CAPITOLO
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Artrite reumatoide: patogenesi
delle deformità
F. CATALANO, A. PAGLIEI, L. ROCCHI
INTRODUZIONE
L’artrite reumatoide, patologia sistemica autoimmune, è
caratterizzata da una sinovite erosiva, simmetrica e cronica, che interessa le articolazioni periferiche: tra queste, il
polso e le articolazioni della mano risultano quelle più frequentemente interessate. L’organo bersaglio primario della malattia è rappresentato dalla membrana sinoviale, articolare e tendinea, nell’ambito della quale si osservano tipici fenomeni essudativi, infiltrativi ed iperplastici1.
Il processo patologico evolve in tre fasi principali tipicamente descritte a livello articolare e sovrapponibili a
quelle riscontrabili nelle localizzazioni tendinee2; nella
prima fase, detta stadio sinoviale della malattia, sono presenti i segni clinici dell’infiammazione in assenza di danni
articolari. Nella fase successiva, definita stadio sinovialcartilagineo, iniziano e procedono i danni osteocartilaginei dei capi articolari, nonché il danno tendineo nelle localizzazioni tenosinoviali. Tale danno, a carattere evolutivo,
è secondario all’aggressione istolesiva delle strutture articolari e tendinee da parte della sinoviale patologica e può
evolvere dalla instabilità alle lussazioni articolari patologiche ed alle rotture tendinee multiple. Il successivo raffreddamento della flogosi sinoviale segna l’inizio dell’ultima
fase della malattia, rappresentata dallo stadio della fibrosi,
in cui l’evoluzione fibrosa del tessuto infiammatorio è responsabile dell’anchilosi o subanchilosi fibrosa delle articolazioni colpite, con conseguente strutturazione delle
deformità insorte nello stadio precedente.
L’artrite reumatoide determina in tal modo, nel corso
della sua evoluzione clinica, lo sviluppo di deformità a
carico del polso e delle dita, con esito più o meno invalidante, risultando queste assai spesso sufficientemente tollerate sul piano funzionale. Tali deformità, che possono
manifestarsi con gravità diversa, sono state ormai ben
classificate e risultano in buona parte prevedibili, una volta che se ne sia compresa la patogenesi. Infatti, sebbene
l’evoluzione clinica della malattia reumatoide sia estremamente variabile a causa del grado di aggressività dei
processi sinovitici (dipendente da numerosi fattori in parte ancora incompresi) e della distribuzione topografica
delle localizzazioni, le deformità articolari seguono abitualmente un percorso sequenziale, correlato alla partico-
lare anatomia funzionale del polso e delle catene digitali.
Lo studio dei meccanismi patogenetici responsabili delle
deformità riveste pertanto particolare interesse sul piano
terapeutico, permettendo di comprendere la sequenza e le
interazioni dei fattori deformanti allo scopo di elaborare il
programma più adeguato di prevenzione e di riparazione
delle lesioni. A tal fine, è necessario considerare il polso
ed i raggi digitali come elementi di una catena cinematica
in cui le deformità prossimali influenzano o condizionano
il prodursi o l’aggravarsi di quelle più distali. Lungo tale
catena è possibile individuare differenti distretti articolari
su cui agisce il processo reumatoide attraverso alterazioni
dei sistemi capsulo-ligamentosi, delle strutture articolari e
della muscolatura estrinseca ed intrinseca. Queste considerazioni sono di fondamentale importanza per la comprensione della patogenesi delle deformità e per individuare, nei singoli casi, le priorità di trattamento dei distretti articolari interessati.
La sinovite erosiva del polso rappresenta abitualmente
il primum movens nella patogenesi delle deformità della
mano reumatoide. Sebbene l’instabilità dell’articolazione
radio-ulnare distale rappresenti l’aspetto patologico più
frequente e noto nei suoi risvolti clinico-radiografici, non
meno trascurabile risulta l’interessamento della radio-ulnocarpica ed della medio-carpica, in grado di produrre notevoli effetti secondari caratterizzati da una sequenza abituale e da un’associazione di lesioni osteoarticolari e tendinee che caratterizzano la patogenesi delle deformità digitali. Si consideri al riguardo quali effetti destruenti può
esercitare la sinovite radiocarpica, a causa dell’insufficienza progressiva del complesso ligamentoso volare del polso
in associazione all’erosione del margine palmare della superficie articolare del radio. Il cedimento di tale sistema di
sostegno volare, non più in grado di contrastare la naturale instabilità del carpo, conduce alla sublussazione volare
del carpo rispetto al radio, deformità funzionalmente sfavorevole, che prelude allo stadio successivo di rottura dei
tendini estensori. Tale rottura, conseguenza dell’attrito e
del conflitto determinato dallo scorrimento tendineo sul
radio che protrude dorsalmente anche a causa dell’instabilità della radioulnare distale, risulta ovviamente favorita
dagli effetti lesivi diretti di una tenosinovite reumatoide
concomitante o preesistente. La sublussazione volare del
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SEZIONE VII - Patologie acquisite
ulteriori ripercussioni funzionali, riducendo la distanza fra
il ventre muscolare e l’inserzione digitale dei tendini flessori con conseguente diminuzione di forza: ne risulta una
flessione dei raggi digitali tanto incompleta quanto debole.
POLSO
Fig. 105-1. Deformità del polso. Rappresentazione schematica della
perdita dei rapporti articolari radio-ulno-carpici nei differenti piani
dello spazio. La presenza di un’instabilità inter- ed intra-carpica complica l’analisi radiografica delle deformazioni del polso reumatoide.
(Riprodotto da: Traité de chirurgie de la main, vol. 5, Ed. Masson).
carpo, inoltre, sbilanciando il normale equilibrio esistente
fra apparato estensore e flessore, che regola la corretta cinematica dei raggi digitali, favorisce, più distalmente,
l’instaurasi di progressive deformità, caratterizzate dall’iperestensione delle articolazioni metacarpofalangee e dalla flessione delle interfalangee. In presenza di un’insufficiente apparato capsuloligamentoso a livello delle articolazioni metacarpofalangee, si assiste alla sublussazione
volare di queste articolazioni, che trascina nella gola intermetacarpale l’apparato estensore che ha perso, a causa del
processo reumatico articolare e tendineo, le sue normali
connessioni stabilizzanti, con comparsa frequente di quella deviazione ulnare delle dita, denominata “a colpo di
vento”. La sublussazione volare del carpo presenta inoltre
Il coinvolgimento del polso è estremamente frequente in
corso di artrite reumatoide. Secondo Tubiana3, esso riguarda
il 35% dei malati in fase precoce e fino al 75% in fase tardiva, con interessamento bilaterale nel 95% dei pazienti4.
In base alla specifica localizzazione d’esordio del processo sinovitico erosivo, il polso reumatoide può sviluppare deformità diverse, classificate da Tubiana in deformità
di tipo ulnare, centrale e radiale3.
Tale distinzione è didatticamente utile, sebbene nella
realtà clinica la situazione risulti spesso complicata per la
sovrapposizione di vari tipi di deformità. Ne conseguono
aspetti radiografici nei quali la perdita dei normali rapporti radio-ulno-carpici, quantificabili con semplici metodiche di studio (misura della traslazione ulnare, della
deviazione radiale e della riduzione d’altezza del carpo),
è complicata dalla presenza di una instabilità inter ed intra-carpica6 (Fig. 105-1).
La deformità di tipo ulnare (Fig. 105-2) è la più frequente e si sviluppa a causa della progressiva insufficienza
dei sistemi di stabilizzazione radio-ulno-carpici (complesso della fibrocartilagine triangolare, capsula articolare radio-ulnare distale e radio-ulno-carpica, fionda di Kuhlmann, sistemi retinacolari dei flessori e degli estensori). Tale complesso di strutture ligamentose, indebolito dal processo sinovitico, diviene incapace di stabilizzare il compar-
Fig. 105-2. Deformità del polso di tipo ulnare. La progressiva insufficienza dei sistemi di stabilizzazione radio-ulno-carpici determina la traslazione ulnare, la deviazione radiale e la supinazione del carpo. Si noti inoltre la deviazione “a colpo di vento” delle articolazioni metacarpo-falangee.
105 – Artrite reumatoide: patogenesi delle deformità
B
A
C
Fig. 105-3. Deformità del polso di tipo centrale. Nonostante le lesioni erosive sul corpo dello scafoide e sul processo stiloideo del radio, segni radiografici dell’interessamento del complesso ligamentoso stilocarpico, è prevalente l’insufficienza dei mezzi di stabilizzazione prossimale della scafolunare. L’altezza complessiva del carpo è mantenuta ed è presente una diastasi scafo-lunare importante
mentre la traslazione ulnare del carpo è modesta. (Riprodotto da:
Traité de chirurgie de la main, vol. 5, Ed. Masson).
timento ulnare del polso: il versante ulnare del carpo tende
a scivolare volarmente ed è responsabile dell’atteggiamento in supinazione del polso e della mano, mentre l’estremità
distale dell’ulna risulta sublussata dorsalmente, anche in
relazione all’insufficienza capsulo-ligamentosa della radioulnare distale che favorisce la lussazione volare del radio.
L’interessamento reumatoide della radioulnare distale,
inoltre, altera il movimento di prono-supinazione con conseguenti ripercussioni funzionali: la stabilità dell’articolazione radio-ulnare distale risente peraltro del grado di prono-supinazione, che condiziona prese di diverso valore
funzionale5. È da tener presente che in corso di artrite reumatoide, il deficit della prono-supinazione può dipendere
anche dal contestuale interessamento dell’articolazione radio-ulnare prossimale: ciò condiziona il restringimento ad
un range di movimento via via più ristretto con meccanismi
di presa alterati. In dipendenza del coinvolgimento radioulno-carpico, l’extensor carpi ulnaris, causa la perdita delle
proprie connessioni retinacolari, si lussa volarmente ed ulnarmente rispetto al caput ulnae, divenendo di fatto un flessore del carpo di cui contribuisce a mantenerne ed aggravare la lussazione volare e la supinazione.
L’evoluzione ulteriore di questo processo è contraddistinta dalla progressiva traslazione ulnare del carpo che,
con il venir meno dei mezzi di stabilizzazione, esaspera la
sua naturale tendenza alla deriva ulnare, con progressiva
migrazione del semilunare oltre l’interlinea radio-ulnare,
favorita anche da una contestuale deviazione radiale del
carpo. In tale traslazione, può non venire obbligatoriamente coinvolto lo scafoide il quale, in caso di rottura del liga-
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mento interosseo scafo-lunare (piuttosto frequente in questo stadio) tende a rimanere in sede, trattenuto dai legamenti radiocarpici del compartimento radiale, qualora non
ancora coinvolto dalla patologia. Oltre alla traslazione ulnare di parte o dell’intera filiera prossimale, il carpo subisce una deviazione globale del suo asse in senso radiale,
detta “deviazione radiale del carpo”. Questa ulteriore modificazione anatomo-funzionale viene determinata dall’azione ancora valida degli estensori radiali del carpo e favorita dalla traslazione ulnare del carpo. Ne consegue un
atteggiamento a zig-zag sul piano frontale, che determina
un potenziamento notevole dell’azione ulnarizzante dei
flessori delle dita, ponendo quindi le basi per la successiva
deformità digitale “a colpo di vento”. È ben evidente in
questo caso come lo sviluppo delle deformità del polso sia
parte integrante delle successive alterazioni anatomiche a
carico delle metacarpofalangee.
Un ulteriore fenomeno, come già accennato, è rappresentato dalla rottura dei tendini estensori, indeboliti dal
processo sinovitico ed erosi in conseguenza dello scorrimento sulle superfici scheletriche irregolari delle estremità
distali dell’ulna e del radio. Nella deformità di tipo ulnare,
la prima rottura tendinea si manifesta spesso a carico dell’extensor digiti minimi, che trascina con sé l’estensore
comune del quinto e quarto dito in corrispondenza del caput ulnae lussato (sindrome del caput ulnae). Sono di seguito coinvolti gli altri estensori comuni, con progressivo
interessamento in senso ulno-radiale. Tali rotture si producono in corrispondenza del margine distale dell’epifisi radiale: la rottura dell’extensor pollicis longus si produce
abitualmente a livello del tubercolo di Lister.
Nella deformità di tipo centrale (Fig. 105-3),
l’impegno sinoviale interessa il ligamento radio-scafo-lunare (o legamento di Testut e Kuentz) e trova giustificazione nella ricca vascolarizzazione di quest’ultimo. L’erosione
ossea da parte della membrana sinoviale si manifesta con la
presenza di lesioni radiograficamente evidenti in proiezione AP al confine fra le faccette articolari scafoidea e lunata
del radio6. L’invasione del legamento di Testut è seguita
dalla rottura del ligamento interosseo scafo-lunare. Queste
lesioni, accompagnate da un graduale cedimento del complesso ligamentoso radio-carpico, determinano una diastasi
scafo-lunare con progressiva traslazione ulnare e volare del
semilunare. Successivamente il capitato tenderà a porsi in
estensione, avvicinandosi progressivamente alla superficie
articolare radiale: si produrrà, nelle fasi più avanzate una riduzione d’altezza del carpo. Tale riduzione determina un
deficit secondario relativo dei muscoli estrinseci agenti sul
carpo e sulle dita. Questo alterato equilibrio a favore della
muscolatura intrinseca, costituisce una concausa della
deformità a “collo di cigno” delle dita. L’incrementata
azione dei muscoli interossei e lombricali favorisce una
condizione di “intrisic plus”, con flessione delle articolazioni metacarpofalangee ed estensione delle interfalangee
prossimali, mentre sulle articolazioni interfalangee distali
prevale l’azione dei tendini flessori profondi, potenziata
dall’estensione del carpo7.
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SEZIONE VII - Patologie acquisite
Fig. 105-4. Deformità del polso di tipo radiale. Diminuzione d’altezza del carpo con
traslazione ulnare in assenza di deviazioni
angolari. Si noti la scomparsa dell’interlinea articolare radio-carpica e la presenza
di un’instabilità intercarpica con dorsiflessione del semilunare (DISI). La progressione delle lesioni determina una prevalente riduzione di altezza del versante radiale del carpo. (Riprodotto da: Traité de
chirurgie de la main, vol.5, Ed. Masson).
A
B
Nella deformità di tipo radiale (Fig. 105-4), più rara,
il processo sinovitico esordisce a livello del ligamento radio-scafo-capitato (intorno al quale lo scafoide effettua le
sue escursioni rotatorie), con erosioni precoci a carico del
corpo dello scafoide e della stiloide radiale. La progressione delle lesioni a carico del radio, dello scafoide e più
tardi del trapezio determina globalmente una riduzione
d’altezza del versante radiale del carpo, mentre
l’insufficienza dei legamenti radio-carpici e
l’interessamento progressivo della stiloide radiale favoriscono, anche a causa della forza preponderante dei tendini flessori in rapporto agli estensori, la sublussazione volare del carpo con atteggiamento in pronazione. La instabilità del complesso scafo-lunare e la sublussazione rotatoria dello scafoide si accompagnano alla protrusione volare del tubercolo scafoideo nel tunnel carpale, a livello
del cosiddetto “critical corner”, dove si può produrre in
alcuni casi la rottura secondaria del tendine flexor pollicis
longus e a volte del flessore profondo dell’indice.
I modelli di deformità reumatoide descritti permettono
di schematizzare i meccanismi evolutivi della patologia a
carico del polso, quantunque nella realtà clinica, come già
accennato, esistano forme intermedie o complesse, che si
associano a deformità di vario tipo, capaci di complicare il
quadro clinico/radiografico6.
Per quanto riguarda l’evoluzione naturale a livello
del polso della malattia non trattata chirurgicamente, essa può evolvere, esauriti i processi sinovitici, verso
l’instabilità della radio-ulnare distale (con compromissione variabile della pronosupinazione), o verso
l’artrofibrosi delle ossa del carpo, esitando in alcuni casi in artrodesi spontanee (tra le quali assai vantaggiosa
dal punto di vista funzionale risulta quella radio-lunare).
In tale evenienza, che si accompagna al progressivo miglioramento del quadro doloroso, il deficit funzionale
globale è variabile a seconda delle deformità assunte dal
carpo e via via strutturate, ed è reso tanto più grave
quanto più importanti risultano le lesioni riportate dalle
catene digitali. Qualora non si produca tale evoluzione
in senso anchilosante, in seguito alla distruzione di tutte
le strutture capsuloligamentose e del grave collasso car-
C
pale, si determina una lussazione volare instabile e dolorosa, accompagnata da rotture tendinee a carico dei flessori e degli estensori.
ARTICOLAZIONI METACARPO-FALANGEE
Le articolazioni metacarpofalangee (MCF) sono coinvolte dalla malattia reumatoide in oltre la metà dei casi
secondo Swanson8. Le deformità più frequentemente osservabili in tale distretto sono la lussazione ulnare e volare dei tendini estensori, la deviazione ulnare delle dita
e la sublussazione palmare delle falangi prossimali.
L’articolazione MCF presenta un movimento multiplanare composto da flessione ed estensione, così come da
abduzione, adduzione e rotazione. I legamenti collaterali rappresentano i maggiori freni alla deviazione radiale
e ulnare e sono asimmetrici, essendo il radiale più lungo
e sottile. Il legamento trasverso intermetacarpale è inserito alla placca volare, su cui si inserisce anche la puleggia A1. Il tendine estensore è centrato sull’articolazione
MCF dalle bendellette sagittali che si inseriscono alla
placca volare; di tali bendellette, quella ulnare risulta
più spessa e resistente rispetto alla radiale. La stabilità
articolare è assicurata da elementi statici (placca volare,
legamenti collaterali e bendellette sagittali) e dinamici
(tendini estensori, flessori ed intrinseci). Sotto l’azione
del processo infiammatorio, le articolazioni MCF presentano inizialmente una sublussazione volare della falange prossimale rispetto alla testa metacarpale e quindi
una deviazione cubitale con traslazione della falange
prossimale. La distruzione del legamento collaterale radiale e della sottile bendelletta sagittale sul versante radiale dell’apparato estensore (che abitualmente mantiene ben centrato il tendine a livello delle metacarpofalangea durante la flessione), produce una tragica cascata di
eventi che tende ad incrementare progressivamente la
lussazione e la deviazione digitale, fino a quando la
deformità non diviene strutturata. L’artrosinovite erosiva del versante dorsale della MCF produce, inoltre, la
distensione e quindi la rottura della capsula dorsale e
dell’inserzione dell’estensore a livello della base della
105 – Artrite reumatoide: patogenesi delle deformità
falange prossimale, favorendo la lussazione ulnare dei
tendini nella gola intermetacarpale, elemento classico
della deformità “a colpo di vento” (vedi Fig. 105-2).
Nella genesi di tale deviazione ulnare “a colpo di vento”, inoltre, secondo Boyes e Backouse10,11, assume un ruolo importante la muscolatura intrinseca, in particolare il
primo interosseo palmare ed il terzo interosseo dorsale, in
virtù delle inserzioni particolarmente distali sul versante
ulnare del secondo e terzo dito, localizzate sulla “dossière”
degli estensori, mentre i corrispondenti muscoli del versante radiale, si inseriscono alla base delle falangi prossimali, esercitando quindi un’azione di deviazione laterale
meccanicamente meno valida. Un ruolo ancora più importante sarebbe inoltre quello svolto dall’abductor digiti minimi, muscolo caratterizzato da una potente azione ulnarizzante sul quinto dito. Per quanto riguarda invece la muscolatura estrinseca, sono in particolare i flessori che concorrono alla genesi della deviazione ulnare delle dita presentando un decorso decisamente obliquo all’entrata nelle
pulegge basali del secondo e terzo dito, mentre gli estensori sarebbero coinvolti solo secondariamente alla lussazione ulnare dei rispettivi tendini nelle gole intermetacarpali. L’unico raggio digitale non soggetto a tali sollecitazioni di deviazione dinamica, per quanto non esente da lesioni dei mezzi di stabilizzazione passiva ed attiva, sarebbe il quarto, sul quale la muscolatura non sembra esercitare azioni “desassializzanti”. Questi meccanismi sono condivisi anche da Tubiana che definisce il 4° dito “un compagnon de voyage” sostanzialmente coinvolto, nella deviazione ulnare, dalle altre dita lunghe3.
La deformità “a colpo di vento” viene ulteriormente
aggravata durante l’esecuzione della pinza bidigitale pollice-dita lunghe, responsabile di potenziare la sollecitazione
in senso ulnare a fronte della perdita di stabilità ligamentosa. La deviazione radiale ed il collasso del carpo contribuiscono ad aggravare la deformità “a colpo di vento” ulnare.
Come già accennato, una deformità frequentemente associata a quella descritta è costituita dalla sublussazione volare delle falangi prossimali. Anche in questo caso, il fenomeno iniziale è costituito dalla sinovite proliferativa dell’articolazione MCF, che determina la distensione delle strutture capsuloligamentose. I tendini flessori esercitano all’entrata nel canale digitale un’azione dislocante volare sulle falangi, fisiologicamente trasmessa sulla testa metacarpale attraverso lo scivolamento della base della falange prossimale sulla superficie convessa metacarpale. Allorché sopraggiunge la distensione dei legamenti collaterali e delle bendellette sagittali dell’estensore, si determina un progressivo
sfiancamento della placca volare, sottoposta ad una sollecitazione eccessiva, con conseguente trasformazione dell’azione flessoria in effetto sublussante sulla falange prossimale. In conseguenza di ciò, si determina un aumento relativo
di corsa e quindi una maggiore efficacia d’azione dell’apparato estensore sulla bendelletta centrale, con conseguente
iperestensione della falange intermedia: si pongono in tal
modo le basi per lo sviluppo di quella deformità digitale, tipica della patologia reumatoide, detta “a collo di cigno”.
1151
ARTICOLAZIONI INTERFALANGEE
Nella mano reumatoide si riscontrano due caratteristiche
deformità delle articolazioni interfalangee. Tali deformità
sono determinate dallo squilibrio che si verifica tra flessori ed estensori, per alterazioni del decorso delle strutture
tendinee o per insufficienza o rottura delle stesse. La corretta valutazione di queste lesioni richiede di aver ben presente il complesso rapporto dinamico esistente tra muscolatura intrinseca ed estrinseca.
La deformità a “collo di cigno” (Fig. 105-5), accennata
in precedenza, è caratterizzata dall’iperestensione dell’articolazione interfalangea prossimale (IFP) e dalla flessione
dell’articolazione interfalangea distale (IFD). Le cause sono
numerose, a volte riconducibili alle deformità precedentemente acquisite lungo la catena cinematica articolare (articolazione del polso, articolazione metacarpofalangea), altre
volte insorgenti direttamente per lesioni originarie delle articolazioni interfalangee. Il collasso carpale e la deviazione
assiale del polso determinano un accorciamento della corsa
dei tendini estrinseci, con secondaria detensione della muscolatura estrinseca e riduzione della forza da essa esercitata, alterando il bilanciamento estrinseci/intrinseci normalmente esistente, a vantaggio del complesso lombricali/interossei. Questo fenomeno determina un’accentuazione
Fig. 105-5. Meccanismo della deformità “a collo di cigno”. In seguito all’allungamento patologico o alla rottura della bandelletta terminale dell’apparato estensore, si determina la flessione della falange distale per azione del tendine flessore profondo. L’azione combinata del tendine estensore e dell’espansione degli intrinseci, potenziata dalla sublussazione volare dell’articolazione MCF, determina
l’iperestensione della falange intermedia, con progressiva distensione della placca volare dell’articolazione IFP.
1152
SEZIONE VII - Patologie acquisite
della flessione MCF e dell’estensione delle interfalangee. (È
noto come la rottura dell’equilibrio tra sistema intrinseco e
sistema estrinseco si produca soprattutto a seguito di alterazioni a livello delle articolazioni MCF, meno evidenti in caso di collasso carpale: si ritiene che in corso di artrite reumatoide non si produca l’adattamento delle fibre muscolari
del sistema estrinseco, come al contrario avviene in caso di
resezione della filiera prossimale del carpo, procedura questa che non si accompagna ad alcuna deformazione delle catene digitali). La progressiva lussazione palmare dell’articolazione MCF, come già evidenziato, detende l’apparato
estensore e mette in tensione gli intrinseci: ciò aumenta
l’effetto d’estensione esercitato dalla bendelletta centrale
sulla base della falange intermedia; effetto questo ulteriormente aggravato dalla progressiva retrazione dei tendini intrinseci. La sinovite dell’articolazione IFP può indebolire le
strutture di contenzione volare (placca volare, legamenti
collaterali) e i legamenti retinacolari, favorendo la deformità in iperestensione. L’eventuale associata sinovite dell’articolazione IFD a sua volta, complicandosi con la rottura dell’espansione terminale dell’apparato estensore, produce la caduta in flessione dell’articolazione IFD (deformità
detta a martello), completando l’evoluzione del quadro verso la deformità conclamata a “collo di cigno”. Sembrerebbe,
comunque, che tale meccanismo etiologico, per specifico
interessamento articolare della IFP, rimanga occasionale; la
lesione più classica ed immediata infatti, operata dalla sinovite erosiva della IFP, è la rottura della bendelletta centrale,
con secondaria deformità “ad asola”. In realtà, sembrerebbe
maggiore il ruolo patogenetico svolto dalle tenosiviti dei
flessori nel favorire l’iperestensione dell’IFP. Tale tenosinovite comporta la riduzione della flessione attiva dell’IFP, inducendo, per compenso, un’aumentata flessione della MCF
per impegno degli intrinseci. Ciò favorirebbe nel tempo
l’estensione prima e l’iperestensione poi dell’IP, a seguito
della progressiva distensione della placca palmare indebolita dalla presenza della tenosivite nel contesto della guaina
dei flessori, come descritto da Merle7. Una classificazione
di queste deformità basata sullo stadio evolutivo è quella di
Nalebuff e Millender del 197512.
Altra deformità digitale di comune riscontro in corso di
artrite reumatoide è costituita dalla deformità detta “ad
asola” (Fig. 105-6). A differenza della deformità a “collo di
cigno”, nella cui patogenesi sono coinvolti numerosi distretti articolari della catena cinematica, l’origine della
deformità “ad asola” è specifica e topograficamente localizzata a livello dell’articolazione IFP. La sinovite di quest’articolazione indebolisce l’apparato estensore, determinando un’insufficienza della bendelletta centrale, con distensione del legamento triangolare. Ne consegue il progressivo allungamento del triangolo di Stack con sub-lussazione volare delle bendellette laterali, che assumono gradualmente il ruolo di veri e propri flessori sulla IFP, sino a
determinarne, con il tempo, una flessione marcata di tale
articolazione che protrude dorsalmente come un bottone attraverso un’asola, mentre l’aumento di tensione sull’espansione terminale dell’apparato estensore, secondario all’au-
Fig. 105-6. Meccanismo della deformità “ad asola”. In seguito all’allungamento patologico o alla rottura della bandelletta centrale dell’apparato estensore, le bandellette laterali si sublussano volarmente
in corrispondenza dell’articolazione IFP e la falange intermedia si
flette consensualmente per azione del tendine flessore superficiale.
Progressivamente i legamenti retinacolari obliqui e trasversi (questi
ultimi non rappresentati nello schema) si retraggono, determinando
l’irreversibilità della lussazione volare dell’apparato estensore. Questo assetto tendineo comporta un aumento di tensione sulla bendelletta terminale, determinando l’iperestensione della falange distale.
mento della corsa, comporta un’iperestensione dell’articolazione IFD. In seguito a tali modificazioni, inoltre, si determina un’iperestensione compensatoria dell’articolazione MCF. Queste deformità correggibili passivamente all’inizio, divengono in seguito irreversibili. Anche in questo
caso, la classificazione ed il trattamento si basano sul grado
evolutivo, classificato da Nalebuff e Millender in 4 stadi13.
POLLICE
Uno o tutti i distretti articolari del 1° raggio possono risultare compromessi nell’artrite reumatoide. L’interessamento
del primo raggio viene riscontrato nel corso evolutivo della
malattia, dal 57 al 62% dei casi7. La distruzione articolare interessa abitualmente l’articolazione metacarpofalangea, analogamente a quanto osservato nelle dita lunghe. Differentemente da queste ultime, nel primo raggio, il livello articolare
più prossimale, costituito dall’articolazione trapezio-metacarpale, presenta un cospicuo range di motilità e di conseguenza le alterazioni distruttive a carico della colonna del
pollice, possono risultare dominanti sul piano clinico. La
progressione delle alterazioni, responsabili dello sbilanciamento della catena cinematica del primo raggio, ha reso possibile inquadrare le deformità del pollice reumatoide in una
classificazione ormai accettata e codificata15,16 (Fig. 105-7),
che prevede due principali tipi di deformità.
Il tipo I, deformità “ad asola” o “pollice a zeta” (Fig. 1058), è la più comune deformità del pollice reumatoide. Essa deriva da una successione di eventi che seguono la distruzione
105 – Artrite reumatoide: patogenesi delle deformità
delle strutture capsulo-ligamentose dell’articolazione metacarpo-falangea. La sinovite dell’articolazione MCF indebolisce dorsalmente la capsula unitamente al tendine extensor
pollicis brevis, causando la sublussazione palmare della falange prossimale. La successiva rottura dell’extensor pollicis
brevis, esita in una perdita parziale di estensione dell’articolazione metacarpofalangea. L’insufficienza dell’apparato capsulare e tendineo dorsale permette all’extensor pollicis longus di sublussarsi ulnarmente, fino ad occupare un tragitto più
ulnare e palmare rispetto all’articolazione, perdendo così anch’esso buona parte del suo effetto di estensione sull’articolazione metacarpo-falangea ed esasperando la flessione della
stessa allorché la sua traiettoria, via via più palmare, supera
l’asse di rotazione della MCF. L’articolazione interfalangea
tende quindi ad iperestendersi per compensare parzialmente
la flessione della metacarpofalangea durante l’esecuzione
della presa, in risposta ai tentativi ripetuti del paziente di sfruttare l’extensor pollicis longus per estendere entrambe le articolazioni, metacarpofalangea ed interfalangea. Inoltre, per
l’aumento della tensione degli intrinseci sul pollice, secondario al dislocamento dell’extensor pollicis longus, il dito si porta in adduzione. Il pollice comincia così ad assumere un atteggiamento a zig-zag, comune nella mano reumatoide. Con
il sopraggiungere della distruzione delle superfici articolari
della metacarpofalangea ed interfalangea, la deformità diviene strutturata, con impossibilità di riportare, anche passivamente, le articolazioni in posizione corretta.
Nel tipo II, la deformità si manifesta, classicamente,
con una progressione di eventi che riconoscono
l’elemento di esordio in una condizione di sublussazione
o di instabilità dell’articolazione trapezio-metacarpale.
Il pollice si presenta spesso addotto nel palmo, nel tentativo di stabilizzare il primo metacarpo la cui base si sublussa lateralmente, progredendo l’insufficienza dei
supporti capsulo-ligamentosi ed in rapporto alla trazione
esercitata dall’abductor pollicis longus. Con il persistere
di un’aumentata azione dell’extensor pollicis longus sull’articolazione più distale, l’articolazione interfalangea
A
B
1153
tende ad iperestendersi e la falange distale a sublussarsi
dorsalmente. La testa della falange prossimale diviene
spesso funzionalmente equivalente al polpastrello del
pollice, persistendo la flessione dell’articolazione metacarpo-falangea del dito, peraltro gravemente addotto nel
palmo. Tale adduzione solo parzialmente può compensare la riduzione funzionale di lunghezza del primo raggio,
ai fini della presa, coesistendo una deviazione “a colpo
di vento” delle dita lunghe.
La deformità di tipo III può essere considerata una
variante del tipo II, iniziando la progressione degli eventi sempre con la sublussazione trapezio-metacarpale e
l’adduzione del primo metacarpo. L’articolazione interfalangea conserva appropriati rapporti articolari rimanendo sotto l’influenza del flexor pollicis longus. Essendo il primo metacarpo addotto, si produce secondariamente la retrazione della prima commissura e
l’articolazione metacarpofalangea presenta una iperestensione compensatoria assumendo progressivamente
una deformazione in recurvato, tipo “collo di cigno”. A
seguito del cedimento del compartimento volare dell’articolazione metacarpo-falangea, aumenta il recurvato
sotto l’azione del flexor pollicis longus, in quanto la flessione dell’articolazione interfalangea non fa che aumentare ulteriormente l’effetto risultante di estensione sull’articolazione metacarpo-falangea. Con il tempo,
l’adduttore va incontro a retrazione strutturandosi la
deformità dell’articolazione metacarpo-falangea in iperestensione.
Oltre a quelle citate, esistono forme meno frequenti di
deformità del pollice. Il tipo IV, o deformità “del guardacaccia”, presenta caratteristiche simili a quelle delle lesioni traumatiche del legamento collaterale ulnare della MCF.
La sinovite dell’articolazione trapezio-metacarpale si associa all’adduzione del metacarpo con chiusura della prima commissura. La sinovite dell’articolazione MCF, primum movens della futura lassità articolare, causa la progressiva insufficienza del legamento collaterale ulnare con
C
Fig. 105-7. Deformità del pollice. A, Deformità di tipo I “pollice a zeta”. B, Deformità di tipo II. C, Deformità di tipo III.
1154
SEZIONE VII - Patologie acquisite
Fig. 105-8. Deformità del pollice. Deformità
di tipo I “pollice a zeta”.
instabilità allo stress in deviazione radiale. La deformità di
tipo V è costituita da un’iperestensione dell’articolazione
MCF, con flessione compensatoria dell’interfalangea, dovuta alla tensione esercitata dal flexor pollicis longus.
Questa deve essere differenziata dalla deformità tipo III,
poiché non c’è interessamento della TM, né retrazione della prima commissura. La deformità descritta come tipo VI,
infine, è caratterizzata dal collasso scheletrico a seguito
della perdita di sostanza ossea, con aspetti simili a quelli
riscontrati nell’artrite mutilante, tipica variante psoriasica.
CONCLUSIONI
La complessità e l’abituale molteplicità delle localizzazioni
articolari ed extrarticolari responsabili delle deformità del
polso e della mano nei pazienti reumatoidi rendono il trattamento non esauribile in un’unica soluzione, richiedendo al
contrario interventi multipli con priorità di correzione delle
deformità agevolmente delineabili in base ai meccanismi fisiopatologici precedentemente considerati. La correzione di
una deformità, infatti, richiede un’attenta valutazione delle
coesistenti alterazioni dei livelli articolari sopra e sottostanti, e dell’interessamento del complesso muscolo-tendineo
estrinseco ed intrinseco. Solo dopo una completa valutazione della catena cinematica radio-carpo-digitale, possono essere progettati interventi sequenziali, privilegiando il trattamento di quelle deformità che causano maggior dolore e invalidità al paziente, senza rinunciare comunque alle priorità
imposte dalla conoscenza della loro patogenesi. Se necessario, possono essere eseguiti simultaneamente più interventi:
la concentrazione dei gesti riparativi può diminuire la morbilità chirurgica, a patto che l’operatore abbia maturato una
valida esperienza in questo tipo di patologia, abbia chiare
indicazioni per i vari interventi proposti in letteratura e sia in
grado di coordinare la riabilitazione post-operatoria.
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Cap 105 - chirurgia della mano