Rivista
dottrina
e giurisprudenza
commentata
Estratto dal n. 03/2014
In nota alla recente giurisprudenza in
materia di contratti derivati: il concetto
di “alea razionale” quale criterio di
valutazione della validità della causa
ISSN: 2279–9737
Attilio Zuccarello
Rivista
dottrina
e giurisprudenza
commentata
Comitato scientiico:
Filippo Annunziata, Paoloefisio Corrias, Fulvio Cortese, Matteo De Poli, Raffaele Di Raimo,
Aldo Angelo Dolmetta, Raffaele Lener, Alberto Lupoi, Daniele Maffeis, Ugo Patroni Griffi,
Maddalena Rabitti, Filippo Sartori
Direzione esecutiva:
Alberto Gallarati, Paola Lucantoni, Elisabetta Piras, Maddalena Semeraro
Comitato editoriale:
Francesco Auteliano, Jacopo Crivellaro, Stefano Daprà, Massimo Mazzola, Manila Orlando, Andrea
Marangoni, Francesco Quarta, Edoardo Rulli, Francesco Scarfò, Stefania Stanca
Gli articoli pubblicati in questa rivista sono stati sottoposti a valutazione da parte di due revisori con il sistema del doppio cieco.
ATTILIO ZUCCARELLO
In nota alla recente giurisprudenza in materia di contratti derivati: il concetto
di “alea razionale” quale criterio di valutazione della validità della causa
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Evoluzione dell’analisi sui derivati, l’individuazione di un
modello di riferimento: lo swap - 3. Oggetto e struttura contrattuale, premessa necessaria
per l’individuazione della causa contrattuale - 4. La causa contrattuale del derivato: la causa
astratta e la causa concreta - 5. Casi di nullità del derivato per vizi della causa - 5.1. Vizi
della causa astratta: l’alea squilibrata - 5.2. Vizi della causa in concreto - 6. Il concetto di
alea razionale - 7. In conclusione
1. Premessa
Tra il 2013 e il 2014 si sono succedute pronunce giurisprudenziali di particolare
importanza relative alla definizione di derivato, all’individuazione della causa e della natura aleatoria del relativo contratto, nonché ad alcune connesse condizioni di
validità dello strumento finanziario in analisi.
In particolare, la sentenza del Tribunale di Salerno del 2 maggio 2013, di Ravenna dell’8 luglio 2013 e di Torino del 17 gennaio 2014 (M. Elia, Swap connesso
ad un mutuo per acquisto prima casa e vizio di causa in concreto, in
www.dirittobancario.it), nonché le pronunce della Corte d’Appello di Trento del 3
maggio 2013 (I. Fogliata, Commento tecnico alla sentenza della Corte di appello di
Trento, 03 maggio 2013, n. 141, in www.dirittobancario.it) e quella di Milano del 18
settembre 2013 (V. La Malfa, Alcuni spunti di riflessione a margine della sentenza
della Corte d’Appello di Milano n. 3459 del 18 settembre 2013 in tema di strumenti
finanziari derivati, in www.dirittobancario.it), concorrono oggi ad integrare e, in alcuni casi, risolvere annose questioni interpretative e forniscono principi chiari per
una disciplina coerente in materia di derivati.
La recente giurisprudenza sopracitata, analizzata nel suo insieme, permette di
meglio delineare concetti già noti (quali quelli relativi alla causa astratta e alla causa concreta), alla luce di principi relativamente nuovi (l’alea equilibrata) ovvero di
principi di recentissima elaborazione nel dibattito sugli swap (si pensi all’alea razionale). Ciò al fine di individuare concrete condizioni essenziali per poter considerare
valido il contratto derivato sottoscritto.
2. Evoluzione dell’analisi sui derivati, l’individuazione di un modello di riferimento: lo swap
Il nomen “derivato” trae origine dall’esperienza anglosassone dei derivatives e
viene utilizzato indistintamente sia per indicare il contratto costitutivo del rapporto
1
intercorrente tra i sottoscrittori che per richiamare lo strumento ivi disciplinato .
1
Anche se Banca d’Italia non manca di rilevare come “Contrariamente alla opinione comune, lo schema dei contratti su derivati ha origine antichissima e nella storia antica si trovano diversi esempi di negoziazioni che rievocano i contratti derivati. Nel 580 a.c. - racconta
Aristotele - Talete di Mileto fece fortuna stipulando in inverno (quando la domanda di utilizzo
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RIVISTA DI DIRITTO BANCARIO | DOTTRINA E GIURISPRUDENZA COMMENTATA
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Invero tali contratti “rappresentano” e si immedesimano con lo strumento finanziario stesso. Conseguentemente il derivato è un contratto atipico (e non il suo oggetto), distinto dal comune contratto di vendita e acquisto di beni e servizi. Ha natura finanziaria e disciplina un sinallagma strutturato come contratto a prestazioni
corrispettive tra i sottoscrittori.
Non residuano dubbi relativamente al fatto che i contratti derivati, assimilabili a
scommesse autorizzate (D. Maffeis, La causa del contratto di interest rate swap e i
costi impliciti, in http://www.dirittobancario.it/rivista/finanza/derivati/causa-contratto3
interest-rate-swap-costi-impliciti ) , siano da ricomprendersi nel genus dei contratti
aventi natura aleatoria (al pari, oltre che alle scommesse e ai giochi autorizzati, di
alcune forme di rendita e, per certi versi, delle assicurazioni).
Anche la Giurisprudenza di legittimità su tale punto è concorde. Da tempo, infatti, il contratto di swap viene “inteso come quel contratto aleatorio con cui “le parti si
obbligano reciprocamente all’esecuzione, l’una nei confronti dell’altra, alla scadenza di un termine prestabilito, di una prestazione pecuniaria il cui ammontare è determinato da un evento incerto”“ (Cass. Civ., Sez. I, 19 maggio 2005, n. 10598).
Seguendo tale impostazione - e confermando la giurisprudenza di merito che
nel frattempo si è andata a formare sul punto -, la Corte Costituzionale si è pronunciata sancendo “il carattere intrinsecamente aleatorio” dei “contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati” (Corte Cost., 18 febbraio 2010, n. 52).
La Dottrina conferma tale qualificazione. I contratti in parola si distinguono per il
loro carattere aleatorio in quanto la particolare dinamica contrattuale, la distribuzione delle prestazioni principali tra le parti contraenti e la determinazione del loro
ammontare dipendono dal verificarsi o meno di un evento incerto, dalla fluttuazione
di un valore di mercato ovverosia da fattori in nessun modo influenzabili dalle parti
(ex multis, cfr. B. Inzitari, Profili del diritto delle obbligazioni, Cedam, 682).
Tuttavia, per quanto oggi appaia pacifico che la fattispecie in esame sia caratterizzata dall’elemento rischio e dalla connessa alea, tale assioma è il risultato di un
notevole sforzo scientifico e classificatorio, non sempre uniformemente condiviso.
era ovviamente bassa) una opzione sull’utilizzo in autunno (epoca della massima domanda,
tanto più perché quell’anno vi era stata una abbondante raccolta) di alcuni frantoi.
Nel 1164 Genova vendeva a un istituto finanziario (Monte) le entrate fiscali future di alcuni anni in cambio di un anticipo immediato. Nasceva così il primo contratto su derivati stipulato da un Ente locale.
La diffusione più ampia dei contratti su derivati va però rintracciata in età moderna con
l’ammissione alla negoziazione al Royal Exchange di Londra di contratti forward (cui seguiva la prima bolla speculativa relativa alla cosiddetta ‘mania dei tulipani’, 1637) mentre al
mercato del riso di Osaka (Yodoya) intorno al 1650 venivano negoziati i primi ‘futures’”. V.
Banca d’Italia, I Prodotti Derivati, in www.bancaditalia.it/serv_pubblico/culturafinanziaria/conoscere/edufin-bi/derivati.
2
A mente della migliore Dottrina, il contratto derivato non “genera” ma è esso stesso il
derivato, pertanto esso non disciplina lo strumento finanziario ma lo rappresenta; sul punto
v. E. Girino, I Contratti Derivati, in Il Diritto Privato Oggi, a cura di P. Cendon, Giuffré, 11 e
ss..
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“Il contratto derivato rientra nella categoria della scommessa legalmente autorizzata”.
Così Corte d’App. Milano, 18 settembre 2013. Sul punto, però, non concorda: E. Girino, I
contratti derivati, op. cit., 248 e ss..
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ATTILIO ZUCCARELLO
La presenza di opinioni diverse e di contrasti tra le varie tesi si giustifica in larga
parte in quanto lo strumento in analisi presenta sovente una struttura estremamente complicata e mutevole. L’eterogeneità con cui è possibile declinare nel concreto
i diversi contratti in esame (sul punto, a titolo esemplificativo, si richiamano le svariate sintesi definizioni proposte dal Testo Unico Finanza ex art. 1, co. 1 – bis, lett.
d e co. 2 lett. d – j) rende impossibile la formulazione di una teoria ricostruttiva e
onnicomprensiva che possa essere parimenti applicata a tutti i derivati sul mercato.
Ciò non permette di estrapolare una definizioni giuridica unica del concetto
stesso di derivato né di individuare con facilità elementi caratteristici presenti in tutti
i suddetti contratti in commercio. Ciò spiega anche l’impossibilità di individuare con
esattezza la datazione della diffusione dei primi derivati, ovverosia di indicare quali
finalità ed esigenze tali strumenti erano in origine tese a risolvere.
Di scarsa utilità pratica appare l’iniziale contributo di Banca d’Italia, che in passato si è limitata a definire i derivati come strumenti finanziari che “insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa” (Circolare n. 4, 29 marzo 1988, Banca d’Italia). Successivamente, interrogatasi in merito al senso della denominazione degli strumenti finanziari in analisi, l’Autorità bancaria così si pronunciava: “I derivati sono strumenti finanziari il cui valore deriva dai prezzi di attività scambiate sui mercati, quali attività
finanziarie (ad esempio, azioni, indici finanziari, valute, tassi d’interesse) ovvero
attività reali (ad esempio, merci, materie prime); queste variabili sono chiamate
“sottostante” del derivato” (Banca d’Italia, I prodotti derivati, in
http://www.bancaditalia.it/serv_pubblico/cultura-finanziaria/conoscere/edufinbi/derivati).
Tali definizioni si limitano esclusivamente a fornire le ragioni e l’origine della denominazione dello strumento in esame, senza con ciò nulla chiarire a proposito
delle dinamiche contrattuali.
Piuttosto è apparso più utile approfondire un successivo inciso che lo stesso
documento di Banca d’Italia, da ultimo richiamato, fornisce all’operatore. I contratti
derivati si caratterizzano, rispetto agli altri, in quanto l’entità e il valore delle reciproche prestazioni ivi disciplinate a carico dei contraenti (c.d. “differenziali”) dipende dal rischio che si verifichi o meno un evento futuro (punto che, come visto, è
oggetto di analisi della Dottrina di settore – Banca d’Italia, Le caratteristiche e le
finalità
dei
derivati,
in
http://www.bancaditalia.it/serv_pubblico/culturafinanziaria/conoscere/edufin-bi/derivati/caratteristiche-deriv).
L’impostazione di Banca d’Italia si presenta coerente con la definizione di contratto derivato estrapolata dallo standard contabile IAS 39 (applicabile a partire dal
1° gennaio 2001). I derivati vengono identificati come quei contratti o strumenti finanziari (a) il cui “valore cambia in relazione al cambiamento di un tasso di interesse, di un prezzo di uno strumento finanziario, di un prezzo di una merce, di un tasso di cambio in valuta estera, di un indice di prezzi o di tassi, di un merito di credito
(rating) o indici di credito o altra variabile prestabilita (alcune volte denominata “sottostante”); (b) non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento
netto iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da
cui ci si aspetterebbe una risposta simile a cambiamenti di fattori di mercato; (c) è
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RIVISTA DI DIRITTO BANCARIO | DOTTRINA E GIURISPRUDENZA COMMENTATA
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regolato a data futura, con regolamento differito rispetto alla data di negoziazione”
(sul punto, cfr. U. Patroni Griffi, I contratti derivati: nozione, tipologia e peculiarità
del contenzioso, in www.dirittobancario.it).
Abbandonato, quindi, ogni tentativo di definire il derivato alla luce di semplici
analisi etimologiche del nomen contrattuale, la dottrina e la giurisprudenza hanno
piuttosto ritenuto più rilevante analizzare la causa e l’oggetto contrattuale (sul punto, E. Girino, I Contratti Derivati, in Il Diritto Privato Oggi, op. cit., 23).
Ciò ha permesso di individuare un modello tipo – lo swap – dall’analisi del quale
si sono potute fissare alcune regole valide per tutte le fattispecie previste dall’art. 1,
co. 1 – bis, lett. d e co. 2 lett. d – j del TUF (ovvero per tutti i derivati presenti sul
mercato).
Una siffatta indagine sconta necessariamente una certa dose di approssimazione, data la già denunciata varietà di derivati presenti sul mercato (quali ad e5
6
7
sempio i futures , le options e, per certi versi, le obbligazioni strutturate ). Tuttavia,
4
“A derivative is a financial instrument:
• Whose value changes in response to the change in an underlying variable such as an
interest rate, commodity or security price, or index;
• That requires no initial investment, or one that is smaller than would be required for a
contract with similar response to changes in market factors; and
• That is settled at a future date” (IAS 39 - Financial Instruments: Recognition and
Measurement) .
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“I futures sono derivati con i quali una parte si impegna ad acquistare o a vendere, a una data futura, una certa quantità di una determinata attività sottostante a un
prezzo concordato. Essi comportano l’obbligo, sia per l’acquirente sia per il venditore, di eseguire la prestazione contrattualmente prevista.
In particolare, l’acquirente si impegna già al momento della stipulazione ad accettare la
consegna dell’attività sottostante e a effettuare il pagamento al prezzo convenuto, a prescindere da quello presente sul mercato al momento della consegna stessa. Di contro, il
venditore si impegna a accettare il pagamento e a consegnare l’attività sottostante alla scadenza della data fissata.
L’attività sottostante, come detto, può essere rappresentata da un bene reale (grano, petrolio), da un’attività finanziaria (azioni, titoli di Stato) o da un indice (indice azionario
S&P/MIB)” in http://www.bancaditalia.it/serv_pubblico/cultura-finanziaria/conoscere/edufinbi/derivati/principali-derivati.
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“L’opzione è un derivato che conferisce all’acquirente il diritto di acquistare (call) o di
vendere (put) una certa quantità di un bene a un prezzo prefissato (prezzo di esercizio), dietro il pagamento di un premio. L’opzione è detta europea se il diritto di acquistare o vendere
può essere esercitato solo alla scadenza pattuita, americana se invece l’esercizio è possibile in ogni momento fino alla scadenza del contratto. Anche in questo caso la gamma di attività sottostanti è vastissima e può essere costituita da azioni, titoli di Stato, tassi di interesse, valute, merci e indici come anche da altri derivati (future e swap).
Chi acquista l’opzione assume il diritto e non l’obbligo di acquistare e vendere una certa
quantità di un determinato bene; egli è quindi titolare di una facoltà che può anche non esercitare. Questa caratteristica dell’opzione costituisce la principale differenza rispetto al
contratto future. Il venditore ha invece l’obbligo di vendere o acquistare, una volta che la
controparte ha deciso di avvalersi della citata facoltà; per tale ragione, il venditore riceve un
compenso,
chiamato
premio”
in
http://www.bancaditalia.it/serv_pubblico/culturafinanziaria/conoscere/edufin-bi/derivati/principali-derivati .
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ATTILIO ZUCCARELLO
ha permesso alla Giurisprudenza di trarre regole e principi in gran parte condivisi in
merito alle condizioni di validità del contratto e sugli obblighi formali e procedurali
nella loro negoziazione.
3. Oggetto e struttura contrattuale, premessa necessaria per
l’individuazione della causa contrattuale
Recente giurisprudenza di settore ha esemplificato la definizione di oggetto e di
causa del contratto: “Nel derivato [...], l’oggetto del contratto è costituito da uno
scambio di differenziali a determinate scadenze, mentre la sua causa risiede in una
scommessa che entrambe le parti assumono” e nello scambio di rischi conseguente (Corte d’App. Milano, 18 settembre 2013, cit.).
La definizione della Corte d’Appello di Milano permette di porre un primo tassello. Lo scambio di differenziali e la connessa promessa di reciproco pagamento del
relativo valore (con reale corresponsione della differenza dei differenziali) configura
al tempo stesso l’oggetto contrattuale e la natura dello stesso. La presenza di un
rischio gravante sui due contraenti, che scaturisce dal fatto che i sottoscrittori non
dovrebbero poter determinare il valore degli indici e degli algoritmi dei differenziali
prima che cadano le singole scadenze contrattuali, permette di confermare la natura aleatoria del derivato. Ciò fa, quindi, risaltare la vera natura di qualsiasi swap,
“che è quella di una scommessa – autorizzata, ai sensi dell’art. 1935 cod. civ., in
forza del richiamo di cui all’art. 1 TUF, quantomeno allorché non presenta accentuati scostamenti dalle fattispecie socialmente tipizzate – che ha per scopo comune
la creazione di un rischio e il cui oggetto è rappresentato dalle alee bilaterali e reciproche” (D. Maffeis, La causa del contratto di interest rate swap e i costi impliciti,
op.cit).
Individuato l’oggetto e gli elementi caratteristici del sinallagma contrattuale è
possibile chiarire le dinamiche dei contratti in esame.
Il derivato tipo (ovverosia lo swap) si presenta come contratto in cui le parti sottoscrittrici (una delle quali, il più delle volte, è una banca) “si obbligano ad effettuare delle prestazioni pecuniarie reciproche e speculari al verificarsi di specifici eventi
di rilevanza finanziaria [...] al fine di ripartire tra le stesse le possibili conseguenze
negative derivanti da tali fluttuazioni e, in tal modo, neutralizzare o limitare le perdi-
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Tale categoria non rappresenta propriamente di una tipologia a parte e distinta di un
derivato, quanto piuttosto una modalità particolare di utilizzo dello stesso. Con obbligazione
strutturata “si fa riferimento a dei prodotti finanziari complessi che attraverso un unico contratto trasferiscono al sottoscrittore il profilo di rischio e di rendimento di un insieme di strumenti finanziari. In particolare essi sono caratterizzati dall’inserimento in un titolo di debito a
tasso fisso o variabile (detto contratto ospite), di strumenti derivati di solito rappresentati da
opzioni e swap.
La presenza del contratto derivato impatta sul profilo di rendimento e di rischio del titolo
obbligazionario, determinandone significative modificazioni dei flussi di cassa, se non addirittura il venir meno della garanzia del rimborso del capitale investito” in
http://www.bancaditalia.it/serv_pubblico/cultura-finanziaria/conoscere/edufinbi/derivati/obbligazioni-strutturate .
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ta – ma anche i vantaggi – che ne possono derivare” (P. Corrias, Garanzia pura e
contratti di rischio, in Il diritto della banca e della borsa, Giuffrè, 2006, 277).
La struttura contrattuale configura uno strumento avente come funzione quella
della condivisione con una controparte di un rischio che, in origine, graverebbe su
uno solo dei due contraenti. Gli interessi dei due contraenti sono contrapposti: il
concretizzarsi del rischio indicato in contratto comporterà un vantaggio a favore di
uno dei sottoscrittori con simmetrico pregiudizio monetario a carico della controparte contrattuale.
Nell’interest rate swap, sottospecie dello genus derivato-swap, le parti convengono che “l’una corrisponda all’altra la differenza tra l’ammontare risultante
dall’applicazione, ad un importo convenzionale di riferimento, di un tasso di interesse determinato in modo fisso e l’ammontare, risultante dall’applicazione al medesimo importo convenzionalmente stabilito, di un tasso di interesse variabile” (B.
Inzitari, op. cit., 677).
Il cliente, già sottoscrittore di un finanziamento a tasso variabile, decide di gestire il rischio connesso al possibile (ma non ancora certo) aumento dei tassi di interesse sottoscrivendo un derivato apposito. In forza del detto strumento, le parti
convengono un importo di riferimento (c.d. “nozionale”) e i tassi di interesse, uno
variabile precedentemente applicato al finanziamento sottostante e uno fisso. I due
tassi al momento della sottoscrizione dovrebbero avere uguale quotazione e me8
desima prospettiva futura di evoluzione : il derivato dovrebbe configurarsi come
“par”, situazione che si verifica allorquando i valori di mercato delle prestazioni indicate con i differenziale siano i medesimi (“I contratti par sono strutturati in modo
tale che le prestazioni delle due controparti sono agganciate al livello dei tassi di
interesse corrente al momento della stipula del contratto; a tale data il contratto ha
quindi un valore di mercato nullo per entrambe le controparti. I contratti non par,
invece, presentano al momento della stipula un valore di mercato negativo per una
delle due controparti, poiché uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello
dei tassi di mercato. In generale, i termini finanziari della transazione vengono riequilibrati attraverso il pagamento di una somma di denaro alla controparte che accetta condizioni più penalizzanti pur di incassare la somma di denaro; tale pagamento, che dovrebbe essere pari al valore di mercato negativo del contratto, prende il nome di up-front.” - Relazione del 18 marzo 2009 del Direttore Generale protempore della Consob Antonio Rosati alla 6a Commissione Finanze e Tesoro del
Senato “Indagine conoscitiva sulla diffusione degli strumenti di finanza derivata e
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delle cartolarizzazioni nelle Pubbliche Amministrazioni”) .
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“Il cosiddetto mark-to-market (MTM) o altrimenti detto Fair Value [è] un valore che viene dato in un certo momento della sua vita ad un derivato, la cui stima involge notevoli aspetti previsionali e che di per sé non comporta alcuna giuridica conseguenza sulla posizione delle parti, non si traduce cioè in una perdita monetaria o in un obbligo di pagamento. Si
tratta di una sorta di rating evoluto, ed infatti l’iniziale funzione è solo quella di consentire il
monitoraggio dell’andamento del derivato, agganciandosi all’ipotesi della istantanea chiusura del rapporto” (Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443).
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Corte Cost., n. 52 del 2010 così riassume il sinallagma: “Con riferimento alla suindicata
articolata tipologia, a soli fini descrittivi e con un ineliminabile margine di approssimazione
dipendente dalla complessità del fenomeno, può ritenersi che le negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari derivati si caratterizzano, sul piano strutturale, per essere con6
ATTILIO ZUCCARELLO
Nel currency swap il meccanismo è il medesimo. Fissando contrattualmente
con la controparte la quotazione di una certa valuta straniera “ora per sempre”,
l’imprenditore che opera con fornitori stranieri definisce una volta per tutte il valore
dei propri debiti, rendendo la propria esposizione nei confronti di una società straniera insensibile al rischio della fluttuazione monetaria (currency swap – G. Capaldo, Profili civilistici del rischio finanziario e contratto di swap, in Università degli
studi di Roma La Sapienza – Facoltà di Economia Pubblicazioni dell’istituto di Diritto Privato, a cura di G. Benedetti, 56 e ss.). E medesimo meccanismo potrà essere
utilizzato per fissare il prezzo di una certa merce commercializzata con i propri fornitori sul lungo periodo (pensiamo alle fluttuazione del prezzo del petrolio), così da
10
rendere ininfluente le variazioni di prezzo che nel tempo possono verificarsi .
4. La causa contrattuale del derivato: la causa astratta e la causa concreta
Le recenti sentenze citate nel presente contributo pongono particolare enfasi
all’analisi dei contratti contestati. La massima del Tribunale di Salerno del 2
maggio 2013, preso a titolo d’esempio, introduce le questioni giuridiche e la decisione in merito alla richiesta di nullità del contratto con un’attenta disamina dei differenziali e della struttura contrattuale. La descrizione del sinallagma e
l’individuazione dell’oggetto contrattuale, infatti, permettono di individuare in modo
più approfondito la causa contrattuale del derivato e, conseguentemente, delimitarne i principali motivi di nullità.
In tal senso è da considerarsi oramai risolta l’annosa questione relativa alla
qualificazione giuridica di quello che potremmo definire atecnicamente “lo scopo”
del derivato, ovverosia l’esigenza che ha spinto il cliente a sottoscrivere il contratto.
A lungo si è dibattuto se la finalità e il motivo, spesso manifestato esplicitamente dall’investitore alla banca al momento della negoziazione, potesse concorrere a
comporre la causa contrattuale ovvero se fosse da relegarsi tra gli elementi non
essenziali del contratto quale “motivo soggettivo”. Un siffatto dibattito ha evidentemente dei risvolti pratici di non poco conto: solo nel primo caso, infatti, l’eventuale
nesse ad altre attività finanziarie (quali, ad esempio, titoli, merci, tassi, indici, altri derivati)
dal cui “prezzo” dipende il valore dell’operazione compiuta. Ferme ovviamente restando le
diversità legate al tipo di operazione prescelto, tali negoziazioni sono volte a creare un differenziale tra il valore dell’entità negoziata al momento della stipulazione del relativo contratto
e quello che sarà acquisito ad una determinata scadenza previamente individuata” (punto n.
10.2. del considerato in diritto).
10
Anche in tal caso la Giurisprudenza appare sostanzialmente allineata alle conclusioni
e agli orientamenti prevalenti in dottrina, allorquando chiarisce che Cass. Civ., Sez. I, 19
maggio 2005, n. 10598, in cui si può leggere “Nel concetto di valore mobiliare ai fini
dell’assoggettamento alla predetta legge n. 1 del 1991 [oggi abrogata e sostituita dagli articoli del d.lgs. n. 58 del 1998, “Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria”] rientra, quindi,
anche il “domestic currency swap”, inteso come contratto aleatorio, con il quale due parti si
obbligano, l’una all’altra, a corrispondere alla scadenza di un termine, convenzionalmente
stabilito, una somma di denaro (in valuta nazionale) quale differenza tra il valore (espresso
in valuta nazionale) di una somma di valuta estera al tempo della conclusione del contratto e
il valore della medesima valuta estera al momento della scadenza del termine stabilito”.
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inidoneità del derivato al raggiungimento della finalità di copertura comporterebbe
la nullità del contratto per vizio e violazione della causa.
Come dicevamo la questione appare oramai chiarita.
Al fine di risolvere la questione, la Giurisprudenza e la Dottrina hanno applicato
alla materia la distinzione tra “causa astratta” e “causa in concreto” già presente
nella Relazione al codice civile del 1942, § 613. Il Legislatore, in tale occasione,
pur contrapponendo lo “scopo soggettivo del contraente” al “fine intrinseco del con11
tratto” , evidenziava la stretta interconnessione tra elementi qualificanti la funzione
contrattuale e il motivo soggettivo sottostante12 e riconosceva la complementarietà
e la pari valenza giuridica dei due concetti.
Il suesposto orientamento trae conferma dall’insegnamento consolidato della
Suprema Corte, che in materia contrattuale ha evidenziato la rilevanza e la giustapposizione di un concetto di causa come ““funzione economico sociale” del contratto - secondo un approccio ermeneutico, peraltro, di tipo “astratto” “ che convive, distinguendosi e armonizzandosi, con il concetto di “causa del contratto come
strumento di controllo della sua utilità sociale, [...] in termini di sintesi degli interessi
reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico,
adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si
badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta
nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economicosociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi
contrattuali, si volga al fine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso
compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica)
convenzione negoziale” (Cass. Civ., Sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490).
Orientamento via via consolidatosi e oggi da considerarsi regola condivisa e
applicata anche ai singoli swap.
Pertanto “nelle operazioni di interest rate swap è ravvisabile una causa in astratto - coincidente con lo scambio di flussi corrispondente al differenziale che, nel
tempo di esecuzione del contratto, si determina tra due tassi di interesse differenti
e predefiniti, applicati a un capitale emozionale di riferimento - ed una causa in
11
A tal proposito migliore Dottrina evidenzia quanto segue: “Si legge, infatti, nella redazione al Codice Civile (n. 613) che il ruolo affidato dall’ordinamento giuridico alla causa non
era più ormai quello di di rappresentare lo “scopo soggettivo, qualunque esso sia, perseguito dal contraente nel caso concreto” bensì di configurare “la funzione economico sociale che
il Diritto riconosce rilevante ai suoi fini e che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata”,
funzione a sua volta “che deve essere non soltanto conforme ai precetti di legge, all’ordine
pubblico e al buon costume, ma anche, per i riflessi diffusi dell’art. 1322 comma 2°, rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezzabile e come
tale meritevole di tutela giuridica [...]”, v. C. Scognamiglio, La dottrina della causa nel diritto
italiano, in Revista de Derecho de la Pontificia Universidad Católica de Valparaíso XXVII,
2006, 153 e ss.
12
Interessante sul punto il contributo di E. Bruno, Anche un contratto tipico può essere
nullo per mancanza di causa, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=34356, nota a sentenza Cass. Civ., Sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490.
8
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concreto, individuabile nel contratto intervenuto tra le parti e considerato nella sua
specifica conformazione” (Trib. Ravenna, 8 luglio 2013).
Individuata la causa in astratto, analizziamo quindi le possibili tipologie di “causa concreta”.
A tal proposito recente Giurisprudenza (Corte d’App. Trento, 3 maggio 2013,
n. 141, cit.) ha evidenziato come i contratti di swap possono essere sottoscritti per
conseguire tre funzioni, caratterizzandosi quindi per le diverse cause concrete sottostanti:
• una finalità meramente di copertura di rischi su tassi di interesse
(l’Hedging”);
• una funzione speculativa su variazioni di prezzo (il “Trading”);
• una funzione di arbitraggio, mediante lo sfruttamento di differenziali di
prezzi del medesimo valore o indice economico su mercati differenti
(anche se nella prassi, il più delle volte, si presenta come sottospecie del
derivato di copertura).
Del derivato hedging (o, semplicemente, di copertura) si è già detto.
La citata Corte d’Appello di Trento chiarisce che il derivato per poter essere
considerato “di copertura” dovrà presentare le seguenti caratteristiche:
1. dovrà essere stata sottoscritto esplicitamente al fine di ridurre la rischiosità
di altre posizioni detenute dal cliente;
2. vi dovrà essere una oggettiva correlazione tra le caratteristiche tecnicofinanziarie tra il rapporto preesistente oggetto della copertura e il derivato
sottoscritto;
3. la banca dovrà aver adottato procedure di controllo interno idoneo per assicurare l’effettivo rispetto delle due condizioni suesposte.
Tale impostazione è in linea con le schematizzazioni precedentemente proposte dalle Comunicazioni Consob n. DI/99013791 del 26 febbraio 1999 (“Strumenti
finanziari derivati: criteri di qualificazione e applicazione di norme regolamentari”) e
DEM/1026875 dell’11 aprile 2001 (“Quesito in merito alla rappresentazione di
un’operazione di Interest Rate Swap nel bilancio al 31.12.2000”).
Oltre al derivato di copertura si è ampiamente sviluppato il derivato speculativo,
favorito dalla causa tipica contrattuale del derivato (lo scambio di rischi) e dalla naturale idoneità dello strumento in analisi ad adeguarsi a qualsiasi differenziale sot13
tostante . La finalità speculativa consiste nel porsi come obiettivo il guadagno derivante dal rialzo o dal ribasso dei prezzi ai quali in futuro verrà scambiata una determinata attività. L’assunzione, quindi, della posizione di rischio da parte del clien-
13
“Nel contesto della gestione del rischio finanziario, gli swap offrono, agli operatori, la
possibilità di modificare i parametri cui sono legati – di interesse, di cambio, di prezzi di merci, di indici azionari – con altri che ritengono, per le ragioni più varie, più vantaggiosi. Le finalità, realizzabili attraverso questi contratti, sono molteplici, come molteplice è la varietà di
prodotti, ma possono essere comunque ricondotti alla più generale tripartizione di copertura,
arbitraggio e speculazione”, v. G. Capaldo, Profili civilistici del rischio finanziario e contratto
swap, in Università degli Studi di Roma La Sapienza, Pubblicazioni dell’Istituto di Diritto Privato, a cura di G. Benedetti, 60 e ss.
9
RIVISTA DI DIRITTO BANCARIO | DOTTRINA E GIURISPRUDENZA COMMENTATA
te sottoscrittore è funzionale non già ad una strategia difensiva nei confronti di un
rischio preesistente al contratto derivato ma al conseguimento di un profitto.
Il derivato presenterà un effetto leva (leverage) grazie al quale gli impegni assunti e i diritti ad acquistare o vendere determinate attività potranno avvenire con
l’investimento di un ammontare di danaro sensibilmente inferiore a quello invece
necessario per l’acquisto immediato della medesima quantità di attività (“Conseguenza dell’effetto leva è che possiamo avere guadagni (generati dai derivati) per
importi ben superiori alla somma inizialmente investita; tuttavia, anche le perdite
possono
diventare
molto
elevate”
in
http://www.bancaditalia.it/serv_pubblico/cultura-finanziaria/conoscere/edufinbi/derivati/caratteristiche-deriv).
Il sottoscrittore presta la promessa di un pagamento il cui ammontare è determinato, secondo algoritmi concordati, dall’andamento di uno strumento finanziario
di riferimento o di un valore di mercato, ovvero dal verificarsi o meno di un avvenimento futuro o di una certa fluttuazione determinabile ex post. In contropartita, il
contraente riceverà una prestazione (o una corrispettiva promessa di pagamento)
simmetrica da parte dell’altro sottoscrittore, il cui valore viene indicizzato ad altri
parametri e algoritmi. I differenziali, il valore del nozionale, nonché la durata del sinallagma non saranno connessi ad una preesistente situazione di rischio (quale ad
esempio quello scaturente da un finanziamento a tasso variabile o alla concessione di un fido su conto corrente con interessi moratori indicizzati a tassi variabili),
ma si struttureranno al pari di una scommessa in modo del tutto indipendente
dall’operatività precedente dei sottoscrittori.
5. Casi di nullità del derivato per vizi della causa
Abbiamo chiarito la differenza e la dicotomia tra causa concreta (relativa alla
motivazione e alla funzione individualmente rilevata del contratto sottoscritto) e la
causa astratta (ovverosia la struttura oggettiva sinallagmatica del contratto), alla
luce delle ultime sentenze richiamate.
Tale impostazione rileva come la causa in astratto e quella in concreto operino
su piani concettuali e giuridici distinti. Purtuttavia esse cooperano per la configurazione della causa unitariamente considerata del contratto, tanto che il vizio inerente
una delle due cause comporterà uguale effetto, ovverosia l’invalidità del derivato.
5.1 Vizi della causa astratta: l’alea squilibrata
Come detto, lo swap è “quel contratto aleatorio con cui le parti si obbligano reciprocamente all’esecuzione, l’una nei confronti dell’altra, alla scadenza di un termine prestabilito, di una prestazione pecuniaria il cui ammontare è determinato da
un evento incerto” per entrambe le parti (Cass. Civ., Sez. I, 19 maggio 2005, n.
10598).
Così definito, il contratto in esame si caratterizza per la propria natura aleatoria
14
e per la causa contrattuale astratta che consiste nello scambio di rischi finanziari .
14
In modo particolarmente lineare, la migliore dottrina evidenzia che “lo swap è un contratto la cui causa oggettiva sta nello scambio di due rischi connessi, riferiti e parametrati ai
sottostanti”, E.M. Mastropalo, Strumenti finanziari derivati, in Digesto, disc. priv. sez. comm.,
2008, 922.
10
ATTILIO ZUCCARELLO
Le fluttuazioni dei valori (o il verificarsi o meno degli eventi) contrattualmente indicati quali indici a cui i differenziali vengono ancorati si configurano come eventi incerti, pur se in parte prevedibili sulla base di analisi e previsione che le parti possono effettuare grazie alle informazioni in loro possesso (G. Di Giandomenico, I
Contratti Speciali – I Contratti aleatori, in Trattato di Diritto Privato, diretto da M.
Bessone, vol. XIV, 63 e ss.).
Tale incertezza (o, rectius, il rischio collegato all’impossibilità di una previsione
certa) configura uno degli elementi distintivi della “causa astratta” del contratto in
analisi, causa astratta che viene definita dalla giurisprudenza di merito (si pensi alla sentenza del Tribunale di Ravenna, 8 luglio 2013) come “coincidente con lo
scambio di flussi corrispondente al differenziale che, nel tempo di esecuzione del
contratto, si determina tra due tassi di interesse differenti e predefiniti, applicati a
un capitale nozionale di riferimento”.
L’incertezza del futuro prezzamento dei valori di mercato a cui i differenziali sono indicizzati e la connessa alea devono rappresentare un rischio presente e reale,
anche se non necessariamente equamente distribuito, in capo ai due sottoscrittori.
In questa prospettiva, l’alea bilaterale (ovvero, l’incertezza sull’andamento dei due
differenziali contrapposti) rappresenta un elemento essenziale del singolo contratto
di swap che concretizza – sotto il profilo della ormai consolidata “tipicità sociale”
del contratto – la sua causa e/o comunque il suo oggetto. La Giurisprudenza citata
trova assoluta conferma dalla Dottrina specializzata che, in tema di contratti aleatori, perentoriamente dichiara che “il contratto aleatorio è nullo per mancanza di causa quando viene meno la bilateralità soggettiva dell’alea” (G. Di Giandomenico, I
contratti speciali – i contratti aleatori, op. cit., 96).
Sicché, qualora l’analisi storica e le proiezioni future dei tassi inclusi negli algoritmi componenti i differenziali evidenzino una “sproporzione tra la probabilità che si
verifichi una perdita per il cliente e la probabilità che si verifichi una perdita per la
banca (c.d. alea unilaterale) il contratto è da dichiararsi nullo “per assenza di una
causa meritevole che lo sorregga”“ (Tribunale Salerno, 2 maggio 2013). Affinché
un contratto possa considerarsi aleatorio, infatti, “occorre che il vantaggio o il sacrificio, per ciascuna delle parti, dipenda dall’alea, dalla sorte”. Allorquando però uno
dei due contraenti, godendo di una posizione di vantaggio se non addirittura di dominio sull’altra, abusi della sua condizione per far sì che il rischio - apparentemente
distribuito - gravi per lo più sull’altro, allora il contratto non presenta più l’essenziale
“componente di fortuna” distribuita e “divisa” tra i contraenti.
Ciò rappresenta un rilevante scostamento rispetto alla propria causa contrattuale. In quanto tale la giurisprudenza ormai concorda nel considerare il contratto in
oggetto non meritevole di tutela e rilevanza giuridica.
Sia chiaro, la Corte di Cassazione non nega tout court la compatibilità con il nostro sistema giuridico a tutti i contratti ad alea unilateralmente disposta.
Anzi ha in più di un occasione ribadito che i “per aversi contratto aleatorio è necessario che l’alea intesa quale rischiosa cui uno o più contraenti ovvero tutti i contraenti si espongono, investa e caratterizzi il negozio nella sua interezza e nella
sua formazione, sicché per la natura del negozio o per le specifiche pattuizioni stabilite dai contraenti divenga radicalmente incerto per una o per tutte le parti il van-
11
RIVISTA DI DIRITTO BANCARIO | DOTTRINA E GIURISPRUDENZA COMMENTATA
taggio economico in relazione al quale le parti si espongono (Corte di Cassazione,
117/1999; Corte di Cassazione, 4506/1996)” (Cass. Civ., n. 17399/2004). In almeno due precedenti, infatti, la Suprema Corte ha avuto modo di confermare la validità di schemi contrattuali che disponevano su uno solo dei due contraenti un rischio
connesso al verificarsi incerto di un determinato evento (Cass. Civ., n. 6452/1991 e
Cass. Civ., n. 17399/2004).
In entrambi i giudizi la materia del contendere riguardava un contratto tipico,
15
ovverosia un contratto di compravendita avente ad oggetto diritti su immobili . Pertanto in tali casi la valutazione di meritevolezza economica e sociale dello schema
contrattuale in analisi era già stata effettuata dal Legislatore. Ciò rende i contratti
tipici ad alea unilaterale leciti perché già ritenuti meritevoli (in quanto appunto tipizzati) salvo che, nel caso concreto, il contratto poi si articoli in modo da dover escludere una rilevanza sociale.
Il contratto derivato invece è un contratto atipico e in quanto tale “soggetto al
vaglio di liceità ex art. 1322 c.c.” e alla verifica di meritevolezza (Trib. Modena, 23
dicembre 2011, nota di V. Sangiovanni, in I contratti 3/2012, 130 e ss.). Meritevolezza che certamente non può riconoscersi al caso in specie. E ciò in quanto la
sproporzionalità dell’alea appare incompatibile con la causa astratta del contratto
derivato, senza che rilevi se esso sia stato sottoscritto per finalità speculative o sia
di mera copertura. Nel primo caso, in cui la causa concreta è esclusivamente quella dei ottenere un guadagno a danno della controparte “scommettente” tramite una
speculazione finanziaria, il contratto non avrebbe motivo di essere allorquando i
differenziali fossero strutturati in modo tale che nel concreto solo una parte (la banca) ha possibilità di guadagno. Nel secondo, poi, appare evidente l’incompatibilità
tra uno strumento che almeno formalmente dovrebbe avere finalità hedging e la
struttura contrattuale ad alea unilaterale a carico del cliente che richiede tale copertura (sul punto, Trib. Ravenna, 8 luglio 2013).
In conclusione la validità di un derivato è condizionata non solo all’astratta idoneità del contratto a realizzare quella reciprocità di obbligazioni che caratterizza il
sinallagma socialmente (ma non giuridicamente) tipizzato. E’, infatti, necessario
che i differenziali e il nozionale del contratto siano strutturati e individuati in modo
tale da rendere possibile nel concreto un apprezzabile mutamento nella sfera giuridica dei contraenti in modo conforme al risultato economico voluto dalle parti.
Situazione incompatibile nel caso in cui l’alea non fosse distribuita.
5.2. Vizi della causa in concreto
Come già anticipato, gli operatori del diritto hanno dibattuto a lungo in sede giurisdizionale e accademica se l’inidoneità oggettiva del derivato a rispondere alla
15
Nel primo giudizio, relativo ad un contratto di vendita di tre immobili, le parti avevano
concordato una clausola di rivalutazione del prezzo indicizzato alle fluttuazioni del rapporto
di cambio tra la lira italiana e il franco svizzero (Cass. Civ., n. 6452/1991); nel secondo, la
cui natura aleatoria viene contestata in giudizio, la materia litigiosa era un contratto stipulato
tra due coniugi e relativo alla vendita della quota di metà dell’usufrutto gravante su un appartamento con previsione del diritto di abitazione a favore della moglie in caso di divorzio
(Cass. Civ., n. 17399/2004).
12
ATTILIO ZUCCARELLO
finalità di copertura previamente esplicitata dal sottoscrittore potesse configurare
un vizio invalidante l’intera operazione finanziaria.
Parte della dottrina e della giurisprudenza ha a lungo ritenuto irrilevante
l’inidoneità oggettiva del derivato a soddisfare la funzione esplicitata in fase precontrattuale dal cliente, in quanto elemento inerente questioni soggettive, ovverosia il motivo individuale della stipula (Trib. Trento, 28 dicembre 2011).
La questione viene, invece, affrontata e diversamente risolta dalle sentenze richiamate.
La Corte d’Appello di Trento del 3 maggio 2013 (cit.), radicata in riforma del
provvedimento del Tribunale di primo grado del 28 dicembre 2011, richiama la tesi
giurisprudenziale più recente secondo cui lo scopo pratico del negozio posto in essere, ovverosia “la sintesi [P] degli interessi che lo stesso è concretamente diretto
a realizzare” configura la causa concreta del contratto, quale “funzione individuale
della singola e specifica negoziazione, al di là del modello tipizzato” (Corte
d’Appello cit., in applicazione dei principi sanciti dalla Cass. Civ., 8 maggio 2006, n.
10490 cit., conf. inter alia alla Cass. Civ., SS.UU., 18 marzo 2010, n. 6538 e Cass.
Civ., 8 febbraio 2012, n. 1875).
La causa concreta così definita e delineata viene quindi indicata come requisito
essenziale del contratto in quanto funzione individuale della singola e specifica negoziale, al di là del modello astratto tipizzato (cfr. Cass. Civ., SS.UU., n.
6538/2010). L’eventuale discrasia tra causa concreta e la finalità di copertura del
derivato configura un vizio della causa e, pertanto, un motivo di nullità ai sensi del
disposto combinato ex art. 1418 e art. 1325 n. 2 c.c.16.
Sulla scia della sentenza della Corte d’Appello di Trento, il Tribunale di Torino
ha integrato il dibattito evidenziando che “allo scopo di valutare la validità di un
contratto, non è sufficiente affidarsi ad uno dei tipi già previsti dalla legge o dalla
consuetudine sociale secondo un’ottica di causa in astratto, sostanzialmente coincidente con la funzione tipica e sociale del modello contrattuale prescelto; è, infatti,
necessario [...] testare la causa in concreto, pena la nullità del contratto medesimo
per difetto di causa” (Trib. Torino, 17 gennaio 2014, cit.).
A mente della dichiarazione giurisprudenziale in esame, la carenza di causa in
concreto si verifica ogni qual volta che la scommessa sottostante il contratto swap
in contestazione sia stata strutturata in modo tale che difficilmente le fluttuazione
degli indici inclusi nei differenziali possano portare beneficio al cliente in quanto le
previsioni contrattuali relativo all’andamento dei tassi a favore non appaiono concretamente realizzabili.
Tale recente pronuncia conferma quanto in precedenza evidenziato in merito alla rilevanza della causa in concreto quale componente della causa contrattuale unitaria. Essa si distingue e al tempo stesso opera in via di complementarietà con la
causa astratta, rilevando non semplicemente quale elemento motivazionale che
16
Sulla nullità per difetto di causa del derivato privo, in concreto, della finalità di copertura contrattualmente pattuita v. D. Maffeis, Nullità per vizio di causa nei contratti derivati.
Commento a Tribunale di Monza, 17 luglio 2012, n. 2028, in www.dirittobancario.it, novembre 2012.
13
RIVISTA DI DIRITTO BANCARIO | DOTTRINA E GIURISPRUDENZA COMMENTATA
influirebbe limitatamente alla formazione della volontà del sottoscrittore, ma quale
elemento essenziale del contratto.
6. Il concetto di alea razionale
I precedenti richiamati in merito ai vizi contrattuali relativi alla causa astratta e
quelli relativi alla causa concreta, pur fornendo principi teorici di grande rilevanza,
lasciano aperte questioni che appaiono dirimenti. Con riferimento alla causa astratta, ci si chiede quando l’alea può in concreto definirsi squilibrata. Relativamente,
invece, alla causa concreta è lecito interrogarsi su quando, nel caso specifico e reale, il derivato possa considerarsi idoneo a fornire la copertura richiesta.
In parole piane, quale è il limite di rischio accettabile superato il quale il derivato
sia da considerarsi illecito per carenza di alea equilibrata ovvero sia nullo in quanto
le probabilità di copertura siano da considerarsi non realizzabili?
Il dubbio appare legittimo considerando che il derivato, sia esso speculativo sia
esso di mera copertura, deve pur sempre mantenere un certo limite di alea e di rischio finanziario per il cliente (altrimenti, come detto, non sarebbe un derivato) e
che nella stragrande maggioranza dei casi mai il rischio è equamente distribuito al
50% tra i sottoscrittori.
Escludiamo i casi limite in cui gli indici previsti dal differenziale favorevole al cliente siano talmente fuori mercato che sia manifesta l’impossibilità che il rischio accettato dalla banca si realizzi. Per tutti gli altri casi, a soluzione di tale problema interpretativo e applicativo, si richiama le recentissime sentenze, già citate, del Tribunale di Torino e della Corte d’Appello di Milano.
Le due pronunce, infatti, chiariscono come elemento comune per la valutazione
della carenza o meno della causa concreta nel derivato nonché per confutare la
validità dello stesso per vizio relativo alla causa astratta è che l’alea connessa
all’operazione in analisi sia stata assunta in modo consapevole. Tale ultima condizione di validità, applicabile - si insiste - sia ai casi di contestazione relativi alla
causa concreta che a quelli per vizi della causa astratta, viene definita “alea razionale”.
Correttamente la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto che la banca che negozia con il cliente la sottoscrizione di un contratto derivato, a prescindere che esso
sia da considerarsi di copertura ovvero speculativo, sempre “deve prestare una
specifica consulenza al cliente, indipendentemente dalla conclusione di un apposito contratto di consulenza, sul presupposto che la natura stessa dello strumento
finanziario richiede che nella definizione dei suoi contenuti - e quindi delle condizioni dell’alea”. Al pari di una scommessa autorizzata, infatti, la causa del derivato
può essere considerata meritevole solo allorquando il rischio e l’alea che la caratterizzano siano state consapevolmente e razionalmente assunte dalle parti.
Chiarisce ulteriormente la Corte che “l’alea non può che essere “razionale” per
entrambi gli scommettitori e ciò a prescindere dall’intento che ha determinato la
conclusione del contratto, sia esso di mera copertura, ovvero speculativo. Perché
l’alea, che, come detto, costituisce l’oggetto del contratto, possa considerarsi “razionale” debbono essere definiti e conosciuti ex ante, con certezza, gli scenari probabilistici e delle conseguenze del verificarsi degli eventi”. Laddove non siano stati
condivisi tra le parti tutti gli elementi dell’alea e gli scenari probabilistici che concorrono nella sua creazione, il contratto dovrà essere ineluttabilmente considerato
14
ATTILIO ZUCCARELLO
squilibrato in quanto uno dei contraenti non viene messo nelle condizioni di “misurare” ed accettare il rischio che gli si propone.
Pertanto, con riferimento alla valutazione del rispetto della causa astratta
ed esclusi i casi di alea oggettivamente unilaterale, il precedente richiamato
porterebbe a concludere che non esiste l’illiceità del contratto in caso di
sproporzione oggettiva, ma solo in caso di squilibrio informativo.
Diversamente arriveremo all’inaccettabile conclusione che sarebbero validi solo
i derivati che presentano differenziali i cui indici hanno ipotetica medesima potenziale variazione.
Solo in tali casi, infatti, si potrà sostenere che vi sia equilibrio oggettivo tra le
due posizioni assunte tanto che al momento della sottoscrizione i contraenti hanno
oggettivamente il 50% di poter guadagnare o perdere. Ma tale circostanza in pratica si potrebbe verificare solo in caso di scommessa secca, ad esempio sul verificarsi o meno di un medesimo evento del tutto sconosciuto. E, per quanto le analogie tra derivato e scommessa siano estremamente rilevanti (come del resto già sopra evidenziato), purtuttavia le due operazioni sono strutturalmente diverse.
Con riferimento, poi, specificatamente alla causa razionale il Tribunale di Torino
conferma la rilevanza, ai fini di valutazione della validità del contratto, della cosiddetta alea razionale e richiama i medesimi principi già esposti dalla richiamata sentenza della Corte d’Appello di Milano.
Infatti il Giudice ivi adito chiariva che “Nell’ambito del contratto di swap, ciò che
rileva ai fini della valutazione della sussistenza della causa in concreto non è tanto
o solo lo squilibrio dell’alea rispettivamente assunta, quanto la consapevolezza del
contraente debole del differente livello di rischio assunto dalle parti. Il mero squilibrio delle alee assunte, infatti, non di per sé motivo per ritenere assente la causa in
concreto, ben potendo le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale,
consapevolmente stipulare un contratto di swap in cui una di esse si assume un
rischio maggiore dell’altra. Questo squilibrio deve, però, essere frutto di una libera
scelta delle parti e non una conseguenza derivante dai parametri inseriti nel contratto soggettivamente ignota al contraente debole, in quanto unilateralmente predisposta dalla banca, la quale indubbiamente riveste sia la qualifica di operatore
qualificato, sia quella di controparte diretta del cliente e, quindi, come tale, per definizione in conflitto di interessi. Ciò che rileva, dunque, ai fini dell’insussistenza
della causa in concreto è l’assenza di adeguata informazione fornita dalla banca al
cliente in ordine ai rischi effettivamente assunti”.
Orbene, fermo restando che i contratti derivati sono riservati a un operatore e
investitore qualificato che, se debitamente informato dalla banca, ha l’esperienza e
la consapevolezza di assumere un determinato rischio e fare valutazioni sui costi e
benefici connessi ad una determinata operazione finanziaria, ciò che rileva ai fini
della valutazione di rispetto della causa astratta e di equa (e non necessariamente
paritaria) distribuzione del rischio è che tutte le parti possano usufruire delle informazioni, conoscano le medesime “regole del gioco” e condividano la stessa documentazione.
15
RIVISTA DI DIRITTO BANCARIO | DOTTRINA E GIURISPRUDENZA COMMENTATA
7. In conclusione
Quindi per essere valida ed esistente la causa aleatoria sottesa al contratto derivato, i rischi che la costituiscono devono essere stati consapevolmente assunti
dalle parti e distribuiti tra di esse, anche se non necessariamente in modo eguale,
quanto meno in modo proporzionato.
E sussiste tale proporzionale e reale reciprocità e bilateralità dell’alea solo se le
modalità di calcolo ed ogni elemento utile per le valutazioni del rischio siano stati
previamente e ampiamente conosciuti e consapevolmente concordati dai due contraenti. In termini concreti, è necessario che “le regole del gioco” e le procedure di
calcolo (da cui, ad esempio, dipende la percezione dell’alea e la possibilità di ponderare e accettare il connesso rischio) siano condivise prima della sottoscrizione
del derivato.
Affermata Dottrina in materia di contratti aleatori sul punto è chiara. Equiparata
17
l’operatività in derivati al gioco e scommesse autorizzate in cui “bilateralità non
significa che debbano esservi due prestazioni paritetiche sotto il profilo del sacrificio patrimoniale [posto che] l’eventuale sperequazione tra le due prestazioni è
sopportabile alla luce della considerazione che le prestazioni dedotte sono state
assunte in funzione di rischio, ovvero non in termini di corrispettività, ma al fine di
lucrare sull’incertezza” (G. Di Giandomenico, I Contratti Speciali – I Contratti Aleatori, op. cit., 148; conf. con la più volte citata Corte d’App. Milano, 18 settembre
2013), la validità del relativo contratto è condizionato alla presenza di una distribuzione dell’alea proporzionata e coerente con le poste in gioco e al fatto che le regole del gioco siano conosciute da entrambe le parti (G. Di Giandomenico, I Contratti
Speciali – I Contratti Aleatori, op. cit., 149).
Traslato tale ovvio principio al contratto derivato, si conclude che l’investitore
può scientemente e validamente accettare il rischio collegato all’operazione in derivati solo se la banca non si sia limitata a fornirgli generiche informazioni sui derivati o sul mercato finanziario, ma abbia con esso previamente condiviso tutte le informazioni relative al pricing del derivato sottoscritto, all’eventuale up front,
all’andamento storico dei tassi e degli indici, agli schemi finanziari e alle proiezioni
probabilistiche relative agli indici che influiscono nella quantificazione dei nozionali.
A tal proposito non più recente sentenza del Tribunale di Torino, condannando
una banca che aveva fornito informazioni del tutto generiche al cliente, così moti17
“La circostanza che l’art. 23, comma 5 TUF richiami l’art. 1933 del codice civile[14] per
escludere l’applicazione della – assai scarna – disciplina da esso recata non smentisce,
bensì conferma l’assunto: difatti, in tanto il richiamo dell’art. 23, comma 5 TUF, laddove esclude l’applicazione ai «derivati» della regola della «mancanza di azione», ha un significato, in quanto il legislatore muova dal presupposto che la natura giuridica del derivato potrebbe comportare l’applicazione di quel tratto di disciplina, il che significa che ha la natura giuridica di una scommessa. Del resto, è perfettamente noto che la genesi storica dell’art. 23,
comma 5 TUF è identificabile, come spesso accade, ad una esigenza estemporanea di contrastare una corrente giurisprudenziale, che applicava agli swap l’eccezione di gioco, ciò che
invece va escluso del tutto a prescindere dalla previsione dell’art. 23, comma 5 TUF, sulla
scorta della considerazione che l’art. 1933 cod. civ. si applica alla figura – residuale – della
scommessa c.d. tollerata, mentre non si applica per definizione alla scommessa autorizzata”, D. Maffeis, La causa del contratto di interest rate swap ed i costi impliciti, in Rivista di
Diritto Bancario, Febbario 2013.
16
ATTILIO ZUCCARELLO
vava le proprie conclusioni: “proprio la rischiosità dell’investimento e la complessità
del prodotto finanziario, avrebbero richiesto una precisa e dettagliata spiegazione
delle modalità di funzionamento del contratto, corredata da simulazioni e prospetti” (Trib. Torino, n. 5928 del 2007).
La già citata Corte d’Appello di Milano ha chiarito poi che “perché l’alea, che,
come detto, costituisce l’oggetto del contratto, possa considerarsi “razionale” debbono essere definiti e conosciuti ex ante, con certezza, gli scenari probabilistici e
delle conseguenze del verificarsi degli eventi. In sostanza, tutti gli elementi
dell’alea e gli scenari che da essa derivano costituiscono ed integrano la causa
stessa del contratto [...]. Allo stesso modo, l’assenza del mark to market e degli
scenari probabilistici rende del tutto priva di giustificazione causale la clausola che
contempla l’eventuale erogazione del c.d. up front in quanto anche la misura in cui
il finanziamento contribuisce ad integrare il riequilibrio del valore iniziale del derivato incide sulla causa dello stesso” (Corte Appello di Milano, cit.).
Vengono, poi, individuate altre informazioni fondamentali per permettere al cliente di operare consapevolmente in un mercato così rischioso. Tali informazioni
devono riguardare le eventuali commissioni esplicite e quelle implicite, il valore del
mark to market del derivato negoziato soprattutto nel caso in cui esso venga proposto non par (ovverosia se al momento della sottoscrizione il valore di mercato
dei titoli che contribuiscono alla quantificazione dei due differenziali sono tali che la
valutazione di quest’ultimi sia la stessa), l’eventuale ammontare dell’upfront corrisposto dalla banca per compensare un pricing negativo a danno del cliente specialmente se tale upfront dovesse essere inferiore al mark to market negativo (circostanza questa che, configurando un non dovuto vantaggio economico a favore
della banca, proporzionalmente aumenterebbe il rischio a carico del sottoscrittore).
A tal proposito il Tribunale di Pescara così dispone: “nell’ambito dei contratti di
swap, il pagamento di commissioni volte a remunerare il servizio offerto
dall’intermediario deve essere espressamente pattuito in quanto si tratta di oneri
che non trovano giustificazione in relazione allo strumento contrattuale di un negozio aleatorio di scambio [P] L’up front in favore della parte onerata dell’IRS
non par [è] indice di rischiosità del prodotto ed anche il corrispettivo da pagare per uscire dal contratto. In tale contesto, non vi è spazio per il riconoscimento di un lucro [occulto] costituito dalla differenza del MTM di stipula del nuovo
contratto al netto del MTM di estinzione del contratto rinegoziato” (Trib. Pescara,
24 ottobre 2012).
17
Rivista
dottrina
e giurisprudenza
commentata
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Zuccarello A., In nota alla recente giurisprudenza