PHOTOAGING:
FISIOPATOLOGIA E PREVENZIONE
Di Carlo Alberto Bartoletti e FerdinandoTerranova
Fino a pochi decenni or sono, il modello ideale della bellezza muliebre contemplava
il candore alabastrino della cute, segno di una condizione sociale così elevata da
sottrarre la fortunata detentrice all’umile lavoro dei campi.
Oggi, nell’uomo e nella donna, la bellezza, la salute ed il censo vengono,
comunemente, associati alle calde tonalità di una abbronzatura perenne, che evoca
briose immagini di viaggi ai tropici, vacanze sulla neve, sport all’aria aperta, fitness e
salute.
Per chi non può permettersi tali lussi, il “lucertolismo” esasperato sulle spiagge
nostrane o il ricorso al surrogato tecnologico che le lampade UVA offrono anche ai
prigionieri delle metropoli, sono abitudini sempre più diffusei, ad onta dalle
conoscenze, ormai consolidate, sui danni, estetici e biologici, derivanti
dall’irraggiamento UVii,iii.
Ormai è noto che l’invecchiamento cutaneo è determinato da due ordini di elementi
causali:
1) fattori intrinseci, naturali, connessi ai processi dell’invecchiamento generale
somatico, che interessano l’insieme degli organi e dei tessuti e la totalità degli
individui (senescenza biologica o “chronoaging”).
2) fattori estrinseci o ambientali, che coinvolgono specificatamente la cute per via
della sua collocazione esterna, in quanto organo di rivestimento. La responsabilità
principale è attribuibile alle alterazioni cumulative prodotte dai raggi solari, per cui si
parla di fotoinvecchiamento (dermatoeliosi o "photoaging”); il fenomeno si realizza
in modo assai diverso nei vari soggetti e nelle differenti regioni del corpo.
Barbara Gilchrest ha sostenuto che fino all’80 % dei fenomeni involutivi che la cute
subisce nel tempo, considerati, in passato, frutto dell’invecchiamento cronologico,
devono, invece, essere attribuiti al danno solareiv. I due processi coesistono, in
diversa proporzione, nei vari individui, intrecciando e sovrapponendo i loro effetti.
Sono, però, biologicamente dissimili e determinano conseguenze anatomopatologiche ed espressioni cliniche distinte, esemplificabili attraverso le differenze
esistenti, in uno stesso soggetto anziano, fra la cute di un’area abitualmente coperta
(ad esempio, i glutei) e la cute di regioni tipicamente fotoesposte, come il volto ed il
collo.
Il chronoaging determina nella pelle, come nella gran parte dei tessuti, alterazioni di
tipo prevalentemente ipotrofico, che si contrappongono alle lesioni proprie del
photoaging, improntate a caratteri di ipertrofia, con aspetti di disordine proliferativo
suscettibili, talora, di esitare in displasia e cancro.
In modo immaginifico, la normale architettura di una cute giovane è stata paragonata
all’ordinata e rigogliosa geometria di un giardino ben curato che, per effetto del
chronoaging può ridursi all’arida povertà di una steppa, mentre, ad opera del
photoaging, può essere trasformata nell’incontrollata anarchia di una giungla.
La cute senile, nelle aree abitualmente coperte, appare pallida, sottile, flaccida,
ipoelastica, iper-estensibile, finemente rugosa, spesso affetta da una xerosi severa.
Con l' avanzare dell' età, le cellule basali dell’epidermide vanno incontro ad una
riduzione delle mitosi ed ad una tendenza verso la cheratinizzazione precoce. Ne
consegue un assottigliamento dell’epidermide riferibile al decremento delle assisi del
malpighiano. La superficie di contatto tra l' epidermide e il derma diminuisce, per
appiattimento delle creste e delle papille. Anche il derma evidenzia un ridotto
spessore, con diminuzione del contenuto in collagene e proteoglicani.
La cute cronicamente fotoesposta, al contrario, appare coriacea, ruvida, chiazzata da
vistose discromie iper e/o ipo-pigmentarie e solcata dalle profonde incisure di una
macro-rugosità grossolana. La consistenza è rigida, anelastica. Si riscontra un
aumento di spessore a carico dello strato corneo, dell’epidermide in toto e del derma.
La giunzione dermo-epidermica (GDE) è irregolare, per lo sviluppo di papille e creste
di forma e dimensione diseguali.
L’ELASTOSI
I quadri istopatologici più significativi, nel photoaging, si riscontrano a livello del
derma.
Al microscopio ottico, il derma cronicamente fotoesposto si presenta fortemente
ispessito.
Nella regione papillare, lo strato superficiale, indicato come grenz zone, evidenzia un
quadro di reazione simil-riparativa, con attivazione cellulare e neosintesi di collagene
e fibronectinav.
Il derma reticolare, nelle comuni sezioni colorate con ematossilina ed eosina, appare
rigonfio, tenuemente basofilo e di aspetto omogeneo, per cui, in passato, si è parlato
di “degenerazione basofila del collagene”.
I fibroblasti sono più numerosi del normale, di dimensioni maggiori e più attivi
metabolicamente, come dimostrato dalla morfologia “stellata” e dall’incremento
dell’RNA.
I mastociti sono aumentati di numerovi e parzialmente degranulati, il che indica il
rilascio di mediatori; questi favoriscono la proliferazione dei fibroblasti e la
chemiotassi leucocitaria.
Nel derma della cute lungamente bersagliata dai raggi solari, si accumula, infatti, un
infiltrato cronico, in sede prevalentemente perivasale e peri-follicolare.
La sostanza fondamentale, costituita da glicosaminoglicani (dermatan solfato, eparan
solfato, acido ialuronico), legati a proteine specifiche, soggiace, nel corso degli anni,
a modificazioni diverse, in rapporto all’entità del danno attinico.
I glucosaminoglicani, abbondanti nel feto, diminuiscono nella prima infanzia;
nell' anziano, a livello delle aree cutanee abitualmente coperte dagli indumenti,
subiscono un ulteriore calo. Al contrario, nella pelle cronicamente irradiata dagli UV,
aumentano notevolmente, fin, quasi, ai valori della vita fetalevii,viii,ix.
Nelle stesse sedi, le fibre collagene appaiono, invece, ridotte e raggruppate in fasci
irregolari e frammentatix,xi.
Le segnalazioni in merito ad un incremento relativo della quota di collagene di tipo
IIIxii,xiii sono state smentite da successive ricerchexiv,xv. Il dosaggio cromatografico del
contenuto in idrossiprolina e le analisi northen blot, con impiego di anticorpi
specifici, hanno permesso di chiarire che il contenuto e la produzione di collagene di
tipo I e III, nel derma fotoesposto, diminuiscono in modo simmetricoxvi. Ugualmente
ridotte, rispetto alle regioni cutanee abitualmente coperte dagli abiti, risultano
l’espressione dei precursori del collagene xvii e la quota solubile in acidixviii
(indicatrice dell’intensità della neosintesi); tale decremento è proporzionale alla
gravità del fotodanneggiamento.
L' aspetto irregolare della cute dei soggetti a lungo esposti alla luce solare è anche
conseguenza dell' alterazione delle fibre el
astiche, che divengono precocemente
disorganizzate ed abnormi per morfologia e proprietà tintorialixix. In una fase
successiva, la normale struttura delle fibre (costituita da un core amorfo di elastina,
circondato un involucro tubulare di proteine fibrillari, a mò di doghe di botte)xx
appare completamente sovvertitaxxi.
In corrispondenza delle aree di “degenerazione basofila” del derma profondo, al
microscopio elettronico si osservano ammassi voluminosi ed intrecciati di materiale
finemente granulare, frammisto ad inclusioni omogeneexxii. La sostanza anomala è
metacromatica al blu di toluidina; per le sue affinità istochimiche ed immunologiche
con l’elastina (si colora con il Verhoeff-van Gieson e reagisce con gli anticorpi antielastina) viene definita elastosica, mentre con il termine di elastosi si indica il quadro
istopatologico nel suo insieme.
L’elastosi è un’alterazione esclusiva della cute fotoesposta e non compare in aree
coperte; rende rigida, ispessita ed anelastica la pelle, cui fornisce un caratteristico
colore giallastro.
Si ritiene che si tratti del prodotto della sintesi tumultuosa di precursori delle fibre
elastiche, non adeguatamente assemblati.
Studi istochimicixxiii e test radioimmunologici, su idrolisato di tessuto affetto da
elastosi, hanno rivelato che questo contiene:
• desmosina ed isodesmosina (aminoacidi peculiari dell’elastina);
xxiv
• fibrillina, MAPG
e fibulina IIxxv (proteine fibrillari che formano il rivestimento
periferico della fibra elastica);
• idrossiprolina (indice della presenza di collagene);
xxvi
• fibronectina, versicano
;
xxvii
• proteina amiloide
.
Parecchie osservazioni testimoniano che, nel derma delle aree fortemente irradiate, si
realizza uno squilibrio nella presenza tessutale dei componenti delle fibre elastiche.
E’ stato dimostrato che la fotoesposizione cronica induce un frenetico incremento
della sintesi dell’elastinaxxviii, stimolato dalle radiazioni UVxxix e dallo stress
ossidativo ad esse connessoxxx e realizzato, almeno in parte, attraverso un incremento
della poliadenilazione del relativo mRNAxxxi o, comunque, attraverso modifiche posttrascrizionali dello stessoxxxii. Recentemente, l’aumentata espressione del gene della
tropoelastina è stato riscontrata non solo nei fibroblasti, ma anche nei cheratinociti, i
quali possono, pertanto, contribuire all’accumulo delle masse elastosichexxxiii.
Viceversa, le proteine fibrillari subiscono una grave deplezione, dovuta sia ad una
ridotta espressione del mRNA della fibrillina-1xxxiv, sia ad un’intensa attività
proteoliticaxxxv; ne consegue un’organizzazione strutturale difettosa, responsabile
della patogenesi del sovvertimento della compagine del derma profondo.
E’ stato dimostrato che le alterazioni delle proprietà meccaniche della cute
cominciano a manifestarsi assai prima che si evidenzino i quadri istopatologici
dell’elastosixxxvi.
La ripetuta esposizione della cute di topi nudi a piccole dosi di UV è seguita, assai
rapidamente, dalla comparsa delle prime rugosità, in una fase in cui le uniche
alterazioni osservabili al microscopio elettronico consistono in un aumento della
tortuosità delle fibre elastiche, segno di un iniziale degrado della loro struttura
tridimensionalexxxvii,xxxviii.
FENOMENI OSSIDATIVI FOTOINDOTTI
Al livello del mare, circa il 44% di tutta l' energia radiante che colpisce la superficie
terrestre si colloca nella porzione visibile dello spettro elettromagnetico (lunghezza
d’onda tra 380 e 700 nm), quasi il 50% nell' infrarosso, solo il 6% ne
ll' ultravioletto.
In quest’ultima banda, gli UVA (320-380 nm) rappresentano il 95,9% dell’energia
(pari al 5,8% dell’irraggiamento totale), mentre gli UVB (290-320 nm) costituiscono
il 4,1% della radiazione ultravioletta e lo 0,3% dell’irraggiamento totale.
Tra l’energia complessiva trasmessa al suolo dagli UVA e quella degli UBV esiste,
pertanto, un rapporto di 18/1, pur essendo il singolo fotone UVB più ricco di energia
rispetto al fotone UVA.
Allorché un fotone che veicoli un considerevole quantum di energia (come nel caso
degli UV) incontra un substrato biologico in grado di assorbirlo (cromoforo) si
possono verificare diversi tipi di interazione. Semplificando all’estremo, è possibile
distinguere:
a) reazioni foto-chimiche dirette, più comuni con gli UVB: l’energia elettromagnetica
incamerata viene convertita in energia chimica, per cui il cromoforo eccitato si scinde
o assume una diversa conformazione stereoisomerica o si combina con altre
sostanze, formando un nuovo composto. Un tipico esempio è dato dal comportamento
degli acidi nucleici, che assorbono gli UVB, con un massimo a 260 nm; ciò innesca
una serie di condensazioni anomale delle basi pirimidiniche (formazione di dimeri di
timida e di fotoprodotti 6-4).
b) fenomeni di trasferimento energetico dal cromoforo eccitato (il quale torna al suo
stato stazionario) ad un accettore; è un processo molto frequente nell’irraggiamento
UVA. Spesso, nei sistemi biologici, l’accettore è rappresentato dall' ossigeno
atmosferico. Questo, a sua volta, si eccita e modifica la collocazione di un elettrone,
assumendo la configurazione di ossigeno singoletto (1O2): l’orbitale esterno, rimasto
completamente vuoto, diviene “avido” di elettroni, incrementando enormemente il
potere ossidante della specie.
In tal modo, le radiazioni ultraviolette che incidono sulla cute vi determinano la
formazione di ROS (specie reattive dell’ossigenoxxxix).
Tra i cromofori endogenixl sospettati di giocare un ruolo nella genesi fotoindotta di
ossigeno singoletto, vi sono: la riboflavinaxli,xlii ed i suoi derivati (FMN e FAD), il
NADPH, le porfirine, la bilirubina, il retinale, l’acido urocanicoxliii. Il triptofano,
esposto agli UV, genera, invece, radicale superossidoxliv. Radicali liberi possono
derivare anche dalla fotoeccitazione delle melanine: è noto che queste si presentano,
nella cute, in differenti configurazioni. L’eumelanina protegge la cute
dall’aggressione degli UV, essendo capace di agire come schermo contro la
penetrazione delle radiazioni ed anche come scavenger delle specie radicalichexlv.
Viceversa, le feomelanine, caratteristiche dei soggetti con carnagione chiara e
lentigginosa e con capelli biondo-rossicci, non solo sono meno efficienti nel
neutralizzare i ROS ma, degradandosi per azione degli UV, possono, esse stesse,
rilasciare radicale superossidoxlvi.
E’ stato recentemente dimostrato che la liberazione endocellulare di ROS, che si
verifica nei cheratinociti e nei fibroblasti della cute sottoposta ad irraggiamento, può
essere ridotta da quegli inibitori della catena respiratoria mitocondriale che
realizzano un blocco collocato “a monte” del complesso III xlvii. Nella patogenesi del
danno ossidativo da UVA sarebbe, quindi, implicato un difetto fotoindotto degli
apparati enzimatici di trasferimento elettronico disposti sulla membrana interna del
mitocondrio.
Un’altra condizione di stress ossidativo connessa all’irraggiamento è rappresentata
dalle reazioni di attivazione leucocitaria: l’esposizione cutanea agli UV determina la
secrezione di citochine e chemiochinexlviii che richiamano ed attivano una vasta
popolazione di globuli bianchi. Questi riversano nei tessuti numerose sostanze
istolesive, tra cui l’anione superossido, prodotto per azione della NADPH-ossidasi ed,
in parte, successivamente, convertito in perossido di idrogeno. E’ stato dimostrato
che anche i cheratinociti contengono una NADPH-ossidasi e che questa raddoppia la
sua attività dopo 20 minuti di irraggiamento UVxlix.
Sostanze esogene ad azione fotosensibilizzante, in grado di assorbire energia e di
trasferirla all’ossigeno, trasformandolo in singoletto, sono le cumarine e gli psoraleni
contenuti nei cibi, soprattutto in alcuni vegetali (fichi, limoni, sedano, prezzemolo,
ecc.)l,li,lii,liii. Sono fotosensibilizzanti anche numerosi farmaci ed ingredienti dei
cosmeticiliv,lv.
IL DANNO DELLA MATRICE CONNETTIVALE
Nella patogenesi del danno attinico cronico che si esprime, nel derma, in quel
sovvertimento istologico che prende il nome di elastosi, si è, a lungo, attribuito il
ruolo principale alle alterazioni indotte dagli UV a carico del materiale genetico dei
fibroblasti.
Più recentemente, altre teorie hanno sottolineato l’importanza patogenetica di una
compromissione primaria della matrice connettivale dermica.
I radicali liberi ed i ROS sono in grado di innescare una veloce sequenza di reazioni
radicaliche, che interessa non solo i bilayers fosfolipidici delle membrane
citoplasmatiche, mitocondriali e nucleari (lipo-perossidazione)lvi, ma anche i
costituenti cellulari ed extracellulari di natura proteicalvii e tutti gli elementi della
matrice.
I radicali liberi sono in grado di attivare la fosfolipasi A2 lviii,lix; la liberazione di acido
arachidonico dai fosfolipidi di membrana avvia la cascata degli eicosanoidi.
Prostaglandine e leucotrieni richiamano un infiltrato flogistico che, liberando
citochine, ROS ed idrolasi, tende ad amplificare e perpetuare il danno della matrice
(teoria flogistica del photoaging).
A produrre l’alterazione fotoindotta della sostanza extracellulare del connettivo
(caratterizzata da un turnover molto lento) possono concorrere anche i fenomeni di
glicosilazione non enzimatica, i cui marker biochimici sono presenti in
concentrazioni molto più elevate nelle aree cutanee fortemente irradiatelx. A loro
volta, questi composti sono fotosensibilizanti, assorbendo fotoni la cui energia viene
trasferita all’ossigeno, con produzione di ossigeno singoletto ed altri ROSlxi,lxii. Il tal
modo si innesca un circolo vizioso foto-ossidativo.
LE METALLOPROTEINASI DELLA MATRICE
Negli ultimi anni, un’ulteriore fonte del danno fotoindotto del derma è stata
identificata nell’azione delle Metalloproteinasi della Matrice (MMP): si tratta di una
famiglia di endopeptidasi zinco-dipendenti, capaci, nel loro insieme, di degradare
praticamente tutti i componenti della sostanza intercellulare del connettivo e della
GDE.
Tali enzimi possono essere prodotti e riversati nell’ambiente interstiziale da
fibroblasti, cellule endoteliali e cheratinociti.
I fagociti attivati, i mastociti, i neutrofili e gli eosinofili rilasciano anch’essi MMP,
che ne facilitano gli spostamenti entro la matrice connettivale e determinano, in
questa, fenomeni di degradazione che assumono importanza nei processi di
remodelling tessutale connessi all’embriogenesi, all’accrescimento, alla riparazione
delle lesioni, oltre che nel normale turn-over cui anche la matrice apparentemente
statica dell’adulto va incontro.
Lo sviluppo embrionale degli annessi cutanei e le varie fasi dell’evoluzione ciclica
dei follicoli piliferi si accompagnano ad incremento delle MMP.
Alcune MMP di recente individuazione non costituiscono un prodotto di secrezione,
ma si trovano adese al versante esterno della membrana di particolari cellule,
soprattutto fibroblasti e leucociti.
Per la gran parte, le MMP non risultano espresse in situazioni normali o lo sono a
concentrazioni molto basse; la loro sintesi si innesca in risposta a stimoli esterni,
come citochine, fattori di crescita o segnali scaturiti dalle interazioni che, attraverso
le integrine, le cellule stabiliscono le une con le altre e con i componenti della
matrice.
Molte MMP sono secrete sotto forma di pro-enzimi inattivi, per la presenza, nella
molecola, di un “interruttore” di cisteina, realizzato da un residuo di tale aminoacido
che ostruisce l’accesso al sito catalitico; la rimozione del blocco avviene per
clivaggio dello stesso ad opera di proteasi di tipo diverso, comprese alcune serinproteasi (plasmina, tripsina, chimotripsina) ed altre molecole di MMP, nell’ambito di
una “cascata” di reazioni sequenziali di reciproca attivazione proteolitica.
In condizioni di base, la funzione delle MMP viene impedita da antagonisti specifici
(inibitori tessutali delle metalloproteinasi, denominati TIMP)lxiii e meno specifici (
antitripsina, "!$#&%'(*)+, -+..
/)$'0+12)3)++,4&(*54&+,24&67&(
MMP, il che realizza un meccanismo di auto-amplificazione dell’attività proteasica.
Fino ad oggi, sono stati individuati quattro fattori della classe TIMP. I primi due,
TIMP 1 e TIMP 2 (che differiscono per l’intensità dell’inibizione verso i diversi tipi
di MMP) sono secreti in forma solubile e si fissano al sito attivo delle MMP. TIMP3
è, invece, solidale con alcuni componenti della matrice extracellulare.
Le MMP vengono indicate con numeri arabi, secondo l’ordine dell’individuazione.
Sono stati, sinora, identificati circa una ventina di enzimi di questa classelxiv,
suddivisi, in base all’attività, in 5 gruppi principali:
• le collagenasi si caratterizzano per la capacità di iniziare la degradazione della
struttura a tripla elica del collagene fibrillare (collagene tipo I, II e III),
frammentandola in segmenti solubili, i quali, alla temperatura corporea, si denaturano
in forma di gelatina. Le collagenasi sono in grado di idrolizzare anche altri
componenti della matrice, tra cui gli inibitori degli attivatori del plasminogeno
(serpine) e le core proteins dell’aggrecano (proteoglicano della cartilagine).
La collagenasi-3 (MMP 13), oltre a scindere le più importanti nectine (fibronectina,
laminina) ed il collagene IV della membrana basale, è anche capace di portare a
termine la demolizione del collagene fibrillare, idrolizzando la gelatina.
• le gelatinasi comprendono la MMP 2 (gelatinasi A, da 72 kD) e la MMP 9
(gelatinasi B, da 92 kD). Entrambe interrompono i legami peptidici dei frammenti di
collagene già parzialmente digerito che costituiscono la gelatina. Si è ipotizzato che
la gelatinasi B sia necessaria per la migrazione, nell’ambito della cute, delle cellule di
Langerhanslxv.
• le stromelisine MMP 3 ed MMP 10 sono prodotte da cheratinociti e fibroblasti e
riconoscono, come substrati, la gelatina, i componenti della GDE (collagene IV,
laminina), la fibronectina e le core proteins dei proteoglicani. La stromelisina-3
(MMP 11) è tra le MMP più “aggressive”, in quanto è capace di degradare
praticamente tutti gli elementi della matrice e viene secreta già in forma attiva, grazie
all’intervento di una proteasi associata all’apparato di Golgi, denominata furina.
Molto vasta è la gamma dei substrati aggrediti dalla matrilisina (MMP 7) che ha
attività elastasica ed è caratterizzata dal più basso peso molecolare tra tutte le MMP.
lxvi
• la elastasi dei macrofagi (MMP 12) è, in realtà, prodotta anche dai fibroblasti
. E’
capace di scindere l’elastina e le glicoproteine fibrillari che formano l’involucro
esterno della fibra elastica.
• le MT-MMP (metallo-proteinasi di membrana) mediante il segmento peptidico Cterminale, sono in grado di ancorarsi sulla membrana di fibroblasti e di altre cellule,
ove si trovano in forma già attiva. Fa eccezione la MT1-MMP che, in condizioni di
base, è complessata con un inibitore della classe TIMP; per azione della plasmina, si
realizza il clivaggio di questo e l’attivazione della MT1-MMP, la quale, a sua volta,
attiva la gelatinasi A (MMP 2), oltre a degradare collagene il fibrillare di tipo I, II e
III, la gelatina, la fibronectina, la laminina e le core proteins dei proteoglicani.
Le concentrazioni e l’attività delle MMP aumentano drammaticamente in situazioni
patologichelxvii, come nella flogosi acuta e cronica, nella riparazione tessutale, nella
riepitelizzazione delle ferite cutanee.
In alcune affezioni, l’eccessivo degrado della matrice extracellulare, provocato da
una troppo elevata funzione delle MMP, assume un rilievo patogenetico: tra queste,
l’osteoartrosi, l’ A.R., le ulcere cutanee croniche, le periodontopatie. Nelle neoplasie,
le MMP concorrono ai fenomeni di infiltrazione, metastatizzazione e
neovascolarizzazione.
La produzione e l’attività delle MMP è stimolata da una serie di citochinelxviii: IL-1,
TNF- TGF- !#"%$!'&()$!+*,&#-'&/.#!"01& autocrina di IL-6
contribuisce ad amplificare il rilascio di MMP da parte dei fibroblastilxix.
Altre citochine, tra cui TGF- 243#57689;:=<>? ssiedono, invece, effetto inibitorio sulle
MMP.
A partire dall’inizio degli anni ‘90, numerose ricerche hanno evidenziato come, nella
cute, le MMP partecipino allo sviluppo delle alterazioni tipiche dell’invecchiamento
fotoindottolxx,lxxi,lxxii,lxxiii,lxxiv.
La radiazione solare, infatti, è in grado di incrementare notevolmente la sintesi
cutanea delle MMP, cosicché queste sfuggono al controllo dei rispettivi
inibitorilxxv,lxxvi.
L’innesco della produzione delle MMP si realizza con l’intermediazione delle
“protein-chinasi attivate dai mitogeni” (MAPK). Tali enzimi costituiscono l’anello
centrale di un complesso sistema di trasduzione del segnale, mediante il quale una
grande varietà di stimoli extracellulari viene trasmessa, attraverso una cascata di
eventi, fino al DNA del nucleo, ove induce il legame di fattori di trascrizione su
particolari sequenze promoter; l’esito finale è rappresentato dalla sintesi di m-RNA a
partire da specifici geni target. Il relativo prodotto interviene nella regolazione di fasi
fondamentali dell’esistenza cellulare, quali proliferazione, differenziazione, apoptosi,
senescenza replicativa e cancerogenesilxxvii.
Esistono almeno tre famiglie di MAPK, che realizzano effetti, in linea di massima,
contrapposti, pur con possibili reciproche interazioni e parziali sovrapposizioni: le
extracellular-signal regulated kinases (ERK-1 ed ERK-2), la c-Jun N-terminal kinase
(JNK) e la chinasi da 38 KDa (p38K)lxxviii. Le ultime due famiglie di enzimi vengono
anche denominate chinasi attivate da stress (SAPK), essendo sensibili a varie forme
di perturbazione metabolica (soprattutto, alle variazioni dello stato ossido-riduttivo);
esse incentivano la sintesi della proteina c-Jun, tramite l’attivazione della relativa
sequenza promoter.
Una parallela via di induzione fotoindotta della trascrizione del mRNA di c-Jun passa
attraverso l’innesco della protein-chinasi C, che determina la fosforilazione di un
agente inibitore, denominato Ik-B, provocandone il distacco dalla proteina regolatrice
NF-kBlxxix. Questa, in tal modo liberata, migra nel nucleo, ove funziona come
attivatore trascrizionalelxxx.
La proteina c-Jun, normalmente non rilevabile, raggiunge, così, concentrazioni
sufficienti a formare un eterodimero con la proteina c-Fos. Il complesso, che prende il
nome di fattore AP-1, è in grado di indurre la trascrizione dei geni delle MMP.
Altri induttori della trascrizione genica possono incrementare l’espressione delle
MMP; si tratta dei fattori appartenenti alla famiglia ETS, stimolati dal TNF- capaci di fissarsi su specifici siti, in corrispondenza della regione promoter dei geni
delle MMPlxxxi. L’attivazione delle MMP da essi mediata costituisce una tappa
cruciale nel processo della neoangioenesi neoplastica, per cui l’inibizione della
funzione dei fattori ETS, realizzata dai retinoidi, contribuisce all’attività terapeutica
antitumorale di questi farmacilxxxii.
L’invecchiamento cronologico (chronoaging) tende, progressivamente, a
compromettere il delicato bilancio tra le MMP e gli specifici inibitori. Con l’età, si
assiste ad un decremento delle ERK, contrapposto ad una maggior reattività delle
SAPK; ne consegue un raddoppio dell’attività di c-Jun, che predispone ad un più
elevato rilascio delle MMPlxxxiii.
Si ritiene probabilelxxxiv, (anche se, sull’argomento, non vi è unanime
accordolxxxv,lxxxvi) che nella cute, con il passare degli anni, si accumuli una crescente
popolazione di cheratinociti e fibroblasti “invecchiati”; questi, avendo ormai
realizzato il numero massimo di duplicazioni cellulari concesse dal “contascatti
mitotico” localizzato nei telomerilxxxvii, sono pervenuti alla fase della senescenza
replicativalxxxviii. Tale condizione, definita come una sorta di “età pensionistica” delle
cellule, è caratterizzata dal blocco delle mitosi e da una complessa serie di alterazioni
funzionali che rende la permanenza degli elementi senescenti improduttiva ed, anzi,
svantaggiosa per la fisiologia tessutalelxxxix.
Tra l’altro, i fibroblasti senescenti esprimono alti livelli di MMP e basse attività di
TIMP, trasformandosi da cellule produttrici di matrice in fattori di disgregazione
della stessaxc,xci.
LE METALLOPROTEINASI NEL PHOTOAGING
L’aggressione che le MMP mettono in atto contro la sostanza intercellulare del
connettivo dermico si amplifica enormemente allorché ai fenomeni
dell’invecchiamento biologico si sovrappongono quelli connessi al photoaging.
Molte delle attuali conoscenze sul ruolo svolto dalle MMP nella fisiopatologia del
photoaging sono dovute alle ricerche del prof. Gary J. Fisher, del Dipartimento di
Dermatologia dell’Università del Michiganxcii,xciii.
Fisher è stato in grado di dimostrare che l’irraggiamento cutaneo con UV esercita un
importante stimolo su JNK e p38K, e, di conseguenza, scatena la sintesi delle MMP
nei fibroblasti e nei cheratinociti.
Gli ultravioletti sarebbero in grado di eccitare i recettori di membrana per l’IL-1 xciv
e per il TNF- l’EGFxcv; poiché tale effetto è inibito da sostanze
antiossidanti e da quenchers dell’ossigeno singoletto, si pensa che quest’ultimo abbia
un ruolo non secondarioxcvi,xcvii,xcviii,xcix. In effetti, anche gli agenti ossidanti hanno
notevole capacità di avviare la funzione delle MAPK e la conseguente sintesi di
MMPc,ci.
Tra meccanismi che possono spiegare la capacità degli UV di attivare, per via
ossidativa, i recettori di membrana o i sistemi enzimatici immediatamente “a valle”
degli stessi, realizzando, quindi, azioni simili a quelle prodotte dall’interazione con lo
specifico ligando, vi sono:
• l’impulso alla oligomerizzazione recettoriale (che costituisce una fase cruciale
della fisiologica attivazione): i recettori di membrana associati alle tirosin-chinasi
reagiscono con il rispettivo ligando dopo aver subito una dimerizzazione, fenomeno
con il quale le unità recettoriali si raggruppano in coppie. Nel caso dei death
receptors, attraverso cui sono veicolati alla cellula i segnali apoptosici, occorre una
trimerizzazione. Gli UVA sono in grado di indurre i death receptors di tipo FAS a
scorrere lungo la superficie della membrana, fino a riunirsi in gruppi di tre unità, così
da poter interagire con il FAS-ligando espresso sulla superficie delle cellule killercii;
• l’eccitazione delle tirosin-chinasi associate ai recettori, cui segue la conversione in
forma fosforilata (che corrisponde ad uno stato di eccitazione) dello stesso recettore o
delle molecole di trasduzione post-recettoriale del segnale. Gli UVA, ad esempio,
possono determinare la fosforilazione del recettore per l’EGFciii, mettendolo in
condizione di dare inizio ad una sequenza di reazioni che porta all’innesco delle
MAPK ed all’espressione di c-JNK e del fattore di trascrizione AP-1;
• l’inibizione
delle fosfatasi che, normalmente, riconvertono allo stato
defosforilato/quiescente le molecole fosforilate/eccitate del recettore e/o dei
trasduttori da questo attivaticiv,cv; in tal modo l’input biologico vede amplificata e
prolungata la sua efficacia.
Una volta innescata la sequenza di trasmissione del segnale, essa è in grado di autosostenersi, in quanto induce la secrezione ed il rilascio di citochine che interagiscono
con i relativi recettori collocati sulle stesse cellule, realizzando un circuito autocrino
di amplificazione dello stimolocvi, cvii.
Gli UV dimostrano, quindi, di possedere un’insospettata versatilità nel loro modo di
interagire con la materia vivente. Accanto al potere citolesivo diretto, esercitano una
più insidiosa attività fotobiologica, basata sulla capacità di interferire con una serie di
sistemi recettoriali ed enzimatici, così da “manomettere” i dispositivi di controllo
della cellula.
Dosaggi UV inferiori alla dose minima eritematogena (tra 0,1 e 0,5 MED,
l’equivalente di pochi minuti di sole estivo) sono sufficienti per produrre, nei
fibroblasti del derma, elevazioni significative delle MMP, che si realizzano nell’arco
di 8 ore, raggiungono l’apice in 16-24 ore e si protraggono per oltre 72 ore.
Un’attivazione massimale delle MMP viene conseguita con 1 MED.
Simili modeste somministrazioni di UV, ripetute a giorni alterni, bastano, pur in
assenza di eritema, a mantenere nel tempo tale elevazione delle MMP, soverchiando
le possibilità di compenso degli inibitori specificicviii.
Le manifestazioni cliniche, in termini di ridotta elasticità della cute e di produzione
delle prime rugosità, sono anch’esse molto precoci; nel topo si realizzano dopo
appena qualche settimana di ripetuto irraggiamento UV, a dosi sub-eritematogene,
assai prima, quindi, della comparsa del quadro istologico dell’elastosi.
Anche il ruolo delle MMP sintetizzate dai fagociti può essere rilevante e può fornire
nuovi argomenti a favore della teoria flogistica del photoaging. Come si è detto, nel
derma delle aree cutanee affette da danno attinico cronico, si localizza un
caratteristico infiltrato; le cellule infiammatorie, richiamate dai fattori chemiotattici,
dal rilascio di frammenti proteoliticicix e dall’espressione, sulla superficie endoteliale,
delle molecole di adesione, si rendono responsabili dell’ulteriore produzione di
citochine, chemiochine ed enzimi proteolitici, tra cui e le stesse MMPcx.
Ancora a Fisher si deve la recente dimostrazione dell’incremento, in seguito ad
irraggiamento UV, della secrezione di MMP 8 da parte dei neutrofili cxi.
I frammenti polipepdici generati dalla lisi delle fibre elastiche sono in grado di
determinare un aggiuntivo stimolo della sintesi di MMP, in modo da innescare un
circolo viziosocxii.
Alcuni importanti indizi fanno ritenere probabile che il danno attinico cronico
acceleri la progressione delle cellule verso la senescenza replicativa, determinando un
maggior accumulo, nel contesto dei tessuti fotoesposti, di elementi senescenti,
caratterizzati, come si è detto, da un’esagerata produzione di MMP. Colture di
cheratinociti e di fibroblasti provenienti da aree cutanee cronicamente fotoirradiate o
sottoposte a trattamento PUVA manifestano un minor potenziale replicativo in vitro,
rispetto a cellule dello stesso tipo, prelevate dal medesimo donatore, ma in zone della
pelle abitualmente copertecxiii,cxiv,cxv,cxvi.
Similmente, i melanociti in coltura vanno incontro a condizioni di senescenza
replicativa se trattati con dosi sub-letali di UVBcxvii.
L’ELASTOSI COME “CICATRICE ATTINICA”
Secondo le ipotesi di Fisher, (confermate da una mole crescente di studicxviii),
l’indiscriminata ed ininterrotta attività proteolitica delle MMP sulle fibre collagene ed
elastiche, sulle componenti polipeptidiche dei proteoglicani, sulle nectine e sui
costituenti della GDE, conduce ad un progressivo scompaginamento della matrice,
sottoposta a:
− una progressiva distruzione dei vari tipi di collagene: collagene I e collagene III a
livello del derma papillare e reticolare; collagene IV e collagene VII in
corrispondenza della GDE;
− un attacco proteolitico nei confronti dell’elastina e delle proteine fibrillari, cui
concorrono due classi di enzimi, entrambi dotati di attività elastasica: le elastasi dei
polimorfonucleati neutrofili sono serin-proteasicxix,cxx, mentre quelle dei macrofagi
e dei fibroblasti sono riconducibili alla famiglia delle metalloproteasi,cxxi,cxxii,cxxiii.
Queste ultime sono soggette ad una più precoce attivazione da parte
dell’irraggiamento UV, anche a dosi sub-eritematogene, per cui rappresentano le
elastasi maggiormente coinvolte nel danno attinico cronico cxxiv.
Contro il degrado della sostanza intercellulare, i fibroblasti reagiscono realizzando un
incremento dei processi di sintesi, testimoniato dagli aspetti citologici di attivazione
funzionale.
Gli interventi di riparazione posti in essere risultano, però, inefficaci, in quanto
incompleti e disorganizzaticxxv.
A tale disordine nella neosintesi della matrice connettivale contribuiscono:
le irregolarità nella produzione e nell’assemblaggio dei componenti delle fibre
elastiche indotte dagli UV e/ dai ROS: questi, come si è visto, attivano la trascrizione
del gene dell’elastina, mentre sembrano inibire la sintesi della fibrillina-1;
• la ridotta produzione di collagene I e III; a determinare questa carenza, secondo
recenti lavori del gruppo di Fisher, concorrono sia l’inibizione che i frammenti
polipeptidici della proteolisi del collagene sono in grado di indurre nella neosintesi
dello stessocxxvi,cxxvii, sia l’interferenza che il fattore AP-1 esercita sulla trascrizione
dei geni del procollagenecxxviii, sia la diminuzione dello stimolo che, normalmente, il
fibroblasti. Quest’ultimo fenomeno consegue ad un’attività
TGFinibitoria dell’AP-1 sul TBF- cxxix ed ad un effetto, UV-mediato, di down-regulation
dei recettori cellulari per tale citochinacxxx. La matrice, man mano che si degrada,
tende ad “afflosciarsi”, perdendo tensione meccanica. Ciò innesca un ennesimo
circolo vizioso, perché i fibroblasti, non più sottoposti a sollecitazione tensionale, non
solo riducono le attività di sintesicxxxi, ma vanno anche incontro a processi di
apoptosicxxxii;
cxxxiii
• la diminuizione, che gli UV determinano, nella produzione del collagene VII
(costituente delle fibrille ancoranti della GDE), testimoniata anche dalla bassa
presenza del relativo mRNA cxxxiv;
• la digestione delle unità polipeptidiche che concorrono a formare i proteoglicani
(core-proteins, link-proteins, ecc): ciò impedisce alle catene polisaccaridiche dei
glucosaminoglicani di assemblarsi in modo corretto;
• l’incapacità dei fibroblasti di “percepire” la conformazione della matrice e di
interagire con essa, per via della compromissione del normale aggancio delle
integrine con le nectine;
• la difficoltà che le fibre incontrano nel disporsi in modo ben orientato, a causa
delle alterazioni del feltro dei proteoglicani.
Tutto ciò si traduce nella deposizione di una matrice degenerata, che assume caratteri
morfologici simil-cicatriziali; la più caratteristica espressione di tale squilibrio è
rappresentato dall’accumulo del materiale anomalo di tipo elastosico.
La dermatoeliosi rivestirebbe, pertanto, i connotati patogenetici di una “cicatrice
solare”1102.
•
APPROCCI TERAPEUTICI
Il gruppo di Fisher ha dimostrato che il pretrattamento topico con tretinoina è in
grado di impedire che successive fotoesposizioni provochino un incremento della
sintesi delle MMP.cxxxv,cxxxvi. I farmaci retinoidi, infatti, sono in grado di bloccare
l’attivazione della sequenza delle JNK e delle p38K, che conduce alla formazione
dell’induttore AP-1.
I retinoidi appaiono, quindi, dotati non solo delle virtù terapeutiche, da tempo
conosciute ed utilizzate, che consentono di ottenere significative regressione dei segni
cutanei prodotti dalle fotoesposizioni pregresse, ma anche di proprietà preventive, che
contrastano la genesi di nuove manifestazioni del danno attinico.
Poiché, come si è detto, anche nel chronoaging si assiste ad un’eccessiva attività
della MMP, non stupisce scoprire che l’impiego topico dei retinoidi ottiene risultati
apprezzabili pure nella cute non fotoespostacxxxvii.
Il futuro, molto probabilmente, ci riserva la disponibilità di una nuova classe di
farmaci inibitori delle MMP, ad attività TIMP-mimetica, il cui studio è in fase
avanzata.
La ricerca, al momento, è finalizzata soprattutto ad individuare nuove possibilità
terapeutiche per le patologie osteo-articolari e per le neoplasie cxxxviii,cxxxix,cxl,cxli.
Anche in campo dermatologico, comunque, sono state pubblicate alcune interessanti
sperimentazioni.
Un inibitore delle MMP, il fosforamidone, è stato modificato, in modo da agevolarne
il transito percutaneo; la sua applicazione topica ha impedito che una reiterata
esposizione agli UV inducesse, nel topo, la comparsa di quei segni clinici ed
istologici del fotodanneggiamento che, invece, si sono regolarmente manifestati nei
controlli cxlii.
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