inoltre dotati di riscaldamento e regolazione elettrica, mentre quelli posteriori (oltre ad essere reclinabili singolarmente) possono scorrere avanti e indietro di 12 cm. in funzione dello spazio richiesto per i passeggeri o del carico del bagagliaio. Nell’elegante cruscotto sopra il cambio sono alloggiati i comandi dello stereo (l’impianto CD automatico a 6 dischi è situato nel cassetto portaoggetti) e un display in grado di controllare le funzioni audio, il sistema di riscaldamento e climatizzazione, oltre ai vari dati riguardanti il computer di bordo e il sistema di navigazione satellitare. 131 Altrettanto lussuosa e raffinata è la concept car Lincoln Blackwood, esposta in anteprima europea al Salone di Francoforte e apparsa per la prima volta all’Auto Show di Los Angeles nel dicembre ‘98. Ideata sull’onda del successo riscosso sul mercato americano dalla sport-utility Navigator, la Lincoln ha deciso di approfondire ulteriormente l’idea di coniugare il comfort di una berlina di lusso con la versatilità di una SUV. Equipaggiata con un potente motore V8 di 5.4 litri, la Lincoln Blackwood presenta una linea estremamente originale grazie al vano pick-up totalmente integrato all’abitacolo e ricoperto da oltre 6 metri quadrati di wenge (un legno scuro, denso e striato, proveniente dall’Africa centrale). Il legno wenge viene sigillato con una resina epossidica chiara che, oltre a svolgere un’efficace protezione nei confronti degli agenti atmosferici, evidenzia la naturale bellezza della sua grana; ed è proprio la combinazione tra il legno di colore scuro e la lamina di metallo laccata in nero ad aver ispirato la scelta del nome Blackwood. L’interno dell’abitacolo, oltre ad allinearsi al già elevato standard qualitativo della Lincoln Navigator, è ulteriormente impreziosito dall’aggiunta di inserti in legno wenge sul volante e sul quadro degli strumenti, mentre i quattro sedili sono rivestiti di pelle nera “Connolly”. Le reazioni del pubblico nei confronti di questo veicolo sono state talmente entusiaste, fin dalla sua prima apparizione nei saloni statuinitensi, che la Ford Motor Company ha deciso di avviare la produzione di una versione di questa concept car tipicamente americana presso gli stabilimenti di Kansas City entro la fine del 2000. Molto assortita al Salone di Francoforte ‘99 è stata anche la proposta di veicoli Mercedes, sia per quanto riguarda i modelli ufficiali (ML 55 AMG e ML 270 CDI) che quelli presentati da alcuni allestitori. La ML 55, nata dall’acquisizione della Mercedes-AMG GmbH (società specializzata nell’elaborazione sportiva di autovetture di lusso) da parte della Daymler-Chrysler AG che dall’inizio del ‘99 possiede ne possiede il 51%, rappresenta il modello più potente e esuberante della Classe M. Considerata come il nuovo “model year 2000”, la ML 55 AMG è equipaggiata con un motore V8 (erogante una potenza di 347 CV) che, abbinato ai nuovi dettagli estetici e agli attraenti elementi nel design della carrozzeria, contribuiscono a definire un nuovo segmento top nella gamma dei fuoristrada più esclusivi. Gli ingegneri della Mercedes-AMG hanno modificato l’otto cilindri di cinque litri della Classe S impiegando pistoni di alluminio, speciali iniettori d’olio ed efficienti alberi a camme ripresi dallo sport automobilistico. Queste modifiche, abbinate all’aumento di volume di cilindrata a 5.5 litri, consentono di raggiungere un’erogazione di coppia massima di 510 Nm, che si sviluppa già a partire dai 2.800 giri al minuto; la ML 55 è in grado inoltre di accelerare da zero a 100 Kmh. in soli 6.9 secondi e raggiunge una velocità massima di 232 Kmh. I pneumatici larghi (285/50 R18) e il sistema ESP (Electronic Stability Program), uniti alla trazione integrale e all’assetto modificato degli assali, garantiscono un elevato 132 133 Land Rover Project SVX grado di sicurezza in qualsiasi condizione di marcia sia su strada che nell’utilizzo offroad. Con la nuova ML 270 CDI la Mercedes propone invece per la prima volta un modello diesel nella Classe M che viene equipaggiata con un cinque cilindri di nuova concezione con numerose particolarità tecniche tra cui la più moderna iniezione diretta Common rail, quattro valvole per cilindro, turbocompressore VNT ed intercooler. La Casa di Stoccarda equipaggia inoltre con un nuovo cambio manuale a 6 marce il motore in grado di erogare 163 CV, sviluppando una coppia massima di 370 Nm già tra i 1.800 e i 2.600 giri al minuto (valore che sale addirittura a 400 Nm nei modelli con cambio automatico a 5 marce, disponibile a richiesta). L’elevata capacità di ripresa a bassi regimi del cinque cilindri è dovuta soprattutto all’utilizzo del turbocompressore con turbine a geometria variabile VNT (Variable Nozzle Turbine), che modifica la sezione di passaggio in relazione al valore d’esercizio del motore, sviluppando di conseguenza la corretta pressione di sovralimentazione. Da segnalare inoltre i consumi contenuti, in perfetta sintonia con il nuovo ciclo di marcia europeo, che richiedono 9.4 litri di carburante ogni 100 chilometri (9.3 nella versione con cambio automatico). Tra le versioni speciali realizzate dai maggiori allestitori presenti sul mercato tedesco vanno segnalate quelle della Brabus (Classe M e G), disponibili sul mercato, e due interessanti prototipi pick-up allestiti sulla Classe M dalla Edag (Scout) e dalla Bertrandt (Bertrandt Competence Car). Apparso già all’ultima edizione del Salone di Ginevra, l’Edag Scout è la prima rivisitazione della Classe M in versione pick-up; estremamente compatto nella linea, questo veicolo si propone di trasferire nella produzione di serie i concetti del più raffinato design applicato ad un mezzo destinato prevalentemente ad un utilizzo nel tempo libero; la parte posteriore, completamente aperta, presenta due raccordi laterali che armonizzano il profilo con l’abitacolo e un piccolo spoiler (esteso tra i due gruppi ottici posteriori) nel quale sono inseriti i retronebbia. Più grintosa e accattivante è invece la linea del Bertrandt BCC le cui forme richiamano più da vicino un tradizionale pick-up a quattro ruote motrici, con robuste pedane laterali e bull-bar anteriore con portatarga incorporato; il cassone, accessibile mediante portellone ribaltabile, è interamente rivestito in alluminio e presenta su entrambi i lati due supporti cromati di ancoraggio. Tornando alla normale produzione di serie, la Honda ha presentato la versione a 5 porte dell HR-V, più lunga di 10 centimetri rispetto al precedente modello a 3 porte, che offre un notevole incremento in fatto di comfort e stivaggio dei bagagli. Il modello HR-V 5P assicura inoltre gli stessi elevati standard di sicurezza (attiva e passiva) del modello a 3P, grazie alla tecnologia Honda New Safety Body, che permette anche alle vetture di piccole dimensioni di rispondere agli standard di sicurezza internazionali, oltre a minimizzare i danni ai pedoni in caso di impatto accidentale. Per la “Joy Machine” la Honda ha presentato inoltre anche un nuovo motore di 1.6 lt. (124 CV), simile a quello che equipaggia la Civic, che può essere montato su 134 Lexus RX Honda HR-V 5P Opel Campo Pick-up Nissan Terrano II-2000 135 entrambe le versioni. Abbinato a un cambio manuale a 5 marce e ad un sistema di trazione integrale 4WD Real Time (un dispositivo elettronico che utilizza tutte le ruote motrici solamente quando si necessita di una trazione supplementare). Sia sul modello a 3P che sulla 5P il nuovo motore Honda della HR-V consente di raggiungere una velocità massima di 170 Kmh. Alla fine di novembre la Kia Motors Italia lancia sul mercato nazionale la nuova Sportage Cabrio a 2 porte, nella versione definitiva per i mercati europei. In realtà di questa versione si parlava già dall’inizio dell’anno, soprattutto dopo l’enorme successo di vendita registrato negli Stati Uniti, per cui la presentazione ufficiale avviene quando la stampa specializzata aveva ampiamente avuto modo di testare il veicolo con largo anticipo. La linea, pur rimanendo sostanzialmente invariata nella zona anteriore, è caratterizzata dalla parte posteriore della carrozzeria completamente ridisegnata con l’adozione di una capote facilmente amovibile e sostenuta da un robusto roll-bar in acciaio cromato sul quale sono ancorati i supporti delle cinture di sicurezza. Anche nella nuova versione Cabrio della Sportage la Kia è rimasta fedele all’ormai ampiamente collaudato propulsore che equipaggia la cinque porte. Il motore, collocato in posizione longitudinale anteriore, è il classico quattro cilindri a benzina di due litri con testata a 16 valvole in grado di sviluppare 128 CV a 5.400 giri. Oltre ad essere più corta di circa 30 centimetri (4.025 mm. contro 4.335) della tradizionale Sportage, la Cabrio presenta anche un passo decisamente ridotto (2.360 mm. contro 2.650) che assicura una marcia in più sui percorsi misto-veloci. Diversamente da molte altre sport-utility presenti sul mercato la Kia Sportage Cabrio, grazie alla presenza del riduttore, assicura prestazioni da vero fuoristrada con una buona coppia e un’eccellente elasticità del motore; l’unico limite nell’off-road estremo è rappresentato dall’altezza minima da terra che, seppur superiore ai 20 cm., richiede una certa cautela su pietraie e mulattiere molto accidentate. Per il lancio ufficiale sul mercato italiano la Kia sceglie la passerella del Motorshow di Bologna che, come al solito agli inizi di dicembre, rappresenta il classico appuntamento di chiusura della stagione. Poche come di consueto le novità di rilievo presenti alla rumorosa kermesse bolognese, dove debuttano per l’Italia la nuova Nissan Terrano II, la Freelander Commercial e la Range Rover Autobiography con motore 2.5 TD. Nello stand della Isuzu fa la sua prima apparizione in Italia l’avveniristica Vehicross (ancora nella versione a 2 porte), già in vendita negli Stati Uniti, il cui arrivo sul nostro mercato non è previsto purtroppo in tempi brevi. 136 Mercedes ML 55 AMG Mercedes Classe M Brabus V12 Classe M Edag Scout Classe M Bertrandt BCC 137