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La biografia di G.Leopardi
Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, in provincia di
Macerata, nelle Marche (allora appartenenti allo Stato pontificio), da
una delle più nobili famiglie del paese. Il padre, il conte Monaldo, figlio
del conte Giacomo e della marchesa Virginia Mosca di Pesaro, uomo
amante degli studi e d'idee reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide
Antici, era una donna energica, legata alle convenzioni sociali e ad un
concetto profondo di dignità della famiglia, motivo di sofferenza per il
giovane Giacomo, che non ricevette tutto l'affetto di cui aveva bisogno.
In conseguenza di alcune speculazioni azzardate fatte dal marito, la
marchesa prese in mano un patrimonio familiare dissestato, riuscendo
a rimetterlo in sesto grazie ad una rigida economia domestica. I
sacrifici economici e i pregiudizi nobiliari dei genitori resero infelice il
giovane Giacomo che, costretto a vivere in un piccolo borgo di
provincia e in uno stato tra i più retrogradi d'Italia, rimase escluso dalle
correnti di pensiero che circolavano nel resto del paese e in Europa.
Fino al termine dell'infanzia Giacomo crebbe comunque allegro,
giocando volentieri con i suoi fratelli, soprattutto con Carlo e Paolina
che erano più vicini a lui d'età e che amava intrattenere con racconti
ricchi di fervida fantasia.
Famiglia Leopardi
Padre: Monaldo Madre: Adelaide Antici
Giacomo
Carlo
Paolina
E altri fratelli di cui non si hanno notizie …
Pierfrancesco
La formazione giovanile
Ricevette la prima educazione come da tradizione familiare, da due precettori ecclesiastici che lo
guidarono non soltanto nello studio del latino , della teologia e della filosofia, ma anche in
ambito scientifico.
I momenti significativi delle sue attività di studio, che si svolgono all'interno del
nucleo familiare, sono da rintracciare nei saggi finali, nei componimenti
letterari da donare al padre in occasione delle feste natalizie, la stesura di
quaderni molto ordinati e accurati e qualche composizione di carattere
religioso da recitare in occasione della riunione della Congregazione dei nobili.
Il ruolo avuto dai precettori non impedì comunque al giovane Leopardi di
intraprendere un suo personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca
paterna molto fornita e di altre biblioteche recanatesi, come quella degli Antici,
dei Roberti e probabilmente da quella di Giuseppe Antonio Vogel, esule in
Italia in seguito alla Rivoluzione francese e giunto a Recanati tra il 1806 e il
1809 come membro onorario della cattedrale della cittadina.
Studio “matto e
disperatissimo”
Cessata la formazione nel 1812 dell'abate Sanchini, Leopardi si immerse
totalmente in uno studio "matto e disperatissimo", della durata di sette
anni, che assorbì tutte le sue energie e che recò gravi danni alla sua salute.
Senza l'aiuto di maestri apprese il greco e l'ebraico e compose opere di grande
impegno ed erudizione.
Risale proprio a questi anni la "Storia dell'astronomia" del 1813.
Il desiderio di libertà
Il 1817 fu per il Leopardi, che giunto alle soglie dei diciannove anni aveva
avvertito in tutta la sua intensità il peso dei suoi mali e della condizione
infelice che ne derivava, un anno decisivo che determinò nel suo animo
profondi mutamenti.
Consapevole ormai del suo desiderio di gloria e insofferente dell'angusto confine in
cui fino a quel momento era stato costretto a vivere, sentì l'urgente desiderio
di uscire, in qualche modo, dall'ambiente recanatese.
Gli avvenimenti seguenti incideranno sulla sua vita e sulla sua attività intellettuale
in modo determinante.
La fuga
Nel 1819 una malattia agli occhi, che lo privò persino del conforto dello
studio, lo gettò in una profonda prostrazione che acuì la sua
insofferenza per la vita recanatese.
Tra il luglio e l'agosto progettò la fuga e cercò di procurarsi un
passaporto per il Lombardo-Veneto, da un amico di famiglia, il conte
Saverio Broglio d'Ajano, ma il padre lo venne a sapere e il progetto
di fuga fallì.
Fu appunto nei mesi che seguirono che il Leopardi elaborò le prime basi
della sua filosofia e riflettendo sulla vanità delle speranze e
l'ineluttabilità del dolore, scoprì la nullità delle cose e del dolore
stesso.
Il soggiorno a Roma e il ritorno a
Recanati
Nell'autunno del 1822 ottenne dai genitori di recarsi a Roma, dove rimase dal novembre
all'aprile dell'anno successivo, ospite dello zio materno, Carlo Antici.
Leopardi Roma apparve squallida e modesta al confronto con l'immagine idealizzata che
egli si era figurata fantasticando sulle "sudate carte" dei classici. Rimase invece
entusiasta della tomba di Torquato Tasso, al quale si sentiva accomunato dall'innata
infelicità.
Nell'ambiente culturale romano Leopardi visse isolato e frequentò solamente studiosi
stranieri, tra cui i filologi Christian Bunsen e Barthold Niebuhr; quest'ultimo si
interessò per farlo entrare nella carriera dell'amministrazione pontificia, ma Leopardi
rifiutò. Nell'aprile del 1823 Leopardi ritornò a Recanati dopo aver constatato che il
mondo al di fuori di esso non era quello sperato.
Tornato a Recanati il Leopardi si dedicò alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale.
Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa
Nel 1825 il poeta, invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella si recò a Milano con
l'incarico di dirigere l'edizione completa delle opere di Cicerone e altre edizioni
di classici latini e italiani. A Milano però egli non rimase a lungo perché il clima
gli era dannoso alla salute e l'ambiente culturale, troppo polarizzato intorno al
Monti, gli recava noia.
Decise così di trasferirsi a Bologna dove visse, tranne una breve permanenza a
Recanati nell'inverno del 1827, sino al giugno di quello stesso anno
mantenendosi con l'assegno mensile dello Stella e dando lezioni private.
Nell'ambiente bolognese il Leopardi conobbe il conte Carlo Pepoli, patriota e
letterato al quale dedicò un'epistola in versi intitolata "Al conte Carlo Pepoli"
che lesse il 2 marzo 1826 nell'Accademia dei Felsinei. Nell'autunno iniziò a
compilare, per ordine di Stella, una "Crestomazia", antologia di prosatori
italiani dal Trecento al Settecento che venne pubblicata nel 1827 alla quale
fece seguito, l'anno successivo, una "Crestomazia" poetica.
A Bologna conobbe anche la contessa Teresa Carniani Malvezzi, della quale si
innamorò senza essere corrisposto. Uscivano intanto presso Stella le sue
Operette morali.
Nel giugno dello stesso anno si trasferì a Firenze dove conobbe il gruppo di
letterati appartenenti al circolo Viesseux tra i quali Gino Capponi, Giovanni
Battista Niccolini, Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo ed anche il Manzoni che si
trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista linguistico i suoi Promessi
Sposi.
Nel novembre del 1827 si recò a Pisa dove rimase fino alla metà del 1828. A Pisa,
grazie all'inverno mite, la sua salute migliorò e il Leopardi tornò alla poesia,
che taceva dal 1823, e compose la canzonetta in strofe metastasiane il
"Risorgimento" e il canto "A Silvia" inaugurando il periodo creativo detto dei
Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche "grandi idilli", all'interno del quale il
poeta sperimenta la cosiddetta canzone libera o canzone leopardiana.
A causa del peggioramento della salute ritornò a Recanati.
A Firenze dal
1830 al 1833
Intanto, nell'aprile del 1830, il Colletta, al quale il poeta scriveva della
sua vita infelice, gli offrì, grazie ad una sottoscrizione degli "amici di
Toscana", l'opportunità di tornare a Firenze.
Qui curò, nel 1831, un'edizione dei "Canti", partecipò ai convegni dei
liberali fiorentini e strinse un'affettuosa amicizia col giovane esule
napoletano Antonio Ranieri. Risale a questo periodo la forte passione
amorosa per Fanny Targioni Tozzetti, conclusasi in una delusione,
che gli ispirò il cosiddetto "ciclo di Aspasia", una raccolta di poesie
scritte tra il 1830 e il 1835 che contiene: "Il pensiero dominante",
"Amore e morte", "A se stesso", "Consalvo" e "Aspasia".
Nell'autunno del 1831 si recò a Roma con Ranieri per ritornare a Firenze
nel 1832 e nel corso di questo anno scrisse i due ultimi dialoghi delle
"Operette", Il "Dialogo di un venditor d'almanacchi e di un
passeggere" e il "Dialogo di Tristano e di un amico".
A Napoli: la morte
Nel settembre del 1833, dopo aver ottenuto un modesto assegno dalla famiglia, partì
per Napoli con l'amico Ranieri sperando che il clima mite di quella città potesse
giovare alla sua salute. Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò alla stesura
dei "Pensieri" che raccolse probabilmente tra il 1831 e il 1835 e riprese i
"Paralipomeni della Batracomiomachia" che, iniziati nel 1831, aveva interrotto. A
quest'ultima opera lavorò, assistito dal Ranieri, fino agli ultimi giorni di vita.
Nel 1836, quando a Napoli scoppiò l'epidemia di colera, il Leopardi si recò con l'amico
Ranieri e sua sorella Paolina nella Villa Ferrigni a Torre del Greco, dove rimase
dall'estate di quell'anno all'inverno del 1837. In questo luogo egli compose gli
ultimi Canti La ginestra o il fiore del deserto (nel quale si coglie l'invocazione ad
una fraterna solidarietà contro l'oppressione della natura) e Il tramonto della luna
(compiuto solo poche ore prima di morire).
Nel febbraio del '37 ritornò a Napoli con il Ranieri, ma le sue condizioni si
aggravarono e il 14 giugno di quell'anno morì.
Grazie ad Antonio Ranieri, che fece interessare della questione addirittura il Ministro
di Polizia, le sue spoglie non furono gettate in una fossa comune - come le severe
norme igieniche richiedevano a causa del colera che colpiva ancora la città - ma
inumate nell'atrio della chiesa di San Vitale, sulla via di Pozzuoli presso
Fuorigrotta. Nel 1939 la sua tomba, spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta
(altrimenti detto Parco della tomba di Virgilio) nel quartiere Mergelli, fu dichiarata
monumento nazionale
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Giacomo Leopardi