Il Contributo della Relatività Ristretta al dibattito sui concetti di Spazio e Tempo in Fisica:
ANALISI DELLA PROSPETTIVA DI EINSTEIN
a cura di Olivia Levrini1
Il percorso di relatività generalmente proposto nei libri di testo per la scuola secondaria2 sembra
rispettare piuttosto fedelmente le principali “tappe” del ragionamento sviluppato da Einstein
nell’articolo del 1905 “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”. E’ infatti solitamente prevista
un’introduzione in cui gli autori dei libri fanno un breve excursus sullo stato della conoscenza alla
fine del XIX secolo, mostrano la necessità di ri-vedere la meccanica newtoniana ed anticipano il
significato della teoria. Seguono l’enunciazione dei postulati, la presentazione degli effetti
relativistici (ricavati dalle trasformazioni di Lorentz in modo formale oppure dall’analisi di
esperimenti mentali) e cenni di dinamica relativistica.
Le presentazioni didattiche pongono solitamente parecchia l’attenzione all’esperimento di
Michelson e Morley (benché nell’articolo originale si faccia solo un cenno indiretto quando si
ricordano «i tentativi falliti di rilevare un qualche movimento della Terra rispetto al “mezzo
luminifero”») e alle prove sperimentali che hanno corroborato la teoria (solitamente l’esperimento
sul decadimento dei muoni).
Tuttavia la differenza più marcata tra i libri di testo e l’articolo del 1905 è l’evidenza di un
processo di “de-personalizzazione” che la presentazione didattica della teoria ha subito. Sparisce
quella tensione argomentativa tipica di chi deve persuadere la comunità scientifica della plausibilità
e rilevanza di una nuova teoria per cedere il passo alla linearità di una trasmissione finalizzata ad
informare su contenuti consolidati e già ampiamente accreditati.
L’analisi che segue può essere interpretata ed utilizzata come una proposta di ricostruzione di
alcuni significati leggibili tra le righe dei più comini libri di testo; significati che col tempo sono
andati perduti e che tuttavia sono necessari per cogliere le peculiarità di una possibile
interpretazione del formalismo di una teoria. L’analisi, inoltre, può essere interpretata come un
tentativo di scavare nei presupposti della proposta di Resnick (1968): una proposta che ha fatto, per
così dire, la storia dell’insegnamento della relatività ristretta e che ora può essere considerata come
l’approccio “tradizionale”, rispetto al quale capire le peculiarità di approcci più innovativi, come
quello di Taylor e Wheeler.
ANALISI DI BRANI TRATTI DA
“SULL’ELETTRODINAMICA DEI CORPI IN MOVIMENTO”
Introduzione
Nel presentare la relatività ristretta alla comunità scientifica Einstein sceglie di inquadrarla in una
precisa visione della fisica in accordo con la quale criteri di semplicità e coerenza risultano
argomenti altrettanto – se non maggiormente – convincenti rispetto, ad esempio, al problema di
trovare un’interpretazione dell’esito dell’esperimento di Michelson e Morley. Semplicità e coerenza
per Einstein, in questo particolare contesto, significano che:
1
2
Parti dell’analisi che segue sono tratte da N.Grimellini Tomasini, O. Levrini (2005) L’Elettrodinamica dei corpi in movimento e i libri di testo: riflessioni sul significato culturale
della relatività ristretta – La Fisica nella Scuola, XXXVIII, 1, 108-117
Si vedano, ad esempio: Amaldi, Le idee della fisica, Zanichelli, 2001; Caforio, Ferilli, Nuova
Physica 2000, Le Monnier; Halliday, Resnick, Walker, Fondamenti di fisica, Zanichelli, 2001;
Tipler, Invito alla fisica, Zanichelli, 1991.
11
•
“simmetrie che si osservano nei fenomeni” devono essere descritte da “teorie
simmetriche”, ovvero le teorie fisiche non possono introdurre elementi di asimmetria a
livello di descrizione senza che ci sia una ragione “plausibile” e, cioè, senza che tali
asimmetrie siano presenti nei fenomeni stessi (l’argomento dell’identità degli indiscernibili).
In altre parole, il primo e principale problema da risolvere con la nuova teoria è, nella
visione di Einstein, una “inaccettabile” situazione in cui si trovava la fisica alla fine
dell’800, per cui l’elettromagnetismo di Maxwell valeva soltanto “per i corpi stazionari” (i
corpi in quiete rispetto all’etere luminifero, il mezzo di cui si immaginava cosparso lo
spazio in grado di propagare la luce) e non “per i corpi in movimento”. Tale situazione era
inaccettabile per il fatto che i fenomeni elettromagnetici mostravano invece
sperimentalmente gli stessi comportamenti se osservati da diversi sistemi di riferimento
inerziali e, quindi, di seguire di fatto un principio di relatività. Nella scheda di
approfondimento n.1 (che già avevamo messo a disposizione nel precedente insegnamento)
riportiamo un esempio di questo tipo di “asimmetria” più comprensibile per gli studenti
rispetto all’esempio fornito da Einstein e chiediamo di risolvere questo problema: è
possibile fornire un argomento qualitativo per mostrare che l’asimmetria mostrata è
risolvibile con la relatività ristretta?
•
la conoscenza fisica deve reggersi sul minor numero di ipotesi possibili e, pertanto, occorre
individuare quelle “superflue” al fine di rimuoverle dalla fisica (il postulato meta-fisico
dell’unità della natura e il principio di economia).
E’ sulla base di questi presupposti che Einstein indica come valore intrinseco della nuova teoria il
suo essere “semplice e coerente”, in grado di mostrare che:
- l’etere luminifero e il concetto di quiete assoluta sono concetti “superflui” di cui
l’elettromagnetismo di Maxwell, così come la meccanica classica, non ha alcun bisogno;
- può essere elevata a postulato la congettura che valga un principio di relatività sia per i
fenomeni meccanici sia per quelli elettromagnetici.
Il programma indicato nell’introduzione di provvedere a rimuovere dalla fisica enti “metafisici” e
“superflui” è tradotto nello scritto di Einstein nella scelta di ricondurre i concetti fondamentali,
spazio e tempo in primis, alle loro definizioni operative, ovvero ai procedimenti operativi mediante
i quali una grandezza è misurabile. Ed è a questo problema che sono sostanzialmente dedicati i
primi due paragrafi della “Parte cinematica”.
Prima però di entrare nel merito dell’analisi di questi due paragrafi, soffermiamoci brevemente
sull’immagine di fisica di Einstein, così come emerge dall’introduzione della memoria.
Einstein e i suoi “pregiudizi metafisici”
Einstein, successivamente alla formulazione della relatività, scrisse:
“[…] se un ricercatore intraprendesse il proprio lavoro senza alcuna idea preconcetta, come
potrebbe selezionare quei fatti dal vasto mare dell’esperienza, e per di più, quelli abbastanza
semplici da far venire alla luce solo le connessioni legittime? Io stesso ho elaborato la relatività
partendo da pregiudizi metafisici.”
Quali sono i pregiudizi metafisici di cui parla, quelle idee preconcette sulla fisica che lo hanno
orientato nella sua ricerca?
Nel testo di P. Frank (“Einstein: his life and times”, 1947) sono indicati i seguenti aspetti che
contraddistinguerebbero la visione del mondo di Einstein (liberamente tratto da Herbert Spencer
Lecture, 1933):
• Fiducia nell’intima unità della natura e nella necessità di arrivare ad una teoria unificata
22
Fiducia nel principio di semplicità e di economia e fiducia nella simmetria delle leggi
fisiche.
• Fiducia nella spiegazione formale della realtà naturale attraverso la matematica;
• Fiducia nel principio di causalità.
Furono infatti in particolare unità, semplicità, causalità e razionalità che lo portarono a ritenere
come necessario liberare la fisica da inutili e superflue fantasticherie, da certe mostruosità
concettuali quali erano lo spazio e il tempo assoluti di Newton.
•
La parola “pregiudizio” ricorre spesso negli scritti di Einstein. Egli, infatti, si è sempre impegnato
affinché la scienza potesse contribuire alla liberazione del pensiero (e dell’umanità) da ogni forma
di autoritarismo e, nello specifico, da quelli che chiamava pregiudizi “autoritari”: quegli stereotipi,
credenze, superstizioni, “il non pensiero dei luoghi comuni” (Kundera) che imbrigliano il libero
pensiero. “E’ più facile distruggere un atomo di un pregiudizio”, ha detto in una frase divenuta
celebre.
Tuttavia, negli scritti di Einstein, quando parla di “pregiudizi metafisici”, la parola pregiudizio
assume un connotato positivo: essi assumono il significato di idee, vincoli sui quali appoggiarsi per
poter inventare e creare un mondo.
E’ con un significato analogo che Umberto Eco parla di “costruzioni necessarie per inventare
liberamente”:
“Il primo anno di lavoro del mio romanzo è stato dedicato alla costruzione del mondo. Lunghi
regesti di tutti i libri che si potevano trovare in una biblioteca medievale. Elenchi di nomi e schede
anagrafiche per molti personaggi, tanti dei quali poi sono stati esclusi dalla storia. […] E lunghe
indagini architettoniche, su foto e su piani nell’enciclopedia dell’architettura, per stabilire la pianta
dell’abbazia, le distanze, persino il numero degli scalini in una scala a chiocciola. Marco Ferreri una
volta mi ha detto che i miei dialoghi erano cinematografici perché duravano il tempo giusto. Per
forza, quando due dei miei personaggi parlavano andando dal refettorio al chiostro, io scrivevo con
la pianta sott’occhio, e quando erano arrivati smettevano di parlare.
Occorre crearsi delle costrizioni, per poter inventare liberamente. In poesia la costrizione può
essere data dal piede, dal verso, dalla rima, da quello che i contemporanei hanno chiamato il respiro
secondo l’orecchio… In narrativa la costrizione è data dal mondo sottostante.” (U. Eco, Postille a
“Il nome della rosa”)
Avvertenze didattiche
1. Affinché gli studenti possano cogliere appieno il ragionamento di Einstein (o capire almeno i
contenuti della scheda di approfondimento n. 1) è necessaria la conoscenza delle idee di base di
elettromagnetismo. Tuttavia, anche se si sceglie di trattare la relatività prima
dell’elettromagnetismo, è possibile analizzare in classe l’introduzione sottolineando
principalmente il valore “epistemologico” del programma di Einstein di rimuovere dalla fisica
le asimmetrie presenti nelle teorie e analizzare il problema della non consistenza tra la regola di
composizione delle velocità galileiana e l’insuperabilità della velocità della luce.
2. Come già discusso nel primo insegnamento del modulo di relatività (vedi scheda di
approfondimento n. 2), il ruolo svolto dal celebre esperimento di Michelson e Morley nella
nascita della relatività è stato – ed è ancora – oggetto di dibattito tra storici ed epistemologi della
fisica. Nonostante non ci sia affatto consenso su questo punto, ancora diversi libri di testo (si
veda, ad esempio, il Caforio-Ferilli, Nuova Physica 2000) presentano la relatività ristretta come
una necessaria e lineare conseguenza dell’esito dell’esperimento. In un contesto di classe,
l’analisi dell’esperimento potrebbe invece svolgere altri ruoli: per esempio, far riflettere gli
studenti sulla problematicità del processo di costruzione della fisica, aprire il problema delle sue
ri-costruzioni storiche, approfondire l’altrettanto dibattuto tema dell’esistenza di esperimenti
cosiddetti “cruciali”, con riferimento a Popper e così via.
33
Definizione di simultaneità
Molto più di quanto non venga fatto nei libri di testo, Einstein pone estrema attenzione alla
costruzione della definizione operativa del concetto di tempo e a tutti i passaggi necessari per dotare
ogni osservatore di un reticolo di orologi sincronizzati.
Tali passaggi prevedono le definizioni di “evento”, di “tempo di un evento”, di “simultaneità per
eventi che avvengono in luoghi differenti” (ovvero di sincronizzazione di orologi) e li ripercorriamo
qui di seguito perché, anche se pedanti, sono non banali e ad essi si possono ricondurre alcune
difficoltà note in letteratura di ricerca circa la comprensione degli effetti relativistici.
− Definizione di evento:
Un evento fisico è qualcosa che accade istantaneamente indipendentemente dal sistema di
riferimento che si può scegliere per descriverlo.
Es. Accensione di una lampadina, emissione o ricezione di un segnale luminoso o sonoro,
lancio di un oggetto, incontro tra oggetti, ecc.
Per essere localizzato nello spazio e nel tempo è necessaria la scelta di un particolare sistema di
riferimento.
Un evento è definito operativamente quando sono definite le operazioni di misura necessarie
per determinare posizione e istante di tempo in cui l’evento stesso accade. La definizione
operativa prevede l’utilizzo sia di un “regolo misuratore” sia di un orologio.
Avvertenze didattiche:
1. il concetto di evento sembra banale e, invece, riuscire a guardare ad un fenomeno fisico
scomponendolo in una “collezione” di eventi è un’operazione razionale da compiere
consapevolmente. Accade infatti molto spesso che si continui ad utilizzare il termine (il
concetto) evento negli stessi contesti e con gli stessi significati del termine (concetto)
fenomeno, così come solitamente si fa (in questo caso in modo lecito) nel linguaggio
comune. In relatività, tuttavia, continuare a pensare ad un evento come ad un “fenomeno che
ha una sua durata” può essere all’origine di profonde difficoltà nella comprensione di aspetti
e/o concetti cruciali, come gli effetti relativistici o la distinzione tra misure proprie e non
proprie di tempo e lunghezza (si veda il problema discusso a commento dell’esperimento
mentale dell’orologio a luce)
− Definizione di tempo di un evento:
Il tempo di un evento è ciò che “è misurato dall’orologio” collocato nella stessa posizione
dell’evento, dove per “essere misurato dall’orologio” si intende “avvenire simultaneamente con
un evento preso a riferimento”. Scrive Einstein: «Se per esempio, dico che “il treno arriva qui
alle 7 in un punto”, ciò significa, in pratica, che “il posizionamento della lancetta delle ore del
mio orologio sul 7 e l’arrivo del treno sono eventi simultanei”».
Come specificato nella memoria, dal momento che nessun segnale può viaggiare con velocità
infinita, la definizione del “tempo di un evento” non risolve completamente il problema di
definire operativamente il tempo. In particolare non risolve il problema di «correlare nel tempo
serie di eventi che avvengono in luoghi differenti, oppure – il che è lo stesso – determinare i
tempi di eventi che si verificano in luoghi distanti dall’orologio.».
(Infatti per stabilire se due eventi distanti spazialmente sono avvenuti simultaneamente o no
occorre tener conto del tempo impiegato da un segnale a percorrere la distanza che li separa.)
44
− Definizione di simultaneità per eventi che avvengono in luoghi differenti.
Due eventi distanti spazialmente sono simultanei quando gli orologi corrispondenti sono tra di
loro sincronizzati e registrano per essi lo stesso tempo.
A
B
Il problema della sincronizzazione di orologi distanti nello spazio. Come scrive
Einstein:
«Finora abbiamo definito solo un “tempo A” e un “tempo B”, ma non un “tempo”
comune per A e B. Quest’ultimo può essere determinato stabilendo, per definizione,
che il “tempo” necessario alla luce per propagarsi da A a B è uguale al tempo che
essa impiega per propagarsi da B a A. Supponiamo, cioè, che un raggio di luce che
parta da A, diretto verso B, al “tempo A”, tA, venga riflesso da B verso A al “tempo
B”, tB, e giunga di nuovo in A al “tempo A” t’A. Per definizione, i due orologi sono
sincronizzati se:
tB - tA = t’A – tB.»
Un modo operativo per sincronizzare due orologi distanti spazialmente può essere quello di far
partire un segnale luminoso dall’orologio in A verso quello in B. I due orologi saranno
sincronizzati se A porrà il suo orologio ad un tempo tA=0 contemporaneamente all’invio del
segnale e B metterà l’orologio ad un tempo tB=d/c (il tempo impiegato dal segnale a percorrere
la distanza che separa gli orologi) quando il segnale lo raggiungerà.
Un altro modo è quello di collocare ad ugual distanza dai due orologi un emettitore di segnali
luminosi. Gli orologi in A e in B dovranno accordarsi per segnare lo stesso tempo to quando
sono raggiunti da due segnali emessi contemporaneamente da C.
In qualunque modo si scelga di sincronizzazione due orologi distanti nello spazio si ha che
l’esistenza in natura di una velocità limite fa sì che per determinare la distanza temporale
tra due eventi distanti spazialmente è necessaria anche una misura della loro distanza
spaziale, essendo tale misura necessaria per sincronizzare gli orologi che si trovano nelle
posizioni in cui i due eventi accadono.
Fatti questi passaggi diventa possibile dotare ogni osservatore di un reticolo di orologi
sincronizzati grazie al quale definire operativamente il tempo di ogni evento e confrontare il tempo
di eventi anche distanti spazialmente.
55
Avvertenze didattiche
1. E’ importante arrivare alla costruzione del reticolo di orologi perché una difficoltà nota in
letteratura di ricerca è quella di confondere il concetto di sistema di riferimento con quello
di osservatore (Scherr et al.2001). E tale confusione può essere sorgente di difficoltà nella
comprensione degli effetti relativistici, in particolare nella relatività della simultaneità.
2. E’ importante far notare agli studenti che nella costruzione del reticolo di orologi le
proprietà considerate della luce sono la sua finitezza e la sua isotropia (il suo assumere lo
stesso valore in tutte le direzioni). Non si è mai, cioè, ancora preso in considerazione la sua
invarianza. Anche questo punto diventerà cruciale nella comprensione della relatività della
simultaneità, perché gli studenti possono non distinguere i diversi ruoli giocati in
particolare dalla finitezza e dalla costanza della velocità della luce.
Sulla relatività di lunghezze e tempi
Il questo paragrafo Einstein descrive il procedimento di costruzione della definizione operativa
della lunghezza e anticipa gli effetti relativistici che poi ricaverà formalmente, nel paragrafo
successivo, a partire dalle trasformazione di Lorentz. Anche nella definizione di lunghezza Einstein
è molto preciso e sottolinea la distinzione che occorre fare tra cosa significa definire (misurare) la
lunghezza di un oggetto fermo oppure la lunghezza di un oggetto in movimento. Infatti nei due casi
la lunghezza è definita rispettivamente mediante queste DUE diverse operazioni (a questo
proposito si veda l’animazione al link http://www.df.unibo.it/ddf/perc/STR/Animazioni_STR.htm):
a) Confronto diretto dell’asta con un regolo campione: operazione possibile SOLTANTO nel
sistema solidale all’asta (definizione di lunghezza di un oggetto fermo);
b) Registrazione, per mezzo di orologi collocati nel sistema in quiete e sincronizzati, delle
posizioni in cui si trovano le due estremità dell’asta da misurare in un determinato istante:
operazione necessaria SOLTANTO nel sistema in moto rispetto all’asta (definizione di
lunghezza di un oggetto in moto)
Anche nella definizione di lunghezza in moto, così come nel definire l’ordine temporale di due
eventi distanti spazialmente, emerge un aspetto importante: l’esistenza in natura di una velocità
limite fa sì che per determinare la lunghezza di un oggetto in movimento, oltre ad un regolo,
occorre un reticolo di orologi sincronizzati.
Oggi le due diverse definizioni di lunghezza sono indicate rispettivamente come “definizione di
lunghezza propria” e “definizione di lunghezza non propria”.
O
0
L0
A
S0: “treno”
B
O1
L
S1: “stazione”
1
66
Il punto della situazione.
Fin qui l’articolo si sviluppa con un’analisi puntale dei concetti di tempo e lunghezza al fine di
ricondurli alle loro definizioni operative. Sulla base di tale analisi è possibile dotare ciascun
osservatore di un reticolo di orologi sincronizzati, mediante il quale egli può anche valutare distanze
temporali di due eventi qualunque e misurare la lunghezza di un corpo in movimento.
I postulati della teoria non hanno ancora svolto alcun ruolo e gli unici vincoli considerati sono stati
l’impossibilità di avere in natura un segnale che si propagasse a velocità infinita e l’isotropia della
luce. Questi due vincoli sono comunque già sufficienti per mettere in evidenza che tempi e
lunghezze si intrecciano nelle loro definizioni: infatti, per misurare sia l’intervallo temporale tra due
eventi separati nello spazio, sia la lunghezza di oggetti in movimento è necessario utilizzare
contestualmente regoli e orologi.
I postulati e gli effetti relativistici
I concetti di spazio e tempo subiscono la loro più drastica modifica rispetto alla loro visione classica
alla luce dei postulati della teoria: i nuovi vincoli che permettono di confrontare leggi e risultati
della fisica ottenuti in diversi sistemi di riferimento inerziali. La formulazione originale dei
postulati è:
“ 1. Dati due sistemi di coordinate in moto relativo traslatorio parallelo e uniforme, le leggi
secondo cui si modificano gli stati di un sistema fisico non dipendono dal fatto che questi
cambiamenti vengano riferiti all’uno e all’altro dei due sistemi.
2. Nel sistema di coordinate “stazionario”, ogni raggio luminoso, non importa se emesso da
un corpo in quiete o in movimento, si muove con una velocità fissata V. Perciò
velocità =
percorso della luce
,
intervallo di tempo
dove “intervallo di tempo” è da intendere nel senso della definizione data nel paragrafo 1.”
I postulati permettono di confrontare misure di intervalli temporali e intervalli spaziali effettuate in
diversi sistemi di riferimento inerziali e di giungere alla conclusione che tali misure non
coincidono. Come effetti spazio-temporali dei due postulati si ha infatti che:
• l’intervallo di tempo tra due eventi che in un particolare sistema di riferimento (inerziale)
avvengono nella stessa posizione si dilata se misurato in un sistema di riferimento (inerziale)
in moto relativo rispetto al primo;
• la lunghezza di un’asta rigida si contrae se misurata in un sistema di riferimento (inerziale) in
moto relativo rispetto all’asta stessa.
Per derivare gli effetti relativistici l’articolo originale di Einstein segue una strada percorsa molto
spesso anche nell’insegnamento: l’introduzione delle trasformazioni di Lorentz come conseguenza
dei due postulati (oltre che dell’ipotesi di omogeneità del tempo e di isotropia dello spazio) e gli
effetti relativistici come applicazione delle trasformazioni. Questa strada ha l’inconveniente che i
passaggi formali possono mettere in ombra due punti piuttosto importanti per la comprensione della
teoria:
• il legame tra i postulati della teoria e gli effetti relativistici;
• il ruolo svolto dai procedimenti operativi scelti per definire tempo e lunghezza descritti da
Einstein nei primi due paragrafi nell’articolo.
Questi due punti possono invece essere messi ben in evidenza mediante l’utilizzo degli esperimenti
mentali introdotti da Einstein stesso nei suoi scritti successivi, in particolare in “Relatività:
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esposizione divulgativa” del 1916. Questa è la strada che percorreremo anche noi nel seguito anche
perché, oltre ad essere secondo noi più efficace didatticamente, ci permetterà di completare la
posizione di Einstein circa il contributo fornito dalla relatività ristretta al dibattito sui concetti di
spazio e tempo.
Avvertenza didattica
Un punto ampiamente dibattuto nell’ambito del problema dell’insegnamento della relatività ristretta
a livello di scuola secondaria riguarda l’opportunità o meno di affrontare le trasformazioni di
Lorentz e, nel caso, in quale modo introdurle. Come appena detto, è nostra opinione che le
trasformazioni di Lorentz non rappresentino la scelta più efficace per far discendere gli effetti
relativistici dai postulati della teoria. Tuttavia esse possono svolgere un ruolo fondamentale per dare
spessore e concretezza al concetto di “invariante”, altro concetto fondamentale per capire la
relatività e la fisica contemporanea in generale ma che risulta tutt’altro che banale per gli studenti.
In particolare, sperimentazioni effettuate (Bonazzi - Del Pennino) mostrano che gli studenti tendono
a pensare che invarianti possano essere soltanto “proprietà intrinseche di corpi o oggetti o
fenomeni”. Pertanto invarianti possono essere la velocità della luce, la lunghezza o il tempo propri,
la massa e così via. Non riescono invece a vedere come invariante una “relazione tra grandezze o tra
oggetti” e, di conseguenza, anche il primo postulato rischia di diventare una “ricettina” da imparare
e ripetere a memoria. Introdurre e far riflettere sul significato di relazione fisica e sulla sua
invarianza è invece fondamentale non solo per capire la relatività ma anche per entrare nel “gioco”
delle simmetrie che sta alla base di tutta la fisica contemporanea (per approfondire questo punto, si
veda, ad esempio Castellani, 2000; Castellani, 2001). Per questi motivi le trasformazioni di Lorentz
possono svolgere una funzione culturale di primissimo piano e, in coerenza con questa funzione, un
modo per introdurle potrebbe essere quello riportato nella scheda di approfondimento n. 3
(sperimentazione Fantini-Scorza).
GLI EFFETTI RELATIVISTICI: ANALISI DI ESPERIMENTI MENTALI DA UN PUNTO
DI VISTA DIDATTICO
LA RELATIVITA’ DELLA SIMULTANEITA’: L’esperimento mentale del “treno di
Einstein”
Come si è visto durante l’analisi del Taylor e Wheeler, la relatività della simultaneità è presentata e
discussa a partire dall’esperimento mentale rappresentato dalla figura seguente:
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Per evidenziare alcuni problemi noti in letteratura di ricerca circa la comprensione della relatività
della simultaneità e tornare sulla discussione già avviata nel precedente insegnamento, invitiamo a:
- risolvere i problemi riportati di seguito;
- riflettere sulle difficoltà che gli studenti possono incontrare;
- pensare a strategie didattiche efficaci per affrontare tali difficoltà.
RS1. Relatività della simultaneità e invarianza della velocità della luce.
La relatività della simultaneità è una diretta conseguenza dell’invarianza della velocità della luce.
Per mostrare questo, è possibile ri-analizzare le varie versioni del treno di Einstein in un ottica
classica, ovvero con l’ipotesi che la velocità della luce si componga seguendo la composizione
classica delle velocità. E’ possibile/ha senso utilizzare quegli esperimenti per dimostrare che
classicamente la simultaneità è assoluta?
RS2. Il problema del “tape-player” e del “paradosso” del treno, Scherr et al. (2002) [All.4]
Perché l’esperimento mentale del treno di Einstein è chiamato un “paradosso”? Come deve
procedere l’argomentazione per uscire dalla situazione “paradossale”? Queste due domande sono
molto ben trattate nell’articolo di Scherr et al., 2002 di cui consigliamo vivamente la lettura!
RS3. Il problema dei vulcani Scherr et al. (2001) [All.5].
In questo problema, eventi e moti avvengono lungo la stessa direzione, parallela al terreno. Effetti
di non inerzialità sulla superficie della Terra possono essere trascurati.
Il monte Reiner e il monte Hood, che distano 300km in un sistema di riferimento fermo rispetto a
loro, improvvisamente emettono un bagliore.
Un sismologo, che si trova fermo in un laboratorio esattamente a metà strada tra i due vulcani,
riceve i segnali luminosi dell’eruzione dei due vulcani nello stesso istante.
Un assistente del sismologo si trova fermo in un laboratorio collocato alla base del Mt. Reiner,
nell’istante stesso della sua eruzione.
Un’astronave molto veloce sta volando dal Mt. Reiner al Mt. Hood ad una velocità costante pari a
0,8c relativamente al terreno (γ=5/3). Nell’istante in cui il Mt. Reiner erutta, l’astronave si trova
sopra questo vulcano e, dunque, il pilota percepisce immediatamente il bagliore dell’eruzione.
Chiamiamo “Evento 1” l’eruzione di Mt. Reiner ed “Evento 2” l’eruzione di Mt. Hood.
Tutti gli osservatori sono in grado di osservare i fenomeni in modo scientificamente rigoroso e cioè
sono in grado di valutare il tempo di tutti gli eventi che avvengono nel loro sistema di riferimento.
In altre parole ancora, ciascun osservatore possiede orologi sincronizzati con tutti gli osservatori del
suo sistema di riferimento.
Dire se per ogni osservatore menzionato (sismologo, assistente del sismologo, pilota dell’astronave)
l’Evento 1 avviene prima, dopo o contemporaneamente all’Evento 2 e argomentare la risposta.
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LA DILATAZIONE DEL TEMPO: L’esperimento mentale dell’“orologio a luce”
L’orologio a luce è estremamente efficace per ricavare anche formalmente l’espressione per la
dilatazione dei tempi, tuttavia è da trattare con molta cautela se lo si utilizza per introdurre il
concetto di tempo proprio.
Riportiamo di seguito una breve presentazione dell’esperimento per ricordarne i passaggi chiave:
S
S
h
v
cΔt1
E
≡
R
cΔt0
Δt0= 2h/c
E
S0: “treno”
Δx1
R
S1: “stazione”
Assumendo l’invarianza dell’altezza dell’orologio, applicando Pitagora si trova:
cΔt1 =
c 2 !t 0 2 + !x12
da cui:
" =
1
1!
2
v2
c2
!t 0 = !t1 " !x 1
2
c 2 = Δt1/γ
e quindi:
Δt0 (tempo proprio) < Δt1 (tempo non proprio)
(dato che γ > 1)
Un problema che gli studenti tendono a sbagliare sul tempo proprio è il seguente (tratto dall’
Halliday, Resnick, Walker, Fondamenti di fisica, Zanichelli)
“Sei di fianco ai binari di una ferrovia e un treno ti passa davanti a velocità costante; dentro il
treno uno sperimentatore invia un impulso di luce laser dal fronte (punto A) verso il retro di un
10
vagone (punto B). Per lo sperimentatore la misura del tempo di percorrenza è un tempo proprio?
Motiva le risposte.
Problema:
Si consideri la seguente definizione: “La durata di un fenomeno, misurata in un sistema solidale con
esso, si chiama intervallo di tempo proprio del fenomeno” (Amaldi, “Fisica moderna” Zanichelli).?
Aiuta a risolvere il problema? Perché? [Un’analisi dei problemi incontrati da studenti nell’affrontare
questo problema è riportata in Levrini, diSessa, 2008 (All.6)]
DALLA DILATAZIONE DEI TEMPI ALL’ESPRESSIONE FORMALE DELLA
CONTRAZIONE DELLE LUNGHEZZE
(ancora il treno…)
Per completare il quadro e arrivare alla relazione formale della contrazione delle lunghezze
(utilizzando quella già trovata della dilatazione del tempo), riportiamo di seguito una situazione
nota, in cui il problema è di confrontare le misure della lunghezza di un asta posta sulla banchina di
una stazione effettuate dal sistema di riferimento della stazione stessa e dal sistema di un treno che
sta passando alla stazione con una velocità uniforme prossima a quella della luce.
Nel seguito indicheremo con Evento A “la coincidenza spaziale della fine del treno con l’estremo
sinistro dell’asta” e Evento B “la coincidenza della fine del treno con l’estremo destro dell’asta”.
L1 = v Δt1 = v (γ Δt0) = L0 γ
L1 (lunghezza propria) > L0 (lunghezza non propria)
ATTENZIONE AL SIGNIFICATO DEI VARI TERMINI:
11
L1 è la lunghezza dell’asta misurata da O1 con un regolo (misura di lunghezza propria);
Δt1 è l’intervallo tra gli eventi A e B misurato da O1 (tale intervallo coincide con l’intervallo di
tempo impiegato da O0 a percorre la distanza L1 (misura di tempo non proprio);
Δt0 è l’intervallo di tempo misurato da O0 tra gli eventi A e B coincidenti spazialmente (misura di
tempo proprio) e può essere ricavato formalmente da O1, applicando la relazione ‘nota’ Δt0 = Δt1/γ
(calcolo di un tempo proprio a partire da una misura di tempo non proprio);
L0 è la lunghezza dell’asta ricavata da O0 come quella lunghezza percorsa da un oggetto che si
muove con velocità v nell’intervallo misurato Δto (calcolo di lunghezza non propria) o,
eventualmente, misurata direttamente da O0 come la distanza tra i due eventi simultanei
corrispondenti al passaggio dell’inizio e della fine dell’asta (misura di lunghezza non propria)
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La prospettiva “operazionista”
L’operazionismo trovò una veste di precisa visione epistemologica negli anni ’20 in seguito al
lavoro di Bridgman. Tale posizione è caratterizzata dalla definizione che viene data di “concetto
fisico” come “gruppo di operazioni necessarie per misurarlo”:
“In generale, per concetto noi non intendiamo altro che un gruppo di operazioni […]. Se il
concetto è fisico, come nel caso della lunghezza, le operazioni sono effettivamente operazioni
fisiche, cioè quelle mediante cui si misura la lunghezza” (Bridgman , 1927)
Bridgman fu molto influenzato dagli scritti di Einstein sulla Relatività Ristretta, sia dalla memoria
originale del 1905, sia da passi come il seguente:
“Questo concetto [di “simultaneo”] non esiste per il fisico, finché non gli sia possibile scoprire se
esso sia o non sia soddisfatto in un caso reale. Ci è necessaria, quindi, una definizione di
simultaneità capace di fornirci i mezzi con i quali, nel caso concreto, si possa decidere mediante
l’esperienza se entrambi i segnali luminosi avvengono simultaneamente. Finché questa condizione
non è soddisfatta, io mi lascio ingannare, come fisico (e lo stesso vale anche se non sono un fisico),
se ritengo di poter attribuire un significato alla nozione di simultaneità.” (Einstein, 1916)
Secondo Bridgman il contributo fondamentale dato da Einstein con la formulazione della Relatività
Ristretta è innanzitutto metodologico e consiste nel fatto che:
“[...]riconobbe che il significato di un termine dev’essere cercato nelle operazioni che si
compiono quando si applica quel termine. Se il termine è tale da potersi applicare a situazioni
fisiche concrete, come il termine ‘lunghezza’ o ‘simultaneità’, allora il significato dev’essere
cercato nelle operazioni con le quali si determina la lunghezza di oggetti fisici concreti, o nelle
operazioni con le quali si stabilisce se due eventi fisici concreti sono o non sono simultanei.
[...] Einstein eseguì un’analisi delle operazioni fisiche che si usano per misurare le lunghezze e i
tempi più particolareggiata di quanto non fosse mai stato fatto prima. [...] Per esempio, l’analisi di
Einstein portò alla luce il fatto che, per misurare la lunghezza di oggetti in movimento, l’uso degli
orologi è altrettanto necessario di quello dei regoli rigidi [...]. Quando poi l’analisi di Einstein
portò a pensare che si potessero immaginare procedimenti diversi per misurare la lunghezza di un
oggetto in moto, [...] divenne possibile ammettere che la lunghezza di un oggetto in movimento può
non essere uguale alla sua lunghezza in stato di quiete.” (Bridgman, 1949).
L’operazionismo ricevette forti critiche sia dalla comunità dei fisici, sia da quella dei filosofi.
Secondo i fisici ritenere che i soli concetti considerabili “fisici” fossero quelli riconducibili alle loro
definizioni operative era molto limitativo. In particolare l’affermazione della meccanica quantistica
e l’accettazione di concetti come la funzione d’onda mettevano in seria difficoltà i criteri utilizzati
da Bridgman. Lo stesso Einstein, nella formulazione della Relatività Generale, non poteva più
muoversi con un approccio operazionista, tant’è che lo stesso Bridgman lo “accusò” di tradimento
(Bridgman, 1949).
Secondo i filosofi, invece la prospettiva non era altro che una forma ingenua ed estrema di
empirismo e, pertanto, criticabile negli stessi termini in cui l’empirismo prima e il neo-positivismo
poi furono criticati.
Nonostante le critiche, l’operazionismo si affermò come prospettiva didattica e rappresentò il
riferimento di quella tradizione di cui importante esponente è Resnick. Sul testo “Introduzione alla
Relatività Ristretta” si sono formate generazioni di studenti per la chiarezza e lucidità della
trattazione e in tale testo l’interpretazione proposta ed argomentata è la seguente:
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“La relatività dice semplicemente che gli intervalli di lunghezza e di tempo misurati fra due eventi
sono influenzati dal moto relativo degli eventi e del misuratore. La relatività è una teoria della
misura e il moto influenza le misure”. (Resnick, 1969)
Per Resnick, gli effetti relativistici, così come sosteneva Bridgman, derivano dal fatto che a seconda
del moto relativo degli eventi e dell’osservatore occorre utilizzare diversi procedimenti di misura
degli intervalli di lunghezza e di tempo. Più esplicitamente, intervalli propri di tempo o spazio non
coincidono con intervalli non propri, perché diverse sono le rispettive definizioni operative:
- misure proprie di tempo o di spazio sono PURE misure di tempo o di spazio (si misura un
intervallo temporale tra due eventi con un orologio e una lunghezza con un regolo);
- misure non proprie di intervalli spaziali e temporali sono misure IBRIDE
SPAZIOTEMPORALI per le quali regoli e orologi sono entrambi necessari (si misura una
distanza temporale tra due eventi usando due orologi distanti nello spazio, precendentemente
sincronizzato tenendo conto della loro distanza, e si misura una lunghezza di un oggetto in
moto valutando la distanza tra i due orologi che vedono simultaneamente l’inizio e la fine
dell’oggetto).
Essendo diverse le definizioni operative, come sostiene Bridgman, non deve stupire che misure di
intervalli spaziali o temporalei effettuate in diversi sistemi di riferimento non coincidano.
Einstein, nel corso della sua vita, modificò spesso la sua posizione epistemologica, soprattutto in
seguito alla formulazione della Relatività Generale e al dibattito sulla Meccanica Quantistica:
“Partendo da un empirismo scettico pressoché simile a quello di Mach, divenni, a causa del
problema della gravitazione, un credente razionalista, cioè, uno che cerca l’unica fonte attendibile di
verità nella semplicità matematica. Ciò che è logicamente semplice non è detto che sia,
naturalmente, fisicamente vero; ma ciò che è fisicamente vero è logicamente semplice, cioè, ha
l’unità come fondamento.” (Einstein, lettera a Lanczos, 1938, in Holton, 1983)
Tuttavia , si può dire che in relazione al dibattito sui concetti di spazio e tempo dichiarò fino alla
fine una forma di “antipatia” verso spazio e tempo assoluti. Inoltre, continuò a ritenere che il
contributo principale della Relatività Ristretta al dibattito fu quello di avere fatto discendere tali
concetti dall’Olimpo dell’a-priori per renderli servibili:
“[...] L’oggetto di ogni scienza [...] è di coordinare le nostre esperienze e dar loro una
sistemazione logica.
La sola giustificazione dei nostri concetti e dei sistemi di concetti sta nel fatto che essi servono a
rappresentare il complesso delle nostre esperienze; oltre a ciò essi non hanno nessuna legittimità.
Son convinto che i filosofi hanno avuto un’influenza dannosa sul progresso del pensiero
scientifico, trasportando certi concetti fondamentali dal dominio dell’empirismo, dove essi erano
sottoposti al nostro controllo, alle altezze intangibili dell’a-priori..
Ciò è particolarmente vero per i nostri concetti di tempo e di spazio, che i fisici sono stati obbligati
dai fatti a far discendere dall’Olimpo dell’a-priori per adattarli e renderli servibili.” (Einstein,
1922).
Nel 1952, in nota alla V edizione di “Relatività: esposizione divulgativa”, prende ancora posizione
esplicita contro uno spazio vuoto, sostanziale, quella “mostruosità concettuale” che, da allievo di
Mach, non ha mai potuto accettare:
“[...] lo spazio-tempo non è di necessità qualcosa a cui si possa ascrivere un’esistenza separata,
indipendentemente dagli oggetti effettivi del mondo reale. Gli oggetti fisici non sono ‘nello spazio’,
bensì ‘spazialmente estesi’. In tal modo il concetto di ‘spazio vuoto’ perde il suo significato”
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“Non esiste un qualcosa come uno spazio vuoto, ossia uno spazio senza campo. Lo spaziotempo
non pretende di avere un’esistenza per proprio conto, ma soltanto una qualità strutturale del
campo”.
Gli argomenti utilizzati da Einstein CONTRO i concetti di spazio e tempo assoluti
L’analisi condotta permette di affermare che Einstein prese posizione contro spazio e tempo assoluti
in tutte e tre le accezioni che si possono trovare. Nella tabella che seguente, sono riportati in sintesi
gli argomenti utilizzati.
Significati di ‘spazio e tempo assoluti’
Contenitori “sciolti” (esistenti
indipendentemente dall’esistenza dei
fenomeni, sostanziali e immutabili)
Argomenti
filosofici:
spazio e tempo come coordinate da
determinare operativamente mediante
l’utilizzo di regoli e orologi
(“relazionismo-operazionismo”)
Riferimenti privilegiati (dotati di proprietà
particolari)
filosofici:
“criteri di semplicità e coerenza” in
accordo coi quali l’etere luminifero e la
quiete assoluta sono concetti “superflui”
(“principio di economia”)
fisici:
principio di relatività esteso all’
elettromagnetismo
Distanze spaziali e temporali invarianti (non
dipendenti dallo stato di moto relativo) tra
oggetti o tra eventi
fisici:
effetti relativistici di contrazione delle
lunghezze e dilatazione del tempo
Nella scheda relativa alla visione di Minkowski si vedrà che, mettendo l’accento su aspetti diversi
della teoria, è possibile interpretare la Relatività Ristretta come un vero e proprio trionfo
dell’assoluto.
Un’analisi della memoria originale di Minkowski, infatti, permetterà di ri-costruire
l’interpretazione secondo la quale il contributo della Relatività Ristretta non è stato quello di aver
rimosso dalla Fisica spazio e tempo assoluti (facendoli discendere dall’Olimpo dell’a-priori), bensì
quello di avere unificato i due contenitori di Newton (uno spaziale e uno temporale) in un unico
contenitore spazio-temporale, ma tanto assoluto quanto lo erano quelli newtoniani.
Dalla memoria originale ai libri di testo di scuola secondaria superiore
Come si diceva all’inizio, la differenza più marcata tra i libri di testo e l’articolo del 1905 è
l’evidenza di un processo di “de-personalizzazione” che la presentazione didattica della teoria ha
subìto.
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Un esempio particolarmente emblematico del risultato del processo di sintesi subito dalla
conoscenza è la frase d’apertura del capitolo sulla relatività del libro di testo “Fondamenti di fisica”
di Halliday, Resnick, Walker, in cui viene riportato il significato della teoria:
“La relatività ha a che fare con misurazioni di eventi: dove e quando accadono e quanto distano tra
di loro due eventi nello spazio e nel tempo. Inoltre la relatività tratta di come trasformare queste e
altre misure in altri sistemi di riferimento in moto relativo (da cui il nome relatività)”i.
Questa frase rappresenta il “condensato oggettivo” della linea interpretativa operazionista che si è
implicitamente scelto e che è stata ricostruita nell’analisi precedente. Evidenze come queste
pongono, a nostro parere, un problema culturale e didattico interessante. Il passaggio dalle memorie
originali ai libri di testo è infatti un passaggio nel quale si operano scelte decisive circa l’immagine
di fisica che si intende trasmettere.
Del resto Kuhn stesso, che modificò in modo così determinante l’immagine della fisica, apre “La
struttura delle rivoluzioni scientifiche” criticando l’identificazione della scienza con la scienza dei
manuali:
“La storia, se fosse considerata come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia,
potrebbe produrre una trasformazione decisiva dell’immagine della scienza dalla quale siamo
dominati. Fino ad oggi questa immagine è stata ricavata, anche dagli stessi scienziati,
principalmente dallo studio dei risultati scientifici definitivi quali essi si trovano registrati nei
classici della scienza e più recentemente nei manuali scientifici, dai quali ogni nuova generazione di
scienziati impara la pratica del proprio mestiere. E’ però inevitabile che i libri di tal genere abbiano
uno scopo persuasivo e pedagogico: una concezione della scienza ricavata da essi non è
verosimilmente più adeguata a rappresentare l’attività che li ha prodotti di quanto non lo sia
l’immagine della cultura di una nazione ricavato da un opuscolo turistico o da una grammatica della
lingua.”ii
Nel passaggio dalla memoria originale alla scienza dei manuali la retorica si trasforma
profondamente: da dialettica e “conflittuale”, tipica di ogni conoscenza che si sta costruendo, alla
ben più semplice retorica dell’informazione. E’ attraverso tale passaggio che si completa, secondo
Sutton, quel processo di oggettivazione tipico della conoscenza scientifica, mediante il quale una
tesi si trasforma in fatto talmente accettato dalla comunità da essere tramandato alle nuove
generazioni di scienziati; spariscono gli argomenti opportunamente scelti come i più convincenti per
sostenere la tesi nella sua fase di vaglio e il linguaggio da “metaforico”, congetturale diventa
letterale, denotativoiii.
Dunque, se è vero che il processo di de-personalizzazione che si osserva nel passaggio dalle
memorie originali ai manuali svolge quella funzione connaturata alla fisica di oggettivare sempre
più la conoscenza, è altrettanto vero che a tale processo si possono attribuire, se non altro dal punto
di vista didattico, diversi significati.
In particolare, tale processo può essere analizzato in classe nelle sue peculiari connotazioni
epistemologiche o sociologiche, evidenziando la drammaticità – ma anche il fascino – che ogni
costruzione di conoscenza ha in quanto avventura conoscitiva, “dialogo col mistero del mondo”iv;
oppure, lo stesso processo può essere soltanto lasciato intravedere per mostrare la potenza di una
scienza che, liberandosi da ogni elemento di soggettività, riesce a svelare i segreti ultimi e oggettivi
della natura. Nel primo caso il processo è considerato parte integrante della conoscenza che si vuole
tramandare; nel secondo caso il processo è visto come una fase transitoria che porta al vero nocciolo
della conoscenza: i “puri” risultati.
Secondo Holton, questa seconda posizione può rispecchiare non soltanto la scelta epistemologica di
considerare ogni forma di soggettività estranea alla vera essenza della fisica, ma essere anche il
frutto di una precisa scelta di politica culturale. In particolare, lo storico della fisica, in un passaggio
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che abbiamo già incontrato a proposito del ruolo dell’esperimento di Michelson e Morley, sostiene
che tale scelta è leggibile come espressione di una funzione normativa moralizzatrice attribuita
all’educazione scientifica:
“[...] nei manuali si parla poco dei drammatici conflitti che a volte sono richiesti per la graduale
accettazione di una nuova teoria. Questa mancanza si adatta bene con una funzione moralizzatrice
dei manuali – minimizzare il coinvolgimento e lo sforzo dello scienziato nel compimento del suo
lavoro scientifico – in modo da abituare lo studente a ciò che l’autore del manuale solitamente, e
forse in modo inconsapevole, ritiene essere le norme pubblicamente accettate del comportamento
professionale.”v
E’ dagli anni ’80 ormai che entro la ricerca in Didattica e Storia della fisica si è diffusa la
consapevolezza dell’importanza culturale della storia affinché “la didattica sia basata sui processi di
ricerca più che sui meri risultati della scienza, sui dibattiti scientifici più che su un indottrinamento
dogmatico”vi..
Alcune riflessioni conclusive
Così come l’Halliday, Resnick, Walker, la maggior parte dei libri di testo di scuola secondaria
superiore tratta la relatività seguendo una tradizione didattica che ha all’origine una scelta
interpretativa di tipo “operazionista”.
Si potrebbe pensare che il processo di de-personalizzazione e di sintesi che la trattazione ha subito
sia motivato dal voler “neutralizzare” il più possibile la scelta e metterla così al riparo dalle critiche.
Di fatto, però, la sola scelta del linguaggio algebrico o quella degli esperimenti mentali dei treni di
Einstein o quella di porre più l’accento sugli effetti relativistici che sulle proprietà di invarianza fa
riecheggiare un mondo e una visione di fisica precisa non immune dalle critiche di chi non ne
condivide i presupposti.
D’altra parte, rendere espliciti i presupposti non significa necessariamente condividerli ma può
anche voler dire semplicemente capirli, saperli storicizzare, saperne valutare le implicazioni e,
anche, ritrovare i termini per un confronto con altre possibili interpretazioni, come quella
“geometrica” di Taylor e Wheelervii e da Fabriviii, caratterizzate dalla scelta di introdurre fin da
subito un linguaggio spazio-temporale, grazie al quale le proprietà di invarianza della teoria
acquistano un ruolo predominante rispetto agli effetti relativistici e l’apertura verso la relatività
generale risulta decisamente agevolata. Ma di questo sarebbe interessante discutere.
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17
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v
Holton G., L'immaginazione scientifica, Einaudi, Torino, 1983, cit. p. 191. Corsivo aggiunto.
vi
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vii
Taylor E. F. e Wheeler J. A., 1992, op. cit.
viii
Fabri E., “Insegnare relatività nel XX secolo”, Lezioni alla Scuola Estiva Estiva A.I.F., 2001
(ftp://osiris.df.unipi.it/pub/sagredo/aq.relat/).
ii
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