RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
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RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
CONVEGNO
A FIRENZE
«N
oi abbiamo avviato una sinergia di specialisti, di tecnici, come avviene in molte
aziende. Io non sono un
competente delle vostre
materie. Ho studi letterari, con conoscenze di linguistica e specializzazioni nell’ambito editoriale.
Per questo è preziosa l’opera dei tecnici, ai quali
abbiamo delegato il compito di approfondire i rapporti con l’Università di
Firenze, nella persona del
professor Clemente, preside della Facoltà di Lettere, di organizzare convegni e seminari di studio,
di potenziare sempre più
l’incisiva presenza della
“Rivista degli Stenografi”, come veicolo e palestra di tutti gli studiosi
italiani».
C
on queste parole, il dottor Marco Morganti ha salutato
e dato il via ai lavori
dell’Assemblea cong iunta della Federazione Stenografica
Italiana «GabelsbergerNoe» e dell’Associazione Stenografica Magistrale Italiana «Gabelsberger-Noe», svoltasi a Firenze, presso la
Fondazione Giulietti, il
25 febbraio u.s.
Erano presenti: il prof.
DELLA
FEDERAZIONE
E
DELL’A.S.M.I.
Angelo Quitadamo, presidente della Federazione; il prof. Paolo A. Paganini, presidente della
Magistrale; la prof. Mariavittoria Nicodemi, direttrice dell’Istituto di
Magistero Stenografi-
Il saluto del dottor Marco Morganti, Presidente della
Fondazione Giulietti e Direttore responsabile della «Rivista
degli Stenografi»
co di Milano; lo storico
della stenografia Attilio
Ottanelli; la prof. Vittoria Bolognesi, presidente
della Società Stenografica di Bologna; la prof.
Elisa Castellano Polo, responsabile della Unione Stenografica di Trieste; Nerio Neri, direttore
tecnico della «Rivista
degli Stenografi» e consigliere della Fondazione Giulietti; Eleonora
Pagano, membro del
collegio dei Sindaci della Magistrale; il dottor
Ferdinando Fabi, invitato dalla Federazione, in
rappresentanza dell’Unione Stenografica Italiana - Sistema Cima.
Hanno dato la loro
adesione Pierina Fabris,
Giovanni Bodini, Giuseppe Capezzuoli, Giuseppe
Piccotti, Emilio Catanese,
assenti giustificati.
H
a preso per primo la parola
Paolo A. Paganini, che
ha spiegato ed esaminato la paralisi, per
problemi «procedurali», in cui s’è dibattuta
l’Associazione Stenografica Magistrale dal
Congresso di Trieste
del ‘91 ad oggi. L’annullamento delle votazioni e delle cariche sociali, per vizi formali,
delle elezioni svoltesi
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zante iniziativa organizzativa, s’è detta scettica
sulla risposta degli insegnanti, i quali «andrebbero risvegliati dalla demoralizzata depressione, alla quale sono stati
condannati dall’incuria
dello Stato».
Mariavittoria Nicodemi propone di unire Fe-
nel ’91; l’impossibilità
di convocare una nuova
assemblea, per la mancata adesione dei Soci;
la decadenza naturale
delle cariche sociali, per
la morosità degli iscritti, hanno limitato e
compromesso la vita
della Mag istrale. Per
renderla, ora, statutariamente funzionante,
il prof. Paganini ha
quindi spiegato come
sia necessario rimuovere la vincolante pregiudiziale formale dei soci
morosi. Ha proposto di
fissare in Lire 10.000 la
sanatoria degli anni precedenti, più Lire 10.000
per l’anno sociale in
corso.
La proposta è stata accettata all’unanimità.
Seguirà pertanto una
lettera informativa a
tutti i Soci, dopo di che
verrà indetta, in tempi
brevi, una Assemblea
per provvedere al rinnovo delle cariche sociali.
Elisa Castellano Polo,
nel sottolineare le inenarrabili difficoltà, anche economiche, nelle
quali si dibatte la storica
Unione Triestina, ha
portato la propria testimonianza di fede e di
passione nei confronti
di una materia, erroneamente considerata
superata. «Dalla scuola
di giornalismo della Facoltà di Magistero fino
Vittoria Bolognesi, pur
plaudendo alla rivitaliz-
all’Università della Terza Età ho trovato a
derazione e Magistrale
in un’unica istituzione,
per conferire maggiore
incisività all’opera di recupero, di organizzazione e di rilancio delle
forze stenografiche.
Trieste consensi, simpatia e adesioni per organizzare dei corsi».
Angelo Quitadamo
stigmatizza la tendenza
di addossare alle istituzioni delle responsabilità, che sono invece attribuibili ai singoli.
«Certamente, dal ‘74,
c’è stato un deteriora-
mento della preparazione culturale e professionale dei docenti, da
quando cioè sono stati
istituiti i corsi abilitanti.
Da parte degli insegnanti c’è stata una caduta di ideali, che rispecchia la confusione
della situazione nazionale. Non sappiamo
come orientarci, siamo
privi di punti di riferimento, siamo demotivati. Ma noi siamo qua.
Ancora crediamo. E se
dobbiamo morire, moriremo in piedi! A Napoli, ho una sede con
due sfratti giudiziari. Ci
battiamo per non disperdere quello che abbiamo costruito in tanti
anni. A Roma è la stessa
cosa. Gli eredi di Maria
Ponti hanno contestato
il nostro diritto alla
sede che la nostra Amica aveva manifestato di
volerci lasciare. Poi, in
una situazione generale
obiettivamente difficile
– aumentano i bisogni,
il lavoro è diminuito –
c’è da considerare che
passano gli anni, i ricambi non ci sono, il virus dello scetticismo ha
contagiato molti di noi,
la concorrenza sbagliata e con esiti fallimentari di cooperative di stenotipisti, il mito illusorio della stenotipia con
traduzione in tempo
reale, le commissioni
dello Stato occupate da
profani: ebbene, tutto
ciò ha portato al deterioramento della qualità».
Ferdinando Fabi, che
riconosce, finalmente,
nella Fondazione Giulietti, la sede idonea
«per parlare di Stenografia, per fare il punto
della situazione, per vedere quello che possiamo fare», lamenta che
anche per il Sistema
Cima la situazione è
drammatica, tanto da
dover forse sospendere
la pubblicazione del
«Corriere Stenografico». La Stenografia è
prog ressivamente
espulsa dalle scuole. Si
domanda perché tutto
questo. C’è una situazione oggettiva, ma ciò
dipende anche da errori
degli stenografi. «Ci siamo cullati fra gli allori
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del passato, senza prendere atto della realtà.
Le scuole private hanno
continuato a sfornare
allievi dopo corsi di tre
mesi, promettendo,
fraudolentemente, il
conseguimento delle 90
parole. La scuola pubblica è stata spesso affidata ad insegnanti non
preparati. Molti settori
occupazionali sono venuti meno; il fax ha sostituito il lavoro dei dimafonisti. Poi, ci sono
state le vicende del Codice di Procedura Penale. Se da una parte finiva il lavoro nei giornali,
dall’altra parte si poteva
aprire un settore importante come sbocco lavorativo. È stata un’occasione mancata. Ma
nessuno ha avvertito il
pericolo che questo
spazio sarebbe potuto
essere occupato dai
produttori di macchine
per stenografare. Giandomenico Pisapia (il
più famoso avvocato
penalista italiano, padre
del nuovo codice di procedura penale, deceduto a 80 anni il 25 febbraio scorso - n.d.R.)
aveva previsto la verbalizzazione del processo
penale attraverso la Stenotipia. Ma perché?
Probabilmente perché,
nel delicato periodo di
preparazione del nuovo
codice, alcuni produttori di macchine possono
aver convinto il Ministero che il futuro della
stenografia sarebbe stato nella Stenotipia. Il legislatore però deve aver
avuto un dubbio, tanto che a pag. 51, com-
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Camera dei Deputati
N. 1821
PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati Sitra - Brunale - Bova - Oliverio - Olivo - Vannoni Stampa - Lombardo - Stanisci - Rotundo - Acquarone
Modifica all’articolo 134 del codice di procedura penale,
in materia di documentazione degli atti
Presentata il 22 dicembre 1994
Onorevoli Colleghi! - La stenografia, vale a dire la scrittura fondata sull’uso di segni abbreviati della parola e della frase, atti a fissare il pensiero a velocità oratoria o
comunque superiore a quella consentita dalla grafia ordinaria, venne inventata ed
utilizzata in forma organica per la prima volta circa duemila anni fa dal liberto di Cicerone, Tirone, per la registrazione dei discorsi del grande oratore romano.
La storia, le vicende e la diffusione di questa disciplina hanno contraddistinto e seguito in maniera parallela l’evolversi della civiltà, tanto da meritare più citazioni nella
Divina Commedia, fra le quali è sufficiente ricordare la seguente: «la sua scrittura
fien lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco».
La stenografia, a distanza di tanti secoli, resta ancora oggi, se correttamente applicata, il mezzo più pratico per fissare il pensiero e successivamente trascriverlo rapidamente in caratteri ordinari.
Sembra, tuttavia, che tale disciplina oggi sia in decadenza, innanzitutto perché la
scuola non sempre consegue il risultato di insegnarla in modo completo ed efficace,
affinché lo studente la adotti per gli usi quotidiani e quelli professionali, traendo immediati profitti. In queste condizioni dopo un insegnamento frammentario, perché
impartito per due ore settimanali in prima e seconda classe degli istituti tecnici e per
qualche ora in più negli istituti professionali, essa viene accantonata e presto dimenticata, come accadrebbe anche per la scrittura ordinaria, se qualcuno non l’adoperasse
più per qualche anno. Anzi, la scuola sta restringendo sempre più, attraverso sperimentazioni sempre più estese, lo spazio che viene dedicato a tale materia.
In secondo luogo gli utenti, nell’impossibilità di reperire sul mercato stenografi
professionali o commerciali validi, preferiscono utilizzare gli strumenti che la tecnologia moderna offre, quali i registratori od i dittafoni, con le conseguenti difficoltà
tecniche e con la necessità di procedere alla cosiddetta «sbobinatura», che offre un testo «bruto», da sottoporre necessariamente a successive correzioni e limature.
La stenografia invece, qualora sia impiegata da persona in grado di tradurre il
pensiero fissato sulla carta con precisione e senza incertezze, rappresenta il mezzo
più pratico e sicuro in caso di dettatura e trascrizione di corrispondenze o di relazioni, nonché di verbalizzazione di assemblee o di dibattiti (congressi, consigli di amministrazione, assemblee elettive, lezioni universitarie, interrogatori nell’ambito del
processo penale, eccetera), in sostanza, in qualsiasi occasione in cui il pensiero venga
espresso attraverso la parola.
Nonostante ciò tale disciplina è stata ingiustamente penalizzata nella redazione
del codice di procedura penale, il cui articolo n. 134 va modificato.
È opportuno, infatti, riconsiderare la potenzialità di questa materia al fine di assicurare nella maniera più semplice e meno costosa la verbalizzazione del processo penale, che potrebbe essere attuata attraverso la stenoscrizione e, data la peculiarità e la
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delicatezza di tale verbalizzazione, la contemporanea registrazione magnetica. Quest’ultima potrebbe essere attivata dallo stenografo, che potrebbe essere chiamato a
custodire per il tempo necessario le bobine, al fine di evitare possibili contestazioni e
ricorsi.
Una verbalizzazione siffatta è attuata da decenni in Commissioni parlamentari
aventi funzioni giurisdizionali ed è stata positivamente sperimentata in lunghi anni di
attività inquisitoria ed istruttoria di tali Commissioni, svolta in qualche caso anche all’estero.
Va ripristinata, pertanto, la parità della stenografia e della stenotipia ai fini di tale
verbalizzazione, come avviene nella comune pratica professionale, parlamentare e
non.
Nel dibattito attuale fra gli operatori del settore la stenotipia, infatti, viene considerata alla stregua di un sistema stenografico, con pregi e difetti che non giustificano
allo stato attuale la prevalenza di un sistema sull’altro, poiché l’elemento determinante è in ogni caso la predisposizione anche culturale dell’operatore. La stenografia
è sicuramente penalizzata da un aspetto, che dovrebbe invece costituirne il punto di
forza: non presuppone l’acquisto di una macchina costosa, pur consentendo di ottenere gli stessi risultati nello stesso periodo di tempo.
È evidente che la creazione di sbocchi professionali determinerebbe una inversione di tendenza ed una modificazione degli indirizzi scolastici, che dovrebbero adeguarsi alla nuova realtà.
Attraverso la presente proposta di legge si propone, pertanto, di ristabilire la pari
dignità, esistente nella comune pratica professionale e nella pubblicistica del settore,
fra la stenografia e la stenotipia.
Tale modifica non comporta aumento nei costi, anzi, introduce una ulteriore tecnica di documentazione del processo che non richiede l’acquisto di nuove attrezzature o l’introduzione di nuove strutture, poiché tutte le sezioni dei tribunali sono già
dotate di impianti di registrazione, amplificazione e registrazione fonografica. Ciò
consentirebbe di attuare finalmente l’articolo 134 del nuovo codice di procedura penale che, a distanza di anni dall’entrata in vigore, è rimasto in larga parte inapplicato,
ampliando la gamma di possibilità offerte ai tribunali per assicurare la verbalizzazione del processo penale in maniera celere e soddisfacente e consentendo di fare ricorso a personale già reperibile sul mercato del lavoro, a differenza di quanto avveniva
durante la vigenza del vecchio codice di procedura penale, quando gli stenografi professionisti prediligevano la carriera giornalistica o quella di stenografo parlamentare.
Del resto, personale specializzato può essere rapidamente formato dalle scuole
pubbliche e private, attraverso una preparazione specifica dei diplomati che abbiano
seguito un corso di studi comprendente questa disciplina e può essere facilmente reperito fra coloro i quali si sono preparati per molti anni per conseguire l’abilitazione
all’insegnamento della stenografia.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. I commi 2 e 3 dell’articolo 134 del codice di procedura penale sono sostituiti dai seguenti:
«2. Il verbale è redatto, in forma integrale o riassuntiva, con la stenografia
o la stenotipia ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a detti mezzi, con la
scrittura manuale ordinaria.
3. È di norma effettuata anche la riproduzione fonografica».
ma 2, nel porre le regole per la redazione del
verbale con il mezzo
della Stenotipia, aggiunge che «questa previsione deve ritenersi
comprensiva del possibile uso della stenografia, dato che la Stenotipia può considerarsi
una stenografia a macchina». Poi, dice anche
che il Ministero avrebbe
dovuto fissare le disposizioni di attuazione.
Ma ciò non è mai avvenuto. Nel nuovo codice
è dunque indicata chiaramente la Stenotipia,
anche se, in ruolo subordinato, appare la parola Stenografia, quando invece se fosse stata
indicato solo il termine
«stenografia», questo
sarebbe stato comprensivo sia di stenografia a
macchina, sia di stenografia a mano. Ora, che
cosa possiamo fare? La
battaglia è ancora aperta. Bisogna risalire la
china. Bisogna che le
nostre Associazioni non
siano composte da nostalgici del passato. La
Stenograf ia è ancora
competitiva, se insegnata bene. Bisogna quindi
dare una interpretazione autentica alle norme
del codice di procedura
penale, per dare la possibilità di lavorare a chi
sa stenog rafare. Nel
frattempo si potrebbero
anche formare delle
cooperative a cercare di
entrare nei tribunali,
accettando l’umile lavoro della sbobinatura, da
usare come cavallo di
Troia, per poi passare
alla registrazione e alla
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stenografia. E, infine,
far conoscere questo
nostro mondo a chi ne
è ignaro.
Nel convegno USICIMA, organizzato a
Crotone nel settembre
dell’anno scorso, erano
presenti anche alcuni
politici, che si sono entusiasmati, tanto che
l’onorevole Sitra ha firmato, con altri deputati, una proposta di legge
per la modifica dell’articolo 134 del codice di
procedura penale in
materia di documentazione degli atti (vedere,
a parte, il testo integrale della proposta di legge - n.d.R.).
Un’ultima cosa. Ora, la
video-registrazione è
presentata come il top,
la soluzione di tutti i
problemi... Ammesso
che funzioni, per un
impianto di video-registrazione occorrono
milioni che, moltiplicati
con tutte le varie sezioni, porterebbero a cifre
di miliardi, più l’acquisto delle cassette, più i
tecnici, più i trascrittori. Orbene, con la cronica carenza di fondi della
Giustizia, ha senso tutto ciò, quando sono sufficienti gli stenografi
con le loro semplici matite?...».
Ferdinando Fabi ha
quindi concluso il proprio intervento con un
pensiero che ci accomuna e che tutti condividiamo: «Sono convinto che la Stenografia è
tuttora valida, e sempre
lo sarà. Vedere una cosa
amata trattata così, è
un grande dolore. La
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
Attilio Ottanelli e Eleonora Pagano, durante il convegno di Firenze.
stenografia è stata ed è
un amore corrisposto,
che non mi ha mai tradito. Ha dato pane, e
companatico, a tutti
noi. E anche in un momento difficile, come
questo, continua a dare
moltissimo...».
Non basta per risolleva-
re tanti colleghi dalla
demoralizzata depressione in cui sono caduti?
P.A.P.
L’intervento di Ferdinando Fabi (in secondo piano: Nerio Neri e Mariavittoria Nicodemi).
a11
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
P
roprio il 30 gennaio,
mentre avevo notizia della chiusura del
giornale del pomeriggio «La Notte», fondato il 6 dicembre del
1952 da Nino Nutrizio,
mi capitava fra le mani,
spostando dei libri, la
«pizza» su cui, venticinque anni fa, l’amico
Andrea Musi aveva
fatto registrare la cerimonia tenuta domenica 11 ottobre 1970
nella Sala del Grechetto, a Milano, in
occasione dei cinquant’anni della fondazione dell’Unione
Stenog raf ica Lombarda «Andrea Marchiori».
Ne parlai con Paganini,
anche perché non avrei
saputo come riascoltare la «pizza», registrata
su nastri ormai da tempo fuori commercio, e,
nel comune ricordo di
quella cerimonia in cui
Nino Nutrizio svolse il
compito di oratore ufficiale, convenimmo sull’opportunità di «recuperare» almeno il testo
di quel discorso.
Grazie alle conoscenze
di Paganini e all’opera
tecnica di Maurizio
Pini, abbiamo potuto
risentire le parole di
Nutrizio e abbiamo
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IL GIORNALE
‘LA NOTTE’
DI MILANO
HA CHIUSO
Rendiamo omaggio al “mitico” fondatore e
direttore, Nino Nutrizio, riportando un suo
intervento stenografico di venticinque anni fa
di Giuseppe Capezzuoli
ritenuto di renderle
pubbliche attraverso la
nostra Rivista, perché
raramente si sono
potuti leggere giudizi
così giustamente positivi sulla stenografia,
sul suo valore educativo e culturale, sulla
fatica che richiede il
suo apprendimento,
ma anche sulle soddisfazioni personali che
se ne possono trarre e i
vantaggi che ne possono derivare.
Ma ci è parso anche
doveroso – proprio
mentre la sua creatura
scompare dalla scena
dei quotidiani milanesi
– rendere omaggio alla
Nino Nutrizio (1911-1988) al suo tavolo di lavoro.
dirittura morale e alla
tenacia di Nino Nutrizio, che tante innovazioni ha portato nel
panorama dell’editoria
quotidiana in Italia.
Ed ecco il testo del discorso.
S
ignor presidente,
signore e signori,
la ringrazio per l’onore
che lei m’ha fatto di invitarmi a celebrare il cinquantesimo anniversario
dell’Unione Stenografica
Lombarda «Andrea Marchiori». Debbo però dirle
che sarò contento soltanto
a cose fatte, a discorso
pronunciato, perché è la
prima volta nella mia
vita che tengo un discorso
ufficiale. Quindi è come
se avessi, non so, 15-16
anni, come fossi al mio
debutto. Sono un nemico
della retorica. Per me, è
come un palloncino colorato. Appena ne vedo
uno, zac, con uno spillo
vado a pungerlo per vedere cosa c’è dentro: aria
fritta. Ora, non potrei
fare un discorso retorico
perché sarebbe triste poi,
alla fine, vederlo cosparso
di vescichette vuote, prive
d’aria. E quindi mi sono
trovato in grosse diff icoltà. Tra l’altro mi
preoccupa estremamente
il fatto che ci siano, alla
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mia destra – ho fatto
finta di non vederli – stenograf i che raccolgono
quello che dirò e grazie ai
quali si dimostrerà poi,
cartelle alla mano: già, lo
sapevamo che non sa scrivere, ma è dimostrato
anche che non sa parlare.
E questo non è simpatico
per un vecchio giornalista
che dirige da diciotto anni
un giornale, non autorevole, ma abbastanza diffuso e popolare. Tre anni
fa, un mio illustre collega,
Enrico Mattei, allora
direttore de «La Nazione», chiamato a celebrare il 91° anniversario
dell’Istituto Stenografico
Toscano, si schermì: «Non
sono degno di parlare
davanti a voi», perché,
confessò, era uno stenografo mancato, cioè aveva
cominciato come stenografo ed era finito come
giornalista.
I
o ho accettato, immodestamente, di parlare, perché ho iniziato
come giornalista e poi mi
sono reso conto che era
fondamentale, per la mia
professione, integrarla
con la stenograf ia. Vi
parlo nella veste che abitualmente è quella dei
ministri – ed io non lo
sono –: i ministri normalmente, quando arrivano
in un consesso, sono quelli
che, per ragioni politiche o
di avvicendamento, ne
sanno meno della materia
di cui si tratta. E così oggi
a voi io parlo perché sono
sicuro che in questa sala
sono lo stenografo di terracotta costretto a parlare
davanti a stenograf i di
ferro. Ho l’impressione
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
che lo si legga in fronte. Vi
ripeto, supererò la prova
fidando sulla vostra comprensione e sul vostro
buon cuore.
C
he cos’è questa stenografia? Quali le
sue caratteristiche? È mai
possibile che io, a voi che
alla stenograf ia avete
dedicato la vita, venga a
dire che cos’è? Me ne
guarderei bene. Ho letto
con attenzione e interesse
i discorsi che sono stati
pronunciati in occasioni
analoghe negli anni scorsi;
ho letto l’opuscolo che
i valorosi collaboratori
dell’avvocato Marchiori
hanno preparato; ho
appreso molte cose; ho
conosciuto, attraverso quegli scritti, uomini che
hanno dato lustro alla stenografia. Ne citerò uno
solo: il padre del vostro e
nostro presidente, l’illustre
fondatore di questa
Unione che per me, giovane giornalista immigrato
da Genova, era un mito.
Ne ho sempre sentito parlare, ed è rimasto un mito
perché credo di non averlo
conosciuto: non l’ho mai
incontrato, non ho mai
avuto la fortuna (e la
paura) di lavorare con lui.
Era un mito duplice, perché era un insigne stenografo e maestro di stenografia e perché aveva crea-
In alto: L’ultimo numero
de “La Notte”, uscito
il 30 gennaio 1995.
In basso: La pagina che
“La Repubblica” ha dedicato
alla chiusura de “La Notte”.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
to la famosa, mitica segreteria di redazione del
«Corriere della Sera» che
ancor oggi, guidata da
Antonino Crea, suo allievo ed amico, è all’altezza
della situazione e sicuramente la prima d’Italia ed
una delle migliori d’Europa.
Ora, per uno come me,
che da diciotto anni fa
tutti i giorni un giornale
cominciato dal nulla, che
ha impiantato con i
modesti mezzi di cui
disponeva una segreteria
di redazione e che quotidianamente si trova ad
affrontare problemi che si
debbono superare nel giro
di pochi minuti, via via
che il tempo passa il mito
del professor Marchiori
nella testa e nell’animo
cresce.
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riservatezza e di riguardo
nei confronti del suo genitore che era l’organizzatore, il promotore e il presidente della manifestazione, il qui presente avvocato Marchiori, che eguagliò
l’impresa di Madia e che
avrebbe potuto condividere con lui il titolo di campione mondiale di velocità, non volle figurare.
sioni si provano leggendo
le cose degli stenografi,
frequentandoli, conoscendoli. Danno l’impressione
di una confraternita religiosa, la sensazione di un
convento di clausura.
Sono degli innamorati
della stenografia che conservano, verso questa loro
amica, l’amore e l’affetto
del primo gior no. Non
D
a Crea ho saputo
anche di un altro
episodio. C’è, negli annali
di questo Istituto, un avvenimento quasi leggendario
sul piano della stenografia: quello che ha per protagonista il dottor Giustino Madia, il quale, in una
memorabile impresa stenografica – nel 1940, credo –
in un minuto, mitragliato
da 550 sillabe, riuscì a fermarle sulla carta, in ragione di quasi dieci sillabe al
secondo, conquistando
quello che oggi, in gergo
sportivo, si direbbe il titolo
di campione mondiale di
velocità stenografica.
C’era quel giorno – e non
so se tutti voi lo sapete –
un altro stenografo che,
diciamo così, per continuare in questa fraseologia sportiva, correva in
incognito. Per motivi di
Così “Il Giornale” ha ricordato “La Notte”.
Evidentemente già allora
era un uomo d’altri
tempi...
Ora non intendo ripetere
quanto è stato già detto
da altri. Ma, prima, l’avvocato Marchiori ha detto
che io darò, e dirò, qualche impressione. Effettivamente alcune impres-
sono mai dei delusi. Parlo
non dello stenografo occasionale, di quello che
impara un po’ di stenografia appiccicaticcia e
poi la dimentica. Parlo di
coloro che, come voi,
hanno dedicato alla stenografia la vita.
Il vostro maestro e fonda-
tore, diciannove anni fa,
inaugurando il trentunesimo anno sociale, lamentava, allora, il malcostume «attualmente imperante di aprire corsi ogni due
o tre mesi» per illudere i
giovani che si presentavano di ottenere con rapidità
e facilità quella che lui
chiamava una «piaga sociale», il diploma. Si dichiarava contrario a tutte
le facilitazioni e a tutti i
pressappoco; non si stancava di ripetere che non
dipende da noi, insegnanti, ma da loro, allievi, e
dalla loro applicazione,
ottenere risultati positivi.
E non perdonava a una legislazione sciagurata e
pervicace di non aver reso obbligatorio nelle scuole
medie superiori l’insegnamento della stenografia
come materia fondamentale. Una materia indispensabile all’uomo che,
superato il traguardo della prima scuola dell’obbligo, si avvia verso una carriera scientifica o professionale libera.
Che cos’è questa stenografia, è stato chiesto: un’arte, una scienza o una
materia grafica come la
calligrafia? È un’arte aristocratica, è stato risposto, ricordando che «aristos» in greco signif ica
«ottimo». È una scienza
precisa impostata su rigide basi scientifiche perché
ha previsto nei minimi
dettagli tutto. Non può
essere una materia grafica, perché non ha la centrale nella mano, ma nel
cervello.
La stenograf ia, a mio
avviso, è un’arma, un
arricchimento e una supe-
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riorità. Sarebbe ridicolo se
ce ne andassimo per strada con una spilla sul
«revers» della giacca o
una «broche». Ma, a mio
avviso, un uomo, e tanto
più una signora, che
conosce la stenograf ia
equivale ad uno con una
spilla di brillanti sul
«revers», perché possiede
un arricchimento interiore che non ha bisogno di
esibire sempre: ma lo tiene
per sé, per il momento del
bisogno.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
quelle, sono felici di farlo,
e non hanno bisogno dei
milioni.
C’è un ordine nella stenografia, perché la rigorosa
precisione del segno non
consente a uno sbadato, a
un disordinato, a un
distratto, di fare della stenografia. Quei segni così
cui – e io li ho visti – gli
stenografi sono dei precisini, con le loro matite
tutte affilate, con la punta
lunga, con le loro cartelle
messe bene. Sono degli
ordinati. Lo stenografo
disordinato è un poveretto
che non può fare della stenografia vera.
S
e penso alla stenografia – è una fantasia la mia – collegandola
al mondo animale immagino un felino, perché,
guardando la matita dello
stenografo che cammina
sulla carta morbida, veloce, carezzevole, sinuosa,
penso al gatto, alla lince,
al giaguaro, alla pantera,
alla tigre, al leone. Non
certo all’ippopotamo, all’elefante e tanto meno alla
tartaruga.
Si può parlare di un’onestà della stenografia perché fino ad oggi, per quanto ne so, non si è mai avuta notizia, con grandi titoli sui giornali, dello stenografo scappato con la valigia di milioni, dello stenografo che ha sequestrato
qualcuno e ha chiesto un
riscatto di centinaia di milioni. Che discorso!, si
dirà. Gli stenografi non
vengono tenuti a contatto
con i milioni. Ma non è
per questo. È che gli stenografi, per loro libera decisione, hanno la testa, e il
cuore, pieni di sigle e di
abbreviazioni logiche, di
fusioni e di consonanti
composte. Scappano con
Anche la “Voce” di Montanelli ha dedicato ampio spazio a
“La Notte”.
minuti, così precisi –
sopra la base, sulla base,
sotto la base, rinforzati,
non rinforzati – obbligano
alla precisione. Una precisione non soltanto mentale, ma anche fisica, per
C’è l’utilità della stenografia, ovviamente, divisa
– a mio giudizio – in tre
settori fondamentali.
Quello più comune e più
conosciuto, e a torto non
giustamente apprezzato
da chi è un po’ in alto,
della stenografa commerciale, per cui si crede che
lo stenografo sia poco di
più di una dattilografa
che batte a macchina cose
che ha scritto lui: errore
grave. C’è lo stenografo
giornalista e parlamentare, di cui non vi illustrerò
le glorie e i fastigi. E c’è
infine quella terza «forma» di stenografi, nella
quale modestamente mi
sono inserito, che considero fondamentale per una
persona – alcuni dicono
colta, io dico, più che
colta, intelligente – la
quale cerca di procurarsi
un mezzo per poter accelerare, rendere più rapidi,
più agili gli appunti, il
lavoro abituale. Di chi
insomma lavora a tavolino e deve preoccuparsi di
questo mezzo che gli consente di ridurre di una
metà, di un cinquantesimo, di un ventesimo il
tempo impiegato rispetto
agli altri. Ed è una superiorità.
Tutto ciò richiede un cervello che funzioni, una
mano veloce, una preparazione di studi linguistici non indifferente. In
quanti siamo? In pochi.
Richiede una volontà di
ferro che non si fermi
dinanzi agli ostacoli che
si frappongono. In quanti
siamo? Pochissimi. E allora ecco i moderni mezzi
di registrazione della
voce. La civiltà dei consumi potrà dotare chiunque
di un registratore tascabile, che consenta di fare
tutto quello che si vuole.
Ma questo registratore
non accelererà di un
secondo la velocità delle
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
percezioni e dei riflessi,
non consentirà di essere
fieri, orgogliosi, soddisfatti di noi stessi, dei sacrifici compiuti e delle difficoltà superate. Non consentirà, il registratore, di
applicare al cervello quella dieta magra che è la
stenograf ia, e che gli
impedisce di metter su
pancia. Il cervello dello
stenografo non può essere
flaccido, obeso, con i
riflessi appannati, perché
se è così non è più un cervello di stenografo: gli
manca quello sprint che è
alla base dell’attività stenografica.
11
menti, per il resto sudore,
fatica e lavoro ci sono.
Questa citazione mi ha
fatto pensare a un mio
caso. Poco tempo dopo,
nel marzo del 1941, venni
fatto prigioniero. Non
sapevo una parola di
inglese, e niente di stenograf ia. La stenograf ia
sapevo che esisteva perché
ero da anni in un grande
qui presente, il povero de
Colle e tanti altri. Mi era
rimasta impressa questa
loro capacità, e mi dicevo:
se io sapessi fare questa
cosa, chissà come potrei
cavarmela meglio con gli
appunti, nel mio lavoro.
Così, fatto prigioniero,
per non intrupparmi con
un mazzo di carte dalla
mattina alla sera, come
H
o trovato, nel bellissimo opuscolo
preparato in occasione del
cinquantesimo
dell’Unione Stenograf ica
Lombarda, una frase che
mi ha fatto ricordare
Winston Churchill. E da
Churchill, per connessione
di idee, sono arrivato al
periodo, non certo lieto
per altri aspetti, in cui io
ho appreso la stenografia.
Andiamo con ordine. Dice
il libretto: la stenografia
promette soltanto lavoro,
sudore, fatica. Il 13 maggio 1940, in piena offensiva aerea tedesca su
Londra, presentandosi
alla Camera dei Comuni
per tenervi il primo
discorso di guerra,
Winston Churchill disse
alle Camere attonite, sgomente: «I offer you
nothing but blood, torment, tears and sweat:
Non vi offro altro che sangue, tormenti, lacrime e
sudore». Se non è stenografia, poco ci manca. Se
togliamo il sangue e i tor-
fine avevo un bagaglio di
vocaboli abbastanza valido per cominciare a sbrogliarmela con l’inglese.
Un inciso: due anni dopo,
una mattina alle sette,
con la sentinella, ci portarono al cinema, a vedere
un film il cui parlato era
in inglese o in americano:
non capii una parola. E
tornando, sempre con la
sentinella, piangevo, come
piangeva questa mattina
mia figlia Cristina perché
aveva fatto arrabbiare la
mamma. Piangevo perché
dopo due anni di sudore,
di lavoro e di fatica, non
avevo capito una parola.
Un altro avrebbe abbandonato, ma io ho insistito,
e tempo dopo, al rientro
in Italia, su dodicimila
ufficiali ero uno dei due
interpreti. Dunque, modestamente, qualche cosa mi
era riuscito.
C
Il “Corriere della Sera” ha titolato a tutta pagina la chiusura
del giornale del pomeriggio milanese.
giornale milanese e avevo
cari amici stenografi che,
dalle città nelle quali
andavo a seguire le corse
ciclistiche o le partite di
calcio, riuscivano inspiegabilmente a fermare
sulla carta tutto quello
che io dicevo con grande
rapidità. Si chiamavano
Jacomucci, si chiamavano
il mio caro amico Farulli
faceva la maggioranza, o
per non stare seduto su
una pietra a disperarmi e
a piangere, come faceva la
maggior parte dei deboli,
decisi di studiare. E non
avendo a disposizione,
come testo, che una copia
del «Time-willy», di quel
giornale imparai a memoria tutte le parole, dalla
prima all’ultima. Alla
onsentitemi un
altro ricordo personale. A un certo punto,
invitato dai superiori e
dagli amici il sabato, fra
le undici e le dodici, in
attesa di un rancio che
era sempre crudo perché
pioveva e la legna era
bagnata (e, se anche fosse
stata asciutta, non c’era
niente da mettere nella
pentola), intrattenevo i
miei colleghi, coloro che
volevano venire a sentirmi, che potevano abbandonare per un’ora il
mazzo di carte e le importantissime partite di
ramino, sulla situazione
militare, economica, su
quello che la mia lettura
settimanale dei giornali
mi consentiva di riferire.
Una volta feci un profilo
12
di Churchill, di questo
leone formidabile per la
sua tenacia che galvanizzò la resistenza inglese
nel momento più delicato
della guerra. Dissi: se il
nostro d’Annunzio, per
aver fatto un volo su
Vienna e aver buttato giù
un po’ di manifestini, era
stato considerato un
uomo del valore di una o
due divisioni da parte
dello Stato maggiore austroungarico, questo
uomo, che teneva in piedi contro la Germania
un’intera nazione in guerra, valeva un intero Corpo d’armata o un’Armata
addirittura.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
carta, e via sigle a tutta
forza. Voi denunciatemi,
poi ci penseremo.
Poco tempo dopo, il 25
luglio, cadde l’odiato
Ventennio, come si dice
adesso, e il 26 mattina
altri colleghi ed amici si
recarono al comando
inglese a denunciar mi
come sporco fascista.
Anche in quell’occasione
dissi: lasciatemi tranquillo, che devo fare le mie
sigle. Ero sempre piuttosto
quadrato, piuttosto di
buon senso e piuttosto
equidistante dagli estremismi di una parte o dell’altra. Tale ho cercato di
conservarmi nel tempo.
Naturalmente, invece,
attorno a noi ci sono persone che secondo il girar
F
inita la mia breve
esposizione, alcuni
camerati di sicura fede –
così si chiamavano allora
– si riunirono in una
tenda e stesero un verbale
nel quale, sotto il vincolo
del giuramento, si impegnavano a denunciarmi
come traditore, al ritorno
in Italia, perché avevo
esaltato la f igura del
nostro peggiore nemico.
Naturalmente, in un
Paese riservato come il
nostro, le cose segrete si
sanno dopo un’ora. Ci fu
una brava persona che me
lo venne a raccontare.
Dissi: per favore lasciatemi tranquillo, che ho da
riempire qui dei pacchi di
carta igienica di sigle.
Carta igienica? Sì, purtroppo, perché la carta
igienica era l’unica di cui
disponevamo. Una carta
igienica «vetrata», sui cui
dettagli non mi soffermo.
C’era chi me la forniva: io
davo le sigarette – non
fumavo –, gli altri la
Il messaggio di solidarietà della figlia di Nino Nutrizio. La
redazione ha ricevuto migliaia di fax e telegrammi.
del vento si buttano da
una parte o dall’altra.
Non era un excursus politico il mio. Volevo soltanto collegare la mia esperienza stenografica a questa vicenda. E ho finito.
A
bbiamo parlato di
volontà e di sacrif ici, di disciplina e di
ordine, di serietà e di
impegno. Tutte qualità di
una volta. Oggi si vuole
tutto, subito, senza fatica,
senza sacrifici. E se non
lo si ottiene all’istante,
sono contestazioni, proteste, occupazioni, con i
genitori che sposano la
causa degli allievi. Ai
miei tempi, mio padre
sposava le cause dei professori e si serviva della
cinghia dei pantaloni.
Dicono oggi gli psicologi
che non è un sistema educativo valido. Io con mia
figlia Cristina non l’adopero, però nella mia
memoria ha un valore, un
valore impalpabile, sovrano.
La stenografia, si potrebbe dire, è una conservazione progressista; è una
scienza che ha previsto
tutto non lasciando nulla
al caso, mentre la vita di
oggi non prevede nulla e
lascia quasi tutto al caso.
Mi è sfuggita una battuta.
Volevo dirvi che lo stenografo, prima di tutto, non
può essere un «suonato»,
perché se lo è, non è stenografo. La seconda cosa è
che lo stenografo è come
un Berruti che cammina
in mezzo alla gente. Ma
che se, a un certo momento, sente il colpo in aria
della partenza, non ha
bisogno di altro: gli altri
13
restano e lui scatta via
come una gazzella.
Questo è lo stenografo: ha
un cambio di marcia, non
nei piedi o nelle ruote, ma
nel cervello. È una piccola
soddisfazione per voi e per
me, stenografo di serie C.
Comunque, dopo tutto
quello che ho detto di sentita esaltazione della stenograf ia, trovo che per
essere meritevole dell’onore che il presidente m’ha
fatto di invitarmi, e voi di
ascoltar mi, ci sia una
sola strada aper ta. Le
forze di volontà giovanile,
che spero non mi abbiano
del tutto abbandonato, mi
indurranno a presentarmi in settimana all’Unione Stenograf ica
Lombarda chiedendo l’iscrizione a uno dei corsi
che stanno per cominciare!
I
n armonia col carattere dell’Uomo, queste
ultime parole non furo-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
no vaghe e vane promesse. Nino Nutrizio si
iscrisse al corso tenuto
personalmente dall’avvocato Alberto Marchiori, a Palazzo Dugnani, e per mesi partecipò attivamente alle
lezioni, g iungendo a
mandare la «giustificazione» dell’assenza
quando i suoi doveri di
direttore di un giornale
lo richiamavano altrove.
Vorrei chiudere ricordando i motivi per cui,
per 25 anni, è caduto il
silenzio su questa preziosa testimonianza.
Con l’amico Musi eravamo intenzionati – a
cerimonia ultimata – a
pubblicare un secondo
opuscolo con la cronaca della giornata, l’elenco dei partecipanti,
gli interventi, i riconoscimenti, i premiati,
completando il tutto
con l’eco sulla stampa.
E bisogna dire che
questa eco ci fu, e notevole: basti accennare
a un pezzo di tre colonne in terza pagina
sul «Cor riere della
Sera». L’aspettativa era
che le iscrizioni affluissero numerose, almeno sufficienti ad occupare la trentina di posti di un’aula (negli
anni Trenta, in via Palermo, l’Unione attirava, in sette-otto aule,
due o trecento allievi).
Si capirà allora la delusione di quanti si erano
occupati attivamente
della realizzazione della
manifestazione. Gli
iscritti, in quell’ottobre
del 1970, si contavano
sulle dita delle due
mani, tanto che, per evitare al direttore de «La
Notte» di trovarsi dinanzi a un «forno», dovemmo mobilitare amici e parenti per fare degna corona a una lezione che Alberto Mar-
chiori si era preparata
con particolare attenzione grazie alle sue
enormi capacità: voleva
far bella figura sul Direttore. Ricordo di avere stenografato anche
quella lezione (chissà
dove mai sarà andata a
f inire). Ricordo comunque il f inale di
quell’ora e mezza: la
stenoscrizione alla lavagna dei primi versi dell’Iliade (o dell’Odissea?)
in italiano, latino, greco,
francese, inglese e forse
tedesco. Certamente in
sei lingue diverse.
„
Dopo Nino Nutrizio
(ha lasciato “La Notte” nel
1979), si sono succeduti alla
direzione: Livio Caputo,
Pietro Giorgianni, Carlo
Palumbo, Cesare Lanza,
Giuseppe Botteri e
Massimo Donelli.
a13
14
S
u Giovanni Spadolini molto si è
scritto e raccontato, soprattutto come gran
dominatore della politica negli ultimi anni e
come uomo di grandissima cultura. Ma ritengo che sia bello ricordare la figura di Spadolini
nella sua vita quotidiana di Direttore di giornale, indubbiamente
sconosciuto a molti,
ma non di meno egualmente interessante.
Come è noto, Giovanni
Spadolini venne a dirigere il «Resto del Carlino» appena ventinovenne, ricco di grande
cultura, di insegnamento universitario, ma
completamente digiuno di giornalismo. Non
sapeva cosa fosse una
nota dell’Agenzia Reuter o altra simile. Questa sua momentanea lacuna non lo preoccupò
più di tanto perché in
pochissimo tempo seppe impadronirsi del
mestiere a tal punto da
diventare un «grande
maestro».
Trascorreva ore ed ore
chiuso nel suo ufficio e
lo si vedeva transitare
per il corridoio che
conduceva alla tipografia solo nei momenti
indispensabili per l’im-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
UNA
STENOGRAFA
RICORDA IL
“DEBUTTO” DI
SPADOLINI
di Vittoria Bolognesi Baviera
paginazione dell’edizione nazionale. Era
sempre gentile, sorridente, ma sapeva tenere le distanze perché,
probabilmente, temeva
che la sua «giovinezza»
dosi fuori città, doveva
trasmettere l’articolo di
fondo o qualche nota di
particolare attualità.
Il primo impatto che
ebbi con il Direttore
non fu certo dei mi-
Un capitolo poco
conosciuto del grande
statista scomparso
permettesse a qualche
spirito goliardico (piuttosto facile da incontrare nell’ambiente giornalistico di quei tempi)
delle libertà che il suo
austero temperamento
non avrebbe potuto
permettergli di accettare.
Come redattrice stenog rafa non ho avuto
molte occasioni di frequentarlo personalmente e di parlargli; le
uniche volte si sono verificate quando, trovan-
gliori; era morto Papini, personaggio per il
quale Spadolini nutriva
una particolare predilezione, e da Firenze
chiamò la redazione
per trasmettere un breve pezzo sull’avvenimento, pezzo per la verità di non più di un
quarto di colonna. Erano le 17 del pomeriggio e a quell’ora non
era ancora presente in
uff icio il capostenografo al quale il direttore desiderava dettare il
breve servizio. Occorre
precisare subito che il
Direttore rispettava
molto la gerarchia e
quindi il suo pezzo doveva essere ripreso dal
capo e non da un semplice redattore. Saputo
che non era presente
né il capo, né il vice,
ma soltanto io, semplice redattrice, nel sentire la mia voce femminile non fu particolarmente gentile ed
espresse il suo disappunto per l’assenza dei
due capi, non sapendo
ancora (era da non
molto tempo approdato al giornale) che le
esigenze del lavoro imponevano una rotazione delle presenze per
coprire l’arco delle ventiquattro ore.
L’ufficio stenografi non
doveva mai essere privo
di personale e ciò per
fare fronte a qualsiasi
urgenza e a qualsiasi
ora.
P
oiché non si decideva a dettare il pezzo, ma continuava a lamentarsi del disservizio
(ma disservizio non
era) con voce ferma,
ma ovviamente cortese, lo pregai di iniziare
la trasmissione. Cosa
che fece.
Il direttore come detta-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
tore era bravissimo,
chiaro, non esageratamente veloce, ma pignolissimo per la punteggiatura, per le particelle apostrofate e non,
per le maiuscole ecc.
Purtuttavia si trattò di
un «lavoretto» egualmente facile per uno
stenografo ormai più
che esperto di giornalismo, come ero io già allora. Al termine, credendo forse di mettermi in difficoltà o per sfiducia mi chiese di rileggere quanto dettato,
cosa che feci disinvoltamente e con sicurezza.
Evidentemente ciò lo
sorprese perché forse
pensava che una «don-
15
na» (a quei tempi si era
ancora molto prevenuti
contro l’elemento femminile) non potesse essere all’altezza di tale
compito. Ebbi la sensazione che alla fine della
mia lettura il Direttore
si fosse rilassato e lo stato di tensione l’avesse
abbandonato. Questo
atteggiamento nei miei
confronti deve avergli
pesato, ben capendo,
intelligente com’era, di
avere sbagliato. Me ne
resi conto in seguito,
come si vedrà.
Passò diverso tempo e
tornò l’occasione di
dettare, questa volta,
addirittura l’articolo di
fondo. Il Direttore si
trovava fuori Bologna e
doveva trasmettere il
suo articolo: almeno
due colonne!
C
ome la volta precedente, ero presente in ufficio soltanto
io. Sentendo all’apparecchio la mia voce,
questa volta non disse
nulla, fu cortese ed iniziò la dettatura con
tanta precisione e molte raccomandazioni: ad
esempio «governo» con
la «g» minuscola oppure con la «g» maiuscola
a seconda dei casi (e un
piccolo commento),
«di» con l’apostrofo o
senza apostrofo. Guai
se fosse comparso un
«governo» diverso da
quello da lui desiderato
o una preposizione non
come l’aveva dettata!
Da parte mia quindi
g rande impegno e
g randi note a f ianco
delle sue raccomandazioni perché al momento della trascrizione la
memoria non mi tradisse. Al ter mine mi
chiese se desideravo rileggere subito (come
era consuetudine) l’articolo oppure preferivo
batterlo prima a macchina per evitare possi-
Giovanni Spadolini
Giovanni Leone
e l’editore Renato Giunti
16
bili errori di distrazione. Preferii la seconda
soluzione e ci accordammo che dopo una
oretta mi avrebbe richiamata.
M
i accinsi al lavoro
e, poiché a quell’epoca ero molto veloce, in una quarantina di
minuti portai a termine
la trascrizione. Quel
«birichino di direttore»
non mi fece chiamare
dopo sessanta minuti,
come d’accordo, ma
dopo quaranta e con
voce apparentemente
dispiaciuta mi disse che
gli avevano dato la linea
in anticipo. Grande fu
la sua sorpresa quando
gli risposi che avevo già
terminato la trascrizione ed ero pronta per la
rilettura. Al termine ci
salutammo cordialmente. Ma non è finita qui:
il giorno dopo trovai
nella mia casella postale
una sua lettera; non nascondo che nel vedere
la busta con l’intestazione «Il direttore» fui
presa da un certo timore pensando di essere
caduta involontariamente in qualche imperfezione. Invece no: il
Direttore si complimentava perché (sono
le sue parole) «caso più
unico che raro il pezzo
era uscito senza errori».
In tal modo riparò – almeno così io supposi –
alla scortesia del primo
incontro.
Ancora un breve simpatico ricordo. Era mezzanotte e mi trovavo sulla
soglia del mio ufficio al
termine del servizio a
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
conversare con il redattore capo di «Stadio»
(uomo simpaticissimo,
intelligente, anch’egli
toscano) quando il direttore passò dinanzi all’ingresso della sala stenografi per recarsi in tipografia e mi fece un largo
sorriso. Ma... c’è un piccolo «ma», dopo circa
dieci minuti ritornando
dalla tipografia mi vide
ancora a colloquio con il
collega e questa volta il
sorriso fu alquanto stereotipato. Il direttore
non sapeva che ero orUomo di Stato
e di Cultura, giornalista,
Spadolini è scomparso
il 4 agosto dell’anno scorso.
mai fuori sevizio ed attendevo una macchina
per tornare a casa.
Al mio collega un po’
maliziosamente dissi:
«Questa volta il Direttore non ha avuto
molto piacere di vedermi ancora qui!». Ed il
suo conterraneo, con
una battuta di spirito,
molto arguta, degna di
un toscano, mi disse:
«Che vuole, cara signora, è un uomo che ancora non ha letto in
quella meravigliosa pagina che si chiama donna!».
„
GARE
Anche quest’anno l’Istituto di Magistero
Stenografico di Milano ha indetto le Gare
1995 che si svolgeranno dal 10 maggio in poi.
Per venire incontro alle esigenze delle Scuole,
e in modo particolare ai ragazzi abituati a
lavorare con le loro macchine o i loro computer, una commissione si recherà presso le
Scuole che presentino un minimo di 30 iscrizioni. Per i gruppi inferiori a 30 verrà successivamente comunicata la sede di svolgimento
delle gare.
Quest’anno saranno presentate tre nuove
gare:
— attestato free-lance: rilasciato agli studenti
che si qualifichino in tre gare del programma
(steno, dattilo o PC, test in lingua straniera):
tale attestato, oltre a comprovare una preparazione professionale interdisciplinare, costituisce titolo qualificante a completamento di
un curriculum;
— una gara in lingue estere: consisterà in un
test, con risposte a scelta multipla, che comprovi la conoscenza grammaticale e commerciale della lingua richiesta;
— neon: gara di dattilografia sul PC utilizzando il programma Neon, che visualizza al
momento i risultati della prova effettuata.
È stata ridotta a 50 parole al minuto la velocità stenografica per gli Istituti Tecnici, e le
prove di contabilità sono state adeguate ai
programmi vigenti.
L’Istituto quest’anno offre una partecipazione
gratuita ogni dieci iscritti, al fine di favorire
qualche allievo meritevole e bisognoso.
Come sempre le gare avranno il patrocinio
del Comune di Milano, dell’Assessorato
Regione Lombardia, dell’Ordine dei Giornalisti e l’adesione del Provveditorato agli
Studi.
a9
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
17
CONTEGGIO
IN SILLABE
?
SE NE PARLA
A
rrivati ad una
certa età – è
odioso dire vecchiaia –
non ci rimane per lo
più che volgere il capo
al passato, anche perché se ci interessano, è
ovvio, il presente e il
futuro, ci accorgeremo
che, per lunga esperienza, ben poco c’è o
ci sarà di veramente
nuovo: «nihil sub sole
novum».
E se ciò può anche non
sembrare del tutto
vero, certo lo è per
quanto riguarda argomenti e materie particolari, specifiche, di determinati gruppi, non
universali insomma.
Più che al futuro della
stenografia allora, ci
pare interessante, anche perché solo chi vive
intensamente nella
scuola può cogliere le
istanze utili al futuro
(quindi i giovani insegnanti) è più consono
rivolgerci al passato
perché da noi vissuto e
sentito profondamente
e profondamente sofferto ed inoltre perché
dall’esperienza e dalla
conoscenza del passato
si possono trarre utili
insegnamenti per il presente e per il futuro.
È anche per tutto ciò
che riprendiamo tra le
DA SEMPRE, MA...
di Emilio Catanese
mani un vecchio volumetto di argomento
stenografico sul quale
la stenografia veniva
considerata per il suo
vero significato culturale, per il suo alto valore educativo.
Il volumetto in questione fa parte della Biblioteca di «Scienza Stenografica», il numero è il
15, l’autore il prof. Mario Boni che fu Presidente del Consiglio Superiore di Studi Stenografici, il titolo: «Programmi e Norme per i
Candidati all’Abilitazione all’insegnamento
babile anno di edizione
1933.
Nessun timore, non
parleremo di abilitazioni (sarebbe una presa in
giro, purtroppo, per i
lettori).
Alcune parti però ci
sembrano di interesse
per chi ha ancora a
cuore la Stenografia.
Premettiamo che nel
volume si parla di Sistema Unico, ma ciò a nostro parere non inficia
l’assunto.
Tratteremo di velocità,
e tutto quello che riguarda questo campo è
valido sia che si tratti di
Basterebbe un “programmino”
e il computer risolverebbe
rapidamente il problema
della Stenografia», edizione dell’Associazione
Stenog raf ica Mag istrale Italiana, Milano,
via Silvio Pellico 6, pro-
sistema A o B o C o che
si tratti di Stenotipia A
o B o C. Ecco ad ogni
buon conto quanto
dice il Boni nel cita-
to volumetto a pag. 41:
«...ho avuto occasione
di constatare come il
candidato si sia evidentemente fatto delle illusioni sulla propria capacità e su quello che
realmente significhi lo
stenografare per 20 minuti di seguito, 10 minuti alla media di 80 e
10 minuti alla media di
100 parole... Il perdurare di una stenoscrizione in prova di gara o di
esame, durante 20 minuti presuppone oltre
che l’abilità e la capacità e realmente saper
stenografare alla velocità di 80, 100 parole al
minuto anche un notevole allenamento dal
punto di vista della resistenza».
E
più avanti specifica che le prove
di allenamento devono
essere fatte come minimo su una mezz’ora
perché bisogna tener
conto dell’emotività
cui il giovane va incontro in una gara che è
prova irripetibile.
Solo facendo prove e riprove di dettatura per
così lunga durata si potrà dare la convinzione
che egli è realmente capace di seguire un oratore (o un dettatore)
per una mezz’ora, tan-
18
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
to più se si tratta di una
gara professionale.
«Le prove di addestramento dovranno essere
fatte non da 80 a 100
parole ma da 100 a 120
come velocità minima...».
La dettatura delle prove, cioè degli allenamenti, dovrà essere fatta non dalla stessa persona ma il dettatore dovrà essere il più possibile variato e ciò perché
ci si abitui alle difficoltà
di comprensione delle
diverse inflessioni dialettali, o dei diversi
modi di leggere anche
uno stesso brano (riparlando di allenamenti) o
uno stesso periodo; e il
di lunghezza costante,
cento parole di un brano possono corrispondere a 120, 150 o più di
un altro».
«Già da parecchi anni...
è previsto e prescritto
tassativamente il conteggio in sillabe».
Così scriveva il prof.
Mario Boni al quale
nessuno ha mai potuto
disconoscere la grande
capacità professionale
come stenografo alle
più alte velocità.
A parte quel «tassativamente» che ben sa di
sgradita dittatoriale
memoria, rimangono
alcuni fatti noti agli allenatori: l’impegno dell’allenamento a velocità
Per fare 100 parole al minuto
bisogna essere sicuri
di saperne fare almeno 120
modo di dettare, come
si sa, ha una enorme influenza sulla buona riuscita della prova.
E sempre sulla velocità,
stiamo attenti ad un altro pericolo di falsare la
dettatura – ovvero la
gara – consistente nel
perseverare, da parte di
tutti, nel computo in
parole, piuttosto che a
sillabe.
Dice il Boni, e siamo
nel ‘32, «il computo a
parole è ormai antiquato. Una volta non si calcolava che a parole, ma
è stato lungamente ed
esaurientemente dimostrato che la parola non
è una unità di misura
valida in quanto non è
superiore di quella della
gara a cui si partecipa e
il prolungamento del
tempo di dettatura devono servire per infondere al concorrente
sempre maggior fiducia
in se stesso.
P
urtroppo da quel
lontano ‘33 tanta
acqua è passata sotto i
ponti e la velocità dopo
gli anni d’oro del dopoguerra (parlo dell’ultima guerra naturalmente) con la mania del
«troppo difficile», per i
docenti prima, per gli
alunni poi (ma non tiriamo in ballo il solito
‘68 e il lassismo, che
non c’entrano in questo
caso, bensì la cattiva
preparazione culturale
e il dispregio, da parte
di alcuni, della materia
ritenuta ormai inutile
dato l’inserimento dei
registratori che avrebbero risolto tutto) con
conseguente declassamento della materia e
la conseguente riduzione delle velocità nelle
gare o «addolcimento»
dei testi, necessario
d’altra parte per avere
partecipanti alle gare e
quindi propaganda stenografica; una catena
che non finiva più.
Per tornare poi al calcolo «a sillabe» a nostro
parere ha inciso principalmente la «scomodità» dei dettatori a preparare i brani contati in
tal maniera.
Ora questo problema
non c’è: ci sono dei piccoli programmi che
permettono un rapido
conteggio. Naturalmente tutto questo va bene
sia per la stenografia sia
per la stenotipia.
C
ome si vede, pur
essendosi modificati i mezzi di trascrizione veloce, i problemi
per la formazione professionale sono i medesimi dal nascere della
stenografia e dello stenografo sino ai nostri
giorni e fino a quando
sarà l’uomo ad operare
o se preferiamo guidare
la «macchina»; eventualmente sarà il «prodotto
finito» a variare, ma sarà sempre l’uomo che
darà l’input alla penna o
ai tasti stenotipici.
„
1994:
ABBIAMO
RICEVUTO
dall’Estero
• Bollettino dell’Institut International de
Sténog raphie Duployé, Parigi.
• Bollettino della
Sachsische Landesbibliothec, Dresda,
Germania.
• Der Schweizer Stenog raf - Le Sténographe Suisse - Lo Stenografo Svizzero: organo delle Schweizerischen Stenografenverbandes Stolze/SchreySSV, Basilea, Svizzera.
• Pikakirjoituslehti:
organo della Associazione Stenografica Finlandese, Helsinki, Finlandia.
• Revue Suisse de Secrétariat: organo della
Association Suisse Aimé
Paris pour la Bureautique et la Communication - ASSAP, Neuchâtel, Svizzera.
• The Transcript: organo della New York
State Court Reporters
Association - NYSCRA,
New York, USA.
• Winklers Illustrierte
- Kurzschrift - Maschinenschreiben - Bürotechnik (Stenografia Dattilografia - Tecnica
d’Ufficio): ed. Winklers
Verlag - Gebrüder
Grimm, Darmstadt,
Germania.
dall’Italia
• La Rivista della
Scuola, quindicinale di
Cultura e di informazioni leg islative: ed.
Girgenti Editore Srl, Milano.
• Specializzazione, periodico di Istruzione
commerciale e amministrativa: ed. Istituto
IDI Informatica, Firenze.
a5
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
L
a linguistica moderna nasce con il
Cours de Linguistique
Général, che raccoglie
le lezioni tenute da Ferdinand de Saussure a
Ginevra fra il 1906 e il
1911 e pubblicate postume, nel 1916, ad
opera di Bally e Sechehaye.
Con questa nostra ricerca, tentiamo, in parallelo, di dimostrare
quanto avesse intuito
Francesco Saverio Gabelsberger (1789-1849)
sugli stessi argomenti
enunciati da Ferdinand
de Saussure (18571913).
1
- Secondo Ferdinand de Saussure, la
linguistica è la scienza
che si occupa del linguaggio (language), facoltà universale che si
realizza nella lingua
(langue), a sua volta utilizzata individualmente
con atti di parole. La lingua è un sistema di segni, un codice, ordinato
secondo una precisa
struttura, fatta di regole e di norme, che la
linguistica ha il compito di descrivere nei suoi
meccanismi di funzionamento.
1a. - La stenografia di
Gabelsberger è un siste-
19
GABELSBERGER
ANTESIGNANO
DELLA
LINGUISTICA
MODERNA
di Paolo A. Paganini
ma di segni, depositati
in un codice, ordinato
secondo una precisa
struttura, che rispecchia e rispetta i meccanismi di funzionamento della lingua. Ne discende, come prima
conseguenza, che la
stenografia è materia
la traccia psichica di
questo suono (quando
pensiamo, «udiamo»
mentalmente i nostri
pensieri). Il concetto è
il significato, la traccia
acustica il significante. Il
rapporto tra significante e significato è arbitrario, cioè il significan-
Dagli inizi del secolo
si parla di linguistica,
ma sapevate che
già cento anni prima?...
di studio pertinente alla
linguistica.
2
- Per Saussure, la
struttura della lingua
ha come base il segno
linguistico, entità psichica, che unisce un concetto e un’immagine
acustica. Per immagine
acustica non si intende
il suono materiale, ma
te non ha alcun aggancio naturale col significato. Tale rapporto
non può, però, essere
modificato, in quanto
frutto di una convenzione.
Segno, nella definizione
più generale, è cosa,
atto o fenomeno che è
anche espressione di
qualcosa d’altro, ma ciò
implica anche l’intenzionalità e la non completa arbitrarietà: a questo tipo di segni viene
dato, linguisticamente,
il nome di simboli.
2a. - Già Gabelsberger
nell’Anleitung (1834,
settant’anni prima di
de Saussure) affermava:
«Tutto il nostro parlare e
tutto il nostro udire consistono alla fin fine soltanto in una esposizione ed
in una comprensione di
segni sensibili, in un continuo affaccendarsi intorno a segni astratti, prima
per ridurli tali che la
mente possa riceverli e assorbirli come cose sensibili, e poi di nuovo per rivestire i pensieri così spirituali con tali simboli che
permettono di manifestarli per via sensibile.
Nell’impiego di un segno
vi sono tre cose da considerare:
a) ciò che vogliamo indicare e cioè l’oggetto;
b) l’istituzione di un collegamento fra ciò che viene segnato ed il segno
stesso, o la fissazione di
una relazione reciproca
fra segno e cosa segnata
su cui si basa il significato del primo».
Embrione dell’arbitrarietà? Tanto più che
qualche riga più avanti
dice: «La connessione del
segno con la cosa da se-
20
gnare può essere o naturale o arbitraria. Nel primo
caso viene effettuata mediante l’intelligenza e la
fantasia, nel secondo mediante la memoria. La
connessione naturale viene quando il segno porta
in se stesso le caratteristiche della cosa da segnare...».
E de Saussure ammette
la distinzione tra segni
assolutamente arbitrari e
segni relativamente arbitrari (venti è immotivato, ma ventinove non lo
è in egual grado, perché
evoca i termini di cui si
compone e altri che gli
sono associati).
Definire Gabelsberger
antesignano della linguistica significa riconoscere nelle sue opere
e nel Sistema delle tracce, che hanno avuto
compiuta realizzazione
indipendentemente dalla Stenografia e relativamente al fenomeno
lingua, essenzialmente
come fatto sociale prevalentemente orale.
3
- De Saussure:
«In generale noi conosciamo le lingue
mediante la scrittura. ... Lingua e
scrittura sono due
distinti sistemi di
segni; l’unica ragion d’essere del
secondo è la rappresentazione del
primo». Per Saussure, la scrittura
è un «male necessario», di cui
individua il minore nel sistema
«fonetico», che
mira a riprodurre
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
la sequenza dei suoni succedentisi nel vocabolo. Individua nel sistema alfabetico greco il migliore
attuabile, ma ne sottolinea i limiti, affermando
l’impossibilità di armonica fusione fra grafia e
pronuncia. «Anzitutto –
dice Saussure – la lingua
si modifica di continuo,
mentre la scrittura tende a
restare immobile. Ne segue che la grafia finisce
col non corrispondere più
a ciò che deve rappresentare. Una notazione che in
un dato momento è coerente, un secolo più tardi
sarà assurda. È quel che
accade in francese per ‘oi’:
Sec. XI
Sec. XIII
Sec. XIV
Sec. XIX
1
2
3
4
Come si vede, fino al secondo periodo si è tenuto
conto dei mutamenti intervenuti nella pronunzia;
a una fase nella storia della lingua corrisponde una
fase in quella della grafia.
Ma a partire dal secolo
XIV la graf ia è restata
stazionaria, mentre la lingua proseguiva la sua evoluzione, sicché da quel
momento vi è stata una
discordanza sempre più
grave tra lingua e ortografia. ... Il risultato evidente
è che la scrittura offusca la
visione della lingua: non
la veste, ma la traveste. Lo
si vede bene nell’ortografia della parola francese
‘oiseau’, in cui nemmeno
un solo suono della parola
parlata (wazo) è rappresentato da suo proprio sePronunzia
Grafia
rei, lei
roi, loi
roè, loè
rwa, lwa
rei, lei
roi, loi
roi, loi
roi, loi
gno, sicché nulla resta dell’immagine della lingua».
Saussure prosegue, affermando che «il lingui-
sta chiede anzitutto che
gli si fornisca un mezzo
per rappresentare i suoni
ar ticolati fuori d’ogni
equivoco». Tale mezzo,
o scrittura fonologica,
«deve badare a rappresentare con un segno ciascun
elemento della catena
parlata».
3a. - Gabelsberger anticipa quest’esigenza con
il suo sistema, laddove
col principio fonetico assegna ad ogni suono un
segno, a suoni semplici
segni semplici, a suoni
complessi segni complessi, a suoni simili segni simili. Il sistema G.N. non traveste la lingua, ma la veste, seguendo le modificazioni della lingua sul piano
diacronico, per cui la
grafia stenografica corrisponderà sempre alla
pronunzia della lingua
(/c/, /g/; /ch/, /gh/;
/sc/; ...).
4
- La linguistica definisce fonemi i singoli
suoni, rappresentati in
grafia ordinaria
dalle lettere dell’alfabeto. I fonemi, attraverso le
loro combinazioni, danno luogo
ai monemi, che
sono le prime
unità dotate di signif icato: es.
«casa» è composta di quattro fonemi c-a-s-a e di
due monemi casa. I due monemi
sono gli elementi
minimi dotati di
signif icato del
vocabolo casa,
ma il loro valore
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
è differente: cas- ha una
sua collocazione precisa
nel lessico (cas-erma;
cas-olare; cas-ello, ecc.),
per cui assumerà il
nome di lessema; -a ha
una sua collocazione
nella morfolog ia (in
quanto indica il femminile singolare), è soggetta a variazioni (case), per cui assumerà il
nome di morfema.
4a. - Gabelsberger ha
precorso e rispettato
questo sistema di combinazione dei fonemi e,
con il simbolismo delle
vocali (si parla appropriatamente di simbolismo, in quanto si rappresenta qualcosa mediante un espediente,
grafico o di posizione,
intenzionale e motivato), evidenzia i lessemi e
i morfemi ancor prima
di Saussure, in osservanza anche del principio etimologico. Con il
simbolismo delle vocali,
ora sulla consonante seguente, ora su quella
precedente, radice (lessema) e desinenza
(morfema) rimangono
ben distinti, immediatamente individuabili.
5
- La linguistica distingue tra studio diacronico e studio sincronico di una lingua, cioè
tra lo studio della lingua vista nel suo evolversi attraverso il tempo e lo studio della lingua, quale essa è in un
determinato momento
storico. Per Saussure la
linguistica deve privilegiare l’aspetto sincronico.
5a. - Il Principio Etimo-
21
logico, cui si informa il
sistema Gabelsberger,
concilia sia il piano diacronico, sia il piano sincronico. La parola viene scomposta nei suoi
elementi costitutivi, per
cui è immediatamente
recuperabile il possibile
rapporto con un’altra
più antica, da cui è derivata («interludio», «preludio»: dal lat. ludus =
«r appresentazione»,
«spettacolo»; «refrigerare»: lat. «frigus» = «freddo» piano diacronico);
contemporaneamente
I termini del paradigma
si escludono a vicenda
nel discorso, e sono,
quindi, in relazione di
opposizione.
Così, a livello di segno,
se dico «mela» ogni fonema si oppone ad altri
(bela, cela, tela, vela;
mola, mula; mera,
meta; mele, meli,
melo).
6a. - Ragionando in absentia, la stenograf ia
trova il suo momento
più alto nell’abbreviazione logica e nell’omissione di parole.
l’informazione «plurale» è data da due elementi, «-e» ed «-e», invece che da uno solo,
come era semiologicamente necessario e sufficiente.
6.2b. - La stenografia
rispetta la successione
sintagmatica, ma elimina la ridondanza
(omissione di vocali finali, desinenze verbali, ecc.), in quanto sistema semiolog icamente realizzato e,
contemporaneamente, attua il principio
è possibile, grazie al valore che i singoli stenomonemi assumono, individuare le famiglie di
parole che vivono oggi:
«casa», caserma, casolare,
accasare, rincasare, casetta (piano sincronico).
Quello che c’è è il minimo indispensabile, suff iciente a ricostruire
quello che manca, quello che è stato omesso,
quel substrato relegato
nelle zone in absentia,
che, tuttavia, nel gioco
delle associazioni delle
idee emergono con stupefacente facilità.
6b. - Sull’asse sintagmatico, «Questo è un libro
ben fatto» è una successione coerente di unità
successive, cioè i termini sintagmatici interagiscono a vicenda nella
catena parlata: il dire
«libro» obbliga a dire
«questo» e non «questa», «è» e non «sono»,
«fatto» e non «fatti».
Questo ci rimanda al
concetto di ridondanza,
cioè all’utilizzo di un
numero magg iore di
elementi distintivi di
quello strettamente necessario. Es.: «le amiche», segno in cui
dell’economia, secondo il quale un piccolo
insieme di elementi distintivi, che attui un
insieme potenzialmente inf inito di distinzioni possibili, rappresenta una notevole
redditività.
Lingua parlata e lingua
scritta, codici paralleli
che, come abbiamo visto, tendono a divaricare, riacquistano, grazie
alla Stenografia, un perfetto aderente parallelismo. E, in virtù della sistematicità imposta da
Gabelsberger, assumono altresì il più idoneo e
proficuo terreno di studio della linguistica, sia
sul piano diacronico, sia
su quello sincronico,
imponendosi il sistema
Gabelsberger, in assoluto, come «la più semplice, fedele e sicura
espressione grafica del
pensiero».
„
6
- Gli elementi della
lingua (langue) si pongono in relazione fra
loro secondo due assi:
l’asse paradigmatico, o
delle scelte in absentia, e
l’asse sintagmatico, o
delle combinazioni in
presentia. Esempio:
«Questo è un libro mal
fatto». Asse paradigmatico o «in absentia»: per
ogni posizione della frase è stata compiuta una
scelta fra i molti elementi suscettibili di
comparire in quella posizione: 1 = quello, il
tuo, l’altro...; 2 = sarà,
può essere, diventerà...;
3 = il, i, gli, la...; 5 =
ben...
a1
22
G
iuseppe Aliprandi nacque il 15
novembre 1895 a Tromello, località non
molto distante da Pavia, città nella quale
avevano già preso sviluppo lo studio e la diffusione della Stenografia.
Consultando la Cronologia stenografica italiana dello stesso Aliprandi, alla data 1877. 5
Novembre troviamo infatti la «registrazione»
Scuola Stenografica Pavese (Viscardi). Proseguendo nella ricerca
delle notizie che riguardano Pavia, si nota poi
che nel 1883 viene formata la Unione Stenografica Pavese (Rossi) e
che nel 1888 Arturo Rossi tiene all’Università di
Pavia un corso di stenografia. Nel 1885, Giuseppe Bazzoni per incarico dell’Unione Stenografica Pavese apre un
corso di stenografia a
Bologna. Pubblicazioni
stenografiche escono a
Pavia nel 1888, 1891 e
1892.
Nella prefazione alla
sua Cronologia, che
per quanto pubblicato
a suo tempo sulla Rivista degli Stenograf i
copre i periodi 15
magg io 1796-29 di-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
POLIGRAFO E
MATEMATICO
CON LA
STENOGRAFIA
Ricordiamo Giuseppe Aliprandi
a cento anni dalla nascita
a cura di Attilio Ottanelli
cembre 1929 e 19431962, salvo se altri,
Giuseppe Alipr andi
scriveva:
C
hi avrà la pazienza di scorrere queste note di cronologia stenografica italiana – date
con sobri accenni, perché
questa è cronologia e non
storia – scorgerà attraverso l’infittirsi delle notizie,
l’affermarsi graduale dell’idea stenografica; non
solo: ma dall’avvicendarsi
dei nomi sarà tratto a ricordare gli apostoli del
movimento stenografico
del nostro Paese; e dal
mutarsi delle città scorgerà lo spostarsi dei centri
nervosi di erudizione stenografica. Ond’è che notizie talvolta prive d’importanza o di scarso valore nel quadro generale, ne
assumono invece uno di
maggiore entità considerate come affermazione di
un nome o come simbolo
di un’azione sociale.
Benché estremamente
sintetiche, le informazioni fornite dalla Cronologia (eventi, nomi di
associazioni, di persone
e città, di autori e di
pubblicazioni, citazione dei sistemi, con l’indicazione delle date, in
pochi casi solo dell’anno) formano infatti una
«trama» sulla quale si
possono ricostruire vicende storiche particolari o generali.
Le informazioni prima
citate consentono quindi di conoscere l’interessamento per la stenografia nella città di
Pavia nel periodo 18771892, e ci fanno comprendere come un ragazzino, certamente
dotato di grande passione per lo studio, rimanesse affascinato
dalla propaganda dell’arte di scrivere velocemente, che all’età di
undici anni, nel 1906,
aveva già imparata. Risulta infatti, da altra
fonte, che Giuseppe
Aliprandi fu iscritto in
quell’anno come socio
straordinario dell’Unione
Stenografica Pavese.
F
rancesco Giulietti
affermò, in un suo
discorso o in qualche
suo scritto, che «lo studio della stenografia richiede tenacia e pazienza; esso ha pure un
gran potere formativo
per l’intelligenza e il carattere; potere che è
stato riscontrato non
inferiore a quello della
matematica». E proprio
alla Matematica si indirizzava poi l’adolescente stenografo che appena ventenne si laureava
presso l’Università di
Pavia.
Ricorrendo il 100° anniversario della nascita
ci sembra pertanto opportuno presentare
nuovamente, non sempre nello stesso ordine,
l’estratto degli Atti e
Memorie dell’Accademia
Patavina di Scienze, Lettere ed Arti pubblicato
nel 1990 a cura di Lino
Lazzarini col Ricordo di
Giuseppe Aliprandi e saggio di bibliografia di Attilio Maggiolo, edito
dalla Società Cooperativa Tipografica di Padova.
L’Aliprandi, nato a Tromello di Pavia il 15 no-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
vembre 1895, s’era laureato ventenne in matematica presso l’Università pavese, proseguendo in questo indirizzo
sia con l’insegnamento,
sia con originali pubblicazioni. Fu chiamato
alle armi ed ebbe la
Croce di guerra; ritornata la pace si trasferì a
Padova come insegnante supplente all’Istituto
Tecnico «Belzoni»; ben
presto assistente volontario di algebra alla cattedra di analisi infinitesimale dell’Università,
di ruolo per un triennio
(dal 1919 al 1923); poi
titolare di matematica
finanziaria e attuariale
nell’Istituto Tecnico
Commerciale «Calvi»,
allora istituito, dove insegnò per quasi un quarantennio (1922-1960) 1.
Frutto di questo insegnamento furono anche dei testi destinati
alla scuola media superiore, che ebbero più
edizioni; ma accanto
egli venne via via pubblicando contributi di
scienze matematiche in
riviste specializzate,
con particolare frequenza fino al 1932.
D
a quel lontano
1918 dunque l’Aliprandi trascorse la sua
operosissima vita nella
nostra città (Padova),
per quasi un sessantennio, fino alla morte, il
31 dicembre 1975.
Ma già prima di quel
suo avviarsi agli studi
matematici, precocemente s’era manifestato in lui l’interesse per
la stenografia: undicen-
23
Giuseppe Aliprandi (1895-1975). È stato per cinquant’anni
direttore di «Studi Grafici».
ne appena aveva appreso questo modo di scrittura abbreviata nel sistema allora dominante, di Gabelsberger e
Noe, divenendo ben
presto esperto e veloce
(capacità poi esercitata
per anni nelle sedute
dei Consigli Comunale
e Provinciale di Padova). Sentì tuttavia fin
dagli inizi il bisogno di
considerare la teoria accanto alla pratica e di
allargarsi alla considerazione storica di questa disciplina, e contemporaneamente di propagare, promuoverne la
conoscenza. Sono queste tendenze caratteristiche e significative che
accompagneranno tutta la sua opera.
Possiamo ricordare ancora quell’altro aspetto
degli interessi intellettuali dell’Aliprandi, il loro
ampliarsi progressivo,
l’approfondirsi nel solco
delle sue prime propensioni di studio. Tutt’al
più può apparirci una
qualche divergenza tra
gli studi matematici (dal
1920 al ‘51), cioè tra la
sua attività professionale
e scientifica e le sue scritture a carattere letterario
o storico o meditativo, a
partire dagli anni trenta.
Dall’impegno dunque
per la stenografia (la
scrittura contemporanea alla parola) rivelatosi così precocemente
nel 1914, egli passò a
quello per la dattilografia e per la stampa (che
fermano e tramandano
più durevolmente la
scrittura), con un interesse tecnico-storico
per la dattilografia, con
una viva passione per
tutto quanto concerne
la stampa: tipografia e
tipografi, libri e librai.
Collegati a questi interessi quello per il giornalismo (la pronta dif-
f usione della parola
stampata), per la sua
storia e con l’attività
giornalistica esercitata
«in proprio» come pubblicista, specialmente
nei giornali padovani.
Gli interessi pratico, tecnico e storico per i diversi modi e mezzi della
scrittura s’allargarono
poi a quello estetico,
particolarmente nella
realizzazione delle opere a stampa, e alla considerazione della parola
come attivo strumento
e insieme come riflesso
della cultura e di una
realtà storico-sociale.
Giuseppe Aliprandi fu
definito poligrafo, e va
bene per la molta e varia operosità di ricerche
e di scritti, ma definizione limitativa se si
pensi allo sviluppo dei
suoi temi di studio, l’uno dall’altro e l’uno intrecciato con gli altri,
con un sempre più largo interesse di cultura.
Opere e scritti
L
e opere e gli scritti
di Giuseppe Aliprandi elencati nella bibliograf ia pubblicata
col Ricordo sono oltre
quattrocento. Il primo
lavoro, pubblicato a Pavia nel 1914, reca il titolo Impariamo la stenogra1 1921-1961 secondo i dati
forniti dal prof. Francesco
Aliprandi, al quale rinnoviamo il ringraziamento della
«Rivista» per il «Ricordo»
gentilmente inviatoci nel
1991 (v. «R. d. St.», n.
15/1991, «Giuseppe Aliprandi matematico, poligrafo e
cronista», p. 12).
24
fia; l’ultimo, Ragnatele «Strenna 1976» fu edito
dalla Tipografia Antoniana di Padova.
C
onsultando la
«Storia
delle
scritture veloci» di Francesco Giulietti2 si trovano citati i lavori dell’Aliprandi aventi «carattere
di sunti storici»: Storia
della Stenografia Italiana
nel periodo moderno (Padova, 1925) 3 e Lineamenti di Storia della Stenografia «con particolare riferimento all’Italia
(Torino, 1940). Nella
stessa opera del Giulietti sono citati anche i seguenti articoli o saggi
pubblicati su periodici
stenografici italiani:
— Storia interna stenografica - La Stenografia
come materia sussidiaria della Storia (1916)4;
— Aspetti culturali del
problema stenograf ico
(1925);
— Gabelsberger e Fayet
(1949)5;
— Interpretazione grafica di un verso dantesco,
19626.
G
li eventi stenografici che ancora fanciullo lo indirizzarono allo studio della
stenograf ia rimasero
certamente sempre nel
cuore e nella mente di
Francesco Aliprandi:
nel 1960, la rivista Regisole di Pavia pubblicava
infatti il suo articolo
L’Unione stenografica pavese nel suo luminoso
esordio.
Non sappiamo se ad
Aliprandi siano state attribuite anche le doti di
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
conferenziere e oratore, ma nello scorrere la
Cronologia, ricca di un
«fiume» di notizie, abbiamo trovato la seguente: «1926. 27 Maggio... Cinque conferenze stenografiche (Boaga, Bruniera, Bruno,
Degan, Aliprandi)». Riteniamo non sia stata
l’unica. E, grazie al professor Giuseppe Scardulla Di Salvo (Palermo) 7, è certo che, nel
1956, in occasione della
celebrazione del 50°
anniversario dell’Istitu-
to di Propaganda Stenografica di Palermo,
Giuseppe Aliprandi
pronunciò un memorabile discorso sulla stenografia in Sicilia. Nella
parte dedicata ai giovani presenti alla cerimonia, dopo alcune brevi
domande retoriche rivolte agli stessi, con riferimento a situazioni
reali, ed alle emozioni
dello stenografo al lavoro, egli «rispondeva»:
Solo noi stenografi siamo
sovente i testimoni muti di
questo travaglio spiritua-
Sintesi biografica
— Nasce a Tromello di Pavia il 15 novembre 1895.
— Socio straordinario dell’Unione Stenografica Pavese, 1906.
— Socio ordinario dell’Associazione Dattilografica
Italiana, 1913.
— Scrive «Impariamo la stenografia», suo primo lavoro, Pavia, 1914.
— Laureato in matematica presso l’Università di Pavia, 1915.
— Chiamato alle armi. Riceve la Croce di Guerra del
conflitto 1915-18.
— Si trasferisce a Padova come insegnante supplente
all’I.T. «Belzoni», 1919.
— Assistente volontario di algebra alla Cattedra di
analisi infinitesimale dell’Università, poi di ruolo,
1919-1923.
— Titolare di matematica finanziaria e attuariale all’I.T.C. «Calvi», 1921-1961*.
— Presidente della Prima Società Stenografica Italiana, Padova (1925).
— Direttore del periodico Studi Grafici di Padova
(già Bollettino dell’Accademia Italiana di Stenografia,
fondato da Ferruccio Stazi nel 1925), dal 1925 al
1975.
— Promotore dell’Accademia Italiana di Stenografia
(1925) e fondatore del I Centro di Studi Dattilografici
(1938), ricostituitisi in Accademia Italiana di Stenografia, Dattilografia e Informatica «G. Aliprandi» (Firenze,
1971).
— Socio corrispondente dell’Accademia Patavina di
Scienze, Lettere ed Arti (1971, già collaboratore dal
1918).
— Scrive il suo ultimo lavoro, «Ragnatele», 1975.
— Muore a Padova il 31 dicembre 1975.
*
Non 1922-1960 (v. nota 1).
le, oscuro, che finalmente
si placa nel verso di un
poeta, nella parola di un
oratore, nella precisazione
di un tecnico, nella dialettica di un politico.
E con quel noi, Giuseppe Aliprandi, nel rivedersi g ià stenog rafo
nell’adolescenza, si
metteva al livello di
quei giovani per elevarli
al suo. Riferendosi poi a
«questa nostra epoca
atomica», affermava:
L’ansia dei nostri tempi è
di tutti i tempi.
L’attimo è prezioso per
ogni figlio di Dio e dovrebbe richiedere l’impegno di
tutti i figli dell’Uomo.
„
2
Casa Editrice Giunti-G.
Barbera, Firenze, 1968.
3 Saggio vincitore del pubblico concorso bandito nel 1924
dalla Associazione Magistrale Italiana (Milano), che la
«Rivista d’Italia» (Milano), in
data 15 novembre 1925, «riconosce meritevole di pubblicazione integrale».
4 Su «Stenografia - Gazzetta
della Scuola GabelsbergerNoe» (Milano), n. maggio-ottobre 1916.
5 Su «La Lettura Stenografica», Napoli, n. novembre-dicembre 1949.
6 Su «Studi Grafici», Padova,
n. agosto-settembre 1962, riguardante l’interpretazione
del verso dantesco «I s’appellava in terra il sommo bene,
/ Eli si chiamò poi: ...», Paradiso, canto XXVI, vv. 134 e
136.
7 Professore, stenografo (Palermo). Nel 1991 inviò alla
Fondazione Giulietti il testo
stenografico del discorso
pronunciato a Palermo da
Giuseppe Aliprandi, il 10 giugno 1956, e ripreso da Franco Gagliano (v. «R. d. St.», n.
18/1991: «La Stenografia in
Sicilia», p. 10, e n. 20/1992, p.
2, «Lettere in Redazione».
a8
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
25
LA
FONDAZIONE
L
e «industrie» moderne, qualunque sia
l’oggetto prodotto, dispongono di uno o più centri di
studi e sperimentazioni,
che consentono di individuare, con tutta certezza, i pregi ed i difetti dei
materiali impiegati per la
fabbricazione delle singole
parti degli oggetti prodotti.
Perché non attrezzare
centri di studi e sperimentazioni per la individuazione sicura delle buone
qualità e dei difetti delle
lettere della «scrittura comune» e dei segni elementari della «stenografia»?
I membri del Consiglio di
amministrazione della
«Fondazione Francesco e
Zaira Giulietti» hanno
deciso di attrezzare un
«Centro di studi e sperimentazioni» che permetta
l’individuazione delle
buone qualità e dei difetti
dei «segni grafici» e dei
«mezzi scrittòri»: penna,
carta, tavolo, ecc.
Nell’attesa che la Fondazione disponga di tutti gli
«strumenti» necessari alla
sperimentazione – che
metterà a disposizione degli Studiosi di problemi
grafici italiani e stranieri
– pubblichiamo uno
«scritto» di Andrea Innocenzi, tratto dal libro dello stesso: «Unità della
Scrittura», Roma 1971.
AVVIA
UN CENTRO
DI STUDI E
SPERIMENTAZIONI
di Andrea Innocenzi
I
problemi relativi
alla scrittura sono
tanti e tali da farci seriamente temere di non
riuscire a risolverli nel
migliore dei modi. Alle
incertezze già note, relative alle sole scritture
derivate dall’alfabeto
latino (segni diritti o inclinati? Corsiva comune o script?), si aggiungono le incertezze relative alla posizione dello
scrivente e alla scelta
dei mezzi scrittorii. Si
potrà pervenire ad una
dei letterati e respingendo quelle dei tecnici
e degli esperti di problemi grafici.
P
er giungere sicuramente alla mèta è
indispensabile mettere
da parte le «belle parole» e presentare all’esame degli esperti dati
concreti e sicuri circa i
pregi e i difetti dei segni grafici.
Le prove, gli esperimenti e le conseguenti
valutazioni potranno
Le conquiste della tecnica
oggi ci forniscono
strumenti precisi ed efficienti
risoluzione del problema che soddisfi tutti?
Certamente è impossibile se si cerca la soluzione – come si è fatto
f ino ad ogg i – accogliendo le ‘conclusioni’
indicarci la via per scegliere con certezza la
scrittura migliore.
Dobbiamo, in un primo tempo, individuare
i mezzi, gli strumenti e
i metodi per registrare
dati sicuri. Le misurazioni compiute da esimi esperti nel passato ci
aiutano nel nostro lavoro di ricerca e di scelta
dei mezzi più adatti; le
conquiste ultime della
tecnica ci forniscono
strumenti eff icienti,
precisi e sicuri.
P
otremmo, per esempio, impiegare
macchine da ripresa cinematografica, a cento
fotogrammi al secondo, e cronografi di alta
precisione. Con gli apparecchi potremmo rilevare dati sicuri circa il
tempo per scrivere i
singoli segni, qualunque sia la loro posizione nelle parole (all’inizio, nel cor po e alla
fine delle stesse), e il
tempo per gli stacchi
della penna dal foglio;
potremmo, inoltre, individuare il movimento
dell’avambraccio, delle
dita della mano e della
punta del mezzo scrivente.
Risultati ugualmente
validi possiamo ottenere con str umenti
economici, di facile e
sicuro impiego; descriveremo questi ultimi per consentire
agli studiosi di eseguire prove uguali o simili a quelle da noi ef-
26
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
fettuate, onde potere
confermare o confutare i risultati che, mediante essi, abbiamo
desunto.
Penna interruttore
C
ome poniamo
mente alla possibilità di valutare la
bontà d’una scrittura, i
pregi e i difetti dei singoli segni, siamo indotti
a individuare il tempo
impiegato per scrivere i
segni elementari, gli
stenogrammi e gli scritti di una o più parole.
Per tali valutazioni è
sufficiente un buon cronometro che, se impiegato bene – in modo da
assicurare la simultaneità tra lo scatto dello
stesso e l’inizio e la fine
d’ogni prova – dà buoni
risultati.
Ma i dati desunti con
tale strumento (il solo
cronometro) non ci
soddisfano completamente poiché, per
esempio, non possiamo
conoscere il tempo intercorso tra la fine d’un
segno e l’inizio del successivo (stacco tra i segni d’una stessa parola,
tra le parole d’una stessa riga e tra parole di righe contigue) e non ci è
possibile conoscere il
tempo impiegato per
scrivere un segno unito
ad altri segni all’inizio,
nel cor po o alla f ine
delle parole.
D
obbiamo, necessariamente, ricorrere ad altri strumenti. Il primo che può
soddisfare gran parte
TAVOLA I
Mario Boni ha raccolto in un «fascicolo» gli articoli, pubblicati nella rivista «Scienza stenografica», attorno agli
«studi di meccanica grafica», dal 1923 al 1931. In detto ‘fascicolo’ sono illustrati gli studi, gli apparecchi e i risultati
relativi alla «scorrevolezza dei segni», al «computo dei movimenti», alla «legge d’inerzia» e allo «sforzo muscolare».
L’autore ricorda, in particolare, gli studi di J. B. Estoup
(1868-1950), di Giuseppe Maria Picena, di Thierry-Mieg
(1820- 1902) e l’opera di F. W. Kaeding (1843-1928): «Ueber Geläufigkeits Untersuchungen oder Festellung der
Schreibflüchtigkeit der schriftzeichen» (Ricerche sulla
scorrevolezza ovvero fissazione della facilità di tracciamento dei segni stenografici), pubblicato a Steglitz, Berlin
1898.
Nel libro del Kaeding sono ricordati gli esperti che hanno
compiuto studi di meccanica grafica; sono trascritti moltissimi dati attorno alla scorrevolezza dei segni e sono descritti gli apparecchi usati per le prove da alcuni ricercatori, tra i quali il ‘kronosko’ di Hipp e la ‘penna elettrica’ di
Edison. Studi rilevanti di meccanica grafica hanno compiuto, negli ultimi decenni:
1° Giuseppe Aliprandi, «Studi di meccanica grafica», Bollettino dell’Accademia Italiana di Stenografia, novembredicembre 1928.
2° Giovanni Boaga, «Confronto dei sistemi stenografici
Meschini e Noe in base al computo dei tempi», Vol. III della «Biblioteca di Scienza Stenografica», Milano 1932.
3° Filiberto Vignini, ideatore del «Grafotachimetro»; egli
ha notificato i risultati ottenuti nella rivista «Studi grafici»,
n. 132, 1956 e n. 142, 1958 e nella «Rivista degli stenografi», nn. 1/2, 1959.
4° Andrea Innocenzi, ha eseguito studi di meccanica grafica, i cui risultati sono stati pubblicati nel libro «Le scritture
dell’avvenire», tipografia Quatrini, Viterbo 1960.
5° N. N. Sokolov, ha compiuto studi e ricerche di meccanica grafica di grande rilievo, che ha pubblicati nel libro:
«Basi teoriche del sistema statale unico di stenografia»,
Mosca 1940 (1ª edizione, Mosca 1937).
6° Milos Matula, notifica interessantissimi dati di meccanica grafica mediante il libro «Teoria e pratica della stenografia», Praga 1958.
delle nostre esigenze è
un «cronografo», la cui
simultaneità tra lo scatto dello stesso e l’inizio
e la fine della scrittura
d’un segno sia indubbia
e che ci permetta di misurare il tempo con
l’approssimazione di un
ventesimo (1/20) o di
un centesimo (1/100) di
secondo.
I tecnici possono facilmente costruire un tale
strumento; descriveremo quello da noi impiegato.
Esso è costituito da tre
parti: la penna interruttore, l’elettrocalamita e
il meccanismo per imprimere il moto alla
zona, striscia di carta di
larghezza uniforme
(Tav. I).
P
er un’immediata
comprensione del
funzionamento di questo apparecchio, basta
pensare alla «macchina
telegrafica Morse» che,
ancora oggi, è usata in
alcuni uffici postali per
trasmettere i telegrammi: come l’operatore
abbassa il ‘tasto’, resta
impresso sulla zona
scorrevole un segno
rettilineo, la cui lunghezza è in rapporto
diretto al tempo di
chiusura del circuito
(chiusura determinata
per mezzo del tasto,
che funge da interruttore). Se noi sostituiamo al tasto una penna
(che chiuda il circuito
come s’inizia a scrivere
e che lo apra nell’istante in cui si stacca la
penna dal foglio) e se
assicuriamo, con op-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
portuno regolatore, lo
scorrimento della zona
a velocità costante,
avremo realizzato il
«cronografo» adatto all’uopo. Lo schema della «penna interruttore»
consente di conoscere
meglio l’apparecchio.
Non riteniamo necessario descrivere i singoli
organi, poiché i tecnici
possono comprendere
bene il funzionamento
della penna e possono
costruire senza diff icoltà l’elettrocalamita e
il meccanismo per lo
scorrimento della zona
(volendo, si potrebbe
utilizzare una macchina telegrafica Morse: è
sufficiente sostituire al
meccanismo a molla,
che imprime il movimento alla zona, un
meccanismo a gravità);
mentre riteniamo utile
indicare i pregi e le caratteristiche dei singoli
congegni.
L
a «penna interruttore» deve avere le
dimensioni e il peso
d’una comune penna
stilografica (si può costruire partendo da una
‘Parker’ a sfera). La distanza «S», tra il perno
fisso al serbatoio della
biro e quello avvitato al
coperchio, è di circa
due decimi di millimetro; la pressione della
molla «m» sulla biro, si
regola mediante l’anello a vite «A» – secondo
le attitudini e abitudini
dello scrivente – in
modo che si chiuda il
circuito (mediante il
contatto tra i due perni,
ai quali fanno capo i fili
27
uniti uno ad un polo
della pila e l’altro ad
uno dei morsetti dell’elettrocalamita) come lo
scrivente traccia un segno e si apra come lo
stesso cessa di scrivere,
sollevando la penna o
non esercitando più alcuna pressione sulla
del meccanismo che
imprime il moto alla
zona, richiede molta accortezza e molta pazienza. Solo quando si è
sicuri della rispondenza
perfetta dell’apparecchio, si possono iniziare
le prove pratiche.
L’operatore deve ese-
a zona si può far
scorrere a bassa o
ad elevata velocità. A
nostro parere, la velocità più rispondente ai
nostri scopi è di 1200
millimetri al minuto 1.
La relazione tra la lunghezza del tratto rettilineo sulla zona e il tempo impiegato per scrivere il segno corrispondente è la seguente.
centesimo di secondo.
Ai nostri fini interessa
di più la comparazione
tra i tempi necessari
per scrivere un determinato segno, piuttosto che il valore assoluto del tempo. Volendo
eseguire misurazioni
del tempo in centesimi
di secondo, conviene
scrivere cinque volte lo
stesso segno e valutare
il tempo complessivo:
in tal caso la lunghezza
in millimetri dall’inizio
alla fine della traccia
dei cinque segni sulla
zona, dà il tempo medio per scrivere un segno in centesimi di secondo. Infatti al trattino sulla zona lungo un
millimetro corrisponde il tempo di 1/20 di
secondo ovvero di 5
centesimi; il tempo
medio ‘T’ per scrivere
un solo segno si ottiene dividendo per cinque il tempo impiegato a scrivere cinque segni (Tav. II/1, 2); pertanto il tempo ‘T’ in
centesimi di secondo è
uguale alla lunghezza
in millimetri misurata
sulla zona dall’inizio
del primo trattino alla
fine dell’ultimo: T =
Lunghezza
del
trattino
Tempo
per il
segno
1
1200 mm
20 mm
1 mm
0,2 mm
60 sec.
1 sec.
1/20 sec.
1/100 sec.
Si potrebbe utilizzare
anche una macchina
telegrafica Morse
stessa. L’elettrocalamita
che imprime il moto al
«pennino», dev’essere
costruita in modo da
eliminare l’effetto della
«isteresi magnetica»; la
distanza «S1» e l’azione
della molla «m1» si devono regolare in modo
che il «pennino» tracci
sulla zona un segno
netto e chiaro.
Il meccanismo che imprime il movimento
alla zona deve consentire la regolazione della
velocità in modo che
questa abbia il valore
prefissato e si mantenga costante qualunque
sia il tempo atmosferico
(se il meccanismo comprende un «freno aereodinamico», che è presente nella macchina
Morse, la velocità della
zona è influenzata dalla
pressione atmosferica)
e qualunque sia la posizione del pennino: sollevato o aderente alla
zona.
La messa a punto della
«penna interruttore»,
dell’elettrocalamita e
guire numerosissime
prove preparatorie e
quando è sicuro di sé e
dell’apparecchio può
desumere dalla zona i
dati definitivi che lo interessano.
L
Si comprende che non
è facile valutare sulla
zona due decimi di
millimetro e quindi un
Si potrebbe far scorrere la
zona velocemente fino ad
ottenere, per esempio, che al
tempo di un centesimo di secondo, corrispondesse la
lunghezza di un millimetro;
però si avrebbe l’inconveniente di dover esaminare
una zona cinque volte più
lunga: cosa assai scomoda in
particolare quando accanto
allo stenoscritto si pone la
corrispondente zona.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
Lx5 = L2. La lunghezza
‘l’ di zona compresa
tra due trattini, indica
il tempo per lo stacco
della penna dal foglio e
cioè il tempo intercorso dal momento in cui
si cessa di scrivere un
segno all’istante in cui
s’inizia a scrivere il seguente.
D
alla distanza ‘S’
si desume il
tempo impiegato per
scrivere un segno senza tener conto del
tempo per lo stacco.
Analoghe misurazioni
si eseguono per trovare i dati relativi alla
‘m’ e per qualunque
altro segno o parola o
frase.
Se, ad esempio, scriviamo la fr ase: «chi
bene ama bene punisce» (Tav. II/3), nella
quale compaiono segni diacritici e d’interpunzione, il cambio
della riga e lo stacco
tr a le lettere d’una
stessa parola (punisce),
possiamo individuare i
dati seguenti:
1° il tempo per scrivere
l’intera frase (che è di
10 secondi);
2° il tempo per scrivere
ogni parola;
3° il valore degli stacchi
tra le parole;
4° il valore dello stacco
tra le righe;
5° il valore dello stacco
per i segni diacritici e di
quelli di punteggiatura;
6° il valore dello stacco
tra due lettere d’una
stessa parola (punisce).
Eseguendo numerose
prove, alla massima celerità, in caratteri di
28
stampa, in corsivo e in
stenografia, si possono
rilevare i valori minimi
e massimi più frequenti
degli stacchi della penna dal foglio; detti valori, in centesimi di secondo, sono i seguenti:
1° tempo per stacco tra
due segni uguali: 7-18;
2° tempo per stacco tra
due parole d’una stessa
riga: 15-25;
3° tempo per stacco tra
due righe contigue: 3050;
4° tempo per i segni
diacritici: 10-25;
5° tempo per le esitazioni mentali o grafiche: da 50 a più di
100.
Penna duplice
V
iene spontaneo di
mettere in dubbio
la validità dei dati citati
o, quanto meno, di
chiedersi: «per quale
motivo gli stacchi della
penna dal foglio assorbono tanto tempo?».
Chi ha presenti le leggi
della dinamica non tarda ad accogliere i risultati citati, poiché sa che
l’inerzia della mano e
della penna ostacolano
il libero movimento
della punta scrivente e
intuisce che il percorso
della stessa è assai diverso dalla cong iungente la fine d’un se-
gno con l’inizio del seguente. Come identificare tale percorso? Si
può ricorrere alla ‘cinepresa’ o ad altri congegni. Descriviamo la
«penna duplice» da noi
usata (Tav. II/4).
Ad una penna a sfera o
biro (può usarsi anche
una penna stilografica
o una matita) è fissata
la forcella ‘f ’, all’estremità della quale ruota
attorno al perno ‘p’, il
pennino per normografo ‘P’. La rotazione
di questo in senso orario e in senso antiorario
è limitata dalle caratteristiche costruttive della forcella. I segni tracciati con la biro sono riprodotti fedelmente dal
pennino quando le due
punte scriventi toccano
contemporaneamente
il foglio; però, nel momento in cui la punta
della biro è sollevata
per tracciare un altro
segno, il pennino resta
a contatto con il foglio
2
TAVOLA II
Il tempo medio per scrivere un segno elementare o
uno stenogramma, può variare da operatore ad operatore e, per uno stesso operatore, a seconda le sue condizioni fisiche e psichiche del
momento. Va da sé che l’operatore accorto non accoglie, come definitivo, il primo risultato ottenuto; ma,
dopo aver eseguito numerose prove per uno stesso segno o per uno stesso stenogramma, sceglie quella zona
che (in riferimento alla lunghezza dei trattini) ricorre
più frequentemente e che
presenta i cinque trattini, indicanti il tempo d’uno stesso
segno, tutti uguali o lievemente differenti tra loro.
29
(per la forza di gravità
ruota attorno al perno
‘p’) e lascia traccia del
percorso aereo della
punta scrivente. L’operatore dovrà eseguire
numerosi esercizi per
ottenere risultati attendibili; in particolare dovrà curare che le due
scritture, quella della
biro e quella del pennino, siano uguali quando entrambi le punte
toccano il foglio e che
la punta della biro sia
sollevata il meno possibile.
N
ella Tavola III, numeri 1 e 2, sono
indicati con linea a puntini i percorsi aerei di alcuni segni, quando
sono tracciati alla massima velocità (se fossero
tracciati lentamente il
percorso aereo coinciderebbe con la congiungente gli estremi
dei segni contigui).
I percorsi aerei hanno, a
volte, una lunghezza
superiore a quella dei
segni stessi; è pertanto
comprensibile che essi
possano assorbire tempi elevati; per renderli
minimi è indispensabile
ridurre la massa in movimento, eliminare i segni diacritici e far coincidere l’inizio e la fine
dei segni con la riga di
base.
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
migliori segni delle
scritture corsiva, a
stampa e stenografica.
Infatti, possiamo classificare i segni in ordine
al tempo impiegato per
scriverli separatamente
e abbiamo la possibilità
di individuare il valore
dello stacco della penna
dal foglio.
Per la scrittura a stampa
(stampatello o script, le
cui lettere sono staccate
le une dalle altre) ci è
possibile individuare il
tempo per scrivere
qualsiasi parola, sommando i tempi per scrivere le singole lettere
della stessa parola.
Per la scrittura corsiva
Strumenti
a duplice scrittura
L
a «penna interruttore» e la «penna
duplice» ci consentono
di rilevare dati validi
per l’individuazione dei
TAVOLA III
comune, le cui lettere
d’una stessa parola possono essere unite senza
staccare la penna dal foglio, il tempo totale
non coincide con la
somma dei tempi richiesti dalle singole lettere; anzi, si nota che
tale tempo è sempre
minore della somma
detta, poiché sono eliminati i tempi perduti
per gli stacchi della penna. Volendo si potrebbe
calcolare il tempo per
scrivere qualsiasi parola
noti i tempi per ciascuna lettera e ricordando
che il tempo medio assorbito dagli stacchi
della penna è di 15 cen-
tesimi di secondo.
Le lettere della scrittura
corsiva comune hanno
tutte inizio e fine sulla
riga di base e la loro
pendenza è uniforme,
sia se scritte isolatamente, sia se unite ad
altre; mentre alcuni segni elementari e composti della stenografia
si uniscono gli uni agli
altri anche al di fuori
della riga di base e possono scriversi con pendenza differente; ne
consegue che lo stesso
segno richiede tempi diversi a seconda che sia
scritto isolatamente o
unito ad altri segni all’inizio, nel corpo o alla
fine delle parole. È il
caso, per esempio, dei
segni la cui pendenza è
contraria a quella normale, di quelli ‘rafforzati’ e di quelli che possono scriversi in senso
orario o antiorario.
Come individuare il
tempo richiesto da tali
segni quando sono uniti
ad altri? Tale ricerca è
indispensabile poiché si
cade in errore facilmente quando si pretende
di valutare a vista il
tempo per scrivere determinati stenogrammi. Gli errori, più frequenti, commessi nella
valutazione a vista sono
i seguenti:
1° si ritiene che il tempo dello stacco della
penna per tracciare i segni diacritici sia piccolissimo, quasi insignificante ai f ini pratici,
mentre esso raramente
scende al di sotto di 10
centesimi di secondo e
può assumere valori at-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
torno ai 25 centesimi;
2° molti sono convinti
che i segni corti si scrivono in un tempo breve; mentre essi, se hanno pendenza contraria a
quella normale, possono assorbire un tempo
anche doppio di quello
richiesto da un segno
assai più lungo ma di
pendenza normale;
3° i segni rafforzati, secondo alcuni, si scrivono in un tempo che è
del 10% superiore a
quello richiesto dallo
stesso segno filiforme:
tale risultato può essere
vero quando il segno è
scritto isolatamente, è
errato quando è scritto
nel corpo della parola;
4° alcuni segni, scritti
l’uno di seguito all’altro, danno origine ad
un punto d’unione
chiamato «punto morto» o di «velocità nulla»
(Tav. III/3). È convinzione comune che il
tempo di sosta nel
«punto morto» sia insignificante ai fini pratici,
mentre esso varia da 5
centesimi di secondo
per gli angoli acuti a 25
per gli angoli ottusi;
5° alcuni ritengono che
raccordando con un
piccolo arco di cerchio i
segni rettilinei (Tav.
III/4) non si perda tempo per l’unione degli
stessi; le prove rivelano
che il ‘raccordo’ non
rende minore il tempo
impiegato per scrivere i
detti segni.
P
er rilevare le errate
convinzioni di alcuni esperti di studi grafici o, comunque, per in-
30
dividuare con tutta certezza il tempo per scrivere un segno qualsiasi
unito ad altri segni, in
un punto qualunque
della parola, è indispensabile far ricorso a strumenti e a prove che diano risultati sicuri. Anche in tal caso le vie da
seguire possono essere
diverse; descriveremo la
via da noi seguita. Mediante la «penna duplice P» (Tav. III/5), le cui
due punte scriventi
sono rigidamente fissate allo stesso astuccio
(in tal modo i segni
tracciati con le stesse
sono perfettamente
uguali), si traccia lo stenogramma che interessa sul foglio fisso ‘F’ e
sulla zona ‘Z’. Se questa
è ferma i due stenogrammi risultano uguali; se la zona è in movimento, lo stenogramma tracciato su di essa
risulterà deformato; la
deformazione dipende
dalla forma dello stenogramma e dalla velocità
della zona. Il congegno
che pone in movimento
la zona è uguale a quello usato per la «penna
interruttore»; la velocità di scorrimento può
essere di 1200 millimetri al minuto; la larghezza della zona è di
circa 20 millimetri.
Se, per esempio, tracciamo sul foglio ‘F’ un
segno parallelo all’asse
di scorrimento, sulla
zona ‘Z’ risulterà anch’esso rettilineo però
di lunghezza maggiore
(Tav. III/6, 7). Il tempo
impiegato per scrivere il
detto segno ha un valore, in ventesimi di secondo, pari alla differenza delle due lunghezze in millimetri.
Se il segno tracciato sul
foglio è normale all’as-
I complimenti di Bill Clinton a Andrea Innocenzi per il
suo libro «Stenografia Culturale Leonardo» edito dalla
Tipolitografia Pioda di Roma.
se di scorrimento, sulla
zona risulterà un segno
obliquo la cui lunghezza in millimetri della
proiezione di esso sull’asse di scorrimento,
dà il tempo in ventesimi di secondo. Per individuare il tempo impiegato per scrivere un segno obliquo verso destra o verso sinistra, si
eseguirà la differenza
delle proiezioni dei segni nel primo caso e la
somma nel secondo.
Q
uando lo stenogramma è formato da due segni uniti
ad angolo, si nota sulla
zona un tratto rettilineo
in corrispondenza del
«punto morto»: segno
evidente che in tal punto la penna si è fermata;
dalla lunghezza di tale
tratto (‘l’) si desume il
tempo di sosta.
Nella Tavola III, numeri
6 e 7, sono riportati gli
stenogrammi tracciati
sul foglio, sulla riga ‘a’ e
quelli corrispondenti
sulla zona sulla riga ‘b’
(le posizioni dei segni
sono invertite per comodità di rappresentazione).
Con tale apparecchio è
possibile individuare il
tempo per scrivere ciascun segno d’uno stenogramma e, volendo,
il tempo richiesto da
ogni tratto d’uno stesso segno. Le prove richiedono una preparazione adeguata e molta
pazienza; però esse
dànno completa soddisfazione all’operatore
accorto.
„
a7
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
G
ià alla f ine del
1990, il professor
Charles Ramade dell’Institut International
de Sténographie Duployé di Parigi scriveva
su «La Vérité Sténographique» che i detrattori della Stenografia avevano contestato
la necessità del suo insegnamento nelle
scuole. Lo stesso termine sténographie era
stato «bandito dai testi
ufficiali e sostituito da
prise rapide de la parole,
permettendo così d’introdur re l’insegnamento della écriture
abregée (scrittura abbreviata) pallido ersatz
(surrogato) dell’arte
alata». Le ore d’insegnamento venivano ridotte, la velocità abbassata, e la ripresa rapida della parola declassata alla «semplice
integ r azione di una
prova orale»1.
D
alla relazione
dell’Assemblea
dell’ottobre 1994, pubblicata sul Bollettino
che ha sostituito «La
Vérité», si rileva che la
stenog raf ia è quasi
scomparsa nell’insegnamento pubblico e
dagli esami, che è venuta a mancare l’orga-
31
MAL
COMUNE
NON PORTA
GAUDIO L
di Attilio Ottanelli
nizzazione di prove generali, nonché l’adesione di nuovi soci che
raccogliessero il «testimone» di quelli anziani
scomparsi. Tutto questo, unito agli inevitabili gravami d’esercizio
mette a rischio l’esistenza stessa dell’Associazione e conseguentemente quella della
«tradizione» del Sistema di cui reca il nome
dal 19242.
D
opo aver confermato per tre
anni il Consiglio
uscente presieduto dal
professor Ramade, e
prese dolorose decisioni per fronteggiare la
situazione, l’Assemblea dei soci di quel sodalizio parigino tenuta
nell’ottobre 1994 ha
dato incarico al Presidente di prendere contatto con le altre associazioni stenografiche,
allo scopo di ricercare
possibili iniziative da
intraprendere per il sostegno del loro Sistema. Successive riunioni con i rappresentanti
delle Associazioni (ma
non ci è ancora noto
l’esito del primo passo)
potrebbero poi mettere a punto le soluzioni
da sottoporre alle Assemblee di ciascuna
Associazione interessata.
e incomprensioni,
le diff icoltà, le
amarezze certamente
sofferte dai Dirigenti e
dai Soci dell’Istituto
Duployé di Parigi e da
quelli delle Associazioni ad esso collegate rispecchiano analoghe situazioni e vicende che
si sono g ià svolte o
stanno svolgendosi anche in Italia, un tempo
ricca di associazioni e
centri d’insegnamento
della stenografia, tutti
stimati e benemeriti.
Ai Dirigenti ed ai sostenitori delle Associazioni Duployé la «Rivista
degli Stenografi» esprime il proprio solidale
rammarico per le sfavorevoli circostanze venute a determinarsi nell’insegnamento della
Stenog raf ia nel loro
Paese ed auspica che il
loro deciso proposito
possa arrestare e superare ogni difficoltà.
1
V. «R. d. St.», n. 22/1992.
La Stenografia Duployé fu
pubblicata per la prima volta
da Émile Duployé (18331912), parroco nelle vicinanze
di Parigi, e dal fratello Alfonso,
sotto il titolo «Méthode pratique de Sténographie, ou l’Art
de suivre avec l’écriture la parole la plus rapide» (F. Giulietti: «Storia delle Scritture Veloci», Giunti-Barbera, Firenze).
2
In Francia la stenografia
sta scomparendo
dal pubblico insegnamento
La crisi del “Duployé”
a3
32
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
N
ella mia biblioteca
c’è una «Storia
dell’enigmistica» di G.
A. Rossi, con questa dedica di Ada Beltrami, indimenticata studiosa di
Stenografia: «Al collega Giuseppe Capezzuoli, unito a me nell’amore per l’arte di
Edipo e per quella di
Tirone con viva stima
e sincera amicizia». E
non siamo stati noi due
soli con questa passione
per l’enigmistica classica: ricordo solo,
fra i giornalisti
stenografi, Giulio
Cattini e lo stesso Guglielmo Di
Giovanni, con i
quali affrontavamo le crittografie
delle riviste specializzate nell’attesa che il Consiglio comunale di
Milano raggiungesse il numero legale (parlo di oltre
quarant’anni fa).
C
’è,
dunque,
un’aff inità fra
stenografia ed enigmistica, forse perché entrambe chiedono di riprodurre, attraverso segni o ragionamenti, il pensiero
di altri. E per saggiare se
questo è vero, il direttore
della nostra rivista, Paganini, mi ha chiesto di
dare un avvio a questa
rubrica.
Vi presento, perciò, alcuni
indovinelli de «Il Valletto»
e qualche crittograf ia
mnemonica. Fra tutti
QUANDO TIRONE INCONTRA EDIPO
La pagina
dei
a cura di Giuseppe Capezzuoli
Le risposte vanno inviate a:
“Rivista degli Stenografi” - La pagina dei giochi
Piazzale Donatello 25 - 50132 Firenze
INDOVINELLI
DE «IL VALLETTO»
Il cappellano
dei galeotti
Si dice che esso appaia
con frequenza fra quei
ch’altro non sono che
dei numeri e pure in
mezzo ad elementi simili sappia sempre mostrare indifferenza.
Diagnosi
Non posso certo escludere sia grave e prescrivendovi un rinforzante
tonico compìto
avrò il mio còmpito.
Orologio matto
Faceva il quarto.
Al contrario era
l’una.
Il galateo
Tante son le
virtù, tante le
grazie ch’esso,
fra i primi, apprendere ci fa
con la sua saggia
regola di compostezza e di
semplicità.
coloro che avranno
inviato entro la fine di
maggio, il maggior
numero di soluzioni
verranno estratti cinque vincitori, ai quali
saranno assegnati, il volume di Francesco Giulietti, «Storia delle scritture veloci», e una pubblicazione del Gruppo Giunti.
F
ormuliamo un invito ai nostri lettori:
trovare un anagramma
del titolo La Rivista degli Stenografi, con una
frase che abbia, possibilmente, qualche attinenza
con la materia, anche se,
certamente, sarà difficile
trovarne di brillanti quali, ad esempio, «bibliotecario», «beato coi libri»
oppure «L’aldilà misterioso», «assillo dei mortali». Anche in questo caso
per le frasi migliori, da
inviare entro la fine di
maggio, mettiamo in palio il volume Storia delle
scritture veloci, e una
pubblicazione del Gruppo Giunti.
CRITTOGRAFIE
MNEMONICHE
(5,5) di Flos
Calcolatore elettronico
(7,2,10) di Micino
Maestra
(2,6,8) di Ombretta
Mai
(5,3,5) dell’Estense
Calligrafo
Le soluzioni e i nomi dei
vincitori sul prossimo
numero della Rivista.
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