1. Comando Unità Mobili e Specializzate Carabinieri “Palidoro” Nr. 241/4/2009 di prot. Roma, 15 Luglio 2009. OGGETTO: Milano, 12 Dicembre 1969, Piazza Fontana. Strage. Comunicazione di Notizia di Reato. . ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI - Sost. Proc. Massimo Meroni MILANO Cons. a mano dallo scrivente. ^^^^^^^^^^^^^^^ 1. SCATURIGINE. Giovedì 28 Maggio 2009 è stato posto in commercio il testo dal titolo “Il segreto di Piazza Fontana”, edito per i tipi della casa editrice “Ponte alle Grazie”, il cui autore, nella prima di copertina indicato quale artefice dell’inchiesta giornalistica dalla quale sarebbe scaturito il libro, si identifica nel professionista Paolo Cucchiarelli […]1. 1 Seguono data di nascita e residenza di Paolo Cucchiarelli, che per ragioni di privacy vengono qui omesse (nota di Andrea Carancini). 1 Alcune delle affermazioni riportate nel testo, le tesi che da queste derivano e le conclusioni proposte, rivestono un interesse affatto secondario nella ricostruzione dei tragici eventi del 12 Dicembre 1969. In estrema sintesi, si evidenziano i seguenti punti: a) Il 12 Dicembre 1969 sarebbero stati rinvenuti a Milano altri due ordigni esplosivi, sottratti all’attenzione dell’A.G. all’epoca procedente, perché rivelatori di una macchinazione criminosa tesa a far ricadere la responsabilità delle attività terroristiche di quella giornata sul movimento anarchico; b) Pietro Valpreda sarebbe effettivamente entrato all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura al fine di deporvi un ordigno esplosivo non micidiale che avrebbe dovuto detonare dopo la chiusura dell’Istituto di Credito. Tuttavia, il suo progetto, noto alla destra eversiva attraverso un cospicuo numero di infiltrazioni in atto in campo anarchico, sarebbe stato oggetto di una modifica in corso d’opera tesa ad anticipare lo scoppio e renderlo letale; c) Il noto Nino Sottosanti avrebbe rivelato al sig. Cucchiarelli che la sera dell’11 Dicembre 1969 vide, a Milano, Giovanni Ventura entrare nello stabile di Via del Carmine nr.7 dove vivevano sia l’editore Feltrinelli, con la consorte Sibilla Melega, che Giovanni Corradini e la sua compagna Eliane Vincileone, questi ultimi importanti propulsori ideologici del neoanarchismo ambrosiano postsessantottino, portando seco due borse scure; d) L’autore cita la testimonianza di un ignoto “Mister X”, definito, alla pag. 641 del testo, “…nel 1969 era un fascista operativo…”, il quale gli avrebbe detto che: 1) Alla Banca Nazionale dell’Agricoltura erano presenti due borse; 2) La bomba degli anarchici venne innescata in un abbaino dell’allora Vicolo Margherita a Milano, nella disponibilità di studenti greci, e venne ritirata dal Valpreda che, in taxi, si recò a collocarla nell’istituto di credito di Piazza Fontana. Nell’abbaino era presente il Ventura. Nella bomba “anarchica” venne inserito un componente oleoso finalizzato ad impedirne la distinzione da quella “fascista”; 3) Anche alla BNL di Roma vi furono due bombe, una anarchica ed una fascista, così come al Vittoriano, ma l’errata collocazione fece poi ritenere che fossero stati realizzati due attentati, uno al pennone della bandiera, l’altro al lato museo; 4) L’esplosivo utilizzato per la strage di Piazza Fontana è lo stesso adoperato per la strage di Piazza della Loggia: si tratta di plastico jugoslavo di provenienza ustascia. Il gruppo romano aveva un consulente esplosivista poi divenuto professore universitario; 5) L’Arma dei Carabinieri, grazie ai rapporti tenuti da un certo numero di Ufficiali (Castellani, Servolini, Ferrara, Varisco, quelli nominati) seppe tutto sin da subito. In particolare, l’operazione sfuggì di mano ad un Colonnello che ebbe poi un ruolo anche in successive vicende italiane. La polizia seppe successivamente e questo fermò l’operato dei Carabinieri; e) Il noto Silvano Russomanno, già funzionario dell’ex-SISDe, avrebbe sostanzialmente confermato all’autore la presenza di due borse all’interno della 2 BNA di Piazza Fontana sostenendo che la notte stessa del 12 Dicembre la Polizia aveva compreso come erano andate le cose. 2. SUL RUOLO DI VALPREDA. Nel passato, più di un estremista di destra si era espresso in merito alla non estraneità di Pietro Valpreda agli accadimenti del 12 Dicembre 1969: a) Lo scrivente, in data 25 Settembre 1994, incontrò, a Toulose, in Francia, unitamente al Dr. Madia, il noto Martino Siciliano, con il quale era entrato in contatto sin dal giorno precedente, al fine di saggiarne il patrimonio conoscitivo. Tra le varie affermazioni, le seguenti, di particolare interesse nell’ambito del presente approfondimento: “…L’attentato di PIAZZA FONTANA era stato concepito per non fare vittime, ciò almeno in ambiente veneto, poi, in ambito milanese doveva essere accaduto qualcosa. La sua concezione vedeva intrecciarsi destra e sinistra, il GRUPPO VENETO aveva stretti legami con l’estremismo di sinistra, questi erano tenuti dalla sorella di VENTURA, di opposta visione politica, con la quale era stata condivisa l’effettuazione di vari attentati. La logica era quella di abbattere il governo con l’aiuto della sinistra e poi confrontarsi con essa in un secondo tempo. Nulla sapeva della fase milanese di Piazza Fontana, né era a conoscenza di alcuni particolari accennatigli dallo scrivente. Lo ZORZI nel 1970 gli aveva comunque riferito che il depositore era stato PIETRO VALPREDA…”. ALL.1; b) Lo scrivente, in data 11 Novembre 1993, sostenne un colloquio investigativo con il noto Graziano Gubbini presso la Casa di Reclusione di Spoleto (PG). Tra le varie affermazioni, si riporta la seguente: “…Non aveva nulla da ribattere a contrario sulla ricostruzione dei passaggi operativi della strage di Piazza Fontana fattagli dallo scrivente,ma la bomba non si era fermata nelle mani di Fachini, egli l’aveva manipolata agendo sul timer dimodochè esplodesse quando la gente era ancora presente nella Banca e l’aveva passata al VALPREDA che aveva agito credendo di piazzare un’innocua bomba anarchica…”. ALL.2; c) Il 20 Dicembre 1985, il noto Napoli Gianluigi, rese un verbale, da detenuto, nei locali del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Bologna, alla presenza del G.I. Dr. Grassi e dei PP.MM. Dr. Mancuso e Dr. Cardani, nel quale, tra le varie affermazioni, sostenne che: “…da riferimenti fattimi dal MELIOLI compresi che solo il FACHINI avrebbe potuto essere colui che approntò l’ordigno per la strage di PIAZZA FONTANA. Secondo il Melioli inoltre a collocare la bomba sarebbe stato proprio il VALPREDA e gli ambienti anarchici sarebbero stati infiltrati tramite il MERLINO, il quale, sempre secondo il MELIOLI fu colui che consegnò la bomba nelle mani di Valpreda…”. ALL.3. Tali affermazioni sono state ripetute dal Napoli nel 3 dibattimento in corso a Brescia per la strage di Piazza della Loggia, in data 23 Giugno 2009, ma lo scrivente non dispone ancora del resoconto stenografico; d) Il 10 Novembre 1993, lo scrivente effettuava un colloquio investigativo con il noto Pierluigi Concutelli, nella Casa Circondariale di Roma Rebibbia, nel corso del quale, tra le varie affermazioni, il detenuto rappresentava che: “…Io so come è avvenuta Piazza Fontana, sono tutti colpevoli, FACHINI non ha trattenuto l’ordigno, ha solo modificato la programmazione del timer di modo che con assoluta certezza si verificassero dei morti, poi lo ha passato al VALPREDA, inconsapevole di ciò che stava per procurare…”. ALL.4; e) Sul sito http://www.marilenagrill.org, nell’archivio articoli del 2009, è reperibile uno scritto intitolato “L’ARMA DEL SILENZIO”, firmato “Vincenzo Vinciguerra, Opera 20 Giugno 2009”, nel quale viene lamentata la scarsa attenzione data al testo del Cucchiarelli dai mass media ed espresso il dissenso sulla convinzione del Valpreda di partecipare ad un attentato solo dimostrativo, sostenendo, quindi, implicitamente, una partecipazione di quest’ultimo alla strage di Piazza Fontana. Il Vinciguerra, se è realmente l’autore dell’articolo, ma lo scrivente ritiene di averne riconosciuto l’inconfondibile stile, fa anche riferimento ad una precisa volontà di impedirgli di leggere il testo del Cucchiarelli. ALL.5. 3. COMPATIBILITA’ DELLA VICENDA “FUSCO”. Il 7 Settembre 2000 lo scrivente escuteva il defunto Senatore Taviani apprendendo da questi i primi elementi informativi che avrebbero successivamente dato avvio al filone investigativo inerente l’Avv. Matteo Fusco, nato a Gaeta il 7 Dicembre 1908 e defunto a Roma il 20 Dicembre 1985. Come noto, secondo quanto appreso dal Senatore, nel 1974, per canale ecclesiastico, ma all’epoca confermatogli sia dal Dr. Santillo che dal Gen. Miceli, il Fusco avrebbe tentato di impedire l’esecuzione degli attentati terroristici del 12 Dicembre 1969, recedendo dal proprio proposito una volta appresa, a Fiumicino, dove sarebbe stato in procinto di imbarcarsi su un volo per Milano, la notizia della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Poiché è stato appurato, con annotazione del ROS nr. 5067/224 del 19 Febbraio 2001, diretta all’A.G. di Brescia, che l’Ansa diede la prima notizia dello scoppio alle 17.05, circa 20 minuti dopo l’esplosione, è ipotizzabile che l’intenzione del Fusco di partire fosse supportata dalla convinzione di avere il margine di tempo necessario per intervenire. Quindi il comportamento del soggetto è compatibile con una rapida accelerazione degli eventi rispetto ad una apprensione informativa basata su di una diversa tempistica. E’ parimenti ipotizzabile che nulla facesse presagire al Fusco una così tragica precipitazione, altrimenti avrebbe potuto tentare di lanciare telefonicamente un allarme, mentre, la decisione di partire, mette in luce la convinzione soggettiva di avere il margine temporale necessario ad un intervento de visu e con un interlocutore in grado di intervenire sulla imminente fase di realizzazione operativa. 4 4. IL PARALLELISMO CON PIAZZA DELLA LOGGIA. In chi ha partecipato alla conduzione delle indagini sulla strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974, l’ipotesi di un possibile ruolo del Valpreda nella strage di Piazza Fontana, cioè di un anarchico in quella che era una attività operativa dell’estremismo di destra, non può non richiamare l’attenzione sul filone investigativo inerente il brigatista rosso Arialdo Lintrami. Nonostante siano stati effettuati accurati e minuziosi accertamenti, non è ancora oggi possibile stabilire se la vicenda sia del tutto vera, solo parzialmente corrispondente all’effettivo svolgimento dei fatti o frutto di una preordinata ed insidiosa azione di intorbidimento investigativo in grado di produrre danni anche a molti anni di distanza dallo svolgersi degli eventi oggetto di accertamento. Il nome del predetto, nato a Milano il 12 Novembre 1947, già esponente di spicco delle colonne milanese e torinese delle Brigate Rosse, il suo indirizzo (Via Inganni 3 a Milano, al successivo civico 79/A c’era la residenza di uno dei capi del MAR, Gaetano Orlando) e numero telefonico relativi all’anno 1974, dati la cui esattezza era ribadita dallo stesso Lintrami, compaiono in agenda del defunto estremista di destra Ermanno Buzzi, nei giorni 10,13 e 30 Maggio 1974. Il Buzzi ne parla ancora, più diffusamente e con precisione, nelle istanze che, dal Febbraio del 1975 al Febbraio 1977, inviò agli inquirenti, indicandolo come persona che era in contatto con soggetto ritratto in foto scattata immediatamente dopo la strage di Brescia, in rapporti con il defunto Silvio Ferrari e, soprattutto, riferendo che con lui si era recato il 30 Maggio 1974 ad un appuntamento con il noto Giancarlo Esposti. Il Lintrami ha tralaltro confermato l’effettiva disponibilità di una Fiat 126, così come indicato dal Buzzi. Incontro che poi non si verificò perché in quella data il membro delle S.A.M. rimase ucciso nel conflitto a fuoco a Pian del Rascino. Altri particolari il Buzzi forniva durante gli interrogatori resi all’allora G.I. di Brescia, Dr. Vino. Mentre Renato Curcio riferiva scarni elementi al fine di delineare la personalità e la militanza del Lintrami, Alberto Franceschini illustrava il rapporto di amicizia esistente tra il Lintrami e Francesco Marra, brigatista la cui identità non era mai stata apertamente rivelata, ma indicato dall’ex-capo storico delle BR come exparacadutista e in contatto con persone orientate politicamente a destra. Lo stesso Lintrami verbalizzava particolari che contribuivano a rendere più complesso il chiarimento della vicenda: nella colonna torinese era stato destinato al settore della “controrivoluzione” occupandosi, in particolare, delle figure di Sogno e Cavallo. Inoltre, il 28 Maggio 1974, il giorno della strage, si trovava a Brescia e, dopo l’esplosione si era portato in piazza, circostanza sulla quale sia il Curcio che il Franceschini hanno negato di essere mai stati informati dal Lintrami. Non solo, il Lintrami verbalizzava che si era recato in piazza, una volta avuta la notizia, per poter poi rendere testimonianza agli operai della Breda il giorno successivo. Tuttavia il Lintrami, sia il giorno 29 che il 30 Maggio, cioè proprio i due giorni chiamati in causa dal Buzzi nella sua agenda, fu assente per malattia. 5 Il Lintrami risultava poi avere precedenti, come il Buzzi, per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, circostanza anche questa ignota agli allora capi delle BR. Ancora, la teste Ombretta Giacomazzi, già nel 1975, riconobbe il Lintrami come amico del Buzzi e saltuario avventore di una pizzeria frequentata da estremisti di destra bresciani. Il Lintrami aveva all’epoca, in Brescia, interessi affettivi. La stessa teste indicava altro estremista di destra, Umberto Lora, accompagnantesi con i predetti e questi, pur negando che il nome gli ricordasse qualcosa, risentito nel 1996, ammetteva che il volto del Lintrami gli ricordava persona che non escludeva di aver conosciuto. Si acquisiva poi un rapporto della Questura di Milano (E3/1975/UP(2)), datato 18 Luglio 1975, che riferiva alla Procura di Milano che il Lintrami il giorno 28 Maggio 1974 si era assentato dalla Breda Fucine di Sesto San Giovanni dopo aver chiesto un giorno di ferie da utilizzare proprio in quella data e che si ripresentava alla Breda solo il 9 Giugno 1974 per poi licenziarsi il 20 successivo. Nell’atto della Questura si citano notizie confidenziali secondo le quali il Lintrami sarebbe “non estraneo alla organizzazione, se non proprio alla esecuzione, della strage di Piazza della Loggia”. Il giorno di ferie era stato motivato informalmente con l’esigenza di sottoporsi ad un colloquio di lavoro presso una società bresciana, ma gli accertamenti, già esperiti all’epoca dei fatti, non permisero di trovare alcun riscontro. In agenda del Gen. Gian Adelio Maletti, già capo del Reparto D del SID, alla data del 30 Maggio 1974, due giorni dopo la strage e lo stesso giorno in cui Buzzi annota sulla propria di aver fatto un viaggio a Rieti unitamente al Lintrami, è manoscritto: “ un nero oltre a un B.R.? (FARE-ROMAGNOLI)”. Di interesse, nell’ambito di questo apparente parallelismo, risulta il 23° resoconto stenografico della seduta di Mercoledì 25 Giugno 1997 della cosiddetta “Commissione Stragi”, laddove l’audito, l’allora Generale Francesco Delfino, dichiarava: “…Anzi io, pur senza avere elementi e dati precisi, sono arrivato al punto di ipotizzare che Buzzi e il gruppo bresciano abbiano voluto fare lo scherzo ai sindacati, senza accorgersi – alcuni – che l’altro gruppo (quello politicizzato eversivo, milanese e molto probabilmente venetoveronese) invece sapeva cosa si andava a fare…Allora faccio la considerazione che a Brescia e nell’area bresciana era in atto il preparativo di qualcosa di grosso e viene colta l’occasione della riunione improvvisa e a breve scadenza concordata dai sindacati. Quindi, non escludo che ci siano state due diverse configurazioni nell’attentato, quella di chi voleva lo scherzo ai rossi, come scrivevano sui muri, e quella di chi invece, sapendo che veniva fatto lo scherzo, ha voluto la strage…”. Come detto, ancora oggi non è possibile esprimersi con certezza sulla vicenda Lintrami, la quale, in ogni caso, presenta aspetti di indubbio interesse, quantomeno per due ordini di motivi: il primo è determinato dallo scopo che si prefigge il Buzzi chiamando in causa il Lintrami, cioè consentire agli inquirenti di identificare un soggetto, a tutt’oggi ignoto, appellato Toni Pasetto, dal Buzzi ritenuto personaggio chiave nell’ambito della strage e persona aderente ad Ordine Nero. Quindi, e lo si sottolinea, Buzzi indica una pista “nera” e non cerca assolutamente di portare le 6 indagini su un altro campo. Sono l’agenda del Gen. Maletti, l’appunto della Questura di Milano e alcuni degli accertamenti allora condotti dal Cap. Delfino che introducono nelle indagini una pista “rossa”. Anzi, brigatista. D’altra parte, se nel 1969 appare plausibile che apparati dello Stato tentino di sottolineare il pericolo costituito dall’effervescenza politica a sinistra del PCI ricorrendo allo spauracchio anarchico, incontrollabile politicamente per definizione e storicamente “bombarolo”, è fuor di dubbio che, nel 1974, poteva dirsi che nessuna “onda lunga” anarchica si era realizzata nel nostro Paese e che quell’arcipelago di sigle si trovava in acque molto più brutte rispetto al 1969, con un’area di consenso in netta diminuzione, mentre, a sinistra del PCI, questa volta si muovevano le Brigate Rosse. Peraltro, il G.I. Zorzi, nella sua sentenza 181/86-A depositata nella cancelleria del Tribunale di Brescia il 23 Maggio 1993, nel capitolo 12 della medesima, ha fatto rilevare come la caratterizzazione politica della strage di Brescia: “…tale sarebbe anche se (secondo un’ipotesi che si è affacciata in corso di istruttoria e che trova un preciso e concreto aggancio fattuale nella accertata consuetudine dei militari dell’Arma di situarsi proprio nella zona e attorno al punto dello scoppio in consimili occasioni) il ruolo di vittime fosse toccato (ancora una volta, come due anni prima a Peteano) a dei Carabinieri: sempre di un attacco diretto alla democrazia si sarebbe trattato, perpetrato colpendo cittadini in divisa chiamati a garantire con la loro presenza il tranquillo svolgimento di una manifestazione politica di altri cittadini (come è noto, fu la pioggia battente a sospingere gruppi di manifestanti sotto i portici, obbligando i Carabinieri a spostarsi in altro punto della Piazza)…”. 5. L’ESPLOSIVO. L’esplosivo della strage di Piazza Fontana è il medesimo di quello della strage di Piazza della Loggia, sostiene il citato “Mister X”. Un esplosivo di provenienza Ustascia. L’autore del testo, il Cucchiarelli, pur incorrendo in taluni errori in materia specificatamente esplosivistica, autonomamente sottolinea la presenza di due elementi che si inseriscono con coerenza nel quadro ricostruttivo proposto. Il primo è costituito dal ritrovamento, nella casa di Giovanni Ventura a Treviso, perquisita su richiesta del Giudice Stiz, che successivamente, il 9 Aprile 1971, emetterà mandato di cattura nei confronti di Freda e Ventura, di un foglietto a stampa rossa relativo all’esplosivo di produzione jugoslava denominato “Vitezit”. Interessanti valutazioni sugli accertamenti all’epoca eseguiti sono contenute nel documento dei consulenti Gianni Flamini e Marco Nozza, datato “Milano, febbraio 1997”, consegnato alla S.V. ed alla Dr.ssa Grazia Pradella il 18 Febbraio 1997. Nei documenti esaminati dai consulenti la tipologia del Vitezit viene individuata nel “30”. Il secondo elemento è costituito dal ritrovamento, secondo il Cucchiarelli, di un candelotto di Vitezit in casa di Silvio Ferrari, il noto terrorista di destra bresciano morto pochi giorni prima della strage di Piazza della Loggia mentre stava trasportando un ordigno esplosivo. 7 In effetti, nella perizia balistica diretta al G.I. di Brescia, nell’ambito del procedimento penale 319/74, i periti Ten. Col. Romano Schiavi, Ing. Teonesto Cerri e Dr. Alberto Brandone, indicano, alla pag.32, para 4.6 il “Materiale sequestrato in sede di ispezione domiciliare nell’abitazione del defunto Ferrari Silvio (fascicoli fotografici del N.I.CC. di Brescia allegati n. 2-3)”, tra cui, al sottopara 4.6.2.2 un “candelotto di esplosivo plastificato risultato in sede di accertamenti Vitezit 30”. Quindi, tra l’esplosivo cui appartiene il foglietto di istruzioni rinvenuto nella disponibilità del Ventura ed il candelotto repertato a casa di Silvio Ferrari, vi è sia identità di genere (Vitezit), che merceologica (“30”). Ma sono possibili ulteriori approfondimenti sulla base di quanto già accertato nel passato. Alla pagina 128 della suddetta perizia viene individuata la ditta di produzione del Vitezit trovato a Silvio Ferrari: Konijaka Industry Slobodan Prinep Seljo di Vitez (Sarajevo). Secondo la consulenza Flamini-Nozza, l’esplosivo le cui istruzioni sono in possesso del Ventura proviene dalla ditta Chemical Industry Slobodan Princip-Seljo di Vitez. Le piccole differenze tra i due nominativi sono verosimilmente riconducibili a errori di trascrizione (La scritta “Prinep” e la parola Konijaka che sembra stonare a fianco ad una inglese). Sulla correttezza della trascrizione dei due consulenti non vi sono dubbi poiché nell’allegato è chiaramente visibile il timbro della ditta produttrice. Sempre alla pag. 128, i periti, in relazione allo stato fisico in cui si trova il candelotto del Ferrari, affermano: “…è certamente di vecchio allestimento, verosimilmente anteriore al 1971…”. Alla pag. 224, para 15.3.3, i periti del Tribunale di Brescia sostengono, con riferimento all’esplosivo rinvenuto in casa di Silvio Ferrari, che: “Per quanto concerne le caratteristiche di similitudine con l’esplosivo impiegato nell’ordigno di Piazza della Loggia, del tritolo da solo se ne è escluso l’impiego, per il Vitezit 30 se fosse stato efficiente avrebbe potuto avere le stesse caratteristiche dell’esplosivo che il Collegio ha supposto impiegato nell’ordigno di cui sopra”. Di interesse risulta anche la perizia chimico esplosivistica disposta dal Dr. Zorzi e affidata, questa volta, al solo Romano Schiavi, anche perché il quesito formulatogli era inerente il verbale reso da Vincenzo Vinciguerra proprio a quel G.I. nelle giornate del 2-3 Luglio 1985, in particolare quanto affermato alle pagg.24-27 (ALL.6). Lo Schiavi, in premessa, sintetizzando i precedenti esiti peritali, informa il G.I. che: “…fu comunque escluso l’impiego di esplosivo plastico…”. Nelle conclusioni poi sostiene: “Le dichiarazioni del Vinciguerra contengono molte inesattezze tecniche e riferiscono luoghi comuni sugli esplosivi che si sentono tuttavia anche in bocca di persone che si professano esperte. Nella dichiarazione, comunque, si parla di un esplosivo jugoslavo in candelotti. Nel corso delle indagini, in effetti, fu esaminato un candelotto sequestrato in casa Ferrari, risultato essere di produzione jugoslava. Si trattava tuttavia di una gelatina dinamite in cattivo stato e non di esplosivo “plastico” al T4.” Le affermazioni dello Schiavi al G.I. Zorzi suscitano diverse perplessità, soprattutto nella considerazione della qualità del quesito posto dall’A.G., che mirava a valutare se le verbalizzazioni del Vinciguerra fossero utili per addivenire ad una 8 individuazione della tipologia di esplosivo utilizzato e tenendo presente che improprietà di linguaggio tecnico dovevano per forza caratterizzare il parlare del detenuto. In particolare: Lo Schiavi premette, prima di esaminare le dichiarazioni di Vinciguerra, che “è possibile che il sottoscritto, abituato da circa 30 anni ad esaminare chiunque tratti la materia dal chimico al minatore sia eccessivamente critico al riguardo”. Naturalmente un atteggiamento draconiano nei confronti di chi non sia sufficientemente perito può comportare un atteggiamento psicologico di preclusione che si riflette negativamente sull’esito della consulenza; Lo Schiavi ricorda bene che venne trovato un candelotto di esplosivo jugoslavo in casa Ferrari, ma ricorda meno bene che il collegio di cui era componente affermò che quel candelotto, se fosse stato efficiente, avrebbe potuto aver le stesse caratteristiche dell’esplosivo utilizzato per l’ordigno di Piazza della Loggia. E la dimenticanza non è di poco conto se rapportata alle affermazioni del Vinciguerra tendenti a legare l’esplosivo del Pagliai alla strage. Peraltro l’inefficienza di un candelotto deteriorato rinvenuto in prossimità temporale dell’evento stragista non può permettere di scartare l’ipotesi che, invece di un unicum, si trattasse dello scarto, proprio per le sue condizioni, tra altri candelotti di cui già si era privato per l’approntamento dell’ordigno. Comunque, evidentemente, il candelotto del Ferrari suscita brutti ricordi allo Schiavi dato che nella perizia per il G.I. Zorzi (pag.16) critica l’operato di un coperito che all’epoca ebbe a tagliarlo con un coltello di ferro. Lo Schiavi afferma che venne escluso l’impiego di esplosivo plastico. Forse un esame meno eccessivamente critico, gli avrebbe consentito di far notare al G.I. che lui stesso, unitamente al Cerri e al Brandone, aveva definito il candelotto di Ferrari come di “esplosivo plastificato”; Appare del tutto ovvio allo scrivente che una persona inesperta, definendo un esplosivo come “plastico”, non faccia certamente riferimento a dati tabellari, ma intenda alludere alla caratteristica da cui deriva il nome. Circostanza ben nota allo Schiavi che in perizia specifica che gli esplosivi plastici vengono spesso confusi con le gelatine che sono, in effetti, malleabili. Non si comprende bene perché se tale confusione è così frequente non debba esservi caduto anche il Vinciguerra descrivendo l’esplosivo acquistato dal Maggi. Soggiungere poi che, anche se vengono spesso confusi, plastici e gelatine hanno diversa composizione chimica e, comunque, le gelatine hanno sempre la necessità di essere mantenute in contenitore, sembrano frasi che prescindono rigidamente dal contesto sottoposto dal G.I. al perito. Quindi, dedotto che le cognizioni di chimica del Vinciguerra sono del tutto elementari, il contenitore di cui parla lo Schiavi può tranquillamente essere l’involucro di un candelotto; Il Vinciguerra non ha mai sostenuto, “con eccessiva rigidità”, che l’esplosivo vendutogli dal Maggi fosse T4, affermazione che lo Schiavi utilizza per escludere ciò che è già chiaro sin dalla prima perizia, il candelotto del Ferrari non è di T4. Ma vediamo esattamente cosa dice il Vinciguerra, non spontaneamente, ma ad una sollecitazione del G.I. sul T4: “Non escludo che si 9 trattasse di T4, ma non posso affermarlo con certezza in quanto non ho mai posseduto T4 da me riconosciuto come tale. Per le caratteristiche del T4, apprese da letture, coincidenti con quelle descrittemi dal Maggi, non posso tuttavia escludere che si trattasse proprio di quel tipo di esplosivo. Aggiungo che quell’esplosivo non ebbi modo di impiegarlo in quanto andò perso...”. In buona sostanza, le conclusioni dello Schiavi, su 17 pagine di perizia, si riducono a 15 righe dove non ha trovato spazio nessuna osservazione sulle caratteristiche di plasticità dell’esplosivo in candelotti, jugoslavo, venduto dal Maggi al Vinciguerra, compatibili con la plasticità che avrebbe avuto il candelotto di Vitezit di produzione anch’essa jugoslava se fosse stato efficiente. In merito agli argomenti esplosivistici sin qui disquisiti ed alla vicenda del doppio detonatore ed alla potenza del materiale esplodente, questioni anche queste sulle quali lo Schiavi si manifestava piuttosto critico, si allega verbale redatto dallo scrivente su delega dell’A.G. di Brescia, che ne ha autorizzato la trasmissione in copia, ALL.7, ove il Maggiore Straccini, dell’Arma del Genio, afferma: Il Vitezit poteva anche essere chiamato da persona non esperta, Gelignite, poiché erano, in Italia, la stessa sostanza. In particolare, secondo il testo del Belgrano, edizione del 1974, il Vitezit corrispondeva alla Gelignite SA al 25% di Nitroglicerina. Potendosi variare le percentuali dei due componenti principali, la Nitroglicerina ed il Nitroglicol, donde le diverse denominazioni del Vitezit: 30,35 e 40, il Belgrano riporta un Trauzl da 390 a 420cc. Per dare una idea di questa valutazione di potenza, il Tritolo ha un Trauzl di 295cc; Il Vitezit non era un esplosivo militare, ma poiché la definizione in Italia è giuridica, questo non attiene alla sua potenza, difatti il Tritolo, di cui è stato menzionato il Trauzl raffrontato a quello dell’esplosivo jugoslavo, è un esplosivo militare, ma è meno potente del Vitezit; Una delle possibili ragioni di impiego del Vitezit potrebbe essere economica, in quanto doveva costare meno della Gelignite di produzione nazionale; L’ipotesi della provenienza del Vitezit da un Nasco dell’Esercito jugoslavo non è plausibile, poiché esplosivo privo di quelle caratteristiche di stabilità necessarie per i Nasco strategici, cioè pensati per il lungo periodo; Il Vitezit poteva essere chiamato da un praticone sia Gelignite che Gelatina; Il Vitezit non è un plastico in termini militari, ma possiede consistenza plastica, tanto è vero che sullo stesso foglio del Ventura è stampato “Vitezit are plastics explosive…”. Il Vitezit è un esplosivo sordo, seppur a bassa sordità; L’impiego di due inneschi con più di due cartucce (Il Vinciguerra verbalizza di averne acquistate tre dal Maggi) di Vitezit non fa una piega; Vitezit appartenente allo stesso lotto poteva essere impiegato con successo sia nel 1969 che nel 1974 pur non essendo la stabilità un suo punto di forza; 10 Il Vitezit detonato, poiché contiene nitroderivati aromatici, emette odore di mandorla. Come si ricorderà, l’odore di mandorle venne rilevato dall’ing. Cerri in occasione della strage di Piazza Fontana. Lo scrivente non è per ora in grado di allegare i filmati attestanti la plasticità del Vitezit poiché si trova attualmente a dipendere da Reparto non investigativo e, di conseguenza, non idoneo a supplire nella corretta tempistica alle esigenze contingenti, ma si riserva di farli pervenire a codesta A.G. appena disponibili. Lo scrivente non può poi tacere di aver appreso dallo Spiazzi, che affermò anche di avergli telefonato allo scopo di indurlo a collaborare con l’Autorità Giudiziaria, che lo Schiavi era stato il responsabile della “Legione di Brescia”, cioè del Nucleo Difesa dello Stato ivi operante. Si allega relazione di servizio redatta dallo scrivente ove si riferisce dell’imbarazzo del Gen. Schiavi, allorquando si incontrò per un colloquio con il sottoscritto il 9 Settembre 1994, anche in merito al cosiddetto “Piano di sopravvivenza”, ALL.8. Si ritiene opportuno altresì, ricordare che l’estremista veronese Claudio Lodi, in verbale reso allo scrivente in data 14 Aprile 1995, su delega dell’allora G.I. Dr. Salvini, riferiva di rapporti del Besutti con la Romania o la Jugoslavia e, spontaneamente, all’atto della chiusura del verbale, aggiungeva che questi contatti erano una cosa molto riservata e considerata di alto livello, ALL.9. In verbale reso dallo stesso allo scrivente in data 2 Luglio 2009, dietro delega dell’A.G. di Brescia che ne ha autorizzato la trasmissione omissata, il sig. Giampaolo Stimamiglio, in merito alle dichiarazioni del Lodi affermava di ritenere che la Nazione con la quale il Besutti intratteneva rapporti fosse la Jugoslavia poiché si vantava di amicizie in ambiente ustascia, ALL.10. Si consideri che la notorietà del BESUTTI in ambiente ordinovista, anche tra i neofiti, sin dal 1968, è testimoniata dal noto verbale del 17 Novembre 1968 reso alle ore 02.30 negli uffici del Commissariato di Mestre da Delfo Zorzi, il quale ebbe ad affermare: “Pur non avendo avuto mai occasione di ricorrere personalmente ad un esperto in riparazione di armi, ho saputo nell’ambiente che io frequento che se uno ha bisogno di riparare delle armi può ricorrere a tale BIASUTTI ex Tenente dei Paracadutisti, che dovrebbe attualmente fare il geometra e abiterebbe fra Mantova e Verona. Probabilmente ho avuto tale informazione da Canella o da Cattapan…”, ALL.11. Sempre nel verbale omissato del 2 Luglio, lo Stimamiglio precisava che il Besutti veniva riconosciuto un’autorità in materia “anche nel campo degli esplosivi”. Lo stesso Digilio, nel verbale reso il 10 Ottobre 1994, quando è ancora concentrato sul tentativo di distogliere l’attenzione sul suo corrispondere all’esperto esplosivista denominato “Zio Otto”, si richiamava alla perizia esplosivistica del Besutti quale primo dei soggetti da lui conosciuti a cui addebitare il soprannome, ALL.12. Quindi, alla luce dei verbali citati, è possibile affermare che nel 1969, in ambiente ordinovista, era presente un ufficiale in congedo dei paracadutisti, militante di livello, 11 ritenuto un’autorità nel campo degli esplosivi e tenutario di rapporti riservati e qualificati con la Jugoslavia ed in ambito Ustascia: Roberto Besutti. Per completezza è opportuno ricordare alla S.V. la menzione che fa la signora Zanardi Adriana, già fidanzata dell’ordinovista veronese Claudio Bizzarri, del Besutti, nel verbale reso il 3-4-6 (sic!) Marzo 1971, ALL.13, quando, a casa di Elio Massagrande, pochi giorni dopo la strage di Piazza Fontana, il Besutti fece una sorta di appello degli alibi in relazione al 12 Dicembre, presenti anche il Bizzarri, la Zanardi ed un ignoto con la pipa. Peraltro, in relazione al paragrafo sul Valpreda, vale la pena evidenziare che, nello stesso verbale, la Zanardi riferisce di un commento sull’anarchico milanese espresso dal Bizzarri appena ne venne fuori il nome: “…certo che quello lì c’è dentro fino al collo, peccato perché lui non c’entra…”. Sempre in merito agli ustascia, il giornalista Cucchiarelli, in data 9 Giugno 2009, ha verbalizzato, su delega dell’A.G. di Brescia, che ne ha autorizzato la trasmissione, ALL.14, che nel libro di cui al primo paragrafo della presente annotazione non ha inserito un affermazione fattagli dal Vinciguerra circa un ruolo molto importante degli ustascia per la strage di Piazza Fontana. Nel verbale, la S.V. noterà anche menzionato il Dr. Aniello Diamare, come protagonista di una telefonata con il noto Marco Ballan e quale membro di un servizio segreto clandestino denominato “noto Servizio”, altrimenti “Anello”. Il Cucchiarelli menziona lo stesso funzionario quale autore del primo arresto di Zorzi, e, in effetti, nell’ALL.11, già citato, la S.V. potra distinguere, in calce all’atto, la firma del Diamare. 6. NINO SOTTOSANTI. L’affermazione che il Sottosanti avrebbe fatto al Cucchiarelli, nel 2002, in presenza del giornalista Giorgio Treves, circa l’ingresso di Giovanni Ventura nello stabile di Via del Carmine nr.7 a Milano è senza dubbio di grande importanza e meritevole di approfondimento. Lo scrivente rappresenta che in data 9 Giugno 2009, allorché escusse il Cucchiarelli, su delega dell’A.G. di Brescia, per verificare se nel corso delle interviste sostenute avesse appreso qualcosa di significativo sulla strage di Piazza della Loggia, il giornalista, ad atto chiuso e sottoscritto, affermò che esisteva la registrazione filmata di quanto sostenuto dal Sottosanti. Nella relazione redatta dallo scrivente circa il colloquio sostenuto con Nico Azzi in data 17-05-1994, ALL.15, il defunto estremista milanese affermava che il Sottosanti era molto legato al Picone Chiodo e a Serafino Di Luja, e quest’ultimo, secondo Azzi, nel 1968 era riuscito ad infiltrarsi ad un ottimo livello all’interno della sinistra milanese prima di venire poi scoperto. Nell’esame testimoniale condotto dal G.I. Salvini unitamente allo scrivente in data 15 Marzo 1994, Edgardo Bonazzi accennò alla presenza a Milano, nei giorni della strage, di un militante di destra sosia di Pietro Valpreda. Circostanza appresa o dal Freda o dal Giannettini, ALL.16. Si tenga inoltre conto delle note plurime testimonianze, tra queste valga il verbale appena citato, inerenti l’operazione di rilascio su proprietà Feltrinelli dei timers 12 residuali di Piazza Fontana. Ciò rende del tutto plausibile quanto sarebbe stato affermato dal Sottosanti, poiché legare alla strage il Feltrinelli o esponenti del suo circuito relazionale avrebbe incrementato la redditività dell’evento. Se vi era il disegno di inseguire l’obiettivo dell’editore estremista anche dopo l’evento, non risulta difficile credere che una “operazione” come quella di Piazza Fontana non lo prevedesse sin dall’inizio. 7. PAESE. Come ampiamente noto alla S.V., nonostante tutti i tentativi fatti per addivenire alla certa identificazione del casolare di Paese indicato da Digilio quale luogo primordiale del disegno eversivo culminato nella strage di Piazza Fontana, nulla si concretizzava nelle mani degli investigatori, probabilmente con sensibile esito sul giudizio di secondo grado. Dell’ignoto casolare anche l’attività editoriale del Ventura potrebbe aver tratto benefici logistici, data la presenza della “vecchia”, di importanza strategica nel cammino di avvicinamento all’opposto estremismo, come ampiamente illustrato nel libro del Cucchiarelli. Con protocollo 224/S.C.A.1/B369/18-vol.27/6408 dell’11 Aprile 2005, il Dr. Spina, Direttore della Divisione SCA-1 della DCPP, trasmetteva all’A.G. di Brescia gli esiti di attività delegata refertati in due diverse annotazioni dall’Ispettore Michele Cacioppo. In quella delle due datata 22 Settembre 2004 relativa all’acquisizione, presso la Corte di Assise di Catanzaro, di documentazione estratta dal procedimento penale relativo alla strage di Piazza Fontana, è presente l’esame di agenda del Ventura relativa all’anno 1969. Tale agenda venne consegnata dal difensore avv. Guidoni al Giudice Istruttore di Milano il 20 Dicembre 1972. Le annotazioni del Ventura terminano al 29 Settembre. L’Ispettore Cacioppo fa notare che nel verbale di consegna il Guidoni dichiarava che: “…gli ultimi mesi risultano bianchi perché l’agenda fu smarrita e ritrovata, tramite restituzione, dopo diversi mesi.”. Nonostante le pagine bianche, le cancellature, la mancanza di alcune pagine e della rubrica telefonica, l’Ispettore Cacioppo attestava eccezionali riscontri alle dichiarazioni di Carlo Digilio sulla conoscenza con il Ventura e sugli incontri tra i due nel 1969 e ai rapporti di Ventura con l’ambiente ordinovista e missino. In particolare, l’Ispettore Cacioppo evidenziava riferimenti al Digilio sotto ben sette date (9 e 16 Gennaio; 6 Febbraio; 22 Aprile – tre giorni dopo ci saranno gli attentati del 25 Aprile - ; 6 Maggio – 6 giorni dopo ci saranno gli attentati del 12 Maggio -; 21 Maggio e 3 Giugno). Allo stesso modo, il Cacioppo segnala che alle date del 20 e 23 Febbraio si possono leggere appunti relativi ad appuntamenti con tale Dr. Franco, che potrebbero costituire un riferimento al noto Lino Franco. Per la verità anche il 1 Settembre, Ventura annota Franco, ma senza farlo precedere dal “Dr”, quindi potrebbe trattarsi di un nome, ma si fa osservare che è posto dopo un altro casato: “ore 14,30 – Pan, Franco”. Quindi, conoscenza certa Ventura-Digilio e probabile Ventura-Franco, insomma una valida premessa al casolare di Paese. Difatti, scorrendo la trascrizione operata dall’Ispettore Cacioppo degli appunti del Ventura, si nota, alla data del 26 13 Maggio 1969, tra gli altri, il seguente: “Avv. Sbaiz, (Paese)”. Si fa notare alla S.V. che l’appunto non dovrebbe riferirsi ad un generico piccolo agglomerato urbano, ma ad un toponimo, poiché indicato con la lettera maiuscola. Il successivo giorno 4 Giugno, Ventura, tra le altre, riporta la seguente annotazione: “avv. Sbaiz: 110.000”. Ora, essendovi tra le due date solo otto giorni di intervallo e poichè l’Avv. Sbaiz è menzionato solo in queste due date, è ragionevole ipotizzare che entrambe abbiano a che vedere con Paese e che, soprattutto, le 110.000 lire vi siano connesse. Accertamento speditivo condotto dallo scrivente tramite internet, consentiva di verificare la presenza in Treviso di un avvocato civilista a nome Giuseppe Sbaiz, laureatosi a Trieste nel 1953, cioè circa quarantenne nel 1969, con figli anch’essi dediti alla professione forense. In data 10 Luglio 2009, lo scrivente contattava telefonicamente il sig. Giampaolo Stimamiglio, chiedendogli se, in relazione a Paese il casato Sbaiz gli dicesse qualcosa. L’ex-ordinovista veronese non era in grado di stabilire un legame tra il casato ed il toponimo, ma affermava di aver udito il nome Sbaiz pronunciato o dal Giovanni Ventura o dal fratello Luigi. Sempre nel verbale omissato costituente l’ALL.10, lo Stimamiglio ha precisato che pur non essendovi mai stato aveva intuito che Giovanni e Angelo Ventura avessero un appoggio a Paese, poiché alcuni incontri con costoro erano stati concordati nelle vicinanze di questa cittadina. Successivamente aveva appreso che i due fratelli avevano preso in affitto un appoggio a Paese all’oscuro della famiglia. La locazione clandestina rispetto alla famiglia e l’atteggiamento manifestato dal Ventura nel corso degli incontri avuti in Buenos Aires con lo scrivente, di assoluto diniego in merito a Paese, oltrechè sul Digilio, comprovano la ritenuta esigenza di particolare riservatezza che doveva caratterizzare tale appoggio. Si coglie la circostanza per far notare alla S.V. che alla data del 13 Febbraio è presente, tra le altre, la seguente annotazione “ore 10: sig. Glisenti”, cioè casato identico a quello del noto Giancarlo Glisenti, elemento legato al Minetto. 8. IVANO TONIOLO. Nell’udienza dibattimentale di Venerdì 10 Luglio 2009, della quale lo scrivente non dispone ancora del resoconto stenografico, il noto Gianni Casalini, nell’ ambito del processo in corso per la strage di Piazza della Loggia, ha parlato diffusamente di due attentati ai treni dell’Agosto 1969 cui partecipò unitamente al Toniolo. Come la S.V. ricorderà, nell’udienza dibattimentale del 18 Maggio 2000, nell’ambito del processo per la strage di Piazza Fontana il Casalini era stato molto riottoso sul tema, pur avendolo accennato. Lo scrivente, nella convinzione che gli scarni cenni fatti nel 2000 dal Casalini, fossero comunque, date le caratteristiche del personaggio, rivelatori di un maggiore coinvolgimento del Toniolo, il cui peso politico-operativo non poteva averlo costretto in un ruolo di semplice comparsa, come quello del suo sodale, afflitto da problemi psicofisici, appena ricevuto l’incarico dall’A.G. di Brescia, alla fine di Gennaio del 14 corrente anno, cercava di localizzarlo, ritenendo che fosse uno dei pochi possibili “filoni auriferi” ancora intonsi in grado di riferire sulle dinamiche ordinoviste prossime anche alla strage di Piazza della Loggia. L’attività di localizzazione, a causa di una battuta d’arresto imposta allo scrivente e, di conserva, al rapporto di collaborazione con l’A.G. di Brescia, dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, non ha ancora consentito di terminare gli accertamenti in corso, sull’esito dei quali lo scrivente è stato autorizzato a riferire a codesta A.G.. Peraltro lo scrivente è privato dell’accesso diretto alle Banche Dati, non trovandosi in un reparto investigativo, e ciò non consente un ritmo serrato nell’esecuzione degli accertamenti, il cui scopo ultimo è quello di arrivare ad un contatto, anche solo telefonico, al fine di tentare un approccio colloquiale sfruttando la notorietà del nome del sottoscritto nell’ambito degli ex-ordinovisti. Ciò nella convinzione che nel momento della massima pressione investigativa, lo Zorzi abbia diretto le sue frenetiche attività tese a rivitalizzare i rapporti di cameratismo con gli ex-sodali anche nei confronti del Toniolo. Sia per verificarne l’eventuale tenuta, sia perché non è possibile che Delfo Zorzi non lo abbia censito quale possibile obiettivo di mirate attività investigative. Nell’ormai lontano 3 Febbraio 1995, lo scrivente riferiva al G.I. Dr. Salvini, con nota nr. 378/114, che il Toniolo Ivano, di Guglielmo e di Zandò Leonia, nato a Noventa Vicentina (VI) il 29-11-1946, risultava immigrato a Padova, proveniente dall’Argentina, il 20-07-1960. Emigrava poi definitivamente per la Spagna il 14-101978. In Padova risiedeva in Via Pietro Selvatico nr.30, nel 1995 domicilio del padre Guglielmo, vedovo e pensionato, titolare dell’utenza 049/604770. Sul cartellino anagrafico del Toniolo Ivano veniva rilevata un’annotazione anteriore all’emigrazione, priva di data, recante il recapito: “RUA REI KATYAVALAVA 83, LUANDA (ANGOLA)”. Ripresa l’attività, lo scrivente, in data 25 Febbraio 2009, tentava di comunicare con la suddetta utenza, constatandone l’inesistenza. Quindi nel dubbio che il genitore fosse defunto, operava la specifica verifica, appurandone il decesso in data 23 Giugno 1998. A questo punto, ipotizzando tuttora una permanenza all’estero del soggetto ed auspicando che si fosse messo in regola con il fisco in relazione all’appartamento ereditato dal padre, lo scrivente interessava l’Agenzia delle Entrate di Marghera (Ufficio Venezia 2), competente, sul territorio nazionale, per gli italiani residenti all’estero. Da tale accertamento emergeva che all’AgE Ivano Toniolo risulta residente a Grisolia (CS) località Magarosa. L’ultima dichiarazione dei redditi presentata è quella relativa ai redditi 2005 in cui viene denunciato un fabbricato tenuto a disposizione a Grisolia. Gli ultimi versamenti, effettuati in data 16-06-2009 con Mod. F24 per Euro 66,00 sono relativi all’ICI dovuta per la casa di Grisolia. La casa del padre, ricevuta in eredità, è stata venduta per 350 milioni delle vecchie lire ai signori Donadello Isabella e Zaffin Sandro in data 30-06-2000. 15 Il Toniolo si avvale di un intermediario fiscale con partita IVA 02142810288, successivamente identificato nello Studio Tomaso Cuzzolin e Loretta De Marchi Assoc. Pro., con sede in Padova. In seguito ai dati ottenuti dall’AgE di Marghera (VE), veniva interessata l’Arma di Cosenza, con lo specifico scopo, tra gli altri, di individuare una eventuale unità abitativa da sottoporre a perquisizione. E’ stato così possibile appurare che il Toniolo, pur non risultando censito all’anagrafe del Comune di Grisolia (CS), detiene il domicilio fiscale presso quel centro, in località Magarosa, ove, di fatto, sono presenti solo tre fabbricati: una stalla ad uso agricolo e due unità abitative. La prima di queste occupata dalla famiglia di Laino Ludovico, pastore; la seconda dalla famiglia di Adduci Mario, dipendente di una ditta di legnami. Una verifica operata presso l’ufficio fiscale di competenza del contribuente, a Paola (CS), ha evidenziato che il Toniolo risulta intestatario delle cartelle di pagamento dell’ICI e del contributo per l’impianto fognario e per la depurazione dell’acqua di un abitazione sita sì in Grisolia, ma in Contrada Acchio s.n.c., ubicata all’interno del parco residenziale denominato Habitat, fabbricato A, scala A. Tale abitazione è intestata al defunto padre Toniolo Guglielmo dal 27-03-1992. In precedenza, dal 12-07-1990 al 25-03-1991, era cointestata tra il padre Guglielmo e tale Facco Marzia, nata in Padova il 06-01-1953. Prima ancora, dal 1982 al 1990, l’abitazione era cointestata tra il padre Guglielmo tale Facco Leonida, nata il 03-071924 a Campo San Martino (PD). Verosimilmente, essendo il padre dell’Ivano rimasto prematuramente vedovo, dovrebbe trattarsi della seconda compagna e della figlia di questa. Le cartelle di pagamento, finora regolari, vengono inoltrate da tale Massaro Roich Elena, nata il 17-05-1924 a Padova ed ivi residente in Via Roberto Manin nr.12. Ivano Toniolo risulta, invece, avere effettuato il pagamento della relativa TARSU per l’abitazione di Contrada Acchio dall’Ufficio Postale di “Padova 4”. A fronte di questa ultima indicazione, venivano approfonditi gli accertamenti inerenti la vita fiscale del soggetto, ma solo due risultavano di una qualche possibile utilità per il rintraccio dello stesso: Il 10-10-2000 effettua movimenti di capitale per l’importo di lire 165 milioni verso la Spagna con la causale “rimesse emigrati-immigrati” presso il Banco Santander Central Hispano; Il 12-10-2000 effettua movimenti di capitale, esportando finanziariamente l’importo di lire 56 milioni verso la Spagna con la causale “movimentazione CC e depositi esteri residenti” presso il Banco Santander Central Hispano. Alla data del 01-07-2009, Ivano Toniolo non risulta essere censito presso alcun ufficio catastale nazionale. Sono in corso ulteriori accertamenti. 9. CONSULENTE ESPLOSIVISTA DEL GRUPPO ROMANO. 16 Secondo “Mister X”, il gruppo operativo romano disponeva di un consulente esplosivista poi divenuto professore universitario. Nonostante la carenza di dettagli sul punto, lo scrivente ritiene opportuno non tralasciare la figura del noto Enzo Maria Dantini. Si noti infatti che nel verbale reso da Paolo Aleandri al Dr. Ledonne, presso la Casa Circondariale di Rieti, il 16 Novembre 1981, ALL.17, l’imputato afferma di avere appreso dal Fachini che questi si era rivolto, poiché già lo conosceva, al Dantini: “…per una relazione tecnica sui “timer” o sulle borse della strage…”. In altro verbale, reso da Angelo Izzo al G.I. Dr. Salvini ed al G.I. Dr. Grassi, in data 31 Gennaio 1994, ALL.18, nel paragrafo intitolato “Bombe sui binari a Reggio Calabria”, l’imputato riferisce circa la responsabilità del Dantini nel confezionamento degli ordigni esplosivi destinati agli attentati ai treni in Calabria del 1972 e specifica che lo stesso ebbe a dire che: “…le bombe come le faceva lui non le faceva nessuno…”. Nel paragrafo “Corsi sull’uso di esplosivi a Roma”, l’imputato afferma: “…Gli istruttori erano sicuramente Dantini, del quale io seguii personalmente delle lezioni imparando a fare congegni da usare come timer con le sveglie RUHLA, che erano di plastica e perciò ben si prestavano a servire da timer…”. Nello stesso verbale Izzo coinvolge Dantini nell’attentato effettuato da Bertoli, operando così una netta saldatura tra gli ambienti ordinovisti romani e quelli del nord. Il Dantini, deceduto nel 2004, era effettivamente divenuto Professore universitario, in particolare di Mineralogia, presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di Roma. 10. UFFICIALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI CHE PERDE IL CONTROLLO DELL’OPERAZIONE “PIAZZA FONTANA”. Tale affermazione di “Mister X” è naturalmente di una inaudità gravità e costituisce una forte spinta motivazionale all’individuazione sia dell’ignota fonte che del milite. Lo scrivente intende ipotizzare un nominativo, avvalendosi sia delle indicazioni di generici rapporti che sarebbero stati intrattenuti da Ufficiali dell’Arma (Castellani, Servolini, Ferrara, Varisco), sia dall’affermazione che si trattava di un Colonnello che ebbe poi un ruolo anche in successive vicende italiane. Allo scrivente è stata subito richiamata alla mente la conversazione intrattenuta con Nico Azzi in data 17 Maggio 1994 presso il Bar Boston a Milano, la cui relazione costituisce l’ALL.15 già indicato, ove l’estremista riferisce di essere stato contattato, durante la detenzione, da tre diversi Ufficiali dei Carabinieri, che gli fecero tutti riferimento a Paolo Signorelli, ma solo di uno conosceva il nome: Varisco. In data 31-01-2000, lo scrivente operava una perquisizione presso il domicilio del defunto Labruna, a fronte di decreto emesso dall’A.G. di Brescia, a Roma, in Via Licia 44. Nel corso della stessa veniva rinvenuto un documento dattiloscritto composto da 6 pagine, di rilevante importanza. Lo scrivente, sulla base dell’analisi 17 del documento ipotizzò che fosse un rapporto del Labruna destinato al Maletti circa la coltivazione quale fonte di Massimiliano Fachini. All’interno del documento, ALL.19 (solo la pagina di interesse), si afferma tralaltro che il Fachini: “…ha una vasta possibilità di avere informazioni in poco tempo e le sue fonti (o per meglio dire le fonti del suo gruppo) gli permettono di essere a conoscenza di quanto avviene addirittura nelle più importanti Procure italiane (Roma, Milano,Trieste), tanto da essere a conoscenza degli spostamenti, ad esempio, del capitano Varisco da Roma per il Veneto o la Lombardia!...”. Questo documento è datato 13.04.1972 e poiché descrive una situazione in atto, è ovvio che la conoscenza degli spostamenti del Varisco da parte del Fachini deve essere retrodatata. Ma non solo, codesta A.G., che ricevette l’atto con nota 176/35 dell’11 Gennaio 2001, ricorderà che il Labruna nel testo era critico nei confronti del SID e che il documento era assolutamente, per quanto noto, inedito, né mai era stato rinvenuto in acquisizioni presso il SISMi, in fascicoli ove avrebbe dovuto trovare ragionevole collocazione. Ora, sulla base di ciò, non ci si può esimere dall’interpretare il punto esclamativo posto dal Labruna come “minatorio” nei confronti del destinatario dell’appunto, quasi come se i viaggi in Veneto e Lombardia del Varisco sottintendessero missioni diverse da quelle che avrebbe dovuto condurre “ufficialmente” per l’Arma dei Carabinieri/Autorità Giudiziaria. D’altra parte, la circostanza che Fachini sappia non sarebbe degna di rapporto confidenziale e riservato se si fosse trattato del patrimonio di conoscenze di un qualunque cittadino su un qualunque Ufficiale dei Carabinieri nell’adempimento dei normali doveri di istituto. E’ del tutto evidente che la rilevanza è insita nel fatto che tali informazioni siano in possesso del Fachini e che riguardino il Varisco. Si noti poi che non è necessaria alcuna spiegazione su chi sia il Varisco: il destinatario del documento confidenziale e riservato doveva conoscerlo bene. Se si va a prendere l’agenda del Fachini dello stesso anno del predetto documento, cioè il 1972, il cui contenuto è stato trascritto dall’Ispettore Cacioppo in relazione a delega dell’A.G. di Brescia del 09-01-2004, alla data del 22 Maggio si trova, tralaltro, annotato: “ore 11,30 Varisco per Monte Cangio”, che appare costituire un valido riscontro al documento del Labruna. Lo scrivente fa altresì notare alla S.V. che nel libro del Cucchiarelli, alla pag.87, è riportato uno stralcio di una audizione segreta del defunto Senatore Taviani alla cosiddetta “Commissione Stragi”. Non si dispone dell’atto, ma se il testo è correttamente riportato dal giornalista, esso costituisce una indubbia conferma delle dichiarazioni di “Mister X”: “…Se si ignora che quella banca a quell’ora doveva essere chiusa è impossibile attribuirne la responsabilità a personaggi seri, come ritengo che siano i responsabili. Non è possibile infatti pensare che un colonnello dell’Arma dei Carabinieri, persona seria e intelligente, pensi di ammazzare sedici italiani. Evidentemente la bomba doveva scoppiare come la bomba di Roma. Non doveva morire nessuno, invece è successo quello che è successo…”. 18 Lo scrivente deve altresì rappresentare che a Padova, nel 1969, era presente il Cap. Pietro Rossi dell’Arma dei Carabinieri, nato a Santa Maria Capua Vetere (CE) il 2109-1929, attualmente Generale di Brigata in congedo. Lo stesso venne trasferito per servizio a Padova il 27-10-1968, proveniente dal Gruppo Carabinieri Milano I, ove era giunto il 14-01-1966. Rimarrà a Padova sino al 10-09-1971, venendo ritrasferito a Milano presso il Reparto Operativo del Gruppo Carabinieri Milano I. Quivi rimarrà sino al 20-07-1975. Prima di giungere a Padova ha già al suo attivo un comando in area veneta sede di base NATO: la Compagnia Carabinieri di Verona, dal 14-05-1962 al 03-03-1964. Il casato Rossi, quale Maggiore dell’Arma dei Carabinieri compare nell’appunto intitolato: “All’insegna della trama nera”, privo di data, costituente l’allegato nr.87 della relazione di perizia eseguita dal Consulente tecnico Prof. Aldo Sabino Giannuli, nell’ambito del procedimento penale nr.2/92F RGGI e nr.9/92A RGPM del Tribunale di Milano, Ufficio Istruzione, attinente i reperti “Via Appia”. Il contenuto di tale documento, inviato anonimamente a giornali e forze politiche nel Novembre 1972 (il riferimento iniziale è al famoso discorso tenuto dall’On. Forlani a La Spezia il 5 Novembre 1972, nel quale il segretario DC affermò che i pericoli di colpi di mano contro la democrazia non erano cessati e di sapere “documentalmente” che il più pericoloso di essi era ancora in corso), venne pubblicato integralmente il 26 Novembre 1972 dal settimanale di destra “Il Borghese” ed il 3 Dicembre 1972 dal quotidiano “Il Tempo”. Gli anonimi estensori denunciavano, tralaltro, l’esistenza di una organizzazione terroristica di estrema destra che a Milano faceva capo al Maggiore dei Carabinieri Rossi, con l’incarico di ufficiale di collegamento tra l’Arma ed il SID, ed al costruttore Sigfrido Battaini. Questi ultimi avrebbero arruolato l’estremista Nardi per il compimento di un’azione provocatoria non meglio indicata. In un appunto datato 8 Maggio 1979, tratto dalla documentazione rinvenuta presso “l’archivio di Via Appia”, il Rossi è messo in rapporti di collaborazione con Adalberto Titta, elemento di spicco di un servizio segreto clandestino operante in Italia sin dal primo dopoguerra e denominato “Anello”, ma anche “Noto Servizio”. Poiché in questo appunto è indicato il reparto ove presta servizio il Rossi, ciò ne ha consentito la sicura individuazione nel Cap. Pietro Rossi che, nel 1969, prestava servizio a Padova. Nel verbale reso il 5 Giugno 1992 avanti ai GG.II. Salvini e Zorzi, Gaetano Orlando precisava che il Magg. Rossi di cui aveva già parlato era uno degli ufficiali con cui c’erano contatti a Milano. In effetti nel verbale reso il 12 Ottobre 1991 al G.I. Dr. Grassi, l’Orlando aveva indicato il Fumagalli in rapporto diretto col Maggiore Rossi della Pastrengo. Anche Michele Ristuccia, nel verbale reso il 23 Marzo 1999, sosteneva lo stretto rapporto tra il Titta e il Rossi, pur specificando che l’asse ROSSI, BATTAINI, MALETTI, LABRUNA, NARDI era molto più forte che non quello con il Titta. Giovanni Pedroni, il medico che ha verbalizzato di aver verificato le condizioni di salute di Kappler al confine, prima che venisse consegnato alle autorità tedesche, nell’ambito di un’operazione condotta dall’Anello, pur non ricordando il nome del 19 Rossi, affermava che molti militi dell’Arma, anche Ufficiali, facevano parte dell’Anello. Dalla nota del SISDe nr. 4/9711 del 23 Febbraio 1987 risulta che il Giovanni Ventura avrebbe scritto delle lettere al Rossi dal carcere di Buenos Aires. Interrogato in merito, l’Ufficiale ha negato la circostanza. Nel verbale da lui reso il 14 Giugno 2001 ha invece rammentato di aver raccolto la testimonianza della Billai Giuseppina, pur ricordando solo la circostanza e non il nome, una donna che accusava Pietro Valpreda, ma non ha saputo spiegare la presenza in rubrica metallica del nome del noto Ing. Wesselinoff e quello del di lui genero. Nell’agenda del 1967 di Sigfrido Battaini, alla pagina del 28 Aprile, h. 12.00, è annotato: “Comandante ROSSI”, mentre alla pagina del 17 Ottobre è annotato “partenza per Firenze con Rossi”. Entrambi, a verbale, hanno negato di conoscersi. In altre due agende del Battaini compare il casato Rossi con a fianco due diversi numeri di telefono, ma gli archivi Telecom non hanno consentito accertamenti così arretrati nel tempo. Gli accertamenti tutt’ora in corso con la Procura di Brescia sull’Anello, cioè su di un servizio segreto clandestino operante in Italia dal secondo dopoguerra ai primi anni ’80 del secolo scorso si sono, nel tempo, arricchiti di nuovi elementi che sospingono sempre di più verso il ritenere veridica l’esistenza di tale struttura, con tutte le problematiche che ciò comporta. L’inserimento nella politica di sicurezza del nostro Paese di quegli anni di un ulteriore soggetto d’intelligence, per giunta clandestino, moltiplica i problemi interpretativi di vicende già affollate di doppie, triple, superspie, orbitanti in ambienti Viminale, Arma, SID, SIOS, americani, atlantici, israeliani, ambienti nei quali è fin troppo facile immaginare controllati che aspirano a diventare controllori e controllori degradati a controllati. 11. “MISTER X”. Nel verbale reso dal giornalista Cucchiarelli, già citato, ALL.14, lo stesso, in merito alla propria fonte, si avvaleva del segreto professionale. Specificava di attribuire la massima attendibilità al soggetto poiché realmente inserito in un contesto operativo romano toccato dalle indagini di P.G. in relazione ai fatti eversivi del 1969. Lo scrivente, poiché la sua individuazione riveste notevole interesse anche nell’ambito del procedimento penale sulla strage di Piazza della Loggia, ha profuso tutto il suo impegno per addivenirne all’identificazione, ma senza esito. Tuttavia, sulla base delle scarne informazioni fornite dall’autore del libro, è possibile affacciare alcune ipotesi ragionevoli: Stefano Sestili; Antonio Massari; Mario Merlino; Claudio Minetti; Riccardo Minetti; 20 Saverio Ghiacci; Cesare Perri; Roberto Palotto. 12. ATTIVITA’ SUGGERITE. a) In merito ai due ordigni non repertati a Milano si potrebbe interessare l’archivio del Comando dei Vigili Urbani di Milano e, inoltre, verificare chi, tra i vigili urbani in servizio il 12 Dicembre 1969, sia ancora vivente, così come per il loro segmento apicale (Comandante e ViceComandante) ed escuterli sul punto; b) In merito alla conferenza stampa degli anarchici del 17 Dicembre potrebbero essere identificati i cronisti presenti e, comunque, sentiti tutti i firmatari degli articoli citati dal Cucchiarelli, a conferma dell’esattezza della notizia; c) In merito agli attentati compiuti dagli anarchici potrebbero essere utilmente sentiti Umberto Macoratti, Emilio Borghese, Enrico Di Cola, Salvatore Ippolito, Enrico Rovelli, Carlo Melega, Giovanni Corradini, Eliane Vincileone; d) In merito all’inchiesta condotta dalle Brigate Rosse, potrebbe risultare utile sentire Michele Galati; e) In merito al secondo tassista, verificare se la Questura di Milano si occupò effettivamente di Pierino Bartomioli, appurarne l’esistenza in vita ed escuterlo; f) In merito alla foto di Valpreda mostrata prima dell’identikit al Rolandi, potrebbe essere utile sentire il Col. Favalli; g) In merito al manifesto finto-anarchico potrebbe rivestire una qualche utilità verificarne la presenza tra i reperti di Catanzaro; h) In merito al secondo libretto di Freda, potrebbe essere utile sentire Gianni Casalini e Antonio Massari; i) In merito alla presenza di due borse potrebbe essere utile sentire Antonio Allegra e Silvano Russomanno; j) In merito all’esplosivo Vitezit, potrebbe rivelarsi utile sentire Franco Comacchio, Vincenzo Vinciguerra e Gerardo Serravalle; k) In merito al ruolo di Valpreda, potrebbe essere utile sentire Martino Siciliano, Vincenzo Vinciguerra, Guido Lorenzon e Nino Sottosanti; l) In merito alla identificazione di “Mister X”, potrebbe essere utile risentire il Cucchiarelli e tutti i soggetti ipotizzati nel paragrafo 11 della presente annotazione; m) In merito al casolare di Paese potrebbe rivelarsi utile sentire Giuseppe Sbaiz; n) In merito al possibile ruolo del Col. Antonio Varisco potrebbe rivelarsi utile acquisire integralmente il testo dell’audizione secretata del Sen. Taviani, nonché acquisire tutta la documentazione a lui facente capo, presso l’AISE, l’AISI, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e lo Stato Maggiore Esercito, specificando, in quest’ultimo caso, che la ricerca dovrà essere 21 effettuata sia sui fascicoli delle disciolte Sezioni Sicurezza che delle disciolte Sezioni di Polizia Militare del già SIOS Esercito. Annotazione autodigitata, comprensiva di nr.19 allegati, ed accertamenti eseguiti dallo scrivente. L’ufficiale di Polizia Giudiziaria delegato ( Ten. Col. CC. Massimo Giraudo ) 22