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300/2008
IR
LA PREMESSA
L’INDICE
LA PREMESSA
1
MEGLIO GLI ALIMENTI ITALIANI
2
DOP
3
IGP
4
STG
4
I PRODOTTI BIOLOGICI
6
GLI ALIMENTI CON LA TARGA
8
LA QUALITA’ ALIMENTARE
12
MEGLIO L’OLIO D’OLIVA
EXTRA VERGINE ITALIANO
14
MEGLIO I FORMAGGI ITALIANI
18
MEGLIO I PROSCIUTTI ITALIANI
23
MEGLIO GLI ORTOFRUTTICOLI
ITALIANI
27
Testo:
Emanuele Piccari
Disegno di copertina:
Arianna Buzzi
I risultati dei sondaggi sono chiari: nel nostro
Paese, quasi 90 consumatori su 100 preferiscono
comprare alimenti italiani, eppure non è facile riconoscerli. Soltanto comprando gli alimenti DOP (denominazione d'origine protetta) e IGP (indicazione geografica protetta) si ha la certezza di comprare “italiano”.
Ma già con gli IGP la certezza vacilla, poiché la materia prima, in qualche caso, può provenire dall'estero
ed essere lavorata in Italia, così come succede con
tantissimi altri prodotti alimentari, anche perché
l'Italia è deficitaria di molte materie prime, oppure
perchè quelle estere costano meno. Perfino il grano
duro per fare la pasta, piatto nazionale per eccellenza,
viene importato in gran parte dall'estero.
Naturalmente la materia prima estera può essere
addirittura migliore, ma resta il fatto che gli alimenti
italiani, specialmente quelli DOP e IGP, sono i più imitati al mondo.
Questo opuscolo, elaborato dall'Unione
Nazionale Consumatori con il contributo del Ministero
delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha lo
scopo di illustrare le caratteristiche dei prodotti DOP,
IGP, STG, di quelli biologici e, più in generale, dei prodotti di qualità, per aiutare il consumatore a scegliere
“italiano”, dal momento che, come dimostrano i sondaggi, è quello che vuole.
DOP - IGP - STG
MEGLIO
GLI ALIMENTI
ITALIANI
O
rmai da diversi anni il consumatore ha preso
confidenza con queste sigle: DOP, IGP e STG,
Anche se forse non ne ricorda bene il significato: DOP sta per denominazione di origine protetta, IGP
è indicazione geografica protetta e STG, forse la meno
conosciuta, è specialità tradizionale garantita. Prima
c'era soltanto una sigla, DOC, denominazione d'origine controllata, ma ora è riservata ai vini. Le altre tre
sigle sono europee, nel senso che valgono in tutta
Europa e per tutti i prodotti alimentari. In altre parole,
un prodotto DOP italiano (o di qualsiasi altro paese
della CE) è riconosciuto tale in tutta Europa e il nome
non può essere imitato al di fuori della sua zona, a tutela della sua credibilità e, naturalmente, dei
consumatori. Le relative richieste di
riconoscimento dei prodotti DOP,
IGP e STG devono essere infatti
iscritte, dopo il riconoscimento,
in appositi registri comunitari
delle denominazioni tenuti dalla
Commissione Europea, alla
quale devono essere trasmesse,
ma prima sono vagliate dal
Governo italiano.
Soltanto le associazioni di produttori o trasformatori possono pre2
DOP - IGP - STG
sentare al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari
e Forestali le domande per ottenere i riconoscimenti
DOP e IGP europei dei prodotti alimentari. Lo ha precisato lo stesso Ministero con una circolare in considerazione del fatto che è praticamente terminata la procedura semplificata prevista dal Regolamento CE n.
2081/1992 per i prodotti che avevano già ottenuto una
denominazione d'origine nazionale.
Le domande per i riconoscimenti devono essere
accompagnate, tra l’altro, dal disciplinare di produzione,
da una relazione tecnica e una storica e dalla cartografia con l'individuazione precisa della zona di produzione e dei suoi confini; è
necessario infatti allegare una cartina
dell'Italia con l'individuazione della
zona in modo che
la Commissione UE
e gli altri partner europei abbiano cognizione
della sua localizzazione. Il Ministero acquisirà poi i pareri della regione o provincia autonoma da trasmettere a
Bruxelles.
Le richieste, dopo l'esame della Commissione europea, sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale CE e, se
nessuno si oppone, la denominazione può essere iscritta nel registro.
Queste sono le qualifiche:
Denominazione di origine protetta (DOP)
E' la qualifica più prestigiosa e difficile da
ottenere, in quanto bisogna dimostrare che la
particolare qualità e le caratteristiche del prodotto sono dovute “sostanzialmente o esclusi3
DOP - IGP - STG
vamente” alla circoscritta e “ben delimitata” zona di produzione; saranno così riconosciuti, per esempio, i salumi e i formaggi italiani che già erano a DO (denominazione d'origine) e nessun altro produttore comunitario
fuori dalla zona potrà usare la denominazione.
Questa, come le altre denominazioni, sono facilmente riconoscibili dal consumatore che è ormai abituato a cercare il marchio cumunitario costituito da un sole
stilizzato con interno blu e corona gialla che accompagna la qualifica ottenuta dal prodotto.
Indicazione geografica protetta (IGP)
E' una qualifica più accessibile poiché
per ottenerla basta una sola caratteristica di
distinzione o la “reputazione” del prodotto
proveniente da una zona solo “delimitata”;
potrebbero rientrarci molti prodotti tipici o
candidati tipici italiani e nessun altro produttore comunitario fuori dalla zona (che può essere estesa a diverse
regioni) può usare la denominazione.
Però non tutte le fasi della produzione devono avvenire in zona (per esempio, la materia prima può provenire dall’estero, purché rispetti i requisiti previsti dal disciplinare di produzione).
Specialità tradizionale garantita (STG)
Oltre ai DOP e agli IGP, come si è detto,
ci sono gli alimenti che hanno ottenuto il
riconoscimento STG, ovvero “specialità tradizionale garantita”, sempre disciplinati da un
4
DOP - IGP - STG
Regolamento CE. Si tratta sostanzialmente di un marchio comunitario senza alcuna relazione con una zona
di produzione, ma è un riconoscimento di certe caratteristiche specifiche di un prodotto alimentare che lo
distinguono nettamente dai prodotti analoghi appartenenti alla stessa categoria. Possono diventare SGT, per
esempio, un liquore alle erbe, un dolce come il panettone, una mozzarella, una salsa, un gelato, eccetera. Le
caratteristiche devono essere stabilite da un apposito
disciplinare approvato dalla Commissione CE, come è
successo, ad esempio, con la bresaola o con la mozzarella italiana, che possono fregiarsi dell'aggettivo “tradizionale”.
Per fregiarsi del marchio STG, la mozzarella del
latte di vacca deve essere ottenuta con lattoinnesto
naturale, aggiunta di caglio bovino liquido, coagulazione presamica a 35-39°C, taglio, rottura e dissieramento della cagliata e maturazione lattica della stessa fino a un pH (grado di acidità) di 5,0-5,4, filatura,
formatura a caldo della pasta e rassodamento in
acqua fredda. In ogni caso, deve essere ottenuta a
partire da latte intero che arriva crudo allo stabilimento, eventualmente regolato solo per quanto concerne
il contenuto in materia grassa, ma l'elemento qualificante è il lattoinnesto naturale, che deve essere preparato con latte proveniente dalla zona di raccolta
dello stabilimento di produzione del formaggio e utilizzato in loco. La mozzarella tradizionale deve presentarsi al consumo con una pelle di consistenza
tenera, superficie liscia e lucente di colore bianco
latte, pasta a foglie sovrapposte che rilascia al taglio e
per leggera compressione liquido lattiginoso, occhiature assenti, sapore fresco e delicatamente acidulo,
odore di latte lievemente acidulo.
5
I PRODOTTI BIOLOGICI
I prodotti biologici
Secondo recenti indagini i prodotti biologici sono più conosciuti dei DOP e IGP. In
effetti l'Italia è uno dei più grandi produttori
di alimenti biologici, che si distinguono da
quelli convenzionali perché hanno regole
più severe di coltivazione o di allevamento. Riportano la
dicitura “da agricoltura biologica” e, oltre ai controlli normali, sono soggetti a quelli di organismi autorizzati dal
Ministero delle Politiche Agricole, Forestali e Alimentari.
Quelli trasformati possono essere denominati biologici solo se almeno
il 95 per cento
degli ingredienti proviene da agricoltura biologica.
Tuttavia è ammessa la denominazione “da
agricoltura biologica” anche se gli ingredienti biologici
sono fra il 70 per cento e il 95 per cento del totale, a condizione che in etichetta sia specificata la percentuale
con la dizione “tot % degli ingredienti di origine agricola ottenuti conformemente alle norme della produzione
biologica”. Infine, c'è una terza categoria, comprendente i prodotti che stanno per diventare biologici, in quanto l'agricoltore che li produce sta convertendo la sua
coltivazione. In questo caso, sempre secondo le norme
comunitarie, la dizione prevista in etichetta è “prodotto
in conversione all'agricoltura biologica”.
Ci sono poi i biologici di derivazione animale, come
carni, formaggi, salumi, latte, uova, eccetera che hanno
le seguenti regole.
6
I PRODOTTI BIOLOGICI
carne può essere venduta sia in porzioni già con• Lafezionate
sia a taglio, ma in questo caso il macellaio
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•
dovrà tagliarla in presenza del consumatore e le indicazioni obbligatorie, eventualmente accompagnate
anche dalla dizione “carne da agricoltura biologica”,
dovranno essere riportate su un cartello visibile al consumatore. Il pollame biologico, però, non può essere
tagliato in presenza del consumatore, ma venduto in
porzioni già confezionate oppure in carcasse intere. Il
coniglio biologico ancora non esiste, perché non
disciplinato. Lo stesso vale per il pesce.
Le macellerie che vendono carni biologiche possono
essere esclusiviste o non esclusiviste: nel secondo
caso la carne biologica deve essere esposta in un'apposita sezione del banco di vendita distinta da quella
normale, con l'etichettatura prescritta. In caso contrario è meglio diffidare.
Anche formaggi e salumi biologici possono essere
venduti a taglio, con il sistema di etichettatura già
descritta e posta su un cartello.
Uova, latte e miele biologici possono essere venduti
invece soltanto confezionati.
Per i biologici di origine comunitaria preconfezionati è obbligatorio il marchio europeo in etichetta, costituito da un sole con punte esterne e con la dicitura interna
“Agricoltura biologica”. Dal 1° gennaio 2009 in etichetta deve essere indicata la provenienza del prodotto.
Inoltre, sempre dal 1° gennaio 2009:
nei prodottoti trasformati l'elenco degli ingredienti
può riportare quelli biologici, con l'indicazione della
percentuale;
i termini abbreviati “bio” o “eco” possono essere utilizzati solo se si tratta di veri biologici;
quando viene usato il marchio comunitario diventano
obbligatorie le diciture “Agricoltura UE” quando la
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7
GLI ALIMENTI CON LA TARGA
•
materia prima agricola è stata coltivata nella UE,
Agricoltura non UE” quando è coltivata in Paesi terzi
o “Agricoltura UE/non UE” quando è mista;
il marchio comunitario non è utilizzato per i prodotti
ottenuti nella fase di conversione da agricoltura convenzionale a biologica;
Gli alimenti con la “targa”
A parte gli alimenti per i quali è facile riconoscere l’origine italiana, come i DOP, IGP e i vini DOC e IGT (ai
quali abbiamo dedicato un’opuscolo a parte), ve ne sono
altri che, in base a norme europee o italiane devono
riportare in etichetta l'origine. Vengono chiamati alimenti “targati” e sono i seguenti.
Carne bovina. L'etichetta o un
cartello indicano in quale paese è
nato l'animale e dove è stato
ingrassato e macellato. Per le carni
bovine provenienti da paesi extracomunitari ove non si hanno informazioni sull'animale la dizione è
“Origine non CE”, seguita dal paese
di macellazione.
Pesce. Anche se venduti in porzioni, tutti i pesci devono riportare l'indicazione dell'origine e cioè:
se pescato in mare, con relativa zona di cattura;
se pescato in acque dolci;
se allevato.
La zona di pesca può
essere indicata anche con
il numero corrispondente
della zona FAO (per esempio, n. 1 Atlantico nord
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8
GLI ALIMENTI CON LA TARGA
occidentale, n. 8 mar Mediterraneo eccetera), ma deve
essere esposta una tabella di riferimento a disposizione
del consumatore. L'obbligo dell'indicazione non vale
per i prodotti ittici trasformati come il tonno in scatola, i
bastoncini, il salmone affumicato, i surgelati confezionati in porzioni o ricettati (baccalà con patate, zuppa di
pesce, eccetera).
Ortofrutticoli. In un cartello deve essere indicato il
paese d'origine (se è l'Italia, può essere indicata soltanto la Regione), la specie (per esempio, mela Renetta)
e la categoria di qualità (extra, prima o seconda).
Latte fresco. In base ai decreti ministeriali 27 maggio
2004 e 14 gennaio 2005, il latte fresco pastorizzato
deve riportare la provenienza della materia prima, che può
essere la UE, lo stato,
la regione, la provincia, il comune o
addirittura la zona di
mungitura.
Uova. In base ai Regolamenti CE n. 2052/2003 e
2295/2003, le uova devono riportare sul guscio l'indicazione in codice sia dello stato sia della città in cui ha
sede l'allevamento delle galline che le hanno fatte,
oltre al sistema di allevamento espresso con una cifra (3
è l'allevamento in gabbia, 2 a terra, 1 all'aperto e zero
è biologico), mentre la restante parte del codice indica
la provenienza. Per esempio, il codice 0 IT 00111 VR 001
significa:
il numero iniziale 0 indica che è un allevamento di
galline biologico;
IT che si tratta di un allevamento italiano;
00111 è il codice Istat del comune nel quale è situato
•
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9
GLI ALIMENTI CON LA TARGA
l'allevamento; volendo, i codici Istat dei comuni si
possono trovare su Internet, ma non ha molta importanza perchè c'è la provincia;
VR, infatti, significa che l'allevamento sta in provincia
di Verona;
001 è il numero identificativo dell'allevamento e al
consumatore non interessa.
Miele. In base al decreto legislativo n. 179/2004, il
miele deve dichiarare in etichetta il paese d'origine,
ovvero una delle seguenti indicazioni:
“miele italiano” (o di altro paese), che può essere
accompagnato dalla regione di provenienza, da una
zona territoriale (per esempio, Castelli romani) o addirittura dal comune;
“miscela di mieli originari della CE”, quando è una
miscela di mieli esclusivamente comunitari;
“miscela di mieli non originari della CE”;
“miscela di mieli originari e non originari della CE”.
Pollame. A causa dell'influenza aviaria, l'ordinanza del Ministero
della Salute del 26 agosto 2005 ha imposto sull'etichetta del pollame la
sigla IT, se italiano, oltre
al numero identificativo
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10
GLI ALIMENTI CON LA TARGA
dell'allevamento e dello stabilimento di sezionamento.
Per quanto riguarda il pollame importato, l'importatore
o il sezionatore o il distributore devono specificare in
chiaro su un'etichetta il paese di provenienza.
L'ordinanza ha però validità fino al 31 dicembre 2009
e potrebbe essere revocata.
Passata di pomodoro.
Un decreto del Ministero
delle Politiche Agricole,
Alimentari e Forestali
pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 9 marzo
2006 ed emanato in
attuazione di una norma
della legge n. 204/2004,
ha stabilito che nella passata di pomodoro deve
essere indicata in etichetta la zona effettiva di raccolta del pomodoro fresco utilizzato (non può chiamarsi
“passata” se non è fatta con pomodoro fresco), oppure
la regione, oppure lo stato.
Olio d'oliva. Dopo
alterne e tormentose
vicende e in seguito
alle reprimende della
UE, è stata cancellata
la norma che imponeva agli oli extravergini d'oliva di indicare la provenienza
della materia prima. Il
Regolamento CE n.
1019/2002 ha stabilito
che “possono” (non
11
LA QUALITA’ ALIMENTARE
devono) riportare in etichetta l'indicazione dello stato di
origine (per esempio “100% olio italiano”, se proviene
tutto da olive italiane macinate in Italia) ma si sta riesaminando la norma.
La qualità alimentare
Dal punto di vista del consumatore è altrettanto affidabile la qualità stabilita in via normativa sulla base di
alcune caratteristiche oggettive del prodotto, piuttosto
che la sola qualità di “origine”: non è detto che un vino
DOC sia necessariamente meglio di un
semplice vino da tavola, ma sicuramente un olio extra vergine
d'oliva è meglio di un olio
d'oliva, anche se non è DOP.
Comunque, per semplificare, si può considerare come
un “livello” di qualità anche il
prodotto DOC o DOP o IGP,
rispetto al prodotto semplice, purché
sia stato riconosciuto da un atto normativo che ne abbia stabilito le caratteristiche e i metodi di
lavorazione.
Usando questo criterio, si arriva in Italia fino a cinque
livelli di qualità per alcuni prodotti alimentari, anche se
il consumatore deve sempre tenere presente che un prodotto di livello normativo superiore non è necessariamente o sempre migliore di quello inferiore.
Tuttavia come si è detto, tutti questi prodotti agro-alimentari “nobilitati” da un provvedimento normativo si
possono a loro volta suddividere in due grandi classi,
quelli che devono provenire da una o più determinate
zone geografiche e quelli che, indipendentemente dalle
12
LA QUALITA’ ALIMENTARE
zone, possono essere fabbricati o lavorati in tutto il territorio nazionale, mantenendo però determinati requisiti o
caratteristiche normative.
Fatta questa premessa, la prima differenza sostanziale con i prodotti alimentari normali, è che DOP e IGP
devono provenire da una ben determinata zona geografica e non da altre. Una normale caciotta può essere
importata da un qualsivoglia paese estero, confezionata
ed etichettata in Italia con un nome nazionale di fantasia e come tale venduta al consumatore. Una caciotta
DOP ha invece un'origine nazionale garantita, anzi
un'origine locale ben determinata e controllata da un
organismo ufficialmente autorizzato dal Ministero delle
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Salvo casi fraudolenti molto rari, è presso che impossibile che il consumatore sia ingannato e, anzi, ha la possibilità di scegliere tra numerosi formaggi o salumi di varie località.
La seconda differenza è che le modalità di produzione di un alimento normale sono a discrezione del produttore, mentre DOP e IGP (e anche STG) hanno un “disciplinare” di produzione approvato dalla Commissione
europea che deve essere rigorosamente seguito. Per
fare qualche esempio, un prosciutto normale può essere stagionato per soli 5 mesi ed essere ricavato da una
coscia di suino congelata,
mentre un prosciutto
DOP deve provenire da una coscia
fresca ed essere
stagionato un
anno, in modo
da acquistare
caratteristiche
organolettiche
13
L’OLIO
assai più pronunciate. Lo stesso vale per i formaggi a
denominazione d'origine, nei cui disciplinari di produzione è il più delle volte previsto anche che cosa devono mangiare le vacche da cui viene ricavato il latte. Il
disciplinare dei salumi prevede invece minuziosamente
quali parti di carni suine devono essere impiegate, con
esclusione di quelle di scarto estremo e con le percentuali massime di grasso, mentre la composizione di
quelli normali è a discrezione del produttore.
Negli oli extravergini d'oliva DOP deve essere sempre indicata l'annata di raccolta delle olive, mentre in
quelli normali non si trova quasi mai: per il consumatore è importante, perché dall'annata di raccolta può
capire l'età dell'olio, che se è più vecchio di un anno
perde generalmente non solo le originarie caratteristiche
organolettiche, ma anche i polifenoli, preziosi alleati per
la salubrità delle arterie. Inoltre, gli extravergini DOP
sono ricavati esclusivamente da olive italiane di una
determinata zona, dalla quale prendono il nome, mentre gli extravergini normali sono spesso ottenuti con
miscelazioni di oli provenienti da Spagna, Grecia,
Marocco, Turchia, eccetera. Ma già che ci siamo, cominciamo a parlare degli oli d'oliva extra vergini DOP.
Vediamo nel dettaglio alcuni prodotti.
Meglio l'olio d'oliva
extra vergine italiano
E' in vigore in Italia un decreto ministeriale che
impone di indicare l'origine dell'olio. La dicitura che
potremmo trovare in etichetta è: “olio da olive coltivate
in Italia ed estratto in Italia”. Fino all'entrata in vigore
del decreto (10-10-2007) l'indicazione dell'origine era
facoltativa. Tale decreto è stato dapprima contestato
dall'Ue, ma poi si è deciso di riesaminare la norma e
14
L’OLIO
ora sembra che l'indicazione dell'origine, anche se
solo come provenienza comunitaria o non comunitaria,
diventerà obbligatoria.
Se un consumatore vuole andare sul sicuro può tuttavia rivolgersi agli oli DOP.
Le differenze fra gli oli extra vergini d'oliva DOP (ce
ne è anche uno IGP) e quelli senza denominazione
d'origine sono sostanzialmente tre. I primi sono al 100
% italiani (ma anche quelli normali possono essere al
100 % italiani, se dichiarato in etichetta), devono provenire da una zona ben delimitata e, come si è detto,
devono riportare in etichetta l'annata di raccolta delle
olive. Quest'ultima è importante perché più tempo
passa e più l'extra vergine perde quelle sostanze che
sono benefiche per le arterie e che lo difendono dall'irrancidimento. Per la salute del consumatore, le caratteristiche più importanti sono i polifenoli, i tocoferoli e, per
quanto riguarda la qualità, il punteggio minimo del
panel test, cioè il giudizio di esperti assaggiatori.
Ma più importanti del punteggio sono i tocoferoli e,
soprattutto, i polifenoli. Pochissimi disciplinari prevedono il contenuto minimo di tocoferoli, che praticamente sono la vitamina E, considerata protettiva e antagonista dei tumori
e di altre malattie
perché combatte i
radicali
liberi.
L'olio extravergine
d'oliva è uno degli
alimenti più ricchi
di questa vitamina,
il cui contenuto
dipende
però
15
L’OLIO
anche dalle stagioni, dal tipo di olive e da altri fattori.
Stesso discorso per i polifenoli, tanto è vero che la
Food and drug administration (FDA) statunitense, l'ente che ha competenza sulle regole dei prodotti alimentari, ha autorizzato sulle etichette dell'olio extra vergine
d'oliva una dicitura che invita i consumatori a mangiarne due cucchiai al giorno per ridurre il rischio di danni
coronarici, dovuti spesso a un eccesso di alimentazione
e di grassi saturi: l'olio extra vergine d'oliva contiene in
grande maggioranza grassi insaturi.
In nessun paese del mondo è stata autorizzata
un'avvertenza del genere e, anzi, le norme europee e
quelle italiane vietano esplicitamente di riportare sulle
etichette dei prodotti alimentari diciture che fanno riferimento a proprietà terapeutiche, anche se è allo studio
una modifica comunitaria.
I polifenoli danno il sapore caratteristico all'olio, più
ce ne sono e più è piccante e fruttato, così come sono i
polifenoli che stanno nell'uva a decidere sostanzialmente le caratteristiche di un vino. E' una famiglia di
composti chimici fortemente rivalutati dai nutrizionisti
perché hanno il merito di essere antiossidanti, quindi di
combattere i “radicali liberi” dell'organismo in grado di
attivare forme tumorali e altre malattie; inoltre i polifenoli favoriscono la riduzione del cosiddetto colesterolo cattivo (LDL) in circolazione nel sangue, che così rimane
più scorrevole e con meno rischi di infarti. Le olive italiane, specialmente quelle del centro-sud, contengono
generalmente più polifenoli. Infatti in Puglia, la regione
che da sola fornisce quasi la metà dell'olio nazionale,
l'oliva più diffusa è la Coratina, che ha un altissimo
contenuto di polifenoli e per questo l'olio pugliese è piccante e fruttato.
Fra l'altro, i polifenoli, con la loro azione antiossi16
L’OLIO
dante, allungano la vita dell'olio, la cui alterazione è
dovuta, appunto, principalmente all'azione dell'ossigeno: vi sono oli meridionali che anche dopo due anni
mantengono splendidamente le loro caratteristiche originarie, chimiche e organolettiche anche se gli imbottigliatori tendono ad esagerare con la data di scadenza.
L'Italia importa olio extravergine soprattutto dalla
Spagna, ove costa di meno che viene spesso miscelato con quello italiano. Anche la Spagna produce extra
vergini di qualità e in tutti questi anni, dato il prezzo più
basso, i consumatori hanno potuto trovare oli a prezzi
convenienti, altrimenti sarebbero costati di più.
Tuttavia, il livello qualitativo medio dell'extra vergine
italiano è senz'altro migliore e il perché è altrettanto
comprensibile, dipende in buona parte dalla “vocazione” della nostra penisola per la coltivazione dell'olivo
o, come più tecnicamente si chiamano, dalle condizioni pedoclimatiche.
In Andalusia, nella Spagna, per esempio, si produce
extra vergine in quantità industriali e con acidità bassissime grazie e non sempre con la dovuta cura. Ammassi
enormi di olive raccolte sostano a lungo prima di essere
spremute, per cui si manifesta un principio di fermentazione che rende poi necessaria la deodorazione dell'olio, con la quale, però, se ne vanno in buona parte sia
i difetti sia i pregi. Ne risulta un olio abbastanza neutro
che però piace proprio per questo a molti consumatori.
17
I FORMAGGI
L'extra vergine greco è, in generale, in equilibrio fra
il dolce e il fruttato, con un sentore di erba fresca dovuto alla presenza piuttosto elevata di una sostanza chiamata trans-2-evenale. Quello tunisino, invece, è tendenzialmente dolce e il suo maggior pregio è il costo che è
circa la metà di quello italiano, così come quello turco,
la cui produzione è in aumento.
Meglio i formaggi italiani
Vale la pena approfondire alcune differenze fra i
prodotti DOP e quelli normali. Fino a sessant'anni fa si
poteva dire che quasi tutti i formaggi italiani erano a
denominazione d'origine, nel senso che erano “caratteristici” perché prodotti in una certa zona, con certi
metodi, con il latte locale, eccetera. Per lo più erano
caciotte o formaggi a pasta filata, fatti dagli stessi
pastori o da piccole aziende artigianali, sempre con il
latte della zona.
Esistevano anche formaggi fatti su scala industriale,
come il Parmigiano Reggiano, il Grana
padano o il Gorgonzola, che poi
sarebbero diventati DOP, ma si
usava sempre il latte della
zona, come del resto, per
questi formaggi, si usa
anche oggi. Poi è venuta la
miriade di formaggi comuni, compresi quelli esteri,
che possono essere fatti
con qualsiasi latte, in
Germania e in alcune
zone della Francia
addirittura con latte in
polvere. Oggi tra que18
I FORMAGGI
sti formaggi comuni e quelli riconosciuti DOP vi sono
alcune differenze, a cominciare dal caglio, che può
essere quello “genetico” ottenuto artificialmente con le
biotecnologie, non quello naturale che è invece obbligatorio per i formaggi DOP.
Come è intuibile, poi, quelli a denominazione d'origine devono essere fabbricati in determinate zone,
come prescrive la legge, usando latte fresco (ma anche
gli altri devono usare latte fresco, almeno quelli italiani)
proveniente da una sola mungitura o da due mungiture, secondo il tipo di formaggio e il “disciplinare” che ne
regola la produzione. In genere, ogni forma deve avere
un marchio impresso a fuoco oppure un contrassegno
con il simbolo particolare del formaggio, in base al
quale il consumatore ne può riconoscere l'autenticità.
A volte il marchio è completato dal numero di riconoscimento del caseificio, dalla sigla della provincia in
cui è fatto il formaggio e dalla data di fabbricazione. I
formaggi a denominazione d'origine venduti in porzioni preconfezionate riportano il simbolo o contrassegno
di identificazione sull'involucro. Per ogni formaggio
DOP c'è un consorzio che tutela la produzione e vigila
sul rispetto delle condizioni e dei requisiti stabiliti dalla
legge. I produttori devono inoltre attenersi a un regolamento che, oltre a quelli del formaggio, fissa anche i
requisiti del latte; per tale motivo, la vigilanza si estende
praticamente agli allevatori che conferiscono il latte ai
caseifici, con prescrizioni che riguardano l'alimentazione delle vacche, il divieto di mungitura durante le cure
veterinarie, le istruzioni per la corretta mungitura, l'igiene degli animali, delle attrezzature e delle stalle, il modo
migliore per conservare il latte prima della consegna al
caseificio.
Qualsiasi anomalia del latte, infatti, influisce sulle
19
I FORMAGGI
caratteristiche particolari del formaggio, determinando
problemi nella fase di lavorazione o difetti nella fase di
maturazione, per cui si può dire che il latte migliore è
quello usato per la produzione dei formaggi DOP. Ciò
non toglie che possono esserci e ci sono formaggi
comuni di eccellente qualità. Però è buona precauzione
non comprare formaggi freschi dai pastori o comunque
formaggi anonimi, senza etichetta, se non sono ben stagionati, in quanto possono essere fonte di malattie
come la brucellosi se provengono da animali malati.
A parte i formaggi DOP, quelli italiani sono migliori
di quelli che vengono dall'estero. Il consumatore avrà
notato che gli scaffali dei supermercati sono pieni di formaggi esteri, tutti molli o al massimo morbidi, con una
stagionatura che non supera i tre o quattro mesi. Non
si vede un formaggio estero duro, cioè ben stagionato,
ma il consumatore non si chiede perché. La produzione italiana di formaggi duri è invece imponente, la più
grande del mondo, c'è da scegliere fra parmigiano,
grana, pecorini, canestrati, pressati, caciotte stagionate,
eccetera.
C'è una differenza con quelli esteri? Ce ne sono tre.
La prima è nel sapore, dato che in buona parte è la stagionatura a conferire quelle caratteristiche organoletti20
I FORMAGGI
che qualitative che fanno di un formaggio quel “tipo” di
formaggio. E la stagionatura costa, perché si tiene
immobilizzato un capitale. La seconda ragione è che i
formaggi molli contengono molta più acqua e, quindi, il
consumatore paga l'acqua al prezzo del formaggio. La
terza è più importante e riguarda il contenuto di calcio,
di cui occorre all'organismo circa un grammo al giorno,
per assicurare la salute delle ossa, dei denti e del cuore:
basta un etto di formaggio stagionato per assicurare
questa quantità, mentre di uno molle bisogna mangiarne anche due o tre etti, essendo la concentrazione del
calcio assai minore proprio per la presenza dell'acqua.
Resta solo da chiedersi perché l'Italia ha questa
imponente produzione di formaggi duri, a differenza
degli altri Paesi. La risposta, un po' curiosa, è che si
tratta di una tradizione secolare dovuta alla fame.
Scarsissimi mangiatori di carne nei tempi passati, per
carenza di animali e per povertà, gli italiani hanno
imparato a “capitalizzare” le proteine stagionando i formaggi, in modo da avere di che sfamarsi per tutto l'anno. Inoltre i formaggi contengono più grasso della carne,
quindi saziano di più per il maggior contenuto di calorie. Anzi, un tenore minimo di grasso è stato imposto
proprio dalla legge, per non ingannare il consumatore.
21
I FORMAGGI
Ora vale solo per quelli DOP, mentre quelli comuni possono essere “magri”.
Ma c'è ancora un altro motivo per preferire i formaggi italiani. In molti paesi si può usare la polvere di latte,
con diverse eccezioni per quelli DOP, mentre in Italia ciò
è proibito per qualsiasi formaggio, essendo ammessa
come materia prima soltanto il latte tal quale. Il trattamento termico per ottenere la polvere di latte uccide un
po' di vitamine e anche la flora microbica, quella
buona che in buona parte dà il sapore al prodotto finito.
Quando si aggiunge l'acqua per ricostituire il latte in
polvere non basta mettere il caglio per ottenere il formaggio: si può aspettare quanto si vuole, ma la cagliata, cioè il primo abbozzo di formaggio solido, non viene.
Bisogna prima acidificare il latte con acido citrico o acetico e poi aggiungere il caglio. Poi bisogna aggiungere
ancora i fermenti lattici del tipo di formaggio che si
vuole ottenere, altrimenti il gusto sarebbe del tutto neutro e insipido. Insomma, si tratta di un formaggio “ricostruito” e le toilettature non sono ancora finite.
In diversi formaggi molli esteri, infatti, si possono leggere tra gli ingredienti gli ortofosfati di sodio (indicati con
la sigla E339), che servono per addensare l'impasto ed
evitare che il formaggio si “sbraghi”. Oppure altri addensanti e talvolta l'inulina, uno zucchero che serve ancora ad addensare, o le proteine del latte, per correggere il
sapore … dell'acqua. Ci sono mozzarelle (si fa per dire)
danesi e tedesche fatte con polvere di latte e così riempite di additivi che sembrano mattoncini: in più, per renderle bianche, ci si mette il biossido di titanio.
Né è possibile impedire la commercializzazione in
Italia di questi prodotti, perché la Corte di giustizia europea ha più volte dichiarato l'illegittimità degli ostacoli
alla libera circolazione in Europa di una merce fabbrica22
I PROSCIUTTI
ta conformemente alle norme del Paese comunitario da
cui proviene.
Cosicché, quando l'Italia, con un decreto del 1996,
ha stabilito un nuovo metodo di analisi, messo a punto
proprio da ricercatori italiani, per scoprire le frodi dei formaggi fatti con polvere di latte, ha dovuto precisare nel
decreto stesso che tale metodo “non si applica ai formaggi provenienti dagli altri stati membri e dai paesi
aderenti all'accordo sullo Spazio economico europeo”
(la UE “allargata”). Non è un caso se i formaggi italiani
sono i più imitati del mondo. Ma altrettanto si può dire
dei prosciutti DOP.
Meglio i prosciutti italiani
I consorzi italiani dei prosciutti DOP hanno un bel
da fare per vigilare sulle imitazioni, in Italia e all'estero.
In Italia, più che altro, quando un consumatore
entra in un negozio
e chiede un prosciutto DOP, gli
rifilano talvolta
uno
normale.
Eppure c'è qualche differenza.
C'è il prosciutto
che viene dall'estero
e, tranne le dovute eccezioni, si presenta piccolo,
disossato, magro, ma con un bel colore rosso: è il prosciutto ottenuto dalle cosce congelate di suino magro
importato, soprattutto dall'Olanda e dal Belgio. Sembra
un bel prosciutto e il consumatore lo compra proprio perché pensa che “rosso, piccolo e magro” sia una buona
23
I PROSCIUTTI
caratteristica, salvo poi a restare perplesso quando lo
assaggia: non ha profumo, ha un sapore neutro o di
carne fresca, talvolta un po' amarognolo e le fette sono
molto appiccicose. Il motivo è semplice, è un prosciutto
fatto “alla svelta”, la coscia viene scongelata, salata,
trattata con i nitrati (gli additivi che danno il bel colore
rosso, ma anche il sapore amarognolo) e fatta stagionare o, meglio, asciugare a tambur battente con aria calda,
cosicché è pronto in cinque mesi, anziché i 12 mesi che
servono a fare un buon prosciutto. Tuttavia l'etichetta
dei salumi, più esattamente la denominazione commerciale, aiuta il consumatore a capirne la qualità. Ciò è
molto utile in rapporto al prezzo che si è disposti a pagare, essendo pacifico che ad una qualità inferiore dovrebbe corrispondere un prezzo inferiore.
Secondo le norme, la denominazione “prosciutto
crudo stagionato” identifica il prodotto stagionato normalmente almeno 7 mesi, mentre la sola denominazione “prosciutto crudo” identifica il prodotto meno qualitativo che può essere stagionato (si fa per dire) nelle stufe
con aria calda.
Ci guadagnano tutti meno il consumatore: il produttore perché risparmia sulla materia prima e sui costi di
magazzinaggio e immobilizzo capitale, il grossista perché risparmia diversi euro al chilo, il negoziante per lo
stesso motivo e perché lo rivende allo stesso prezzo di
24
I PROSCIUTTI
quelli tradizionali. Per fare un buon prosciutto ci vuole
un maiale grasso, con una coscia di almeno 7 chili e
non congelata e con una stagionatura di almeno 9 mesi
che permette al sale di sottrarre acqua alla carne e ai
vari microrganismi di svolgere la loro opera di scambio
e trasformazione di grassi e proteine in modo da rendere il prosciutto più aromatico e più digeribile della stessa carne fresca.
Come si riconosce un prosciutto stagionato a dovere? C'è un'analisi chimica che il consumatore non può
fare e che consiste nel misurare gli “amminoacidi liberi”.
Questi sono i “mattoni” che costituiscono le proteine e
che, per l'azione del sale e di alcuni enzimi, si liberano man mano che il prosciutto invecchia. Più dura la
stagionatura e più amminoacidi liberi vi sono nel prosciutto, che diventa così anche più digeribile in quanto
il processo umano di digestione delle proteine consiste
proprio nella loro scissione in amminoacidi.
Il sale, però, non deve essere troppo, altrimenti
ostacola la produzione di amminoacidi liberi. Nei prosciutti fatti in fretta, invece, si usa molto sale sia per
accelerare la stagionatura sia per bloccare lo sviluppo
di microrganismi indesiderabili, ma in questo modo si
bloccano anche gli enzimi che scindono le proteine.
Dopo la salatura, i prosciutti
vengono
messi in ambienti
riscaldati e ventilati
e con l'aria calda
si prosciugano in
breve tempo, ma
più nelle parti esterne che in quelle
interne. Il breve
tempo non permette
25
I PROSCIUTTI
neanche la formazione di un aroma apprezzabile,
cosicché il sapore è piuttosto neutro, mentre al taglio le
fette si presentano appiccicose, in quanto la parte interna non è stagionata bene.
Purtroppo nessuna norma prevede un periodo di stagionatura minima, almeno per i prosciutti ordinari, e il
consumatore si accorge “dopo” di aver comprato un prodotto insipido o troppo salato, ma la prima regola sarebbe quella di evitare i prosciutti piccoli, che fra l'altro
hanno scarso grasso di copertura. Anche quest'ultimo,
che deve essere ben bianco, serve a conferire aroma al
prodotto ed è l'indizio che è stato utilizzato un suino
“pesante”, che è quello più adatto (il suino “magro” va
bene in cucina o, semmai per il prosciutto cotto).
Il prosciutto stagionato bene si vede poi
anche al taglio., poiché
più lunga è stata la stagionatura e più le fette
tendono ad arcuarsi
quando vengono tagliate. Inoltre, spesso si può
riconoscere anche dalla
presenza di piccole macchie biancastre di forma
irregolare dovute alla
concentrazione di uno
degli amminoacidi liberi., la tirosina, che si è cristallizzato. E' un segno di qualità non di alterazione. Una prolungata stagionatura garantisce anche le buone caratteristiche igienico-sanitarie del prodotto, poiché distrugge
ogni eventuale microbo nocivo. Oltre i due anni, però, le
fibre muscolari si essiccano troppo e subiscono un processo quasi di lignificazione, per cui le fette diventano
meno gradevoli.
26
GLI ORTOFRUTTICOLI
Gli unici prosciutti per i quali è previsto un periodo
minimo di stagionatura naturale, generalmente 12 mesi,
sono quelli DOP, che fra l'altro devono essere ottenuti
da cosce di suino fresche e non congelate, nonché i prosciutti con la denominazione “stagionato”, che devono
avere una stagionatura naturale e minima di almeno 7
mesi.
Meglio gli ortofrutticoli italiani
Nei nostri mercati e supermercati c'è un'invasione
di prodotti stranieri: fin da aprile comincia la stagione
dell'uva. Sembra strano, perché in Italia è finita praticamente a Natale, con l'ultima uva raccolta sotto i tendoni, ma è proprio così. E' l'uva del Cile, dell'Argentina
e del Sud Africa, ove le stagioni sono al contrario
dell'Italia, ma arrivano in anticipo anche prugne,
pesche e meloni, per lo stesso motivo. Arriveranno
anche le pere e le mele della Nuova Zelanda, quando
cominceranno a finire quelle nazionali raccolte a set-
27
GLI ORTOFRUTTICOLI
tembre, mentre già a fine febbraio si trovano le fragole
dell'Andalusia e a maggio i cocomeri spagnoli e israeliani. Verso luglio-agosto si possono comprare invece le
arance latino-americane, che hanno un sapore un po'
amaro e un odore poco attraente in quanto sono state
irrorate con il difenile per evitare muffe e marciumi. A
causa dei lunghi tempi di immagazzinamento e di trasporto, questo fungicida conferisce il suo cattivo gusto
anche al frutto.
Un altro guaio è che tutta questa frutta estera ha un
sapore quasi neutro perché viene raccolta quando è
ancora immatura, in modo che non si alteri e non marcisca e possa essere trasportata comodamente, tenuta
nei magazzini frigoriferi e in molti casi fatta maturare
piano piano o artificialmente (con innalzamento della
temperatura o con gas etilene) al momento dell'immissione sul mercato.
Nonostante sia quasi
insipida, il consumatore la compra, un po'
per la moda dell'esotismo e un po' per la
voglia di novità, salvo
a pentirsene quando
scopre che il gusto è
insoddisfacente,
Che senso ha comprare ad aprile l'uva
argentina invece di
una profumatissima
arancia siciliana o di
una gustosa mela
renetta del Trentino?
Oltre alla evidente differenza di sapore, ce
28
GLI ORTOFRUTTICOLI
n'è anche una di carattere nutrizionale, in quanto la
frutta colta immatura non ha potuto immagazzinare le
vitamine e i sali minerali presenti in quella stagione
colta dall'albero a completa maturazione.
Non solo, ma con questo comportamento esterofilo e
irrazionale il consumatore danneggia anche l'economia, poiché fa aumentare il disavanzo della bilancia
commerciale, senza contare che questa frutta fuori stagione viene spesso da Paesi ove i controlli sui residui tossici e inquinanti sono presso che inesistenti. Anzi, in certi
Paesi del terzo mondo è ancora consentito usare antiparassiti che sono stati da tempo banditi in tutta Europa.
Infine, per questi prodotti il consumatore paga un
prezzo spropositato legato esclusivamente alla novità e
all'esotismo, non certo alla qualità, anche se esteticamente la frutta d'importazione si presenta molto bene
e di calibro uniforme per la cernita operata all'origine,
per tecniche colturali standardizzate e per i trattamenti.
In altri casi non si può essere del tutto intolleranti e
si può fare uno strappo per i frutti che non si producono
in Italia come le banane e gli ananassi (che peraltro
vengono colti sempre verdi e fatti maturare in Italia), ma
importiamo anche manghi e avocados che, comunque,
sono frutti estranei ai nostri gusti e più ancora alle nostre
abitudini. Probabilmente, se il consumatore sapesse
che l'avocado contiene il 23 per cento di grassi, quasi
quanto una salsiccia, non lo comprerebbe o opterebbe
per i più saporiti e “dietetici” frutti nazionali, molti dei
29
GLI ORTOFRUTTICOLI
quali, compresi gli ortaggi, hanno ottenuto il riconoscimento europeo DOP o IGP.
Ogni paese e ogni popolazione ha le sue abitudini
alimentari, radicate da millenni, per le quali ha anche
sviluppato i particolari enzimi della digestione e dell'assimilazione: anche per questi motivi è meglio conservare le proprie abitudini e consumare i propri ortofrutticoli, con beneficio della salute, del portafoglio e
dell'economia.
E ce ne sono ancora altri di
motivi, legati a importanti proprietà nutrizionali. I punti di ristoro che vendono spremute, macedonie e frullati di frutta e ortaggi
si stanno moltiplicando e, generalmente, hanno un'insegna
intitolata “Alla fonte della salute”.
Non hanno torto, se si pensa che
nel decalogo stilato dalla UE per
prevenire i tumori e altre malattie
“del benessere” c'è anche la raccomandazione di
mangiare più frutta e verdura. Tuttavia, i benefici degli
ortofrutticoli freschi non finiscono qui.
30
GLI ORTOFRUTTICOLI
Oltre alla vitamina C, gli ortofrutticoli sono portatori
di altre vitamine essenziali che prevengono numerose
malattie piuttosto frequenti nei tempi passati, quali la
pellagra, il rachitismo, il beri beri e chissà quali altre
ancora, perché non si sa tutto sul ruolo delle vitamine.
Si sa, però, che funzionano come enzimi, che possono
essere considerati dei piccoli fabbri i quali girano nel
nostro organismo proteggendo e riparando le cellule e
permettendo le corrette reazioni chimiche del corpo. Si
calcola che ognuno di noi abbia circa 2.000 enzimi,
ciascuno con le sue esigenze. Infatti, l'enzima è composto da una combinazione variabile di centinaia o
migliaia di atomi di carbonio, idrogeno, ossigeno e
azoto, ma generalmente, per funzionare, ha assolutamente bisogno di un solo atomo di ferro oppure cobalto, magnesio, zinco, manganese, selenio, cromo, zolfo
e altri minerali simili, rari o meno rari. Questo atomo si
va a incastrare nella molecola dell'enzima al suo giusto posto e, in questo modo, l'enzima, per fare un
paragone molto semplice, diventa come una chiave
che apre solo una serratura.
Come si è detto, ci occorrono circa 2.000 di queste
chiavi ma, se nell'organismo non entrano tutti i minerali che servono, qualche enzima può non funzionare e,
a lungo andare, vengono malattie che non sappiamo
spiegare. Ecco, quindi, l'altra enorme importanza degli
ortofrutticoli freschi, che catturano minerali dal terreno e
ce li forniscono.
Per avere la ragionevole sicurezza di assumere tutti
i minerali e le vitamine che ci servono bisogna variare
molto l'alimentazione; ma attenzione, non solo quella
degli ortofrutticoli e assai più preferibilmente degli ortofrutticoli freschi, ma anche quella di carne, formaggi,
pesce, latte e uova, che contengono minerali e principi
nutritivi non presenti negli ortofrutticoli e altrettanto
31
GLI ORTOFRUTTICOLI
necessari. Però non contengono le fibre alimentari, che
stanno quasi esclusivamente nei vegetali e la cui importanza per la salute e la motilità intestinale è ormai fuori
discussione. Tra l'altro, trascinano via il colesterolo.
Specialmente d'estate, poi, i frutti sono utilissimi sia
perché poco “calorici” e con un'alta percentuale di
acqua, sia perché ricostituiscono nell'organismo i sali
minerali persi con la sudorazione. Inoltre, sono utilissimi
quelli che contengono molta vitamina A (albicocche,
meloni, pesche, arance, eccetera), che, insieme alla
vitamina C, protegge ugualmente dai tumori perché
combatte anch'essa i cosiddetti “radicali liberi” responsabili dei mutamenti cancerogeni nelle nostre cellule.
Girando nel sangue, queste due vitamine catturano radicali liberi e li neutralizzano.
Ci sono quindi alcuni buoni e validi motivi per dire
che gli ortofrutticoli sono “la fonte della salute”, ma specialmente quelli italiani di stagione, per la semplice
ragione che, essendo colti al giusto punto di maturazione, hanno potuto accumulare le vitamine e i minerali
che aiutano a prevenire le malattie.
32
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I VANTAGGI DURANO
UN ANNO INTERO!
L’INDICE
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avvalermi della consulenza gratuita di una competente rete di esperti. Sarò inoltre automaticamente coperto per 12 mesi da una polizza di tutela giudiziaria
per ogni futura controversia di consumo.
LA PREMESSA
1
MEGLIO GLI ALIMENTI ITALIANI
2
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3
IGP
4
STG
4
I PRODOTTI BIOLOGICI
6
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assegno o in francobolli da 50 cent., pagata sul c/c postale n.40268005 intestato
a Unione Nazionale Consumatori o con bonifico bancario sul c/c n.100000002892
– Banca Prossima – ABI 03359 – CAB 01600 – CIN F – IBAN IT41 F 03359 01600
100000002892.
GLI ALIMENTI CON LA TARGA
8
◆ Cognome
LA QUALITA’ ALIMENTARE
12
◆ Anno di nascita
◆ e-mail
◆ Via
MEGLIO L’OLIO D’OLIVA
EXTRA VERGINE ITALIANO
14
MEGLIO I FORMAGGI ITALIANI
18
MEGLIO I PROSCIUTTI ITALIANI
23
MEGLIO GLI ORTOFRUTTICOLI
ITALIANI
27
Testo:
Emanuele Piccari
Disegno di copertina:
Arianna Buzzi
◆ Nome
◆ N°
◆ Città
◆ CAP
◆ Tel.
◆ Cell.
◆ Prov.
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