1.
Comando Unità Mobili e Specializzate Carabinieri
“Palidoro”
Nr. 241/4/2009 di prot.
Roma, 15 Luglio 2009.
OGGETTO: Milano, 12 Dicembre 1969, Piazza Fontana. Strage.
Comunicazione di Notizia di Reato.
.
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI
- Sost. Proc. Massimo Meroni MILANO
Cons. a mano dallo scrivente.
^^^^^^^^^^^^^^^
1. SCATURIGINE.
Giovedì 28 Maggio 2009 è stato posto in commercio il testo dal titolo “Il segreto di
Piazza Fontana”, edito per i tipi della casa editrice “Ponte alle Grazie”, il cui autore,
nella prima di copertina indicato quale artefice dell’inchiesta giornalistica dalla quale
sarebbe scaturito il libro, si identifica nel professionista Paolo Cucchiarelli […]1.
1
Seguono data di nascita e residenza di Paolo Cucchiarelli, che per ragioni di privacy vengono qui omesse (nota di
Andrea Carancini).
1
Alcune delle affermazioni riportate nel testo, le tesi che da queste derivano e le
conclusioni proposte, rivestono un interesse affatto secondario nella ricostruzione dei
tragici eventi del 12 Dicembre 1969.
In estrema sintesi, si evidenziano i seguenti punti:
a) Il 12 Dicembre 1969 sarebbero stati rinvenuti a Milano altri due ordigni
esplosivi, sottratti all’attenzione dell’A.G. all’epoca procedente, perché
rivelatori di una macchinazione criminosa tesa a far ricadere la responsabilità
delle attività terroristiche di quella giornata sul movimento anarchico;
b) Pietro Valpreda sarebbe effettivamente entrato all’interno della Banca
Nazionale dell’Agricoltura al fine di deporvi un ordigno esplosivo non
micidiale che avrebbe dovuto detonare dopo la chiusura dell’Istituto di Credito.
Tuttavia, il suo progetto, noto alla destra eversiva attraverso un cospicuo
numero di infiltrazioni in atto in campo anarchico, sarebbe stato oggetto di una
modifica in corso d’opera tesa ad anticipare lo scoppio e renderlo letale;
c) Il noto Nino Sottosanti avrebbe rivelato al sig. Cucchiarelli che la sera dell’11
Dicembre 1969 vide, a Milano, Giovanni Ventura entrare nello stabile di Via
del Carmine nr.7 dove vivevano sia l’editore Feltrinelli, con la consorte Sibilla
Melega, che Giovanni Corradini e la sua compagna Eliane Vincileone, questi
ultimi importanti propulsori ideologici del neoanarchismo ambrosiano
postsessantottino, portando seco due borse scure;
d) L’autore cita la testimonianza di un ignoto “Mister X”, definito, alla pag. 641
del testo, “…nel 1969 era un fascista operativo…”, il quale gli avrebbe detto
che: 1) Alla Banca Nazionale dell’Agricoltura erano presenti due borse; 2) La
bomba degli anarchici venne innescata in un abbaino dell’allora Vicolo
Margherita a Milano, nella disponibilità di studenti greci, e venne ritirata dal
Valpreda che, in taxi, si recò a collocarla nell’istituto di credito di Piazza
Fontana. Nell’abbaino era presente il Ventura. Nella bomba “anarchica” venne
inserito un componente oleoso finalizzato ad impedirne la distinzione da quella
“fascista”; 3) Anche alla BNL di Roma vi furono due bombe, una anarchica ed
una fascista, così come al Vittoriano, ma l’errata collocazione fece poi ritenere
che fossero stati realizzati due attentati, uno al pennone della bandiera, l’altro
al lato museo; 4) L’esplosivo utilizzato per la strage di Piazza Fontana è lo
stesso adoperato per la strage di Piazza della Loggia: si tratta di plastico
jugoslavo di provenienza ustascia. Il gruppo romano aveva un consulente
esplosivista poi divenuto professore universitario; 5) L’Arma dei Carabinieri,
grazie ai rapporti tenuti da un certo numero di Ufficiali (Castellani, Servolini,
Ferrara, Varisco, quelli nominati) seppe tutto sin da subito. In particolare,
l’operazione sfuggì di mano ad un Colonnello che ebbe poi un ruolo anche in
successive vicende italiane. La polizia seppe successivamente e questo fermò
l’operato dei Carabinieri;
e) Il noto Silvano Russomanno, già funzionario dell’ex-SISDe, avrebbe
sostanzialmente confermato all’autore la presenza di due borse all’interno della
2
BNA di Piazza Fontana sostenendo che la notte stessa del 12 Dicembre la
Polizia aveva compreso come erano andate le cose.
2. SUL RUOLO DI VALPREDA.
Nel passato, più di un estremista di destra si era espresso in merito alla non estraneità
di Pietro Valpreda agli accadimenti del 12 Dicembre 1969:
a) Lo scrivente, in data 25 Settembre 1994, incontrò, a Toulose, in Francia,
unitamente al Dr. Madia, il noto Martino Siciliano, con il quale era entrato in
contatto sin dal giorno precedente, al fine di saggiarne il patrimonio
conoscitivo. Tra le varie affermazioni, le seguenti, di particolare interesse
nell’ambito del presente approfondimento: “…L’attentato di PIAZZA
FONTANA era stato concepito per non fare vittime, ciò almeno in ambiente
veneto, poi, in ambito milanese doveva essere accaduto qualcosa. La sua
concezione vedeva intrecciarsi destra e sinistra, il GRUPPO VENETO aveva
stretti legami con l’estremismo di sinistra, questi erano tenuti dalla sorella di
VENTURA, di opposta visione politica, con la quale era stata condivisa
l’effettuazione di vari attentati. La logica era quella di abbattere il governo
con l’aiuto della sinistra e poi confrontarsi con essa in un secondo tempo.
Nulla sapeva della fase milanese di Piazza Fontana, né era a conoscenza di
alcuni particolari accennatigli dallo scrivente. Lo ZORZI nel 1970 gli aveva
comunque riferito che il depositore era stato PIETRO VALPREDA…”.
ALL.1;
b) Lo scrivente, in data 11 Novembre 1993, sostenne un colloquio investigativo
con il noto Graziano Gubbini presso la Casa di Reclusione di Spoleto (PG).
Tra le varie affermazioni, si riporta la seguente: “…Non aveva nulla da
ribattere a contrario sulla ricostruzione dei passaggi operativi della strage di
Piazza Fontana fattagli dallo scrivente,ma la bomba non si era fermata nelle
mani di Fachini, egli l’aveva manipolata agendo sul timer dimodochè
esplodesse quando la gente era ancora presente nella Banca e l’aveva
passata al VALPREDA che aveva agito credendo di piazzare un’innocua
bomba anarchica…”. ALL.2;
c) Il 20 Dicembre 1985, il noto Napoli Gianluigi, rese un verbale, da detenuto,
nei locali del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Bologna, alla presenza del
G.I. Dr. Grassi e dei PP.MM. Dr. Mancuso e Dr. Cardani, nel quale, tra le
varie affermazioni, sostenne che: “…da riferimenti fattimi dal MELIOLI
compresi che solo il FACHINI avrebbe potuto essere colui che approntò
l’ordigno per la strage di PIAZZA FONTANA. Secondo il Melioli inoltre a
collocare la bomba sarebbe stato proprio il VALPREDA e gli ambienti
anarchici sarebbero stati infiltrati tramite il MERLINO, il quale, sempre
secondo il MELIOLI fu colui che consegnò la bomba nelle mani di
Valpreda…”. ALL.3. Tali affermazioni sono state ripetute dal Napoli nel
3
dibattimento in corso a Brescia per la strage di Piazza della Loggia, in data 23
Giugno 2009, ma lo scrivente non dispone ancora del resoconto stenografico;
d) Il 10 Novembre 1993, lo scrivente effettuava un colloquio investigativo con il
noto Pierluigi Concutelli, nella Casa Circondariale di Roma Rebibbia, nel
corso del quale, tra le varie affermazioni, il detenuto rappresentava che: “…Io
so come è avvenuta Piazza Fontana, sono tutti colpevoli, FACHINI non ha
trattenuto l’ordigno, ha solo modificato la programmazione del timer di
modo che con assoluta certezza si verificassero dei morti, poi lo ha passato
al VALPREDA, inconsapevole di ciò che stava per procurare…”. ALL.4;
e) Sul sito http://www.marilenagrill.org, nell’archivio articoli del 2009, è
reperibile uno scritto intitolato “L’ARMA DEL SILENZIO”, firmato
“Vincenzo Vinciguerra, Opera 20 Giugno 2009”, nel quale viene lamentata la
scarsa attenzione data al testo del Cucchiarelli dai mass media ed espresso il
dissenso sulla convinzione del Valpreda di partecipare ad un attentato solo
dimostrativo, sostenendo, quindi, implicitamente, una partecipazione di
quest’ultimo alla strage di Piazza Fontana. Il Vinciguerra, se è realmente
l’autore dell’articolo, ma lo scrivente ritiene di averne riconosciuto
l’inconfondibile stile, fa anche riferimento ad una precisa volontà di
impedirgli di leggere il testo del Cucchiarelli. ALL.5.
3. COMPATIBILITA’ DELLA VICENDA “FUSCO”.
Il 7 Settembre 2000 lo scrivente escuteva il defunto Senatore Taviani apprendendo da
questi i primi elementi informativi che avrebbero successivamente dato avvio al
filone investigativo inerente l’Avv. Matteo Fusco, nato a Gaeta il 7 Dicembre 1908 e
defunto a Roma il 20 Dicembre 1985. Come noto, secondo quanto appreso dal
Senatore, nel 1974, per canale ecclesiastico, ma all’epoca confermatogli sia dal Dr.
Santillo che dal Gen. Miceli, il Fusco avrebbe tentato di impedire l’esecuzione degli
attentati terroristici del 12 Dicembre 1969, recedendo dal proprio proposito una volta
appresa, a Fiumicino, dove sarebbe stato in procinto di imbarcarsi su un volo per
Milano, la notizia della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Poiché è stato
appurato, con annotazione del ROS nr. 5067/224 del 19 Febbraio 2001, diretta
all’A.G. di Brescia, che l’Ansa diede la prima notizia dello scoppio alle 17.05, circa
20 minuti dopo l’esplosione, è ipotizzabile che l’intenzione del Fusco di partire fosse
supportata dalla convinzione di avere il margine di tempo necessario per intervenire.
Quindi il comportamento del soggetto è compatibile con una rapida accelerazione
degli eventi rispetto ad una apprensione informativa basata su di una diversa
tempistica. E’ parimenti ipotizzabile che nulla facesse presagire al Fusco una così
tragica precipitazione, altrimenti avrebbe potuto tentare di lanciare telefonicamente
un allarme, mentre, la decisione di partire, mette in luce la convinzione soggettiva di
avere il margine temporale necessario ad un intervento de visu e con un interlocutore
in grado di intervenire sulla imminente fase di realizzazione operativa.
4
4. IL PARALLELISMO CON PIAZZA DELLA LOGGIA.
In chi ha partecipato alla conduzione delle indagini sulla strage di Piazza della Loggia
del 28 maggio 1974, l’ipotesi di un possibile ruolo del Valpreda nella strage di Piazza
Fontana, cioè di un anarchico in quella che era una attività operativa dell’estremismo
di destra, non può non richiamare l’attenzione sul filone investigativo inerente il
brigatista rosso Arialdo Lintrami. Nonostante siano stati effettuati accurati e
minuziosi accertamenti, non è ancora oggi possibile stabilire se la vicenda sia del
tutto vera, solo parzialmente corrispondente all’effettivo svolgimento dei fatti o frutto
di una preordinata ed insidiosa azione di intorbidimento investigativo in grado di
produrre danni anche a molti anni di distanza dallo svolgersi degli eventi oggetto di
accertamento.
Il nome del predetto, nato a Milano il 12 Novembre 1947, già esponente di spicco
delle colonne milanese e torinese delle Brigate Rosse, il suo indirizzo (Via Inganni 3
a Milano, al successivo civico 79/A c’era la residenza di uno dei capi del MAR,
Gaetano Orlando) e numero telefonico relativi all’anno 1974, dati la cui esattezza era
ribadita dallo stesso Lintrami, compaiono in agenda del defunto estremista di destra
Ermanno Buzzi, nei giorni 10,13 e 30 Maggio 1974. Il Buzzi ne parla ancora, più
diffusamente e con precisione, nelle istanze che, dal Febbraio del 1975 al Febbraio
1977, inviò agli inquirenti, indicandolo come persona che era in contatto con soggetto
ritratto in foto scattata immediatamente dopo la strage di Brescia, in rapporti con il
defunto Silvio Ferrari e, soprattutto, riferendo che con lui si era recato il 30 Maggio
1974 ad un appuntamento con il noto Giancarlo Esposti. Il Lintrami ha tralaltro
confermato l’effettiva disponibilità di una Fiat 126, così come indicato dal Buzzi.
Incontro che poi non si verificò perché in quella data il membro delle S.A.M. rimase
ucciso nel conflitto a fuoco a Pian del Rascino. Altri particolari il Buzzi forniva
durante gli interrogatori resi all’allora G.I. di Brescia, Dr. Vino.
Mentre Renato Curcio riferiva scarni elementi al fine di delineare la personalità e la
militanza del Lintrami, Alberto Franceschini illustrava il rapporto di amicizia
esistente tra il Lintrami e Francesco Marra, brigatista la cui identità non era mai stata
apertamente rivelata, ma indicato dall’ex-capo storico delle BR come exparacadutista e in contatto con persone orientate politicamente a destra.
Lo stesso Lintrami verbalizzava particolari che contribuivano a rendere più
complesso il chiarimento della vicenda: nella colonna torinese era stato destinato al
settore della “controrivoluzione” occupandosi, in particolare, delle figure di Sogno e
Cavallo. Inoltre, il 28 Maggio 1974, il giorno della strage, si trovava a Brescia e,
dopo l’esplosione si era portato in piazza, circostanza sulla quale sia il Curcio che il
Franceschini hanno negato di essere mai stati informati dal Lintrami. Non solo, il
Lintrami verbalizzava che si era recato in piazza, una volta avuta la notizia, per poter
poi rendere testimonianza agli operai della Breda il giorno successivo. Tuttavia il
Lintrami, sia il giorno 29 che il 30 Maggio, cioè proprio i due giorni chiamati in
causa dal Buzzi nella sua agenda, fu assente per malattia.
5
Il Lintrami risultava poi avere precedenti, come il Buzzi, per favoreggiamento e
sfruttamento della prostituzione, circostanza anche questa ignota agli allora capi delle
BR.
Ancora, la teste Ombretta Giacomazzi, già nel 1975, riconobbe il Lintrami come
amico del Buzzi e saltuario avventore di una pizzeria frequentata da estremisti di
destra bresciani. Il Lintrami aveva all’epoca, in Brescia, interessi affettivi. La stessa
teste indicava altro estremista di destra, Umberto Lora, accompagnantesi con i
predetti e questi, pur negando che il nome gli ricordasse qualcosa, risentito nel 1996,
ammetteva che il volto del Lintrami gli ricordava persona che non escludeva di aver
conosciuto.
Si acquisiva poi un rapporto della Questura di Milano (E3/1975/UP(2)), datato 18
Luglio 1975, che riferiva alla Procura di Milano che il Lintrami il giorno 28 Maggio
1974 si era assentato dalla Breda Fucine di Sesto San Giovanni dopo aver chiesto un
giorno di ferie da utilizzare proprio in quella data e che si ripresentava alla Breda solo
il 9 Giugno 1974 per poi licenziarsi il 20 successivo. Nell’atto della Questura si
citano notizie confidenziali secondo le quali il Lintrami sarebbe “non estraneo alla
organizzazione, se non proprio alla esecuzione, della strage di Piazza della
Loggia”. Il giorno di ferie era stato motivato informalmente con l’esigenza di
sottoporsi ad un colloquio di lavoro presso una società bresciana, ma gli
accertamenti, già esperiti all’epoca dei fatti, non permisero di trovare alcun riscontro.
In agenda del Gen. Gian Adelio Maletti, già capo del Reparto D del SID, alla data del
30 Maggio 1974, due giorni dopo la strage e lo stesso giorno in cui Buzzi annota sulla
propria di aver fatto un viaggio a Rieti unitamente al Lintrami, è manoscritto: “ un
nero oltre a un B.R.? (FARE-ROMAGNOLI)”.
Di interesse, nell’ambito di questo apparente parallelismo, risulta il 23° resoconto
stenografico della seduta di Mercoledì 25 Giugno 1997 della cosiddetta
“Commissione Stragi”, laddove l’audito, l’allora Generale Francesco Delfino,
dichiarava: “…Anzi io, pur senza avere elementi e dati precisi, sono arrivato al punto
di ipotizzare che Buzzi e il gruppo bresciano abbiano voluto fare lo scherzo ai
sindacati, senza accorgersi – alcuni – che l’altro gruppo (quello politicizzato
eversivo, milanese e molto probabilmente venetoveronese) invece sapeva cosa si
andava a fare…Allora faccio la considerazione che a Brescia e nell’area bresciana
era in atto il preparativo di qualcosa di grosso e viene colta l’occasione della
riunione improvvisa e a breve scadenza concordata dai sindacati. Quindi, non
escludo che ci siano state due diverse configurazioni nell’attentato, quella di chi
voleva lo scherzo ai rossi, come scrivevano sui muri, e quella di chi invece, sapendo
che veniva fatto lo scherzo, ha voluto la strage…”.
Come detto, ancora oggi non è possibile esprimersi con certezza sulla vicenda
Lintrami, la quale, in ogni caso, presenta aspetti di indubbio interesse, quantomeno
per due ordini di motivi: il primo è determinato dallo scopo che si prefigge il Buzzi
chiamando in causa il Lintrami, cioè consentire agli inquirenti di identificare un
soggetto, a tutt’oggi ignoto, appellato Toni Pasetto, dal Buzzi ritenuto personaggio
chiave nell’ambito della strage e persona aderente ad Ordine Nero. Quindi, e lo si
sottolinea, Buzzi indica una pista “nera” e non cerca assolutamente di portare le
6
indagini su un altro campo. Sono l’agenda del Gen. Maletti, l’appunto della Questura
di Milano e alcuni degli accertamenti allora condotti dal Cap. Delfino che
introducono nelle indagini una pista “rossa”. Anzi, brigatista. D’altra parte, se nel
1969 appare plausibile che apparati dello Stato tentino di sottolineare il pericolo
costituito dall’effervescenza politica a sinistra del PCI ricorrendo allo spauracchio
anarchico, incontrollabile politicamente per definizione e storicamente “bombarolo”,
è fuor di dubbio che, nel 1974, poteva dirsi che nessuna “onda lunga” anarchica si era
realizzata nel nostro Paese e che quell’arcipelago di sigle si trovava in acque molto
più brutte rispetto al 1969, con un’area di consenso in netta diminuzione, mentre, a
sinistra del PCI, questa volta si muovevano le Brigate Rosse. Peraltro, il G.I. Zorzi,
nella sua sentenza 181/86-A depositata nella cancelleria del Tribunale di Brescia il 23
Maggio 1993, nel capitolo 12 della medesima, ha fatto rilevare come la
caratterizzazione politica della strage di Brescia: “…tale sarebbe anche se (secondo
un’ipotesi che si è affacciata in corso di istruttoria e che trova un preciso e concreto
aggancio fattuale nella accertata consuetudine dei militari dell’Arma di situarsi
proprio nella zona e attorno al punto dello scoppio in consimili occasioni) il ruolo di
vittime fosse toccato (ancora una volta, come due anni prima a Peteano) a dei
Carabinieri: sempre di un attacco diretto alla democrazia si sarebbe trattato,
perpetrato colpendo cittadini in divisa chiamati a garantire con la loro presenza il
tranquillo svolgimento di una manifestazione politica di altri cittadini (come è noto,
fu la pioggia battente a sospingere gruppi di manifestanti sotto i portici, obbligando i
Carabinieri a spostarsi in altro punto della Piazza)…”.
5. L’ESPLOSIVO.
L’esplosivo della strage di Piazza Fontana è il medesimo di quello della strage di
Piazza della Loggia, sostiene il citato “Mister X”. Un esplosivo di provenienza
Ustascia. L’autore del testo, il Cucchiarelli, pur incorrendo in taluni errori in materia
specificatamente esplosivistica, autonomamente sottolinea la presenza di due
elementi che si inseriscono con coerenza nel quadro ricostruttivo proposto. Il primo è
costituito dal ritrovamento, nella casa di Giovanni Ventura a Treviso, perquisita su
richiesta del Giudice Stiz, che successivamente, il 9 Aprile 1971, emetterà mandato di
cattura nei confronti di Freda e Ventura, di un foglietto a stampa rossa relativo
all’esplosivo di produzione jugoslava denominato “Vitezit”. Interessanti valutazioni
sugli accertamenti all’epoca eseguiti sono contenute nel documento dei consulenti
Gianni Flamini e Marco Nozza, datato “Milano, febbraio 1997”, consegnato alla S.V.
ed alla Dr.ssa Grazia Pradella il 18 Febbraio 1997. Nei documenti esaminati dai
consulenti la tipologia del Vitezit viene individuata nel “30”.
Il secondo elemento è costituito dal ritrovamento, secondo il Cucchiarelli, di un
candelotto di Vitezit in casa di Silvio Ferrari, il noto terrorista di destra bresciano
morto pochi giorni prima della strage di Piazza della Loggia mentre stava
trasportando un ordigno esplosivo.
7
In effetti, nella perizia balistica diretta al G.I. di Brescia, nell’ambito del
procedimento penale 319/74, i periti Ten. Col. Romano Schiavi, Ing. Teonesto Cerri e
Dr. Alberto Brandone, indicano, alla pag.32, para 4.6 il “Materiale sequestrato in
sede di ispezione domiciliare nell’abitazione del defunto Ferrari Silvio (fascicoli
fotografici del N.I.CC. di Brescia allegati n. 2-3)”, tra cui, al sottopara 4.6.2.2 un
“candelotto di esplosivo plastificato risultato in sede di accertamenti Vitezit 30”.
Quindi, tra l’esplosivo cui appartiene il foglietto di istruzioni rinvenuto nella
disponibilità del Ventura ed il candelotto repertato a casa di Silvio Ferrari, vi è sia
identità di genere (Vitezit), che merceologica (“30”).
Ma sono possibili ulteriori approfondimenti sulla base di quanto già accertato nel
passato. Alla pagina 128 della suddetta perizia viene individuata la ditta di
produzione del Vitezit trovato a Silvio Ferrari: Konijaka Industry Slobodan Prinep
Seljo di Vitez (Sarajevo). Secondo la consulenza Flamini-Nozza, l’esplosivo le cui
istruzioni sono in possesso del Ventura proviene dalla ditta Chemical Industry
Slobodan Princip-Seljo di Vitez. Le piccole differenze tra i due nominativi sono
verosimilmente riconducibili a errori di trascrizione (La scritta “Prinep” e la parola
Konijaka che sembra stonare a fianco ad una inglese). Sulla correttezza della
trascrizione dei due consulenti non vi sono dubbi poiché nell’allegato è chiaramente
visibile il timbro della ditta produttrice.
Sempre alla pag. 128, i periti, in relazione allo stato fisico in cui si trova il candelotto
del Ferrari, affermano: “…è certamente di vecchio allestimento, verosimilmente
anteriore al 1971…”.
Alla pag. 224, para 15.3.3, i periti del Tribunale di Brescia sostengono, con
riferimento all’esplosivo rinvenuto in casa di Silvio Ferrari, che: “Per quanto
concerne le caratteristiche di similitudine con l’esplosivo impiegato nell’ordigno di
Piazza della Loggia, del tritolo da solo se ne è escluso l’impiego, per il Vitezit 30 se
fosse stato efficiente avrebbe potuto avere le stesse caratteristiche dell’esplosivo che
il Collegio ha supposto impiegato nell’ordigno di cui sopra”.
Di interesse risulta anche la perizia chimico esplosivistica disposta dal Dr. Zorzi e
affidata, questa volta, al solo Romano Schiavi, anche perché il quesito formulatogli
era inerente il verbale reso da Vincenzo Vinciguerra proprio a quel G.I. nelle
giornate del 2-3 Luglio 1985, in particolare quanto affermato alle pagg.24-27
(ALL.6). Lo Schiavi, in premessa, sintetizzando i precedenti esiti peritali, informa il
G.I. che: “…fu comunque escluso l’impiego di esplosivo plastico…”. Nelle
conclusioni poi sostiene: “Le dichiarazioni del Vinciguerra contengono molte
inesattezze tecniche e riferiscono luoghi comuni sugli esplosivi che si sentono tuttavia
anche in bocca di persone che si professano esperte. Nella dichiarazione, comunque,
si parla di un esplosivo jugoslavo in candelotti. Nel corso delle indagini, in effetti, fu
esaminato un candelotto sequestrato in casa Ferrari, risultato essere di produzione
jugoslava. Si trattava tuttavia di una gelatina dinamite in cattivo stato e non di
esplosivo “plastico” al T4.”
Le affermazioni dello Schiavi al G.I. Zorzi suscitano diverse perplessità, soprattutto
nella considerazione della qualità del quesito posto dall’A.G., che mirava a valutare
se le verbalizzazioni del Vinciguerra fossero utili per addivenire ad una
8
individuazione della tipologia di esplosivo utilizzato e tenendo presente che
improprietà di linguaggio tecnico dovevano per forza caratterizzare il parlare del
detenuto. In particolare:
 Lo Schiavi premette, prima di esaminare le dichiarazioni di Vinciguerra, che “è
possibile che il sottoscritto, abituato da circa 30 anni ad esaminare chiunque
tratti la materia dal chimico al minatore sia eccessivamente critico al
riguardo”. Naturalmente un atteggiamento draconiano nei confronti di chi non
sia sufficientemente perito può comportare un atteggiamento psicologico di
preclusione che si riflette negativamente sull’esito della consulenza;
 Lo Schiavi ricorda bene che venne trovato un candelotto di esplosivo jugoslavo
in casa Ferrari, ma ricorda meno bene che il collegio di cui era componente
affermò che quel candelotto, se fosse stato efficiente, avrebbe potuto aver le
stesse caratteristiche dell’esplosivo utilizzato per l’ordigno di Piazza della
Loggia. E la dimenticanza non è di poco conto se rapportata alle affermazioni
del Vinciguerra tendenti a legare l’esplosivo del Pagliai alla strage. Peraltro
l’inefficienza di un candelotto deteriorato rinvenuto in prossimità temporale
dell’evento stragista non può permettere di scartare l’ipotesi che, invece di un
unicum, si trattasse dello scarto, proprio per le sue condizioni, tra altri
candelotti di cui già si era privato per l’approntamento dell’ordigno.
Comunque, evidentemente, il candelotto del Ferrari suscita brutti ricordi allo
Schiavi dato che nella perizia per il G.I. Zorzi (pag.16) critica l’operato di un
coperito che all’epoca ebbe a tagliarlo con un coltello di ferro.
 Lo Schiavi afferma che venne escluso l’impiego di esplosivo plastico. Forse un
esame meno eccessivamente critico, gli avrebbe consentito di far notare al G.I.
che lui stesso, unitamente al Cerri e al Brandone, aveva definito il candelotto di
Ferrari come di “esplosivo plastificato”;
 Appare del tutto ovvio allo scrivente che una persona inesperta, definendo un
esplosivo come “plastico”, non faccia certamente riferimento a dati tabellari,
ma intenda alludere alla caratteristica da cui deriva il nome. Circostanza ben
nota allo Schiavi che in perizia specifica che gli esplosivi plastici vengono
spesso confusi con le gelatine che sono, in effetti, malleabili. Non si
comprende bene perché se tale confusione è così frequente non debba esservi
caduto anche il Vinciguerra descrivendo l’esplosivo acquistato dal Maggi.
Soggiungere poi che, anche se vengono spesso confusi, plastici e gelatine
hanno diversa composizione chimica e, comunque, le gelatine hanno sempre la
necessità di essere mantenute in contenitore, sembrano frasi che prescindono
rigidamente dal contesto sottoposto dal G.I. al perito. Quindi, dedotto che le
cognizioni di chimica del Vinciguerra sono del tutto elementari, il contenitore
di cui parla lo Schiavi può tranquillamente essere l’involucro di un candelotto;
 Il Vinciguerra non ha mai sostenuto, “con eccessiva rigidità”, che l’esplosivo
vendutogli dal Maggi fosse T4, affermazione che lo Schiavi utilizza per
escludere ciò che è già chiaro sin dalla prima perizia, il candelotto del Ferrari
non è di T4. Ma vediamo esattamente cosa dice il Vinciguerra, non
spontaneamente, ma ad una sollecitazione del G.I. sul T4: “Non escludo che si
9
trattasse di T4, ma non posso affermarlo con certezza in quanto non ho mai
posseduto T4 da me riconosciuto come tale. Per le caratteristiche del T4,
apprese da letture, coincidenti con quelle descrittemi dal Maggi, non posso
tuttavia escludere che si trattasse proprio di quel tipo di esplosivo. Aggiungo
che quell’esplosivo non ebbi modo di impiegarlo in quanto andò perso...”.
In buona sostanza, le conclusioni dello Schiavi, su 17 pagine di perizia, si riducono a
15 righe dove non ha trovato spazio nessuna osservazione sulle caratteristiche di
plasticità dell’esplosivo in candelotti, jugoslavo, venduto dal Maggi al Vinciguerra,
compatibili con la plasticità che avrebbe avuto il candelotto di Vitezit di produzione
anch’essa jugoslava se fosse stato efficiente.
In merito agli argomenti esplosivistici sin qui disquisiti ed alla vicenda del doppio
detonatore ed alla potenza del materiale esplodente, questioni anche queste sulle quali
lo Schiavi si manifestava piuttosto critico, si allega verbale redatto dallo scrivente su
delega dell’A.G. di Brescia, che ne ha autorizzato la trasmissione in copia, ALL.7,
ove il Maggiore Straccini, dell’Arma del Genio, afferma:
 Il Vitezit poteva anche essere chiamato da persona non esperta, Gelignite,
poiché erano, in Italia, la stessa sostanza. In particolare, secondo il testo del
Belgrano, edizione del 1974, il Vitezit corrispondeva alla Gelignite SA al 25%
di Nitroglicerina. Potendosi variare le percentuali dei due componenti
principali, la Nitroglicerina ed il Nitroglicol, donde le diverse denominazioni
del Vitezit: 30,35 e 40, il Belgrano riporta un Trauzl da 390 a 420cc. Per dare
una idea di questa valutazione di potenza, il Tritolo ha un Trauzl di 295cc;
 Il Vitezit non era un esplosivo militare, ma poiché la definizione in Italia è
giuridica, questo non attiene alla sua potenza, difatti il Tritolo, di cui è stato
menzionato il Trauzl raffrontato a quello dell’esplosivo jugoslavo, è un
esplosivo militare, ma è meno potente del Vitezit;
 Una delle possibili ragioni di impiego del Vitezit potrebbe essere economica,
in quanto doveva costare meno della Gelignite di produzione nazionale;
 L’ipotesi della provenienza del Vitezit da un Nasco dell’Esercito jugoslavo non
è plausibile, poiché esplosivo privo di quelle caratteristiche di stabilità
necessarie per i Nasco strategici, cioè pensati per il lungo periodo;
 Il Vitezit poteva essere chiamato da un praticone sia Gelignite che Gelatina;
 Il Vitezit non è un plastico in termini militari, ma possiede consistenza plastica,
tanto è vero che sullo stesso foglio del Ventura è stampato “Vitezit are plastics
explosive…”.
 Il Vitezit è un esplosivo sordo, seppur a bassa sordità;
 L’impiego di due inneschi con più di due cartucce (Il Vinciguerra verbalizza di
averne acquistate tre dal Maggi) di Vitezit non fa una piega;
 Vitezit appartenente allo stesso lotto poteva essere impiegato con successo sia
nel 1969 che nel 1974 pur non essendo la stabilità un suo punto di forza;
10
 Il Vitezit detonato, poiché contiene nitroderivati aromatici, emette odore di
mandorla.
Come si ricorderà, l’odore di mandorle venne rilevato dall’ing. Cerri in occasione
della strage di Piazza Fontana.
Lo scrivente non è per ora in grado di allegare i filmati attestanti la plasticità del
Vitezit poiché si trova attualmente a dipendere da Reparto non investigativo e, di
conseguenza, non idoneo a supplire nella corretta tempistica alle esigenze
contingenti, ma si riserva di farli pervenire a codesta A.G. appena disponibili.
Lo scrivente non può poi tacere di aver appreso dallo Spiazzi, che affermò anche di
avergli telefonato allo scopo di indurlo a collaborare con l’Autorità Giudiziaria, che
lo Schiavi era stato il responsabile della “Legione di Brescia”, cioè del Nucleo Difesa
dello Stato ivi operante. Si allega relazione di servizio redatta dallo scrivente ove si
riferisce dell’imbarazzo del Gen. Schiavi, allorquando si incontrò per un colloquio
con il sottoscritto il 9 Settembre 1994, anche in merito al cosiddetto “Piano di
sopravvivenza”, ALL.8.
Si ritiene opportuno altresì, ricordare che l’estremista veronese Claudio Lodi, in
verbale reso allo scrivente in data 14 Aprile 1995, su delega dell’allora G.I. Dr.
Salvini, riferiva di rapporti del Besutti con la Romania o la Jugoslavia e,
spontaneamente, all’atto della chiusura del verbale, aggiungeva che questi contatti
erano una cosa molto riservata e considerata di alto livello, ALL.9.
In verbale reso dallo stesso allo scrivente in data 2 Luglio 2009, dietro delega
dell’A.G. di Brescia che ne ha autorizzato la trasmissione omissata, il sig. Giampaolo
Stimamiglio, in merito alle dichiarazioni del Lodi affermava di ritenere che la
Nazione con la quale il Besutti intratteneva rapporti fosse la Jugoslavia poiché si
vantava di amicizie in ambiente ustascia, ALL.10.
Si consideri che la notorietà del BESUTTI in ambiente ordinovista, anche tra i
neofiti, sin dal 1968, è testimoniata dal noto verbale del 17 Novembre 1968 reso alle
ore 02.30 negli uffici del Commissariato di Mestre da Delfo Zorzi, il quale ebbe ad
affermare: “Pur non avendo avuto mai occasione di ricorrere personalmente ad un
esperto in riparazione di armi, ho saputo nell’ambiente che io frequento che se uno
ha bisogno di riparare delle armi può ricorrere a tale BIASUTTI ex Tenente dei
Paracadutisti, che dovrebbe attualmente fare il geometra e abiterebbe fra Mantova e
Verona. Probabilmente ho avuto tale informazione da Canella o da Cattapan…”,
ALL.11.
Sempre nel verbale omissato del 2 Luglio, lo Stimamiglio precisava che il Besutti
veniva riconosciuto un’autorità in materia “anche nel campo degli esplosivi”. Lo
stesso Digilio, nel verbale reso il 10 Ottobre 1994, quando è ancora concentrato sul
tentativo di distogliere l’attenzione sul suo corrispondere all’esperto esplosivista
denominato “Zio Otto”, si richiamava alla perizia esplosivistica del Besutti quale
primo dei soggetti da lui conosciuti a cui addebitare il soprannome, ALL.12.
Quindi, alla luce dei verbali citati, è possibile affermare che nel 1969, in ambiente
ordinovista, era presente un ufficiale in congedo dei paracadutisti, militante di livello,
11
ritenuto un’autorità nel campo degli esplosivi e tenutario di rapporti riservati e
qualificati con la Jugoslavia ed in ambito Ustascia: Roberto Besutti.
Per completezza è opportuno ricordare alla S.V. la menzione che fa la signora
Zanardi Adriana, già fidanzata dell’ordinovista veronese Claudio Bizzarri, del
Besutti, nel verbale reso il 3-4-6 (sic!) Marzo 1971, ALL.13, quando, a casa di Elio
Massagrande, pochi giorni dopo la strage di Piazza Fontana, il Besutti fece una sorta
di appello degli alibi in relazione al 12 Dicembre, presenti anche il Bizzarri, la
Zanardi ed un ignoto con la pipa. Peraltro, in relazione al paragrafo sul Valpreda, vale
la pena evidenziare che, nello stesso verbale, la Zanardi riferisce di un commento
sull’anarchico milanese espresso dal Bizzarri appena ne venne fuori il nome: “…certo
che quello lì c’è dentro fino al collo, peccato perché lui non c’entra…”.
Sempre in merito agli ustascia, il giornalista Cucchiarelli, in data 9 Giugno 2009, ha
verbalizzato, su delega dell’A.G. di Brescia, che ne ha autorizzato la trasmissione,
ALL.14, che nel libro di cui al primo paragrafo della presente annotazione non ha
inserito un affermazione fattagli dal Vinciguerra circa un ruolo molto importante
degli ustascia per la strage di Piazza Fontana. Nel verbale, la S.V. noterà anche
menzionato il Dr. Aniello Diamare, come protagonista di una telefonata con il noto
Marco Ballan e quale membro di un servizio segreto clandestino denominato “noto
Servizio”, altrimenti “Anello”. Il Cucchiarelli menziona lo stesso funzionario quale
autore del primo arresto di Zorzi, e, in effetti, nell’ALL.11, già citato, la S.V. potra
distinguere, in calce all’atto, la firma del Diamare.
6. NINO SOTTOSANTI.
L’affermazione che il Sottosanti avrebbe fatto al Cucchiarelli, nel 2002, in presenza
del giornalista Giorgio Treves, circa l’ingresso di Giovanni Ventura nello stabile di
Via del Carmine nr.7 a Milano è senza dubbio di grande importanza e meritevole di
approfondimento. Lo scrivente rappresenta che in data 9 Giugno 2009, allorché
escusse il Cucchiarelli, su delega dell’A.G. di Brescia, per verificare se nel corso
delle interviste sostenute avesse appreso qualcosa di significativo sulla strage di
Piazza della Loggia, il giornalista, ad atto chiuso e sottoscritto, affermò che esisteva
la registrazione filmata di quanto sostenuto dal Sottosanti.
Nella relazione redatta dallo scrivente circa il colloquio sostenuto con Nico Azzi in
data 17-05-1994, ALL.15, il defunto estremista milanese affermava che il Sottosanti
era molto legato al Picone Chiodo e a Serafino Di Luja, e quest’ultimo, secondo
Azzi, nel 1968 era riuscito ad infiltrarsi ad un ottimo livello all’interno della sinistra
milanese prima di venire poi scoperto.
Nell’esame testimoniale condotto dal G.I. Salvini unitamente allo scrivente in data 15
Marzo 1994, Edgardo Bonazzi accennò alla presenza a Milano, nei giorni della
strage, di un militante di destra sosia di Pietro Valpreda. Circostanza appresa o dal
Freda o dal Giannettini, ALL.16.
Si tenga inoltre conto delle note plurime testimonianze, tra queste valga il verbale
appena citato, inerenti l’operazione di rilascio su proprietà Feltrinelli dei timers
12
residuali di Piazza Fontana. Ciò rende del tutto plausibile quanto sarebbe stato
affermato dal Sottosanti, poiché legare alla strage il Feltrinelli o esponenti del suo
circuito relazionale avrebbe incrementato la redditività dell’evento. Se vi era il
disegno di inseguire l’obiettivo dell’editore estremista anche dopo l’evento, non
risulta difficile credere che una “operazione” come quella di Piazza Fontana non lo
prevedesse sin dall’inizio.
7. PAESE.
Come ampiamente noto alla S.V., nonostante tutti i tentativi fatti per addivenire alla
certa identificazione del casolare di Paese indicato da Digilio quale luogo primordiale
del disegno eversivo culminato nella strage di Piazza Fontana, nulla si concretizzava
nelle mani degli investigatori, probabilmente con sensibile esito sul giudizio di
secondo grado. Dell’ignoto casolare anche l’attività editoriale del Ventura potrebbe
aver tratto benefici logistici, data la presenza della “vecchia”, di importanza strategica
nel cammino di avvicinamento all’opposto estremismo, come ampiamente illustrato
nel libro del Cucchiarelli.
Con protocollo 224/S.C.A.1/B369/18-vol.27/6408 dell’11 Aprile 2005, il Dr. Spina,
Direttore della Divisione SCA-1 della DCPP, trasmetteva all’A.G. di Brescia gli esiti
di attività delegata refertati in due diverse annotazioni dall’Ispettore Michele
Cacioppo. In quella delle due datata 22 Settembre 2004 relativa all’acquisizione,
presso la Corte di Assise di Catanzaro, di documentazione estratta dal procedimento
penale relativo alla strage di Piazza Fontana, è presente l’esame di agenda del
Ventura relativa all’anno 1969. Tale agenda venne consegnata dal difensore avv.
Guidoni al Giudice Istruttore di Milano il 20 Dicembre 1972. Le annotazioni del
Ventura terminano al 29 Settembre. L’Ispettore Cacioppo fa notare che nel verbale di
consegna il Guidoni dichiarava che: “…gli ultimi mesi risultano bianchi perché
l’agenda fu smarrita e ritrovata, tramite restituzione, dopo diversi mesi.”. Nonostante
le pagine bianche, le cancellature, la mancanza di alcune pagine e della rubrica
telefonica, l’Ispettore Cacioppo attestava eccezionali riscontri alle dichiarazioni di
Carlo Digilio sulla conoscenza con il Ventura e sugli incontri tra i due nel 1969 e ai
rapporti di Ventura con l’ambiente ordinovista e missino. In particolare, l’Ispettore
Cacioppo evidenziava riferimenti al Digilio sotto ben sette date (9 e 16 Gennaio; 6
Febbraio; 22 Aprile – tre giorni dopo ci saranno gli attentati del 25 Aprile - ; 6
Maggio – 6 giorni dopo ci saranno gli attentati del 12 Maggio -; 21 Maggio e 3
Giugno). Allo stesso modo, il Cacioppo segnala che alle date del 20 e 23 Febbraio si
possono leggere appunti relativi ad appuntamenti con tale Dr. Franco, che potrebbero
costituire un riferimento al noto Lino Franco. Per la verità anche il 1 Settembre,
Ventura annota Franco, ma senza farlo precedere dal “Dr”, quindi potrebbe trattarsi
di un nome, ma si fa osservare che è posto dopo un altro casato: “ore 14,30 – Pan,
Franco”. Quindi, conoscenza certa Ventura-Digilio e probabile Ventura-Franco,
insomma una valida premessa al casolare di Paese. Difatti, scorrendo la trascrizione
operata dall’Ispettore Cacioppo degli appunti del Ventura, si nota, alla data del 26
13
Maggio 1969, tra gli altri, il seguente: “Avv. Sbaiz, (Paese)”. Si fa notare alla S.V.
che l’appunto non dovrebbe riferirsi ad un generico piccolo agglomerato urbano, ma
ad un toponimo, poiché indicato con la lettera maiuscola. Il successivo giorno 4
Giugno, Ventura, tra le altre, riporta la seguente annotazione: “avv. Sbaiz: 110.000”.
Ora, essendovi tra le due date solo otto giorni di intervallo e poichè l’Avv. Sbaiz è
menzionato solo in queste due date, è ragionevole ipotizzare che entrambe abbiano a
che vedere con Paese e che, soprattutto, le 110.000 lire vi siano connesse.
Accertamento speditivo condotto dallo scrivente tramite internet, consentiva di
verificare la presenza in Treviso di un avvocato civilista a nome Giuseppe Sbaiz,
laureatosi a Trieste nel 1953, cioè circa quarantenne nel 1969, con figli anch’essi
dediti alla professione forense.
In data 10 Luglio 2009, lo scrivente contattava telefonicamente il sig. Giampaolo
Stimamiglio, chiedendogli se, in relazione a Paese il casato Sbaiz gli dicesse
qualcosa. L’ex-ordinovista veronese non era in grado di stabilire un legame tra il
casato ed il toponimo, ma affermava di aver udito il nome Sbaiz pronunciato o dal
Giovanni Ventura o dal fratello Luigi.
Sempre nel verbale omissato costituente l’ALL.10, lo Stimamiglio ha precisato che
pur non essendovi mai stato aveva intuito che Giovanni e Angelo Ventura avessero
un appoggio a Paese, poiché alcuni incontri con costoro erano stati concordati nelle
vicinanze di questa cittadina. Successivamente aveva appreso che i due fratelli
avevano preso in affitto un appoggio a Paese all’oscuro della famiglia.
La locazione clandestina rispetto alla famiglia e l’atteggiamento manifestato dal
Ventura nel corso degli incontri avuti in Buenos Aires con lo scrivente, di assoluto
diniego in merito a Paese, oltrechè sul Digilio, comprovano la ritenuta esigenza di
particolare riservatezza che doveva caratterizzare tale appoggio.
Si coglie la circostanza per far notare alla S.V. che alla data del 13 Febbraio è
presente, tra le altre, la seguente annotazione “ore 10: sig. Glisenti”, cioè casato
identico a quello del noto Giancarlo Glisenti, elemento legato al Minetto.
8. IVANO TONIOLO.
Nell’udienza dibattimentale di Venerdì 10 Luglio 2009, della quale lo scrivente non
dispone ancora del resoconto stenografico, il noto Gianni Casalini, nell’ ambito del
processo in corso per la strage di Piazza della Loggia, ha parlato diffusamente di due
attentati ai treni dell’Agosto 1969 cui partecipò unitamente al Toniolo. Come la S.V.
ricorderà, nell’udienza dibattimentale del 18 Maggio 2000, nell’ambito del processo
per la strage di Piazza Fontana il Casalini era stato molto riottoso sul tema, pur
avendolo accennato.
Lo scrivente, nella convinzione che gli scarni cenni fatti nel 2000 dal Casalini,
fossero comunque, date le caratteristiche del personaggio, rivelatori di un maggiore
coinvolgimento del Toniolo, il cui peso politico-operativo non poteva averlo costretto
in un ruolo di semplice comparsa, come quello del suo sodale, afflitto da problemi
psicofisici, appena ricevuto l’incarico dall’A.G. di Brescia, alla fine di Gennaio del
14
corrente anno, cercava di localizzarlo, ritenendo che fosse uno dei pochi possibili
“filoni auriferi” ancora intonsi in grado di riferire sulle dinamiche ordinoviste
prossime anche alla strage di Piazza della Loggia.
L’attività di localizzazione, a causa di una battuta d’arresto imposta allo scrivente e,
di conserva, al rapporto di collaborazione con l’A.G. di Brescia, dal Comando
Generale dell’Arma dei Carabinieri, non ha ancora consentito di terminare gli
accertamenti in corso, sull’esito dei quali lo scrivente è stato autorizzato a riferire a
codesta A.G.. Peraltro lo scrivente è privato dell’accesso diretto alle Banche Dati,
non trovandosi in un reparto investigativo, e ciò non consente un ritmo serrato
nell’esecuzione degli accertamenti, il cui scopo ultimo è quello di arrivare ad un
contatto, anche solo telefonico, al fine di tentare un approccio colloquiale sfruttando
la notorietà del nome del sottoscritto nell’ambito degli ex-ordinovisti. Ciò nella
convinzione che nel momento della massima pressione investigativa, lo Zorzi abbia
diretto le sue frenetiche attività tese a rivitalizzare i rapporti di cameratismo con gli
ex-sodali anche nei confronti del Toniolo. Sia per verificarne l’eventuale tenuta, sia
perché non è possibile che Delfo Zorzi non lo abbia censito quale possibile obiettivo
di mirate attività investigative.
Nell’ormai lontano 3 Febbraio 1995, lo scrivente riferiva al G.I. Dr. Salvini, con nota
nr. 378/114, che il Toniolo Ivano, di Guglielmo e di Zandò Leonia, nato a Noventa
Vicentina (VI) il 29-11-1946, risultava immigrato a Padova, proveniente
dall’Argentina, il 20-07-1960. Emigrava poi definitivamente per la Spagna il 14-101978.
In Padova risiedeva in Via Pietro Selvatico nr.30, nel 1995 domicilio del padre
Guglielmo, vedovo e pensionato, titolare dell’utenza 049/604770.
Sul cartellino anagrafico del Toniolo Ivano veniva rilevata un’annotazione anteriore
all’emigrazione, priva di data, recante il recapito: “RUA REI KATYAVALAVA 83,
LUANDA (ANGOLA)”.
Ripresa l’attività, lo scrivente, in data 25 Febbraio 2009, tentava di comunicare con la
suddetta utenza, constatandone l’inesistenza. Quindi nel dubbio che il genitore fosse
defunto, operava la specifica verifica, appurandone il decesso in data 23 Giugno
1998.
A questo punto, ipotizzando tuttora una permanenza all’estero del soggetto ed
auspicando che si fosse messo in regola con il fisco in relazione all’appartamento
ereditato dal padre, lo scrivente interessava l’Agenzia delle Entrate di Marghera
(Ufficio Venezia 2), competente, sul territorio nazionale, per gli italiani residenti
all’estero.
Da tale accertamento emergeva che all’AgE Ivano Toniolo risulta residente a Grisolia
(CS) località Magarosa. L’ultima dichiarazione dei redditi presentata è quella relativa
ai redditi 2005 in cui viene denunciato un fabbricato tenuto a disposizione a Grisolia.
Gli ultimi versamenti, effettuati in data 16-06-2009 con Mod. F24 per Euro 66,00
sono relativi all’ICI dovuta per la casa di Grisolia.
La casa del padre, ricevuta in eredità, è stata venduta per 350 milioni delle vecchie
lire ai signori Donadello Isabella e Zaffin Sandro in data 30-06-2000.
15
Il Toniolo si avvale di un intermediario fiscale con partita IVA 02142810288,
successivamente identificato nello Studio Tomaso Cuzzolin e Loretta De Marchi
Assoc. Pro., con sede in Padova.
In seguito ai dati ottenuti dall’AgE di Marghera (VE), veniva interessata l’Arma di
Cosenza, con lo specifico scopo, tra gli altri, di individuare una eventuale unità
abitativa da sottoporre a perquisizione.
E’ stato così possibile appurare che il Toniolo, pur non risultando censito all’anagrafe
del Comune di Grisolia (CS), detiene il domicilio fiscale presso quel centro, in
località Magarosa, ove, di fatto, sono presenti solo tre fabbricati: una stalla ad uso
agricolo e due unità abitative. La prima di queste occupata dalla famiglia di Laino
Ludovico, pastore; la seconda dalla famiglia di Adduci Mario, dipendente di una ditta
di legnami.
Una verifica operata presso l’ufficio fiscale di competenza del contribuente, a Paola
(CS), ha evidenziato che il Toniolo risulta intestatario delle cartelle di pagamento
dell’ICI e del contributo per l’impianto fognario e per la depurazione dell’acqua di un
abitazione sita sì in Grisolia, ma in Contrada Acchio s.n.c., ubicata all’interno del
parco residenziale denominato Habitat, fabbricato A, scala A.
Tale abitazione è intestata al defunto padre Toniolo Guglielmo dal 27-03-1992. In
precedenza, dal 12-07-1990 al 25-03-1991, era cointestata tra il padre Guglielmo e
tale Facco Marzia, nata in Padova il 06-01-1953. Prima ancora, dal 1982 al 1990,
l’abitazione era cointestata tra il padre Guglielmo tale Facco Leonida, nata il 03-071924 a Campo San Martino (PD). Verosimilmente, essendo il padre dell’Ivano
rimasto prematuramente vedovo, dovrebbe trattarsi della seconda compagna e della
figlia di questa.
Le cartelle di pagamento, finora regolari, vengono inoltrate da tale Massaro Roich
Elena, nata il 17-05-1924 a Padova ed ivi residente in Via Roberto Manin nr.12.
Ivano Toniolo risulta, invece, avere effettuato il pagamento della relativa TARSU per
l’abitazione di Contrada Acchio dall’Ufficio Postale di “Padova 4”.
A fronte di questa ultima indicazione, venivano approfonditi gli accertamenti inerenti
la vita fiscale del soggetto, ma solo due risultavano di una qualche possibile utilità
per il rintraccio dello stesso:
 Il 10-10-2000 effettua movimenti di capitale per l’importo di lire 165 milioni
verso la Spagna con la causale “rimesse emigrati-immigrati” presso il Banco
Santander Central Hispano;
 Il 12-10-2000 effettua movimenti di capitale, esportando finanziariamente
l’importo di lire 56 milioni verso la Spagna con la causale “movimentazione
CC e depositi esteri residenti” presso il Banco Santander Central Hispano.
Alla data del 01-07-2009, Ivano Toniolo non risulta essere censito presso alcun
ufficio catastale nazionale.
Sono in corso ulteriori accertamenti.
9. CONSULENTE ESPLOSIVISTA DEL GRUPPO ROMANO.
16
Secondo “Mister X”, il gruppo operativo romano disponeva di un consulente
esplosivista poi divenuto professore universitario.
Nonostante la carenza di dettagli sul punto, lo scrivente ritiene opportuno non
tralasciare la figura del noto Enzo Maria Dantini.
Si noti infatti che nel verbale reso da Paolo Aleandri al Dr. Ledonne, presso la Casa
Circondariale di Rieti, il 16 Novembre 1981, ALL.17, l’imputato afferma di avere
appreso dal Fachini che questi si era rivolto, poiché già lo conosceva, al Dantini:
“…per una relazione tecnica sui “timer” o sulle borse della strage…”.
In altro verbale, reso da Angelo Izzo al G.I. Dr. Salvini ed al G.I. Dr. Grassi, in data
31 Gennaio 1994, ALL.18, nel paragrafo intitolato “Bombe sui binari a Reggio
Calabria”, l’imputato riferisce circa la responsabilità del Dantini nel confezionamento
degli ordigni esplosivi destinati agli attentati ai treni in Calabria del 1972 e specifica
che lo stesso ebbe a dire che: “…le bombe come le faceva lui non le faceva
nessuno…”. Nel paragrafo “Corsi sull’uso di esplosivi a Roma”, l’imputato afferma:
“…Gli istruttori erano sicuramente Dantini, del quale io seguii personalmente delle
lezioni imparando a fare congegni da usare come timer con le sveglie RUHLA, che
erano di plastica e perciò ben si prestavano a servire da timer…”. Nello stesso
verbale Izzo coinvolge Dantini nell’attentato effettuato da Bertoli, operando così una
netta saldatura tra gli ambienti ordinovisti romani e quelli del nord.
Il Dantini, deceduto nel 2004, era effettivamente divenuto Professore universitario, in
particolare di Mineralogia, presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università “La
Sapienza” di Roma.
10. UFFICIALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI CHE PERDE IL
CONTROLLO DELL’OPERAZIONE “PIAZZA FONTANA”.
Tale affermazione di “Mister X” è naturalmente di una inaudità gravità e costituisce
una forte spinta motivazionale all’individuazione sia dell’ignota fonte che del milite.
Lo scrivente intende ipotizzare un nominativo, avvalendosi sia delle indicazioni di
generici rapporti che sarebbero stati intrattenuti da Ufficiali dell’Arma (Castellani,
Servolini, Ferrara, Varisco), sia dall’affermazione che si trattava di un Colonnello che
ebbe poi un ruolo anche in successive vicende italiane.
Allo scrivente è stata subito richiamata alla mente la conversazione intrattenuta con
Nico Azzi in data 17 Maggio 1994 presso il Bar Boston a Milano, la cui relazione
costituisce l’ALL.15 già indicato, ove l’estremista riferisce di essere stato contattato,
durante la detenzione, da tre diversi Ufficiali dei Carabinieri, che gli fecero tutti
riferimento a Paolo Signorelli, ma solo di uno conosceva il nome: Varisco.
In data 31-01-2000, lo scrivente operava una perquisizione presso il domicilio del
defunto Labruna, a fronte di decreto emesso dall’A.G. di Brescia, a Roma, in Via
Licia 44. Nel corso della stessa veniva rinvenuto un documento dattiloscritto
composto da 6 pagine, di rilevante importanza. Lo scrivente, sulla base dell’analisi
17
del documento ipotizzò che fosse un rapporto del Labruna destinato al Maletti circa la
coltivazione quale fonte di Massimiliano Fachini.
All’interno del documento, ALL.19 (solo la pagina di interesse), si afferma tralaltro
che il Fachini: “…ha una vasta possibilità di avere informazioni in poco tempo e le
sue fonti (o per meglio dire le fonti del suo gruppo) gli permettono di essere a
conoscenza di quanto avviene addirittura nelle più importanti Procure italiane
(Roma, Milano,Trieste), tanto da essere a conoscenza degli spostamenti, ad esempio,
del capitano Varisco da Roma per il Veneto o la Lombardia!...”.
Questo documento è datato 13.04.1972 e poiché descrive una situazione in atto, è
ovvio che la conoscenza degli spostamenti del Varisco da parte del Fachini deve
essere retrodatata. Ma non solo, codesta A.G., che ricevette l’atto con nota 176/35
dell’11 Gennaio 2001, ricorderà che il Labruna nel testo era critico nei confronti del
SID e che il documento era assolutamente, per quanto noto, inedito, né mai era stato
rinvenuto in acquisizioni presso il SISMi, in fascicoli ove avrebbe dovuto trovare
ragionevole collocazione.
Ora, sulla base di ciò, non ci si può esimere dall’interpretare il punto esclamativo
posto dal Labruna come “minatorio” nei confronti del destinatario dell’appunto, quasi
come se i viaggi in Veneto e Lombardia del Varisco sottintendessero missioni diverse
da quelle che avrebbe dovuto condurre “ufficialmente” per l’Arma dei
Carabinieri/Autorità Giudiziaria. D’altra parte, la circostanza che Fachini sappia non
sarebbe degna di rapporto confidenziale e riservato se si fosse trattato del patrimonio
di conoscenze di un qualunque cittadino su un qualunque Ufficiale dei Carabinieri
nell’adempimento dei normali doveri di istituto. E’ del tutto evidente che la rilevanza
è insita nel fatto che tali informazioni siano in possesso del Fachini e che riguardino il
Varisco. Si noti poi che non è necessaria alcuna spiegazione su chi sia il Varisco: il
destinatario del documento confidenziale e riservato doveva conoscerlo bene.
Se si va a prendere l’agenda del Fachini dello stesso anno del predetto documento,
cioè il 1972, il cui contenuto è stato trascritto dall’Ispettore Cacioppo in relazione a
delega dell’A.G. di Brescia del 09-01-2004, alla data del 22 Maggio si trova, tralaltro,
annotato: “ore 11,30 Varisco per Monte Cangio”, che appare costituire un valido
riscontro al documento del Labruna.
Lo scrivente fa altresì notare alla S.V. che nel libro del Cucchiarelli, alla pag.87, è
riportato uno stralcio di una audizione segreta del defunto Senatore Taviani alla
cosiddetta “Commissione Stragi”. Non si dispone dell’atto, ma se il testo è
correttamente riportato dal giornalista, esso costituisce una indubbia conferma delle
dichiarazioni di “Mister X”: “…Se si ignora che quella banca a quell’ora doveva
essere chiusa è impossibile attribuirne la responsabilità a personaggi seri, come
ritengo che siano i responsabili. Non è possibile infatti pensare che un colonnello
dell’Arma dei Carabinieri, persona seria e intelligente, pensi di ammazzare sedici
italiani. Evidentemente la bomba doveva scoppiare come la bomba di Roma. Non
doveva morire nessuno, invece è successo quello che è successo…”.
18
Lo scrivente deve altresì rappresentare che a Padova, nel 1969, era presente il Cap.
Pietro Rossi dell’Arma dei Carabinieri, nato a Santa Maria Capua Vetere (CE) il 2109-1929, attualmente Generale di Brigata in congedo.
Lo stesso venne trasferito per servizio a Padova il 27-10-1968, proveniente dal
Gruppo Carabinieri Milano I, ove era giunto il 14-01-1966. Rimarrà a Padova
sino al 10-09-1971, venendo ritrasferito a Milano presso il Reparto Operativo del
Gruppo Carabinieri Milano I. Quivi rimarrà sino al 20-07-1975. Prima di
giungere a Padova ha già al suo attivo un comando in area veneta sede di base
NATO: la Compagnia Carabinieri di Verona, dal 14-05-1962 al 03-03-1964.
Il casato Rossi, quale Maggiore dell’Arma dei Carabinieri compare nell’appunto
intitolato: “All’insegna della trama nera”, privo di data, costituente l’allegato nr.87
della relazione di perizia eseguita dal Consulente tecnico Prof. Aldo Sabino Giannuli,
nell’ambito del procedimento penale nr.2/92F RGGI e nr.9/92A RGPM del Tribunale
di Milano, Ufficio Istruzione, attinente i reperti “Via Appia”. Il contenuto di tale
documento, inviato anonimamente a giornali e forze politiche nel Novembre 1972 (il
riferimento iniziale è al famoso discorso tenuto dall’On. Forlani a La Spezia il 5
Novembre 1972, nel quale il segretario DC affermò che i pericoli di colpi di mano
contro la democrazia non erano cessati e di sapere “documentalmente” che il più
pericoloso di essi era ancora in corso), venne pubblicato integralmente il 26
Novembre 1972 dal settimanale di destra “Il Borghese” ed il 3 Dicembre 1972 dal
quotidiano “Il Tempo”. Gli anonimi estensori denunciavano, tralaltro, l’esistenza di
una organizzazione terroristica di estrema destra che a Milano faceva capo al
Maggiore dei Carabinieri Rossi, con l’incarico di ufficiale di collegamento tra l’Arma
ed il SID, ed al costruttore Sigfrido Battaini. Questi ultimi avrebbero arruolato
l’estremista Nardi per il compimento di un’azione provocatoria non meglio indicata.
In un appunto datato 8 Maggio 1979, tratto dalla documentazione rinvenuta presso
“l’archivio di Via Appia”, il Rossi è messo in rapporti di collaborazione con
Adalberto Titta, elemento di spicco di un servizio segreto clandestino operante in
Italia sin dal primo dopoguerra e denominato “Anello”, ma anche “Noto Servizio”.
Poiché in questo appunto è indicato il reparto ove presta servizio il Rossi, ciò ne ha
consentito la sicura individuazione nel Cap. Pietro Rossi che, nel 1969, prestava
servizio a Padova.
Nel verbale reso il 5 Giugno 1992 avanti ai GG.II. Salvini e Zorzi, Gaetano Orlando
precisava che il Magg. Rossi di cui aveva già parlato era uno degli ufficiali con cui
c’erano contatti a Milano. In effetti nel verbale reso il 12 Ottobre 1991 al G.I. Dr.
Grassi, l’Orlando aveva indicato il Fumagalli in rapporto diretto col Maggiore Rossi
della Pastrengo.
Anche Michele Ristuccia, nel verbale reso il 23 Marzo 1999, sosteneva lo stretto
rapporto tra il Titta e il Rossi, pur specificando che l’asse ROSSI, BATTAINI,
MALETTI, LABRUNA, NARDI era molto più forte che non quello con il Titta.
Giovanni Pedroni, il medico che ha verbalizzato di aver verificato le condizioni di
salute di Kappler al confine, prima che venisse consegnato alle autorità tedesche,
nell’ambito di un’operazione condotta dall’Anello, pur non ricordando il nome del
19
Rossi, affermava che molti militi dell’Arma, anche Ufficiali, facevano parte
dell’Anello.
Dalla nota del SISDe nr. 4/9711 del 23 Febbraio 1987 risulta che il Giovanni
Ventura avrebbe scritto delle lettere al Rossi dal carcere di Buenos Aires.
Interrogato in merito, l’Ufficiale ha negato la circostanza.
Nel verbale da lui reso il 14 Giugno 2001 ha invece rammentato di aver raccolto la
testimonianza della Billai Giuseppina, pur ricordando solo la circostanza e non il
nome, una donna che accusava Pietro Valpreda, ma non ha saputo spiegare la
presenza in rubrica metallica del nome del noto Ing. Wesselinoff e quello del di lui
genero.
Nell’agenda del 1967 di Sigfrido Battaini, alla pagina del 28 Aprile, h. 12.00, è
annotato: “Comandante ROSSI”, mentre alla pagina del 17 Ottobre è annotato
“partenza per Firenze con Rossi”. Entrambi, a verbale, hanno negato di conoscersi. In
altre due agende del Battaini compare il casato Rossi con a fianco due diversi numeri
di telefono, ma gli archivi Telecom non hanno consentito accertamenti così arretrati
nel tempo.
Gli accertamenti tutt’ora in corso con la Procura di Brescia sull’Anello, cioè su di un
servizio segreto clandestino operante in Italia dal secondo dopoguerra ai primi anni
’80 del secolo scorso si sono, nel tempo, arricchiti di nuovi elementi che sospingono
sempre di più verso il ritenere veridica l’esistenza di tale struttura, con tutte le
problematiche che ciò comporta. L’inserimento nella politica di sicurezza del nostro
Paese di quegli anni di un ulteriore soggetto d’intelligence, per giunta clandestino,
moltiplica i problemi interpretativi di vicende già affollate di doppie, triple,
superspie, orbitanti in ambienti Viminale, Arma, SID, SIOS, americani, atlantici,
israeliani, ambienti nei quali è fin troppo facile immaginare controllati che aspirano a
diventare controllori e controllori degradati a controllati.
11. “MISTER X”.
Nel verbale reso dal giornalista Cucchiarelli, già citato, ALL.14, lo stesso, in merito
alla propria fonte, si avvaleva del segreto professionale. Specificava di attribuire la
massima attendibilità al soggetto poiché realmente inserito in un contesto operativo
romano toccato dalle indagini di P.G. in relazione ai fatti eversivi del 1969.
Lo scrivente, poiché la sua individuazione riveste notevole interesse anche
nell’ambito del procedimento penale sulla strage di Piazza della Loggia, ha profuso
tutto il suo impegno per addivenirne all’identificazione, ma senza esito.
Tuttavia, sulla base delle scarne informazioni fornite dall’autore del libro, è possibile
affacciare alcune ipotesi ragionevoli:
 Stefano Sestili;
 Antonio Massari;
 Mario Merlino;
 Claudio Minetti;
 Riccardo Minetti;
20
 Saverio Ghiacci;
 Cesare Perri;
 Roberto Palotto.
12. ATTIVITA’ SUGGERITE.
a) In merito ai due ordigni non repertati a Milano si potrebbe interessare
l’archivio del Comando dei Vigili Urbani di Milano e, inoltre, verificare chi,
tra i vigili urbani in servizio il 12 Dicembre 1969, sia ancora vivente, così
come per il loro segmento apicale (Comandante e ViceComandante) ed
escuterli sul punto;
b) In merito alla conferenza stampa degli anarchici del 17 Dicembre potrebbero
essere identificati i cronisti presenti e, comunque, sentiti tutti i firmatari degli
articoli citati dal Cucchiarelli, a conferma dell’esattezza della notizia;
c) In merito agli attentati compiuti dagli anarchici potrebbero essere utilmente
sentiti Umberto Macoratti, Emilio Borghese, Enrico Di Cola, Salvatore
Ippolito, Enrico Rovelli, Carlo Melega, Giovanni Corradini, Eliane Vincileone;
d) In merito all’inchiesta condotta dalle Brigate Rosse, potrebbe risultare utile
sentire Michele Galati;
e) In merito al secondo tassista, verificare se la Questura di Milano si occupò
effettivamente di Pierino Bartomioli, appurarne l’esistenza in vita ed escuterlo;
f) In merito alla foto di Valpreda mostrata prima dell’identikit al Rolandi,
potrebbe essere utile sentire il Col. Favalli;
g) In merito al manifesto finto-anarchico potrebbe rivestire una qualche utilità
verificarne la presenza tra i reperti di Catanzaro;
h) In merito al secondo libretto di Freda, potrebbe essere utile sentire Gianni
Casalini e Antonio Massari;
i) In merito alla presenza di due borse potrebbe essere utile sentire Antonio
Allegra e Silvano Russomanno;
j) In merito all’esplosivo Vitezit, potrebbe rivelarsi utile sentire Franco
Comacchio, Vincenzo Vinciguerra e Gerardo Serravalle;
k) In merito al ruolo di Valpreda, potrebbe essere utile sentire Martino Siciliano,
Vincenzo Vinciguerra, Guido Lorenzon e Nino Sottosanti;
l) In merito alla identificazione di “Mister X”, potrebbe essere utile risentire il
Cucchiarelli e tutti i soggetti ipotizzati nel paragrafo 11 della presente
annotazione;
m) In merito al casolare di Paese potrebbe rivelarsi utile sentire Giuseppe Sbaiz;
n) In merito al possibile ruolo del Col. Antonio Varisco potrebbe rivelarsi utile
acquisire integralmente il testo dell’audizione secretata del Sen. Taviani,
nonché acquisire tutta la documentazione a lui facente capo, presso l’AISE,
l’AISI, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e lo Stato Maggiore
Esercito, specificando, in quest’ultimo caso, che la ricerca dovrà essere
21
effettuata sia sui fascicoli delle disciolte Sezioni Sicurezza che delle disciolte
Sezioni di Polizia Militare del già SIOS Esercito.
Annotazione autodigitata, comprensiva di nr.19 allegati, ed accertamenti eseguiti
dallo scrivente.
L’ufficiale di Polizia Giudiziaria delegato
( Ten. Col. CC. Massimo Giraudo )
22
Scarica

rapporto Giraudo - Archivio Guerra Politica