Giacomo Leopardi
(Recanati 1798/Napoli 1837)
“Fu di statura mediocre, chinata ed esile , di
colore bianco che volge al pallido, di testa
grossa, di fronte quadra e larga, d’occhi
cilestri e languidi, di naso proffilato, di
lineamenti delicatissimi, di pronunziazione
modesta e alquanto fioca, e d’un sorriso
ineffabile e quasi celeste.”
Antonio Ranieri
Ritratto di Leopardi,
eseguito da Luigi Lolli a Bologna nel 1825.
Il poeta aveva 27 anni
A cura del prof. L.O. Rintallo
I.I.S. “Carlo Urbani” - ROMA
1798-1818: dallo studio “matto e disperatissimo” alla conversione al bello
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1798-1807: Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno a Recanati, primo di cinque figli del conte Monaldo e di
Adelaide Antici. Il padre, assorbito dalla sua attività di poligrafo e di appassionato bibliofilo (nella biblioteca di
famiglia sono raccolti 16.000 volumi), non cura l’amministrazione dei beni familiari, che nel 1803 passa alla
moglie, donna dura ed energica. Le finanze di casa saranno risanate, ma l’atmosfera è dominata dalla sua
indole severa e bigotta. Coi fratelli Carlo e Paolina, Giacomo è affidato al precettore don Giuseppe Torres. Nel
1807, studieranno sotto la guida del gesuita Sebastiano Sanchini e del pedagogo Vincenzo Diotallevi.
1808-15: coincidono coi “sette anni di studio matto e disperatissimo”, di cui scrive il poeta in un appunto dello
Zibaldone dei pensieri, il diario intellettuale in 4526 fogli manoscritti da lui tenuto dal 1817 al 1832. Appena
undicenne, compone il suo primo sonetto, La morte di Ettore, e traduce il primo libro delle Odi oraziane. Nel
1812, il padre licenzia Sanchini “perché non aveva più altro da insegnargli”. L. si dedica da solo a ricerche
erudite (nel 1813 inizia lo studio di greco ed ebraico). Al 1811-12 risale la tragedia Pompeo in Egitto; del ’13 è
invece la Storia dell’astronomia. Un altro esempio della sua erudizione è dato dal Saggio sopra gli errori
popolari degli antichi (1815): ma si tratta di opere aridamente accademiche e provinciali, risultato di una
esibizione di dottrina tipica del vacuo enciclopedismo del ‘700 allora di moda. Da giovanissimo è conservatore
anche in politica, facendo sue le idee ultralegittimiste del padre, avverso a ogni innovazione.
1816-17: ammalatosi, scrive Appressamento alla morte; interviene nel dibattito fra classicisti e romantici con la
Lettera ai compilatori della Biblioteca Italiana che la rivista però non pubblica. Nel ‘17 inizia la sua amicizia
epistolare con Pietro Giordani, che lo incoraggia ed orienta nel gusto letterario. Si innamora della cugina
Gertrude Cassi e scrive Il primo amore. Sullo “Spettatore” di Milano esce l’apocrifo Inno a Nettuno. Comincia a
raccogliere note e appunti nello Zibaldone.
1818: compone il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, ove difende la poesia antica come
“natura” contrapposta all’artificio. Dopo la visita di Giordani, si converte al patriottismo democratico: scrive
All’Italia e Sopra il monumento di Dante.
1819-25: dal pessimismo “storico” a quello “cosmico”
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1819: è un anno decisivo. Una malattia agli occhi gli nega il sollievo delle letture, che sole possono
alleviare la clausura recanatese (la sua “porca bicoccaccia”). Questa condizione di solitudine e di noia fa
maturare il suo ancora indeterminato pessimismo. La volontà di ribellione all’ambiente familiare culmina
in un tentativo di fuga, che viene sventato dai suoi. Scrive gli idilli L’infinito e Alla luna e alcune canzoni.
1820-21: scrive Ad Angelo Mai, La sera del dì di festa, Il sogno ed abbozza alcuni dialoghi che saranno
poi ripresi nelle Operette morali. A settembre può riprendere gli studi. Riceve inviti a collaborare da varie
riviste. Nel ’21 compone La vita solitaria, A un vincitore nel pallone, Bruto minore.
1822-23: Alla primavera, Ultimo canto di Saffo, Inno ai patriarchi. Traduce il Martirio dei santi padri
facendolo passare per un volgarizzamento del ‘300. A novembre il padre gli concede di accettare
l’ospitalità degli zii Antici, a Roma: è il primo viaggio fuori Recanati. La città e i suoi intellettuali lo
deludono profondamente. Invano cercherà di essere assunto nell’amministrazione pontificia. Nel maggio
’23 ritorna a Recanati. Scrive Alla sua donna e il Discorso sopra lo stato presente dei costumi
degl’Italiani, importante tentativo di analizzare la decadenza nazionale e gli effetti nefasti della
Restaurazione. Dal 1823 al 1828 non scrive più poesie, maturando la sua concezione del “pessimismo
cosmico”.
1824: scrive le prime venti Operette morali. In questi mesi si fanno più intense le annotazioni dello
Zibaldone. Il poeta va convincendosi che l’infelicità dell’uomo sia un dato costante.
1825: chiamato dall’editore Stella, il 30 luglio è a Milano dov’è accolto da Monti. Non incontra né cerca
Manzoni. Il 26 settembre lascia Milano per l’ “ospitalissima” Bologna, dove cerca un impiego, che il
governo pontificio gli nega a causa delle sue opinioni politiche.
1826-1832: dall’intermezzo meditativo alla poetica delle ricordanze
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1826-27: a Bologna prosegue la collaborazione con l’editore milanese Stella, pubblicando un commento alle
Rime di Petrarca. Compone Al conte Carlo Pepoli, epistola in versi indirizzata al conte Pepoli, vicepresidente
dell’Accademia dei Felsinei che l’aveva invitato a una serie di pubbliche letture. Stringe amicizia con la contessa
Teresa Carniani Malvezzi. Esce un’edizione dei suoi Versi. Torna a Recanati (novembre ’26), mentre continua a
lavorare per l’antologia in prosa Crestomazia italiana che Stella pubblica nel 1827, alla quale fa seguire le
Operette morali. A giugno del ’27 si trasferisce a Firenze, dove frequenta l’ambiente del Viesseux e dei cattolici
progressisti. Conosce Manzoni e Stendhal. Verso la fine dell’anno si sposta a Pisa.
1828-29: a Pisa torna a comporre poesie (A Silvia, Il risorgimento). Esce intanto la Crestomazia italiana poetica,
con cui conclude la sua collaborazione con lo Stella. Riceve varie proposte di impiego, ma le rifiuta per la salute
malferma (università di Bonn e Bologna). In giugno è di nuovo a Firenze dove intrattiene rapporti con alcuni
esuli napoletani (fra cui Antonio Ranieri). Privo di mezzi di sostentamento, a novembre ritorna a Recanati. Il
1829 è l’anno dei “grandi idilli”: Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio.
1830-31: le Operette morali ricevono solo il voto dell’amico Gino Capponi, al concorso bandito dall’Accademia
della Crusca. Terminato il Canto notturno di un pastore errante nell’Asia, torna a Firenze grazie a Pietro Colletta
che raccoglie il denaro sufficiente per un anno. Diviene amico di Ranieri e nutre un amore infelice per Fanny
Targioni Tozzetti che gli ispirerà le poesie del “ciclo di Aspasia” (1831-35). La polizia granducale lo segnala tra i
sovversivi liberali; durante i moti del ’31, Recanati lo nomina rappresentante alla Assemblea nazionale di
Bologna, ma sono ormai sopraggiunte le truppe austriache. Ad aprile escono, per l’editore Piatti, i Canti: col
compenso restituisce il prestito agli amici fiorentini, coi quali intanto si sono allentati i rapporti . A settembre è a
Roma con Ranieri, conducendo con lui vita in comune.
1832: gli viene malevolmente attribuito un libello reazionario del padre. Su l’ “Antologia” esce la sua vigorosa
smentita. Per l’elezione a socio della Crusca, rientra a Firenze; chiude lo Zibaldone.
1833-1837: gli anni napoletani e la fase “eroica”
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1833: il ritorno a Firenze non è lieto. Morto il Colletta, assente Giordani; il poeta si macera nell’amore non
corrisposto per Fanny Targioni Tozzetti che apprezza invece le attenzioni di Ranieri. Con quest’ultimo, a ottobre
parte per Napoli. Nel frattempo ha già iniziato i Paralipomeni, una satira dei liberali e dei legittimisti ispirata ad un
irreligioso materialismo. A Napoli, il padre di Ranieri permette che ai due amici si unisca Paolina, la sorella di
Antonio, preziosa e provvida governante.
1834-35: per il Piatti, esce la seconda edizione delle Operette morali. L’anno dopo, concorda con l’editore Starita
di Napoli la pubblicazione in sei volumi dei suoi scritti. Nell’edizione napoletana dei Canti appaiono per la prima
volta le composizioni posteriori al ’31, tra le quali: Aspasia, Il passero solitario, Il pensiero dominante e la
Palinodia al marchese Gino Capponi.
1836: Lo Starita stampa quindi la terza edizione delle Operette, ma la censura borbonica ordina il suo sequestro
assieme a quello dei Canti. In seguito a un peggioramento delle condizioni di salute, lascia la casa napoletana
presso Capodimonte per recarsi a Torre del Greco, nella villa del cognato di Ranieri, Giuseppe Ferrigni. Qui
scrive La Ginestra, Il tramonto della luna e I nuovi credenti: il pessimismo cosmico è sostituito da una nuova
visione che chiama gli uomini a un afflato di solidarietà contro il dolore e la sofferenza. A questo anno è da
assegnarsi anche l’elaborazione dei Pensieri ricavati dallo Zibaldone e l’ultimazione dei Paralipomeni alla
Batracomiomachia.
1837: Quando scoppia l’epidemia di colera, il poeta impone a Ranieri di riportarlo a Napoli. La sua salute
peggiora e si aggrava l’idropisia. Il 14 giugno muore: Ranieri riesce a stento a sottrarre il corpo dalla fossa
comune cui sono destinati i morti di colera. Viene sepolto nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta. Nel 1844
Ranieri poté far trasportare la bara nel vestibolo e adornarla con un monumento sepolcrale. Il 22 febbraio 1939 i
resti del poeta furono traslati nel Parco Virgiliano a Mergellina.
Per una biografia intellettuale: dal particolare al generale
La vita di Leopardi presenta i seguenti caratteri
isolamento provinciale
e familiare
da ragazzo prodigio la sua
è una formazione autodidatta
rimane estraneo ai
movimenti del Risorgimento
deformità e malattia
ne minano il fisico
Leopardi contestò sempre che la sua protesta e il suo pessimismo derivassero dal suo stato.
Si può tuttavia affermare che egli trasse spunto dalla sua esperienza per giungere a una
consapevolezza più generale della condizione umana
Per comprendere a pieno
la biografia leopardiana
occorre pertanto adottare
una prospettiva che muove dal
particolare al generale
La chiusura e il tradizionalismo
familiari rinviano
al più generale grado
di arretratezza dello Stato pontificio
in cui vive
La sofferenza e la frustrazione
personale non sono che la
manifestazione
del dolore universale
che ci riserva la natura matrigna
Leopardi esprime un forte antagonismo verso la società del suo tempo. Gli studi e la stessa malattia furono il mezzo per
sottrarsi ai limiti impostigli dalla famiglia e da Recanati (il borgo selvaggio). E così pure l’accettazione
dell’indigenza gli servì ad evitare ogni forma di adattamento alle convenzioni sociali, da cui negli ultimi anni si
scostò platealmente durante il sodalizio con Ranieri conducendo una vita alla giornata
Tre opposizioni/chiave nel pensiero di Leopardi
Nel pensiero di Leopardi possono evidenziarsi alcuni nuclei tematici che costituiscono le strade maestre della
sua riflessione. Ne segnaliamo tre, che prendono la forma di contrapposizioni dense di significato e
ricorrono più volte cambiando fisionomia nel corso degli anni
immaginazione
ragione
Nel 1818 L. preferisce la
poesia degli antichi
perché espressione della
immaginazione, tipica dei
primitivi e dei fanciulli.
Incolpa la ragione di aver
svelato le illusioni della
Natura, condannando i
moderni all’infelicità. Dopo
il 1820, pensa che la
sofferenza sia un dato
costante dell’umanità e
che la ragione serva a
scoprire questa verità
vita
esistenza
La vita è distinta
dall’esistenza: per L.
l’esistenza coincide con
l’esserci tutto esterno,
mentre la vita designa
l’ambito della coscienza.
All’inizio egli pensa che
quanto più c’è vita, tanto
più forte è l’infelicità. In
seguito (pessimismo
cosmico) ritiene che si è
infelici per il solo fatto di
esistere e che quindi tutti
gli esseri viventi sono
infelici
piacere
noia
Per amor proprio, ogni
individuo aspira al piacere
che può essere inteso
solo come MATERIALE,
nel senso che deve
soddisfare i bisogni
dell’uomo mentre vive. In
assenza del piacere e
della felicità si è catturati
dalla noia, che può
manifestarsi anche
quando non si prova
dolore. L’esperienza del
dolore è preferibile alla
noia
Il pessimismo di Leopardi
L’esperienza soggettiva del dolore fisico, del disagio familiare e della insofferenza nei
confronti dell’ambiente sociale di Recanati, determinano in L. una visione
pessimistica della condizione umana, che si articola in tre fasi fondamentali
"pessimismo
storico"
1816/20: dopo la conversione dall’erudito al bello, considera la ragione come una
limitazione della Natura, benigna dispensatrice di illusioni. Distingue due fasi nella
storia umana: 1) primitiva e felice (coincidente con l’infanzia del singolo individuo);
2) moderna e infelice (che rimanda alla maturità)
"pessimismo
cosmico"
1821/29: in nome del materialismo nega valore alla “consolazione” cristiana e
rovescia il giudizio sulla Natura, ora considerata matrigna crudele perché
condanna all’infelicità non solo l’uomo (che aspira vanamente al piacere) ma tutti
gli esseri viventi, sottoposti al ciclo meccanicistico di una Natura indifferente
"pessimismo
eroico"
1830/37: nell’ultimo periodo della sua vita, L. vede nella ragione l’unico strumento
per raggiungere una coraggiosa consapevolezza del vero. Va combattuto ogni
vacuo ottimismo che nasconde la reale precarietà dell’esistenza, che egli
attribuisce a fattori biologici. La via per fronteggiare il dolore della vita non è da
affidare a stampelle spiritualistiche, ma alla solidarietà fra persone che si
sostengono reciprocamente
Le poetiche di Leopardi
Dal 1816, quando partecipa al dibattito fra classicisti e romantici, L. va elaborando una sua
concezione della poesia. In parallelo con le evoluzioni del suo pensiero, anch’essa assume
aspetti diversi nel corso del tempo
Dalla critica alla poesia sentimentale alla poetica del “vago” e dell’ “indefinito”
Nella poesia degli antichi il contatto con la vitalità del mondo naturale esaltava l’immaginazione. Il
raziocinio dell’età moderna consente ai poeti solo di rielaborare consapevolmente i sentimenti, che sono
però malinconici e dolorosi. Imitare gli antichi non basta più: il poeta può colmare la tendenza al piacere
infinito dell’uomo, descrivendo una realtà naturale percepita in modo “vago” e indeterminato. Le immagini
che ne scaturiscono sono “bellissime in poesia”.
La poetica delle “rimembranze”: i canti pisano-recanatesi
Durante il silenzio poetico (1823-27) L. sembra rinunciare alla poesia idillica: la poetica del “vago” viene
modificata coi Grandi idilli del 1827-28 dove la poesia dell’indefinito è messa in relazione con l’esperienza
soggettiva della memoria. Le cose per quanto belle non suscitano impressioni poetiche, se non attraverso
il filtro delle “rimembranze” capaci di caricarle di suggestioni emotive “poeticissime”.
La poetica della fase “eroica”
La nuova poetica data dal “Canto notturno del pastore errante nell’Asia”: l’esperienza del mondo
circostante e l’affermazione di sé nel presente (amore per la Targioni Tozzetti) fanno abbandonare i temi
del rimpianto e della memoria. A L. preme ora difendere la sua filosofia eroica contro le sciocche illusioni
con cui la società crede di incamminarsi verso il progresso e la felicità. Con la Ginestra diffonde la dura
verità dell’accettazione del dolore.
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Le poetiche di Leopardi