Capitolo 5
Flussi piani supersonici con
onde d’urto
Mentre nei flussi unidimensionali le onde d’urto non possono che essere normali
alla direzione della corrente, nei flussi multidimensionali supersonici si possono
verificare onde d’urto la cui direzione non è normale a quella del flusso (urti
obliqui) o è variabile da punto a punto (urti curvi).
L’esistenza di urti obliqui può essere intuita se, si pensa al caso di un flusso
supersonico che investe un diedro il cui angolo di apertura non sia piccolo ma sia
tale da generare dei disturbi di intensità finita. La superficie attraverso la quale
le proprietà del flusso subiscono una variazione non più infinitesima ma finita
costituisce una superficie di discontinuità obliqua rispetto alla direzione della
corrente. Cosí pure nel caso del flusso supersonico lungo una parete concava
rappresentato in Fig. 5.1, è intuitivo che le caratteristiche di compressione
coalescano dando luogo ad una linea di discontinuità non normale alla direzione
della corrente.
Figura 5.1: [da Van Dyke]
64
65
Capitolo 5
5.1
Urto obliquo
Consideriamo un urto obliquo stazionario che formi un angolo σ con la direzione iniziale della corrente ed indichiamo con il pedice 1 le grandezze a monte
dell’urto, che supponiamo note, e con il pedice 2 quelle a valle (Fig. 5.2a).
Le relazioni di salto (1.60)-(1.64) scritte in termini delle componenti di
velocità normali e tangenziali alla direzione dell’urto risultano
ρ1 Vn1 = ρ2 Vn2
(5.1)
p1 + ρ1 Vn21 = p2 + ρ2 Vn22
(5.2)
Vt1
h1 +
Vn21 + Vt2
2
(5.3)
= Vt2
= h2 +
Vn22 + Vt2
2
(5.4)
(5.5)
S2 ≥ S1
avendo tenuto conto della (5.3) nello scrivere la (5.4). Ricordando che
h = cp T =
a2
γ
RT =
γ−1
γ−1
ed introducendo la velocità del suono critica
a∗2 = Vn2 + Vt2 = a2
la relazione (5.4) può anche scriversi
a21 +
ovvero
Vt2
V1
Vn1
γ −1 2
γ + 1 ∗2
a
Vn1 + Vt2 =
2
2
Vn2
V2
δ
V1 Vt V2
Vt
Vn2
Vn1
Vt1
σ
Vn1
(a)
Vn2
(b)
Figura 5.2:
66
Capitolo 5
a21
γ + 1 ∗2
γ − 1 Vt2
γ−1 2
Vn 1 =
a
1−
+
2
2
γ + 1 a∗2
!
(5.6)
Ricavando da quest’ultima a2 /a∗2 e sostituendolo nella relazione
Mn∗ 2 = Mn2
si ottiene
2
Mn∗
γ+1 2
Mn
2
=
γ−1 2
Mn
1+
2
a2
a∗2
γ − 1 Vt2
1−
γ + 1 a∗2
!
(5.7)
Dividendo membro a membro la (5.2) per la (5.3) si ha
p2
p1
+ Vn 1 =
+ Vn 2
ρ1 Vn1
ρ2 Vn2
p
che, essendo a2 = γ , può anche scriversi
ρ
a2
a21
+ Vn 1 = 2 + Vn 2
γVn1
γVn2
Sostituendo in questa i valori di a21 e a22 ricavabili dalla (5.6), si ottiene
(Vn1
"
a∗ 2
− Vn 2 ) 1 −
Vn1 Vn2
γ − 1 Vt2
1−
γ + 1 a∗2
!#
La soluzione Vn1 = Vn2 rappresenta la soluzione banale se Vn1 6= 0 e rappresenta una discontinuità di contatto se Vn1 = Vn2 = 0. L’altra soluzione è data
da
!
γ − 1 Vt2
∗
Vn1 Vn2 = a 1 −
γ + 1 a∗ 2
ovvero
∗
∗
Mn1
Mn2
=1−
γ − 1 Vt2
γ + 1 a∗ 2
(5.8)
E’ questa la relazione di Prandtl per un urto obliquo, che , per Vt = 0 e
M = Mn si riduce alla già nota relazione per l’urto normale. Sostituendo la
(5.7) nella (5.8) si ottiene
2
Mn2
=
γ−1
2
2 Mn1
2 − γ−1
γMn1
2
1+
(5.9)
67
Capitolo 5
e dalle (5.1), (5.2) e (5.4) si possono ottenere i rapporti fra le grandezze a valle
ed a molte dell’urto
ρ2
ρ1
p2
p1
T2
T1
p01
ln
p02
p02
p01
2
(γ + 1)Mn1
2
2 + (γ − 1)Mn1
2γ
= 1+
(M 2 − 1)
γ + 1 n1
γ−1
2γ
1
γ−1
2
2
M −
=
2 + γ+1
γ + 1 n1 γ + 1
γ + 1 Mn1
s2 − s1
=
R
(5.10)
=
=
−
2γ
1+
(M 2 − 1)
γ + 1 n1
1
(γ−1)
"
2
(γ + 1)Mn1
2
(γ − 1)Mn1 + 2
(5.11)
(5.12)
(5.13)
#
γ
γ−1
(5.14)
Come si vede queste relazioni sono identiche a quelle dell’urto normale purché
ad M1 ed M2 si sostituiscano Mn1 ed Mn2 rispettivamente. Le caratteristiche
di un urto sono quindi, in ogni caso, determinate dal valore di Mn1 , il quale
deve essere maggiore di uno per rispettare la condizione di entropia (5.5).
In altri termini un urto obliquo può essere visto come un urto normale cui
sia stata aggiunta in tutto il campo una velocità Vt costante diretta parallelamente all’urto stesso (Fig. 5.2b). L’aggiunta di questa velocità evidentemente
non influisce sulla variazione delle proprietà termodinamiche (pressione, temperatura, densità, entropia) ma modifica la direzione ed il modulo della velocità
nonché le grandezze di ristagno, sia a monte che a valle dell’urto.
Da ciò derivano due importanti differenze rispetto al caso dell’urto normale. La prima è che, poiché Vn varia fra monte e valle dell’urto mentre Vt
rimane costante, il flusso nel passaggio attraverso l’urto subisce una deviazione
δ (Fig. 5.2a). La seconda differenza è che, mentre la relazione di Prandtl (5.8)
garantisce che essendo Mn1 > 1 si ha Mn2 < 1, l’aggiunta di una velocità Vt
a valle dell’urto può far sí che si abbia M2 > 1. Pertanto nel caso di un urto
obliquo il flusso a valle dell’urto stesso può essere sia subsonico che supersonico.
Le relazioni fra i moduli delle velocità e le loro componenti normali, o
equivalentemente fra i rispettivi numeri di Mach, possono essere ottenute con
semplici considerazioni geometriche dalla Fig. 5.2a.
Mn1 = M1 sin σ
(5.15)
Mn2 = M2 sin(σ − δ)
(5.16)
68
Capitolo 5
Con opportune manipolazioni algebriche è anche possibile esprimere l’angolo di deviazione δ in funzione unicamente di M1 e σ
"
M12 sin2 σ − 1
tan δ = 2 cot σ
M12 (γ + cos 2σ) + 2
#
(5.17)
Come detto in precedenza un urto è completamente definito quando sia
assegnato Mn1 . Pertanto, mentre l’urto normale (che è un caso particolare di
urto obliquo per il quale σ = π/2) è completamente definito dal solo valore di
M1 , per definire un urto obliquo è necessario assegnare oltre ad M1 anche la
pendenza σ dell’urto. Con i valori di M1 e σ la (5.15) consente di determinare
ρ2 T2
,
Mn1 in corrispondenza al quale la Tabella A.2 fornisce i valori di Mn2 , ,
ρ1 T1
p2 po2 a2
,
e
.
p1 po1 a1
Si osservi che anche il rapporto fra le pressioni totali, che come indicato
dalla (5.13) dipende dal salto di entropia attraverso l’urto, non è influenzato
dalla presenza della componente di velocità tangenziale ed è quindi determinato
dal valore di Mn1 .
Mediante la relazione (5.17) si può calcolare l’angolo di deviazione δ che,
introdotto nella (5.16), fornisce il valore di M2 determinando completamente
le condizioni a valle dell’urto. Tuttavia in molte applicazioni pratiche l’angolo
σ formato dall’urto non è noto a priori ma deve essere determinato in modo da
realizzare un assegnato valore della pressione a valle dell’urto o un assegnato
valore della deviazione δ, che sono dettati dalle condizioni al contorno.
δ=0°
90
δ=5°
80
a
10°
15°
A
70
60
20°
25°
30°
35°
B
35°
σ 50
40
30°
25°
30
20°
15°
b
10°
5°
20
δ=0°
10
0
1.0
1.5
2.0
M1
Figura 5.3:
2.5
3.0
3.5
69
Capitolo 5
7
3.5
6
3.0
5
2.5
4
M1
δ=0°
5° 10°
15°
2.0
M2
1.5
45.6°
3
2
10°
20°
30°
40°
25°
30°
b
35°
1.0
1
0°
20°
50°
0.5
1.0
δ max
a
B
A
1.5
2.0
2.5
3.0
3.5
M1
(a)
(b)
Figura 5.4:
Se consideriamo quest’ultimo caso in cui sono assegnati i due parametri
M1 e δ, si può pensare di ottenere il corrispondente valore di σ risolvendo la
(5.17). Questa soluzione è rappresentata in Fig. 5.3 riportando σ in funzione
di M1 per diversi valori del parametro δ.
Si osserva che per ogni valore di δ esiste un valore minimo M1min del numero
di Mach al di sotto del quale non si ha nessuna soluzione. Per M1 > M1min si
hanno invece due soluzioni che diventano coincidenti per M1 = M1min .
Alternativamente si può dire che per ogni valore di M1 esiste un valore
massimo δmax dell’angolo di deviazione al di sopra del quale non si ha nessuna
soluzione. Il valore di δmax in funzione di M1 (o di M1min in funzione di δ) è
rappresentato in Fig. 5.4a dalla quale si rileva che δmax tende al valore limite
di 45.6◦ per M1 → ∞.
Delle due soluzioni che si verificano per M1 > M1min quella che ha un
valore di σ maggiore (soluzione A di Fig. 5.3), avendo un più alto valore di
M1n , corrisponde ad un urto più intenso e viene pertanto detta urto forte.
Viceversa la soluzione B che ha un valore di σ più piccolo viene detta urto
debole. Se si esamina il valore di M2 che corrisponde a ciascuna delle due
soluzioni (Fig. 5.4b), si osserva che nel caso di urto forte il flusso a valle è
sempre subsonico, mentre nel caso di urto debole esso è in generale supersonico,
fatta eccezione per una piccola regione di M1 in prossimità di δmax .
Il fatto che si verifichi l’una o l’altra delle due soluzioni dipende in generale
70
Capitolo 5
dalla pressione a valle dell’urto: nel caso in cui questa è alta si verifica la
soluzione di urto forte, mentre nel caso più usuale nei problemi aeronautici in
cui la pressione a valle è poco differente da quella a monte si ha la soluzione
di urto debole.
Si osservi che nel caso particolare di δ = 0 la (5.17) fornisce due soluzioni
cot σ = 0
M12 sin2 σ − 1 = 0
σ=
π
2
sin σ =
(5.18)
1
M1
(5.19)
La soluzione di urto forte corrisponde quindi all’urto normale attraverso
il quale non si ha deviazione della corrente ed è rappresentata dalle curve “a”
nelle Fig. (5.3) e (5.4b).
La soluzione di urto debole, per la quale σ = α, è invece rappresentata
dalle curve “b” e corrisponde ad un’onda di Mach che può quindi anche essere
interpretata come un urto obliquo di intensità nulla attraverso il quale δ = 0
e M2 = M1 .
Come si è detto in precedenza in molti casi pratici l’angolo σ deve essere determinato sulla base della conoscenza dell’angolo δ mediante la relazione
(5.17), la quale deve essere risolta con un metodo iterativo. Per evitare ciò
la Tabella A.4 fornisce in funzione dei parametri M1 e δ il valore di σ corrispondente alla soluzione di urto debole, mentre la Tabella A.5 fornisce quello
corrispondente alla soluzione di urto forte.
5.2
Polare dell’urto
Una rappresentazione molto conveniente di tutti gli urti che possono verificarsi
per un dato valore di M1 può essere ottenuta utilizzando un riferimento polare
nel piano odografo.
Consideriamo il piano odografo, già introdotto nel § 4.1, nel quale le velocità sono adimensionalizzate rispetto ad a∗ . Consideriamo poi un flusso
diretto secondo l’asse x e definito dal valore di M1∗ che nel piano odografo è
rappresentato dal punto 1 di Fig. 5.5a.
Per un assegnato valore di δ si può calcolare lo stato a valle dell’urto come
descritto nel paragrafo precedente e, riportando sulla direzione che forma l’angolo δ con l’asse delle ascisse un segmento di lunghezza pari a M2∗ , si ottiene
il punto 2 che rappresenta lo stato a valle dell’urto. La direzione dell’urto può
essere ottenuta graficamente tracciando per l’origine la normale alla retta che
congiunge i punti 1 e 2. E’ infatti facile verificare che il segmento OA rappresenta la velocità tangenziale, che è la stessa per gli stati 1 e 2, mentre i segmenti
71
Capitolo 5
A
v/a*
v/a *
*
σ
O
M2 *
δ M1
2
A
1
δ
u/a*
M
* =1
* =1
M
u/a
O
*
B C
1
a)
b)
Figura 5.5:
A1 ed A2 rappresentano la velocità normale all’urto rispettivamente a monte
ed a valle dell’urto stesso. Ripetendo per diversi valori di δ la costruzione descritta si ottiene una curva che rappresenta lo stato a valle di tutti i possibili
urti in un flusso definito da M1 e che prende il nome di polare dell’urto.
L’equazione della polare può essere ottenuta con opportune manipolazioni
delle equazioni dell’urto obliquo e risulta
ṽ 2 =
(M1∗ − ũ)2 (ũM1∗ − 1)
2
2
M1∗ − ũM1∗ + 1
γ+1
(5.20)
essendo ũ e ṽ le componenti cartesiane della velocità adimensionalizzate rispetto ad a∗ .
La (5.20) è l’equazione di una strofoide che è rappresentata in Fig. 5.5b.
Si osservi che per ogni valore di δ la (5.20) fornisce tre soluzioni rappresentate in Fig. 5.5b dai punti A, B, C. Il punto A, che si trova all’interno del
cerchio sonico, rappresenta la soluzione di urto forte ed il punto B quella di
urto debole. Il punto C, per il quale M2∗ > M1∗ , rappresenta invece un urto
attraverso il quale si ha un aumento di velocità e quindi una soluzione con
diminuzione di entropia che non è fisicamente significativa. Pertanto i rami
della strofoide a destra del punto 1 non vengono presi in considerazione e la
polare dell’urto è costituita dalla curva rappresentata in Fig. 5.5a.
Dall’esame della polare (Fig. 5.6a) si rileva:
1. Il punto C nel quale la retta per l’origine è tangente alla polare corrisponde alla massima deviazione δmax .
2. Per ogni δ < δmax si hanno due intersezioni con la polare (punti B e D)
che rappresentano rispettivamente l’urto debole e l’urto forte.
72
Capitolo 5
v/a*
H
O
D
E
in
ea
Γ1
2L
δ max
σ
C
C
di
M
ac
h
v/a*
B
δ
O
A u/a*
a)
α
A u/a*
E
b)
Figura 5.6:
3. I punti E ed A per i quali non si ha deviazione rappresentano rispettivamente l’urto normale e l’onda di Mach.
Se per il punto A consideriamo la costruzione grafica per determinare la
direzione dell’urto facendo tendere ad A il generico punto B, la retta HA di
Fig. 5.6a diviene la tangente in A, mentre l’urto, la cui intensità tende a zero,
diviene una linea di Mach e forma quindi l’angolo α con l’asse x.
Pertanto la tangente alla polare nel punto A è normale alla linea di Mach
(Fig. 5.6b). Poiché anche la caratteristica odografa nel punto A è normale
alla linea di Mach della famiglia opposta, le caratteristiche odografe nel punto A sono tangenti alla polare ed è possibile dimostrare che hanno anche la
stessa curvatura della polare. Nell’intorno del punto A i punti della polare
rappresentano lo stato a valle di urti molto deboli che possono con buona approssimazione essere considerati isentropici, il che spiega il fatto che la polare
sia praticamente coincidente con le caratteristiche odografe, le quali rappresentano appunto una compressione isentropica. Allontanandosi dal punto A
per una stessa deviazione δ il valore di M2∗ a valle di un urto risulta minore di quello che si ottiene attraverso una compressione isentropica e quindi la
caratteristica odografa è esterna alla polare (Fig. 5.6b).
Naturalmente ad ogni valore di M1∗ corrisponde una diversa polare (Fig. 5.7).
Per M1 = 1 la polare si riduce ad un punto sul cerchio
√ sonico (punto A di
∗
Fig. 5.7) mentre per M1 = ∞ che corrisponde a M1 = 6 la polare diviene
una circonferenza.
Si osservi infine che i punti della polare aventi v positiva rappresentano
urti che si trovano alla sinistra di un osservatore che si muova nel verso della
corrente. Questi urti vengono pertanto detti urti sinistri ed in analogia alla
convenzione assunta per le linee caratteristiche verranno indicati come urti
della seconda famiglia. Viceversa gli urti che danno luogo ad una v negativa
sono detti urti destri e verranno indicati come urti della prima famiglia.
73
Capitolo 5
M=
v/a*
M=
4
M=
2
A
u/a*
2.45
0.41
Figura 5.7:
5.3
Riflessione di urti
Consideriamo il flusso supersonico in un condotto la cui parete inferiore presenti
una brusca variazione di direzione (Fig. 5.8a). Se l’angolo δ di deviazione
della parete è minore del valore δmax che corrisponde ad M∞ , la condizione
di tangenza alla parete a valle del punto A può essere soddisfatta se in A ha
origine un urto obliquo.
B
v/a*
M1
I
III
a
II
b
II
σ
A
δ
δ
III
a)
I
u/a*
b)
Figura 5.8:
Supponiamo inoltre che la pressione a valle del condotto sia sufficientemente
bassa da far sí che l’urto originato in A sia un urto debole.
In base ai valori di MI e δ è possibile calcolare con la procedura descritta
nel § 5.1 le condizioni a valle dell’urto (zona II) e, conoscendo σ, determinare
il punto B nel quale l’urto incide sulla parete superiore. Per soddisfare la
condizione al contorno a valle di B è necessario che dal punto B abbia origine
un altro urto (urto riflesso) di famiglia opposta a quella dell’urto incidente e
tale da far deviare la corrente di un angolo −δ, cosicché il flusso nella regione III
abbia nuovamente la direzione della regione I. La determinazione del flusso nella
zona III può nuovamente essere effettuata a partire dai valori di MII e δ. Poiché
MII < MI , l’intensità dell’urto riflesso è minore di quella dell’urto incidente
e la riflessione non è quindi speculare. Gli stati II e III possono anche essere
74
Capitolo 5
determinati per via grafica con l’ausilio delle polari relative all’urto incidente
ed a quello riflesso come indicato in Fig. 5.8b.
B
a
I
σ
II
δ
A
Figura 5.9:
Si osservi che qualora nel punto B la parete superiore subisca la stessa
deviazione che si ha nel punto A (Fig. 5.9), la condizione al contorno a valle
di B è soddisfatta, non si genera quindi l’urto riflesso e si ha la cancellazione dell’urto incidente. La riflessione precedentemente descritta, che prende
il nome di riflessione regolare, può però verificarsi solo se δ < δmax (MII ).
Infatti, poiché MII < MI , è possibile che si verifichi la situazione in cui
δmax (MII ) < δ < δmax (MI ) per la quale il raddrizzamento della corrente non
può avvenire attraverso un urto obliquo. Con riferimento alla Fig. 5.8b, ciò
corrisponde al fatto che, aumentando δ, la polare dell’urto riflesso non interseca
più l’asse delle ascisse.
Quando il valore di δ è cosí grande da rendere impossibile la riflessione
regolare, si verifica un particolare tipo di riflessione che prende il nome di
riflessione di Mach e che è schematicamente indicato in Fig. 5.10a.
B
Dc
I
a
A
II
σ
δ1
b
δ
(a)
(b) da Shapiro
Figura 5.10:
Quando non è possibile avere un urto riflesso, la condizione di tangenza a
valle di B può essere soddisfatta solo se l’urto è un urto normale attraverso il
quale la deviazione è nulla. Allontanandosi dalla parete superiore, l’urto c si
incurva e la corrente, che è subsonica a valle dell’urto, subisce una deviazione
verso l’alto via via crescente. Nel punto triplo D si incontrano l’urto incidente
75
Capitolo 5
a, l’urto forte c e l’urto riflesso b, il quale quindi ha origine non più dalla parete
ma dall’interno del campo. L’esistenza dell’urto riflesso b è ora nuovamente
possibile in quanto esso deve deviare la corrente non più dell’angolo δ, ma
dell’angolo δ − δ1 . Si osservi inoltre che la linea di corrente uscente dal punto D
costituisce una discontinuità di contatto. Se infatti consideriamo due particelle
che passino una immediatamente al di sopra e l’altra immediatamente al di
sotto del punto D, esse dovranno avere la stessa direzione della velocità e la
stessa pressione ma, poiché la prima ha attraversato gli urti a e b, esse avranno
subito una diversa variazione di entropia. In particolare, poiché a parità di
salto di pressione la dissipazione è maggiore nel passaggio attraverso un singolo
urto, al di sopra della linea di corrente uscente da D l’entropia è maggiore, la
pressione totale è minore e di conseguenza la velocità è minore. Pertanto
lungo la linea di corrente passante per D si ha una vorticità concentrata di
verso antiorario.
Nell’analisi del flusso di Fig. 5.8 si è ipotizzata la formazione di un urto
debole. Il fatto che la deviazione δ avvenga attraverso un urto debole o un
urto forte dipende dal valore della pressione a valle del condotto. Se questa è
sufficientemente alta la deviazione della corrente viene realizzata mediante un
urto forte (Fig. 5.11a). Poiché a valle dell’urto il flusso è subsonico, non può
esistere un urto riflesso ed in corrispondenza alla parete superiore la condizione di tangenza può essere soddisfatta solo se δ = 0 ovvero l’urto è normale
alla parete stessa. L’urto è pertanto un urto curvo la cui intensità aumenta
passando da A a B. Nel piano odografo (Fig. 5.11b) l’urto è rappresentato non
più da un punto ma da un arco della polare.
B
v/a *
C
A
A
δ
O
a)
C
δ
u/a*
B
b)
Figura 5.11:
Le particelle che si muovono lungo le diverse linee di corrente passano
attraverso un urto di diversa intensità e subiscono quindi un diverso aumento
di entropia. Pertanto il flusso a valle di un urto curvo non è più omentropico
e si ha un gradiente di entropia diretto normalmente alle linee di corrente. In
base al teorema di Crocco il flusso a valle dell’urto è rotazionale e nel caso di
Fig. 5.11 è facile verificare che la vorticità ha verso antiorario.
76
5.4
Capitolo 5
Interazione di urti
Un urto interagisce sempre con le onde di Mach della stessa famiglia generate
sia a monte che a valle dell’urto stesso. Con riferimento alla Fig. 5.12 per
l’onda di Mach generata in B si ha infatti
a1
V1
mentre per l’urto la relazione (5.15) fornisce
(5.21)
sin α1 =
sin σ =
Vn 1
V1
V2
V1
B
(5.22)
α2
σ
α1
A
C
δ
Figura 5.12:
Poiché, affinché esista l’urto, la velocità normale deve essere supersonica,
si ha Vn1 > a1 e quindi σ > α1 .
Analogamente per l’onda di Mach generata nel punto C si ha
sin α2 =
a2
V2
(5.23)
e dalla (5.16) si ottiene
Vn 2
(5.24)
V2
Poiché la velocità normale a valle di un urto è subsonica, dal confronto
delle (5.23) e (5.24) risulta
sin(σ − δ) =
σ − δ < α2
Consideriamo ora due urti della stessa famiglia generati ad esempio da due
successive deviazioni della parete come indicato in Fig. 5.13. Poiché, in base
alle considerazioni precedenti, si ha:
77
Capitolo 5
c
V d.c.
D
I
a
σ1
b
II
α
δ1 B
σ2
IV
III
v/a*
Γ2
IV
θ IV = θ V
ΙΙΙ
V
ΙΙ
δ2
δ1 I
δ2
O
A
u/a*
a)
b)
c) [da Shapiro]
Figura 5.13:
σ1 − δ1 < α
e
α < σ2
risulta
σ1 − δ1 < σ2
Pertanto due urti della stessa famiglia si incontrano sempre ed è intuitivo
che essi diano luogo ad un urto più intenso (urto c di Fig. 5.13a).
Con un ragionamento del tutto identico a quello svolto alla fine del precedente paragrafo si deduce che la linea di corrente uscente dal punto D
costituisce una discontinuità di contatto.
Dal punto D deve inoltre aver origine un’altra onda che, a seconda dell’intensita’ degli urti a e b, puo’ essere un’urto o un’onda di espansione. Se infatti
quest’onda non esistesse, le regioni III e V dovrebbero avere la stessa pressione
e la stessa direzione della corrente. Ma la pressione e la direzione nella regione III sono univocamente determinate dalle condizioni iniziali ed al contorno.
78
Capitolo 5
D’altra parte se a valle dell’urto c assumiamo che si abbia ϑV = ϑIII , l’urto
c è completamente determinato e risulterà in genere pV 6= pIII . Se invece dal
punto D ha origine un’altra onda è possibile regolare l’intensità di quest’ultima
e l’intensità dell’urto c in modo che siano verificate le condizioni
ϑIV = ϑV
(5.25)
pIV = pV
Il problema costituisce un caso particolare del più generale problema di
Riemann bidimensionale, la cui soluzione può essere ottenuta con un metodo
iterativo. Assumendo ad esempio un valore di primo tentativo p′IV = p′V ,
dal rapporto p′V /pI è possibile ottenere M1n e mediante la (5.15) determinare
l’angolo σ che, introdotto nella (5.17) (o mediante la Tabella A.4), fornisce
il valore di δ = ϑV . Nell’ipotesi che l’onda riflessa sia un’onda di espansione
come indicato in Fig 5.13, la Tabella A.1 consente di determinare p0 in base ai
valori di pIII ed MIII e quindi di ottenere MIV con i valori di p′IV e p0 , che è
costante attraverso l’espansione. La seconda delle (4.8) scritta fra gli stati III e
IV consente poi, con l’ausilio della Tabella A.3, di ottenere il valore di ϑIV che
risulterà in genere diverso dal valore ϑV precedentemente calcolato. Se ϑIV <
ϑV si dovrà ripetere il procedimento con un valore di secondo tentativo p′′IV <
p′IV cosicché diminuisca l’intensità dell’urto ed aumenti quella dell’espansione.
Il procedimento dovrà quindi essere iterato fino ad ottenere che sia soddisfatta
la condizione ϑIV = ϑV .
00111100
III
01
M>1
I
δ2
V d.c.
IV
v/a*
II
II
δ1 IV
δ1
0011
1100
O
V
δ2
I
θIV = θV
u/a *
III
a)
b)
Figura 5.14:
Un problema di Riemann si presenta anche nella interazione fra due urti
di famiglia opposta che è rappresentata in Fig. 5.14 dove due urti di diversa intensità sono generati da due diverse deviazioni delle pareti superiore ed
inferiore del condotto.
Due urti di famiglia opposta hanno origine anche all’uscita di un ugello
sovraespanso (Fig. 5.15a). In questo caso gli urti nascono non per soddisfare
una condizione sulla direzione della velocità ma per soddisfare la condizione al
79
Capitolo 5
pE
b
d
b
d
e
p1
a
II
a
c
a)
c
b)
c) [da Owczarek]
d) [da Ferri]
Figura 5.15:
contorno che la pressione al confine del getto debba essere uguale alla pressione
esterna pE > p1 . In base al rapporto pE /p1 è possibile determinare M1n e,
mediante le (5.15) e (5.17), i valori di σ e δ.
Come indicato in Fig. 5.15a i due urti, che in questo caso hanno uguale
intensità e non danno quindi luogo ad una discontinuità di contatto, dopo
aver interagito si riflettono sul confine del getto. Poiché lungo quest’ultimo la
pressione deve essere costante e pari a pE , gli urti si riflettono come onde di
espansione le quali a loro volta, dopo aver interagito, si riflettono come onde
di compressione. Analogamente a quanto visto per gli ugelli sottoespansi, il
getto subisce una serie di allargamenti e restrizioni ed all’interno del getto si
hanno zone di flusso uniforme alternativamente con pressione più alta e più
bassa di pE .
All’aumentare di pE i due urti a e b divengono più intensi ed il numero
di Mach MII diminuisce fino a quando accade che δmax (MII ) < δ. In queste
condizioni non è più possibile il raddrizzamento della corrente attraverso gli
urti c e d. Analogamente al caso della riflessione su di una parete non si ha
80
Capitolo 5
più una interazione regolare ma si verifica una interazione di Mach come è
schematicamente indicato in Fig. 5.15b. In corrispondenza all’asse del getto
il flusso a valle dell’urto e è subsonico mentre alla periferia del getto il flusso
resta supersonico.
Aumentando ulteriormente il valore di pE gli urti a e b diventano urti
forti ed il flusso nel getto diviene interamente subsonico con la conseguente
scomparsa degli urti c e d. Infine, aumentando ancora il valore di pE , l’urto
curvo aeb tende a diventare un urto normale nella sezione di uscita dell’ugello.
5.5
Profili alari
Consideriamo un profilo alare di forma particolarmente semplice quale il profilo
triangolare di Fig. 5.16, supponendo ancora che δ < δmax (M1 ).
D
M>1
E
c
I
A
D
b
a
II
g
V
IV
IV
δ B
III
C
V
β
a
e
a)
f
h
b)
Figura 5.16:
Il problema è del tutto analogo a quello di Fig. 5.8 e dal bordo di attacco del
profilo avrà quindi origine un urto obliquo. A differenza del flusso all’interno di
condotti, nel caso di flussi esterni la pressione a valle è sempre poco differente
da quella a monte e pertanto si ha sempre la formazione di un urto debole.
Le condizioni del flusso nella regione II possono essere determinate mediante le relazioni per un urto obliquo. Dal punto B ha origine un’espansione
centrata e le condizioni nella zona III possono quindi essere determinate sfruttando l’invarianza di R1 attraverso l’espansione e la conoscenza della direzione
della corrente ϑIII . A valle del bordo di uscita la corrente proveniente dal dorso
e quella proveniente dal ventre del profilo devono avere lo stesso valore di pressione e la stessa direzione (pIV = pV , ϑIV = ϑV ). Pertanto al bordo di uscita
si ha un problema di Riemann che, nel caso in esame, dà luogo superiormente
ad un urto ed inferiormente ad una debole onda di espansione. La direzione
della corrente al bordo di uscita non coincide quindi con la direzione del flusso
indisturbato ma forma un piccolo angolo β, che in questo caso è positivo e
Capitolo 5
81
che viene detto angolo di upwash. L’onda di espansione generata nel punto B
interagisce in parte con l’urto anteriore ed in parte con quello posteriore.
Cominciamo ad esaminare l’interazione con l’urto anteriore che ha inizio nel
punto D in cui l’urto interseca il fronte posteriore dell’espansione. Possiamo
approssimare l’onda di espansione con un numero discreto di espansioni di
intensità finita quali le onde e ed f di Fig. 5.16b. L’interazione dell’onda e
con l’urto a è del tutto analoga all’interazione di due urti della stessa famiglia.
Nel punto D si ha pertanto un problema di Riemann che dà origine ad un
nuovo urto g, di intensità minore dell’urto a, ad un’onda di espansione h e ad
una discontinuità di contatto che separa le zone IV e V ove si deve avere la
stessa pressione e la stessa direzione della corrente. Come è schematicamente
indicato in Fig. 17.b, un problema di Riemann si genera anche nell’interazione
fra l’onda incidente f e l’onda riflessa h, come pure ogni qualvolta un’onda
incidente o riflessa interseca una discontinuità di contatto. La soluzione del
campo con il metodo delle caratteristiche diviene pertanto proibitiva anche
quando si discretizzi l’onda di espansione in un numero molto piccolo di onde
di intensità finita.
In realtà l’onda di espansione generata in B è continua e la sua interazione con l’urto a può essere immaginata come una successione infinita di atti
di interazione elementare quale quello sopra descritto. A partire dal punto D
pertanto la direzione dell’urto non varia bruscamente ma varia con continuità
dando luogo ad un urto curvo di intensità decrescente. Così pure a valle dell’urto non si ha una serie di discontinuità di contatto ma si ha una variazione
continua dell’entropia ed il flusso è quindi rotazionale. Allontanandosi dal profilo l’urto tende asintoticamente ad assumere la direzione delle linee di Mach
della corrente indisturbata e la sua intensità tende quindi a zero.
All’interno dell’onda di espansione originata in B esisterà una caratteristica
(indicata con c in Fig. 5.16a) che è parallela alle linee di Mach della corrente
indisturbata. La parte dell’onda di espansione che si trova a destra della caratteristica c interagisce con l’urto b che si genera al bordo di uscita, riducendone
l’intensità e modificandone la direzione, che, a grande distanza dal profilo,
tende anch’essa a divenire parallela alle linee di Mach del flusso indisturbato.
Allontanandosi dal profilo l’urto b diventa più ripido e ciò potrebbe a prima
vista far pensare che la sua intensità aumenti. In realtà così non è in quanto il
82
Capitolo 5
E
II
B
I
σ2
σ1
D
C
Figura 5.17:
flusso a monte dell’urto b non è uniforme. Come è rappresentato in Fig. 5.17,
l’urto nel tratto DE, pur essendo più ripido di quello nel tratto CD, forma con
la direzione della corrente a monte un angolo σ2 < σ1 ed essendo MII < MI è
quindi meno intenso dell’urto CD.
Il fatto che a grande distanza dal profilo l’intensità sia dell’urto anteriore che di quello posteriore debba tendere a zero può essere dedotto in base a
considerazioni energetiche. Consideriamo attorno al profilo un volume di controllo (Fig. 5.18) il cui confine sia sufficientemente lontano dal profilo così da
poter assumere che lungo il confine la pressione sia uguale a quella del flusso
indisturbato.
y
h
0
2
1
x
Figura 5.18:
Applicando a questo volume il principio della conservazione della quantità
di moto, la resistenza del profilo risulta
D=
Z
0
h
ρ1 V12 dy
−
Z
h
0
ρ2 V22 dy
(5.26)
83
Capitolo 5
Ricordando la
γ
p0 ρ
= 1 + δM 2 γ−1 = 1 + δ V 2
p
γp
si ha
γ
ρV = p
δ
2
"
p0
p
γ−1
γ
γ
γ−1
(5.27)
#
−1
che sostituita nella (5.26) dà
γ
D = p∞
δ
Z
0
h
(
p01
p∞
γ−1
γ
−
p02
p∞
γ−1 )
γ
dy
(5.28)
La resistenza dipende quindi dall’integrale della variazione di pressione totale che si verifica per effetto degli urti al bordo di attacco ed al bordo di
uscita del profilo. Affinchè la resistenza sia finita è necessario che l’integrando,
e quindi l’intensità degli urti, tenda a zero allontanandosi dal profilo. L’espressione (5.28) mostra come la resistenza di un profilo supersonico sia dovuta alla
non isentropicità e quindi alla dissipazione che si ha attraverso le onde d’urto
e giustifica il nome di resistenza d’onda.
Può a questo punto apparire sorprendente che si sia ottenuto un valore finito
della resistenza d’onda nell’ambito della teoria di Ackeret, la quale prescinde
dall’esistenza di onde d’urto. La spiegazione sta nel fatto che un profilo di
spessore infinitesimo genera disturbi infinitesimi ma non nulli e ad un’onda di
Mach è quindi associata una variazione infinitesima di entropia. Poichè però
le onde di Mach, non interagendo tra loro, si estendono fino all’infinito, si ha
una variazione di entropia infinitesima per una lunghezza infinita che dà luogo
ad un valore finito della resistenza.
Figura 5.19:
84
Capitolo 5
Completiamo infine la descrizione del flusso attorno al profilo di Fig. 5.16
osservando che anche dall’interazione fra l’onda di espansione e l’urto posteriore
ha origine un sistema di onde rifratte che si estende a valle dell’urto. Utilizzando una rappresentazione discreta dell’onda di espansione, a valle dell’urto
posteriore si genera un complesso sistema d’onde e discontinuità di contatto
che interagiscono fra loro, come è schematicamente indicato in Fig. 5.19 per il
caso di una lastra piana con incidenza.
Attraverso questo sistema di onde le condizioni del flusso a valle vengono
modificate fino a che a distanza infinita il flusso assume una piccola componente
di velocità diretta verso il basso, come deve accadere dal momento che sul
profilo si esercita una forza diretta verso l’alto.
5.6
Calcolo dei coefficienti aerodinamici per profili
supersonici
Come si è visto all’inizio del paragrafo precedente, per un profilo di forma semplice, quale quello di Fig. 5.16, è possibile calcolare la pressione nelle regioni
II e III nonchè sul ventre del profilo (in questo caso si ha p = p∞ ) e quindi
determinare i valori esatti dei coefficienti di portanza, di resistenza e di momento. I valori esatti sono tanto più prossimi a quelli forniti dalla teoria di
Ackeret quanto più piccolo è l’angolo δ e quanto più prossimo ad 1 è il valore di
M∞ (cosicché gli urti possano essere approssimati come fenomeni isentropici).
Naturalmente la determinazione esatta dei coefficienti aerodinamici può essere
effettuata, in modo del tutto analogo, anche quando l’angolo di incidenza non
sia nullo o nel caso di un profilo a doppio diedro.
Meno semplice è il calcolo di profili con parete curva come quello rappresentato in Fig. 5.20. Anche in questo caso al bordo di attacco si forma un urto
tale da deviare la corrente dell’angolo che la tangente al profilo forma con la
direzione della corrente all’infinito.
A valle dell’urto, tuttavia, lungo la parete curva si genera un’espansione
continua la quale inizia immediatamente ad interagire con l’urto. Le onde
riflesse pertanto incidono sul profilo e modificano la distribuzione di pressione
sulla superficie. Come si è già detto, un calcolo che tenga conto di tutte le
riflessioni ed interazioni fra onde discrete e discontinuità di contatto è così
complicato da risultare impraticabile. Tuttavia, poichè l’intensità delle onde
riflesse è molto piccola, non si commette un errore significativo trascurandone
l’esistenza. In questo modo sulla superficie inferiore e superiore del profilo il
flusso è ad onda semplice, come indicato in Fig. 5.20b, e la curvatura degli
urti non interviene nel calcolo dei coefficienti aerodinamici del profilo. In altri
termini, con questa approssimazione si trascurano le variazioni di entropia e
quindi la rotazionalità a valle degli urti.
85
Capitolo 5
a)
b)
c) [da Ferri]
Figura 5.20:
Il principale inconveniente del calcolo esatto dei coefficienti aerodinamici
è che, data la complessità algebrica delle relazioni di salto e di quelle per le
espansioni isentropiche, non è possibile ottenere espressioni analitiche di Cp
in funzione di M∞ e dell’angolo di incidenza e quindi ogni diversa situazione
richiede un calcolo indipendente. Viceversa, la teoria linearizzata consente di
ottenere espressioni analitiche semplici, ma fornisce soluzioni che non sempre
sono sufficientemente accurate. Un miglioramento dell’accuratezza può essere
ottenuto se, anzichè tener conto dei soli termini lineari, che rappresentano i
termini del primo ordine di uno sviluppo in serie, si considerano anche termini
di ordine superiore come accade nella teoria del secondo ordine, che viene di
seguito esposta.
Consideriamo dapprima le relazioni isentropiche che valgono per le onde
di espansione. La relazione (4.6) stabilisce un legame fra il numero di Mach
locale e l’angolo ϑ che la direzione della corrente forma con la direzione iniziale.
D’altra parte per un flusso isentropico si ha
p
=
p∞
2
1 + δM∞
1 + δM 2
!
γ
γ−1
(5.29)
86
Capitolo 5
Eliminando M fra queste due equazioni, sviluppando p/p∞ in serie di
potenze di ϑ e sostituendo nella (2.32), si perviene dopo lunghi calcoli alla
relazione
Cp = ±C1 ϑ + C2 ϑ2 ± C3 ϑ3 + ...
(5.30)
dove i segni superiore ed inferiore corrispondono rispettivamente ad onde della
seconda e della prima famiglia ed i coefficienti sono dati da
C1 =
C2 =
2
p
2 −1
M∞
2
2 − 2 + γM 4
M∞
∞
2
2
2 (M∞ − 1)
(5.31)
(5.32)
L’espressione di C3 , che è anch’esso funzione unicamente di M∞ e γ, non
viene qui riportata per brevità, tenendo conto che limiteremo l’analisi ad una
teoria del secondo ordine.
Si noti che, troncando la serie (5.30) al termine del primo ordine, si riottiene
la soluzione linearizzata (2.51).
Nel caso di un’onda d’urto si può operare in maniera analoga, eliminando
l’angolo σ fra la (5.17) (nella quale δ = ϑ e M1 = M∞ ) e la relazione
p
2γ 2
=1+
M∞ sin2 σ − 1
p∞
γ+1
(5.33)
Cp = ±C1 ϑ + C2 ϑ2 ± (C3 − C4 ) ϑ3 + ...
(5.34)
L’espressione cui si perviene sviluppando in serie risulta
che differisce dalla (5.30) solo per i termini di ordine superiore al secondo, dove
anche C4 è un coefficiente dipendente da M∞ e γ. Nella teoria del secondo
ordine quindi non c’è distinzione fra onde d’urto e compressioni isentropiche,
il che vuol dire che vengono trascurate le variazioni di entropia a valle degli
urti.
Utilizzando la (5.30) troncata al secondo ordine anzichè la (2.51), è possibile
ottenere per i coefficienti aerodinamici le seguenti espressioni
(5.35)
CL
= 2C1 α + C2 (J1i − J1s )
CD
= 2C1 α2 + C1 (J1i + J1s ) + 3C2 (J1i − J1s ) α + C2 (J2i + J2s ) (5.36)
CM
= C1 α + C1 (J3i − J3s ) + 2C2 (J3i + J3s ) α + C2 (J4i − J4s )
(5.37)
87
Capitolo 5
dove J1 , J2 , J3 , J4 sono integrali che dipendono unicamente dalla geometria del
dy
profilo attraverso la pendenza locale τ (x) =
dx
J1 =
Z
1
τ 2 dx
J2 =
0
J3 =
Z
Z
1
τ 3 dx
0
1
τ xdx
J4 =
Z
(5.38)
1
τ 2 xdx
0
0
A titolo di esempio consideriamo nuovamente il profilo triangolare di Fig. 5.16a
con angolo di incidenza nullo. Gli integrali (5.38) risultano in questo caso
J1i = J2i = J3i = J4i = 0
J1s = δ2
J2s = 0
J3s = −
δ
4
J4s =
δ2
2
ed i coefficienti aerodinamici
CL = −C2 δ2
CD = C1 δ2
δ2
δ
CM = C1 − C2
4
2
Nella Tabella 9.1 sono riportati i valori dei coefficienti aerodinamici e della
posizione del centro di pressione xc.p. calcolati con le teorie del I ordine, del II
ordine ed esatte in corrispondenza a M∞ = 1.5 e δ = 10◦ .
CL
CD
CM
xc.p.
Tabella 9.1
I ordine II ordine
0
-.070
.054
.054
.078
.043
∞
-.65
Esatta
-.081
.059
.041
-.50
Si osservi che mentre la teoria linearizzata predice portanza nulla, la teoria
esatta e quella del II ordine danno una portanza negativa. Questo risultato
mostra un’altra significativa differenza fra i flussi subsonici e quelli supersonici.
Infatti mentre in un flusso subsonico un profilo con curvatura positiva della
linea media ha portanza positiva per angolo di incidenza nullo, lo stesso profilo
in flusso supersonico ha portanza negativa.
Rispetto alla teoria lineare, la teoria del secondo ordine fornisce un altro
significativo miglioramento per quanto riguarda la valutazione della posizione
del centro di pressione. Infatti, mentre con la teoria lineare si ottiene che ad
incidenza nulla il centro di pressione del profilo in esame si trova all’infinito,
la teoria del secondo ordine predice che esso si trovi ad una distanza finita a
88
Capitolo 5
monte del profilo, in discreto accordo con il risultato del calcolo esatto. Un
analogo miglioramento si ottiene anche per angoli di incidenza non nulli e per
altri tipi di profili. Un esempio di questo miglioramento è mostrato in Fig. 5.21
dove è riportato l’andamento del coefficiente di pressione sul ventre e sul dorso
del profilo rappresentato nella figura stessa.
Figura 5.21:
Si osservi come, a differenza della teoria lineare, sia la teoria esatta che
quella del secondo ordine forniscono risultati in buon accordo con quelli sperimentali ad eccezione che sulla parte posteriore del ventre. Questa differenza è dovuta alla presenza dello strato limite, che non abbiamo considerato
nella nostra teoria, e che come si vedrà nel seguito interagisce con l’urto di
ricompressione che si forma al bordo di uscita.
5.7
Urti staccati
Sia nell’analisi dei flussi a parete (Fig. 5.8) che in quella del flusso su un
profilo (Fig. 5.16) abbiamo finora supposto che l’angolo δ di cui deve deviare
la corrente fosse minore del valore δmax che corrisponde a M∞ .
Esaminiamo ora cosa accade al crescere di δ per un valore fissato di M∞ .
Man mano che δ aumenta, cresce l’intensità dell’urto e diminuisce il numero di
Mach a valle dell’urto stesso, fin quando per un certo valore δ1 si ha M2 = 1.
Questa situazione, che corrisponde al punto C di Fig. 5.22, è rappresentata
in Fig. 5.23a. Poichè il flusso a valle dell’urto è sonico, il fronte posteriore
89
Capitolo 5
=1
v/a *
*
δ max
A
M
C
δ1
E
D
u/a *
Figura 5.22:
dell’espansione che ha origine in B è anch’esso una linea sonica ed è pertanto
normale alla direzione della parete AB.
Per δ1 < δ < δmax (punto A di Fig. 5.22), il flusso a valle dell’urto è subsonico. Poichè più a valle il flusso deve tornare ad essere supersonico, la regione
subsonica ha un’estensione limitata e confina con la zona supersonica attraverso la linea sonica BC (Fig. 5.23b) che adesso è però una curva. Nella regione
ABC il flusso non è più uniforme, ma accelera e si espande in regime subsonico.
Le linee di corrente pertanto non sono più nè rette, nè fra loro parallele, ma
sono curve e convergenti cosicchè la sezione di un tubo di flusso diminuisca,
come deve accadere in un’espansione subsonica. Poichè le condizioni a valle
dell’urto non sono più uniformi, l’urto ha un’intensità che decresce dal punto
A al punto C ed è quindi un urto curvo, rappresentato sulla polare di Fig. 5.22
dal tratto AC. Si osservi anche che l’espansione supersonica che ha origine in
B non è più un’onda semplice, in quanto il flusso a monte dell’espansione non è
uniforme ed è rotazionale. Le linee a numero di Mach costante (che nel caso di
Fig. 5.23a coincidevano con le caratteristiche) sono in questo caso curve come
indicato in Fig. 5.23b.
C
M>1
C
C
<1 B
1 B
M=
A
A
a)
M<1
M
D
b)
Figura 5.23:
B
A
c)
90
Capitolo 5
Aumentando ulteriormente l’inclinazione della parete, per δ > δmax l’urto
obliquo in corrispondenza ad A non sarebbe più in grado di realizzare la deviazione della corrente necessaria a soddisfare la condizione di tangenza alla
parete AB. La forma dell’urto si modifica pertanto come indicato in Fig. 5.23c
e si ha un urto staccato. In corrispondenza al punto D l’urto è normale così
da soddisfare la condizione al contorno nel tratto DA, lungo il quale il flusso è
subsonico e si comprime isentropicamente fino al punto di ristagno. A valle del
punto A la corrente riaccelera in regime subsonico fino a raggiungere M = 1
immediatamente a monte del punto B per poi proseguire l’espansione in regime
supersonico. L’urto staccato è sempre un urto curvo ed è rappresentato nel
piano odografo dall’intera polare dell’urto. Infatti all’asse di simmetria l’urto
e’ normale (punto D di Fig. 5.22) mentre a grande distanza dal corpo esso
tende a diventare un’onda di Mach (punto E).
Oltre che nel caso dei corpi appuntiti con δ > δmax , si ha la formazione di
un urto staccato anche davanti a corpi con punta arrotondata (blunt bodies)
come indicato in Fig. 5.24a.
La regione compresa fra l’urto ed il corpo, che è in parte subsonica ed in
parte supersonica, viene detta strato d’urto. In Fig. 5.24c sono visualizzate,
mediante interferometria le linee a densita’ costante all’interno dello strato
d’urto.
La forma dell’urto e la sua distanza dal corpo ∆ (stand off distance) dipendono dalla geometria e dimensione del corpo e dal numero di Mach della
corrente indisturbata.
Per quanto riguarda la dipendenza da M∞ , la distanza ∆ diminuisce al
crescere di M∞ . Ciò può essere qualitativamente compreso analizzando il fenomeno transitorio dovuto ad una variazione di velocità del corpo. Consideriamo
una situazione stazionaria nella quale urto e corpo si muovono con velocità V1
e la distanza urto-corpo sia ∆1 . Se ora aumentiamo la velocità del corpo ad un
valore V2 > V1 , dalla superficie del corpo avrà origine un’onda di compressione
che, essendo il flusso nello strato d’urto subsonico, propaga verso l’urto con la
velocità del suono. L’onda impiega un tempo ∆t = ∆1 /a a raggiungere l’urto.
Poichè durante questo intervallo di tempo l’urto ha seguitato a viaggiare con la
velocità V1 , la distanza urto-corpo sarà diminuita della quantità (V2 − V1 )∆t.
Quando l’onda di compressione raggiunge l’urto, questo diventa più intenso
ed aumenta quindi la sua velocità fino a V2 . Si ha così una nuova situazione
stazionaria nella quale però ∆2 < ∆1 .
Per M∞ → 1 si ha un’urto di intensità nulla a distanza infinita dal corpo.
Al crescere di M∞ , l’urto si avvicina al corpo. Se il corpo è con δ < δmax (∞),
l’urto si attacca al corpo in corrispondenza al valore di M∞1 , per il quale
δmax (M∞1 ) = δ. Viceversa se il corpo è arrotondato, o se δ > δmax (∞), non
si può mai avere un urto attaccato e ∆ tende ad un valore limite non nullo.
Nel caso di un cilindro di raggio R il valore limite, determinato nell’ipotesi di
91
Capitolo 5
E
M>1
D
B
1
δ>δMAX
L
M<
<1
M
M>1
L
∆
∆
a)
b)
c)[da Van Dyke]
d) [da Owczareck]
Figura 5.24:
gas perfetto, risulta essere ∆ = .38 R. Tuttavia, per valori elevati di M∞ il
flusso è ipersonico e l’ipotesi di gas perfetto non è più valida, specialmente nel
caso di gas biatomici come l’aria. A valle dell’urto infatti, la temperatura è
così alta (dell’ordine di parecchie migliaia di gradi) da dar luogo ai fenomeni di
eccitazione vibrazionale, di dissociazione molecolare e di ionizzazione atomica.
Questi fenomeni sono endotermici ed hanno pertanto l’effetto di ridurre la
temperatura rispetto al valore predetto dal modello di gas perfetto. Pertanto
la densità nello strato d’urto risulta essere più grande e lo spessore dello strato
d’urto è quindi minore. Nel caso reale infatti, per il cilindro si ha il valore
limite ∆ = .15 R.
92
Capitolo 5
Per quanto riguarda la dipendenza dalle dimensioni del corpo, è evidente
che ∆ sia proporzionale alla dimensione del corpo e che corpi geometricamente
simili siano anche in similitudine cinematica a parità di M∞ . Si osservi però
che lo spessore dello strato d’urto è determinato non dalla lunghezza o dallo
spessore del corpo, ma dalla dimensione L della regione subsonica. Supponiamo
infatti, come indicato dalla linea tratteggiata nella Fig. 5.24b, di modificare la
forma del corpo a valle del punto B, aumentandone così lo spessore. Poichè il
flusso a valle di B è supersonico, la perturbazione dovuta alla modifica della
superficie non può essere risentita a monte e la regione subsonica resta quindi
inalterata.
La posizione della linea sonica nonchè la posizione e forma dell’urto dipendono naturalmente anche dalla geometria del corpo e possono essere ottenute
solo mediante la soluzione dell’intero campo fluidodinamico. Poichè il flusso è
non isentropico e contiene sia zone subsoniche che supersoniche, la sua soluzione è notevolmente complessa e può essere ottenuta solo per via numerica.
Tuttavia nel caso di corpi di forma semplice esistono delle semplici formule, ottenute dalla correlazione dei dati numerici, che consentono di valutare la stand
off distance. Ad esempio nel caso di un cilindro di raggio R si ha con buona
approssimazione
∆
2
= .386 exp 4.67/M∞
R
(5.39)
∆
= .00924 (δ − δmax )
D
(5.40)
Così pure nel caso di corpi conici (Fig. 5.25) si ha
Questa correlazione è valida anche per coni con punta arrotondata purchè
il raggio di curvatura r non sia dello stesso ordine di grandezza di D ed il punto
sonico non si discosti quindi da B.
B
∆
r
D
δ
Figura 5.25:
93
Capitolo 5
Si osservi che il valore di δmax (M∞ ) da utilizzare nella (5.40) è quello
relativo ad un cono che, come si vedrà nel prossimo capitolo, è maggiore di
quello relativo ad un diedro rappresentato in Fig. 5.4a.
5.8
Teoria Newtoniana
Nel caso degli urti staccati, oltre alla valutazione della posizione dell’urto, è
importante poter determinare la pressione sulla superficie del corpo, onde poter
poi calcolare i coefficienti aerodinamici del corpo stesso.
Quando non si possa determinare la soluzione esatta per via numerica, una
soluzione approssimata è fornita dalla teoria newtoniana.
Tre secoli fa Newton formuló una teoria per valutare la forza esercitata da
un fluido su una parete inclinata. Secondo questa teoria le particelle fluide,
considerate come se fossero delle sferette rigide, cedono alla parete la loro
quantità di moto in direzione normale alla parete stessa, mentre mantengono
inalterata la loro velocità in direzione tangenziale. Tutte le particelle subiscono
quindi una improvvisa variazione di direzione in corrispondenza alla parete
come indicato in Fig. 5.26a.
M
Vt
>> 1
Vt
Vn
θ
V
θ
σ
a)
b)
Figura 5.26:
L’ipotesi di Newton corrisponde a considerare il flusso in direzione normale alla parete come un flusso unidimensionale per il quale l’equazione di
conservazione della quantita’ di moto è
d p + ρVn2 = 0
dn
Essendo alla parete Vn = 0, la pressione risulta
2
p = p ∞ + ρ ∞ V∞
sin2 ϑ
(5.41)
94
Capitolo 5
ed il coefficiente di pressione a parete è dato da
Cp = 2 sin2 ϑ
(5.42)
Il modello newtoniano è evidentemente errato in quanto l’annullarsi alla
parete della quantitá di moto in direzione normale comporta anche l’annullamento del flusso di massa. Nella realtà il flusso in prossimità della parete
è bidimensionale e, pur annullandosi il flusso di quantità di moto in direzione normale alla parete, il flusso di massa non si annulla ma viene deviato in
direzione tangenziale.
Tuttavia si è osservato che il risultato della teoria newtoniana (5.42) costituisce una buona approssimazione della realtà, particolarmente nel caso ipersonico. Ciò può essere spiegato considerando il flusso su un diedro per valori
di M∞ molto elevati (Fig. 5.26b). In questo caso l’angolo σ formato dall’urto
obliquo è poco più grande dell’angolo ϑ del diedro ed attraverso l’urto si realizza una brusca variazione di direzione, molto simile a quella prevista dalla
teoria newtoniana. Il coefficiente di pressione al corpo coincide con quello a
valle dell’urto che, ricordando le (5.11), (2.32) e (5.15), è dato da
1
4
sin2 σ − 2
Cp =
γ+1
M∞
(5.43)
Considerando il limite per M∞ → ∞, il coefficiente di pressione tende al
valore
4
sin2 σ
γ+1
(5.44)
mentre dalla relazione (5.17) è possibile verificare che, per piccoli valori di
ϑ = δ, e quindi anche di σ,
2
ϑ
→
σ
γ +1
(5.45)
Nell’ulteriore limite di γ → 1 si ha quindi
ϑ
→1 ,
σ
Cp → 2 sin2 ϑ
Il coefficiente di pressione tende cioè al valore predetto dalla teoria newtoniana, la quale quindi rappresenta la soluzione attraverso un urto obliquo per
M∞ → ∞ e per γ → 1. Si osservi che in questo doppio limite la densità a
valle dell’urto tende all’infinito come indicato dalla (5.10). Ciò permette che
l’urto sia coincidente con la superficie del corpo e che a valle dell’urto si abbia
Vn = 0 pur essendo il flusso di massa finito.
95
Capitolo 5
In base a quanto detto, è da attendersi che il risultato della teoria newtoniana sia tanto più approssimato quanto più alto è il numero di Mach e quanto
più prossimo ad uno è il valore di γ.
Mentre nel caso di un diedro è possibile determinare il valore di Cp al corpo
in modo esatto, per i corpi arrotondati ciò non è possibile se non mediante la
soluzione numerica ed il risultato della teoria newtoniana (5.42) fornisce in
questi casi una valida alternativa. Anche per i corpi arrotondati la teoria
newtoniana corrisponde a considerare che lo spessore dello strato d’urto sia
nullo e l’urto coincida quindi con la superficie del corpo.
Se si considera un corpo arrotondato simmetrico rispetto alla direzione
della corrente, nel punto di ristagno si ha ϑ = π2 ed in base alla (5.42) si ha
Cp = 2. Il valore di Cp nel punto di ristagno (che è anche il valore massimo di
Cp ) può però essere calcolato in modo esatto. La pressione nel punto di ristagno
è infatti uguale alla pressione totale a valle dell’urto, il quale in corrispondenza
all’asse di simmetria è un urto normale. Si ha cioè
Cpmax =
p02
p∞ − 1
1
2
2 γM∞
che, utilizzando la (5.14) e la (5.27), risulta
Cpmax =
Per M∞ → ∞ si ha
2
2
γM∞


1
γ
  γ−1


γ+1


2γ


M∞
2


−
1
2γ
2





 1 + γ+1 (M∞ − 1)
Cpmax
(γ + 1)γ−1
=
4γ γ
"
#
(5.46)
1
γ−1
che, nel caso di γ = 1.4, fornisce Cpmax = 1.839, cioè un valore un pò inferiore
a quello dato dalla teoria newtoniana.
La teoria newtoniana modificata tiene conto di questo risultato sostituendo
il valore di Cpmax dato dalla (5.46) al posto del coefficiente 2 che compare nella
(5.42). Si ha quindi
Cp = Cpmax sin2 ϑ
(5.47)
A differenza della (5.42), questa espressione ha anche il pregio di tener
conto della dipendenza dal valore di M∞ attraverso la (5.46).
Il notevole miglioramento introdotto dalla teoria newtoniana modificata
può essere osservato in Fig. 5.27a dove, per M∞ = ∞, i valori dati dalle (5.42)
e (5.47) sono confrontati con quelli ottenuti dalla soluzione numerica.
96
Capitolo 5
2.0
1.5
θ
Cp
R
M
1.0
B
C
A
0.5
Numerica (γ=1.4)
Newtoniana
Newtoniana modificata
D
0.0
90
80
70
60
50
40
θ (gradi)
(b)
(a)
Figura 5.27:
La teoria newtoniana consente anche di dare una valutazione approssimata
dei coefficienti aerodinamici di un corpo immerso in una corrente ipersonica.
Ad esempio nel caso di un cilindro (Fig. 5.27b) si può determinare il coefficiente
di resistenza valutando Cp nella zona anteriore (ABD) mediante la (5.42),
mentre nella zona posteriore (BCD) dove non si ha impatto delle particelle
si ha Cp = 0. Quest’ultima assunzione rappresenta sufficientemente bene la
realtà fisica in quanto nel caso reale il flusso si distacca a valle dei punti B e
D e nella zona posteriore si ha quindi p ≃ p∞ .
Il coefficiente di resistenza è dato da
1
CD =
2R
Z
0
π
Cp sinϑRdϑ
Sostituendo in questa la (5.42), si ha
CD =
5.9
Z
0
π
"
cos3 ϑ
sin ϑdϑ = cos ϑ −
3
3
#0
π
=
4
3
(5.48)
Interazione urto–strato limite
Nella trattazione precedente abbiamo sinora trascurato gli effetti della viscosità. Tuttavia, quando in prossimità di una parete si verifica un urto, esso
interagisce con lo strato limite che esiste vicino alla parete stessa. I forti
97
Capitolo 5
Figura 5.28:
gradienti di pressione dovuti all’urto modificano la forma dello strato limite.
Questa deformazione, che si risente sia a valle che a monte dell’urto essendo
il flusso subsonico nello strato limite, modifica a sua volta il flusso nella zona
esterna allo strato limite ed influisce quindi sulla conformazione dell’urto. Le
modalità di questa interazione sono piuttosto complesse e dipendono dall’intensità dell’urto e dal numero di Reynolds, ed in particolare dal fatto che lo
strato limite sia laminare o turbolento.
Consideriamo dapprima un urto obliquo incidente su una parete lungo la
quale si abbia uno strato limite laminare (Fig. 5.28). Man mano che l’urto
a penetra nello strato limite, esso si incurva e si indebolisce a causa della
diminuzione del numero di Mach a monte, fino a scomparire in corrispondenza
alla linea sonica. L’aumento di pressione a valle dell’urto propaga verso monte
nella zona subsonica. In presenza di un gradiente avverso di pressione, lo strato
limite comincia ad inspessirsi a partire da una posizione più a monte del punto
in cui l’urto a inciderebbe sulla parete. Se l’urto incidente è sufficientemente
intenso, lo strato limite può anche separarsi dalla parete (punto S) dando luogo
ad una bolla di ricircolazione. Per effetto dell’inspessimento dello strato limite
le linee di corrente divengono concave e nella regione supersonica dello strato
limite hanno origine delle onde di compressione. Queste tendono a coalescere
dando luogo all’urto b il quale, interagendo con l’urto incidente, lo modifica
ulteriormente. Quando l’urto a penetra nello strato limite incurvandosi, ha
anche origine un’onda rifratta di espansione attraverso la quale il flusso viene
nuovamente deviato verso la parete, causando il riattacco dello strato limite nel
punto R. Avvicinandosi alla parete le linee di corrente sono di nuovo concave
ed ha quindi origine una seconda onda di compressione d che coalesce in un
urto. In conclusione per effetto dell’interazione con lo strato limite, anzichè un
urto riflesso, si ha un sistema di onde costituito da due urti di coalescenza, che
98
Capitolo 5
Figura 5.29: [da Shapiro]
hanno origine uno a monte ed uno a valle del punto di incidenza, in mezzo ai
quali vi è un’onda di espansione.
Poichè allontanandosi dalla parete gli urti e l’espansione tendono a coalescere, ad una certa distanza dalla parete si avrà nuovamente un unico urto
riflesso. Nell’immagine di Fig. 5.29 si osserva chiaramente l’espansione, costituita dalla zona chiara, mentre le due zone più scure a monte ed a valle
costituiscono le due onde di compressione.
Come si è già detto, le modalità dell’interazione urto–strato limite dipendono notevolmente dal fatto che lo strato limite sia laminare o turbolento. Lo
strato limite turbolento, per effetto del più intenso scambio di quantità di moto
dovuto alle fluttuazioni turbolente, è meno sensibile ad un gradiente avverso di
pressione. Gli effetti dell’urto sullo strato limite sono quindi meno pronunciati
che nel caso laminare e l’ampiezza della regione dello strato limite influenzata
dall’urto è più piccola (Fig. 5.30). Di conseguenza la riflessione di un urto da
M
Strato limite Turbolento
Strato limite Turbolento
Figura 5.30:
99
Capitolo 5
parte di uno strato limite turbolento è molto più simile alla riflessione regolare
in assenza di strato limite.
Un altro esempio di interazione urto–strato limite si ha nel caso del flusso
supersonico su una rampa (Fig. 5.31). L’aumento di pressione dovuto all’urto
che si dovrebbe formare nel punto A, provoca l’aumento dello spessore dello
strato limite e la sua separazione dalla parete con formazione di una zona di
ricircolo. Contestualmente la posizione e forma dell’urto vengono influenzati
dalla separazione dello strato limite e l’urto, anzichè dal punto A, ha origine
a monte del punto di separazione S. Per rispettare la condizione al contorno
a valle del punto di riattacco R, nasce un secondo urto, detto appunto urto di
riattacco, il quale interagisce con l’urto di separazione per dar luogo all’urto
risultante.
a)
b) [da AGARD-AR-319]
Figura 5.31:
5.10
Scie supersoniche
Esaminiamo ora il flusso supersonico a valle di corpi che abbiano una poppa
non affusolata, quale, ad esempio, il proiettile rappresentato in Fig. 5.32.
Nella regione 1 si ha un flusso supersonico uniforme ed in corrispondenza
M>1
1
A 2
C
B
M>1
Figura 5.32:
100
Capitolo 5
allo spigolo A si genera un’espansione centrata. Si potrebbe pensare che, se il
flusso nella regione 1 ha un numero di Mach sufficientemente basso, l’espansione abbia un’intensità tale da far deviare la direzione della corrente di 90
gradi, disponendosi parallelamente alla parete AB. Ciò tuttavia non è possibile, in quanto lungo i tratti AC e BC si avrebbero due correnti supersoniche
con verso opposto. Poichè poi il punto C deve essere un punto di ristagno,
è intuitivo che il flusso nella regione posteriore del corpo debba essere subsonico. Pertanto nel punto A il flusso subisce un’espansione (e quindi anche
una deviazione) minore di quella precedentemente ipotizzata e si stacca dalla
parete, costituendo, a valle del corpo, una specie di poppa fluida. Si noti che
il distacco in corrispondenza del punto A non è dovuto a fenomeni viscosi, ma
alla conformazione geometrica della parete. In assenza di fenomeni diffusivi, la
linea di corrente uscente dal punto A costituisce una discontinuità di contatto,
che separa il flusso esterno supersonico da quello interno alla regione 2, dove il
flusso è subsonico; la regione 2 è costituita sempre dalle stesse particelle fluide
ed il campo di moto al suo interno è indeterminato. In realtà, la presenza di
fenomeni diffusivi fa sì che, anziché una discontinuità di contatto, si abbia una
zona di separazione di spessore molto piccolo, ma finito, nella quale il gradiente
di velocità è molto grande ed attraverso cui si ha anche scambio di massa. La
presenza della viscosità determina anche il campo di moto nella regione 2, in
quanto il fluido interno viene trascinato dal flusso esterno. All’interno della
regione 2 vengono quindi a costituirsi due zone di ricircolazione contro-rotanti,
in cui le particelle descrivono delle linee di corrente chiuse, come indicato in
Fig. 5.32. Il flusso nella regione 2 può essere sia laminare che turbolento.
Ad una certa distanza a valle del corpo, le due linee di corrente uscenti dai
punti A e B tornano ad essere parallele, chiudendo così la zona di separazione.
Il flusso esterno si comporta come un flusso supersonico su una parete concava
e subisce pertanto una compressione isentropica, che tende a coalescere, dando
luogo alla formazione di un urto obliquo.
La Fig. 5.33 mostra l’immagine di un cilindro a sezione circolare investito da
una corrente supersonica a M = 3.6 con un piccolo angolo d’incidenza negativo.
Oltre all’urto staccato frontale a, si osservano l’urto b, dovuto al riattacco dello
strato limite staccatosi in corrispondenza dello spigolo A, l’espansione centrata
in corrispondenza dello spigolo B e l’urto di coalescenza c. Si nota anche la
transizione da laminare a turbolento del flusso nella scia, la quale a grande
distanza diviene instabile e comincia ad oscillare.
Una situazione analoga si verifica anche per corpi arrotondati, quale la sfera
a M = 1.53 rappresentata in Fig. 5.34. In questo caso la separazione avviene in
prossimità di 900 attraverso un urto obliquo e risulta maggiormente evidente
la coalescenza dell’onda di compressione. La scia risulta essere interamente
turbolenta.
101
Capitolo 5
Figura 5.33: [da Van Dyke]
Figura 5.34: [da Van Dyke]
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