Indice
Presentazione
della Segreteria Nazionale FISAC CGIL
Introduzione Avv. Enzo Martino - Foro di Torino
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Pag.2
Pag.9
Premessa
Il testo originario del 1942
La riforma del 1990
Il decreto legislativo n. 18 del 2001
La Riforma “Biagi”
La procedura di consultazione sindacale di cui all’art. 47
legge 428/1990
Dottrina
a cura del dott. Alberto Massaia
Piergiovanni Alleva: La ricerca e l'analisi dei punti critici del DLGS n.
276/2003 in materia di occupazione e mercato del lavoro
Pag.21
da “Rivista Giuridica del Lavoro” anno 2003 n. 4
Le due “aree tematiche” del Decreto delegato ed i
relativi istituti
La separazione del lavoro dall’impresa:
somministrazioni di lavoro
appalti (di sola manodopera), comando di lavoratori.
I trasferimenti di ramo d’azienda e le modifiche all’art.
2112 c.c.
Amos Andreoni : Il lavoro nell’Impresa di Gruppo
da “Il lavoro tra progresso e mercificazione” Commento critico
al DLGS 276/2003 -dizioni EDIESSE 2004
Pag.32
I contenuti della miniriforma
Impresa dì gruppo e titolarità dei rapporti di lavoro.
Lavoro italiano all’estero, gruppi di impresa e tutela
previdenziale.
Le riforme legislative auspicabili
4
Michele De Felice: Il trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda nel
DLGS attuativo della legge n. 30/2003
Pag.39
Relazione al Convegno della Consulta Giuridica della CGIL
Roma 3 ottobre 2003
Le norme in materia di trasferimento di azienda
La disciplina delle vicende circolatorie del “ramo
d’azienda“
Il requisito della preesistenza
La verifica "ex post" della sussistenza dei requisiti di
identificabilità quale "ramo d'azienda" dell'entità oggetto
della cessione
Gli strumenti sanzionatori e di tutela
Le cessioni fraudolente
Clotilde Fierro: “Trasferimento d'azienda e modifica dell’ articolo 2112
cod.civ, appalto di manodopera e distacco dei lavoratori”
Pag.53
da"Lariformadeldiritto dellavoro-dalmitodellaflessibilità
allarealtàdelprecariato"
Atti del ConvegnoCGIL Piemonte eMagistraturaDemocratica Torino 2004
Trasferimento d’azienda e di ramo dopo la legge 276
Appalto di manodopera
Distacco
Antonio Vallebona: Il trasferimento d’azienda
da “La riforma dei lavori”, Cedam Padova 2004
Pag.64
La nozione.
La procedura sindacale.
La prosecuzione dei rapporti di lavoro.
La conservazione dei diritti del lavoratore e la disciplina
collettiva.
La garanzia dei crediti del lavoratore.
Il trasferimento di azienda in crisi.
Altre vicende soggettive
5
Normativa
CODICE CIVILE:
ART. 2112 MODIFICATODALLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990 N. 428
ART. 2112 SOSTITUITODALL’ART. 1 DEL D. LGS. N.18/ 2001
ART. 2112 MODIFICATODALL’ARTICOLO32 DEL D. LGS. N. 276/2003
Pag.81
LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428- ART. 47
Pag.83
ART. 47 DELLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428 MODIFICATO DALL’ARTICOLO 2.
DEL D. LGS. 2 FEBBRAIO 2001 N. 18
Pag.85
DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 14 FEBBRAIO 1977 N.187
Pag.86
DIRETTIVA 98/50/CE DEL CONSIGLIO DEL 29 GIUGNO 1998
Pag.89
DIRETTIVA 2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001
Pag.95
Giurisprudenza
Cassazione civile sezione lavoro 22 luglio 2002 n. 10701
Pag.104
Cassazione civile sezione lavoro 23 luglio 2002 n. 10761
Pag.105
Cassazione civile sezione lavoro 25 ottobre 2002 n. 15105
Pag.105
Cassazione civile sezione lavoro 4 dicembre 2002 n. 17207
Pag.106
Cassazione civile sezione lavoro 14 dicembre 2002 n. 17919
Pag.106
Accordi Sindacali
Gruppo UniCredito
Cessione dei rami di azienda relativi alla gestione ed allo sviluppo dei sistemi
informativi e dei processi organizzativi 13.1. 2001 Milano
Pag.108
Realizzazione del "Progetto S3" 18.6. 2002 Milano
Pag.113
Cessione attività Gestioni Patrimoniali di Banca dell’Umbria a Pioneer Investment
Management SGR 30.3. 2005 Milano
Pag.118
6
Gruppo San Paolo IMI
Scorporo e Conferimento della rete distributiva di Campania, Puglia, Basilicata ,
Calabria da San Paolo a San Paolo Banco di Napoli 30/01/03 Torino
Pag.120
Fusione Cardine Finanziaria in San Paolo IMI 9.10. 2004 Torino
Pag.126
Cessioni filiali (Integrazione Banche Reti) 7 .12. 2004 Torino
Pag.131
Gruppo Banca Intesa
Fusione per incorporazione in Banca Intesa di BAV, CARIPLO, MCL e COMIT
13 aprile 2001
Pag.135
Fusione per incorporazione di I.S.S in Banca Intesa 2.12.2004
Milano
Pag.145
I.N.A Assicurazioni
Trasferimento di Ramo d’azienda - Settore Immobiliare INA 4.6..1998 Roma
Pag.147
RAS Assicurazioni
Conferimento attività gestione e liquidazione dei sinistri di RAS
in RasService gennaio 2002 Milano
Pag.150
Appendice Esplicativa a cura del Dipartimento Legale della Fisac Nazionale
Giuseppe Farenga Trasferimento d’azienda e di ramo
Nozione
diritti dei lavoratori ceduti
informative sindacali
cessione del controllo azionario
Quadro sinottico della normativa vigente a cura di Fulvio Caldini
Pag.153
Pag.159
7
Avvocato Enzo Martino
Foro di Torino - Consulta Giuridica CGIL
Il trasferimento d’azienda
nel diritto del lavoro
SOMMARIO:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Premessa
Il testo originario del 1942
La riforma del 1990
Il decreto legislativo n. 18 del 2001
La Riforma Biagi
La procedura di consultazione sindacale di cui all’art. 47 legge 428/1990
Premessa
La sorte del rapporto di lavoro nel caso di trasferimento d'azienda trova la sua
prima regolamentazione base nell'art. 2112 del codice civile del 1942.
Per meglio comprendere la disciplina attualmente vigente, è necessario
esaminare le numerose modifiche legislative intervenute da allora nella loro
dinamica storica.
Poiché su questo tema la giurisprudenza ha svolto un ruolo importante, e spesso
anticipatorio delle successive riforme legislative, sarà necessario anche qualche
breve cenno su alcuni orientamenti interpretativi in particolare della Suprema
Corte.
Il testo originario del 1942
Nel suo testo originario l'art. 2112 cod. civ. prevedeva che "in caso di
trasferimento d'azienda, se l'alienante non ha dato disdetta in tempo utile, il
contratto di lavoro continua con l'acquirente, e il prestatore conserva i diritti
derivanti dall'anzianità raggiunta anteriormente al trasferimento".
La norma -espressamente estesa anche ai casi di usufrutto o affitto dell'azienda prevedeva altresì che l'acquirente fosse obbligato in solido con l'alienante per
tutti i crediti vantati dal prestatore di lavoro al tempo del trasferimento, sempre
che l'acquirente ne avesse avuto conoscenza al momento del trasferimento
9
ovvero i crediti stessi risultassero dai libri dell' azienda ovvero dal libretto di
lavoro del dipendente.
Con l'intervento delle organizzazioni sindacali, il lavoratore poteva infine
liberare l'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Com'è noto, all'epoca non esisteva un disciplina vincolistica dei licenziamenti, ed
il datore di lavoro poteva recedere dal rapporto "ad nutum" (con un cenno del
capo), con il solo obbligo di rispettare il preavviso (ovvero di corrisponderne
l'equivalente pecuniario). In caso di sussistenza di una giusta causa (causa così
grave da non consentire nemmeno la prosecuzione provvisoria del rapporto, ai
sensi dell'art. 2119 cod. civ.) il lavoratore perdeva anche il preavviso (ed in
origine anche l'indennità di anzianità!).
In questo contesto normativo ben si comprende perché il testo originario dell'art.
2112, nel suo primo comma, parli di "disdetta in tempo utile" da parte dell'
alienante, come modo per impedire la continuazione del rapporto in capo
all'acquirente.
La possibilità di disdetta era dunque coerente con la libera recedibilità dal
rapporto di lavoro.
Lo scenario di fondo era però destinato a mutare.
Com'è noto, nel nostro ordinamento venne introdotta una disciplina legislativa
vincolistica in materia di licenziamenti individuali soltanto a metà degli anni '60,
con la legge 15 luglio 1966, n. 604. La legge - anticipata da due accordi
interconfederali degli anni sessanta applicabili nel solo settore industriale prevedeva una tutela soltanto "obbligatoria" (pagamento di una penale
economica) a carico dei datori di lavoro con oltre i 35 dipendenti, in caso di
licenziamento privo di giusta causa ovvero di giustificato motivo (oggettivo o
soggettivo).
La tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamento
illegittimo) venne introdotta con l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 20
maggio 1970 n.300), per le aziende oltre i 15 dipendenti. La disposizione venne
poi ulteriormente migliorata con la legge 108 del 1990, che introdusse anche per
la prima volta una tutela, sia pure soltanto obbligatoria, per le imprese minori. La
legge 223 del 1991 estese poi l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori anche ai
licenziamenti collettivi.
La prima grande operazione interpretativa effettuata dalla giurisprudenza fu
quella di adattare il vecchio testo dell'art. 2112 cod. civ., colpevolmente lasciato
inalterato dal legislatore, al nuovo contesto normativo.
Dall'entrata in vigore della disciplina vincolistica, la giurisprudenza cominciò ad
affermare che il trasferimento d'azienda non costituiva, in quanto tale, un
giustificato motivo di recesso, e pertanto la disdetta di cui parlava il vecchi testo
10
dell'art. 2112 cod. civ. non poteva essere liberamente esercitata in assenza dei
presupposti oggettivi normalmente richiesti per un licenziamento individuale
plurimo per giustificato motivo oggettivo, ovvero per una riduzione di personale.
Con ciò venne anticipata una disposizione poi introdotta, come vedremo, nella
riforma del 1990.
La riforma del 1990
L'Italia per anni rimase inadempiente rispetto ai precetti emanati in sede
comunitaria (direttiva CE n. 187 del 1977), nonostante il ruolo di supplenza
esercitato dalla giurisprudenza.
La riforma arrivò finalmente con la Legge Comunitaria del 1990 (L. 29 dicembre
1990 n. 428), con la quale da un lato venne introdotta per la prima volta una
procedura obbligatoria di consultazione sindacale (il noto articolo 47), e dall'altro
vennero sostituiti i primi tre commi dell'art. 2112 cod. civ..
La procedura di consultazione sindacale, che fu ancora modificata nel 2001,
verrà esaminata più avanti nel testo attualmente vigente.
Quanto alle modifiche di carattere sostanziale all'art. 2112, va segnalata anzitutto
la previsione sulla scia della giurisprudenza sopra richiamata - che il
trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento; il
richiamo alle procedure di cui agli articoli 410 e 411 c.p.c. come strumento per
consentire la liberazione dell'alienante dalla responsabilità in solido per i crediti
vantati dai lavoratori; infine - e per la prima volta
la previsione dell'obbligo
dell'acquirente di continuare ad applicare i trattamenti economici previsti dai
contratti collettivi, anche aziendali, vigenti alla data del trasferimento, fino alla
loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili
all'impresa dell' acquirente.
–
Il decreto legislativo n 18 del 2001
Il decreto legislativo n. 18 del 2001 - emanato su delega del Parlamento
contenuta nella "legge comunitaria" 21/12/1999- costituisce in pratica il testo
base della disciplina attuale, a parte i peggioramenti apportati di recente con la
cosiddetta Riforma Biagi (peggioramenti che esamineremo).
Anche l'intervento normativo del 200l è nato sotto l'impulso di una direttiva CEE
(la n. 50 del 1998), ed ha rappresentato, a mio modo di vedere, un corretto punto
di equilibrio tra esigenze di flessibilità delle imprese ed esigenze di tutela dei
lavoratori coinvolti nei processi di ristrutturazione.
Inoltre, con quell' intervento legislativo, si tentò di porre un freno agli abusi
costituiti da esternalizzazioni fittizie e di comodo, tanto che l'obiettivo della
controriforma del 2003, come vedremo, è stato proprio quello di operare un
11
drastico ridimensionamento delle disposizioni antifraudolente contenute nel
decreto del 200l.
Parte delle modifiche del 200l sono di natura formale, o comunque non
rappresentano che una presa d'atto dei risultati cui era già giunta la
giurisprudenza.
Tra queste modifiche di carattere tecnico, tutte ancora in vigore, si possono
annoverare:
• il mutamento della rubrica ("mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso
di trasferimento d'azienda anziché "trasferimento d'azienda”), più consono
allo spirito della normativa europea;
• la sostituzione dei termini "alienante" ed "acquirente", con "cedente" e
"cessionario", in coerenza con un' altra grande operazione interpretativa
della giurisprudenza, che aveva esteso l'applicabilità delle tutele ad ogni
ipotesi di trasferimento, a prescindere dalla tipologia negoziale adottata dai
due imprenditori (e dunque non solo all'usufiutto ed all'affitto, così come
espressamente previsto nel testo originario del 1942);
• la collocazione,con qualche modifica, nel corpo dell'art. 2112 della
precisazione- già contenuta nella disciplina procedurale dell' art. 47 - che il
licenziamento non costituisce di per sé motivo di licenziamento;
Dal punto di vista più sostanziale, invece, va segnalata in primo luogo
l'elaborazione di una nozione giuslavoristica di trasferimento d'azienda autonoma
da quella civilistica generale.
La nozione adottata dalla nuova normativa è più ampia rispetto a quella del
diritto commerciale, in quanto è incentrata sul concetto di "mutamento nella
titolarità di un'attività economica organizzata" piuttosto che sul concetto di
mero trasferimento di beni, sia pure finalizzati all'esercizio di un'attività
economica (confronta art. 2555 cod. civ. secondo il quale l'azienda è il
complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa).
Ci si allontana, in altre parole, dalla nozione di azienda (art. 2555 cod. civ.),
preferendo fare riferimento alla nozione di impresa (art. 2082).
A questa estensione del concetto di azienda, che persegue lo scopo di allargare
l'ambito di tutela (come peraltro persegue lo stesso scopo la precisazione che
l'attività economica organizzata può essere "con o senza scopo di lucro", con
conseguente estensione della tutela anche ai dipendenti di datori di lavoro non
imprenditori), fanno però da contraltare alcune precisazioni importanti,
applicabili in particolare alla cessione di "ramo" d'azienda, e cioè alla fattispecie
che più si presta ad abusi ed in particolare esternalizzazioni di comodo ovvero
mere cessioni di personale.
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Nel corso degli anni, infatti, si era assistito ad una sorta di mutazione genetica
nella applicazione dell'art. 2112, che da strumento di tutela della continuità del
rapporto di lavoro, era talora utilizzato come ombrello protettivo per realizzare
espulsioni collettive di lavoratori ad imprenditori di comodo, spesso emanazione
della stessa società cedente, a prescindere dal consenso dei lavoratori stessi, e
senza le garanzie previste per i licenziamenti collettivi.
Per porre un freno a questi abusi, realizzati soprattutto nella cessione di presunti
rami d'azienda in realtà costituiti da pluralità di lavoratori individuati in base alla
mera volontà dell'imprenditore, furono inserite alcune importanti disposizioni
antifraudolente. In particolare vennero inserite le norme secondo le quali il ramo
doveva essere un’articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda, doveva
preesistere come tale rispetto al trasferimento, e doveva conservare nella
traslazione la propria identità.
E' su queste disposizioni antielusive che si è in particolare accanita la
controriforma Biagi.
Tornando alla disposizioni del 2001, va ricordata la norma (questa ancora in
vigore) secondo cui l'effetto di immediata sostituzione dei contratti collettivi si
produce soltanto fra contratti collettivi del medesimo livello. In materia di
successione di contratti collettivi, dunque, le regole attualmente in vigore
comportano che il cessionario è tenuto ad applicare i contratti collettivi nazionali,
territoriali ed aziendali fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri
contratti, del medesimo livello, applicabili presso l'impresa del cessionario.
Il rigore di tali regole è in genere contemperato negli accordi sindacali di
"armonizzazione" stipulati al momento del passaggio.
Da ultimo, va menzionata la disposizione che prevede - sul modello del contratto
dei dirigenti - il diritto di dimettersi per giusta causa per il lavoratore che, a
seguito del trasferimento, abbia subìto un mutamento sostanziale nelle sue
condizioni di lavoro.
La norma, più che per la sua importanza intrinseca, viene ricordata perché
costituisce un argomento utilizzato da coloro (ed ormai sono la stragrande
maggioranza) che ritengono irrilevante il consenso del lavoratore coinvolto da un
trasferimento d'azienda (ed in particolare di un suo ramo) alla cessione del
proprio contratto di lavoro dal cedente al cessionario.
L'opinione che il lavoratore non possa opporsi al trasferimento (ovviamente
genuino) dell'azienda, o di un suo ramo, è ormai del tutto acquisita sulla base
soprattutto dell’argomento pragmatico che, in caso contrario, non sarebbe mai
possibile realizzare le ristrutturazioni aziendali, anche se va detto che l'opinione
contraria, accolta in isolati precedenti di merito, trovava un conforto in alcuni
passaggi di qualche decisione della Corte di Giustizia Europea.
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Spazi di contestazione in sede giudiziaria sono però ancora aperti
fondamentalmente sotto due profili: la contestazione circa la sussistenza di un
autonomo ramo d'azienda, ovvero la contestazione dell’appartenenza del
lavoratore al ramo ceduto.
Prima della riforma Biagi si contrapponevano fondamentalmente due indirizzi
giurisprudenziali contrastanti.
Un primo, e meno recente, indirizzo (rappresentato da Cass. 22/7/2002 n. l0701 e
Cass. 23/7/2002 n. 10761, relative al cosiddetto caso Alcatel), adottava
un'interpretazione estensiva dell'art. 2112 cod. civ. Nelle motivazioni delle due
sentenze si insiste in particolare sulla funzione protettiva della normativa in
esame, secondo questa giurisprudenza costituiscono autonomo ramo d'azienda in
particolare la manutenzione e la logistica.
Un secondo indirizzo, di poco più recente, (rappresentato da Cass. 23/10/2002 n.
14961, Cass. 25/10/2002 n.15105 e Cass. 4/12/2002 n. 17207, Cass. 10/7/2004 n.
206, tutte relative al "caso Ansaldo"), adottava invece un'interpretazione più
rigorosa, negando che costituissero ramo autonomo d'azienda in particolare i
"servizi generali".
Questo secondo orientamento giurisprudenziale è stato invocato in alcune
interessanti vicende giudiziarie ancora in fasi di giudizio di merito, ma per il
futuro bisognerà certamente fare i conti con le modifiche introdotte dalla
"riforma Biagi", anche se va ricordato che i casi esaminati erano antecedenti alla
riforma del 2001, e dunque in un contesto normativo simile a quello attuale.
La Riforma Biagi
Del tutto pretestuosa è la motivazione addotta a sostegno dell'inserimento della
materia dei trasferimenti d'azienda nella riforma Biagi: la direttiva CE n.
23/2001, invocata come ragione giustificativa dell'intervento, rappresenta, infatti,
un semplice coordinamento delle due precedenti direttive, e non introduce alcun
elemento di novità rispetto al passato. Non vi era pertanto alcun bisogno di
ricezione della direttiva nel nostro ordinamento che, in questa come in altre
materie, era già pienamente conformato alla legislazione europea.
La ragione vera delle modifiche dell'art. 2112 introdotte con il decreto legislativo
10 settembre 2003 n. 276, attuativo delle deleghe conferite con legge 14 febbraio
2003 n. 30, risiede nella volontà, tutta politica, del Governo di rendere più
semplici le esternalizzazioni "di comodo" cui il legislatore del 200l ha tentato di
porre un freno attraverso le norme antielusive di cui si è parlato sopra.
L'art. 32 del decreto riscrive il comma V dell'art. 2112 cod. civ. ed aggiunge un
VI comma.
14
Nel V comma viene opportunamente precisato che la norma si applica anche in
caso di fusioni societarie (che a stretto rigore non costituiscono necessariamente
trasferimento d'azienda), ma, in realtà, a tale conclusione si era già arrivati già in
via interpretativa.
La modifica veramente significativa riguarda però il trasferimento del ramo
d'azienda: pur rimanendo integro il requisito dell’autonomia funzionale, viene
abrogato, infatti, il requisito della preesistenza del ramo rispetto il trasferimento,
come pure sparisce la previsione del fatto che il ramo doveva conservare nel
trasferimento la sua identità.
Al posto di quest'ultimo requisito, viene realizzato il vero capolavoro giuridico
della controriforma, laddove si afferma che l'articolazione autonoma costituente
il ramo d'azienda viene "identificato come tale dal cedente e dal cessionario al
momento del suo trasferimento.”.
Secondo la dottrina più attenta la norma non può essere interpretata nel senso di
attribuire addirittura un potere costitutivo in capo alle parti circa la
configurazione del ramo d'azienda.
Rimando alla barzelletta del prof. Alleva sull'arciprete e l'oca nel suo
brillantissimo commento pubblicato sul sito giuridico della CGIL.
A mio giudizio, in questa, come in altri aspetti della riforma Biagi, alla giusta
indignazione deve subentrare uno spirito critico ma costruttivo, che ci consenta
di perseguire in ogni sede operazioni ermeneutiche che riconducano le
disposizioni, anche quelle più aberranti, ai principi generali del nostro
ordinamento, e dunque a soluzioni più rispettose dei diritti dei lavoratori.
Purtroppo con queste norme dovremo convivere ancora per molti anni, e non è
tanto lungimirante l'avvallare interpretazioni estreme per eccesso di spirito
critico.
A proposito dello snodo della controriforma riguardante la nostra materia, io
ritengo che si debba sostenere che le parti - nonostante le modifiche legislative non abbiano il potere di configurare ad libitum il ramo d'azienda, e ciò almeno
per quattro ordini di ragioni.
La prima ragione, di carattere letterale, è il termine utilizzato dal legislatore, che
usa il participio passato "identificata, e non "costituita a proposito
dell’articolazione autonoma oggetto di cessione.
In secondo ordine di ragioni, di natura sostanziale, attiene al fatto che
l'autonomia delle parti nell'identificazione del ramo si muove pur sempre
nell'ambito del requisito espressamente previsto dalla legge, e cioè quello
dell’autonomia funzionale.
15
Pertanto se viene riconfermato - come sarebbe auspicabile - l'orientamento più
rigoroso della Cassazione, l'autonomia funzionale deve essere attuale, e non solo
potenziale, ed il ramo in sostanza deve presentarsi come una piccola azienda
nell’azienda, in grado di funzionare in modo autonomo e di reggersi altrettanto
autonomamente sul mercato.
Il terzo ordine di ragioni, di carattere sistematico, riguarda il fatto che il
trasferimento di ramo d'azienda si distingue dal trasferimento d'azienda nella sua
globalità da un punto di visto sostanzialmente quantitativo. Quindi sarebbe del
tutto irrazionale ed ingiustificato prevedere, come sembra fare la legge, solo per
l'azienda nella sua interezza i due requisiti della preesistenza e della
conservazione dell'identità.
Il quarto ordine di ragioni è la coerenza con la disciplina comunitaria, che il
legislatore italiano aveva l'obbligo di recepire, e non certo di violare (si tenga
presente che la direttiva CE 23/2001 sul trasferimento d'azienda, munita peraltro
di "clausola di non regresso", stabilisce che" è considerato come trasferimento ai
sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la
propria identità, intesa come insieme dei mezzi organizzati alfine di svolgere
un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria").
La conseguenza pratica di tutto questo discorso è che, qualora si sia in presenza
di un ramo d'azienda privo di autonomia funzionale intesa in senso rigoroso, la
normativa di cui all'art. 2112 cod. civ. non è invocabile, e quindi le cessioni dei
contratti di lavoro dei dipendenti che ne siano conseguite sono illegittime per
difetto del consenso individuale dei lavoratori coinvolti ex art. 1406 cod. civ.
Alla stessa conseguenza pratica si deve giungere qualora, pur in presenza di una
cessione di ramo d'azienda "genuino", alcuni lavoratori non vi appartengano, ma
siano stati spostati in attività in esso incardinate in vista del trasferimento al fine
di espellerli dall’azienda.
Resta da esaminare la disciplina del VI comma dell'art. 2112 cod. civ. introdotto
dall'art. 32 del decreto legislativo n. 276/2003.
La norma prevede, nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto
d'appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d'azienda oggetto di
cessione, che operi il regime di solidarietà tra appaltante ed appaltatore di cui
all'art. 1676 cod. civ.
La disposizione consacra la legittimità anche formale dell'insourcing, e cioè del
fenomeno che più si presta ad abusi: il committente cede un ramo d'azienda, con
i relativi dipendenti, ad un imprenditore (spesso emanazione dello stesso
committente) che continua a svolgere esattamente la stessa attività, ma stavolta
in regime di appalto. L'impresa principale resta la stessa, con il medesimo ciclo
produttivo, ma l'imprenditore "dominus" resta esente da responsabilità nei
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confronti dei dipendenti ceduti, che pure continua, di fatto, ad utilizzare sotto lo
schermo giuridico di una società formalmente terza.
Il VI comma si propone di contemperare la maggior liberalizzazione con una
responsabilità di tipo patrimoniale, e richiama a tale scopo l'art. 1676 cod. civ.
Quest'ultima disposizione, com'è noto, dispone che i dipendenti dell'appaltatore
possano proporre azione diretta nei confronti dell'appaltante per conseguire
quanto è loro dovuto, ma la responsabilità del committente è limitata
all'ammontare del debito che quest'ultimo ha verso lo stesso appaltatore.
Questa limitazione di responsabilità patrimoniale è assolutamente irrazionale, e
dunque la norma è fortemente indiziata di incostituzionalità, in particolare con
riguardo ad altra disposizione del decreto legislativo n. 276, e cioè l'art. 29 II
comma, il quale dispone invece la solidarietà illimitata nell'appalto di servizi in
genere (sia pure entro un termine annuale).
Non si comprende, infatti, perché i lavoratori espulsi dalla "casa madre" per
essere dirottati ad una società terza che, in regime di appalto, li utilizzerà nelle
medesime mansioni, debbano godere di tutele patrimoniali più ridotte rispetto a
quelli che operano normalmente in regime d'appalto di servizi.
La procedura di consultazione sindacale (art. 47 legge 428/1990)
La procedura di consultazione sindacale è stata introdotta sotto la spinta della
legislazione comunitaria con la riforma del 1990, ed ha subito alcune
modificazioni (più che altro adattamenti alla nuova situazione delle
rappresentanze sindacali unitarie) con la riforma del 200l.
La procedura riguarda le aziende in cui sono complessivamente occupati oltre 15
dipendenti (la riforma del 2001 chiarisce che il limite dimensionale si riferisce
all'azienda nel suo complesso), ed è obbligatoria anche se il trasferimento
riguarda solo una parte dell’azienda stessa (anche se, dunque, il ramo ne occupa
meno di 16).
Cedente e cessionario devono dare comunicazione per iscritto alle OO.SS.
almeno 25 giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o
comunque sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti (il carattere
inequivocabilmente preventivo della procedura è stato rafforzato nel testo del
2001, in sintonia peraltro con i risultati cui era già giunta la giurisprudenza, la
quale intendeva con ciò garantire l'effettività della procedura).
Titolari del diritto all'informazione preventiva sono le RSU (ovvero le RSA),
nonché i sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo
applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza di
rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti
dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi.
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L'obbligo stesso può essere assolto anche per il tramite delle associazioni
datoriali.
L'informazione deve riguardare: la data ed i motivi del trasferimento; le
conseguenza giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le eventuali
misure nei confronti di questi ultimi. Su richiesta delle OO.SS., comunicata entro
7 giorni dal ricevimento della comunicazione di cui sopra, le aziende sono tenute
entro altri 7 giorni ad effettuare un esame congiunto con i sindacati richiedenti.
Se non si raggiunge l'accordo, la consultazione si intende esaurita decorsi dieci
giorni dal suo inizio.
Il III comma dell'art. 47 precisa, anche qui in sintonia con i risultati già raggiunti
dalla giurisprudenza, che l'inosservanza degli esaminati obblighi procedurali
costituisce condotta antisindacale reprimibile ex art. 28 legge 300/1970.
Il IV comma prevede che gli obblighi di informazione e di esame congiunto
debbano essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento
sia stata assunta da altra impresa controllante, e che la mancata trasmissione da
parte di quest'ultima delle informazioni necessarie non giustifica
l'inadempimento.
Il V comma della norma riguarda invece il trasferimento di aziende in crisi
ovvero sottoposte a procedura concorsuale, e prevede la possibilità di deroghe
contrattuali all'art. 2112 (norma altrimenti inderogabile), sia per quanto attiene
alla responsabilità patrimoniale dell’acquirente, sia della continuità dei rapporti
di lavoro, all’evidente fine di salvaguardare sia pure parzialmente l'occupazione
nel caso di acquisizione di aziende sostanzialmente decotte.
Il VI comma prevede per questi casi un diritto di precedenza nelle assunzioni
effettuate dall'acquirente nell'anno dal trasferimento in favore dei lavoratori
esclusi dal passaggio.
Terminato l'esame del testo normativo, si può concludere affrontando il tema del
rapporto tra la procedura di legge e quelle previste da alcuni contratti collettivi di
categoria.
Il CCNL del credito espressamente prevede che, in caso di trasferimento
d'azienda (quali fusione, concentrazioni o scorporo) si applica la procedura di
legge, a prescindere dal numero dei lavoratori interessati (quest'ultimo inciso è
chiaramente migliorativo rispetto alla disciplina legale).
Nulla dice invece il CCNL delle imprese di assicurazione, e quindi si pone il
problema se la procedura di cui all'art. 47 della legge cit. possa o meno essere
sostituita da quella contrattuale.
18
Da segnalare l'ultimo comma dell’art. 14 CCNL imprese di assicurazione che,
oltre a garantire il mantenimento del trattamento complessivo derivante dal
CCNL stesso anche nel caso di scorporo di attività non comprese nell'area
contrattuale, contiene l'inciso ''previo loro consenso" a proposito dei lavoratori
coinvolti nel passaggio.
Ci si può chiedere, pertanto, se questo inciso, contro l'opinione della
giurisprudenza assolutamente dominante, possa essere considerato sufficiente per
garantire il diritto dei dipendenti coinvolti in un trasferimento (genuino) di ramo
d'azienda ad opporsi alla cessione dei loro contratti di lavoro.
19
Prof. Piergiovanni Alleva
Consulta giuridica della CGIL
La ricerca e l’analisi dei punti
critici del Dgls 276/2003
in materia di occupazione e mercato del lavoro
estratto da “Rivista Giuridica del Lavoro” anno 2003 n.4
Le due “aree tematiche” del Decreto delegato ed i relativi istituti
1) La separazione del lavoro dall’impresa: somministrazione di lavoro,
appalti (di sola manodopera), comando di lavoratori.
2) La separazione del lavoro dall’impresa: i trasferimenti di ramo
d’azienda e le modifiche all’art. 2112
Nel testo del Decreto Legislativo si possono individuare due “fuochi” o grandi
aree tematiche, costituita da:
1) La separazione del lavoro dall’impresa, intesa come possibilità offerta agli
imprenditori di utilizzare lavoratori senza assumere le correlative
responsabilità e doveri giuridici, economici e sindacali.
Questa tematica, a nostro avviso la più importante ed inquietante, comprende
gli istituti di cui ai titoli III° e IV° del Decreto, e cioè la somministrazione di
lavoro, a tempo determinato ed indeterminato, gli appalti, ed in specifico gli
appalti “di servizi” (in realtà, di sola manodopera), i distacchi ed i
trasferimenti di ramo d’azienda (anche collegati all’affidamento di appalti).
2) La messa a punto definitiva della “panoplia” dei rapporti precari, utilizzabili
dagli imprenditori in tendenziale sostituzione dei rapporti di lavoro a tempo
indeterminato e stabile, o come loro “contrappeso”.
Vi è nell’articolazione del decreto un indubbio ordine sistematico, proprio da
“testo unico del precariato”, giacché questa area tematica comprende:
• Tit. V°, che disciplina rapporti precari o atipici che sono comunque di
lavoro subordinato, e cioè i rapporti di lavoro intermittente, di lavoro
ripartito (che però può essere svolto anche in forma autonoma cfr. art.
43, co. 2) e di lavoro “part-time” (ad essi si aggiunge il contratto a tempo
determinato del Dlgs. n. 368/2001);
• Tit. VI°, che comprende rapporti di lavoro subordinato, ma a causa
mista, di lavoro ed insegnamento, e cioè l’apprendistato ed il contratto di
inserimento;
21
•
Tit. VII°, che comprende rapporti di lavoro autonomo, e cioè il contratto
a progetto ed il contratto di lavoro occasionale.
Si potrebbe aggiungere, ovviamente, il rapporto di lavoro “somministrato”,
quello cioè che intercorre tra il lavoratore e l’agenzia che lo invia presso
l’impresa utilizzatrice, ma questo istituto rientra, concettualmente, nella
tematica della separazione del lavoro dall’impresa, di cui al punto A) che
precede, e, quindi, lo tratteremo tra breve, affrontando tale argomento.
Il cerchio di ferro che “tiene insieme le doghe della botte” ed abbraccia
ambedue le aree tematiche, ovvero ambedue i “pacchetti” offerti agli
imprenditori, è costituito dalla procedura di “certificazione”, cui è dedicato il
Tit. VIII°, la quale dovrebbe garantire loro un uso incontestato ed
incontestabile dei singoli istituti o strumenti in quei pacchetti contenuti.
La separazione del lavoro dall’impresa:
somministrazioni di lavoro, appalti di manodopera, comando-distacco
Al centro dell’area tematica o “capitolo” della separazione del lavoro
dall’impresa sta, ovviamente, l’abrogazione della storica legge n. 1369/1960,
vero caposaldo normativo della tutela dei lavoratori sul mercato del lavoro, la
quale sanciva il principio contrario, semplice e lineare: datore di lavoro era, per
la legge n. 1369/1960, colui che avesse effettivamente utilizzato le prestazioni
lavorative. Un criterio che costituiva una vera stella polare per orientarsi con
sicurezza tra le diverse e variegate fattispecie interpositorie rinvenibili nella
prassi dei rapporti di collaborazione tra soggetti economici.
Quel principio esplicava, dunque, un’efficacia unificante ed in particolare
abbracciava due fattispecie tra loro ben diverse: a) quella della pura e semplice
somministrazione di lavoro altrui, nella quale il formale datore di lavoro assume
il lavoratore al solo scopo di avviarlo presso un utilizzatore, il quale, poi, ne
organizza e dirige lui la prestazione lavorativa, e b) quella dell’appalto di mera
manodopera, nella quale il formale datore di lavoro, invece, dirige ed organizza
in prima persona le prestazioni dei lavoratori, ma espletando un servizio, o una
fase produttiva, riguardante l’attività imprenditoriale del committente
utilizzatore.
In sintesi, la distinzione è tra fornitura di lavoro “da organizzare” e fornitura di
lavoro “organizzato”. Tutte e due le fattispecie, però, erano represse dalla legge
n. 1360/1960 allo stesso modo, perché, anche nel secondo caso, a ben vedere,
l’appaltatore metteva a disposizione dell’utilizzatore-committente null’altro che
lavoro altrui: al più, si poteva discutere se, espletando anche un’attività di
direzione ed organizzazione di queste prestazioni lavorative, non dovesse esser
considerato lui stesso un dipendente dell’utilizzatore, alla stregua di un caposquadra. L’appalto, in altre parole, non poteva “contenere solo lavoro”, ma
22
doveva contemplare, per esser legittimo, anche l’impiego di attrezzature, capitali,
mezzi dell’appaltatore, tanto che si ricadeva ancora nella fattispecie vietata di
appalto di sola manodopera, quando i mezzi, attrezzature e capitali esistessero,
ma fossero forniti, seppur dietro compenso, dallo stesso committenteutilizzatore.
In tutti questi casi di fornitura di manodopera, la sanzione (civile, a parte quelle
penali) era la medesima: costituzione di un rapporto di lavoro diretto tra
lavoratori ed utilizzatore effettivo della sua opera.
La legge n. 1369/1960, peraltro, andava anche oltre nel suo intento di tutela dei
lavoratori nell’ambito dei fenomeni di collaborazione tra imprese, affrontando
nell’art. 3 un tema collegato, dal punto di vista socio-economico, ma
giuridicamente diverso da quello della fornitura di manodopera da organizzare o
già organizzata: quello di appalti veri, con mezzi e capitali dell’appaltatore, ma
svolgentesi all’interno del ciclo produttivo del committente. In tal caso, veniva
sancita la responsabilità solidale tra committente ed appaltatore, perché ai
dipendenti dell’appaltatore venisse garantito un trattamento economiconormativo non inferiore a quello fruito dai dipendenti del committente: in questo
modo, la legge raggiungeva lo scopo di evitare l’affidamento in appalto di fasi di
lavorazione a soli fini di risparmio sui costi di lavoro, nel senso che i
committenti, stante l’equivalenza dei costi tra lavoro diretto e appaltato,
avrebbero avuto interesse, allora, ad affidare solo appalti tecnicamente necessari.
È noto che questo articolato, ma compatto, sistema di tutela è stato incrinato
dall’introduzione del lavoro interinale attraverso la legge 24 giugno 1997, n. 196,
c.d “pacchetto Treu”.
Ma il lavoro interinale costituiva pur sempre, dal punto di vista sistematico, un
caso di eccezione, circondato da una serie di garanzie e limitazioni formali,
soggettive e contrattual-collettive, ai disposti della legge n. 1369/1960, e
riguardante la sola somministrazione di lavoro “non organizzato” ed a tempo
determinato. Per tutto il resto, la vigenza e gli effetti della legge 1369/1960
venivano esplicitamente riconfermati.
Con l’esplicita abrogazione, ad opera del decreto delegato, della legge n.
1369/1960, invece, si produce una sorta di esplosione stellare che separa l’una
dall’altra le diverse fattispecie una volta rientranti nel suo dominio: per la
fornitura di manodopera non organizzata è dettata una nuova complessa
disciplina della somministrazione di manodopera; per gli appalti di mera
manodopera il decreto presenta poche, equivoche e reticenti disposizioni, mentre
degli “appalti interni” e relativo principio di parità di trattamento tra lavoratori
del committente e lavoratori dell’appaltatore non si parla affatto.
L’opera di interpretazione, di contenimento degli abusi, di ricostruzione di una
base di tutela si presenta, quindi, assai ardua.
23
L’argomento di gran lunga più importante, e dal quale iniziare, è, a nostro
avviso, quello dei rapporti tra “somministrazione” e “appalti”, ossia tra fornitura
di manodopera da organizzare e dirigere e di manodopera organizzata e diretta.
E vale la pena, in proposito, di enunziare subito l’enorme, e per certi versi
paradossale, pericolo che le nuove disposizioni normative potrebbero presentare:
che la somministrazione semplice di manodopera non organizzata sia comunque
presidiata dalla richiesta di requisiti soggettivi di affidabilità e serietà al soggetto
(agenzia) che effettua la somministrazione, nonché dalla garanzia per i lavoratori
di un trattamento economico-normativo non inferiore a quello goduto dai
dipendenti dell’impresa utilizzatrice (art. 23 del decreto), laddove, invece,
l’appalto di manodopera, ossia la fornitura di manodopera organizzata e diretta
potrebbe esser esercitata da chiunque, e senza diritto di parità di trattamento per i
lavoratori somministrati in tale forma.
Insomma, per portare un esempio, l’impresa utilizzatrice che volesse, poniamo,
non impiegare personale proprio in magazzino, avrebbe questa scelta: o
richiedere ad un’agenzia autorizzata di avviarle quattro lavoratori da immettere
in magazzino, con l’onere, però, di organizzarli, dirigerli e, soprattutto, di
garantire che siano pagati come i propri dipendenti, oppure appaltare, per così
dire, al “primo che passa” le operazioni di magazzino, perché pensi lui a
organizzare e dirigere la “squadretta” dei quattro lavoratori, suoi dipendenti,
pagandoli ciò che crede, senza responsabilità per il committente.
Sarebbe un assetto normativo davvero paradossale, e proprio questo paradosso
occorre scongiurare attraverso l’interpretazione, l’iniziativa vertenziale e la
contrattazione, come più sotto meglio si dirà.
Passando, allora, all’esame critico-analitico del primo degli istituti che
afferiscono a questa area tematica, e cioè alla “somministrazione di
lavoro” (artt. 20-28), è quasi ovvio ricordare che esso si impernia su due
rapporti contrattuali paralleli: 1) quello tra l’agenzia o altro soggetto
somministratore e l’impresa utilizzatrice, che è il contratto di “somministrazione
di lavoro”, e 2) quello tra lavoratore ed agenzia, che è un contratto di lavoro
subordinato, e che potremo chiamare, per intenderci, “contratto di lavoro
somministrato”.
La novità principale del decreto, com’è noto, sta in questo: che nella vigenza
degli artt. 1-11 della legge 24 giugno 1997, n. 196, l’impresa utilizzatrice poteva
ricorrere al contratto di somministrazione solo per sue esigenze temporanee
(specificate dalla contrattazione collettiva), le stesse, in sostanza, che le
avrebbero consentito di assumere dei lavoratori a termine. Pertanto, il contratto
di somministrazione tra impresa utilizzatrice e agenzia era sempre un contratto a
termine.
24
Il contratto di lavoro “somministrato” tra agenzia e lavoratore era, per lo più,
anch’esso a termine, in quanto funzionale all’adempimento del contratto di
somministrazione, ma poteva essere anche a tempo indeterminato, qualora
l’agenzia avesse voluto disporre continuativamente del lavoratore per inviarlo
“in missione”, ora presso questa, ora presso quella impresa utilizzatrice (e
doveva, allora, pagargli un’indennità di disponibilità tra una “missione” e
l’altra).
Con il nuovo decreto è ampliata la possibilità per le imprese utilizzatrici di far
ricorso a contratti di somministrazione a termine, in sostanza, per qualsiasi
esigenza di carattere in senso lato temporaneo, e senza più rispetto di alcuna
casistica di legge o contratto collettivo (art. 20, comma quarto), ma, soprattutto, è
introdotta la possibilità di contratti di somministrazione a tempo indeterminato
(“staff leasing”) per esigenze assolutamente continuative dell’impresa, di cui il
decreto fornisce un primo nutrito elenco rinviando, per ipotesi ulteriori, alla
contrattazione collettiva stipulata da sindacati “comparativamente più
rappresentativi”.
In ciò è stato giustamente ravvisato il caso emblematico di separazione del
lavoro dall’impresa: al limite, con una contrattazione collettiva via via più
compiacente, un imprenditore potrebbe non essere datore di lavoro di nessuno
dei pur numerosi lavoratori che operano nella sua azienda!
È una conseguenza certo alquanto ripugnante, ma lo snodo tecnico-giuridico al
quale occorre por mente è un altro, e cioè stabilire se il contratto di
somministrazione a tempo indeterminato (“staff leasing”) comporti, per
parallelismo, che sia inviato presso l’impresa utilizzatrice un lavoratore anche lui
dipendente a tempo indeterminato dall’agenzia.
Ben si comprende che se così fosse, la pericolosità dello “staff leasing” sarebbe
assai diminuita, perché l’imprenditore utilizzatore avendo a che fare sempre con
lo stesso lavoratore che, tra l’altro, costerebbe addirittura di più di un suo
dipendente, finirebbe, con ogni probabilità, con l’assumerlo.
Occorre evitare, al contrario, il “tourbillon” di lavoratori somministrati a termine
per un’esigenza aziendale continuativa.
A nostro parere, esistono già nel corpo del decreto elementi testuali che
consentono di sostenere che quel lavoratore deve essere dipendente a tempo
indeterminato (dell’agenzia): infatti, l’art. 22, che tratta dei rapporti di lavoro tra
lavoratore ed agenzia, recita che questo rapporto è soggetto al Dlgs. n. 368/2001
sul contratto di lavoro a termine quando il contratto di somministrazione tra
impresa utilizzatrice ed agenzia è esso stesso a tempo determinato (comma
secondo), mentre nel caso che il contratto di somministrazione sia a tempo
indeterminato, il rapporto di lavoro con l’agenzia è soggetto “alla disciplina
25
generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile ed alle leggi speciali
“(comma primo).
È chiaro, allora, che questo rapporto di lavoro deve essere a tempo
indeterminato, e non determinato, perché l’ipotesi del tempo determinato è già
prevista dall’altro comma (il secondo) per il caso di somministrazioni a tempo
determinato per esigenze temporanee, mentre, per converso, il codice civile e le
leggi speciali non autorizzano contratti a termine per esigenze continuative,
come sono quelle che sorreggono lo “staff leasing”.
Può sembrar poco, ma è, invece, molto, perché, come detto, la pericolosità dello
“staff leasing” scema, e si aprono alla trattativa sindacale ampi spazi per
disciplinare lo “status” giuridico-economico del lavoratore dipendente
dall’Agenzia a tempo indeterminato, perché adibito all’esecuzione di un
contratto di somministrazione anch’esso a tempo indeterminato.
Certamente, occorre rigidamente opporsi a qualsiasi clausola di divieto di
assunzione presso l’impresa utilizzatrice (anche qualora sia dato, per questo, al
lavoratore un’indennità), giacché si tratterebbe di una incostituzionale
limitazione di libertà.
Per quanto riguarda l’Appalto, si comprende, dunque, da quanto si è detto, che
l’istituto veramente pericoloso, che può davvero realizzare la scissione del lavoro
dall’impresa, è “l’appalto di servizi” che si riduca ad appalto di solo lavoro, e,
secondariamente, l’appalto (vero) ma interno al ciclo produttivo di altra impresa.
Diremmo, a questo proposito, che gli estensori del decreto, nel formulare il testo
dell’art. 29, (dedicato, appunto, agli appalti), non hanno avuto il coraggio di
esprimere le loro vere intenzioni, nascondendole addirittura sotto delle
improprietà lessicali e scorrettezze grammaticali e sintattiche.
In apparenza, infatti, il decreto sembra molto preoccupato di distinguere
somministrazione da appalti, onde evitare che soggetti non autorizzati alla
somministrazione di lavoro la esercitino egualmente sotto mentita specie di
appalto ma, poi, lascia intendere che ben volentieri ammetterebbe gli appalti di
sola manodopera (già vietati dalla legge n. 1369/1960), nei quali l’appalto ha per
solo contenuto il lavoro, ma organizzato e diretto dall’appaltatore.
In sostanza, per tornare all’esempio riportato più sopra, ben volentieri
ammetterebbe la “squadretta” d’operai magazzinieri guidati dall’appaltatore,
capo magazziniere, che libera, o quasi, il committente da ogni responsabilità.
Recita, infatti, l’art. 29, primo comma, del decreto, che l’appalto “si distingue
dalla somministrazione di manodopera per l'organizzazione di mezzi da parte
dell’appaltatore (il che è scontato, ma corretto), che può anche risultare, in
relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotte in contratto,
26
dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori
utilizzati nell’appalto...”.
Sembra, ed è, un non-senso: un’organizzazione “di mezzi”, ossia di beni
strumentali e di capitali non può “risultare” dall’esercizio di un potere giuridico,
direttivo ed organizzativo, perché, evidentemente i “mezzi” sono qualcosa di ben
concreto, che si tocca, per così dire, “con le mani”. I “mezzi” o ci sono o non ci
sono e la direzione dei lavoratori non li fa sorgere dal nulla.
Ma un giurista un po’ scaltrito comprende bene cosa hanno avuto in mente gli
estensori del decreto: rifarsi a quell’orientamento giurisprudenziale minoritario
in tema di legge n. 1369/1960 che, confondendo appalto di sola manodopera e
somministrazione di manodopera, vedeva solo in quest’ultima una fattispecie
vietata e pretendeva, perché i lavoratori potessero pretendere di essere
riconosciuti dipendenti del committente, che questi, oltre ad utilizzare la loro
prestazione, altresì la dirigesse.
Comunque sia, gli estensori del decreto hanno emesso un “segnale” o, se si
vuole, piantato un seme, insinuando l’idea che l’esercizio, da parte di un
sedicente appaltatore del potere direttivo ed organizzativo sia sufficiente a
legittimare, in qualche modo, un appalto.
Esiste, però, la previsione dell’art. 84, secondo comma, che chiama sia le
confederazioni sia i sindacati di categoria ad individuare “indici presuntivi in
materia d’interposizione illecita e appalto genuino”, specificando che essi
dovranno tener conto “della rigorosa verifica della reale organizzazione dei
mezzi e dell’assunzione effettiva del rischio tipico d’impresa”: un’occasione
preziosa per mettere a punto una piattaforma “rigorosa”, in materia di appalti
che denunzi e scongiuri il pericolosissimo paradosso su cui ci si è sopra
intrattenuti.
Ci sembra, invero, non troppo difficile far risorgere dalle sue ceneri la legge n.
1369/1960 per la parte non espressamente ridisciplinata, e cioè per gli appalti di
sola manodopera e per gli appalti “interni”, dando per scontato che la
somministrazione di lavoro non organizzato è, ormai, fattispecie formalmente
autonoma, ma comunque collegata.
Le contraddizioni e le oscurità del decreto, in definitiva, lasciano aperto uno
spazio nella delicatissima materia, ed occorre occuparlo.
Quanto, infine, a quell’istituto “minore” della tematica della separazione del
lavoro dall’impresa, che è il “distacco”, di cui all’art. 30 del decreto, -che è,
comunque, un istituto pericoloso per gli individui, in quanto si presta facilmente
ad un uso punitivo, discriminatorio e “mobbistico”-, il fulcro del problema è
costituito dall’”interesse” del distaccante, che secondo il testo legislativo deve
sorreggere il distacco, a pena di cadere nella fattispecie di somministrazione non
autorizzata.
27
Quello dell’interesse è un requisito già richiesto dalla giurisprudenza, ma che
deve essere qualificato per assumere un senso concreto e costituire un'effettiva
garanzia. Fino ad ora l’ipotesi tipica era quella di distacco presso impresa
collegata, e la qualificazione era abbastanza agevole, perché tra imprese
collegate vi sono comunemente sinergie produttive ed economiche, che
giustificano l’utilizzo “incrociato” delle rispettive risorse umane, ma tra imprese
estranee l’una all’altra il problema si pone in maniera diversa. Altro è, ad
esempio, che il distacco si giustifichi per le esigenze di una “joint venture” tra
due imprese, altro che costituisca, ad esempio, una sorta di “comodato” di
manodopera, per effetto del quale, portando un esempio al limite, l’impresa A
“presta” un suo dipendente per far fronte alla momentanea carenza dell’impresa
B, sull’intesa (e vi sarebbe certamente un “interesse”) che il favore sarà reso al
verificarsi dell’esigenza uguale ed opposta.
Probabilmente la fissazione di una casistica in sede contrattuale-collettiva
potrebbe esser desiderata anche dai datori di lavoro, onde evitare le presumibili
contestazioni giudiziarie cui potrebbe dar luogo una clausola generale
(“interesse”) tanto vaga.
I trasferimenti di ramo d’azienda e le modifiche all’art. 2112 c.c.
La ragione per cui la disciplina modificativa dell’art. 2112 c.c. dettata dal
Decreto in tema di trasferimento di ramo d’azienda va legittimamente annoverata
nell’area tematica della separazione del lavoro dall’impresa, è presto detta:
perché, sempre più spesso, in molte fattispecie concrete, non si tratta di una vera
alienazione di una parte dell’azienda ad altro soggetto economico estraneo, ma di
una “esternalizzazione” di una parte dell’attività di impresa con cessione ad un
soggetto che non è indipendente, dal punto di vista economico-funzionale,
dall’imprenditore cedente, ma risulta a lui strettamente legato o perché ne
diviene un fornitore-appaltatore, o perché è addirittura lo stesso cedente
“travestito”, per così dire, da diversa impresa societaria.
Con la conseguenza che l’impresa principale, intesa come attività e come
iniziativa economica, resta sempre la stessa, con il medesimo ciclo produttivo,
ma parte dei lavoratori che in quel ciclo prestavano la propria opera risultano
dipendenti formalmente di altro datore, con esenzione dell’imprenditore
“dominus”, che pure utilizza effettivamente le loro prestazioni, da ogni relativa
reale responsabilità.
In generale, va notato e rimarcato che il disposto dell’art. 2112 c.c. acquista in
situazioni di questo genere una valenza del tutto negativa, pur essendo stata
pensata, in origine, come norma protettiva nelle alienazioni “vere” di azienda, o
di parte di azienda, in quanto garantisce ai lavoratori la continuazione dei
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rapporti di lavoro con il nuovo imprenditore cessionario e la conservazione
dell’anzianità di servizio. Ma quando l’alienazione non è “vera”, perché il
cessionario è soggetto subalterno economicamente e funzionalmente
all’imprenditore cedente, ovvero è lo stesso imprenditore cedente “travestito”
con altra ragione sociale, allora il meccanismo di tutela si rivolta contro i
lavoratori.
Quel meccanismo, infatti, consiste, come detto, nel passaggio automatico della
titolarità dei rapporti di lavoro a prescindere dalla volontà di tutti i soggetti
coinvolti nell’operazione, cedente, cessionario e lavoratori: accade così che i
lavoratori che operavano, poniamo, nel reparto verniciatura o al centro
elaborazione dati di una grande impresa metalmeccanica, si ritrovino, quasi per
un maleficio, a continuare la stessa attività nello stesso reparto, ma come
dipendenti di una piccola società cessionaria di quel reparto, che è insieme anche
“fornitrice” dell’impresa-madre. Ma senza più godere, ad esempio, della tutela
dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori (visto che il loro nuovo datore di lavoro è
“piccolo”), né del contratto aziendale in vigore nell’impresa-madre di
provenienza, e, talvolta, neanche del contratto nazionale. Con lo scorno di sapere
che l’impresa-madre continua ad utilizzare, in concreto, il frutto del loro lavoro
esattamente come prima.
L’art. 2112 c.c. è per loro, se ci si passi l’immagine, una sorta di “tapis roulant”,
che li trascina inesorabilmente verso il basso, contro la loro volontà, ammanettati
e recalcitranti.
Nel concreto, per l’imprenditore che voglia separare in quel modo parte dei
lavoratori dalla sua impresa, e lucrare per più versi sul loro netto peggioramento
di “status”, la “magia nera” è di facilissima esecuzione: basta passare da un
notaio e costituire una nuova società, alla quale poi cedere quella parte o ramo di
azienda e con la quale stipulare poi un contratto di appalto per la fornitura di beni
o servizi che quella stessa parte di azienda ha sempre prodotto.
È verità documentabile, e non polemica ipotesi di fantasia, che molti
imprenditori sono arrivati a dividere la loro azienda in due: una tutta di operai, e
l’altra tutta di impiegati costituita in “società di servizi”, che rende, appunto,
servizi di amministrazione, contabilità, marketing alla prima, con appalto
esclusivo. Va da sé che, spesso, ambedue le imprese così nate per scissione
cellulare contino meno di 16 dipendenti. Il gioco, naturalmente, è ripetibile
all’infinito.
Fino ad ora, però, questo genere di comportamento incontrava un parziale limite:
tutto andava bene, infatti, se il “ramo” di azienda ceduto aveva in precedenza una
sua autonomia economico-funzionale (es. un negozio facente parte di una catena
di negozi), ma se non l’aveva? Pensiamo, appunto, al caso degli uffici
amministrativi, o di un reparto di lavorazione collocato, per così dire, “a metà”
29
del ciclo produttivo. In questo caso, non si poteva parlare di cessione di un
“ramo”, l’art. 2112 c.c. non scattava, il “tapis roulant” non si metteva in moto, e i
lavoratori non erano, dunque, trascinati contro la loro volontà nella nuova
società, della quale potevano diventare dipendenti solo se lo volessero,
dimettendosi dalla prima.
Occorre tener presente che il requisito della preesistente autonomia del ramo
d’azienda trasferito discendeva direttamente dalla disciplina commercialistica
della circolazione dell’azienda (di cui l’art. 2112 c.c. costituisce una subdisciplina, o caso di specie) che, a sua volta, contiene una deroga al normale
principio civilistico per cui la cessione dei contratti può avvenire solo con il
consenso di tutti i contraenti. Si considerino, ad esempio, i contratti di fornitura
di materie prime e semilavorati necessari per il funzionamento di un’azienda: se
questa viene venduta dal ricco e solvibile imprenditore Tizio al poco affidabile
imprenditore Mevio, il fornitore delle materie prime potrebbe volersi astenere dal
continuare la fornitura, anche sulla base di una sua semplice sensazione
soggettiva. Ma le ragioni dell’economia produttiva fan sì che, invece, egli debba
continuare la fornitura, e possa interromperla solo in presenza di una giusta causa
(art. 2558, secondo comma, c.c.). Una così seria deroga al principio di libertà
contrattuale – di cui la regola della cedibilità solo consensuale dei rapporti
contrattuali è una diretta applicazione – può esser giustificata solo da
un’esigenza macroscopica dell’economia: appunto, che un’azienda continui ad
operare così come operava prima. Quindi, che sia effettivamente quella che
gestiva il primo imprenditore.
Se, poi, l’azienda consisteva, in realtà, in più sub-aziende (es. più negozi, più
stabilimenti che producono beni finali diversi), la disciplina può applicarsi anche
alla cessione della sub-azienda, o “ramo” d’azienda, ma solo perché essa
equivale ad un’intera azienda.
Ora, il decreto delegato ha voluto render più facili quelle esternalizzazioni
virtualmente semitruffaldine (dispiace dirlo, ma non è possibile altro giudizio se
non si pongono limiti nel caso di cessione tra società collegate), prevedendo che,
al momento del trasferimento, cedente e cessionario “identifichino” come
autonoma l’articolazione aziendale che viene ceduta: il che significa che la
“preesistenza” dell’autonomia non è più necessaria e che, quindi, può esser
ceduta come azienda, con applicazione dell’art. 2112 c.c., qualcosa che non ha
mai funzionato come azienda. In palese contrasto con la “ratio” della disciplina
generale, di diritto civile e commerciale, della circolazione dell’azienda, sopra
ricordata, che è tutta basata e giustificata dalla salvaguardia della continuità del
funzionamento aziendale.
30
Si può comprendere che queste esigenze sistematiche di omogeneità
dell’ordinamento giuridico siano di scarso interesse per gli estensori del decreto,
preoccupati di ben altro, ma alla loro pretesa di ignorare le ragioni del requisito
della “preesistenza” non si può, poi, anche affiancare quella, davvero
paradossale, di consentire a cedente e cessionario di stabilire loro
(“identificandola come tale”) se una certa articolazione aziendale sia o meno
davvero “autonoma”.
Così com’è scritta, la norma ricorda tanto la storiella dell’arciprete che,
volendo mangiare un’oca arrosto in giornata di venerdì, prima la battezzò
“capitone”.
Se non si vuole cadere nel ridicolo, prima ancora che in un’evidente censura di
incostituzionalità per irragionevolezza, occorre ribadire che l’autonomia
funzionale di un compendio di beni organizzati per la produzione non dipende
dalla volontà di parti private, almeno quanto non può dipenderne la legge di
caduta dei gravi di galileiana memoria.
Lo conferma, d’altro canto, tutta l’elaborazione giurisprudenziale in tema di
“unità produttiva autonoma”, che proprio a partire dal concetto di autonomia
funzionale ne ha dato una nozione “forte”, postulando che essa debba avere una
propria separata consistenza, tale da renderla, in potenza, autosufficiente sul
mercato.
Anche con riguardo a questo istituto del trasferimento di ramo o parte d’azienda,
l’operazione di modifica della normativa attuata con il decreto è tanto pericolosa
quanto mal riuscita, e, dunque, attaccabile e contestabile in sede giudiziale e
contrattuale.
Bisogna, però, comprendere che non si tratta qui solo di eliminare o limitare i
danni della “novella normativa”, perché anche prima i disposti dell’art. 2112 c.c.
si prestavano alle ricordate operazioni deteriori, ancorché il ramo d’azienda da
trasferire dovesse essere autonomo e preesistente.
Bisogna affrontare il problema centrale del trasferimento di ramo d’azienda a
società o altro soggetto controllato dal cedente, e cioè sottoposto in concreto al
suo potere di comando, il che può avvenire, proprio come previsto dall’art. 2359
c.c., sia attraverso la partecipazione al capitale sociale, sia anche attraverso
vincoli di natura contrattuale (e ben potrebbero esserlo certi appalti “in
esclusiva”).
D’altro canto, la giurisprudenza ha già affrontato e risolto positivamente la
questione dell’abuso della personalità giuridica, con riguardo alle scissioni
societarie finalizzate ad aggirare l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori.
31
Il problema è del tutto analogo, perché qui l’abuso della personalità giuridica
serve ad utilizzare, in danno dei lavoratori, una norma, quella dell’art. 2112 c.c.,
in origine protettiva.
Occorre pervenire al risultato che l’art. 2112 c.c. non si applichi quando la
cessione avviene in direzione di un soggetto controllato, ovvero che possa
avvenire, per regola antifrodatoria, solo con la salvaguardia di tutti i diritti
precedentemente goduti dai lavoratori. Risultato al quale tendere sia per la via
giudiziale sia per quella contrattuale.
Più in generale, comunque, tutta la problematica sarebbe sdrammatizzata se si
recuperasse l’essenza del disposto dell’art. 3, legge n. 1369/1960, in tema di
parità di trattamento tra lavoratori diretti e lavoratori dell’appalto all’interno
dello stesso ciclo produttivo.
Come si vede, l’area tematica di cui ci siamo ora occupati ha molte sfaccettature,
ma sempre tra loro collegate, così da costituire un capitolo unitario, che dovrà
esser riscritto comunque, e per intero, anche dopo un auspicato mutamento di
clima politico.
Prof. Amos Andreoni
Università La Sapienza Roma
Il lavoro nell’impresa di gruppo
Sommario: 1. I contenuti della miniriforma. — 2. Impresa dì gruppo e titolarità
dei rapporti di lavoro. — 3. Lavoro italiano all’estero, gruppi di impresa e tutela
previdenziale. — 4. Le riforme legislative auspicabili.
I contenuti della miniriforma
La disposizione in commento attribuisce ai gruppi di impresa, individuati ai sensi
dell’art. 2359 cod. civ. nonché ai sensi del d. lgs. 2 aprile 2002, n. 74, la facoltà
di delegare lo svolgimento degli adempimenti di cui all’arti 1, legge 1l gennaio
1979, n. 12, alla società capogruppo per tutte le società controllate e collegate,
ferma restando la titolarità delle obbligazioni contrattuali e legislative in capo
alle singole società datrici di lavoro (v. anche art. 1, comma 2, lett. n), legge n.
30/2003, su cui Del Punta, 2003c e Fili, 2003). Le società capogruppo dunque
potranno svolgere tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e
assistenza sociale relativamente ai lavoratori dipendenti delle società del gruppo;
32
tali adempimenti — se non curati dal datore di lavoro — oggi possono essere
svolti solo dagli iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro, degli avvocati, dei
dottori commercialisti, ovvero per le imprese artigiane dai servizi o dai centri di
assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria.
Resta comunque fermo il principio basilare secondo cui il titolare del rapporto di
lavoro continua a essere il responsabile di tutte le obbligazioni che nascono dalla
legge e dal contratto di lavoro.
Il rinvio ai principi generali dell’ordinamento lavoristico in tema di obbligazioni
merita a questo punto alcune doverose precisazioni (in dottrina v. da ultimo
Carinci M. T., 2000, 113, cui adde per la bibliografia di riferimento).
Impresa di Gruppo e titolarità dei rapporti di lavoro
Il fenomeno del «gruppo societario» non ha trovato disciplina sistematica nel
diritto del lavoro, a differenza di quello fallimentare o tributario. Se ne era
dunque proclamata l’irrilevanza, quale autonomo soggetto titolare del rapporto
lavorativo, già negli anni settanta (Cass., Sez. lav., 29 aprile 1974, n. 1220, in
Dir. Lav., 1974, 11, 317) e tale orientamento aveva trovato rigorosa conferma
anche nel decennio successivo.
Per tutte, si veda Cass., Sez. lav., 2 febbraio 1988, n. 957, (in Dir. lav, 1988, II,
333), e, prima ancora, Cass., Sez. lav., 28 gennaio 1981, n. 650, (in Foro it.,
1981,1, 1994), la quale aveva escluso la formazione di unico centro
d’imputazione «quale che sia l’entità del collegamento tra due o pin società»,
precisando altresì che l’affermazione non è «allo stato attuale della legislazione
superabile dalla speciale disciplina giuridica dei gruppi societari in tema di
bilancio consolidato del gruppo (art. 2429-bis cod. civ.), di agevolazioni
finanziarie in caso di riconversione industriale (legge n. 675 del 1977), di
amministrazione straordinaria (legge n. 95 del 1979) e di editoria (legge n. 213
del 1986), atteso che si tratta di normative che valgono limitatamente al campo di
applicazione per il quale sono previste».
Per la verità la legislazione negli anni ha fatto crescente ricorso, ai fini più
diversi, al principio della rilevanza unitaria del gruppo di impresa.
Si veda, a titolo esemplificativo quanto disposto dalle leggi:
• 7 marzo 2001, n. 62 (art. 2), sulla proprietà delle imprese editrici e in materia
di trasparenza;
• 21 novembre 2000, n. 342, in materia di redditi di imprese estere partecipate
e di applicazione dell’imposta ai non residenti finalizzate al contrasto
dell’evasione e dell’elusione (v. artt. 6,10, 11, 53; cui adde l’art. 11 della
legge n. 413/1991);
• D.LGS 8 luglio 1999, n. 270, recante nuove disposizioni sulla
amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza;
33
• D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58, dettante disposizioni in materia di intermediazione finanziaria;
• D.LGS. 17 marzo 1995, nn. 174 e 175 in tema di assicurazione.
Dalla seconda metà degli anni ottanta alcune pronunce hanno però introdotto
primi temperamenti a tale rigoroso principio della inesistenza di un unico centro
di imputazione, ammettendo la rilevanza contraria della simulazione o comunque
della finalità fraudolenta con cui un sodalizio sia stato costituito, eludendo così
l’applicazione del regime di stabilità reale nei confronti del dipendente (cfr.
Cass., Sez. lav., 17 giugno 1998, n. 4142, in Not. giur. lav., 1998, 481, e Cass.,
Sez. lav., 9 giugno 1989, n. 536).
In particolare, Cass., Sez. lav., 18 maggio 1988, n. 3450, in Mass. Ginst. civ.,
1988, fasc. 5, ribadendo l’indifferenza del collegamento o del raggruppamento
societario, ha fatto «salvo il dovere del giudice del merito — la cui valutazione,
se adeguatamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità — di accertare se, nel caso concreto, siano stati adottati, o meno, strumenti o meccanismi
volti, in frode alla legge, a far apparire frazionata in distinti rapporti un rapporto
di lavoro sostanzialmente unico».
Prima ancora, era stata Cass., Sez. lav., 18 aprile 1986, n. 2756 (in Foro it., 1986,
I, 1847), a richiedere un «esame particolarmente penetrante dei comportamenti
dei soggetti collegati, al fine di assodare, ad esempio, se tra gli stessi si sia posto
in essere un accordo societario di fatto nella gestione di un rapporto di lavoro» e
se, in base agli elementi probatori acquisiti, «i due apparenti datori di lavoro
fossero in realtà uno solo, potendo quegli elementi di fatto lasciar presumere, ad
esempio, un tale legame tra le due imprese da consentire di ritenere che si fosse
costituito fra le stesse un complesso unitario, nell’ambito del quale, pur con la
formale distinzione dei rapporti di lavoro, sussisteva in effetti una continuità
sostanziale dell’originario contratto di prestazione d’opera con una fittizia
successione del soggetto datore di lavoro: più soggetti aventi ciascuno autonoma
personalità, ma tesi a tutelare comuni interessi economici, possono essere
considerati unitariamente, se non sotto il profilo giuridico, certamente sotto
quello economico».
A questa maggiore intensità del collegamento societario corrisponde una
frequente confusione dei patrimoni, delle attività, delle organizzazioni e, dunque,
dell’impiego dei lavoratori, sì da suggerire a una dottrina l’espressione «una sola
impresa in forma di gruppo» anziché quella di «gruppo di imprese».
Non è quindi casuale il crescente e poi definitivo abbandono, da parte dei giudici
investiti dell’argomento,della locuzione «gruppo societario», sostituita dal
riferimento al «collegamento economico-funzionale» tra diverse società (tra le
prime è stata Cass., Sez. lav., 8 agosto 1987, n. 6848, in Mass. Giust. civ., 1987, fasc. 8-9; cfr. Cass.
34
Sez. lav., 9giugno 1989, n. 2819, in Not. ,giur. lav., 1989, 536).
La nuova dizione si discosta in modo esplicito da quella contenuta nell’art. 2359
cod. civ. e l’esame dei casi concreti in cui è stata impiegata conferma la
maggiore latitudine della nozione giurisprudenziale rispetto a quella codicistica;
ad esempio, in Cass., Sez. lav., 20 settembre 1991, n. 9815 (in Mass. Giuri. civ.,
1991 fasc. 9), si è fatto riferimento a tre società di persone caratterizzate dal
legame familiare tra gli amministratori, dalla sovrapposizione parziale della
struttura organizzativa e dall’impiego indistinto del personale rispettivamente
dipendente, prescindendosi dall’indagine sulla titolarità del capitale sociale o dei
poteri assembleari nelle distinte compagini, ammettendosi dunque forme di
collegamento più ampie e diversificate.
Sulla stessa linea si colloca la giurisprudenza che si è pronunciata in ordine alla
titolarità del rapporto di lavoro in caso di prestazioni rese da lavoratore nei
confronti di più soggetti. Si era infatti affermato che «indipendentemente dalle
ipotesi di trasferimento di azienda o di cessione del contratto, la successiva prestazione d’ininterrotta attività lavorativa alle dipendenze di due datori di lavoro,
soggettivamente distinti, ma svolgenti attività collegate in senso giuridico ed
economico per il raggiungimento di uno scopo comune a entrambi, comporta la
responsabilità solidale dei medesimi in ordine all’adempimento dei diritti derivanti al lavoratore dall’intero e unico rapporto di lavoro» (Cass., Sez. lav., 6
novembre 1982, n. 5825, in Mass. Giust. civ., 1982, fasc. 10-11). La solidarietà
nelle obbligazioni datoriali nascenti dal rapporto di lavoro, per il caso di un servizio prestato contemporaneamente e indistintamente per due imprenditori, è
stata anche successivamente ribadita dalla Suprema Corte (Cass., Sez. lav., 10
giugno 1986, n. 3844, in Mass. Giuri. civ., 1986, fasc. 6) ed è divenuto principio
ormai definitivamente acquisito.
Si è poi ritenuta la possibilità di ravvisare l’unico centro d’imputazione del
rapporto di lavoro non solo «allorquando vi sia una simulazione ovvero una
preordinazione in frode alla legge del frazionamento, fra vari soggetti di un’unica
e ininterrotta prestazione lavorativa», ma altresì quando «siano configurabili
interposizioni fittizie, o, viceversa, reali, ma fiduciarie, rivolte all’artificiosa
frammentazione di un rapporto sostanzialmente unitario» (Cass., Sez. lav., 29
novembre 1993, n. 11801, in Giur. it., 1994, I, 1, 1801; cfr. anche Cass., Sez. lav., 8 giugno 1991, n.
6524, in Mass. Giuri. civ., 1991, fasc. 6).
Anche i giudici di merito hanno fornito decisioni significative, non ritenendo, ad
esempio, «che al fine dell’applicazione delle nonne di cui agli artt. 1, 4 e 24 della
legge 223/91 sia necessario provare gli obiettivi fraudolenti o che via sia una
fraudolenta parcellizzazione»; qualora infatti concorra «una pluralità di elementi
35
presuntivi che induce a far ritenere che la pluralità di società è nella sostanza un
solo soggetto economico, vale a dire una sola impresa», ciò è stato valutato sufficiente per giudicare violato il disposto dell’art. 24 legge 223/91 (Pret. Milano 7
gennaio 1998, in D&L, 1998, 385; cfr. anche Pret. Napoli-Pozzuoli 13 gennaio 1995, in D&L, 1995,
690, e Pret. Milano 27 maggio 1992, in D&L, 1993, 182).
Con le più recenti pronunce, anche da parte della Suprema Corte si è pervenuti
all’individuazione di indici necessari perché venga affermata l’esistenza di un
unico rapporto di lavoro tra un dipendente e più datori di lavoro, o comunque tali
da formare un gruppo cosi strettamente collegato da costituire un unico centro
d’imputazione di rapporti giuridici. In quest’ottica, Cassazione civile, Sez. lav.,
22 febbraio 1995, n. 2008 (in Riv. crit. lav., 1995, 988), ha segnato senz’altro un
passaggio significativo.
Sono stati enunciati i seguenti requisiti:
a) l’unicità dello struttura organizzativa e produttiva;
b) l’integrazione tra le attività esercitate tra le varie imprese del Gruppo e
correlativo interesse comune;
c) il coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un
unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole
imprese verso uno scopo comune;
d) l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie
società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in
modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori
che fruiscono dell’attività del lavoratore» (criteri integralmente ripresi da Cass., Sez.
lav., 1° aprile 1999, n. 3136, in Mass. Giuri. civ., 1999, 734, su cui v. Trib. Genova 19 aprile
2001, cui si deve la presente ricostruzione della giurisprudenza, in Riv., giur. 1av., 2002, Il, 295,
con nota di Santulli)
Altre sentenze hanno attribuito carattere pressoché decisivo all’utilizzazione
indiscriminata e indifferenziata di lavoratori a opera di una pluralità di aziende
(Cass., Sez. lav., 19 giugno 1998, n. 6137, in Mass. Giust. civ., 1998, 1361, nonché Cass., Sez. lav., 28 agosto 2000, n. 11275, in Mass. Giust. civ, 2000, 1850.
Quest’ultima, ad esempio, ha ritenuto corretta l’inferenza del collegamento tra
un’impresa individuale e una società, per la sussistenza del requisito dimensionale richiesto dall’art. 35 legge 300/70, dalla sola «situazione di promiscuità
degli operai della ditta individuale e di quelli della società»).
Vale la pena precisare che questo percorso è coerente con la giurisprudenza
comunitaria, nella quale si è evidenziato che «nell’ambito del diritto della
concorrenza, la nozione di impresa deve essere intesa nel senso che essa si
riferisce a un’unità economica dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo, anche
se sotto il profilo giuridico questa unità economica è costituita da più persone
fisiche o giuridiche» (Corte Giustizia Cee 12.1.1995, n. 102, Comm. Cee e altro, in Foro it.,
36
1995, IV, 84, e, nello stesso senso, Corte Giustizia Cee 12 luglio 1984, n. 170, in Foro it., 1986, IV,
13).
Lavoro italiano all’estero, gruppi di impresa e tutela previdenziale
Sotto il profilo previdenziale, di poi, è bene ricordare che la Corte Costituzionale
con la sentenza n. 369 del 30 settembre 1985 ha affermato che «è testualmente
scritto in Costituzione (art. 35, ultimo comma) che la Repubblica tutela il lavoro
italiano all’estero. La chiarezza e perentorietà del dettato non si prestano ad
alcuna elusione, ad alcuna distorsione, ad alcuna dilazione, e non lasciano perciò
margine di dubbio sulla fondatezza della questione in esame». Con tali premesse,
la Corte Costituzionale giunge a dichiarare «l’illegittimità degli artt. 1 del r.d.l. 4
ottobre 1935, n. 1827 (“Perfezionamento e coordinamento legislativo della
previdenza sociale”) e 1 e 4 d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 (“Testo unico delle
disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali”), nelle parti in cui non prevedono le assicurazioni
obbligatorie a favore del lavoratore italiano operante all’estero alle dipendenze di
impresa italiana».
Per la verità la Corte, avuto riguardo ai casi oggetto di rimessione, tutti riguardanti lavoratori assunti in Italia e poi trasferiti all’estero, avrebbe potuto affermarne la tutela previdenziale italiana con una sentenza interpretativa di rigetto, recependo e convalidando l’orientamento della Cassazione. Quest’ultima
infatti era ormai ferma nell’armi-lettere alla tutela assicurativa obbligatoria tutti i
casi in cui il rapporto di lavoro fosse sorto in Italia (Cass. n. 4882/1985).
Viceversa la Corte emana una sentenza interpretativa di accoglimento (per addizione) allo scopo di ammettere a tutela ogni caso di «lavoratore operante
all’estero» e dunque anche quello assunto ab origine al di fuori del territorio
nazionale.
La Corte rigetta i profili ex artt. 3 e 38 ma accoglie quello dell’art. 35 Cost.;
convalida dunque la rilevanza, ai sensi del predetto art. 35, degli effetti di creazione della ricchezza nazionale mediante il lavoro all’estero; sottolinea la nozione unitaria del gruppo di impresa e ammette a tutela i lavoratori dell’impresa
italiana. E la nozione di impresa, agli effetti dell’art. 35 Cost., è comprensiva dei
gruppi di impresa la cui società madre sia italiana e presso cui confluiscano le
strategie, i programmi produttivi, gli investimenti e, soprattutto i conti consolidati e i profitti del gruppo.
Il che è comprovato a posteriori dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, che «intende
rispondere in materia positiva e, credo, precisa ad una sentenza della Corte
Costituzionale, che rende obbligatorie le assicurazioni a favore dei lavoratori
italiani operanti all’estero» (dalla relazione Azzolini del 24 settembre 1987 al
d.d.l. n. 1311, Atti parlamentari, 1987, 2.106; v. anche l’intervento di Sospiri, ivi,
37
2.109). In base all’art. 1, infatti «sono tenuti ad osservare le disposizioni (sulla
assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, salvo altro) [...] b) le
società costituite all’estero con partecipazione italiana di controllo ai sensi
dell’art. 2359, comma 1 del codice civile; c) le società costituite all’estero, in cui
persone fisiche e giuridiche di nazionalità italiana partecipano direttamente, o a
mezzo di società da esse controllate, in misura complessivamente superiore ad un
quinto del capitale sociale».
La stessa norma della legge n. 398/1987, con analoga interpretazione «autentica»
della sentenza della Corte afferma di poi che «le disposizioni [...] si applicano
anche nel senso di assunzione di lavoratori italiani in Paesi extracomunitari»
In sintesi — ai soli fini della tutela previdenziale — si affida alla legislazione
italiana anche il lavoro svolto alle dipendenze di un’impresa straniera, purché
questa risulti controllata da un’impresa italiana che diviene titolare degli obblighi
contributivi; ben oltre dunque il caso del distacco (su cui v. Alleva in questo
volume) (Cass. 19 gennaio 1995, n. 5470; Cass. 24 novembre 1997, n. 11753).
Le riforme legislative auspicabili
Il limite dell’assetto normativo attuale — eccezione fatta per la tutela
assicurativa dci lavoro all’estero — consiste nella tutela ex post: la mancanza di
un principio ordinatore chiaro e trasparente impone una verifica giudiziale del
centro unitario solo a valle della lesione dei diritti.
Manca, all’opposto, una pratica prevenzionale che sappia tempestivamente
imputare alla società capogruppo la gestione attiva dei rapporti di lavoro e delle
relazioni sindacali.
Appaiono dunque di particolare interesse le proposte legislative della Cgil per la
garanzia dell’occupazione e la tutela dei diritti, laddove un elemento
caratterizzante del progetto di legge (Alleva e altri, 2003, 93), oltre all’opzione
per il piano d’impresa condiviso, tra datori e sindacati, è dato dalla sua
dimensione allargata, mediante il rilievo conferito al Gruppo di imprese,
partecipate o integrate: tutto il gruppo deve essere coinvolto in ogni passaggio—
contratto di solidarietà, CIG, licenziamenti collettivi — al fine di identificare,
bilanci alla mano, le soluzioni alla crisi e agli esuberi che si manifestano in un
punto del Gruppo.
Di qui alla responsabilità sociale del (gruppo di) impresa il passaggio è breve:
prima delle garanzie previdenziali contano le garanzie del gruppo e quando i
licenziamenti non sono più evitabili i soggetti licenziati vanno inseriti in altre
aziende del gruppo o, in mancanza, vanno riqualificati o, in mancanza , vanno
riqualificati o, in ultimo, sostenuti con contributi all’esodo. Questo è il senso
della proposta di iniziativa legislativa sostenuta dalla Cgil.
L’attivazione di un circuito solidaristico entro il gruppo aziendale in effetti
garantisce un migliore reinserimento dei lavoratori e un uso più oculato delle
38
risorse previdenziali, conservative (integrazioni salariali) ed espulsive (indennità
di mobilità e di disoccupazione).
In effetti uno statuto generale di tutela imperniato sulla responsabilità sociale del
gruppo di imprese non è più rinviabile ed è reso necessario dai processi di
esternalizzazione produttiva, dai distretti e dai sistemi a rete, dalla integrazione
sistemica tra diversi comparti produttivi, dalla interdipendenza dei mercati (su
questi temi v. Alleva e altri, 2003, 63).
Avv. Michele De Felice
Foro di Salerno
Il trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda
nel Decreto Legislativo attuativo della legge 30/2003
Relazione al Convegno della Consulta Giuridica
della CGIL - Roma 3 ottobre 2003
Poche materie quale quella del trasferimento d’azienda sono state oggetto, nel
campo giuslavoristico, di un così vasto numero di interventi normativi e
giurisprudenziali, peraltro concentrati in un arco di tempo abbastanza ristretto.
La sensazione, abbastanza netta, che se ne trae, è che la questione abbia assunto,
probabilmente, un’importanza davvero centrale nel dibattito che da sempre
accompagna il contrastato processo di adeguamento dei vincoli legali in materia
di rapporto di lavoro alle modificazioni della realtà produttiva.
E’ del tutto evidente, infatti, che i processi di esternalizzazione extra ed intra
moenia (endo ed extraziendali) rappresentano – dopo le grandi ristrutturazioni
governate con gli strumenti della CIGS tra la fine degli anni 70 e gli anni 80 e
con i processi di collocazione in mobilità a partire dagli anni 90- la forma più
comune di “ terziarizzazione e decentramento funzionale“ e riguardano ormai
aspetti non più periferici ma centrali del ciclo produttivo.
Non è certo un caso, pertanto, che la materia sia stata oggetto, nel breve arco di
tempo di cinque anni, di due direttive comunitarie, due interventi normativi e di
una notevole e significativa serie di decisioni giurisprudenziali nazionali e
comunitarie.
39
Tanto ha portato, tuttavia, ad una singolare stratificazione normativa ed
interpretativa, il cui strato più superficiale è rappresentato dall’art.32 dello
schema di D.Lgs. oggi in esame.
Proverò oggi ad evidenziare alcune delle problematiche sollevate dalla nuova
formulazione della norma ed i possibili spunti di riflessione critica.
Prima di entrare nel vivo del tema mi sembra indispensabile formulare due brevi
premesse di ordine sistematico:
La prima: non é certo un caso che Il D Lgs. n.18/2001 abbia modificato la
originaria rubrica dell’art.2112, trasformandola da norma disciplinante il
“trasferimento d’azienda“ in norma in tema di “mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento d’azienda“ dando così riscontro immediato e
tangibile della ratio e degli scopi della stessa, così come desumibili, tra l’altro,
dalle direttive comunitarie. L’intenzione – dichiarata - di quel legislatore era
quella di dare rilievo centrale – all’interno della stessa - alle finalità di tutela
della posizione giuridica dei lavoratori rispetto a quelle di regolamentazione
delle vicende circolatorie dell’impresa, aspetti, peraltro, entrambi disciplinati
dalla medesima formulazione normativa (finalità contrapposte che De Luca
Tamajo definisce le “due anime“ dell’art.2112). E’ fin troppo evidente, al
contrario, il tentativo perseguito dal legislatore della legge 30/03 e dell’
emanando D.Lgs delegato di invertire l’ordine di importanza dei due aspetti,
privilegiando la finalità di agevolare la vicenda circolatoria rispetto all’esigenza
di tutelare le posizioni dei lavoratori interessati. Sarà bene tenere in conto questa
ambivalenza. Ma, fin qui, siamo, per così dire, nel campo della fisiologica
contraddizione presente in qualsiasi normativa in materia di lavoro.
A rendere più complesso il quadro di riferimento, tuttavia, è la seconda
considerazione sistematica: l’art.2112 c.c. in vigore utilizza una nozione
giuridica comune ai fini della regolamentazione di due fattispecie (il
trasferimento d’azienda e quello del ramo d‘azienda), solo apparentemente
omogenee, considerato che, all’interno di ciascuna di esse, l’assetto di interessi
riferibile alle parti interessate alla vicenda circolatoria (datore e lavoratori) viene
a configurarsi in modo del tutto diverso, se non addirittura contrapposto. E’ del
tutto evidente, infatti, che, dal punto di vista dell’interesse del lavoratore, sarà
auspicabile sostenere, di volta in volta, una nozione “ampia“ del trasferimento di
azienda ed una nozione “ristretta” del trasferimento di ramo d’azienda. E lo
stesso naturalmente vale, a posizioni invertite, per il datore di lavoro. Ne deriva
che nozioni e categorie elaborate (con evidenti intenti garantistici) in tema di
trasferimento di azienda, se “calate” acriticamente nella regolamentazione della
cessione del ramo d’azienda possono finire per legittimare le forme più selvagge
di esternalizzazione.
40
E’ per questo che il quadro normativo che si sta progressivamente formando,
appare scaturire (con evidente fenomeno di eterogenesi dei fini, puntualmente
evidenziato da più di un interprete) da una singolare sintesi interpretativa, prima
che normativa, di categorie giuridiche astratte, perché sradicate dal contesto e
dalle finalità di volta in volta perseguite.
Certo è che l’effetto di disorientamento che si prova nel leggere il testo
dell’ultima riforma è per certi aspetti, insuperabile, e ci costringe, probabilmente,
a rinunciare ad ogni pretesa di lettura “unificante” dell’art.2112.
Tanto con riguardo alla prima e fondamentale questione che la norma ci pone:
quella della identificazione della nozione stessa di trasferimento d’azienda
desumibile dall’art.2112 nella formulazione conseguente alle modifiche operate
dal D.Lgs.n.18.
Tale formulazione recepisce le indicazioni contenute nella Direttiva n.23/2001 e
gli spunti interpretativi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, giungendo ad
una nozione “leggera “ di azienda quale entità economica che conserva la propria
identità, intesa come insieme/complesso organizzato di persone e/o di elementi
patrimoniali (materiali o immateriali -) strumentale per l’esercizio di un’attività
economica, sia essa essenziale che accessoria.
La definizione presente nella direttiva comunitaria risulta infatti integrata dalla
nozione “leggera“ di azienda elaborata dalla giurisprudenza comunitaria (dalla
nota sentenza Suzen, in particolare) al fine di affermare l’applicabilità delle
direttive in materia alle fattispecie di trasferimento di attività esercitate con
apporto esclusivo di manodopera.
Nella versione recepita dal D.Lgs. 18/2001 la definizione risulta ulteriormente
“smaterializzata“ dall’abbandono del riferimento all’insieme di mezzi organizzati
contenuto nella direttiva 23/2001 in favore della formula “attività economica
organizzata“, che presuppone, appunto, la possibilità del trasferimento di parti di
azienda del tutto prive di elementi materiali.
Tale nozione peraltro (e qui riscontriamo gli effetti della contraddizione appena
evidenziata) viene utilizzata dal d.lgs 2001, per la prima volta, anche ai fini della
definizione normativa del “ramo d’azienda“, integrata dai riferimenti alla
“autonomia funzionale“ dell’entità oggetto della cessione ed alla necessità della
“preesistenza“ dei suoi elementi identificativi.
Il d.lgs 18/2001, pertanto, nell’ufficializzare la categoria del ramo d’azienda, ne
recepisce una nozione significativamente ampia rispetto alla nozione
commercialistica (art.2555 c.c.), con definitivo allontanamento dal riferimento ai
“beni organizzati per l’esercizio dell’impresa“ e significativo spostamento
dell’accento sulle nozioni di “articolazione funzionalmente autonoma“ e di
“attività economica organizzata“.
L’approccio alla questione era stato condiviso con accenti quasi entustiastici dai
sostenitori più accesi delle esternalizzazioni (De Luca Tamajo su tutti) che
41
intravedevano, attraverso tale nozione, la possibilità di estendere l’istituto a tutta
una serie di ipotesi precedentemente escluse.
A patto, naturalmente, di eliminare il requisito della preesistenza, interpretato
quale vero e proprio catenaccio del sistema.
Orbene, e qui è l’esempio più evidente di quella eterogenesi dei fini di cui
parlavo in precedenza, la nozione fortemente “smaterializzata“ di azienda
elaborata, a fini evidentemente garantistici per i diritti dei lavoratori in
riferimento all’ipotesi del trasferimento dell’intera azienda, nella versione
riveduta e corretta oggi in esame rischia di divenire pienamente spendibile quale
argomento a sostegno delle forme di esternalizzazione più selvaggia.
Ma sulle problematiche inerenti al ramo d’azienda torneremo da qui a poco.
Le norme in materia di trasferimento di azienda
Tornando al tema più generale del trasferimento d’azienda, mi preme
sottolineare come la norma dell’emanando D.Lgs. non sembra apportare
modifiche sostanziali alla precedente formulazione se non per la specificazione
ed il richiamo alle nozioni di “cessione contrattuale e fusione“ che mitigano la
portata della precedente formulazione (che aveva, invece, esteso la disciplina di
cui all’art.2112 “a qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità
di un’attività economica… a prescindere dalla tipologia negoziale o dal
provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato“. Tale ultima
formulazione intendeva risolvere (al di là delle stesse indicazioni contenute nelle
Direttive comunitarie) la questione dell’applicabilità del regime speciale in
esame alle fattispecie “ibride“ quali la successione in un rapporto di concessione
pubblica, per effetto di un provvedimento delle Pubblica Autorità ed altro. La
nuova formulazione limita, al contrario, l’applicabilità della norma alle
successioni contrattuali, pur mantenendo il riferimento (scarsamente
comprensibile) “al provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato”.
Ho letto, tuttavia, in una circolare del Dipartimento Politiche del lavoro datata
8.8.2003 che nella ultima formulazione dello schema di decreto, sparirebbe “ il
riferimento a possibili trasferimenti di attività anche se in assenza di beni
materiali”
Non mi sembra di poter condividere l’opinione, in quanto l’intervento sul testo
della precedente formulazione (che era stata, pacificamente, interpretata come
introduttiva della nozione “smaterializzata“ di azienda) si limita all’eliminazione
della locuzione (riferita all’attività economica organizzata) “al fine della
produzione di beni o di servizi“.
Trattasi di modifica non significativa, in quanto il carattere potenzialmente
smaterializzato dell’entità oggetto della cessione deriva dalla sua definizione
42
come “attività economica organizzata“ anziché dalla sua finalizzazione “alla
produzione di beni e servizi”.
D’altra parte, un’interpretazione più “pesante“ della nozione di “azienda“
finirebbe per contrastare quella che è la finalità, perseguita in modo fin troppo
evidente dal legislatore, di agevolare al massimo le esternalizzazioni.
La disciplina delle vicende circolatorie del “ramo d’azienda“
La definizione (già ampia) dell’entità economica oggetto del trasferimento
d'azienda richiamata dal legislatore del 2001 veniva arricchita, nella
formulazione normativa riferita al ramo d‘azienda, da una soluzione concettuale,
quale la definizione di “articolazione funzionalmente autonoma“, sicuramente al
passo con le più avanzate teorie organizzative (com’evidenziato, giustamente, da
Romei), ma priva di specifico contenuto giuridico. La definizione, peraltro, e lo
ribadisco senza alcuna ironia, è stata molto apprezzata dagli interpreti di chiara
fede confindustriale.
Sappiamo, tuttavia, che il legislatore del 2001 aveva volutamente contemperato
la amplissima nozione di “ramo d’azienda“ inserita nel testo normativo con la
previsione del noto requisito della preesistenza (la cui origine giurisprudenziale è
nota a tutti).
Sappiamo, altresì, che l’attuale legislatore ha espressamente eliminato tale
requisito attraverso il riferimento “ad un’attività economica organizzata
identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del
trasferimento“.
La (duplice) domanda che dobbiamo porci è pertanto.
• da un lato, se il requisito della “preesistenza“ rappresenti una condizione
meramente aggiuntiva della fattispecie e, in quanto tale, sia legittimamente
eliminabile a seguito di un successivo intervento normativo, ovvero non ne
integri un elemento costitutivo, rispetto al quale la formulazione normativa
esercitava una mera (da taluni criticata) funzione confermativa;
• dall’altro, se la condizione di “preesistenza“ apposta nel D.Lgs.18/2001 a
presidio dei possibili usi scorretti o fraudolenti di una nozione così ampia di
“ramo d’azienda“ quale quella elaborata dalla stessa norma rappresentasse,
davvero, l’unica difesa possibile e se la sua eliminazione costituisca la
riprova della definitiva trasmigrazione della fattispecie del trasferimento di
ramo d’azienda nel campo di esercizio dei poteri datoriali insindacabili.
La questione non è di poco conto, atteso che la materia è stata, in un recentissimo
passato, oggetto di forme di controllo giudiziale particolarmente penetranti e
contrastate, che hanno frenato non poco il ricorso allo strumento della
esternalizzazione, tanto da portare autorevoli interpreti del D.Lgs.18/2001 a
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chiedersi se il fine del legislatore fosse stato quello di agevolare ovvero di
ostacolare il fenomeno ed ad indurre l’odierno legislatore ad intervenire “a
gamba tesa“ sulla norma, attraverso l’elaborazione di modifiche esplicitamente
finalizzate ad incentivare il ricorso alle esternalizzazioni -. in stretto
collegamento negoziale con i contratti di appalto (fino a configurare quello che è
stato definito “contratto di esternalizzazione“).
L’eliminazione del requisito della preesistenza ed il riferimento alla nozione di
“attività economica organizzata identificata come tale dal cedente dal cessionario
al momento del suo trasferimento" sembrerebbero aprire le porte ad un uso
praticamente illimitato dello strumento, che demanderebbe la funzione garantista
agli ordinari rimedi giuridici contro i comportamenti fraudolenti che
costituiscono, invece, solo una delle forme possibili di tutela per i lavoratori.
La soluzione ipotizzata appare, a dir poco, opinabile.
Il requisito della preesistenza
In ordine al primo aspetto, è da evidenziare che numerosi interpreti del d.lgs. del
18/2001 avevano sottolineato con accenti critici il requisito della preesistenza,
rilevando la sua inidoneità a sciogliere in modo soddisfacente i nodi
interpretativi presenti nella norma e la sua natura, per così dire, pleonastica, in
considerazione del fatto che l’identità della articolazione ceduta non poteva che
preesistere o meglio ancora, esistere, quale presupposto logico, prima che
giuridico, del trasferimento.
La stessa Corte di Cassazione (sentenza 15105/2002), sul punto, aveva
espressamente dichiarato la natura meramente ricognitiva della legge del 2001,
con particolare riferimento agli esiti del dibattito giurisprudenziale in tema di
cessione di ramo d’azienda.
C’è da dire, tuttavia, come la stessa sentenza, nella sua parte finale,
espressamente richiami quelli che (allora) erano disegni di legge di riforma della
materia, citando espressamente, senza alcun rilievo critico, l’intenzione di
eliminare il requisito della preesistenza. La notazione appare, tuttavia, non
espressamente argomentata e, pertanto, non indicativa.
In ogni caso, va ribadito come i requisiti “ontologici“ e strutturali identificati sia
dalla direttiva comunitaria che dalla normativa nazionale, dovranno essere
posseduti dall’entità oggetto della cessione indipendentemente dalla
“identificazione al momento della cessione“ operata dal cedente e dal
cessionario, alla quale, in altre parole, non potrà di certo attribuirsi valore
“costitutivo“.
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A ben vedere, la stessa formulazione dell’art.32 della bozza di D.lgs in esame
consente una interpretazione coerente con i principi di diritto comunitario
contenuti nella direttiva 23/2001, evitando la censurabilità della norma sotto il
profilo della violazione del canone comunitario.
In particolare, l’uso dell’espressione “identificata come tale dal cedente e dal
cessionario al momento del suo trasferimento“ descrive la fase (da sempre di
competenza di cedente e cessionario) di mera definizione e delimitazione
dell’entità oggetto della cessione. Tale entità tuttavia, non potrà risultare priva
dei requisiti di autonomia funzionale e di organizzazione di mezzi (personali e/o
materiali) che rappresentano, sia per la norma nazionale che per la direttiva
comunitaria, condizioni imprescindibili di applicabilità del particolare regime
circolatorio.
Non sarà pertanto sufficiente, a mio giudizio, che le parti “individuino“ una
qualsiasi porzione dell’azienda perché la stessa sia qualificabile “articolazione
funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata“.
Mi rendo conto che l’interpretazione letterale della norma sembrerebbe far
intendere che l’intenzione del legislatore sia, al contrario, proprio quella di
attribuire valore “costitutivo“ al momento dell’identificazione. E’ la
preoccupazione espressa, senza mezzi termini, dalla circolare del Dipartimento
Politiche attive del lavoro datata 15 settembre, nella quale viene indicato, come
rimedio possibile, quello della denuncia della lesione della “clausola di non
regresso“ presente nella direttiva comunitaria.
Concordo pienamente con il giudizio di merito, nel senso che, effettivamente,
l’interpretazione qui contestata risulterebbe chiaramente peggiorativa rispetto
alla precedente formulazione così come rispetto alla stessa direttiva. Mi sembra,
tuttavia, che ritenere tale interpretazione come l’unica possibile possa farci dare
per persa in partenza una partita che, sul piano dei principi e del diritto positivo,
mi sembra ancora tutta da giocare.
Prima di arrivare alla denuncia della violazione della clausola di non regresso,
infatti, va fortemente sostenuta la tesi della interpretabilità della norma in
conformità ai principi del diritto comunitario, che consentirebbe al giudice
nazionale la verifica della sussistenza delle condizioni di applicabilità della
normativa in materia di trasferimento d’azienda e di ramo a prescindere
dall’identificazione effettuata dalle parti.
In tale ottica, andrà comunque accertato se gli elementi (materiali e/o
immateriali) accorpati ai fini della cessione rivestano le caratteristiche di
autonomia funzionale e di organizzazione produttiva richieste dalla norma.
L’interpretazione qui suggerita mi sembra quella maggiormente coerente con la
ratio della disposizione e con i principi sanciti dalle direttive comunitarie e dalla
stessa giurisprudenza della Suprema Corte. Ogni diversa lettura, infatti,
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priverebbe di significato il riferimento, contenuto nella norma, alla definizione
delle caratteristiche dell’entità economica ceduta
In tal senso spero che già l’interpretazione dei giudici di merito consenta di
superare lo scenario, sicuramente meno rassicurante, ipotizzato dalla circolare.
Sul punto, tuttavia, potrebbe verificarsi una soluzione giurisprudenziale per così
dire “ intermedia” Non è da escludere, infatti, che la giurisprudenza possa
disattendere la interpretazione “ costituiva del procedimento di identificazione (
così come ipotizzabile a partire dalla formulazione normativa, ed accedere,
tuttavia, sul piano pratico, ad una nozione molto elastica di ramo d’azienda ( in
ciò confortata dalla nozione “ leggera “ recepita già dal D.Lgs.18/2001) che
finisca per legittimare, in pratica, ogni forma di esternalizzazione.
In tal caso, pertanto, l’effetto negativo sul sistema sarebbe prodotto dalla stessa
nozione di ramo d'azienda e non dal requisito della preesistenza che
rappresenterebbe, a quel punto, un falso problema.
La verifica "ex post" della sussistenza dei requisiti di identificabilità quale
"ramo d'azienda" dell'entità oggetto della cessione
La nuova formulazione sembra agevolare l’esternalizzazione di qualsivoglia
articolazione dell’azienda. In realtà, per poter usufruire del particolare regime di
cui all’art. 2112 (non essendo, ovviamente preclusa all’imprenditore la cessione
ordinaria a terzi di strutture produttive e/o di personale) il datore di lavoro non
potrà che trasferire entità con le caratteristiche di autonomia funzionale ed
organizzazione previste dalla norma.
E tali caratteristiche saranno, certamente, più facilmente presenti in un’entità
preesistente alla cessione che non in una “assemblata” per l’occasione.
Nella pratica applicazione, l’assetto organizzativo dotato di autonomia
funzionale identificato al momento della cessione potrebbe peraltro rivelarsi non
idoneo, con possibilità, tutt’altro che infrequente, specie nelle esternalizzazioni
endoaziendali che il datore di lavoro riutilizzi personale “ceduto” presso
“l’azienda madre” (o, viceversa), ovvero che si verifichino commistioni
gestionali che smentiscano quanto affermato in sede di trasferimento.
La stessa formulazione normativa, peraltro, consente di individuare quali
requisiti per l’applicabilità dello speciale regime la “organizzazione dei mezzi” e
la “identità dell’entità economica”, entrambi desumibili dalla Direttiva
comunitaria 23/2001, rispetto ai quali sussisterà, comunque, una possibilità di
verifica giudiziale, se non più ex ante, almeno ex post, nel senso che l’entità
economica individuata al momento della cessione dovrà dimostrare, nelle
successive fasi operative, effettiva autonomia funzionale ed adeguata dimensione
organizzativa, solo affermate al momento della cessione.
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In questo senso, pienamente recuperabili appaiono numerosi spunti desumibili
dalla giurisprudenza comunitaria e della S.C. che avevano portato ad escludere la
possibilità di trasferire separatamente pezzi d’azienda assemblati in modo del
tutto strumentale e disorganico.
Ulteriore argomento a sostegno di interpretazioni meno aleatorie ed arbitrarie
della nozione potrebbe giungere dal requisito della “conservazione nel
trasferimento della propria identità”.
Tale requisito (originariamente previsto dal D.Lgs. 18/2001 sia per il
Trasferimento d'azienda sia di ramo) risulta oggi confermato solo con
riferimento all’ipotesi di trasferimento d'azienda. Tale omissione, tuttavia, non
deve essere ritenuta decisiva, considerato l’esplicita formulazione della direttiva
comunitaria 2001/23, che fa espresso riferimento “ad un’entità economica che
conserva la propria identità”, attribuendo alla nozione caratteristiche di stabilità
strutturale che dovrebbero metterci al riparo da interpretazioni eccessivamente
disinvolte, pur astrattamente riconducibili al testo normativo.
Il concetto di “conservazione di identità”, infatti, presuppone, logicamente, la
ontologica preesistenza della identità stessa ed una sua permanenza per un tempo
apprezzabile.
Ognuno di questi argomenti, peraltro, meriterebbe un approfondimento di ben
maggiore ampiezza.
Gli strumenti sanzionatori e di tutela
Giungendo all’esame degli strumenti sanzionatori e di tutela e dei possibili
effetti, rispetto agli stessi, della “eliminazione“ del requisito della preesistenza,
va sottolineato che la normativa in materia di trasferimento d'azienda, benché
finalizzata a realizzare ristrutturazioni e scomposizioni del ciclo produttivo
senz’altro paragonabili a quelle realizzate attraverso i processi di mobilità,
risulta, da sempre, sprovvista di adeguati e specifici strumenti sanzionatori.
Del tutto irrilevante, infatti, in quanto inidoneo ad invalidare il negozio traslativo
appare il ricorso ex art.28 esperibile per violazione delle procedure informative.
Tale aspetto, se da un lato ha reso più difficile l’esercizio delle tutele, dall’altro
ha evitato che la giurisprudenza si limitasse ad assicurare tipologie di tutela
meramente formalistiche (come quelle elaborate in tema di licenziamento
collettivo per violazione delle norme procedimentali di cui alla legge 223/91),
inducendo, al contrario i giudici a sindacare “nel merito“ le scelte datoriali.
Trattasi di argomento di non poco conto.
Il sindacato giurisdizionale sulle operazioni di Trasferimento di ramo d’azienda
si è, storicamente, manifestato, infatti, nelle seguenti forme
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a) sindacato circa la sussistenza dei presupposti di applicabilità del regime
giuridico del Trasferimento d’azienda
b) accertamento della natura fraudolenta e/o simulata della cessione;
c) accertamento di comportamenti antisindacali per violazione delle procedure
informative.
Se è possibile esprimere un giudizio sintetico, ai limiti del sommario, andrà evidenziato che,
attesa la sostanziale inefficacia della tutela di cui all’art.28, l’effettiva funzione di tutela sia stata
svolta dalle controversie di cui alle lettere a) e b).
Con una differenza sostanziale tra l’una e l’altra ipotesi: mentre nella prima
ipotesi, in caso di contestazione, il datore di lavoro è tenuto a dover dimostrare in
giudizio i fatti che determinano, in suo favore, la sussistenza del diritto a
trasferire il ramo d’azienda e, pertanto, la natura di articolazione funzionalmente
autonoma dell’attività economica organizzata ceduta, nel secondo é il lavoratore
a dover fornire la prova (tutt’altro che agevole) della natura fraudolenta della
cessione.
E’ del tutto evidente che la posizione processuale del datore di lavoro è molto più
disagevole nella prima ipotesi.
Di qui il tentativo – esplicitamente dichiarato - di “disinnescare“ la possibilità di
sindacato giurisdizionale dell’operazione di trasferimento insita nella nuova
formulazione dell’art.2112 ed il tentativo di limitare il controllo garantistico alle
sole ipotesi di fraudolenza e di violazione di norme procedimentali.
E’ un aspetto che va sottolineato con forza perché spesso, impropriamente, si
assiste a contestazioni giudiziali in cui vengono sollevate, promiscuamente,
questioni attinenti la natura di ramo d’azienda dell’entità ceduta con questioni
discriminatorie, simulatorie, interpositive, fraudolente, etc.
Si tratta, evidentemente, nel secondo caso di tematiche del tutto diverse,
sottoposte a regole processuali differenti, in particolare, con onere probatorio
(particolarmente pesante) a carico del lavoratore.
Un errore nella prospettazione delle questioni può rivelarsi, sul punto, decisivo.
Tornando ai possibili effetti giuridici della eliminazione, nella norma in esame,
del requisito della “preesistenza” con riferimento al sistema delle tutele, sembra
potersi affermare la natura non decisiva di tale nozione, sulla quale peraltro, si
erano già pronunciate una notevole parte dei commentatori e la stessa Suprema
Corte.
Il controllo giudiziale circa le modalità di esercizio del potere datoriale di
trasferire l’azienda (e, con essa, i rapporti di lavoro ad essa inerenti) trae origine,
nel nostro ordinamento, proprio dal particolare regime di novazione soggettiva
desumibile dalla norma, regime che, consentendo al datore di lavoro di sostituire
a sé, quale contraente del contratto di lavoro un soggetto diverso
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indipendentemente dal consenso del lavoratore/contraente ceduto altera
l’ordinario regime contrattuale.
Il diritto dell’imprenditore a trasferire (oltre agli eventuali beni) i contratti di
lavoro indipendentemente dal consenso del lavoratore appare infatti
configurabile quale “diritto potestativo“.
Ricostruita in tal senso la fattispecie giuridica ne consegue che il lavoratore potrà
limitarsi a formalizzare la sua contestazione, mentre sarà onere del datore quello
di dimostrare la sussistenza dei requisiti previsti dalla norma.
E potrebbe trattarsi, allo stato, di onere di non facile soddisfazione da parte del
datore di lavoro, considerata l'assoluta indeterminatezza e labilità dei parametri
richiamati.
Vanno, pertanto, ricostruite, brevemente, le forme più tipiche di contestazione
dei procedimenti di cessione di ramo d’azienda: in primis, esaminiamo il caso tutt’altro che infrequente e destinato ad incrementarsi - in cui sia in discussione
la natura di ramo d’azienda dell’entità ceduta (ad es. nel caso in cui non sia
dotata di autonomia funzionale, di effettiva organizzazione, ovvero perda
qualcuno di questi requisiti in epoca immediatamente successiva al
trasferimento).
In tal caso, ribadita la necessità di non proporre impugnazioni basate su
argomenti promiscui e sottoposti a regimi sostanziali e processuali diversi andrà
rimarcato, in via principale, l’onere del datore di lavoro di dimostrare (in modo
adeguato e conforme alle nozioni desumibili dal diritto nazionale e comunitario)
la sussistenza dei fatti che determinano la sussistenza, in suo favore, del diritto a
procedere al trasferimento. Le ulteriori questioni (fraudolenza, simulazione)
potranno essere proposte in via subordinata, con articolazione di apposite istanze
istruttorie
Al fine di una più dettagliata contestazione sarà interessante “monitorare“
l’attività aziendale del “ramo“ ceduto per un tempo, successivo alla
formalizzazione della cessione, idoneo a verificarne la coerenza con la
prospettazione “identificata“ al momento della cessione stessa, atteso che, in tal
caso, sarà da valutare ex art. 1362 c.c. II co. il comportamento tenuto dalle parti
successivamente alla conclusione del contratto.
Poiché la giurisprudenza ha costantemente affermato che, in caso di accertata
inapplicabilità delle norme in materia di trasferimento d’azienda, la cessione del
rapporto di lavoro sarà qualificabile come mera cessione del contratto, inefficace
in ragione del mancato consenso del lavoratore ceduto, sarà opportuno poi:
• contestare, sin dalla procedura informativa sindacale, la sussistenza dei
requisiti di applicabilità della normativa;
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•
notificare, da parte dei lavoratori interessati, il proprio dissenso alla cessione,
accompagnato dall’offerta della prestazione lavorativa alla cedente
proponendo, eventualmente, tentativo di conciliazione ex art.410 c.p.c.;
Va da sé che ciò comporta l’immediato coordinamento tra i soggetti sindacali
deputati alle procedure informative di cui alla legge 428/90, gli uffici vertenze ed
i legali di riferimento, che dovranno sviluppare la propria strategia difensiva sin
dall’inizio della procedura.
Le cessioni fraudolente
Il tema delle cessioni fraudolente è comune a tutte le versioni normative
succedutesi nel tempo.
E’ immaginabile che le novità in via di approvazione incentivino ulteriormente il
ricorso a forme di esternalizzazione illecite e meramente espulsive.
Come molti di voi sanno, è un tema questo di cui mi sono occupato a proposito
del caso Standa, che ha indotto i compagni che hanno organizzato questo
incontro ad attribuirmi il ruolo (per me insolito e certamente immeritato) di
relatore.
Prendendo spunto da questo caso, proverò ad elencare gli elementi che hanno
indotto i giudici di primo e secondo grado a dichiarare la natura illecita e
fraudolenta di quella cessione e, conseguentemente, la nullità della stessa e la
continuità giuridica dei rapporti di lavoro con la cedente.
Ometterei i passaggi più strettamente processuali.
Mi preme evidenziare, tuttavia, che i giudici hanno attenuato l’onere probatorio
della natura fraudolenta ed illecita della causa del contratto ovvero dei motivi
comuni alle parti contraenti (che, come ho sopra ricordato, nel caso di specie,
ricade sui lavoratori), affermando che tale prova non può che essere presuntiva, e
quindi meno rigida e desumibile da una varietà di elementi.
Vorrei elencare, al proposito, gli elementi, i fatti ed i comportamenti (anche
successivi alla stipula del contratto ex art.1362 c.c.) valutati, a tal fine, dai
giudici:
natura delle parti contraenti (dimensione societaria della cedente e della
cessionaria, con particolare riferimento al capitale sociale, identità degli
amministratori)
importanza dell’azienda cedente e “debolezza“ imprenditoriale e
strutturale della cessionaria (successivamente fallita). (eventuale
sussistenza o non di specifica esperienza imprenditoriale della
cessionaria);
50
modalità contrattuali della cessione (desumibili dallo stesso atto pubblico di
vendita del ramo d’azienda), in particolare
determinazione generica o inadeguata del prezzo della cessione di merci
o attrezzature (da determinarsi eventualmente in un momento successivo
alla cessione attraverso inventari o altre procedure equivalenti, ovvero
con sconti superiori alle prassi commerciali che consentano alla
cessionaria di lucrare un immediato profitto, la cui distrazione può
configurare il motivo – illecito- che ha indotto la stessa alla stipulazione
del contratto);
determinazione equivoca delle poste attive e passive;
difficile identificabilità e/o inadeguatezza del prezzo effettivo
dell’operazione;
modalità insolite di pagamento (con particolare riferimento ai pagamenti
differiti);
natura ed entità delle garanzie prestate dall’acquirente (tale elemento, di
regola presente in tutte le transazioni di un certo rilievo economico, tende
a sparire del tutto nelle operazioni fraudolente);
modalità di trasferimento del debito per TFR maturato nei confronti dei
dipendenti. Tale aspetto riveste, a mio giudizio, un’importanza del tutto
particolare, considerato che, in virtù dei noti orientamenti
giurisprudenziali in materia, unico debitore del tfr, concernente l’intero
rapporto di lavoro risulta essere il cessionario, con la conseguenza che,
nel caso tutt’altro che raro di fallimento di quest’ultimo, potrà essere
ammesso al passivo (e quindi liquidato dal fondo di garanzia) un
trattamento maturato in massima parte durante il periodo di lavoro alle
dipendenze del cedente. Evidenti i possibili usi distorti e fraudolenti ai
danni dell’INPS, che vengono, di regola, tenuti in grande considerazione
dai giudici.
modalità di trasferimento delle autorizzazioni amministrative, delle
utenze di servizio, dei contratti di fornitura (il regime ordinario per questi
ultimi, ex art.2558 c.c. è, infatti, quello della successione nei contratti.
L’eventuale disdetta può rappresentare indice della natura fraudolenta
della cessione);
cessione del contratto di affitto (l’art. 36 della legge 392/78 prevede la
successione nel contratto del cessionario, indicativa risulta, pertanto,
l’eventuale disdetta del cedente)
modalità di gestione dell’attività ceduta da parte della cessionaria
modalità di (mancato o insufficiente) approvvigionamento di merci,
materie prime o materiali di consumo;
51
modalità di esercizio del potere direttivo sui dipendenti da parte del
cessionario ed eventuali inadempimenti contrattuali (mancato esercizio
dei poteri organizzativi e direttivi);
modalità di esercizio dell’attività d’impresa ( può risultare, in concreto,
non esercitata)
esistenza di precedenti accordi sindacali che avrebbero ostacolato la
licenziabilità, da parte dell’impresa cedente, dei lavoratori addetti al ramo
ceduto.
Le modalità della contestazione, come già precisato in precedenza, richiedono un
ruolo attivo del sindacato sin dalla fase informativa, con manifestazione,
preferibilmente già in tale sede, di riserve circa l’identità del cessionario e la
natura dell’operazione.
Sempre a proposito della fase informativa, sottolineerei l’insufficienza della
formulazione normativa (peraltro desunta dalle direttive comunitarie) che fa
esclusivo riferimento alla data, ai motivi, alle conseguenze giuridiche del
trasferimento ed alle misure previste nei confronti dei lavoratori e non alle
modalità della cessione, modalità che possono rivestire invece, carattere decisivo
ai fini dell’accertamento della sua natura fraudolenta.
Un’accorta gestione sindacale dovrebbe poter colmare tale lacuna.
Altra soluzione potrebbe essere, in presenza di un più generale ricorso alle
procedure di esternalizzazione, la previsione di clausole contrattuali collettive
che amplino, significativamente, i diritti di informazione sindacale.
Appare altresì opportuna la comunicazione, da parte dei lavoratori, della mancata
accettazione della cessione e l’offerta della prestazione lavorativa al cedente.
La più compiuta contestazione della cessione, peraltro, potrà, di regola, con più
successo proporsi quando, a seguito del decorso di un congruo lasso di tempo si
sia pienamente manifestata la natura fraudolenta della stessa (ad esempio con la
definitiva cessazione dell’attività, il licenziamento dei dipendenti da parte della
cessionaria senza attivazione delle procedure di cui alla legge 223/91, il suo
fallimento).
La tutela contro i comportamenti discriminatori
Ultimo aspetto da considerare appare quello della tutela contro i possibili
comportamenti discriminatori scaturenti dalla identificazione, solo all’atto della
cessione, dell’entità ceduta.
L’eliminazione del requisito della preesistenza accentuerà senz’altro, infatti, la
problematica, in considerazione del fatto che, in caso di esistenza di una platea
ampia di possibili destinatari o di lavoratori occupati in mansioni “dentro e fuori
il ramo“, il datore di lavoro potrà liberamente scegliere l’identità dei lavoratori
interessati alla cessione.
52
Le tutele antidiscriminatorie ordinarie e speciali appaiono probabilmente
insufficienti, così come il richiamo agli obblighi di correttezza e buona fede. Si
farà senz’altro avvertire l’assenza di regole quali quelle elaborate in materia di
licenziamenti collettivi, o, più puntualmente, precisate dal D.Lgs.18/1999 in
tema di trasferimento di servizi aeroportuali.
Qui mi fermo, anche se, considerata la vastità e la problematicità dell’argomento,
le omissioni da me compiute saranno di gran lunga superiori agli aspetti trattati.
Vorrei però sottolineare come il nostro sforzo interpretativo, mai come in questo
caso, è utile ed atteso, fortemente.
Atteso, in particolare, da tutti quegli operatori del diritto, primi tra tutti magistrati
ed avvocati, che avvertono come inaccettabili ed estranee al nostro sistema
giuridico molte delle leggi in via di approvazione e chiedono alla CGIL, di fare
qualcosa, di impedire che si verifichi il “ profondo snaturamento ( a me, per la
verità hanno parlato di “ fine”) del diritto del lavoro“ che molti intravedono
quale approdo ultimo di questo sciagurato processo legislativo.
E’ una responsabilità grande, alla quale non possiamo sottrarci.
Dott.ssa Clotilde Fierro
Consigliera Corte d'Appello Lavoro di Torino
Trasferimento d’azienda e modifica dell’art. 2112
appalto di manodopera e distacco dei lavoratori
da “La riforma del diritto del lavoro – dal mito della
flessibilità alla realtà del precariato”
atti del Convegno CGIL Piemonte e Magistratura democratica -Torino 2004
Prima di esaminare nel dettaglio gli istituti contrattuali dei quali oggi sommariamente parlerò - trasferimento di azienda, appalto e distacco dei lavoratori vorrei sottolineare che con il decreto legislativo 276/03 in genere -ed in
particolare con le norme che esaminerò- si è realizzata una brusca inversione di
tendenza essendo mutato il soggetto tutelato dalla legge; a differenza di quanto
noi giuslavoristi eravamo abituati a fare in precedenza, qui non ci troviamo ad
analizzare un normativa di tutela più o meno soddisfacente dei diritti dei
53
lavoratori, bensì una normativa che in prima battuta si occupa di consentire
all'imprenditore la maggior libertà possibile nella gestione dell'impresa e delle
sue vicende modificative o traslative e solo secondariamente si occupa delle
ricadute che i detti processi possono avere sui presta tori di lavoro, pedine
indispensabili per la realizzazione degli interessi imprenditoriali da relegare
però nel ruolo di spettatori.
Trasferimento d’azienda e di ramo
In tema di trasferimento di azienda è stato acutamente osservato (cfr. Alleva
"Ricerca ed analisi dei punti critici del d.lgs. 276/03 sul mercato del lavoro" in
Riv. Giur. Lav. 2003, fasc. 4; Romei "Cessione di ramo d’azienda e appalto" in
Giur. Dir. 1999 n.329) che" l'art. 2112 c.c. ha subito una sorta di mutazione
giacchè da norma invocata dai lavoratori a protezione dei loro diritti in caso di
sostituzione del datore di lavoro tende ora piuttosto a rappresentare un ombrello
impugnato dall'imprenditore per conferire unità alle struttura produttive ed alla
manodopera esternalizzata".
Iniziamo ad esaminare rapidamente le novità legislative in materia di trasferimento di azienda.
L'art. 1 lett. p) L. 30/03 stabilisce i criteri direttivi per la revisione dell'art. 2112
c.c. e tra questi prevede innanzitutto " il completo adeguamento della disciplina
vigente alla normativa comunitaria anche alla luce del necessario coordinamento
con la legge 10 marzo 2002 n. 39 che dispone il recepimento delle direttiva 2001
/23/CEE".
La necessaria conformità della disciplina del trasferimento d'azienda a quella
comunitaria è quindi espressamente ribadita dal legislatore delegante (che utilizza il termine adeguamento) ed ulteriormente rafforzata dal richiamo alla legge
39/02 e può costituire un importante strumento di interpretazione specie in tema
di definizione del ramo di azienda in relazione al quale è maggiore l'esigenza di
difesa dei diritti dei lavoratori. Le novità contenute nell'art. 32 d.lgs. 276/03 non
incidono sui primi quattro commi dell'art. 2112 c.c.; restano quindi immutate
tanto la tutela individuale del lavoratore (e cioè il permanere del rapporto con
conservazione dei diritti non costituendo il trasferimento motivo di
licenziamento ed il diritto all'applicazione del CNNL applicato dal cedente fino
alla sua scadenza) quanto quella collettiva (procedure di informazione e
consultazione preventiva con i rappresentati dei lavoratori).
Analogamente la disciplina del trasferimento di azienda nella sua globalità è
rimasta sostanzialmente immutata; infatti è stata mantenuta la nozione cosiddetta
"leggera" di azienda con abbandono del riferimento all'insieme dei mezzi
organizzati indicato dall'art. 2055 c.c. e l'adozione della formula, più ampia, della
"attività economica organizzata".
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Sono stati inoltre ribaditi i due requisiti della preesistenza dell'attività al
trasferimento e della conservazione dell'identità nel trasferimento.
Le modifiche apportate sono solo due ed hanno un contenuto marginale:
1) è stato inserito l'inciso" a seguito di cessione contrattuale o fusione" riferito.
all'operazione che comporta il mutamento nella titolarità; non può essere
condivisa una interpretazione restrittiva (nel senso cioè di richiedere la preesistenza di una relazione contrattuale diretta tra cedente e cessionario con
esclusione dei mutamenti conseguenti a concessione amministrativa) poiché
la norma parla di "qualunque operazione che comporti il mutamento nella
titolarità di una attività economica organizzata ... a prescindere dalla
tipologia negoziale o del provvedimento in base al quale il trasferimento è
attuato" così chiaramente volendo ricomprendere nel proprio ambito di applicazione qualunque modificazione nella titolarità dell'impresa.
2) è stata soppressa la specificazione che l'attività economica organizzata è
finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi; si tratta di abolizione inutile perché la finalizzazione è prevista dall'art. 2082 c.c.
Le novità significative sono invece quelle che riguardano il trasferimento del
ramo d'azienda in relazione al quale è concreto il rischio della realizzazione di
veri e propri processi di riduzione del personale realizzati al di fuori delle
garanzie di legge ed è quindi necessaria una tutela più forte dei lavoratori appartenenti al ramo ceduto.
Nel testo previgente il ramo di azienda, definito come articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata, doveva avere le
caratteristiche della preesistenza e della conservazione dell'identità, requisiti
entrambi soppressi e sostituiti dalla identificazione del cedente e del cessionario
al momento del trasferimento.
A mio parere la norma non può essere interpretata nel senso della esistenza di
un potere costitutivo in capo alle parti per tre ragioni:
1) il legislatore ha utilizzato il termine "identificato" e non "costituito" ed il
primo criterio ermeneutico è quello letterale;
2) l'autonomia contrattuale delle parti non è libera bensì si muove all'interno del
requisito espressamente previsto dell'essere l'oggetto della cessione costituito
da una articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica
organizzata; è quindi prevedibile che anche a seguito della modifica
legislativa, tutt'altro che chiarificatrice dell'ambito di applicazione dell'art.
2112 c.c., permarrà la diatriba sulla nozione di autonomia funzionale ed in
particolare se la stessa debba essere attuale ovvero potenziale. Ricordo che
secondo l'orientamento più restrittivo, al quale mi sento di aderire, " il ramo
di azienda, per essere tale, deve avere una sua autonomia funzionale nel
55
senso che deve presentarsi come una sorta di piccola azienda in grado di
funzionare in modo autonomo e non rappresentare, al contrario, il prodotto
dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra di
loro; non può essere condivisa la tesi secondo cui l'autonomia funzionale del
ramo trasferito può essere anche solo potenziale essendo sufficiente l'astratta
idoneità del nucleo di beni o rapporti ceduti ad essere organizzati per
l'esercizio di un'attività; il diritto positivo richiede invece, per l'applicazione
dell'art. 2112 c.c., che sia ceduto un complesso di beni che oggettivamente si
presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed
economica funzionalità allo svolgimento di un'attività volta alla produzione
di beni o servizi" (così Cass. 15105/02).
L'opzione interpretativa che tende a restringere la nozione di autonomia
funzionale del ramo ceduto consente di proteggere i lavoratori dal rischio di
perdita del posto di lavoro perché questo requisito è quello che garantisce la
capacità di quel segmento produttivo di continuare a svolgere la propria
attività economica organizzata così com’è con possibilità di conservazione
dei rapporti di lavoro.
3) il trasferimento di azienda nella sua globalità si distingue dal trasferimento
del ramo dal punto di vista quantitativo e quindi sarebbe assolutamente irrazionale ed ingiustificato prevedere solo per il primo dei due requisiti della
preesistenza e della conservazione dell'identità, specie ove si consideri che il
titolo dell'art. 2112 c.c. continua, almeno per ora, ad essere il" mantenimento
dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda" e la predetta
esigenza è certo più consistente proprio nel trasferimento del ramo di
azienda.
In conclusione mi sembra che si possa tranquillamente sostenere che la ricognizione effettuata dalle parti ha il solo scopo di definire l'oggetto della
cessione.
Alcuni commentatori (cfr. A. Andreoni "Impresa modulare e trasferimenti di
azienda: le novità del d.lgs. 276/03" in www.cgil.it) hanno parlato di una presunzione relativa (paragonabile a quella che ha il nomen iuris ai fini della subordinazione) che può essere superata dalla prova contraria a carico del lavoratore. Ritengo che si possa anche sostenere l'esatto contrario sia perché il diritto
al trasferimento può essere configurato come diritto potestativo del datore di
lavoro cui incombe quindi, in presenza di contestazioni sulla legittimità dell'esercizio, l'onere di provare la sussistenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto sia perché il lavoratore non può essere gravato dall'onere di
provare fatti negativi e quindi in prima battuta l'onere di dimostrare la genuinità
della cessione incombe sul datore di lavoro anche in base al principio di
accessibilità della prova.
56
Ritengo inoltre che tuttora il requisito della conservazione dell’identità sia un
presupposto indefettibile per la configurabilità del ramo di azienda sia per quanto
ho già detto a proposito della necessaria autonomia funzionale dell'oggetto del
negozio traslativo sia perché è un requisito espressamente previsto dalla
normativa comunitaria. Come abbiamo già visto il legislatore delegato è tenuto,
in base a quanto previsto dalla legge delega, ad adeguare la normativa nazionale
a quella comunitaria e l'art. l lett. b) della direttiva 23/2001, dopo aver precisato
che la direttiva si applica" ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di
imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore", stabilisce che" è
considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una
entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme dei mezzi
organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o
accessoria".
Un’interpretazione diversa, nel senso di attribuire un potere costitutivo alle parti
e di non richiedere la conservazione dell'identità dell'attività ceduta, stante il
tenore peggiorativo della disposizione porterebbe alla violazione della clausola
di non regresso contenuta nell'art. 8 della direttiva (che autorizza gli stati membri
solo ad introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori) ed alla conseguente
disapplicazione del diritto interno.
Nel caso in cui le parti identifichino come ramo d’azienda un segmento di
attività privo di autonomia funzionale ed inidoneo alla conservazione dell'identità penso che si possa affermare che, avendo il legislatore definito l'oggetto del
negozio traslativo, l'eventuale difformità dello stesso dal modello legale porterebbe alla nullità del negozio stesso per impossibilità dell'oggetto ai sensi degli
art. 1346 e 1418, atteso che la prestazione non era suscettibile di essere
effettuata per la sussistenza di impedimenti originari di carattere giuridico che
ostacolano in modo assoluto il risultato cui essa era diretta.
Dal punto di vista dei lavoratori la conseguenza sarebbe inevitabilmente quella
dell'inapplicabilità dell'art. 2112 c.c. e pertanto, in assenza di consenso del
lavoratore ceduto necessario ai sensi dell'art. 1406 c.c., quella del permanere del
rapporto alle dipendenze del cedente, risultato forse non così soddisfacente
perché comporterebbe il forte rischio di licenziamento per giustificato motivo
obiettivo.
Mi rendo conto che l'interpretazione che vi ho esposto non è per nulla aderente
all’intenzione del legislatore, chiaramente intesa ad agevolare al massimo la
dismissione di parti dell'azienda ed a tenere i lavoratori il più possibile al di fuori
dalle grandi manovre imprenditoriali. Già nella legge delega 30/03 (art. 1 lettera
p) n. 2) il legislatore si è preoccupato di inserire tra i criteri direttivi quello della"
previsione del requisito dell'autonomia funzionale del ramo di azienda nel
momento del suo trasferimento" con ciò chiaramente facendo intendere di voler
57
abolire definitivamente il requisito della "preesistenza del ramo" che si era
dimostrato di ostacolo ai voleri imprenditoriali. Indubbiamente il requisito della
conservazione dell'identità dell'attività economica ceduta evoca quello della
preesistenza, essendo difficile immaginare di poter conservare qualcosa che non
esiste; peraltro il requisito della preesistenza del ramo è anche l'unico che
consente di identificare in modo oggettivo i lavoratori interessati dal
trasferimento implicando l'aderenza delle mansioni al ramo ceduto (potendosi in
difetto ipotizzare accurate operazioni di selezione del personale da dismettere) e
vale quindi la pena di tentare di invocarne la necessarietà. Mi sembra comunque
che l’applicazione della direttiva 23/01 possa metter al riparo da critiche sulla
creatività dell'interpretazione che prima ho brevemente esposto.
Resta ancora da esaminare la disciplina della solidarietà contenuta nell'ultimo
comma dell'art. 32 per l'insourcing; la norma consacra la legittimità formale
della scelta organizzativa dell'imprenditore di riacquisire mediante appalto parti
cedute all'esterno e stabilisce che tra appaltante ed appaltatore opera "un regime
di solidarietà di cui all'art. 1676 c.c.". E' una disposizione davvero irrazionale
perché per gli appalti di servizi in genere l'art. 29 dispone la solidarietà
illimitata entro il termine annuale, a differenza dell'art. 1676 c.c. che prevede
solo l'azione diretta nei confronti del committente con sostituzione dei dipendenti dell'appaltatore rispetto all'appaltatore medesimo e costituzione di una
solidarietà limitata a quanto dovuto all'appaltatore; non si comprende per quale
ragione i dipendenti del ramo ceduto, che già possono vedere compromessa la
loro situazione a seguito della cessione del ramo di azienda, debbano avere
anche garanzie patrimoniali minori. Mi sembra quindi che la disposizione non
possa sottrarsi alla censura di incostituzionalità per violazione dell'art. 3 Cost.
(sia per la sua irragionevolezza sia per la disparità di trattamento che essa comporta) a meno di sostenere, ma l'interpretazione mi sembra davvero forzata, che
in relazione a tutti gli appalti di servizi - e quindi anche per quelli eseguiti
attraverso il ramo di azienda ceduto- opera la solidarietà di cui all'art. 29 quale
disciplina generale prevalente.
Passando ad esaminare l'appalto ed il distacco va subito rilevato che entrambi gli istituti sono finalizzati ad agevolare il commercio delle mere prestazioni di lavoro e ad incrementare il fenomeno di dissociazione tra datore di
lavoro e utilizzatore della prestazione lavorativa; ciò per soddisfare la necessità
dell'imprenditore di svolgere determinate attività, solitamente quelle collaterali
rispetto al perseguimento degli obiettivi produttivi (cd. core business), ricorrendo
alle prestazioni di lavoratori dipendenti da altri imprenditori.
Entrambi gli istituti sono ricompresi nell'ambito della legge delega 14 febbraio
2003 n.30 art. 1 lettera m) che, oltre a prevedere l’abrogazione della legge
1369/60 e la sua sostituzione con una nuova disciplina, demanda al legislatore
58
delegato il compito di "chiarire i criteri di distinzione tra appalto ed
interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco".
L'art. 86 dodicesimo comma qualifica come sperimentale l'intero titolo dedicato
alla somministrazione, all'appalto ed al distacco; "decorsi 18 mesi dalla data di
entrata in vigore il Ministro del lavoro procede, sulla base delle informazioni
raccolte ai sensi dell'art. 17, a una verifica con le organizzazioni sindacali, dei
datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale degli effetti delle disposizioni in esso contenute e ne riferisce al
parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza".
C'è quindi la concreta speranza che la vigenza delle norme predette sia limitata a
18 mesi essendo facilmente ipotizzabile che gli istituti previsti dal capo 111 non
sortiscano l'effetto voluto, quantomeno non quello di promuovere la stabilità del
lavoro. L'art. l D.lg. 276/03 ( la cui rubrica è intitolata "finalità e campo
d’applicazione") statuisce, infatti, che le disposizioni del decreto "sono
finalizzate ad aumentare i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e
stabilità del lavoro": la flessibilità non è quindi disciplinata dal legislatore come
fine a se stessa, ma viene espressamente definita un valore solo se ed in quanto
accresce l'occupazione e promuove la qualità e la stabilità del lavoro. Mi sembra
che questa affermazione di principio, certamente ipocrita e non rappresentante la
vera intenzione del legislatore, possa tuttavia costituire un importante punto di
riferimento interpretativo.
APPALTO
Il ricorso all'appalto, in luogo dell'assunzione diretta di personale per una
determinata opera o servizio, è sempre stato ritenuto legittimo dal nostro ordinamento. Come certo tutti voi sapete la legge 1369/60 vietava solo l'appalto di
manodopera, ma contestualmente disciplinava l'appalto genuino preoccupandosi
di tutelare i dipendenti dell'appaltatore, almeno sugli appalti interni (da definire
in relazione alla inerenza dell'appalto al ciclo produttivo dell'impresa
committente) stabilendo in loro favore il diritto alla parità di trattamento con i
dipendenti del committente e la responsabilità solidale con l'appaltatore per il
trattamento minimo inderogabile.
La nuova disciplina dell'appalto contenuta nell’art.29 d.lgs. 276/03 non
differenzia più appalti esterni ed appalti endoaziendali e da un lato non prevede
alcun diritto di parità di trattamento in favore dei dipendenti dell'appaltatore e
dall'altro riduce l'ambito della solidarietà tra appaltatore e committente ai soli
appalti di servizi.
Il contratto di appalto presenta numerosi punti in comune con quello di
somministrazione; lo stesso legislatore si è reso conto delle affinità, e possibili
59
confusioni, con la somministrazione tant'è che, rimandando alla nozione di
appalto di cui all'art. 1655 c.c., si preoccupa di sottolineare gli elementi di
differenziazione dalla somministrazione così individuandoli:
• organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore;
• assunzione da parte del medesimo appaltatore del rischio di impresa.
L'organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore, criterio principe per
l'individuazione dell'appalto genuino, può anche risultare solo dall'esercizio del
potere organizzativo e direttiva nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto:
la fornitura da parte del committente di capitali, macchine ed attrezzature emblematica della creazione di una struttura imprenditoriale fittizia ai sensi
dell'art. l, comma 3. L. 1369/60- non è quindi più sintomatica della mancanza del
rischio e del difetto di imprenditorialità dell'appaltatore. Tenuto conto della
difficoltà di definire la nozione di assunzione del rischio, la distinzione tra
somministrazione illecita ed appalto lecito si fonda essenzialmente sull'esercizio
del potere organizzativo e direttiva nei confronti dei lavoratori utilizzati
nell'esecuzione del contratto commerciale, elemento che
la giurisprudenza aveva ritenuto non sufficiente ad escludere l'interposizione
(vedi Cass. 15337/02; 5605/01).
Ritengo però che non si possa e non si debba lasciarsi andare allo sconforto e
che, contrariamente a quanto parrebbe da una prima lettura dell'art. 29, sia
tuttora necessario ai fini della configurabilità di un appalto genuino che l'appaltatore sia un imprenditore vero.
In questa prospettiva interpretativa conservatrice utili elementi letterali
emergono dall'art. 84 che, nell'indicare gli indici presuntivi in materia di interposizione illecita ed appalto genuino, impone di tener conto della reale organizzazione dei mezzi e di assunzione effettiva del rischio tipico di impresa; la
norma individua quindi chiaramente, ed in apparente contrasto con quanto previsto dall'art. 29, il tratto distintivo nella effettività dell'organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore.
In secondo luogo lo stesso art. 29, nel comprimere il requisito dell'organizzazione dei mezzi fino a ritenerlo esistente anche nel solo esercizio da parte
dell'appaltatore del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori
utilizzati nell'appalto prevede tuttavia testualmente che questa compressione sia
funzionalmente collegata alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in
contratto"; ciò significa che l'eseguibilità senza mezzi di produzione è la condizione specifica ed oggettiva che deve connotare il servizio concesso in appalto
ad un'impresa sprovvista di mezzi produttivi e che al contrario in caso di appalto
d'opera o di servizi che richieda per la sua esecuzione l'utilizzazione di mezzi il
60
fatto che l'appaltatore non organizzi i mezzi, ma solo la forza lavoro è un indice
di illiceità dell'appalto.
Infine mi sembra innegabile che nell'impianto complessivo del decreto legislativo 276 la fornitura di prestazioni di lavoro deve necessariamente essere
oggetto del contratto di somministrazione, contratto che può essere stipulato solo
dai soggetti autorizzati ai sensi degli art. 4 e 5.
Secondo la lettera dell'art. 29 il contratto di appalto è regolamentato dall'art.
1655 c.c.; manca quindi, come peraltro nel distacco, una disciplina complessiva
del rapporto trilatero committente-appaltatore - lavoratori ed in particolare
manca l'affermazione del diritto alla parità di trattamento tra dipendenti
dell'appaltatore e dipendenti del committente, a differenza di quanto previsto
dall'art. 23 l° comma per i dipendenti del somministratore e di quanto in precedenza stabilito dall'art. 3 l° comma L. 1369/60 per gli appalti interni.
E' una soppressione certamente voluta (anche nella legge delega la parità di
trattamento è prevista solo per la somministrazione) e mi pare che il diritto alla
parità di trattamento non possa essere reintrodotto in via interpretativa; per
cercare di contenere il danno che certamente può derivare ai lavoratori da un uso
indiscriminato del contratto di appalto mi pare preferibile ridurre l'area di
legittima stipulazione del contratto attraverso l'accertamento rigoroso
dell'effettività dell’organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore.
L'unico elemento specifico di disciplina del rapporto trilatero è quello contenuto
nel secondo comma dell'art. 29 il quale stabilisce, per i soli appalti di servizi, la
solidarietà tra committente ed appaltatore entro 1 anno dalla cessazione
dell'appalto; resta da chiedersi che cosa succeda negli appalti di opera. Vale
comunque la pena di evidenziare il lapsus freudiano in cui è incorso il legislatore
definendo alternativamente il committente come imprenditore o datore di lavoro!
Nonostante gli sforzi definitori del legislatore mi pare comunque che la linea di
confine tra appalto di servizi per la cui esecuzione non siano necessari mezzi
produttivi, ed in relazione al quale l'appaltatore quindi si limita in sostanza a
fornire mano d'opera ( che organizza e dirige a proprio rischio), e contratto di
somministrazione di lavoro sia assai incerta e di difficile individuazione.
La distinzione non è di poco conto perché, tra l'altro, per la somministrazione è
espressamente previsto il diritto alla parità di trattamento, la solidarietà piena
tra agenzia di somministrazione ed utilizzatore per i trattamenti retributivi e la
sanzione della costituzione del rapporto in capo all'utilizzatore. Come ho già
detto penso che valga la pena di tentare di contenere ai minimi termini l'ambito
di legittimità del contratto di appalto tenuto conto che, in caso di appalto
illecito, scatta inesorabilmente la disciplina sanzionatoria della somministrazione irregolare di cui all'art. 27 ( costituzione del rapporto di lavoro
61
con l'utilizzatore).
Certo non si può non sottolineare la maliziosità del legislatore che, dopo aver
minuziosamente disciplinato il contratto di somministrazione, dedicando ad
esso ben otto articoli, prevedendo una disciplina sanzionatoria capillare e
rigorosa, in sostanza spalanca all'imprenditore una comoda via di fuga consentendogli di erogare mano d'opera in modo ben più conveniente tramite il contratto di appalto e tutto ciò grazie all'alleggerimento dei requisiti di
imprenditorialità dell'appaltatore.
Da ultimo va ricordato che l'art. 84 prevede l'utilizzabilità (sia nella fase di
stipulazione sia in quella di attuazione del contratto) delle procedure di certificazione di cui al capo primo anche ai fini della distinzione tra appalto e somministrazione; inoltre il secondo comma prevede, entro sei mesi dall'entrata in
vigore del decreto, l'adozione da parte del Ministero del lavoro di codici di buone
pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino
che dovrebbero recepire le indicazioni contenute negli accordi interconfederali e
di categoria.
Vista la brevità del termine (sei mesi) il rischio è che il Ministero adotti
unilateralmente i codici di buone pratiche e gli indici presuntivi così
incrementando la tendenza ad utilizzare il decreto ministeriale per disegnare il
nuovo diritto vivente piuttosto che per svolgere una funzione ricognitiva degli
indirizzi, collettivi e giurisprudenziali, maturati ( tendenza particolarmente
evidente nell'art. 18, 6° comma).
Tuttavia sia la certificazione sia i codici non possono intaccare i diritti soggettivi
dei lavoratori; la certificazione infatti può essere impugnata in giudizio ai sensi
dell'art. 80 mentre il codice di buone pratiche non costituisce certo un atto
vincolante in sede giudiziaria tenuto conto della precisa indicazione contenuta
nella legge delega che ipotizza l'interposizione illecita laddove manchi una
ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi
la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al
prestatore di lavoro" ed in ogni caso può essere disapplicato se illegittimo e
quindi se non tenga conto della "rigorosa verifica della reale organizzazione dei
mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell'appaltatore"
richiesta dall'art. l, lett.m),n.7 L. 30/03.
Distacco
Prima dell'emanazione del d.lgs. 276/03 mancava una definizione legale di
distacco; l'unica previsione normativa riferita al distacco era l'articolo 8, comma
3 del d.1. 148/93 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione) a mente del
quale "Gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono
62
regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall'impresa ad altra per
una durata temporanea".
Il d. lgs. ha sostanzialmente recepito i principi giurisprudenziali che configurano
il distacco in presenza:
• di un datore di lavoro che deve soddisfare un proprio comprovato interesse
• di una necessità temporanea di porre uno o più lavoratori a disposizione di
un altro soggetto per l'esecuzione di una determinata prestazione lavorativa.
In realtà la giurisprudenza era più rigorosa perché richiedeva comunque
l'esistenza di comprovate ragioni tecnico organizzative a sostegno della legittimità del distacco, potendosi configurare in difetto una interposizione di mano
d'opera (Cass. 14458/00; Cass. 13979/00; Cass. 12224/99).
Nella nuova disciplina la sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive viene inspiegabilmente richiesta solo se il
distacco comporta il trasferimento. Ritengo che in realtà il predetto requisito
debba sussistere sempre perché la caratteristica precipua del distacco è quella di
essere destinato a soddisfare un interesse proprio del datore di lavoro a differenza
della somministrazione destinata a soddisfare l'interesse dell'utilizzatore, ed il
predetto requisito è espressamente previsto dall'art.30 comma 1 (" per soddisfare
un proprio interesse"); in materia è inoltre intervenuta la circolare 15 gennaio
2004 n. 3 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali chiarendo che i requisiti
di legittimità sono:
• la temporaneità del distacco, concetto coincidente con la non definitività e
non con la brevità della durata;
• l'interesse del distaccante che può essere qualunque interesse produttivo non
coincidente con quello della somministrazione di lavoro; tale interesse è
stato individuato anche nell'interesse al buon andamento della società
controllata o partecipata.
Altri argomenti a sostegno della necessità delle esigenze tecnico produttive quali
condizioni di legittimità del distacco sono desumibili dall'art. 1 lett. m della
legge delega che prima ho richiamato nella parte in cui ipotizza la interposizione
illecita "laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa e produttiva".
Il distacco non è certamente condizionato dal consenso del lavoratore che viene
espressamente richiesto solo se il distacco comporta il mutamento di mansioni ovviamente nel rispetto dell'art. 2103 c.c. e non invece se comporta il
trasferimento del lavoratore.
Come per l'appalto anche per il distacco non viene introdotto alcun elemento di
disciplina del rapporto trilatero ad eccezione della ribadita responsabilità del
datare di lavoro per il trattamento economico e normativa spettante al lavoratore.
Forse si può tentare di sostenere che operi comunque il principio di parità di
63
trattamento previsto per la somministrazione dall'art. 23 comma 1 viste le forti
analogie esistenti tra i due contratti, ma dubito che la predetta affermazione
possa incontrare molti consensi.
Prof. Antonio Vallebona
IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA
da “La riforma dei lavori” – CEDAM Padova 2004
SOMMARIO: 1. La nozione. — 2. La procedura sindacale. — 3 La prosecuzione
dei rapporti di lavoro. —4 La conservazione dei diritti del lavoratore e la
disciplina collettiva. — 5 La garanzia dei crediti del lavoratore. — 6 Il
trasferimento di azienda in crisi. —7 Altre vicende soggettive.
Note in calce al testo
1) La nozione
Il trasferimento dell’azienda da un imprenditore ad un altro è oggetto non solo
della generale disciplina civilistica (artt. 2556 e ss cod. civ.), ma anche di
un’apposita normativa lavoristica (art. 2112 cod. civ. e art. 47 legge n. 428 del
1990 come novellati dal dlgs n. 18 del 2001 e dall’art. 32, c. 1 del d. lgs. n. 276
del 2003; direttiva comunitaria n. 187 del 1977 novellata con la direttiva n. 50
del 1998) volta a tutelare, sotto diversi aspetti, la posizione dei prestatori
occupati nell’azienda ceduta.
Per individuare il campo di applicazione di questa importante regolamentazione
è stata introdotta una apposita nozione di trasferimento d’azienda ai fini
lavoristici (art. 2112, c. 5, cod. civ.).
Innanzitutto la vicenda deve consistere nel «mutamento nella titolarità di
un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro». Questa
definizione si riferisce con evidenza alla titolarità dell’impresa (art. 2082 cod.
civ.), implicando così, imprescindibilmente la circolazione dell’azienda (art.
2555 cod. civ.) mediante la quale viene esercitata l’impresa (1), in conformità
alla direttiva comunitaria che fa ora espresso riferimento al passaggio di elementi
materiali significativiLa disciplina riguarda anche il trasferimento di «parte
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dell’azienda intesa come articolazione funzionalmente autonoma» (ah. 2112, c.
5, cod. civ.) (2), restando esclusa, invece, la cessione ai singoli beni aziendali (3).
La previsione secondo cui la parte di azienda trasferita doveva essere
«preesistente» e conservare «nel trasferimento la propria identità» (art. 2112, c.
5, cod. civ., introdotto con il dlgs. n. 18 del 2001) impediva al cedente di
sbarazzarsi dei lavoratori addetti ad una articolazione aziendale costituita,
autonomizzata o alterata in vista del trasferimento (4). Ma ora tale previsione è
stata soppressa consentendosi che l’articolazione aziendale autonoma sia
«identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento (art. 2112, c. 5, cod. civ. come novellato dall’art. 32, c.1, d.lgs.
276/2003).
E’ escluso dalla nozione in esame il trasferimento di un’organizzazione non
economica, cioè senza quell’equilibrio tra costi e ricavi che costituisce il
requisito minimo per la configurazione di un’impresa anche in assenza del fine di
lucro (5).
Il mezzo tecnico (“tipologia negoziale”) utilizzato dalle parti per il trasferimento
è irrilevante, poiché quel che conta è l’effetto di sostituire nella titolarità
dell'attività un soggetto ad un altro (6). Rientrano nella disciplina in esame anche
i trasferimenti non volontari, ma determinati da un «provvedimento» della
pubblica autorità (7), purché si verifichi il passaggio dell’organizzazione.
La legge (art. 2112, c. 5, cod. civ.) si applica espressamente anche a trasferimenti
temporanei, come l’usufrutto e l’affitto di azienda, e quindi anche alla
retrocessione che si verifica al termine di questi (8).
L’integrazione dell’azienda o del ramo aziendale acquisito nella preesistente
organizzazione del cessionario non esclude la configurabilità di un trasferimento
d’azienda (9), la quale deve avere propria identità "nel " trasferimento e non
dopo.
Non determinano circolazione dell’azienda né la modifica della denominazione
sociale, né la trasformazione societaria (10), né la cessione del pacchetto
azionario (11), poiché la società titolare dell’azienda non cambia.
La fusione e la scissione di società, al pari della successione dell’erede nella
titolarità nell’impresa individuale (12), sono vicende che riguardano direttamente
i soggetti, come tali non riconducibili al trasferimento a titolo particolare
dell’azienda da un soggetto ad un altro. Tuttavia la nuova nozione lavoristica di
trasferimento d’azienda è talmente ampia da ricomprendere anche queste
fattispecie.
Non si verifica, invece, un trasferimento d’azienda nell’ipotesi di mero subentro
di un nuovo imprenditore con propria organizzazione in un appalto (13) o in una
concessione amministrativa (14) in precedenza affidati ad altro imprenditore
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neppure se il subentrante assume, per obbligo legale o negoziale, il personale già
impiegato nell’appalto (art. 29, c. 3, d. lgs. n. 276 del 2003),
2) La procedura sindacale
La direttiva comunitaria n. 187 del 1977 prevedeva (art. 6) una procedura di
informazione e consultazione sindacale in caso di trasferimento d’azienda.
L’Italia era rimasta a lungo inadempiente all’obbligo di introdurre questa tutela
nel proprio ordinamento nazionale (15) infine provvedendo con l’art. 47 della
legge n. 428 del 1990, poi novellato con d. lgs. n. 18 del 2001 in conformità alla
sopravvenuta direttiva comunitaria n. 50 del 1998.
La procedura riguarda solo le aziende o i rami d’azienda con più di quindici
addetti (art. 47, c. 1) e si articola in una fase necessaria di informazione ed una
eventuale di esame congiunto.
L’obbligo di informazione (art. 47, c. 1) grava su cedente e cessionario, che
devono adempierlo mediante comunicazione scritta alle rappresentanze sindacali
unitarie (o alle r.s.a.) delle unità produttive interessate ed ai sindacati di categoria
stipulanti il contratto collettivo applicato o, in mancanza di rappresentanze
aziendali, ai sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi.
L’informazione deve riguardare sia la data e i motivi del programmato
trasferimento d’azienda, sia le conseguenze di questo sui rapporti di lavoro.
L’informazione deve essere preventiva («almeno venticinque giorni prima») al
trasferimento, come si evince sia dalla frase d’esordio («quando si intenda
effettuare un trasferimento»), sia dal contenuto dell’informazione («motivi del
programmato trasferimento»). La ratio della procedura, diretta a consentire al
sindacato di conoscere e discutere i programmi imprenditoriali anche al fine di
modificarli o di dissuadere il potenziale acquirente, impone lo svolgimento della
stessa prima della stipulazione di qualsiasi accordo, anche preliminare, tra i
soggetti interessati («prima che ... sia raggiunta un’intesa vincolante tra le
parti»), sicché sarebbe tardiva un’informazione data dopo la conclusione di un
contratto preliminare o, addirittura, nel periodo tra la conclusione del contratto
definitivo e la sua efficacia.
Nel termine di sette giorni all’informazione scritta le rappresentanze sindacali o i
sindacati possono chiedere un esame congiunto con cedente e cessionario, che
sono obbligati ad avviando entro sette giorni dalla richiesta ed a proseguirlo per
almeno dieci giorni (art. 47 c.2).
Si tratta di un obbligo di consultazione e non di un obbligo a trattare, né tanto
meno a contrarre, sicché, decorso il termine suindicato senza il raggiungimento
di un accordo sindacale, i soggetti interessati possono liberamente procedere alla
realizzazione del loro programma.
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L’informazione e l’esame congiunto sono dovuti anche se la decisione relativa al
trasferimento sia stata assunta da un’impresa controllante, senza possibilità di
eccepire l’omessa trasmissione da parte di questa delle informazioni necessarie
(art. 47, c. 4).
L’informazione deve essere tempestiva, completa e veritiera e la consultazione
va condotta lealmente, La trasgressione di questi obblighi da parte del cedente o
del cessionario o di entrambi costituisce condotta antisindacale reprimibile ex
art. 28 Statuto dei Lavoratori, trattandosi della violazione di diritti sindacali
tipizzati dalla legge.
Pertanto è superflua la previsione espressa in tal senso (art, 47, c. 2).
L’ordine del giudice di cessazione della condotta e di rimozione dei suoi effetti
può sicuramente imporre il corretto svolgimento della procedura, che, però,
avrebbe poco senso in presenza di un trasferimento già attuato. In quest’ultimo
caso è, peraltro, difficile sostenere l’invalidazione dello stesso trasferimento e/o
delle sue conseguenze sui rapporti di lavoro (16) non essendo configurabili con
certezza come «effetti» della violazione procedimentale, atteso che, come si è
visto, il sindacato non titolare di un potere di veto.
3) La prosecuzione dei rapporti di lavoro
La prima fondamentale tutela per i lavoratori occupati nell’azienda trasferita
consiste nella continuazione del rapporto con il cessionario (art. 2112, c. 1, cod. civ.).
Non si tratta di un obbligo di assunzione, bensì della sostituzione automatica di
un soggetto ad un altro nella titolarità del rapporto di lavoro come effetto legale
del trasferimento d’azienda. Pertanto il rapporto resta lo stesso, salvo questa
modificazione soggettiva.
Nel testo originario dell’art. 2112 cod. civ., coevo alla regola di licenziamento
libero con preavviso (art. 2118, cod. civ.), era prevista la possibilità per l’alienante di
impedire l’effetto in esame mediante «disdetta in tempo utile», intesa, appunto,
come licenziamento con preavviso scadente prima del trasferimento d’azienda
(17). A seguito della introduzione della regola di giustificazione necessaria del
licenziamento con tutela reale questa possibilità è venuta meno, essendosi
riconosciuto che il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di
licenziamento (l8). Ciò è ora espressamente sancito dalla legge (art. 2112, c. 4, cod.
civ.), mentre è stato eliminato dal testo dell’art. 2112 cod. civ. l’inciso relativo alla
disdetta in tempo utile.
Pertanto, attualmente, oltre le ovvie ipotesi di dimissioni, risoluzione
consensuale o morte del prestatore anteriori al trasferimento, la prosecuzione del
rapporto di lavoro con il cessionario è esclusa solo se il cedente intima un valido
licenziamento. Se il lavoratore ritiene illegittimo tale licenziamento ed intende
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essere reintegrato nel posto di lavoro deve convenire in giudizio lo stesso
cedente, mentre non sussiste un litisconsorzio necessario con il cessionario alle
cui dipendenze passa automaticamente anche quel lavoratore in caso di
invalidazione del licenziamento (19).
La risoluzione del rapporto con il cedente subito prima del trasferimento
d’azienda seguita da immediata riassunzione da parte del cessionario è
considerata come un fittizio frazionamento del rapporto in frode alla legge (20).
È ammessa, invece, una rinunzia del lavoratore al diritto alla prosecuzione del
rapporto con il cessionario, dopo che tale diritto sia sorto (21).
In caso di trasferimento parziale l’effetto legale della automatica prosecuzione
del rapporto con il cessionario si verifica solo per gli addetti al ramo trasferito,
mentre i lavoratori addetti altrove possono passare alle dipendenze
dell’acquirente solo se consentono la cessione del contratto individuale di lavoro
(cfr. nota 2).
4) La conservazione dei diritti del lavoratore
e la disciplina collettiva
La prosecuzione del rapporto, con la sola modificazione soggettiva dal lato del
datore di lavoro, lascia le parti nella stessa posizione precedente.
Appunto in questo senso di mantenimento per il futuro della posizione
contrattuale acquisita va intesa la previsione per cui "il lavoratore conserva tutti i
diritti che ne (dal rapporto) derivano» (ari. 2112, c. 1, cod. civ. civ.). Infatti i
crediti già maturati m passato prima del trasferimento d’azienda costituiscono
oggetto di altra apposita garanzia.
Il cessionario deve, quindi, riconoscere ai lavoratori divenuti suoi dipendenti i
diritti collegati alla pregressa anzianità di servizio e quelli contenuti nel contratto
individuale, anche per effetto di eventuali usi aziendali che lo abbiano integrato
per fatti concludenti. Problemi complessi si pongono, invece, per i trattamenti
previdenziali complementari, distinguendosi da un lato i trattamenti già maturati
dalle aspettative e dall’altro lato i fondi con propria soggettività dalle
obbligazioni gravanti direttamente sul datore di lavoro.
La prosecuzione del medesimo rapporto in corso con il cedente determina anche
l’obbligo del cessionario di corrispondere l’intero trattamento di fine rapporto,
senza distinzione tra le quote relative al periodo anteriore al trasferimento e
quelle successive, poiché il diritto matura tutto insieme alla fine del rapporto
(22). E' escluso un obbligo di parità di trattamento nei confronti dei lavoratori già
dipendenti del cessionario (23).
Quanto alla disciplina collettiva, che non si incorpora nei contratti individuali, il
cessionario è tenuto ad applicare ai lavoratori addetti all’azienda trasferita i
contratti collettivi, anche aziendali, applicati dal cedente alla data del
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trasferimento, ma ciò solo fino alla rispettiva scadenza e ferma la possibilità di
sostituzione immediata con i contratti collettivi del medesimo livello applicabili
all'impresa del cessionario (art. 2112, c. 3, cod. civ.) (24). La successione di fonti
collettive, in base ai principi generali, può determinare anche un peggioramento
del precedente trattamento, ma di solito, in sede di procedura sindacale, vengono
stipulati appositi accordi collettivi di passaggio diretti ad evitare tale
conseguenza e ad armonizzare gradualmente il trattamento di vecchi e nuovi
dipendenti del cessionario.
In caso di modifica sostanziale delle condizioni di lavoro, il prestatore passato
alle dipendenze del cessionario ha facoltà, nel termine di tre mesi dal
trasferimento, di dimettersi senza preavviso, e con diritto ad una indennità pari a
quella sostitutiva del preavviso di licenziamento (art. 2112, c. 4, cod. civ.).
5) La garanzia dei crediti del lavoratore
Per i crediti, di qualsiasi tipo, già maturati dal lavoratore al momento del
trasferimento dell’azienda è prevista (art. 2112, c. 2, cod. civ.) la responsabilità
solidale del cedente e del cessionario (25), salvo che il lavoratore stesso consenta
la liberazione del cedente in sede di conciliazione ex artt. 410 e 411 cod. proc.
civ. (art. 2112, c. 2, cod. civ., nel testo novellato dall’art. 47 legge n. 428 del
1990 e dal d. lgs. n. 18 del 2001).
La disposizione riposa sulla considerazione per cui la principale garanzia dei
crediti del lavoratore è costituita dai beni aziendali, sicché la responsabilità viene
estesa al cessionario, di cui non è prevista neppure la possibilità di liberazione.
Con la ricordata novella del 1990 la garanzia è stata rafforzata eliminando la
precedente condizione secondo cui i crediti dovevano
tare dai libri dell’azienda trasferita (26). Per incentivare il trasferimento dell’
azienda in crisi un accordo collettivo può prevedere la disapplicazione della
garanzia in esame.
Un diverso tipo di garanzia consiste nel diritto dei dipendenti dell’appaltatore
addetti all’esecuzione dell’appalto di «proporre azione diretta contro il
committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del
debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi
propongono la domanda» (art. 1676 cod. civ.). Si tratta di azione non
surrogatoria, ma diretta mediante la quale il prezzo dell’appalto viene destinato
immediatamente alla soddisfazione dei crediti dei lavoratori indicati, senza
passare per le mani dell’appaltatore, al fine di evitare il rischio che questi lo
utilizzi diversamente (27). Dal momento della richiesta il committente deve
pagare il residuo prezzo non all’appaltatore, ma ai lavoratori fino a soddisfazione
dei loro crediti. L’obbligo del committente è limitato all’importo del prezzo
ancora da pagare, con evidente differenza rispetto alla illimitata responsabilità
69
solidale prevista a carico dell’imprenditore committente di appalti di servizi e del
cessionario dell’azienda.
La garanzia dell’art. 1676 cod. civ. è richiamata espressamente nel caso di
appalto eseguito utilizzando il ramo d’azienda trasferito dal committente
all’appaltatore (art. 2112, ult. comma, cod. civ., introdotto dall’art. 32, c. 2, d. lgs. n. 276 del 2003).
6) Il trasferimento di azienda in crisi
Se l’azienda è in crisi, con conseguente serio rischio per l’occupazione dei
relativi addetti, il trasferimento ad un nuovo imprenditore disposto a risanarla è
considerato uno strumento fondamentale per salvare in tutto o in parte i posti di
lavoro. Pertanto tale trasferimento viene agevolato dalla legge, mediante deroghe
alle tutele normalmente operanti al fine di rendere conveniente l’acquisto.
Dopo alcuni importanti interventi di emergenza in tal senso (legge 62 del 1976;
legge n. 215 del 1978) (28), il sistema è stato istituzionalizzato (art. 47, c. 5 e 6,
legge n. 428 del 1990).
Il regime derogatorio si applica in caso di procedure concorsuali (fallimento,
concordato preventivo con cessione dei beni, liquidazione coatta amministrativa,
amministrazione straordinaria) o di provvedimento amministrativo dichiarativo
di crisi aziendale (art. 47, c. 5, legge cit.) (29).
Le deroghe non sono automatiche, bensì dipendono dalla conclusione di un
apposito accordo collettivo nel corso della prescritta procedura sindacale (art. 47,
c. 5, legge cit.) (30).
In tal modo è rimessa di volta in volta all’autonomia collettiva la valutazione
circa l’opportunità e l’entità delle deroghe, ma si pongono i soliti problemi di
efficacia del contratto collettivo ablativo di diritto comune nei confronti dei
lavoratori dissenzienti non rappresentati dalle organizzazioni stipulanti (31).
All’accordo collettivo è concessa la più ampia libertà, poiché può disapplicare
tutte o parte delle tutele legali previste per il trasferimento d’azienda. In
particolare l’accordo può escludere che il personale ritenuto esuberante
dall’acquirente passi alle dipendenze di quest'ultimo, mentre per il persona1e il
cui rapporto prosegue con il subentrante è automaticamente esclusa la
conservazione dei diritti acquisiti e la responsabilità solidale dell'acquirente per i
crediti vantati da tali lavoratori verso l'alienante, salvo previsioni di miglior
favore dell'accordo collettivo (32) (art. 47, c. 5, legge cit.).
Per i lavoratori rimasti presso l’alienante oppure da questi licenziati è previsto un
diritto di precedenza in relazione alle nuove assunzioni eventualmente effettuate
dall’acquirente entro un anno dal trasferimento dell’azienda o entro il maggior
periodo previsto dall’accordo collettivo, ma restano comunque escluse in caso di
assunzione le tutele relative alla posizione contrattuale precedente ed alla
70
garanzia dei vecchi crediti (art. 47, c. 6, legge cit.) (33).
Al di fuori del sistema di deroga regolato dalla legge i diritti dei lavoratori
derivanti dalle norme di tutela dell’art. 2112 cod. civ. non sono disponibili da
parte dei contratti collettivi (34), salvo che sia già intervenuto il licenziamento in
tempo utile da parte dell’alienante che esclude, fino alla conclusione
dell’eventuale giudizio di impugnazione, l’operatività delle tutele in esame, con
conseguente validità dell’accordo collettivo intervenuto in questa situazione a
tutela dell’occupazione con sacrificio di altri interessi (35), purché accettato,
anche per fatti concludenti dai singoli lavoratori (36).
Per il trasferimento del portafoglio di imprese di assicurazione in liquidazione
coatta amministrativa non riconducibile al trasferimento d’azienda, è prevista
una disciplina speciale (l.egge 39/1977; legge 738/1978), che tutela i posti di lavoro
sacrificando altri interessi dei lavoratori (37).
7) Altre vicende soggettive
Vi sono alcune vicende non riconducibili al trasferimento d’azienda ma che
pongono analoghe esigenze di tutela dei lavoratori.
Innanzitutto va esaminata la successione di un imprenditore ad un altro nella
gestione con propria organizzazione di un servizio affidato in appalto, che non
costituisce trasferimento d’azienda poiché non si verifica il mutamento nella
titolarità di una organizzazione economica (38) neppure se il subentrante assume,
per obbligo legale o negoziale, il personale già impiegato nell’appalto (art. 29, c.
3, d, lgs. n. 276 del 2003).
Neppure le direttive comunitarie, comunque in sé prive di efficacia orizzontale
tra i privati (39), sembrano ampliare la nozione di trasferimento d’azienda sino a
comprendere la mera successione nell’appalto (40), facendo ora espresso
riferimento al passaggio di elementi materiali significativi.
In assenza di tutela legale alcuni contratti collettivi (ad es. per le imprese di
pulizia, per le imprese di igiene ambientale e smaltimento rifiuti, per i gestori di
mense aziendali) prevedono non solo procedure di informazione e consultazione
sindacale, ma anche l’obbligo dell’impresa subentrante di assumere, alle stesse
condizioni, i lavoratori già addetti all’appalto da parte dell’impresa uscente (41).
Si tratta di un obbligo a contrarre, la cui esecuzione, anche ope iudicis ex art.
2932 cod. civ., dà origine ad un nuovo rapporto di lavoro distinto dal precedente,
con conseguente differenza rispetto alla disciplina legale del trasferimento
d’azienda ed esclusione di qualsiasi responsabilità del nuovo appaltatore per i
crediti del lavoratore nei confronti del vecchio appaltatore.
L’obbligo di assunzione opera solo se l’impresa subentrante è vincolata dal
contratto collettivo privatistico che lo prevede, ma se l’appaltante è un ente
pubblico l’applicazione del contratto collettivo o, comunque, l’assunzione dei
71
precedenti addetti è normalmente imposta dal capitolato d’appalto.
Con interessante disposizione antifraudolenta, simile a quella contenuta nella
disciplina legale del trasferimento del portafoglio di impresa assicurativa in crisi
il diritto di assunzione è riconosciuto solo ai lavoratori che erano addetti
all’appalto già da un certo tempo oppure ai loro sostituti, al fine di evitare che
l’imprenditore uscente, in vista della perdita dell’appalto, gonfi l’organico con i
lavoratori superflui.
L’obbligo di assunzione vige solo se l’oggetto e le condizioni dell’appalto
restano invariate, non potendosi altrimenti gravare l’impresa subentrante di un
organico di cui non è sicura la piena utilizzabilità.
Il preesistente rapporto di lavoro con il vecchio appaltatore si estingue
tipicamente per risoluzione consensuale contestualmente all’assunzione da parte
del nuovo appaltatore, sicché i lavoratori che ottengono o pretendono il nuovo
rapporto non possono impugnare un licenziamento che non esiste,
Solo nell’ipotesi in cui il lavoratore rifiuti di utilizzare la tutela collettiva e la
conseguente obbligata proposta di assunzione da parte del nuovo appaltatore
resta esclusa una risoluzione consensuale del precedente rapporto, sicché
l’imprenditore uscente deve scegliere se mantenere in servizio il lavoratore,
adibendolo a posizioni disponibili presso altri appalti, oppure licenziarlo per
giustificato motivo oggettivo dovuto alla soppressione del posto comprovando
l’impossibilità di utilizzarlo altrove (42), Tuttavia non possono essere
considerate come posizioni disponibili quelle relative ad eventuali appalti di
nuova acquisizione, per le quali operi l’obbligo di assunzione dei relativi addetti
(43), salvo la rinunzia di qualcuno di questi a far valere il proprio diritto.
Mentre non è configurabile un licenziamento collettivo (circ. Min. Lav. 28.5.
2001) e, comunque, non si possono considerare come licenziamenti, neppure
programmati, le fisiologiche risoluzioni consensuali dei rapporti di coloro che
mediarne un nuovo contratto passano alle dipendenze del nuovo appaltatore (44).
Se quest’ultimo si rende inadempiente al proprio obbligo a contrarre, il
lavoratore eventualmente licenziato può scegliere se proporre domanda di
costituzione del contratto nei confronti, appunto, del nuovo appaltatore, oppure
domanda di invalidazione del licenziamento contro il vecchio appaltatore, Se
queste domande vengono proposte entrambe, la seconda è per definizione
subordinata al rigetto della prima (45), poiché la conservazione del rapporto
precedente presuppone che non sia instaurato il nuovo rapporto con
l’imprenditore subentrante
A questa complessa ricostruzione si può ragionevolmente sostituire la semplice
impostazione secondo cui, laddove opera in concreto la tutela collettiva di
conservazione dell’occupazione nei confronti del subentrante è esclusa in radice
72
la tutela legale contro il licenziamento nei confronti dell’impresa Uscente, in
quanto la disciplina collettiva è più favorevole ai lavoratori ai sensi dell’art. 12
della legge n, 604 del 1966, proprio perché nel fisiologico funzionamento del
sistema non dovrebbero esserci sufficienti posizioni disponibili presso il vecchio
appaltatore per il reimpiego degli addetti all’appalto perduto.
Un’altra vicenda non configurabile come trasferimento d’azienda è il subentro di
un imprenditore con propria organizzazione ad un altro in una concessione
amministrativa. Tuttavia nel caso delle concessioni per il servizio dei tributi è
espressamente previsto il diritto del personale addetto alla concessione «di essere
mantenuto in servizio dal subentrante concessionario senza soluzione di
continuità» (art. 63, c. 4, d.lgs. n. 112 del 1999). Analogo diritto era stato
riconosciuto, al momento della modifica del sistema, al personale delle vecchie
esattorie nei confronti delle nuove concessionarie (art. 122, c. 1, dpr. n. 43 del
1988) ed, in proposito, l’espressa garanzia del trattamento economico acquisito a
fronte della prevista immediata applicazione dei contratti collettivi applicati dal
nuovo concessionario (art. 122, c. 3, d.p.r. cit.) era stata correttamente intesa
come diritto del lavoratore a conservare in valore assoluto l’eventuale maggior
importo della precedente retribuzione, mediante un assegno ad personam di
copertura della differenza, per definizione assorbibile nei futuri aumenti derivanti
dai rinnovi dei contratti collettivi applicati dai concessionario (46).
Anche per il mero subentro, senza trasferimento d’azienda, nella gestione di
servizi aeroportuali di assistenza a terra è stabilito «il passaggio del personale»
dal vecchio al nuovo gestore (art. 14, c. 2, d. lgs. n. 18 del 1999), da intendersi
come prosecuzione del rapporto precedente, con conseguente conservazione
dell’anzianità di servizio e di ogni altro diritto, ma con esclusione della
responsabilità solidale del subentrante per i debiti pregressi mancando, appunto,
il presupposto del trasferimento d’azienda. Il numero dei lavoratori coinvolti è
«proporzionale alla quota di traffico o di attività acquisita» dal nuovo gestore,
conseguendone un problema di individuazione, nell’ambito dell’organico del
precedente gestore, dei soggetti destinati al passaggio, Questa individuazione
deve essere effettuata «d’intesa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori»,
che a tal fine hanno stipulato con Assaeroporti il protocollo 16 marzo 1999, che
fissa criteri diretti a distribuire uniformemente l’individuazione nelle diverse
fasce d’età per ciascuna figura professionale.
Di notevole rilievo è il problema della sorte del personale nelle ipotesi di fusione
o scissione di società.
In proposito il diritto nazionale, fino alla novella del 2001, taceva sia sul versante
lavoristico (art. 2112 cod. civ.; art. 47 legge n. 428 del 1990), sia sul versante
societario (dlgs. n, 22 del 1991), benché l’ordinamento comunitario imponesse di
73
applicare la stessa disciplina del trasferimento d’azienda (art. 1 direttiva 187 del
1997 novellata con la direttiva n. 50 del 1998; art. 12 direttiva n. 885 del 1978
sulle fusioni; art. 11 direttiva n. 891 del 1982 sulle scissioni).
In questa situazione la fusione veniva ricondotta in via interpretativa al
trasferimento (47), ma questa operazione di adeguamento al diritto comunitario
costituiva una forzatura, poiché la fusione non riguarda la circolazione di un
bene tra soggetti che erano e restano distinti, bensì investe più radicalmente gli
stessi soggetti, di cui almeno uno (nella fusione per incorporazione) o addirittura
entrambi (nella fusione con creazione di una nuova società) si estinguono dando
luogo ad una successione a titolo universale (48).
Solo con l’introduzione della apposita nozione di trasferimento d'azienda ai fini
giuslavoristici avvenuta con d. legs. n. 18 del 2001 la disciplina nazionale è stata
estesa con certezza anche alla fusione, come poi confermato espressamente con
la novella del 2003 che fa riferimento ad una «cessione contrattuale o fusione»
(art. 2112 c. 5, cod . civ., come novellato dall'art. 32, c. 1, d. lgs. n. 6 del 2003).
Tuttavia la garanzia di diritto comune della posizione del lavoratore di fronte alla
fusione rimane più forte di quella prevista dall’art. 2112 cod. civ., poiché «la
società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli
obblighi delle società partecipanti alla fusione» (art. 2504 bis, c. 1, cod. civ.), con
conseguente incondizionata tutela della continuità del rapporto di lavoro, della
disciplina collettiva, dei diritti acquisiti e dei crediti del lavoratore.
Sicché le uniche vere tutele aggiuntive della disciplina lavoristica consistono
nella procedura sindacale e nella facoltà di dimissioni agevolate.
In parte diversi erano i problemi giuslavoristici della scissione, che determina
una divisione del patrimonio della società scissa tra più soggetti, preesistenti o di
nuova costituzione, con i conseguenti problemi di individuazione del titolare dei
rapporti di lavoro e dei responsabili per i debiti pregressi.
La società beneficiaria della quota di patrimonio comprensiva dell’azienda,
conservata come tale, subentra automaticamente nei relativi rapporti di lavoro in
virtù della successione conseguente alla scissione, sicché è assicurato anche il
mantenimento dei diritti acquisiti e della disciplina collettiva.
Invece la garanzia dei crediti del lavoratore derivante dalla disciplina di diritto
comune della scissione è inferiore a quella prevista per il trasferimento
d’azienda, poiché la solidarietà passiva illimitata ed incondizionata tra tutte le
società beneficiarie del patrimonio è prevista per la sola ipotesi in cui il progetto
di scissione abbia taciuto su tali debiti (art. 2506 bis, c. 3, cod. civ., mentre
qualora il progetto abbia assegnato tali debiti ad una società le altre rispondono
solo dopo l’escussione di questa e solo nei limiti della quota netta di patrimonio
a ciascuna attribuita.
74
Pertanto per la scissione al problema della omessa previsione della procedura
sindacale, si aggiungeva l’indicata minore garanzia dei crediti del lavoratore. In
questa situazione, ai fini della disciplina lavoristica, la scissione era stata già
assimilata al trasferimento d’azienda (49), specie in caso di sopravvivenza della
società scissa e di trasferimento della quota di patrimonio comprendente
l’azienda ad una società preesistente. Ogni residuo dubbio è stato, poi, superato
con l’introduzione (d. lgs. n. 18 2001 nella ricordata nuova definizione di
trasferimento d’azienda ai fini lavoristici (art. 2112, c. 5, cod. civ.), nella quale
rientra certamente la scissione, sebbene nella novella del 2003 sia menzionata
solo la fusione e non anche la scissione (art. 2112, c. 1, d. leg. n. 276 del 2003).
L’ultima vicenda da esaminare riguarda il trasferimento di attività svolte da
pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici o privati, essendo disposta,
in proposito, l’applicazione di tutta la disciplina lavoristica del trasferimento
d’azienda (art. 31 d. lgs. n. 165 del 2001; art. 34 d. lgs. n. 29 del 1993 come
novellato dal d. lgs. n. 80 del 1998 e, ancora prima, il testo dell’originario art. 62
d.lgs. n. 29 del 1993). Si aggiunge l’obbligo delle società Private destinatarie
delle attività dismesse dalla pubblica amministrazione di mantenere in servizio il
personale trasferito per almeno cinque anni o per il superiore periodo di tempo
concordato (art. 44, c. 1, legge n. 449 del 1997), il che significa divieto di
licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo essendo
ovviamente consentito il licenziamento disciplinare.
In precedenza nell’ambito della privatizzazione degli istituti di credito di diritto
pubblico erano stati fatti salvi per il personale i diritti quesiti e quelli derivanti da
leggi speciali, nonché l’intera disciplina previgente fino al rinnovo del contratto
collettivo aziendale (art 3 legge n. 218 del 1990), assicurandosi così, ai sindacati
una trattativa sulla nuova disciplina nuova disciplina (art.3 legge n. 218 del
1990) con disposizione più favorevole rispetto a quella relativa al trasferimento
d'azienda.
Note
(1) È irrilevante che l’azienda sia al momento non attiva, ad esempio perché danneggiata: Cass. 18 giugno
1981 n. 4009, FI, 1982, I, 177. È considerato trasferimento d’azienda anche l’acquisizione di un complesso
organizzato di persone quando non occorrano mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica
(Corte Giust. 2 dicembre 1999, Allen, MGL, 2000, 506; Cass. 22 luglio 2002 n. 10701 e Cass. 23 luglio
2002 n. 10761, entrambe in RIDL, 2003, II, 148). Invece non bastano, da soli, a configurare un trasferimento
d’azienda né la mera prosecuzione dell’attività negli stessi locali ove operava il precedente imprenditore
(Cass. 11 luglio 1989 n. 3267, LPO, 1990, 1303; Cass. 17 marzo 1993 n. 3148, RIDL, 1994, II, 413), nè il
mero trapasso di clienti e fornitori con conservazione della stessa impostazione dell’attività (Cass. 15
gennaio 1990 n. 123, MGL, 1990, 39), nè la mera conservazione della precedente denominazione (Cass. 9
marzo 2001 n. 3512, MGL, 2001, 516).
(2) Cass. 8 gennaio 1983 n. 138, GC, 1983, I, 2009; Cass. 21 novembre 1984 n. 5971, FI, 1985, I, 102;
Cass. 8 gennaio 1991 n. 67, MGL, 1991, 78; Cass. 17 marzo 1993 n. 3148, RIDL, 1994, II, 413. Il
trasferimento produce effetti per i soli addetti al ramo ceduto (Cass. 18 maggio 1995 n. 5483, MGL, 1995,
suppl., 37), dei quali non è richiesto il consenso, invece necessario, secondo la regola della cessione del
contratto, da parte dei lavoratori non addetti al ramo ceduto e, quindi, estranei all’effetto legale di
prosecuzione del rapporto con il cessionario (Cass. 22 luglio 2002 n. 10701, MDL, 2003, II, 148; Cass. 23
75
luglio 2002 n. 10761, FI, 2002, I, 2278; Cass. 25 ottobre 2002 n. 15105, FI, 2005, I, 104; Cass. 4 dicembre
2002, n. 17207, FI, 2003, I, 103). Tuttavia l’alienante può scegliere di trattenere presso di sé alcuni ditali
addetti per impiegarli nella parte di azienda non trasferita (Cass. 24 gennaio 1991 n. 671, RIDL, 1991, II,
678; Cass. 30 agosto 2000 n. 11422, RIDL, 2001, II, 519), peraltro, deve ritenersi, con onere di giustificare
tale spostamento in mancanza del consenso del lavoratore. Secondo Corte di Giustizia 24 gennaio 2002
Temco Service, FI, 2002, IV, 142 la direttiva comunitaria n. 187 del 1977 non esclude la facoltà del
lavoratore di rifiutare il passaggio alle dipendenze del cessionario, peraltro con le conseguenze del diritto
interno che possono comportare anche la legittima risoluzione del rapporto con il cedente che l’incauto
lavoratore contava di conservare.
(3) Cass. 19 marzo 2001 n. 3911, GL, 2001, n. 26, 20; Cass. 30 dicembre 1999 n. 14755, RIDL, 2000, II,
474. Tuttavia se le varie componenti dell’azienda vengono trasferite al medesimo acquirente mediante
contratti successivi in un arco di tempo non eccessivo è configurabile un trasferimento d’azienda: Cass. 4
marzo 1997 n. 1887, MGL, 1997, suppl., 28; Cass. 20 aprile 1998 n. 4010, MGL, 1998, suppl., 52; Cass. 11
marzo 2002 n. 3469, MGL, 2002, 274, che sottolinea la rilevanza della volontà dei contraenti di cedere
un’azienda oppure singoli beni.
(4) La necessaria preesistenza del ramo aziendale era ricavata in via interpretativa a prescindere dal d. lgs. n.
18 del 2001, da Cass. 25 ottobre 2002 n. 15105, FI, 2003, I, 104 e da Cass. 4 dicembre 2002 n. 17207, FI,
2003, I, 103.
(5) Continuano a restare escluse, dunque, le organizzazioni non imprenditoriali come già ritenuto prima
della novella del 2001, da Cass. 17 novembre 1983 n. 6701, GC, 1984, I, 2550; Cass. 17 giugno 1997 n.
5426, RIDL, 1998, II, 158; Cass. 10 aprile 1999 n. 3543, GL, 1999, n. 24, 35; Cass. 2 agosto 2002 n. 11622,
RIDL, 2003, II, 406. Tuttavia se l’azienda utilizzata da un imprenditore viene trasferita ad un soggetto non
imprenditore può applicarsi la disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda in virtù dell’art. 2239 cod.
civ. (Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432).
(6) Cass. 4 aprile 1981 n. 1921, OGL, 1981, 769; Cass. 5 aprile 1995 n. 3974, FI, 1997, I, 3663; Cass. 29
novembre 1996 n. 10688, RIDL, 1997, II, 572; Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432. E' considerato
trasferimento d’azienda anche il conferimento in società di un’azienda individuale (Cass. 10 marzo 1990 n.
1963, MGL, 1990, suppl., 61), nonché la cessione di azienda effettuata da una società in liquidazione (Corte
di Giustizia 12 marzo 1998, Jules Dethier e Dassy, FI, 1998, IV, 437; Corte di Giustizia 12 novembre 1998,
Europièces, MGL, 1999, 506).
(7) Fino alla novella del 2001 questi trasferimenti erano, invece, esclusi dalla disciplina in esame: Cass. 5
marzo 1993 n. 2705, RIDL, 1994, II, 499; Cass. 25 maggio 1995 n. 5754, RIDL, 1996, II, 186; Cass. 16
ottobre 1996 n. 9025, FI, 1997, I, 3662; Cass. 4 febbraio 1998 n. 1152, RIDL, 1998, II, 780; Cass. 25
gennaio 1999, n. 672, MGL, 1999, 382.
(8) Cass. 7 luglio 1992 n. 8252, RIDL, 1993, II, 589; Cass. 16 ottobre 1996 n. 9037, MGL, 1996, 761; Cass.
6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432; Cass. 21 maggio 2002 n. 7458, FI, 2002, I, 2278. Questo principio
è applicato anche in caso di avvicendamento di imprenditori nel comodato d’azienda (Cass. 29 novembre
1996 n. 10688, RIDL, 1997, II, 572), di subentro nel franchising con utilizzo della medesima azienda fornita
dal concedente (Cass. 27 febbraio 1998 n. 2200, MGL, 1998, 636), di retrocessione al preponente
dell’azienda utilizzata dall’agente cessato e poi riaffidata al nuovo agente (Cass. 5 aprile 1995 n. 3974, FI,
1997, I, 3663; Cass. 7 ottobre 1997 n. 9728, RIDL, 1998, II, 382; Cass. 3 giugno 1998 n. 5466, MGL, 1998,
635).
(9) Cass. 4 aprile 1981 n. 1921, OGL, 1981, 769; Cass. 8 gennaio 1991 n. 67, MGL, 1991, 78.
(10) Cass. 28 aprile 1979 n. 2503, MGL, 1980, 489; Cass. 4 ottobre 1985 n. 4813, LPO, 1985, 2428.
(11) Cass. 15 ottobre 1991 n. 10829, FI, 1991, I, 3031; Cass. 6 novembre 1992 n. 1203 e Cass. 9 novembre
1992 n. 12057, DPL, 1993, 129; Cass. 6 settembre 1993 n. 9339 GC, 1994, I, 1002.
(12) Cass. 4 ottobre 1994 n. 8053, MGL, 1994, 688, che rileva l’inapplicabilità della disciplina del
trasferimento d’azienda alla successione universale. Contra Cass. 26 luglio 2001 n. 10260, FI, 2001, I,
3088.
(13) Cass. 6 marzo 1990 n. 1755, MGL, 1990, suppl., 57; Cass. 22 maggio 1991 n. 5745, RIDL, 1992, II,
437; Cass. 18 marzo 1996 n. 2554, MGL, 1996, 558; Cass. 20 novembre 1997 n. 11575, MGL, 1998, suppl.,
13.
(14) Cass. 16 giugno 1979 n. 3409, MGL, 1980, 639; Cass. 6 febbraio 1980 n. 843, MGL, 1981, 423; Caso.
21 giugno 1985 n. 3745, FI, 1986, I, 1968; Cass. 19 ottobre 1985 n. 5142, GC, 1986, I, 801; Cass. 19 giugno
2002 n. 572, RIDL, 2002, II, 855; Cass. 15 luglio 2002 n. 10262, RIDL, 2003, II, 249.
(15) Corte di Giustizia 10 luglio 1986, DL, 1986, II, 426. Per l’inefficacia orizzontale della direttiva, cfr.
76
Cass. 21 marzo 2001 n. 4073, RIDL, 2002, II, 114.
(16) Cass. 4 gennaio 2000 n. 23, FI, 2001, I, 1260 ritiene che la violazione dell’obbligo procedurale non
incida sulla validità del trasferimento d’azienda.
(17) Per tutte Cass. 26 novembre 1980 n. 6286, MGL, 1982, 121; Cass. 12 febbraio 1993 n. 1771, DPL,
1993, 1024.
(18) Cass. 21 aprile 1983 n. 2762, GC, 1984, I, 516; Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432. Tuttavia
si ritiene giustificato il licenziamento, individuale o collettivo, imposto dall’acquirente come condizione per
l’acquisto: Cass. 9 luglio 1984 n. 3991, GC, 1984, I, 3288; Cass. 9 settembre 1991 n. 9462, LPO, 1992,
1773.
(19) Per l’esclusione del litisconsorzio cfr. Cass. 21 novembre 1984 n. 5971, GC, 1985, I, 3160. Per la
nullità del licenziamento e la condanna del subentrante al risarcimento del danno secondo il diritto comune
in caso di rifiuto della prestazione offerta dal lavoratore, cfr. Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, RIDL, 1999, II,
410.
(20) Cass. 10 luglio 1984 n. 4039, 14 luglio 1984 n. 4132, 21 luglio 1984 n. 4291, GC Rep., 1984, voce
Lavoro (rapporto), n. 2438, 2435, 2434; Cass. 12 febbraio 1993 n. 1771, DPL, 1993, 1024. Tuttavia la frode
viene esclusa in caso di oggettive esigenze del subentrante per l'attuazione di una diversa organizzazione
anche con diverso contratto collettivo (Cass. 23 gennaio 1986 n. 448, GC, 1986, I, 2855) ed in caso di licenziamento in tempo utile finalizzato a cedere l’azienda nel modo più conveniente (Cass. 3 febbraio 1994 n
1091, MGL, 1994, suppl., 20).
(21) Cass. 18 agosto 2000 n. 10963, FI, 2001, I, 1259.
(22) Cass. 27 agosto 1991 n. 9789, RIDL, 1992, II, 220; Cass. 14 dicembre 1998 n. 12548, MGL, 1999,
285; Cass. 13 dicembre 2000 n. 15687, MGL, 2001, 267.
(23) Cass. 16 marzo 1994 n. 2491, RIDL, 1995, II, 186; Cass. 20 maggio 1996 n.
4951, RIDL, 1997, II, 200.
(24) Cass. 8 settembre 1999 n. 9545, MGL, 1999, 1147 rileva che tale sostituzione immediata può
determinare anche un peggioramento del complessivo trattamento dei lavoratori.
(25) La responsabilità del cessionario viene esclusa per i debiti del cedente verso l’ente previdenziale per
omessa contribuzione in quanto non qualificabili come crediti di lavoro (Cass. 16 giugno 2001 n. 8179,
RIDL, 2002, II, 119), diversamente dal credito risarcitorio del lavoratore per la perdita della prestazione
previdenziale a seguito della prescrizione dei contributi omessi (Cass. 4 ottobre 1984 n. 4934, MGL, 1984,
206, suppl.; Cass. 20 aprile 1935 n: 2644, MGL, 1985, 117, suppl.). La solidarietà riguarda anche i debiti
gravanti sul cedente per effetto di un precedente trasferimento d’azienda (Cass. 17 luglio 2002 n. 10348,
MGL, 2002, 669).
(26) Tuttavia questa condizione veniva applicata solo ai rapporti di lavoro non proseguiti con l'acquirente;
Cass. 12 febbraio 1980 n. 994, MGL, 1981, 427; Cass. 15 febbraio 1989 n. 909, MGL, 1989, 214; Cass. 23
marzo 1991 n. 3115, RIDL, 1991, II, 852; Cass. 27 novembre 1992 n. 12665, RIDL, 1993, II, 838.
(27) Per la differenza rispetto all’azione ex art. 3 legge n. 1369 del 1960 cfr. Cass. 20 novembre 1998 n.
11753, MGL, 1999, 206. Viene escluso il litisconsorzio necessario con l’appaltatore e riconosciuta la
competenza del giudice del lavoro (Cass. 4 settembre 2000 n. 11607, RIDL, 2001, II, 382). Ma la mancata
partecipazione al giudizio dell’appaltatore impedisce un effettivo contraddittorio sull’esistenza e la misura
del credito azionato dal lavoratore essendo-le vicende del rapporto note solo all’appaltatore, sicché appare
quanto meno opportuno che sia sempre ordinato l’intervento iusso iudicis di quest’ultimo ex art. 107 cod.
proc. civ.. Secondo un opinabile orientamento giurisprudenziale il diritto dei dipendenti dell’appaltatore ex
art. 1676 cod. civ. è riconosciuto anche in caso di fallimento del medesimo, benché sottragga il prezzo
residuo dell’appalto all’attivo della massa fallimentare ed al conseguente concorso di tutti i creditori: Cass.
10 luglio 1984 n. 4051, GC, 1985, I, 1744; Cass. 14 aprile 2001 n. 5591, MGL, 2001, 700; Cass. 10 marzo
2001 n. 3559, RIDL, 2002, II, 44.
(28) Per la legittimità costituzionale della riduzione di tutela prevista dalla legge n. 215 del 1978 cfr. Corte
Cost. 30 luglio 1980 n. 143, FI, 1980, I, 2953; Cass. S.U. 8 agosto 1991 n. 8640, RIDL, 1992, II, 420. Per
alcune opinabili ricostruzioni del sistema della legge n. 215 del 1978 cfr. Cass. S.U. 25 novembre 1983 n.
7070, GC, 1984, I, 728 (a proposito del caso Unidal; Cass. 28 marzo 1985 n. 2187, RIDL, 1986, II, 174;
Cass. 19 febbraio 1987 n. 1799, OCL, 1987, II, 245; Cass. 29 gennaio 1988 n. 796, FI, 1989, I, 3184.
(29) Conte di Giustizia 7 dicembre 1995, Spano, FI, 1996, IV, 205 ha ritenuto violata da questa disposizione
nazionale la direttiva comunitaria n. 187 del 1977, che ammette la disapplicazione delle tutele previste per il
trasferimento d’azienda solo in caso di procedure concorsuali. La disciplina del trasferimento d’azienda si
applica anche all’acquisto di una banca in liquidazione coatta amministrativa da parte di un’altra banca
77
(Cass. 23 giugno 2001 n. 8617, MGL, 2001, 1038).
(30) Secondo Cass. 21 marzo 2001 n. 4073, FI, 2001, I, 3235 e Cass. 16 maggio 2002 n. 7120, FI, 2002, I,
2277, l’accordo collettivo può intervenire anche prima della dichiarazione di crisi, purché entrambi
coesistano al momento del trasferimento.
(31) Con riferimento al sistema della legge n. 215 del 1978, l’accordo collettivo è stato ritenuto vincolante
solo per i lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti o che lo abbiano ratificato anche per farti concludenti:
Cass. 19 maggio 1990 n. 4543, MGL, 1990, suppl., 88. In senso conforme, con riferimento alle disposizioni
dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990, cfr. Cass. 12 maggio 1999 n. 4724, MGL. 1999, 1037.
(32) La disapplicazione delle tutele previste dall’art. 2112 cod. civ., per i lavoratori passati alle
dipendenze dell’acquirente deriva automaticamente dal fatto materiale della stipulazione dell’accordo e non
dal suo contenuto, che può solo introdurre condizioni di miglior favore: Cass. 18 febbraio 1997 n. 1462,
RIDL, 1998, II, 150.
(33) Nel sistema della legge n. 215 del 1978 i lavoratori non passati alle dipendenze dell’acquirente
rimanevano in cassa integrazione presso l’alienante, a maggior ragione se addetti ad un ramo d’azienda non
trasferito: Cass. 19 febbraio 1988 n. 1763, RIDL, 1988, II, 1078. E' stata considerata in frode alla legge
l’esclusione del passaggio all’acquirente dei lavoratori subito seguita dall’assunzione degli stessi da parte
del medesimo acquirente per godere delle riduzioni contributive previste per l’assunzione dei lavoratori
collocati in mobilità (Cass. 27 giugno 2001 n. 8800, MGL, 2001, 1049).
(34) Cass. 13 aprile 1985 n. 2445, GC, 1985, I, 2208; Cass. 19 maggio 1990 n. 4543, MGL, 1990, suppl.,
88; Cass. 26 maggio 2000 n. 6907, MGL, 2000, 1052. Contra Cass. 4 luglio 1991 n. 7397, FI, 1992, I, 418;
Cass. 21marzo 1994 n. 2660, DPL, 1994, 1916.
(35) Cass. 18 agosto 1978 n. 3901, OCL, 1979, 389; Cass. 22 aprile 1983 n. 2785, GC, 1983, I, 2981;
Cass. 23 gennaio 1986 n. 448, GC, 1986, I, 2855; Cass. 10 agosto 1987 n. 6861, FI, 1989, I, 3186.
(36) Cass. 13 aprile 1985 n. 2445, GC, 1985, I, 2208; Cass. 19 maggio 1990 n. 4543, MGL, 1990, suppl.,
88.
(37) I dirigenti sono esclusi da questa disciplina, per cui sono licenziabili con preavviso (Cass. 17 ottobre
1984 n. 5233, GC, 1985, I, 769; Cass. 12 ottobre 1993 n. 10086, FI, 1994, I, 1493). I lavoratori
obbligatoriamente riassunti dall’impresa cessionaria del portafoglio hanno diritto a conservare la qualifica
corrispondente alle mansioni svolte (Cass. S.U. 17 ottobre 1984 n. 5230, GC, 1985, I, 770; Cass. 27
novembre 1987 n. 8829, RIDL, 1988, II, 695), ma non l’inquadramento di favore equiparabile ad un
superminimo individuale (Cass. n. 8829 del 1987, cifr.). Il diritto alla riassunzione da parte dell’impresa
cessionaria del portafoglio è escluso per gli assunti nell’ultimo anno, al fine antifraudolento di evitare
l’instaurazione di rapporti clientelari in vista della liquidazione coatta (Cass. 24 gennaio 1992 n. 779, FI,
1993, I, 547). La riassunzione ex novo da parte del Commissario liquidatone ex art. 10, c. 2, legge n. 39 del
1977 avviene con trattamento minimo e presuppone l’estinzione ope legis senza preavviso del precedente
rapporto (Cass. 31 luglio 1998 n. 7544, RIDL, 1999, II, 789).
(38) Cass. 6 marzo 1990 n. 1755, MGL, 1990, suppl., 57; Cass. 22 maggio 1991 n. 5745, RIDL, 1992, II,
437; Cass. 18 marzo 1996 n. 2254, MGL, 1996, 568; Cass. 20 novembre 1997 n. 11575, MGL, 1998, suppl.,
13.
(39) Cass. 5 aprile 1995 n. 3974, FI, 1997, I, 3663; Cass. 18 marzo 1996 n. 2254, MGL, 1996, 568; Cass. 30
agosto 2000 n. 11422, MGL, 2000, 1334; Cass. 21 marzo 2001 n. 4073, MGL, 2001, 608.
(40) Cass. 20 novembre 1997 n. 11575, MGL, 1998, suppl, 13; Corte di Giustizia 11 marzo 1997, Suzen,
MGL, 1997, 241; Corte di Giustizia 25 gennaio 2001, Py Likenne, FI, 2001, IV, 153. Contra in precedenza
Conte di Giustizia 10 febbraio 1988, GC, 1990, I, 283; Corte di Giustizia 14 marzo 1994, RIDL, 1995, II,
608; Corte di Giustizia 7 marzo 1996, Mercks, MGL, 1996, 362. Ovviamente diverso è il caso, in cui si è
configurato un trasferimento d’azienda, del committente che riassume in proprio il servizio prima appaltato,
contemporaneamente acquisendo l’organizzazione dell’appaltatore: Corte Giustizia 10 dicembre 1998,
Francisco Hernandez Vidal, MGL, 1999, 98; Corte Giustizia, 10 dicembre 1998, Sanchez Hidalgo, MGL,
1999, 98. In effetti la massima estensione del concetto di trasferimento di azienda non poteva andare oltre
l’ipotesi, già in sé discutibile, della acquisizione di un complesso organizzato di persone da solo sufficiente,
senza mezzi patrimoniali, all’esercizio dell’attività economica (Corte di Giustizia 2 dicembre 1999, Allen,
MGL, 2000, 506; Corte di Giustizia 24 gennaio 2002, Temco Service, FI, 2002, IV, 142, in un caso di
obbligo per contratto collettivo a carico dell’impresa subentrante in un appalto di pulizie di assumere una
parte essenziale del personale utilizzato dal precedente appaltatore). Ma, ormai, è decisivo l’espresso
riferimento della vigente direttiva al passaggio di elementi materiali significativi (Corte Giustizia 25
gennaio 2001, cit.).
78
(41) Opportunamente Cass. 8 febbraio 1993 n. 1518, RIDL, 1993, II, 834 riporta le improprie espressioni
utilizzate nei contratti collettivi (ad es. cessione dell’appalto, cambio appalto) alla corretta definizione di
«concessione di un nuovo appalto in sostituzione del precedente».
(42) Cass. 8 marzo 1990 n. 1875, MGL, 1990, suppl., 57; Cass. 29 marzo 1990 n. 2550, MGL, 1990, 448;
Corte di Giustizia 24 gennaio 2002 Teinco Service, FI 2002, IV, 142.
(43) Contra Cass. 21 maggio 1998, n. 5104, FI, 1998, I, 2108 e RIDL, 1999, II, 206.
(44) Contra, ma senza neppure porsi il problema della risoluzione consensuale, Cass. N. 5104 del 1998, cit.
nella nota precedente.
(45) Di ciò non si è avveduta Cass. n. 5104 del 1998, cit.. Il risarcimento per l’inadempimento dell’obbligo
negoziale di assunzione deve essere commisurato alle retribuzioni perdute con detrazione dell’eventuale
aliunde perceptum (Cass. 2 luglio 2001 n. 8894, GL, 2001, n. 36, 23).
(46) Cass. 7 marzo 1998 n. 2575, RIDL, 1998, II, 784; Cass. 9 luglio 2002 n. 9966. Contra Cass. 22
ottobre 1999 n. 11900, RIDL, 2000, II, 467.
(47) Cass. 23 gennaio 1986 n. 448, GC, 1986, I, 2855; Cass. 29 maggio 1996 n. 4951, RIDL, 1997, II, 200;
Cass. 5 giugno 1998 n. 5581, RIDL, 1999, II, 231. Contra Cass. 8 novembre 1983 n. 6612, GC, 1984, I,
1171; Cass. 28 luglio 1986 n. 4812, FI, 1988, I, 1275.
(48) Cass. 17 novembre 2000 n. 14879, GL, 2001, n. 5,17.
49) Cass. 6 ottobre 1998 n. 9897, FI 1999, I, 3312.
79
La principale normativa nazionale
e comunitaria ddaall 11999900 aall 22000033
1) CODICE CIVILE:
ART. 2112 MODIFICATO DALLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990 N. 428
ART. 2112 SOSTITUITO DALL’ART. 1 DEL D. LGS. 2 FEBBRAIO 2001 N. 18
ART. 2112 MODIFICATO DALL’ARTICOLO 32 DEL D. LGS. N. 276/2003
2) LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428- ART. 47
3) ART. 47 DELLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428
DALL’ARTICOLO 2. DEL D. LGS. 2 FEBBRAIO 2001 N. 18
MODIFICATO
4) DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 14 FEBBRAIO 1977 N.187
5) DIRETTIVA 98/50/CE DEL CONSIGLIO DEL 29 GIUGNO 1998
6) DIRETTIVA 2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001
Codice Civile art. 2112 modificato dalla legge 428 del 1990
Trasferimento dell'azienda
In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente
ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
L'alienante e l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il
lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli
410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la
liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
L'acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti
dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla
loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili
all'impresa dell'acquirente.
Le disposizioni di quest'articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di
affitto della azienda.
Codice Civile art. 2112 sostituito dall’art. 1 del d. lgs. 2001 n. 18
Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda
In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il
cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
81
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il
lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli
410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la
liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il cessionario e' tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti
dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del
trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti
collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si
produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in
materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sè
motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una
sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può
rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo
comma.
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento
d'azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di
un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e
che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia
negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento e' attuato, ivi
compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del
presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel
trasferimento la propria identità.
Codice Civile art. 2112 modificato dall’art.32 del DLGS n. 276/2003
Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda
In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il
cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il
lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli
410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la
liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti
dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del
trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti
collettivi applicabili all’impresa del cessionario.
L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del
medesimo livello.
82
Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in
materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé
motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una
sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può
rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo
comma.
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento
d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o
fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica
organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che
conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia
negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi
compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata
come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui
esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra
appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’articolo 1676.
LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428
ART. 47. TRASFERIMENTI DI AZIENDA.
1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'art. 2112 del codice civile, un
trasferimento d'azienda in cui sono occupati più di quindici lavoratori, l'alienante
e l'acquirente devono darne comunicazione per iscritto, almeno venticinque
giorni prima, alle rispettive rappresentanze sindacali costituite, a norma dell'art.
19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonchè
alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette
rappresentanze aziendali, la comunicazione deve essere effettuata alle
associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di
categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione sindacale alla
quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) i
motivi del programmato trasferimento d'azienda; b) le sue conseguenze
giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; c) le eventuali misure previste
nei confronti di questi ultimi.
2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali aziendali o dei sindacati di
categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di
cui al comma 1, l'alienante e l'acquirente sono tenuti ad avviare, entro sette giorni
dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti
83
sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci
giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. Il mancato rispetto, da
parte dell'acquirente o dell'alienante, dell'obbligo di esame congiunto previsto nel
presente articolo costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 della legge
20 maggio 1970, n. 300.
3. I primi tre commi dell'art. 2112 del codice civile sono sostituiti dai seguenti:
<<In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con
l'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. L'alienante e
l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al
tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del
codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione
dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. L'acquirente è
tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti
collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro
scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili
all'impresa dell'acquirente>>.
4. Ferma restando la facoltà dell'alienante di esercitare il recesso ai sensi della
normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce
di per sè motivo di licenziamento.
5. Qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive delle quali il CIPI
abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell'art. 2, quinto comma,
lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, o imprese nei confronti delle quali
vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo
consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di
liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all'amministrazione
straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o
sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato
raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai
lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova
applicazione l'art. 2112 del codice civile, salvo che dall'accordo risultino
condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il
trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a
rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante.
6. I lavoratori che non passano alle dipendenze dell'acquirente, dell'affittuario o
del subentrante hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi
effettuino entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo
maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti,
che vengano assunti dall'acquirente, dall'affittuario o dal subentrante in un
momento successivo al trasferimento d'azienda, non trova applicazione l'art.
2112 del codice civile.
84
Art. 47 Della Legge 29 Dicembre 1990, N. 428
modificato dall’articolo 2. del d. lgs. 2 febbraio 2001 n. 18
1. All'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, i commi 1, 2, 3 e 4 sono
sostituiti dai seguenti:
"1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un
trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati piu' di quindici
lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d'azienda, ai
sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne
comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato
l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le
parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle
rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge
20 maggio 1970, n. 300, nelle unita' produttive interessate, nonche' ai sindacati di
categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese
interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali,
resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria
comparativamente piu' rappresentativi e puo' essere assolto dal cedente e dal
cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o
conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) la data o la data
proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda;
c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le
eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.
2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria,
comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al
comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal
ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali
richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal
suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.
3. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi
previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo
28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
4. Gli obblighi d'informazione e di esame congiunto previsti dal presente articolo
devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento
sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata trasmissione da parte
di quest'ultima delle informazioni necessarie non giustifica l'inadempimento dei
predetti obblighi.".
85
COMUNITÀ EUROPEA DIRETTIVA DEL CONSIGLIO
DEL 14 FEBBRAIO 1977 N.77/187
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di
stabilimenti o di parti di stabilimenti
SEZIONE I - Campo di applicazione e definizioni
Articolo 1
1 . La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, si stabilimenti o di
parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale
o a fusione.
2 . La presente direttiva si applica se e nella misura in cui l'impresa, lo
stabilimento o la parte di stabilimento da trasferire si trovi nel campo d'
applicazione territoriale del trattato.
3 . La presente direttiva non si applica alle navi marittime.
Articolo 2
Ai sensi della presente direttiva si intende:
• per « cedente », ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un
trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, perde la veste di
imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dello
stabilimento;
• per « cessionario », ogni persona fisica o giuridica che , in conseguenza di un
trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di
imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dello
stabilimento;
• per « rappresentanti dei lavoratori », i rappresentanti dei lavoratori previsti
dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri, eccettuati i membri degli
organi di amministrazione, di direzione o di controllo di società che in alcuni
Stati membri occupano un posto in tali organi in qualità di rappresentanti dei
lavoratori.
SEZIONE II - Mantenimento dei diritti dei lavoratori
Articolo 3
1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da
un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell'articolo 1,
paragrafo 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del
trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, sia responsabile, accanto al
cessionario, degli obblighi risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di
lavoro.
2. Dopo il trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, il cessionario
mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei
termini previsti da quest'ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o
86
della scadenza del contratto collettivo o dell'entrata in vigore o dell'applicazione
di un altro contratto collettivo.
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni
di lavoro purchè esso non sia inferiore ad un anno.
3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di
vecchiaia, d'invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di previdenza
professionali o interprofessionali, esistenti al di fuori dei regimi legali di
sicurezza sociale degli Stati membri.
Gli Stati membri adottano le misure necessarie per tutelare gli interessi dei
lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al
momento del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, per quanto
riguarda i diritti, da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di
vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari citati al
primo comma.
Articolo 4
1. Il trasferimento di un ' impresa , di uno stabilimento o di una parte di
stabilimento non è di per sè motivo di licenziamento da parte del cedente o del
cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver
luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano
variazioni sul piano dell'occupazione.
Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune
categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi
degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento.
2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è rescisso in quanto il
trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, comporta a scapito del
lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la rescissione del
contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla
responsabilità del datore di lavoro.
Articolo 5
1. Qualora lo stabilimento conservi la propria autonomia, sussistono lo status e le
funzione dei rappresentanti o della rappresentanza dei lavoratori interessati dal
trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, previsti dalle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri.
Il primo comma non si applica se, in virtù delle disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative o della prassi degli Stati membri, esistono le
condizioni necessarie alla nuova designazione dei rappresentanti dei lavoratori o
alla nuova formazione della rappresentanza dei lavoratori.
2. Qualora il mandato dei rappresentanti dei lavoratori interessati dal
trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, scada a causa del trasferimento,
questi rappresentanti continuano a beneficiare delle misure di protezione previste
dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o dalla prassi degli
Stati membri.
87
SEZIONE III - Informazione e consultazione
Articolo 6
1. Il cedente ed il cessionario sono tenuti ad informare i rappresentanti dei
rispettivi lavoratori interessati da un trasferimento ai sensi dell'articolo 1,
paragrafo 1, sui seguenti punti:
- motivi del trasferimento,
- conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i lavoratori,
- misure previste nei confronti dei lavoratori.
Il cedente è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi
lavoratori in tempo utile prima dell'attuazione del trasferimento.
Il cessionario è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi
lavoratori in tempo utile e in ogni caso prima che i suoi lavoratori siano
direttamente lesi nelle loro condizioni di impiego e di lavoro di trasferimento.
2. Se il cedente o il cessionario prevedono misure nei confronti dei rispettivi
lavoratori, essi sono tenuti ad avviare in tempo utili consultazioni in merito a tali
misure con i rappresentanti dei rispettivi lavoratori al fine di ricercare un
accordo.
3. Gli Stati membri le cui disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
prevedono la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di ricorrere ad
un'istanza di arbitrato per ottenere una decisione su misure da adottare nei
confronti dei lavoratori, possono limitare gli obblighi previsti ai paragrafi 1e 2 ai
casi in cui il trasferimento realizzato comporta una modifica a livello dello
stabilimento che può implicare svantaggi sostanziali per una parte consistente dei
lavoratori.
L'informazione e la consultazione devono almeno riferirsi alle misure previste
nei confronti dei lavoratori.
L'informazione e la consultazione devono avere luogo in tempo utile, prima
dell'attuazione della modifica a livello dello stabilimento di cui al primo comma.
4. Gli Stati membri possono limitare gli obblighi previsti ai paragrafi 1, 2 e 3 alle
imprese o agli stabilimenti che soddisfano, per quanto riguarda il numero di
lavoratori occupati , le condizioni per l'elezione o la designazione di un organo
collegiale che rappresenti i lavoratori.
5. Gli Stati membri possono prevedere che, qualora in un'impresa o in uno
stabilimento non vi siano
rappresentanti dei lavoratori, i lavoratori interessati debbono essere informati in
precedenza dell'imminenza del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1.
SEZIONE IV - Disposizioni finali
Articolo 7 - La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di
applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative
più favorevoli al lavoratori.
Articolo 8 - 1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva
88
nel termine di due anni a decorrere dalla notifica e ne informano
immediatamente la Commissione.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative che essi adottano nel settore
disciplinato dalla presente direttiva.
Articolo 9 - Entro i due anni successivi alla scadenza del periodo di due anni
previsto dall'articolo 8, gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutti i dati
utili per consentirle di redigere una relazione, che sarà sottoposta al Consiglio,
sull'applicazione della presente direttiva.
Articolo 10 - Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
COMUNITÀ EUROPEA DIRETTIVA DEL CONSIGLIO
DEL 29 GIUGNO 1998 N. 98/50
che modifica la direttiva 77/187/CEE concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori
in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti
Articolo 1
La direttiva 77/187/CEE è modificata come segue:
1) Il titolo è sostituito dal seguente:
«Direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento
dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di
parti di imprese o di stabilimenti».
2) Gli articoli da 1 a 7 sono sostituiti dal testo seguente:
«SEZIONE I - Ambito di applicazione e definizioni
Articolo 1
a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di
parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione
contrattuale o a fusione.
b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è
considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di
un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di
mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o
accessoria.
c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano
un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una
riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento
di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici, non costituisce
trasferimento ai sensi della presente direttiva.
2. La presente direttiva si applica se e nella misura in cui l'impresa, lo
stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento da trasferire si trovi
89
nell'ambito d'applicazione territoriale del trattato.
3. La presente direttiva non si applica alle navi marittime.
Articolo 2 - 1. Ai sensi della presente direttiva si intende:
a) per «cedente», ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un
trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore
rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dello stabilimento;
b) per «cessionario», ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un
trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di
imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dello
stabilimento;
c) che «rappresentanti dei lavoratori» ed espressioni connesse, i rappresentanti
dei lavoratori previsti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri;
d) per «oratore», ogni persona che nello Stato membro interessato è tutelata
come un lavoratore nell'ambito del diritto nazionale del lavoro.
2. La presente direttiva non lede il diritto nazionale per quanto riguarda la
definizione di contratto o di rapporto di lavoro.
Tuttavia, gli Stati membri non potranno escludere dall'ambito di applicazione
della presente direttiva i contratti o i rapporti di lavoro a motivo unicamente:
a) del numero di ore di lavoro prestate o da prestare;
b) di rapporti di lavoro disciplinati da un contratto di lavoro di durata
determinata a norma dell'articolo 1, punto 1 della direttiva 91/383/CEE del
Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori
aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro
interinale, o
c) di rapporti di lavoro interinali a norma dell'articolo 1, punto 2 della direttiva
91/383/CEE e del fatto che l'impresa, lo stabilimento o la parte d'impresa o di
stabilimento trasferita è l'agenzia di lavoro interinale che è il datore di lavoro o
parte di essa.
SEZIONE II - Mantenimento dei diritti dei lavoratori
Articolo 3
1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da
un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza
di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del
trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti
prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di
lavoro esistente alla data del trasferimento.
2. Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per garantire che
il cedente notifichi al cessionario tutti i diritti e gli obblighi che saranno trasferiti
al cessionario a norma del presente articolo, nella misura in cui tali diritti e
obblighi siano o avessero dovuto essere noti al cedente al momento del
90
trasferimento. Il fatto che il cedente ometta di notificare al cessionario tali diritti
e obblighi non incide sul trasferimento di detto diritto o obbligo e dei diritti di
qualsiasi lavoratore nei confronti del cessionario e/o del cedente in relazione a
detto diritto o obbligo.
3. Dopo il trasferimento il cessionario mantiene le condizioni di lavoro
convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il
cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o
dell'entrata in vigore o dell'applicazione di un altro contratto collettivo.
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni
di lavoro purché esso non sia inferiore ad un anno.
4. a) A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, i paragrafi 1 e 3
non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o
per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o
interprofessionali, esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli
Stati membri.
b) Anche quando essi non prevedono, a norma della lettera a), che i paragrafi 1 e
3 si applichino a tali diritti, gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari
per tutelare gli interessi dei lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo
stabilimento del cedente al momento del trasferimento per quanto riguarda i
diritti da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia,
comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari di cui alla lettera a)
del presente paragrafo.
Articolo 4 - 1. Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte
di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del
cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che
possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che
comportano variazioni sul piano dell'occupazione.
Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune
categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi
degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento.
2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è risolto in quanto il
trasferimento comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle
condizioni di lavoro, la risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di
lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro.
Articolo 4 bis - 1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli
articoli 3 e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o
parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una
procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista
della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo
di un'autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare
autorizzato da un'autorità pubblica competente).
91
2. Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso di una
procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente dal
fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del
cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di
un'autorità pubblica competente (che può essere un curatore fallimentare
determinato dal diritto nazionale), uno Stato membro può disporre che:
a) nonostante l'articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente risultanti da un
contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima del trasferimento o
prima dell'apertura della procedura di insolvenza non siano trasferiti al
cessionario, a condizione che tali procedure diano adito, in virtù della
legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente a quella
prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE del Consiglio,
del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del
datore di lavoro;
b) il cessionario, il cedente o la persona o le persone che esercitano le funzioni
del cedente, da un lato, e i rappresentanti dei lavoratori, dall'altro, possano
convenire, nella misura in cui la legislazione o le prassi in vigore lo consentano,
modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le
opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell'impresa, dello
stabilimento o di parti di imprese o di stabilimenti.
3. Uno Stato membro ha facoltà di applicare il paragrafo 2, lettera b) a
trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi economica quale
definita dal diritto nazionale, purché tale situazione sia dichiarata da un'autorità
pubblica competente a sia aperta al controllo giudiziario, a condizione che tali
disposizioni esistano già nel diritto nazionale entro il 17 luglio 1998.
La Commissione presenterà una relazione sugli effetti della presente
disposizione entro il 17 luglio 2003 e sottoporrà eventuali proposte adeguate al
Consiglio.
4. Gli Stati membri adottano gli opportuni provvedimenti al fine di impedire che
l'abuso delle procedure di insolvenza privi i lavoratori dei diritti loro riconosciuti
a norma della presente direttiva.
Articolo 5 - 1. Qualora l'impresa, lo stabilimento o parte di un'impresa o di uno
stabilimento conservi la propria autonomia, sussistono lo status e la funzione dei
rappresentanti o della rappresentanza dei lavoratori interessati dal trasferimento,
secondo le stesse modalità e alle stesse condizioni esistenti prima della data del
trasferimento, previsti dalle disposizioni legislative, regolamentari, e
amministrative o da accordi, a patto che siano soddisfatte le condizioni
necessarie per la costituzione della rappresentanza dei lavoratori.
Il primo comma non si applica se, in virtù delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative o della prassi degli Stati membri o ai termini di
un accordo con i rappresentanti dei lavoratori, esistono le condizioni necessarie
92
per la nuova designazione dei rappresentanti dei lavoratori o la nuova
costituzione della rappresentanza dei lavoratori.
Nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una
procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del
cedente stesso e che si svolge sotto il controllo di un'autorità pubblica
competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un'autorità
pubblica competente), gli Stati membri possono adottare i provvedimenti
necessari al fine di garantire che i lavoratori trasferiti siano adeguatamente
rappresentati fino alla nuova elezione o designazione di rappresentanti dei
lavoratori.
Qualora l'impresa, lo stabilimento o la parte di un'impresa o di uno stabilimento
non conservi la propria autonomia, gli Stati membri adotteranno i provvedimenti
necessari per garantire che i lavoratori trasferiti, che erano rappresentati prima
del trasferimento, continuino ad essere adeguatamente rappresentati per il
periodo necessario a provvedere ad una nuova costituzione o designazione della
rappresentanza dei lavoratori, conformemente alla legislazione o alla prassi
nazionale.
2. Qualora il mandato dei rappresentanti dei lavoratori interessati dal
trasferimento scada a causa del trasferimento, questi rappresentanti continuano a
beneficiare delle misure di protezione previste dalle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative o dalla prassi degli Stati membri.
SEZIONE III - Informazione e consultazione
Articolo 6
1. Il cedente e il cessionario sono tenuti ad informare i rappresentanti dei
rispettivi lavoratori interessati da un trasferimento sui seguenti punti:
- data o data proposta del trasferimento,
- motivi del trasferimento,
- conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i lavoratori,
- misure previste nei confronti dei lavoratori.
Il cedente è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi
lavoratori in tempo utile prima dell'attuazione del trasferimento.
Il cessionario è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi
lavoratori in tempo utile ed in ogni caso prima che i suoi lavoratori siano
direttamente lesi dal trasferimento nelle loro condizioni d'impiego e di lavoro.
2. Se il cedente o il cessionario prevedono misure nei confronti dei rispettivi
lavoratori, essi sono tenuti ad avviare in tempo utile consultazioni in merito a tali
misure con i rappresentanti dei rispettivi lavoratori al fine di ricercare un
accordo.
3. Gli Stati membri le cui disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
prevedono la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di ricorrere ad
un'istanza di arbitrato per ottenere una decisione su misure da adottare nei
confronti dei lavoratori, possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1 e 2
93
ai casi in cui il trasferimento realizzato comporta una modifica a livello dello
stabilimento che può implicare svantaggi sostanziali per una parte consistente dei
lavoratori.
L'informazione e la consultazione devono almeno riferirsi alle misure previste
nei confronti dei lavoratori.
L'informazione e la consultazione devono aver luogo in tempo utile prima
dell'attuazione della modifica a livello dello stabilimento di cui al primo comma.
4. Gli obblighi di cui al presente articolo si applicano indipendentemente dal
fatto che la decisione riguardante il trasferimento sia presa dal datore di lavoro o
da un'impresa che lo controlla.
Nell'esame delle pretese violazioni degli obblighi in materia di informazione e di
consultazione previsti nella presente direttiva, non si deve tener conto quale
mezzo di difesa del fatto che tale violazione è avvenuta in quanto l'impresa che
controlla il datore di lavoro non gli ha trasmesso le informazioni necessarie.
5. Gli Stati membri possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1, 2 e 3
alle imprese o agli stabilimenti che soddisfano, per quanto riguarda il numero dei
lavoratori occupati, le condizioni per l'elezione o la designazione di un organo
collegiale che rappresenti i lavoratori.
6. Gli Stati membri possono prevedere che, qualora in un'impresa o in uno
stabilimento non vi siano rappresentanti dei lavoratori per motivi indipendenti
dalla volontà degli stessi, i lavoratori interessati debbono essere informati in
precedenza:
- della data o della data proposta del trasferimento,
- dei motivi del trasferimento,
- delle conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i
lavoratori,
- delle misure previste nei confronti dei lavoratori.
SEZIONE IV - Disposizioni finali
Articolo 7 - La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di
applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative
più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l'applicazione di
accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori.
Articolo 7 bis - Gli Stati membri introducono nelle loro normative nazionali i
provvedimenti atti a consentire a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti che si
ritengono lesi dall'inosservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva,
di tutelare i loro diritti con un'azione in giudizio dopo eventuali ricorsi ad altri
organi competenti.
Articolo 7 ter - La Commissione presenta al Consiglio una relazione sugli effetti
delle disposizioni della presente direttiva entro il 17 luglio 2006. Essa propone le
modifiche che risultano necessarie.
Articolo 2 - 1. Gli Stati membri adottano entro il 17 luglio 2001 le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla
94
presente direttiva o garantiscono che in questo periodo le parti sociali
adotteranno le disposizioni necessarie mediante accordo; gli Stati membri sono
tenuti a prendere tutte le disposizioni necessarie per consentire loro in ogni
momento di ottenere i risultati prescritti dalla presente direttiva.
2. Quando gli Stati membri adottano le disposizioni di cui al paragrafo 1, queste
contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto
riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento
sono decise dagli Stati membri.
Gli Stati membri informano immediatamente la Commissione circa i
provvedimenti adottati in applicazione della presente direttiva.
Articolo 3 - Il presente regolamento entra in vigore il giorno della pubblicazione
nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.
Articolo 4 - Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva
COMUNITÀ EUROPEA DIRETTIVA DEL CONSIGLIO
DEL 12.3.2001 N. 2001/23
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di
stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti
IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 94,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Parlamento europeo(1),
visto il parere del Comitato economico e sociale(2),
considerando quanto segue:
(1) La direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento
dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di
parti di imprese o di stabilimenti(3) è stata modificata in maniera sostanziale(4)
ed è, perciò, opportuno, per motivi di chiarezza, procedere alla sua codificazione.
(2) L'evoluzione economica implica, sul piano nazionale e comunitario,
modifiche delle strutture delle imprese effettuate, tra l'altro, con trasferimenti di
imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti a nuovi
imprenditori in seguito a cessioni contrattuali o a fusioni.
(3) Occorre adottare le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso
di cambiamento di
imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti.
(4) Sussistono differenze negli Stati membri per quanto riguarda l'entità della
protezione dei lavoratori in questo settore e occorre attenuare tali differenze.
95
(5) La carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata il
9 dicembre 1989 ("Carta sociale"), nei punti 7, 17 e 18 dispone in particolare che
la realizzazione del mercato interno
deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei
lavoratori nella Comunità europea. Tale miglioramento deve consentire, ove
necessario, di sviluppare taluni aspetti della regolamentazione del lavoro, come
le procedure per il licenziamento collettivo o quelle concernenti i fallimenti.
Occorre sviluppare l'informazione, la consultazione e la partecipazione dei
lavoratori, secondo modalità adeguate, tenendo conto delle prassi vigenti nei
diversi Stati membri. L'informazione, la consultazione e la partecipazione
devono essere realizzate tempestivamente, in particolare in occasione di
ristrutturazioni o fusioni di imprese che incidono sull'occupazione dei lavoratori.
(6) Nel 1977 il Consiglio ha adottato la direttiva 77/187/CEE per promuovere
l'armonizzazione delle legislazioni nazionali relative al mantenimento dei diritti
dei lavoratori e chiedere ai cedenti e ai cessionari di informare e consultare in
tempo utile i rappresentanti dei lavoratori.
(7) Detta direttiva è stata in seguito modificata alla luce dell'impatto del mercato
interno, delle tendenze legislative degli Stati membri per quanto riguarda il
salvataggio delle imprese con difficoltà economiche, della giurisprudenza della
Corte di giustizia delle Comunità europee, della direttiva 75/129/CEE del
Consiglio, del 17 febbraio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi(5), e delle norme
legislative già in vigore nella maggior parte degli Stati membri.
(8) La sicurezza e la trasparenza giuridiche hanno richiesto un chiarimento della
nozione giuridica di trasferimento alla luce della giurisprudenza della Corte di
giustizia. Tale chiarimento non ha modificato la sfera di applicazione della
direttiva 77/187/CEE, quale interpretata dalla Corte di giustizia.
(9) La Carta sociale riconosce l'importanza della lotta contro tutte le forme di
discriminazione, in particolare quelle basate sul sesso, sul colore, sulla razza,
sulle opinioni e sulle credenze.
(10) La presente direttiva deve far salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai
termini di attuazione indicati nell'allegato I, parte B,
ha adottato la presente direttiva:
CAPO I
Ambito di applicazione e definizioni
Articolo 1
1. a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o
di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a
cessione contrattuale o a fusione.
96
b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è
considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di
un'entità economica che conserva la propria
identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività
economica, sia essa
essenziale o accessoria.
c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano
un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una
riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento
di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici, non costituisce
trasferimento ai sensi della presente direttiva.
2. La presente direttiva si applica se e nella misura in cui l'impresa, lo
stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento da trasferire si trovi
nell'ambito d'applicazione territoriale del trattato.
3. La presente direttiva non si applica alle navi marittime.
Articolo 2
1. Ai sensi della presente direttiva si intende:
a) per "cedente", ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un
trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore
rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dallo stabilimento;
b) per "cessionario", ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un
trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di
imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dello
stabilimento;
c) per "rappresentanti dei lavoratori" ed espressioni connesse, i rappresentanti dei
lavoratori previsti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri;
d) per "lavoratore", ogni persona che nello Stato membro interessato è tutelata
come tale nell'ambito
del diritto nazionale del lavoro.
2. La presente direttiva non lede il diritto nazionale per quanto riguarda la
definizione di contratto o di rapporto di lavoro.
Tuttavia, gli Stati membri non potranno escludere dall'ambito di applicazione
della presente direttiva i contratti o i rapporti di lavoro a motivo unicamente:
a) del numero di ore di lavoro prestate o da prestare;
b) di rapporti di lavoro disciplinati da un contratto di lavoro di durata
determinata a norma dell'articolo 1, punto 1, della direttiva 91/383/CEE del
Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori
aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro
interinale(6); o
c) di rapporti di lavoro interinali a norma dell'articolo 1, punto 2, della direttiva
91/383/CEE e del fatto che l'impresa, lo stabilimento o la parte d'impresa o di
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stabilimento trasferita è l'agenzia di lavoro interinale che è il datore di lavoro o
parte di essa.
CAPO II
Mantenimento dei diritti dei lavoratori
Articolo 3
1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da
un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza
di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del
trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti
prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di
lavoro esistente alla data del trasferimento.
2. Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per garantire che
il cedente notifichi al cessionario tutti i diritti e gli obblighi che saranno trasferiti
al cessionario a norma del presente articolo, nella misura in cui tali diritti e
obblighi siano o avessero dovuto essere noti ai cedente al momento del
trasferimento. Il fatto che il cedente ometta di notificare al cessionario tali diritti
e obblighi non incide sul trasferimento di detto diritto o obbligo e dei diritti di
qualsiasi lavoratore nei confronti del cessionario e/o del cedente in relazione a
detto diritto o obbligo.
3. Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro
convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il
cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o
dell'entrata in vigore o dell'applicazione di un altro contratto collettivo.
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni
di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.
4. a) A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, i paragrafi 1 e 3
non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o
per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o
interprofessionali, esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli
Stati membri.
b) Anche quando essi non prevedono, a norma della lettera a), che i paragrafi 1 e
3 si applichino a tali diritti, gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari
per tutelare gli interessi dei lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo
stabilimento del cedente al momento del trasferimento per quanto riguarda i
diritti da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia,
comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari di cui alla lettera a)
del presente paragrafo.
Articolo 4
1. Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o
di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del
cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver
98
luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano
variazioni sul piano dell'occupazione.
Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune
categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi
degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento.
2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è risolto in quanto il
trasferimento comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle
condizioni di lavoro, la risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di
lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro.
Articolo 5
1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 3 e 4 non si
applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di
stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o
di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni
del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un'autorità pubblica
competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un'autorità
pubblica competente).
2. Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso di una
procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente dal
fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del
cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di
un'autorità pubblica competente (che può essere un curatore fallimentare
determinato dal diritto nazionale), uno Stato membro può disporre che:
a) nonostante l'articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente risultanti da un
contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima dei trasferimento o
prima dell'apertura della procedura di insolvenza non siano trasferiti al
cessionario, a condizione che tali procedure diano adito, in virtù della
legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente a quella
prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE del Consiglio,
del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del
datore di lavoro(7);
b) il cessionario, il cedente o la persona o le persone che esercitano le funzioni
del cedente, da un lato, e i rappresentanti dei lavoratori, dall'altro, possano
convenire, nella misura in cui la legislazione o le prassi in vigore lo consentano,
modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le
opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell'impresa, dello
stabilimento o di parti di imprese o di stabilimenti.
3. Uno Stato membro ha facoltà di applicare il paragrafo 2, lettera b), a
trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi economica quale
definita dal diritto nazionale, purché tale situazione sia dichiarata da un'autorità
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pubblica competente e sia aperta al controllo giudiziario, a condizione che tali
disposizioni fossero già vigenti nel diritto nazionale il 17 luglio 1998.
La Commissione presenterà una relazione sugli effetti della presente
disposizione entro il 17 luglio 2003 e sottoporrà eventuali proposte adeguate al
Consiglio.
4. Gli Stati membri adottano gli opportuni provvedimenti al fine di impedire che
l'abuso delle procedure di insolvenza privi i lavoratori dei diritti loro riconosciuti
a norma della presente direttiva.
Articolo 6
1. Qualora l'impresa, lo stabilimento o parte di un'impresa o di uno stabilimento
conservi la propria
autonomia, sussistono lo status e la funzione dei rappresentanti o della
rappresentanza dei lavoratori
interessati dal trasferimento, secondo le stesse modalità e alle stesse condizioni
esistenti prima della data del trasferimento, previsti dalle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative o da accordi, a patto che siano soddisfatte le
condizioni necessarie per la costituzione della rappresentanza dei lavoratori.
Il primo comma non si applica se, in virtù delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative o della prassi degli Stati membri o si termini di
un accordo con i rappresentanti dei lavoratori, esistono le condizioni necessarie
per la nuova designazione dei rappresentanti dei lavoratori o la nuova
costituzione della rappresentanza dei lavoratori.
Nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una
procedura di insolvenza
analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si
svolge sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere il
curatore fallimentare autorizzato da un'autorità pubblica competente), gli Stati
membri possono adottare i provvedimenti necessari al fine di garantire che i
lavoratori trasferiti siano adeguatamente rappresentati fino alla nuova elezione o
designazione di rappresentanti dei lavoratori.
Qualora l'impresa, lo stabilimento o la parte di un'impresa o di uno stabilimento
non conservi la propria autonomia, gli Stati membri adotteranno i provvedimenti
necessari per garantire che i lavoratori trasferiti, che erano rappresentati prima
del trasferimento, continuino ad essere adeguatamente rappresentati per il
periodo necessario a provvedere ad una nuova costituzione o designazione della
rappresentanza dei lavoratori, conformemente alla legislazione o alla prassi
nazionale.
2. Qualora il mandato dei rappresentanti dei lavoratori interessati dal
trasferimento scada a causa del trasferimento, questi rappresentanti continuano a
beneficiare delle misure di protezione previste dalle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative o dalla prassi degli Stati membri.
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CAPO III
Informazione e consultazione
Articolo 7
1. Il cedente e il cessionario sono tenuti ad informare i rappresentanti dei
rispettivi lavoratori interessati da un trasferimento sui seguenti punti:
- data o data proposta del trasferimento,
- motivi del trasferimento,
- conseguenze giuridiche, economiche e sociali, del trasferimento per i
lavoratori,
- misure previste nei confronti dei lavoratori.
Il cedente è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi
lavoratori in tempo utile
prima dell'attuazione del trasferimento.
Il cessionario è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi
lavoratori in tempo utile ed in ogni caso prima che i suoi lavoratori siano
direttamente lesi dal trasferimento nelle loro condizioni d'impiego e di lavoro.
2. Se il cedente o il cessionario prevedono misure nei confronti dei rispettivi
lavoratori, essi sono tenuti ad avviare in tempo utile consultazioni in merito a tali
misure con i rappresentanti dei rispettivi lavoratori al fine di ricercare un
accordo.
3. Gli Stati membri le cui disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
prevedono la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di ricorrere ad
un'istanza di arbitrato per ottenere una decisione su misure da adottare nei
confronti dei lavoratori, possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1 e 2
ai casi in cui il trasferimento realizzato comporta una modifica a livello dello
stabilimento che può implicare svantaggi sostanziali per una parte consistente dei
lavoratori.
L'informazione e la consultazione devono almeno riferirsi alle misure previste
nei confronti dei lavoratori.
L'informazione e la consultazione devono aver luogo in tempo utile prima
dell'attuazione della modifica a livello dello stabilimento di cui al primo comma.
4. Gli obblighi di cui al presente articolo si applicano indipendentemente dal
fatto che la decisione riguardante il trasferimento sia presa dal datore di lavoro o
da un'impresa che lo controlla.
Nell'esame delle pretese violazioni degli obblighi in materia di informazione e di
consultazione previsti nella presente direttiva, non si deve tener conto quale
mezzo di difesa del fatto che tale violazione è avvenuta in quanto l'impresa che
controlla il datore di lavoro non gli ha trasmesso le informazioni necessarie.
5. Gli Stati membri possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1, 2 e 3
alle imprese o agli stabilimenti che soddisfano, per quanto riguarda il numero dei
lavoratori occupati, le condizioni per
l'elezione o la designazione di un organo collegiale che rappresenti i lavoratori.
101
6. Gli Stati membri possono prevedere che, qualora in un'impresa o in uno
stabilimento non vi siano
rappresentanti dei lavoratori per motivi indipendenti dalla volontà degli stessi, i
lavoratori interessati debbano essere informati in precedenza:
- della data o della data proposta del trasferimento,
- dei motivi del trasferimento,
- delle conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i
lavoratori,
- delle misure previste nei confronti dei lavoratori.
CAPO IV
Disposizioni finali
Articolo 8
La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o
di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più
favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l'applicazione di accordi
collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori.
Articolo 9
Gli Stati membri introducono nelle loro normative nazionali i provvedimenti atti
a consentire a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti che si ritengono lesi
dall'inosservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva, di tutelare i
loro diritti con un'azione in giudizio dopo eventuali ricorsi ad altri organi
competenti.
Articolo 10
La Commissione presenta al Consiglio una relazione sugli effetti delle
disposizioni della presente direttiva entro il 17 luglio 2006. Essa propone le
modifiche che risultano necessarie.
Articolo 11
Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative che essi adottano nel settore
disciplinato dalla presente direttiva.
Articolo 12
La direttiva 77/187/CEE come modificata dalla direttiva di cui all'allegato I,
parte A, è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini
d'attuazione indicati all'allegato I, parte B.
I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e si
leggono secondo la
tavola di concordanza di cui all'allegato II.
Articolo 13- Art. 14 omissis
102
Le sentenze di Cassazione Civile, sezione Lavoro, delle quali
pubblichiamo le massime sono alcune, tra le numerosissime sulla
materia, che possono fornire un quadro della giurisprudenza di
Suprema Corte sui principi fondamentali del trasferimento di azienda
e di ramo, sui diritti dei lavoratori coinvolti, sulle caratteristiche di
legittimità delle operazioni societarie.
Non ci sono allo stato sentenze che si riferiscono al periodo
successivo al DLGS 276/2003, che ha, in materia di ramo d’impresa,
abrogato le disposizioni relative al requisito di preesistenza; pur
tuttavia, come già riportato nella sezione “Dottrina”, tutti i più
autorevoli commentatori considerano, per ragioni logiche e
sistematiche, nella sostanza immutati i concetti di autonomia e
funzionalità delle frazioni d’azienda. Le decisioni della Suprema
Corte sono da considerarsi perciò sull’intera materia ancora attuali.
Cassazione civile sezione lavoro 22 luglio 2002 n.10701
Perri e altro c. Soc. Alcatel Italia
La funzione garantistica che la disposizione dell'art. 2112 c.c. assume nei
confronti dei lavoratori, in conformità anche alle indicazioni della direttiva
n. 77/187 del Consiglio delle Comunità europee - funzione destinata ad
accentuarsi in un contesto di maggiore flessibilità del mercato del lavoro,
quale scelta alternativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo
o alle procedure di mobilità di cui alle l. n. 675/1977 e 223/1991 comporta l'accoglimento di una nozione estensiva del trasferimento di
azienda (definitivamente accolta dal d.lg. 2 febbraio 2001 n. 18, attuativo
della direttiva n. 98/50/Ce, che ha riformulato lo stesso art. 2112 c.c.), la
quale ricomprende in esso tutte le ipotesi di trasferimento anche di
una singola attività di impresa, sempre che sia riscontrabile un
complesso di beni o di rapporti interessati al fenomeno traslativo. In
tale accezione allargata, il trasferimento di azienda può configurarsi, con
riferimento alla posizione del lavoratore, come successione legale nel
contratto che, non richiedendo il consenso del contraente ceduto, non è
assimilabile alla cessione negoziale, per la quale tale consenso opera da
elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 1406 c.c.
104
Cassazione civile sezione lavoro 23 luglio 2002 n.10761
Villeni e altro c. Soc. Alcatel Italia e altro
Secondo la disciplina dell'art. 2112 c.c., come modificato dal d.lg. 2
febbraio 2001 n. 18 (attuativo della direttiva n. 98/50/Ce), si intende per
trasferimento di azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento
nella titolarità di una "attività economica organizzata" preesistente, che
conservi nel trasferimento la propria identità; pertanto, in linea con un
assetto produttivo diretto a dare sempre maggiore rilevanza alla capacità
professionale e alle conoscenze tecniche dei lavoratori, può
configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche
i soli lavoratori che, per essere stati addetti ad un medesimo ramo
dell'impresa e per avere acquisito un complesso di nozioni ed esperienze
comuni, siano capaci di svolgere autonomamente - e, quindi, pur
senza il supporto di beni immobili, macchine, attrezzi di lavoro o altri beni
- le proprie funzioni anche presso il nuovo datore di lavoro,
realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non
bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 ss. c.c.
Cassazione civile sezione lavoro 25 ottobre 2002 n.15105
Addamo e altro c. Soc. Manital e altro
La disciplina dettata dall'art. 2112 c.c. e dall'art. 47 l. 29 dicembre 1990 n.
428 (in ordine alla successione dell'imprenditore cessionario
all'imprenditore cedente nel rapporto di lavoro) trova applicazione non
solo nel caso di trasferimento dell'intera azienda, ma anche quando sia
trasferito un ramo di azienda, da intendere come un complesso di beni
che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria
autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento
di un'attività volta alla produzione di beni o servizi. Tale disposizione,
anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lg. 2 febbraio 2001 n.
18, pur non impedendo la cessione di singole funzioni o servizi (c.d.
"esternalizzazione"), impone che essi si presentino, prima del
trasferimento,
funzionalmente
autonomi,
essendo
preclusa
l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di
frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di
articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà
dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di
azienda già costituito.
105
Cassazione civile sezione lavoro 4 dicembre 2002 n.17207
Soc. Ansaldo Energia c. Bronzati e altro
Il trasferimento ad altra impresa di lavoratori addetti ad una
struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizzata
dall'estrema eterogeneità delle funzioni degli addetti, insuscettibile
dunque di assurgere ad unitaria "entità economica", non può
configurare una cessione di ramo d'azienda cui sia applicabile l'art.
2112 c.c., ma costituisce mera cessione di contratti di lavoro, richiedente
per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti.
Cassazione civile sezione lavoro 14 dicembre 2002 n. 7919
Soc. Ansaldo c. Anello
L'art. 2112 c.c., anche prima delle modificazioni introdotte dall'art. 1 d.lg.
18/2001, non precludendo il trasferimento di un ramo (o parte) di
azienda, postulava comunque, per la sua applicazione a tale limitato
trasferimento, che venisse ceduto un complesso di beni che
oggettivamente si presentasse quale entità dotata di una propria
autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento
di un'attività volta alla produzione di beni o servizi, con esclusione, quindi,
della possibilità che l'unificazione di un complesso di beni (di per sè privo
di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno
scopo unitario) discendesse dalla volontà dell'imprenditore cedente al
momento della cessione. Ne consegue che non è riconducibile alla
nozione di cessione d'azienda il contratto con il quale viene
realizzata la cd. esternalizzazione dei servizi, ove questi non
integrino un ramo o parte di azienda nei sensi suindicati, e che in
tali casi la vicenda traslativa, sul piano dei rapporti di lavoro, va
qualificata come cessione dei relativi contratti, che richiede per il
suo perfezionamento il consenso del lavoratore ceduto (Nella specie,
la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che, con
riferimento alla cessione di un ramo d'azienda, identificato nei cd. "servizi
generali", comprendente attività non riconducibili alla nozione di unità
produttiva o di parte di azienda, per essere caratterizzato unicamente
dalla non riferibilità all'attività di base dell'azienda cedente, aveva
ravvisato un processo di esternalizzazione non integrante la cessione di
ramo di azienda ed aveva ritenuto applicabili ai rapporti di lavoro ceduti le
norme sulla cessione dei contratti).
106
Senza pretesa alcuna di dare una documentazione esaustiva in
materia di Accordi sindacali abbiamo scelto di pubblicare una serie
di intese che riguardano le ristrutturazioni di alcune tra le più grandi
Aziende creditizie e assicurative. Non certo perché si tratta degli
unici esempi nel settore finanziario in materia di trasferimento di
impresa o di ramo e neppure perché abbiano particolari qualità o
caratteristiche, ma per cercare di fornire una documentazione che
presenti una successione ragionata su varie fasi di alcune complesse
riorganizzazioni societarie.
Gli accordi che riguardano la cessione del ramo d’impresa non
hanno subito particolari mutazioni dopo il DLGS 276/2003, a
riprova, malgrado le palesi contrarie intenzioni del legislatore, di
una sostanziale continuità nell’ordinamento giuridico e nella prassi
sindacale delle caratteristiche del ramo di impresa.
Gruppo UniCredito
Accordo su Cessione dei rami di azienda relativi alla gestione ed allo
sviluppo dei sistemi informativi e dei processi organizzativi
13.1. 2001 Milano
Tra UniCredito Italiano S.p.A., e la Delegazione Sindacale di Gruppo, e FABI, FALCRI,
FEDERDIRIGENTICREDITO, FIBA/Cisl, FISAC/Cgil, SINFUB e UIL C.A.
premesso che
- da parte aziendale si è deciso di procedere al trasferimento, ai sensi e per gli
effetti dell'art. 2112 Cod. Civ.:
- dei rami di azienda relativi alle lavorazioni accentrate di back office da parte
della Capogruppo UniCredito Italiano S.p.A., di Banca CRT S.p.A. di
Cariverona Banca S.p.A. e di Rolo Banca 1473 S.p.A. ad UniCredit Produzioni
Accentrate S.c.p.A. (di seguito denominata UPA)
- dei rami di azienda relativi alla gestione ed allo sviluppo dei sistemi informativi
e dei processi organizzativi da parte della Capogruppo UniCredito Italiano
S.p.A., Rolo Banca 1473 S.p.A., Cassamarca S.p.A., Banca CRT S.p.A.,
Cariverona Banca S.p.A. e CRTrieste Banca S.p.A. ad UniCredit Servizi
Informativi S.c.p.A. (di seguito denominata USI);
108
- i relativi progetti sono stati deliberati dai Consigli di Amministrazione di
UniCredito Italiano S.p.A. in data 19 ottobre u.s., Cassamarca S.p.A. in data 26
ottobre u.s., Rolo Banca 1473 S.p.A. in data 31 ottobre e 11 dicembre uu.ss,
Banca CRT S.p.A. in data 10 novembre u.s., Cariverona Banca S.p.A. in data 16
novembre u.s. e CRTrieste Banca S.p.A. in data 21 novembre u.s.;
- i progetti in parola - come illustrato in sede di presentazione dei piani
industriali - presentano un rilevante valore strategico, in quanto consentono di
porre a fattor comune le strutture della Capogruppo e delle Banche del Gruppo
oggetto di trasferimento al fine di realizzare l'omogeneizzazione dei processi
informativi, operativi, amministrativi e contabili e l'ottimizzazione della struttura
dei costi, con i conseguenti benefici. Lo sviluppo ed il costante adeguamento di
tali attività costituiscono infatti, per il Gruppo UniCredito Italiano e le sue
componenti, significative leve per mantenere e rafforzare situazioni di vantaggio
competitivo. La creazione di società dedicate all'interno del Gruppo UniCredito
Italiano consentirà, anche, l'elaborazione di importanti progetti di sviluppo per le
realtà servite. Le due società di servizio costituiranno inoltre, a regime, un
possibile polo di attrazione per altre realtà, anche esterne al Gruppo.
- le parti sottoscrittrici del presente accordo si sono ripetutamente incontrate per
esaminare in particolare le ricadute dei progetti sulle condizioni di lavoro del
personale interessato;
- sono state esperite e concluse con il presente accordo le procedure previste
dalle vigenti disposizioni di legge e di contratto e dal Protocollo per la
realizzazione del progetto di integrazione delle risorse umane e per le relazioni
industriali di UniCredito Italiano;
considerato che
- in virtù di quanto sopra il personale operante nei settori oggetto di conferimento
sarà trasferito ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 Cod. Civ. alle società di
servizio;
- pur in presenza di rilevanti processi di riorganizzazione e razionalizzazione
delle attività e delle aziende coinvolte, la Capogruppo e le Banche, con
l'obiettivo di non far insorgere fenomeni di mobilità territoriale, hanno
provveduto alla creazione di specifici poli e distaccamenti operativi
rispettivamente: per USI sulle piazze di Milano, Verona (con un distaccamento
ad Ancona), Bologna, Torino, Treviso e Trieste, per UPA sulle piazze di Milano,
Verona (con distaccamento a Padova), Bologna (con distaccamento a Modena),
Torino;
- l'esistenza di differenti trattamenti normativi e retributivi comporta l'esigenza di
pervenire ad una armonizzazione dei trattamenti applicati al personale dei rami
d'azienda trasferiti con quelli in essere per il personale delle società acquisenti;
109
le Parti hanno convenuto quanto segue:
Art. 1
La premessa costituisce parte integrante della presente intesa.
Art. 2
Le attività che verranno rispettivamente trasferite ad UPA e ad USI sono quelle
concernenti:
- le lavorazioni accentrate di back office della Capogruppo UniCredito Italiano
S.p.A., di Banca CRT S.p.A., di Cariverona Banca S.p.A. e di Rolo Banca 1473
S.p.A.;- la gestione e lo sviluppo dei sistemi informativi e dei processi
organizzativi della Capogruppo UniCredito Italiano S.p.A., di Rolo Banca 1473
S.p.A, Cassamarca S.p.A., Banca CRT S.p.A., Cariverona Banca S.p.A. e di
CRTrieste Banca S.p.A.
Le parti, allo scopo di rendere omogenea e coerente la gestione del personale
nell'arco dell'intero esercizio 2001 e consentire una corretta pianificazione anche
in punto costi dei relativi interventi, hanno convenuto, nelle more dei
conferimenti dei rami d'azienda - i quali verranno portati ad effetto nel corso del
primo semestre del 2001 -, che il personale addetto alle attività oggetto di
trasferimento è, in via transitoria, a decorrere dal 1°.1.2001 e sino al 30.6.2001,
distaccato presso le società di servizio.
Alla scadenza del predetto termine i rapporti di lavoro dei dipendenti distaccati
verranno automaticamente trasferiti, senza soluzione di continuità, ai sensi
dell'art. 2112 Cod. Civ. in capo alla rispettiva società di servizi, dovendosi
ritenere la presente procedura a tutti gli effetti esaustiva di quelle previste
dall'art. 47 Legge 428/90 e dalle vigenti normative contrattuali.
Art. 3
UPA ed USI continueranno a far parte dell'area contrattuale del settore credito,
secondo quanto previsto dalla contrattualistica nazionale, ed aderiranno
all'Associazione Bancaria Italiana.
Nei confronti del personale trasferito alle due società di servizio dal momento del
conferimento cesserà di produrre effetto ogni accordo ed intesa, di qualunque
natura, in essere presso l’azienda originaria e verrà applicata - in termini
globalmente sostitutivi, anche di trattamenti e provvidenze frutto di delibere
aziendali - la normativa nazionale e aziendale applicata al personale di UPA ed
USI.
Art. 4
Nei confronti di ciascun dipendente che all'atto del trasferimento risulti
destinatario di un trattamento economico complessivamente inteso (vale a dire
comprensivo di ogni intervento aziendale di qualsivoglia natura con esclusione
delle voci connesse a disagio) superiore al trattamento economico come sopra
definito applicato ad un dipendente della società acquisente di pari
inquadramento ed anzianità di servizio, si conviene di mantenere la differenza di
importo, nella misura in essere alla data della cessione, sotto forma di "assegno
110
ad personam". Tale "assegno ad personam" sarà assorbibile a seguito di future
promozioni non di merito.
Art. 5
Per gli esercizi 2000 e 2001 ai dipendenti in servizio presso UPA ed USI verrà
riconosciuto il premio aziendale dell’azienda di provenienza, ove ne ricorrano i
presupposti.
Per gli anni successivi verrà definita con le OO.SS. aziendali un'apposita
disciplina in coerenza con quanto previsto dal vigente CCNL (Cap. IX, lett. B,
punto 1, ultimo comma).
Art. 6
A far tempo dalla data di trasferimento dei rami di azienda, ai dipendenti
trasferiti alle due società di servizio con rapporto di lavoro a tempo pieno ovvero
part-time verticale verrà riconosciuto il buono pasto nelle misure in essere per il
personale di UPA ed USI.
Art. 7
A far tempo dal 1° gennaio 2002 al personale trasferito verrà estesa l’assistenza
sanitaria integrativa nei termini e con le modalità applicate al personale di UPA
ed USI. Sino ad allora il personale conferito manterrà la copertura dell'azienda
originaria.
Nota a verbale
n relazione alla particolare natura del fondo assistenziale Cassamarca S.p.A., da
parte aziendale viene espressa la propria disponibilità ad approfondire la
fattibilità di forme che consentano una continuità dei trattamenti in parola nei
confronti del personale proveniente dalla sopracitata realtà bancaria.
Art. 8
Per quanto concerne le tematiche di natura previdenziale, le parti si richiamano a
quanto definito nell'allegato accordo al titolo “Accordo sulla previdenza
complementare per i dipendenti di UPA ed USI”, da considerarsi ad ogni effetto
parte integrante del presente verbale.
Nota a verbale
Il Fondo Pensioni per il Personale della Banca CRT S.p.A., il Fondo Pensione
Complementare a Capitalizzazione e Contribuzione Definita per i Lavoratori
della Cariverona Banca S.p.A. ed il Fondo di Previdenza Gino Caccianiga a
favore del personale della Cassamarca S.p.A., in relazione alle loro origini
normative, prevedono prestazioni e condizioni diversificate.
In virtù di quanto sopra, al fine di assicurare la continuità dei trattamenti
pensionistici complementari fruiti presso le aziende di provenienza e laddove i
Regolamenti e/o Statuti dei rispettivi Fondi Pensione lo permettano, UPA ed USI
consentiranno al personale conferito che ne faccia richiesta di mantenere
l’iscrizione al Fondo Pensione dell'azienda di origine, alle condizioni di
contribuzione previste per il restante personale della medesima, tempo per tempo
contrattate.
111
Analogamente, i dipendenti provenienti da Rolo Banca 1473 S.p.A. ed
appartenenti alla categoria degli "iscritti ante" Decreto Legislativo 124/93
potranno continuare a mantenere l'iscrizione al Fondo Pensione di origine, alle
condizioni di contribuzione previste per il restante personale della medesima,
tempo per tempo contrattate.
I dipendenti provenienti da tutte le aziende sopracitate appartenenti alla categoria
degli "iscritti post" Decreto Legislativo 124/93 confluiranno - mediante
trasferimento della propria posizione - al Fondo Pensione per il Personale delle
Aziende del Gruppo UniCredito Italiano.
A quest'ultimo potranno altresì iscriversi i dipendenti provenienti da CRTrieste
Banca e per quanto concerne il Fondo Pensioni di origine saranno loro
applicabili le definizioni che verranno assunte in sede aziendale.
Art. 9
Qualora dovessero generarsi tensioni occupazionali connesse a crisi aziendali,
ridimensionamento/ridistribuzione territoriale di poli e/o distaccamenti, perdita
del controllo – diretto o indiretto – da parte della Capogruppo, vendita o
cessazione dell'azienda, la Capogruppo e le Aziende conferenti assicurano al
personale che dovesse risultare in eccesso la riallocazione, ove possibile
nell'ambito della provincia, presso l'Azienda di origine ovvero presso altra
Azienda del Gruppo.
Nel caso di cessione di UPA ed USI a soggetti non bancari esterni al Gruppo,
ove le tensioni occupazionali dovessero emergere successivamente entro il limite
massimo di 5 anni dalla data dell'evento, la Capogruppo e le Aziende conferenti
si renderanno disponibili a riallocare - ove possibile nell'ambito della provincia,
presso l'Azienda di origine ovvero presso altra Azienda del Gruppo - il personale
che dovesse risultare in eccesso a seguito di insourcing di attività, di
esternalizzazione delle medesime ad altro soggetto ovvero di fallimento
comunque connesso ai due eventi sopracitati.
L'impegno espresso nel presente articolo riguarda il personale già distaccato e
conferito - in virtù della presente intesa - alla data dei trasferimenti dei rami
d'azienda il quale risultasse, al momento dell'evento, privo a qualsiasi titolo di
requisiti pensionistici ovvero di accesso al "Fondo di solidarietà per il sostegno
del reddito, dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione
professionale del personale del credito" od eventuali altre misure equivalenti di
sostegno al reddito tempo per tempo vigenti nel settore, esperite le necessarie
procedure di legge e di contratto.
Art. 10
Durante il periodo di distacco le aziende di provenienza e, dopo il conferimento,
di concerto con USI e UPA, manifestano la propria disponibilità, in presenza di
particolari e gravi necessità di carattere personale e/o familiare, debitamente
documentate, a consentire, compatibilmente con le esigenze aziendali, al rientro
di lavoratori nell'organico dell'azienda di origine.
112
Inoltre UPA ed USI - d'intesa con le aziende di origine - manifestano la
disponibilità a venire incontro, anche dopo il conferimento dei rami e per un
periodo non superiore a 2 anni da tale momento, compatibilmente con le
esigenze di servizio, ad eventuali istanze anche di natura professionale, mano a
mano che si creeranno le condizioni organizzative idonee a riallocare i
dipendenti conferiti che dovessero farne richiesta (dando, in linea di massima,
precedenza a quelle già pendenti e tenuto anche conto di eventuali criteri di
priorità già esistenti presso l'azienda di provenienza).
Art. 11
Fino al termine del periodo di distacco di cui all'art. 2 della presente intesa, UPA
ed USI provvederanno rispettivamente ad effettuare momenti di verifica
periodici - di massima ogni due mesi - con un'apposita delegazione sindacale
composta da un rappresentante sindacale di ciascuna O.S. per ogni banca
conferente.
Tali momenti di verifica avranno natura tecnica e, nell'ambito dei medesimi, le
due società forniranno informative sull'applicazione della presente intesa e di
quanto realizzato nell'ambito delle strategie aziendali e dei progetti industriali.
Art. 12
Le parti si danno reciprocamente atto che le clausole del presente accordo sono
da intendersi, ad ogni effetto, tra di loro collegate ed inscindibili.
Intesa per la Realizzazione del "Progetto S3"
18.6. 2002 Milano
UniCredito Italiano S.p.A., Credito Italiano S.p.A., Rolo Banca 1473 S.p.A., Banca CRT S.p.A.,
Cariverona Banca S.p.A., Cassamarca S.p.A., Caritro S.p.A. e CRTrieste Banca S.p.A.,
e la Delegazione Sindacale di Gruppo Fabi, Falcri, Federdirigenticredito, FIBA/Cisl, FISAC/Cgil,
SINFUB e UIL C.A.
Premesso che
• nell’ambito del più complessivo progetto di riorganizzazione denominato S3,
di cui al Protocollo sottoscritto in data odierna, da parte aziendale è stato
deciso che, con decorrenza 1° luglio 2002, il personale operante in Banca
CRT, Cariverona, Cassamarca, Caritro, CRTrieste e Rolo e nei settori
Corporate e Retail di UniCredito Italiano sarà trasferito senza soluzione di
continuità ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 Cod. Civ. a Credito Italiano
S.p.A., (ridenominata UniCredit Banca S.p.A.) unitamente all’intera rete
bancaria costituita dalle Direzioni Territoriali, dalle Filiali, dalle Agenzie,
dagli Sportelli e da ogni altra dipendenza, comunque denominata, distribuita
sul territorio nazionale e dalle strutture centrali funzionali all’attività della
rete bancaria;
113
•
nel passaggio sopra descritto resteranno in capo alla holding UniCredito
Italiano S.p.A., con il relativo personale:
i settori preposti alle funzioni di indirizzo, governo e presidio operativo di
Gruppo;
i distaccamenti operativi sul territorio delle Unità Organizzative Sicurezza e
Immobiliare;
i presidi logistici;
• resterà altresì in capo alla holding il personale attualmente addetto ad attività
non intrinsecamente funzionali all'operatività della rete bancaria;
considerato che
in data 18 dicembre 2001 l'intero progetto S3 è stato illustrato alle OO.SS.
dall'Amministratore Delegato;
sono state esperite e concluse le previste procedure di confronto avviate in
data 8 aprile 2002;
l'esistenza di differenti trattamenti normativi e retributivi comporta
l'esigenza, allo scopo di realizzare la piena integrazione delle risorse umane
oltre che delle funzioni e dei processi, di pervenire ad una armonizzazione
dei trattamenti applicati al personale trasferito con quelli in essere presso le
aziende conferitarie (UniCredito Italiano/UniCredit Banca);
le parti hanno convenuto quanto segue:
Art. 1 La premessa costituisce parte integrante della presente intesa.
Art. 2 Fermo quanto stabilito nel Protocollo sottoscritto in data odierna e nella
presente intesa in materia di previdenza, assistenza, coperture assicurative ed
inquadramenti, nei confronti del personale trasferito ad UniCredito
Italiano/UniCredit Banca dal momento del conferimento cesserà di produrre
effetto ogni accordo ed intesa, di qualunque natura, in essere presso l’azienda
originaria e verrà applicata - in termini globalmente sostitutivi, anche di
trattamenti e provvidenze frutto di delibere aziendali - la normativa nazionale e
aziendale applicata al personale delle aziende acquisenti.
Per quanto non espressamente previsto nell'ambito del presente accordo varranno
le prassi in vigore presso UniCredito Italiano/UniCredit Banca.
Art. 3 Nei confronti di ciascun dipendente che all'atto del trasferimento ad
UniCredito Italiano/UniCredit Banca risulti destinatario di un trattamento
economico complessivamente inteso (vale a dire comprensivo di tutte le voci
mensili/annuali non legate ad aspetti indennitari e/o di disagio, ivi compreso
l'importo corrispondente all'eventuale quota dell'ex premio di rendimento
eccedente lo standard di settore, cd "surplus") superiore al trattamento
economico come sopra definito applicato ad un dipendente delle società
acquisenti di pari inquadramento ed anzianità di servizio, si conviene di
mantenere la differenza di importo, nella misura in essere alla data del
114
conferimento, sotto forma di "assegno ad personam ex intesa 18.6.2002",
suddiviso in tredici mensilità, assorbibile a seguito di promozioni non di merito.
Nota a verbale
Ai fini di cui sopra, nei confronti dei dipendenti già appartenenti alla categoria
"funzionari" provenienti da Cassamarca, le Parti individuano quale "surplus"
del premio di rendimento una quota - valida anche a fini Fondo Pensioni
aziendale - pari al 27% dell'importo erogato a titolo di maggiorazione del
premio di rendimento.
La quota dinamica del "surplus" e l'importo corrispondente all'ex indennità di
laurea/albo, prima di confluire definitivamente nell'assegno ad personam di cui
al presente articolo, verranno rivalutate del 2,8%.
Art. 4 In favore del personale che alla data del trasferimento del rapporto di
lavoro presso UniCredit Banca svolga mansioni per il cui esercizio è prevista
un'indennità mensile di reggenza, la stessa verrà mantenuta in un'apposita voce
denominata "indennità transitoria reggenza" sino al cessare dell’incarico; tale
voce sarà assorbibile per qualsiasi avanzamento di carriera.
Art. 5 Il personale che alla data del trasferimento del rapporto di lavoro in
UniCredit Banca svolga mansioni comportanti l’attribuzione presso l’azienda di
origine di indennità di rischio il cui importo risulti superiore a quello previsto dal
CCNL per le unità site su piazze “Capoluoghi di Provincia e centri aventi intenso
movimento bancario”, manterrà fino al cessare delle mansioni medesime presso
tali unità, l’importo eccedente in un’apposita voce denominata "indennità
transitoria rischio".
Il personale che alla data del trasferimento del rapporto di lavoro in UniCredito
Italiano/UniCredit Banca svolga mansioni comportanti l’attribuzione presso
l’azienda di origine di altre forme indennitarie mensili (ex edp, ex reggenza,
ecc.) manterrà l’importo in apposita voce transitoria.
Le voci di cui al presente articolo saranno assorbibili per qualsiasi avanzamento
di carriera ed ogni incremento retributivo.
Art. 6 Al personale incaricato dell'attività di stima (cd. stimatori) viene attribuita
un’indennità forfettaria per il rischio dell'invenduto nella misura dell'1,5 per
mille sull'importo delle sovvenzioni di prima concessione.
Art. 7 A favore del personale iscritto INPDAP le voci utili al computo della cd
"quota A" della pensione (non ricomprese nel trattamento economico di cui
all'art. 3 del presente accordo) verranno fatte confluire nella voce retributiva
"Ass. Sostitutivo ex AEN 1991" nell'importo percepito all'atto del trasferimento;
tale voce avrà le medesime caratteristiche dell'"assegno ad personam ex intesa
18.6.2002" di cui all'articolo 3.
Art. 8 Relativamente al premio aziendale da corrispondere nell’anno 2003, con
riferimento all’esercizio 2002, in applicazione di quanto previsto all'ultimo
comma dell'art. 5 del Contratto Integrativo Aziendale per il personale delle Aree
115
Professionali e per i Quadri Direttivi del Credito Italiano, le parti convengono
che ai lavoratori venga corrisposto, ove ne ricorrano i presupposti di cui al
sopracitato articolo, un premio aziendale di importo pari a quello percepito nella
rispettiva azienda di origine per l'esercizio 2001.
Con riferimento al personale appartenente alle Aree Professionali proveniente da
Cariverona, Cassamarca, Caritro e CRTrieste il citato importo verrà maggiorato
di € 103.
Relativamente al premio aziendale da corrispondere nell’anno 2004, con
riferimento all’esercizio 2003, le parti convengono che ai lavoratori venga
corrisposto, ove ne ricorrano i predetti presupposti, un premio aziendale di
importo pari a quello che verrà erogato presso Credito Italiano nell'anno 2002,
con riferimento all'esercizio 2001.
Art. 9 A far tempo dalla data di trasferimento, il buono pasto verrà riconosciuto
- in sostituzione di eventuali altri forme esistenti presso le aziende di origine nelle seguenti misure:
- al personale con rapporto di lavoro a tempo pieno e a tempo parziale di tipo verticale, appartenente
alle tre aree professionali ed alla categoria dei quadri direttivi: Euro 5,16 (lire 10.000);
- al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale Euro 2,58 (lire 5.000).
Nell’"assegno ad personam ex intesa 18.6.2002" di cui all’art. 3 va a confluire
l’eventuale importo eccedente il valore del buono pasto del personale part-time;
tale quota sarà assorbibile a seguito di variazione di valore del buono pasto
medesimo.
Art. 10 Nei confronti dei lavoratori che, dal 1° luglio 2002, venissero coinvolti
in processi di mobilità territoriale, fermo quant'altro previsto dal protocollo
sottoscritto in data odierna, verranno applicate le prassi in essere presso Credito
Italiano.
Norma transitoria
I lavoratori che all'atto del conferimento siano destinatari di un trattamento di
disagio connesso a trasferimento continueranno a percepire il trattamento
medesimo, secondo le originarie caratteristiche, sino alla naturale scadenza e/o,
ove non prevista, al cessare della situazione oggettiva che ne ha determinato
l'origine .
Art. 11 Il sistema inquadramentale e la struttura organizzativa di riferimento
saranno quelle in essere presso il Credito Italiano. Allo scopo, stante i diversi
assetti organizzativi in atto presso le singole Aziende, viene costituita un'apposita
Commissione Tecnica tra le parti firmatarie della presente intesa con l'intento di
valutare - anche alla luce della prevista segmentazione in tre banche in base al
mercato di riferimento - le effettive omogeneità di mansione tra le figure
professionali e gerarchiche in essere presso le singole aziende con quelle
disciplinate dal CIA dell'azienda conferitaria. Alla luce di tale valutazione, che
dovrà essere rassegnata dalla Commissione Tecnica entro il 31 ottobre 2002, le
parti riscontreranno in sede politica se ed in quale misura possono essere
116
considerati utili ai fini dell'inquadramento i tempi di adibizione alle omologhe
mansioni già svolte presso le Banche di origine. Sino al 31dicembre 2002
continueranno a produrre effetti le preesistenti normative aziendali.
Nota a verbale
Ai preposti di sportello verrà riconosciuto l'inquadramento previsto dalla
normativa aziendale del Credito Italiano con decorrenza 1° luglio 2002, fermo
restando che la complessiva adibizione al ruolo non dovrà essere inferiore alle
previsioni di legge e di contratto in materia.
Art. 12 Da parte aziendale viene assunto l'impegno a garantire una prestazione,
a favore dei dipendenti, decorrente dal 1°.1.2003, contro gli infortuni
professionali ed extra-professionali con le seguenti modalità:
• per morte 7 volte l’importo della retribuzione annua lorda (r.a.l.), col
massimo per ciascun dipendente di Euro 300.000;
• per invalidità permanente 8 volte l’importo della r.a.l., col massimo per
ciascun dipendente di Euro 400.000.
La somma assicurata per invalidità permanente è soggetta alla franchigia assoluta
del 5%; ferma la medesima, per gli infortuni comportanti invalidità permanente
sino al 25%, l'indennizzo verrà ridotto del 50%.
Da parte aziendale viene altresì assunto l'impegno a garantire, con la
sopraindicata decorrenza, tramite primaria compagnia assicurativa, una copertura
"kasko" per danni conseguenti all'utilizzo dell'autovettura personale per motivi di
servizio, compreso il rischio in itinere (percorso dall'abitazione al luogo di lavoro
e ritorno). Il massimale sarà di Euro 10.329 e la franchigia di Euro 413 per
l'utilizzo professionale e di Euro 516 per gli eventi in itinere.L'onere
dell'eventuale estensione della polizza casko ai rischi extra-professionali sarà a
carico dei dipendenti.
Norma transitoria
Sino al 31 dicembre 2002 viene confermata l’applicazione delle forme di
copertura assicurativa in essere presso le aziende di provenienza.
Art. 13 Nel quadro delle compensazioni economiche generali intervenute, in
deroga alla previsione esistente presso l'azienda conferitaria, le Parti convengono
che a favore dei dipendenti delle banche conferite si terrà conto, ai soli fini della
maturazione dei requisiti previsti per l'erogazione dei cd "premi di fedeltà" (25° e
35° anno di servizio), anche delle anzianità di effettivo servizio maturate nelle
aziende di provenienza, fermo restando che i relativi importi verranno
riconosciuti pro-quota secondo il seguente criterio:
• misure previste dalle rispettive aziende di origine per le anzianità maturate
presso le medesime sino al 30 giugno 2002;
• misure previste da UniCredito Italiano/UniCredit Banca per i periodi
successivi.
117
Nella determinazione degli importi si farà riferimento alla retribuzione percepita
al raggiungimento del requisito, tenendo conto di eventuali erogazioni già
riconosciute a titolo di "fedeltà" presso l'azienda di origine.
Art. 14 Ai sensi e per gli effetti di cui all'ultimo comma dell'art.2120 Codice
Civile, le parti firmatarie convengono le seguenti ipotesi ulteriori di accesso
all'anticipo del trattamento di fine rapporto rispetto a quelle definite ai sensi di
legge:
• spese sanitario/assistenziali sostenute per gli ascendenti diretti di primo grado;
• spese di ristrutturazione della prima casa (a fronte di presentazione di idonea documentazione);
• acquisto seconda casa;
• spese matrimonio del dipendente o figli;
• tasse universitarie per dipendente o figli, nell'ambito del regolare svolgimento del piano di studi.
Art. 15 Le parti si danno reciprocamente atto che le clausole del presente
accordo e quelle di cui al Protocollo sottoscritto in data odierna sono da
intendersi, ad ogni effetto, tra di loro collegate ed inscindibili.
Accordo su Cessione attività Gestioni Patrimoniali di Banca
dell’Umbria a Pioneer Investment Management SGR
30.3. 2005 Milano
UniCredito Italiano SpA, nelle persone dei Sigg. Marco Vernieri, Gianluigi Robaldo, Franco
Scaccabarozzi, Silvia Cassano; Banca dell’Umbria SpA, nelle persone dei Sigg. Fabrizio Barbetti,
Cesare Cenci, Elisabetta Carloni;
Pioneer Investment Management SGR nella persona del Sig. Raffaele Spina;
e la Delegazione Sindacale di Gruppo FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL e UIL C.A.,
premesso che
si è deciso il trasferimento del ramo d’azienda relativo alle attività Gestioni
Patrimoniali di Banca dell’Umbria SpA (di seguito denominata, per brevità,
“BdU”) a Pioneer Investment Management SGR (di seguito, per brevità,
denominata “PIM”);
il progetto è stato deliberato dal Consiglio di Amministrazione di BdU in data 15
marzo 2005 e di PIM nella seduta del 22 marzo 2005;
l’operazione, che rientra tra gli interventi societari avviati a seguito del noto
processo di riorganizzazione del Gruppo, denominato S3, è finalizzata alla
razionalizzazione di alcune attività e delle business units operanti nel settore del
risparmio gestito riconducibili alla Divisione “Private & Asset Management”;
il trasferimento di questo ramo d’azienda ha l’obiettivo di accentrare in PIM le
attività afferenti la gestione del risparmio su base individuale portando in capo ad
essa l’attività di compliance e risk management connessa alla gestione
118
finanziaria ed amministrativa delle gestioni patrimoniali in argomento, al fine di
realizzare sinergie operative e contenimento dei costi, vantaggi competitivi e
maggior efficacia commerciale;
alla luce di quanto sopra, il rapporto di lavoro dell’unica risorsa addetta al ramo
d’azienda in questione verrà trasferito senza soluzione di continuità in capo a
“PIM”;
considerato che l’operazione produrrà i propri effetti sul rapporto di lavoro con il
1° aprile 2005;
dalla realizzazione dell’operazione non discendono ricadute in termini di
mobilità territoriale per il personale interessato;
l’esistenza di differenti trattamenti normativi e retributivi comporta l’esigenza di
pervenire ad una armonizzazione dei trattamenti applicati al personale del ramo
d’azienda trasferito con quelli in essere per il personale PIM;
le Parti
esperite e concluse le procedure previste dalle vigenti disposizioni di legge e di
contratto
hanno convenuto quanto segue:
Art. 1 La premessa costituisce parte integrante della presente intesa.
Art. 2 Nei confronti del personale interessato dal presente accordo dal momento
del passaggio in PIM cesserà di produrre effetto ogni accordo ed intesa, di
qualunque natura, in essere presso l’azienda originaria e verrà applicata - in
termini globalmente sostitutivi, anche di trattamenti e provvidenze frutto di
delibere aziendali - la normativa nazionale e aziendale applicata al personale di
PIM.
Art. 3 Nel caso il dipendente di provenienza BdU sia destinatario all'atto del
trasferimento a PIM di un trattamento economico complessivamente inteso (vale
a dire comprensivo di tutte le voci mensili/annuali non legate ad aspetti
indennitari e/o di disagio) superiore al trattamento economico come sopra
definito applicato ad un dipendente della società acquisente di pari
inquadramento ed anzianità di servizio, si conviene di mantenere la differenza di
importo, nella misura in essere alla data del trasferimento, sotto forma di
"assegno ad personam ex intesa", suddiviso in tredici mensilità, assorbibile a
seguito di promozioni non di merito.
Art. 4 Al lavoratore interessato dalla presente intesa spetterà per l’anno 2005 un
premio aziendale di importo pari ai 9 dodicesimi di quello percepito dagli altri
dipendenti di medesimo inquadramento in servizio presso PIM
Art. 5 Nel quadro delle compensazioni economiche generali intervenute, in
deroga alla previsione esistente presso l'azienda trasferitaria, le Parti convengono
che a favore del dipendente di BDU si terrà conto, ai soli fini della maturazione
dei requisiti previsti per l'erogazione dei cd "premi di fedeltà" (25° e 35° anno di
servizio), anche delle anzianità di effettivo servizio maturate nell’azienda di
119
provenienza, fermo restando che i relativi importi verranno riconosciuti proquota secondo il seguente criterio:
• misure previste dall’azienda di origine per le anzianità maturate presso la
medesima sino al 31 marzo 2005;
• misure previste da PIM per i periodi successivi.
Nella determinazione degli importi si farà riferimento alla retribuzione percepita
al raggiungimento del requisito (tenendo conto di eventuali erogazioni già
riconosciute a titolo di "fedeltà" presso l'azienda di origine).
Gruppo San Paolo IMI
Accordo su scorporo e conferimento della rete distributiva di
Campania, Puglia, Basilicata , Calabria da San Paolo a San Paolo
Banco di Napoli 30/01/03 Torino
Tra SANPAOLO IMI S.p.A. e le Segreterie Nazionali di FABI,FALCRI,
FEDERDIRIGENTICREDITO,FIBA/CISL,FISAC/CGIL,SINFUBeUILC.A. e le Delegazioni
Sindacali di Gruppo FABI,FALCRI,FEDERDIRIGENTICREDITO,FIBA/CISL,FISAC/CGIL,
SINFUBeUILC.A.
•
•
•
•
premesso che
in data 20 novembre 2002 è stata inoltrata la lettera di avvio delle procedure
contrattuali e di legge riguardanti la fusione per incorporazione del Banco di
Napoli S.p.A. in SANPAOLO IMI S.p.A., prima operazione di riassetto
societario prevista dal piano industriale di Gruppo e volta al raggiungimento
della migliore efficienza e competitività nel panorama creditizio nazionale;
nella successiva illustrazione alle Organizzazioni Sindacali del citato piano
industriale si è dato conto della previsione di successivo scorporo di una
nuova Società bancaria operante nelle regioni Campania, Puglia, Calabria,
Basilicata, in un’ottica di integrazione e specializzazione delle reti
distributive con i connessi benefici in termini operativi di utilizzo di una
comune piattaforma informatica e di prodotti, nonché di coordinamento
commerciale;
con protocollo sottoscritto in data 20 dicembre 2002 sono stati differiti al 31
gennaio 2003 i termini per l’effettuazione del previsto esame congiunto,
convenendo altresì l’applicazione, sino a tale data, al Personale interessato
all’operazione predetta, del complesso della disciplina normativa ed
economica vigente presso il Banco di Napoli;
in data 14 gennaio 2003 si è altresì siglato un verbale di accordo in tema di
garanzie occupazionali e di salvaguardia e valorizzazione delle opportunità
120
•
di sviluppo professionale relativo, in particolare, alla ridetta operazione di
scorporo;
nella fase di consultazione e negoziazione si è approfondita la complessiva
materia delle ricadute rivenienti dalla fusione in tema di disciplina del
rapporto di lavoro con il raggiungimento, in data odierna, di intese sui
principali punti oggetto di confronto;
si conviene quanto segue
La premessa costituisce parte integrante e sostanziale del presente accordo.
PRINCIPI GENERALI
In materia di salvaguardia dell’occupazione, sviluppo professionale, percorsi di
riconversione/riqualificazione, distacchi di risorse e trattamento dei fenomeni di
mobilità straordinaria sono integralmente confermati le intese e gli impegni di
cui agli accordi di Gruppo 19 ottobre 2001, 20 marzo 2002 e 14 gennaio 2003,
con le ulteriori precisazioni di seguito riportate.
Sviluppo professionale
L’inserimento del Personale incorporato in SANPAOLO IMI avviene nel
rispetto delle professionalità acquisite ed in ottica di valorizzazione dei contributi
operativi e di conoscenza dei singoli, con salvaguardia delle medesime
opportunità quanto a sviluppo professionale e di carriera. Analoghi principi sono
seguiti, in correlazione alle caratteristiche dell’organizzazione aziendale
applicata, in occasione del previsto scorporo, per il Personale destinatario
dell’operazione.
Mobilità straordinaria
Ai fini dell’applicazione dell’accordo 20 marzo 2002 in tema di mobilità
straordinaria derivante dall’operazione di fusione di Banco di Napoli in
SANPAOLO IMI e successivo scorporo si chiarisce tra le Parti che la mobilità in
questione riguarda i trasferimenti d’ufficio disposti – anche previo percorso di
riconversione/riqualificazione professionale – in diretta conseguenza di:
1. chiusura o trasferimento di uffici/strutture di Sede Centrale, di Area ovvero
di Punti Operativi (quali l’unificazione di Punti Operativi su piazza e lo
spostamento di Punti Operativi ad altre piazze);
2. accorpamento e/o trasferimento anche parziale di attività di Sede Centrale.
Fermi l’ambito ed i criteri di applicazione ed i trattamenti previsti dal richiamato
accordo 20 marzo 2002, è ribadito l’impegno da parte aziendale di ricercare
prioritariamente la volontarietà per le risorse interessate dalla ricollocazione –
così come definita al punto 4., lettere a) e b) dell’accordo in parola, nonché la
specifica valutazione delle fattispecie ivi individuate per i casi di necessario
consenso a trasferimenti presso unità produttive ad oltre 25 km. di distanza dal
luogo di residenza/domicilio.
In tale contesto saranno altresì attivate specifiche informative al Personale
interessato circa le disposizioni in tema di trasferimenti a richiesta, ivi compresa
121
la comunicazione delle zone, come derivanti dallo sviluppo degli impegni
dell’accordo di rinnovo del vigente Contratto Integrativo Aziendale SANPAOLO IMI.
Quanto precede restando inteso che il trasferimento richiesto in dipendenza della
mobilità in questione costituisce motivo per dar corso allo scavalcamento delle
liste in essere.
Alle competenti strutture sindacali aziendali firmatarie del presente accordo
viene resa da parte dell’Azienda un’informativa con cadenza bimestrale circa
numeri di risorse interessate dalla mobilità, strutture di provenienza e di
assegnazione, dati disaggregati su trasferimenti a richiesta effettuati e sugli
eventuali casi rientranti nelle fattispecie che richiedono il consenso per i predetti
spostamenti oltre i 25 km.
NORMATIVA APPLICABILE
A far tempo dal 1° gennaio 2003 – ai sensi delle disposizioni di legge al riguardo
- il rapporto di lavoro del Personale proveniente dal Banco di Napoli prosegue
senza soluzione di continuità con SANPAOLO IMI, con mantenimento di livello
retributivo ed inquadramento rivestito a tale data – come meglio dettagliato in
appresso - e riconoscimento dell’anzianità maturata a tutti i fini delle vigenti
normative contrattuali nazionali ed aziendali di pertinenza dei medesimi.
Nei confronti del predetto Personale trova applicazione – sempre a far tempo dal
1° gennaio 2003 – il Contratto Integrativo Aziendale di SANPAOLO IMI 21
maggio 2001 nonché gli ulteriori accordi e disposizioni vigenti presso lo stesso,
salve le diverse normative specificamente indicate nel presente accordo e le
eventuali diverse decorrenze ivi riportate.
In connessione a ciò è pienamente realizzato l’effetto sostitutivo della precedente
contrattazione integrativa e del complesso delle disposizioni fruite dal Personale
predetto presso l’Azienda incorporata, anche ai sensi di quanto previsto dall’art.
47 della Legge 428/1990 e successive modificazioni ed integrazioni. La
normativa di cui sopra è trasmessa individualmente al Personale con le
opportune forme in una con il testo del Contratto Integrativo Aziendale.
Resta inteso che al Personale interessato dalla successiva operazione di scorporo
sono applicati Contratto Integrativo Aziendale e la normativa del SANPAOLO
IMI, nonché le previsioni del presente accordo. Il rinnovo del Contratto
Integrativo Aziendale avviene in sede di contrattazione integrativa SANPAOLO
IMI, fatta salva l’autonomia delle strutture sindacali della nuova Società quale
parte agente in detta contrattazione.
INQUADRAMENTI
Personale delle aree professionali L’inserimento del Personale proveniente dal
Banco di Napoli avviene nei medesimi aree professionali e livelli retributivi allo
stato riconosciuti, fermo restando il principio vigente della piena fungibilità delle
mansioni degli addetti alla 3ª area professionale.
Relativamente ai percorsi di carriera in settori specialistici già presenti nella
normativa aziendale del Banco di Napoli (accordo del 7 maggio 1997, lettera A,
122
punti 2 e 3 e lettera B), sono fatti salvi gli inquadramenti che maturino entro il 30
giugno 2003.
In relazione alle previsioni dall’accordo 27 luglio 2001 stipulato presso il Banco
di Napoli resta inteso che sino all’applicazione del modello organizzativo di
Filiale SANPAOLO IMI alla Rete incorporata, gli inquadramenti ivi previsti per
le figure professionali di Filiale continuano a trovare applicazione nel caso in cui
siano affidate al Personale mansioni corrispondenti a quelle stabilite per le figure
di cui sopra.
Quadri Direttivi L’inserimento del Personale proveniente dal Banco di Napoli
avviene nei medesimi livelli e ruoli chiave allo stato riconosciuti.
Con riferimento alla materia degli inquadramenti dei Direttori di Filiale sino a sei
addetti, per il Personale incorporato il relativo riconoscimento avviene
progressivamente per tutti i Direttori incaricati alla data del presente accordo
attraverso l’inserimento in specifico percorso di formazione. Pertanto gli
inquadramenti in parola avvengono con gradualità in relazione al completamento
dei predetti percorsi, a partire dal 1° luglio 2003 e comunque entro il 31 ottobre
2003, fatte salve proroghe del termine in relazione ad assenze per maternità o
malattia.
In relazione a quanto sopra è fornita specifica informativa di consuntivo alle
Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo entro il mese di
novembre 2003.
TRATTAMENTO ECONOMICO
Con decorrenza 1° gennaio 2003 al Personale proveniente dal Banco di Napoli è
mantenuto il trattamento retributivo allo stato fruito, con applicazione delle
denominazioni e dei criteri di erogazione previsti in SANPAOLO.
Le voci rivenienti da accordi sottoscritti presso il Banco di Napoli fruite ad
personam – il cui elenco è riportato nell’allegato sub 1, che costituisce parte
integrante e sostanziale del presente accordo - sono ricondotte alla voce
"Assegno individuale", con mantenimento delle caratteristiche di assorbimento e
dinamicità attualmente rivestite.
Gli eventuali assegni ad personam di merito continuano ad essere corrisposti con
le medesime attuali caratteristiche.
In luogo della quota di "Ex Premio di Rendimento" in precedenza erogata dal
Banco di Napoli " è corrisposta una voce mensile denominata "Assegno ex
ristrutturazione" con divisione per 13 dell’attuale importo annuale differenziato
per grado, mantenendo la dinamica contrattuale. Nella tabella allegata sub 2, che
costituisce parte integrante e sostanziale del presente accordo, sono riportati i
relativi importi. Decorrenza: 1° gennaio 2003.
Con le competenze del mese di febbraio si provvede al pagamento della quota di
pertinenza del 2002.
123
PREMIO AZIENDALE DI PRODUTTIVITA’
Erogazione nel giugno 2003 per il Personale incorporato del premio di
produttività relativo al 2002 nelle stesse misure erogate nel 2002 dal Banco di
Napoli, incrementate del 60% della differenza tra tali importi e quelli che
saranno erogati nel 2003 in SANPAOLO IMI.
Nel 2003, nell’ipotesi di azionariato diffuso che riguardi anche il personale in
oggetto l’onere complessivo aziendale per l’erogazione del premio di
produttività e l’assegnazione delle azioni non può superare l’onere
complessivamente previsto per l’erogazione del solo premio di produttività.
Dopo lo scorporo, presso la nuova Società viene applicato lo stesso premio aziendale di produttività di
SANPAOLO IMI quanto a criteri, misure e modalità di erogazione.
SISTEMA INCENTIVANTE
Per quanto riguarda il sistema incentivante si procede con i seguenti criteri:
• per l’esercizio 2002 al Personale incorporato è applicato il sistema incentivante già vigente presso il
Banco di Napoli;
• per l’esercizio 2003 il sistema incentivante SANPAOLO IMI è unico per tutto il Personale;
• dagli esercizi successivi il sistema incentivante SANPAOLO IMI riguarda anche il Personale
scorporato.
BUONO PASTO
Per tutto il Personale incorporato l’importo del buono pasto - a far tempo da quelli riferiti al mese di
marzo 2003 - è allineato alle misure in essere presso SANPAOLO IMI.
ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA
La copertura assicurativa in corso per il Personale incorporato è mantenuta per
l’anno 2003, fermo restando che il premio a carico dell’Azienda è incrementato
sino a concorrenza dell’apporto contributivo in cifra fissa previsto dall’articolo
10, comma I dello Statuto della Cassa di Assistenza SANPAOLO IMI (di seguito
Cassa) per il Personale dipendente di SANPAOLO IMI iscritto alla medesima. In
relazione a quanto precede l’Azienda si attiva al fine di rinegoziare le prestazioni
in funzione dell’anzidetta maggiorazione di premio, interessando al riguardo, in
sede di esame preventivo della materia, le Organizzazioni Sindacali firmatarie
del presente accordo.
Le Parti Sociali apportano le conseguenti modificazioni allo Statuto della Cassa.
In caso di mancato raggiungimento di intese collettive in ordine al mantenimento
delle coperture assicurative in tempo utile prima della fine del 2003, il Personale
incorporato è iscritto alla Cassa dal 1° gennaio 2004.
PREVIDENZA COMPLEMENTARE AZIENDALE
Il Personale incorporato mantiene l’iscrizione al Fondo di previdenza
complementare per il Personale del Banco di Napoli, nei termini e con le
condizioni attualmente fruiti.
Per il Personale assunto dal 1° gennaio 1991 l’aliquota di contribuzione a carico
dell’Azienda è adeguata, a far tempo dal 1° gennaio 2003, al 3%.
124
Per tutto il Personale incorporato è inoltre versato lo 0,50% dell’imponibile TFR
(riveniente da specifica disposizione statutaria della Cassa di Assistenza circa
analoga posta contributiva) quale ulteriore contribuzione aziendale in via
transitoria per il 2003, con riserva di successive determinazioni delle Parti sociali
entro il termine di tale anno, correlate all’assistenza sanitaria.
NORME TRANSITORIE
La normativa ex accordo 27 luglio 2001 inerente l’assunzione di figli di
Personale dichiarato inabile è applicata per le fattispecie per cui la relativa
regolare documentazione sia formalmente pervenuta all’Azienda entro il
31/1/2003.
Per i procedimenti disciplinari formalmente avviati (con lettera di contestazione
ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori) entro la data di consegna
individuale del Contratto Integrativo Aziendale e di affissione del Codice
Disciplinare ivi contenuto viene applicato il regime previgente presso il Banco di
Napoli.
AGEVOLAZIONI CREDITIZIE
Fermo restando che per le pratiche deliberate entro il 28 febbraio 2003 continua
a trovare applicazione la previgente normativa del Banco di Napoli, a far tempo
dal 1° marzo p.v. la materia delle agevolazioni creditizie al Personale è regolata
dal complesso delle disposizioni aziendali SANPAOLO IMI.
L’Azienda effettua entro la fine del mese di febbraio un esame delle situazioni
pregresse che risultino disallineate rispetto ai criteri/importi di finanziamento
SANPAOLO IMI. Al termine di tale disamina si tiene specifico incontro con le
Organizzazioni Sindacali al fine rappresentare la situazione e le ipotesi di
soluzione volte a individuare opportune forme di rientro dalle esposizioni
eccedenti in tempi congrui. In tale sede viene altresì esaminata la percorribilità
dell’estensione della copertura assicurativa alle aperture di credito con elasticità
di cassa. In tale circostanza le Organizzazioni Sindacali possono presentare
eventuali osservazioni.
RELAZIONI SINDACALI
Tenuto conto degli articolati riflessi discendenti dall’applicazione del Contratto
Integrativo SANPAOLO IMI, nonché dalla prevista unificazione delle procedure
ed alla progressiva estensione del modello organizzativo di Filiale, è costituita
una Commissione Tecnica composta da due rappresentanti per ciascuna delle
Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo e da esponenti delle
competenti Funzioni aziendali al fine di consentire momenti di verifica
dell’omogeneizzazione in corso in materia di:
• inquadramenti;
• valutazione del personale;
• sistema incentivante;
• trasferimenti a richiesta, con particolare riferimento alla ricomposizione
delle zone in dipendenza dell’avvenuta incorporazione.
125
La prima riunione della Commissione in discorso (che ha durata sino al 31
dicembre 2003) si tiene entro il primo trimestre 2003, con riserva di fissare in
tale sede i successivi incontri, in funzione dei previsti sviluppi dei citati
argomenti. Le Parti, al termine dei lavori della Commissione verificano
congiuntamente eventuali riflessi di carattere contrattuale derivanti e/o
attinenti alle materie esaminate.
Accordo Fusione Cardine Finanziaria in San Paolo IMI
9 ottobre 2004 Torino
SANPAOLO IMI S.p.A. e le Segreterie Nazionali di FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL,
UIL C.A., e le Delegazioni Sindacali di Gruppo FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A.,
premesso che
1. con accordo sottoscritto in data 31 ottobre 2003, nell’ambito della procedura
di integrazione delle attività di Corporate Centre di SANPAOLO IMI di
Cardine Finanziaria e delle Banche Reti, si è convenuto di far decorrere dal
1° novembre 2004 le risultanze dell’esame congiunto ex art. 47 della legge n.
428/1990 e successive modificazioni ed integrazioni relativo alla
programmata fusione di Cardine Finanziaria S.p.A. in SANPAOLO IMI
S.p.A.;
2. con lettera del 18 novembre 2003 è stata attivata la procedura di legge e di
contratto relativa alla predetta operazione di fusione, con successivo formale
avvio della fase di consultazione e confronto, per quanto attiene alle
conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori interessati dalla
richiamata operazione di fusione;
3. fermi restando gli effetti traslativi della operazione di fusione di cui al
precedente punto ed i conseguenti passaggi dei rapporti di lavoro, con
accordo del 22 dicembre 2003 si è convenuto di continuare ad applicare sino
al 31 ottobre 2004 il complesso delle discipline normative ed economiche
vigenti alla data di incorporazione e di differire al 29.2.2004 i termini per
l’effettuazione dell’esame congiunto previsto dalle vigenti disposizioni di
legge;
4. con accordi sottoscritti in data 26 febbraio e 21 luglio 2004 è stato differito il
predetto termine al 30 settembre 2004 e, da ultimo, con proroga condivisa tra
le Parti sino all’8 ottobre 2004;
5. nel corso della fase di consultazione e negoziazione si è approfondita la
complessiva materia delle ricadute rivenienti dalla fusione in tema di
disciplina del rapporto di lavoro con il raggiungimento, in data odierna, delle
seguenti intese;
si conviene quanto segue
La premessa forma parte integrante e sostanziale del presente Accordo.
126
PRINCIPI GENERALI
In materia di salvaguardia dell’occupazione, sviluppo professionale, percorsi di
riconversione e/o riqualificazione e trattamento della mobilità straordinaria sono
integralmente confermati le intese e gli impegni di cui agli accordi 27.2.2003,
31.10.2003 e 22.12.2003.
NORMATIVA APPLICABILE
A far tempo dal 31 dicembre 2003 – ai sensi delle disposizioni di legge in
materia – il rapporto di lavoro del Personale proveniente da Cardine Finanziaria
prosegue senza soluzione di continuità con SANPAOLO IMI, con mantenimento
del livello retributivo e dell’inquadramento rivestito a tale data nonché con
riconoscimento dell’anzianità maturata a tutti i fini delle vigenti normative
contrattuali nazionali ed aziendali di pertinenza dei medesimi.
Nei confronti del predetto Personale trova applicazione – a far tempo dal 1°
novembre 2004 – il Contratto Integrativo Aziendale di SANPAOLO IMI 21
maggio 2001 nonché tutti gli ulteriori accordi e disposizioni vigenti presso lo
stesso, salvo diverse normative specificatamente indicate nel presente accordo e
le eventuali decorrenze ivi riportate.
In relazione a ciò è pienamente realizzato l’effetto sostitutivo della precedente
contrattazione integrativa e del complesso delle disposizioni fruite dal Personale
predetto presso l’Azienda incorporata, presenti alla data di incorporazione, anche
ai sensi di quanto previsto dall’art. 47 della Legge 428/1990 e successive
modificazioni ed integrazioni. La normativa di cui sopra è trasmessa
individualmente al Personale con le opportune forme unitamente al testo del
Contratto Integrativo Aziendale.
INQUADRAMENTI
Aree professionali
L’inserimento del Personale proveniente da Cardine Finanziaria avviene nelle
medesime aree professionali e livelli retributivi allo stato riconosciuti, fermo
restando il principio vigente della piena fungibilità delle mansioni degli addetti
della 3a area professionale.
Entro la fine del 2004 viene effettuate una verifica dell’attività svolta
all’1/1/2004 ai fini dell’inserimento nei percorsi di cui all’art. 5 del CIA
SANPAOLO IMI.
Nei confronti del personale di Cardine Finanziaria proveniente dalle Banche Reti
continua a trovare applicazione la disciplina relativa agli avanzamenti automatici
economici e di carriera vigenti presso le rispettive Banche di provenienza sino al
31/12/2009 e, comunque, sino al raggiungimento, a decorrere dall’1/11/2004, di
almeno un avanzamento automatico. Successivamente a tali scadenze trova piena
applicazione la disciplina vigente presso SANPAOLO IMI.
Quadri direttivi
127
L’inserimento del Personale proveniente da Cardine Finanziaria avviene nei
medesimi livelli allo stato riconosciuti, nel rispetto delle professionalità acquisite
ed in un’ottica di valorizzazione dei contributi operativi e di conoscenza dei
singoli, con salvaguardia per i medesimi, di medesime opportunità di sviluppo
professionale e di carriera.
Con riferimento al Personale destinatario di trattamenti relativi ai ruoli chiave
presenti alla data di incorporazione, vengono analizzati i contenuti professionali
e le posizioni di responsabilità ricoperte onde accertarne l’omogeneità con le
corrispondenti declaratorie vigenti in SANPAOLO IMI, ai fini dell’ attribuzione
delle indennità di ruolo chiave SANPAOLO IMI. Per detto Personale restano
comunque salve le differenze le eventuali differenze economiche rispetto ai
trattamenti precedentemente fruiti, che vengono mantenute come assegno ad
personam da assorbire in caso di inquadramento superiore anche economico
ovvero di incrementi retributivi di merito.
TRATTAMENTO ECONOMICO
Al Personale proveniente da Cardine Finanziaria è mantenuto il trattamento
retributivo fruito alla data del 31/10/2004, con applicazione delle denominazioni
e dei criteri di erogazione previsti in SANPAOLO IMI a decorrere dal 1/1/2005.
A far tempo dal 1/1/2005 le voci rivenienti da accordi aziendali sottoscritti
presso le Banche di provenienza ovvero fruite ad personam ed eventualmente
riconosciute su un numero di mensilità diverso da 13 – il cui elenco è riportato
nell’allegato sub 1, che costituisce parte integrante e sostanziale del presente
accordo –, sono riportate su tredici mensilità sotto la voce “Assegno
individuale”, con mantenimento delle caratteristiche di assorbimento e di
rivalutazione allo stato rivestite.
Gli eventuali assegni ad personam di merito continuano ad essere corrisposti con
le attuali caratteristiche.
Sempre a decorrere dall’1/1/2005, in luogo delle voci che hanno nelle diverse
sedi aziendali contribuito alla determinazione della quota dell’“Ex premio di
rendimento”, viene corrisposto un importo mensile denominato “Assegno ex
ristrutturazione”, calcolato ripartendo su 13 mensilità l’importo annuale relativo
al 2004, con mantenimento dei criteri di rivalutazione all’attualità previsti.
Restano ferme le modalità di erogazione per le quote relative al 2004.
Al Personale proveniente dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Cassa di
Risparmio di Venezia e Cassa di Risparmio in Bologna (di seguito
rispettivamente CARIPARO, CARIVE e CARISBO) ed adibito al Centro
Elaborazione Dati nonché all’Auditing e Sicurezza EDP, è riconosciuta una voce
mensile denominata “Assegno individuale” di importo pari allo specifico
trattamento indennitario attualmente fruito, le cui voci sono riportate
nell’allegato 2.
Detto “Assegno individuale” è assorbito solo in caso di inquadramento superiore
anche economico ovvero di attribuzione di trattamenti retributivi individuali fatta
128
eccezione per gli effetti economici connessi al riconoscimento dell’automatismo
in corso di maturazione alla data del 1/11/2004.
Per il Personale proveniente dalla CARIPARO tale voce viene mantenuta anche
in caso di adibizione a mansioni differenti.
PREMIO AZIENDALE DI PRODUTTIVITA’
Al Personale di Cardine Finanziaria proveniente dalle Banche Reti, il premio
aziendale di produttività relativo all’esercizio 2004 viene corrisposto, nel mese di
giugno 2005, con applicazione dei criteri di determinazione e delle modalità di
erogazione previste presso le Banche di provenienza.
Per il Personale assunto direttamente da Cardine Finanziaria ovvero proveniente
da CAER, il premio aziendale di produttività del medesimo esercizio, viene
corrisposto applicando i criteri e le modalità SANPAOLO IMI.
A partire dal 1/1/2005 trovano applicazione i criteri e le modalità di
determinazione del premio aziendale di produttività vigenti in SANPAOLO IMI.
Per quanto si riferisce alle peculiari previsioni della normativa CARISBO in
materia, si dà luogo, in sede di consuntivo, a valutare soluzioni condivise tra le
Parti che in via transitoria possano consentire di superare le eventuali differenze
economiche rispetto all’anno precedente e, ciò, per quanto riguarda, in
particolare, i quadri direttivi.
ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA
In considerazione delle specifiche istanze sindacali in materia, il Personale
proveniente da CARIPARO mantiene l’iscrizione al Fondo Interno di Assistenza
(FIA) e vale per il medesimo la disciplina del Regolamento del Fondo stesso
tempo per tempo vigente. Al riguardo, le Parti si impegnano a favorire le
opportune modifiche Regolamentari per consentire il mantenimento della
predetta iscrizione.
La complessiva contribuzione di SANPAOLO IMI per il Personale in servizio
non può essere superiore all’importo complessivo determinato moltiplicando
l’apporto contributivo di cui all’art.10, comma I, dello Statuto della Cassa di
Assistenza di SANPAOLO IMI (di seguito “Cassa”) - pari, per il 2004, a 796
Euro - per il numero degli iscritti in servizio.
Al di fuori dell’impegno economico come sopra previsto, SANPAOLO IMI non
è tenuto ad alcun intervento diretto e/o indiretto concernente la gestione del
Fondo nonché l’equilibrio finanziario del medesimo.
Per il Personale assunto direttamente da Cardine Finanziaria ovvero da CAER,
restano ferme le previsioni di cui all’accordo 15/1/2004 comportanti l’iscrizione
alla “Cassa” a partire dall’1/1/2005.
Per il restante Personale, a far tempo dal 1/1/2005, sono attribuite prestazioni
erogate per il tramite di polizza di assistenza sanitaria integrativa stipulata dalla
“Cassa” con premio assicurativo a carico aziendale pari all’apporto contributivo
stabilito ai sensi dell’art. 10, comma I, dello Statuto della medesima. A decorrere
dall’1/1/2006 è applicata la complessiva disciplina statutaria della Cassa e sono
129
attribuite le prestazioni erogate in forma diretta dalla stessa, salvo diverse intese
tra le parti.
NORMATIVA DEI TRASFERIMENTI E RELATIVI TRATTAMENTI ECONOMICI
A decorrere dal 1/11/2004 sono applicate le regole vigenti in materia presso
SANPAOLO IMI con le espresse eccezioni di seguito indicate.
Il Personale proveniente da CARIVE e da Banca Popolare dell’Adriatico (di
seguito BPDA) mantiene, in materia di consenso al trasferimento, le garanzie
previste dalle rispettive discipline aziendali sino al rinnovo o sostituzione delle
medesime. L’esercizio di detta facoltà determina l’applicazione del complessivo
trattamento proprio della Banca di provenienza.
Per un periodo di 8 anni a far tempo dal 1°.1.2004, sono mantenute le misure
economiche di mobilità tuttora in essere, salvo applicazione della normativa
SANPAOLO IMI in caso di trasferimento disposto durante tale periodo.
Raccomandazione delle OO.SS.
Le OO.SS. rivolgono espressa raccomandazione all’Azienda a voler riservare
particolare attenzione gestionale nei confronti del Personale che abbia avanzato
richiesta di rientro/avvicinamento in prossimità della scadenza delle anzidette
misure economiche di mobilità anche attraverso ipotesi di cessione del rapporto
di lavoro ad Aziende del Gruppo.
L’Azienda prende atto della raccomandazione come sopra formulata dalle OO.SS.
PREVIDENZA COMPLEMENTARE AZIENDALE
Le Parti confermano l’impegno a consentire il mantenimento dell’iscrizione ai
rispettivi regimi aziendali di previdenza complementare di pertinenza del
Personale interessato.
Per il Personale iscritto a regimi aziendali di previdenza complementare a
contribuzione definita, a far tempo dal 1/11/2004, l’aliquota contributiva minima
a carico dell’Azienda è fissata al 3%, mentre sono conservate le aliquote
contributive in essere superiori a tale percentuale.
PREMIO DI ANZIANITÀ
Vengono mantenute sino al 31/12/2005 le regole vigenti presso le Banche di
provenienza.
Sempre sino al 31/12/2005 trova integrale applicazione la disciplina vigente
presso la BpdA, ivi compreso l’accordo 30/7/2002 - previo accertamento delle
oggettive circostanze che ne giustificano l’erogazione – nonché la disposizione
inerente il riconoscimento di una giornata di permesso aggiuntivo al compimento
del 15° e del 25° anno di anzianità di servizio.
PERMESSI AGGIUNTIVI
Sono mantenuti, per il Personale proveniente da CARIVE, due giorni aggiuntivi
di permessi retribuiti ai sensi della normativa previdente nonché la/le giornata/e
130
aggiuntiva/e prevista/e per il Personale proveniente da BPDA che ne fruisca in
forza della normativa citata al punto 10.
Accordo cessioni filiali (Integrazione Banche Reti) 7 .12. 2004 Torino
SANPAOLO IMI S.p.A.
Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. (di seguito Banca cessionaria) e
le Segreterie Nazionali DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A.
le Delegazioni Sindacali di Gruppo DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL
C.A.
le Segreterie degli Organi di Coordinamento DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL,
UIL C.A.di SANPAOLO IMI
le Segreterie degli Organi di Coordinamento DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL,
UIL C.A.della Cassa di Risparmio in Bologna
•
•
•
•
•
•
premesso che
nell’ambito del complessivo riassetto strutturale del Gruppo previsto dai
piani industriali si è realizzato il progressivo processo di integrazione delle
Banche Rete ex Cardine, attraverso l’estensione del modello distributivo
SANPAOLO, l’unificazione delle procedure e la graduale applicazione del
modello organizzativo di Banca Commerciale;
in tale contesto si inserisce il progetto di razionalizzazione della Rete
Commerciale del Gruppo con la concentrazione delle Filiali e la
valorizzazione dei marchi di riferimento nelle diverse realtà territoriali, che
prevede lo sviluppo della Rete nei territori interessati, coniugando i valori
derivanti dal forte radicamento delle Banche presenti localmente con le
opportunità insite nell’appartenenza ad un grande Gruppo;
le realtà territoriali in discorso, unitamente alla Capogruppo ed a Sanpaolo
Banco di Napoli, costituiscono un’unica Rete Commerciale per la quale è
auspicabile l’adozione di un’omogenea disciplina del rapporto di lavoro;
con lettera del 30/9/2004 è stata avviata la procedura ex art. 47 della legge n.
428/1990 riferita al conferimento del ramo aziendale costituito dai punti
operativi di SANPAOLO IMI S.p.A. delle province di Bologna, Ferrara,
Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia e dagli uffici di riferimento del
territorio dell’Area Emilia Romagna alla Cassa di Risparmio in Bologna;
alla luce della situazione che ha successivamente interessato le relazioni
sindacali a livello di Settore i termini delle procedure sono stati prorogati al
10 dicembre corrente;
nell’ambito del previsto confronto si sono congiuntamente esaminate le
conseguenze giuridiche, economiche e sociali determinate dall’operazione
per i lavoratori interessati, alla luce delle disposizioni normative loro
applicabili;
131
si conviene quanto segue
La premessa costituisce parte integrante e sostanziale del presente Accordo.
PRINCIPI GENERALI
Tenuto conto dell’unicità del modello distributivo adottato a livello di Gruppo e
del correlato modello organizzativo, si conferma la necessità di un’omogenea
disciplina del rapporto di lavoro in tema di figure professionali ed inquadramenti,
piano di formazione, sistema valutativo ed incentivante.
Tale intervento, in corso di realizzazione nelle diverse sedi aziendali, unitamente
al progetto di razionalizzazione delle reti distributive - che trova prima
applicazione nelle ridette operazioni di conferimento di ramo d’azienda –
determina la creazione di un’unica rete commerciale, nell’ambito della quale
devono essere adottati strumenti omogenei che favoriscano l’interscambio, anche
professionale, delle risorse ed una maggiore flessibilità gestionale.
Conseguentemente le Parti si impegnano a ricercare, per il Personale operante
all’interno delle Banche commerciali, un’omogenea disciplina del rapporto di
lavoro attraverso la quale, tra l’altro, si renda possibile favorire la mobilità
interaziendale mirata alla valorizzazione delle professionalità ed alla
salvaguardia delle medesime opportunità di sviluppo professionale nei diversi
contesti operativi nonché, in presenza di esigenze non occasionali, il
trasferimento del Personale tra Società diverse attraverso lo strumento della
cessione individuale del contratto di lavoro, già oggi praticabile in caso di
applicazione del medesimo Contratto Integrativo Aziendale nelle Aziende
interessate.
Nelle more della citata omogeneizzazione – che dovrà tener conto delle
peculiarità specifiche delle normative aziendali (previdenza, assistenza, etc. ), da
individuare tra le Parti - per la gestione dell’eventuale mobilità ordinaria tra
Aziende del Gruppo si procede attraverso lo strumento del distacco, con la
precisazione che nei casi di mobilità territoriale si applicano gli eventuali
trattamenti di trasferimento in essere presso la Banca distaccante per il Personale
interessato.
Nei confronti del Personale proveniente da SANPAOLO IMI per effetto del
conferimento di cui trattasi, nell’ipotesi di uscita dal Gruppo della Banca
cessionaria, l’operazione sarà gestita nel caso di tensioni occupazionali – per un
periodo di dieci anni dall’avvenuto conferimento e con il coinvolgimento
dell’acquirente - con i medesimi criteri previsti per le analoghe operazioni
interne al Gruppo e cioè attraverso la ricollocazione in via prioritaria delle
eventuali eccedenze di personale presso la Capogruppo od altre Società del
Gruppo ovvero, ove ciò non si rendesse possibile, il successivo utilizzo di tutti
gli strumenti previsti dalle normative vigenti in tema di mobilità, riconversione
professionale attraverso la formazione ed il ricorso al “Fondo di solidarietà”.
132
NORMATIVA APPLICATA AL PERSONALE CONFERITO
A far tempo dalla data di conferimento – ai sensi delle disposizioni di legge al
riguardo - il rapporto di lavoro del Personale proveniente da SANPAOLO IMI
prosegue senza soluzione di continuità con la Banca cessionaria, con
mantenimento del livello retributivo ed inquadramento attribuito a tale data e
riconoscimento dell’anzianità maturata a tutti i fini delle vigenti normative
contrattuali nazionali ed aziendali di pertinenza dei medesimi.
Nel caso di mobilità ordinaria verso SANPAOLO IMI o SANPAOLO BANCO DI
NAPOLI, in applicazione dei principi descritti si da luogo alla cessione del
rapporto di lavoro.
Per il Personale iscritto all’INPDAP ex CPDEL sono attivati, a cura della Banca
cessionaria le opportune iniziative nei confronti di tale Ente in ottica di verificare
possibilità e condizioni per il mantenimento dell’iscrizione in parola. Sulle
risultanze di tali approfondimenti è fornita tempestiva informazione alle
Organizzazioni Sindacali firmatarie delle presenti intese.
In adesione a quanto stabilito dalle previsioni contrattuali aziendali in materia,
nei confronti del Personale proveniente da SANPAOLO IMI continuano a
trovare piena applicazione:
• il Contratto Integrativo Aziendale ed il complesso della disposizioni e dei
trattamenti vigenti presso SANPAOLO IMI sino a scadenza e/o sostituzione
degli stessi in forza di rinnovo;
• il complesso delle ulteriori disposizioni aziendali vigenti in tema di
agevolazioni creditizie, provvidenze a favore del Personale, trattamento di
trasferimento, missione e pendolarismo.
Nelle more della citata omogeneizzazione non si rende formalmente applicabile
l‘art. 76 relativo ai trasferimenti a richiesta, mentre per quanto concerne l’art. 64
in tema di visite preventive periodiche ne viene valutata da parte delle Aziende la
praticabilità nel nuovo contesto.
Per quanto attiene alle previsioni del Capitolo terzo del Contratto Integrativo
SANPAOLO IMI su Provvedimenti disciplinari – Licenziamento –
Provvedimenti cautelari, le stesse sono sostituite dalle previsioni contrattuali
applicate in materia dalla Banca cessionaria.
NORMA TRANSITORIA Per i procedimenti disciplinari formalmente avviati
(con lettera di contestazione ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori) entro
la data di comunicazione individuale dei contenuti del presente accordo viene
applicato il regime in essere presso SANPAOLO IMI.
In deroga all’art. 96 del CIA SANPAOLO IMI ed in considerazione del periodo
in cui è avvenuta l’operazione di conferimento, il premio aziendale di
produttività relativo al 2004 da erogare al Personale conferito sarà individuato in
misura pari a quella definita presso SANPAOLO IMI per il medesimo esercizio.
133
Dichiarazione delle Aziende
Per quanto attiene all’andamento del sistema incentivante per il 2004 le Aziende
dichiarano che per l’intero anno si applicano i criteri adottati presso
SANPAOLO IMI, con determinazione del risultato economico per gli ultimi due
mesi dell’anno sulla base dell’andamento complessivo annuo della Rete Filiali
Italia.
Raccomandazione delle OO.SS.
In relazione a quanto esplicitato in corso di trattativa le Organizzazioni Sindacali
rivolgono espressa raccomandazione alle Aziende affinché, nelle more della
definizione di un’omogenea disciplina del rapporto di lavoro, valutino
positivamente le eventuali richieste di trasferimento verso zone diverse da quelle
in cui è presente la Banca cessionaria avanzate da parte del Personale conferito,
con particolare attenzione nei confronti delle richieste già in essere.
Le Aziende prendono atto della raccomandazione espressa, precisando che, in
analogia a quanto praticato per la mobilità disposta per esigenze aziendali, viene
adottato lo strumento del distacco ovvero della cessione del rapporto di lavoro
nei termini sopra indicati, senza alcun onere a carico dell’Azienda.
E’ inoltre mantenuta l’iscrizione al regime di previdenza di pertinenza del
Personale oggetto del conferimento, con conferma delle previsioni in materia di
contribuzione aziendale ed individuale all’attualità previsti. Le Parti si attivano
per favorire le opportune modifiche statutarie e/o di regolamento dei regimi
predetti al fine di permettere la continuità di iscrizione da parte del Personale
conferito ovvero la continuità di erogazione delle prestazioni.
E’ altresì confermata l’iscrizione alla Cassa di Assistenza SANPAOLO IMI, con
fruizione delle prestazioni dirette della Cassa stessa ed applicazione della
complessiva disciplina statutaria ovvero, per il Personale proveniente dal Banco
di Napoli, delle prestazioni attraverso polizza sanitaria.
Quanto sopra previsto si applica anche nei confronti del Personale assunto con
contratto di formazione e lavoro ovvero a tempo determinato ai sensi
dell’accordo 5/12/2003, a far tempo dalle eventuali trasformazione o successiva
assunzione a tempo indeterminato.
L’inserimento del Personale conferito nell’organizzazione aziendale della Banca
cessionaria avviene nel rispetto delle professionalità acquisite ed in ottica di
valorizzazione dei contributi operativi e di conoscenza dei singoli, con
salvaguardia, per i medesimi, di pari opportunità quanto a sviluppo professionale
e di carriera
Raccomandazione delle OO.SS.
Le Organizzazioni Sindacali rivolgono espressa raccomandazione affinché
presso la Banca cessionaria venga riservata la necessaria attenzione gestionale al
134
Personale inserito in percorsi di sviluppo professionale, al fine di consentirne il
completamento, nonché ai ruoli professionali attualmente rivestiti.
Le Aziende prendono atto della raccomandazione espressa.
Per l’inserimento del Personale conferito nella nuova organizzazione delle
Aziende cessionarie sono realizzati idonei interventi formativi, con ricorso al
“Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della
riconversione e riqualificazione professionale del Personale dipendente dalle
imprese del credito” (di seguito Fondo di Solidarietà) istituito presso l’INPS con
il D.M. n. 158/2000, in particolare avvalendosi delle prestazioni ordinarie di cui
all’art. 5, 1° comma, lettera a), punto 1 del D.M. predetto, nonché degli appositi
fondi nazionali e comunitari.
Le Parti dichiarano in materia che i contenuti delle iniziative formative di cui
trattasi sono funzionali alla realizzazione degli specifici obiettivi di
riqualificazione professionale resi necessari nell’ambito ed in connessione con il
processo di integrazione previsto dal piano industriale e che tale programma
riguarda tutto il Personale conferito (circa n. 306 risorse).
RELAZIONI SINDACALI
In relazione all’operazione di cui in premessa sono previsti in sede aziendale
momenti di informativa e verifica periodica circa gli sviluppi dell’integrazione,
per quanto riguarda:
1. situazione dei percorsi di sviluppo professionale in essere e loro
andamento;
2. situazione delle domande di trasferimento avanzate da Personale
proveniente
3. da SANPAOLO IMI e risultanze circa la valutazione delle medesime;
iniziative di mobilità professionale ed eventuali interventi formativi
correlati.
La prima informativa è resa entro il mese di marzo 2005, con successiva sessione
prevista per il mese di ottobre, salvo convocazioni per specifiche comunicazioni
da parte dell’Azienda, ovvero motivata richiesta delle OO.SS.
Gruppo Banca Intesa
Accordo Fusione per incorporazione in Banca Intesa di BAV,
CARIPLO, MCL e COMIT 13 aprile 2001
Banca Intesa S.p.A. e Banca Commerciale Italiana S.p.A. e
F.A.B.I. F.A.L.C.R.I. F.I.B.A./C.I.S.L. F.I.S.A.C./C.G.I.L UIL C.A.
135
premesso che:
• nel novembre 2000 sono state avviate le procedure di legge e contratto relative
all’incorporazione in Banca Intesa, a decorrere dal 31 dicembre 2000, di BAV
(Banco Ambrosiano Veneto), CARIPLO, MCL (Mediocredito Lombardo), e a
decorrere dal 1° maggio 2001, di COMIT (Banca Commerciale Italiana) e al
trasferimento del rapporto di lavoro a ISS (Intesa Sistemi e Servizi) e IGC
(Intesa Gestione Crediti) del personale all’epoca dipendente di CARIPLO e
BAV,
• il 29 dicembre 2000 è stato sottoscritto un Verbale di riunione con il quale le
Parti si davano atto dell’esito delle suddette procedure, concordando l’impegno a
definire un “contratto di ingresso” per il personale proveniente dalle Banche
incorporate e a disciplinare talune specifiche regolamentazioni applicabili a tutto
il personale di Banca Intesa, nonché prorogando consensualmente le procedure
relative a ISS e IGC,
tenuto altresì conto che
per la realizzazione del modello organizzativo definito nel masterplan di Banca
Intesa - diffusamente illustrato alle Organizzazioni Sindacali in occasione degli
incontri in data 11 aprile, 7 giugno, 10 ottobre, 20 dicembre 2000, 12 gennaio,
23 febbraio e 26 marzo 2001 - è stato progettato un percorso in più fasi che si
completerà alla fine del 2003 con l’unificazione dei sistemi informativi,
garantendo la continuità di presidio sul territorio e sulla clientela e realizzando
nei minimi tempi necessari la nuova struttura organizzativa e manageriale,
le Parti hanno definito nel presente Accordo:
• le regole per la gestione del Piano Industriale del Gruppo Intesa, in
particolare con riferimento ai processi di riequilibrio degli organici, di mobilità
territoriale, al trasferimento dei rapporti di lavoro a ISS e IGC, nonché alle
procedure di informativa e confronto sindacale per la gestione dei progetti di
riorganizzazione,
•• la disciplina dei rapporti di lavoro del personale proveniente dalle Banche
incorporate, nonché alcuni istituti applicabili a tutto il personale di Banca Intesa.
Confronto sul Piano Industriale
In relazione agli articolati progetti di intervento organizzativo e/o societario
comportanti:
operazioni di trasferimenti di azienda (quali fusioni, cessioni di ramo d’azienda,
scissioni ecc.);
• rilevanti riorganizzazioni e/o ristrutturazioni di immediata realizzazione dalle
quali derivino comunque ricadute sul personale;
• riorganizzazioni a realizzazione progressiva che, in ragione della loro
complessità, si sviluppano in fasi di sperimentazione, di attuazione transitoria e
di attuazione operativa (come nel caso del riassetto delle reti commerciali
secondo il modello divisionale, della razionalizzazione delle attività di back
136
office delle reti e dell’attuazione dei processi riorganizzativi delle Direzioni
Centrali),
Le OO.SS. saranno coinvolte - anche su loro richiesta - nelle diverse fasi dei
progetti di riorganizzazione per un esame congiunto sulla loro progressiva
evoluzione. Resta inteso che, per l’attuazione dei progetti di cui sopra,
saranno attivate le procedure previste dalle norme di legge e di contratto.
Si darà corso all’attuazione in via definitiva dei provvedimenti comportanti
ricadute sul personale nell’ambito organizzativo, volta per volta interessato
(esempio: trasferimenti e/o processi di riconversione e riqualificazione) solo
dopo la conclusione delle procedure di cui sopra; il termine previsto dalle
predette procedure - relativamente ai progetti a realizzazione progressiva decorre dalla data dell’informativa sull’avvio della fase di attuazione operativa.
STRUMENTI E MODALITÀ DI RIEQUILIBRIO DEGLI
ORGANICI E DI GESTIONE DELLE ECCEDENZE DI GRUPPO
In relazione ai diversi obiettivi da perseguire stabiliti nel Piano Industriale,
relativi alla razionalizzazione degli organici, ci si atterrà a modalità gestionali e
si farà ricorso agli strumenti contrattuali come di seguito precisato:
• equilibrata gestione del turn over e contenimento delle prestazioni di lavoro
straordinario;
• processi di riqualificazione e riconversione professionale;
• adesione volontaria a forme di flessibilizzazione della prestazione lavorativa
(part time e forme di flessibilità dell’orario di lavoro);
• incentivazioni all’esodo volontario;
• attivazione del c.d. “Fondo esuberi”, così come previsto dal Verbale di
Incontro 24 gennaio 2001 sottoscritto in sede nazionale. Tale iniziativa potrà
essere attuata a far tempo dal secondo semestre 2002.
Confronto relativo agli organici alle seguenti scadenze:
• entro il 30 giugno 2001 le Parti si impegnano ad effettuare una verifica a
livello aziendale;
• entro il 31 ottobre 2001 analoga verifica sarà effettuata a livello di Gruppo;
• entro il primo semestre del 2002 incontro per un esame a livello di Gruppo
delle prospettive di conseguimento degli obiettivi di riequilibrio degli
organici delineati dal Piano Industriale, anche al fine di concordare criteri e
modalità (numero risorse interessate, ambiti organizzativi, tempistica, ecc.)
per l’attivazione del c.d. “Fondo esuberi”.
MODALITÀ PER LA GESTIONE DI OPERAZIONI
DI CESSIONE DI FILIALI
In relazione al processo di razionalizzazione delle Filiali previsto dal Piano
Industriale 2001-2003 (disposizioni dell’antitrust, nonché ottimizzazione del
presidio territoriale con la cessione di filiali sovrapposte ritenute non
strategiche), l’Azienda conferma che, oltre alle operazioni già comunicate –
137
ultima delle quali UNIPOL – la vendita degli sportelli contemplata dal Piano
suddetto si concluderà con l’individuazione dei cessionari presumibilmente entro
il primo semestre 2001.
Il perfezionamento delle relative operazioni avverrà entro l’anno.
Tali ultime cessioni riguarderanno circa n. 60 sportelli e n. 320/360 risorse.
Ai fini delle previste informative resta inteso che gli organici di riferimento
saranno individuati alla data della delibera che autorizza la cessione di cui si darà
tempestiva comunicazione alle OO.SS.
In proposito si precisa che nelle suddette e conclusive operazioni di cessione,
Banca Intesa impegnerà le banche cessionarie:
• a non effettuare nei confronti del personale oggetto di cessione alcuna
risoluzione del rapporto di lavoro per effetto dell’acquisizione del ramo di
azienda;
• a non effettuare ulteriori trasferimenti a terzi dei medesimi sportelli nell’arco
dei successivi 24 mesi;
• a salvaguardare la professionalità nonché un trattamento complessivamente
equivalente a quello acquisito dai dipendenti, tenuto conto delle anzianità
maturate.
Inoltre, nell’ambito delle previste procedure, saranno ricercate, di concerto con
l’acquirente, soluzioni atte a individuare un trattamento economico
complessivamente equivalente, comprensivo del trattamento previdenziale ed
assistenziale dei lavoratori oggetto di cessione, nonché finalizzate a limitare la
mobilità del personale appartenente alle Aree Professionali, individuando ambiti
temporali e territoriali circoscritti per eventuali trasferimenti.
Nelle stesse procedure sarà altresì ricercata la necessaria continuità di esercizio
delle attività sindacali.
PROCESSI DI MOBILITÀ TERRITORIALE RELATIVI AI PROGETTI DI
RIORGANIZZAZIONE DI BANCA INTESA
L’attuazione della fase operativa dei progetti di riorganizzazione delle reti
commerciali secondo il modello divisionale, di razionalizzazione delle attività di
back office delle reti e dei processi riorganizzativi delle Direzioni Centrali, potrà
comportare mobilità territoriale per quote di lavoratori.
L’Azienda, nel corso dei previsti incontri, fornirà alle OO.SS.LL. adeguate e
preventive informative sui fenomeni di mobilità - temporanea e/o definitiva connessi agli specifici progetti in atto e sul numero delle risorse interessate.
Resta stabilito che la gestione delle ricadute in termini di riallocazione
territoriale delle risorse conseguenti alla realizzazione di detti processi avverrà
nel rispetto dei criteri di seguito specificati.
Banca Intesa s’impegna, compatibilmente con le esigenze tecniche ed
organizzative, ad orientare anche la mobilità territoriale a criteri di
138
valorizzazione delle risorse e di crescita professionale, garantendo al riguardo i
necessari e specifici percorsi formativi.
I trasferimenti derivanti dall’attuazione dei progetti di riorganizzazione delle reti
commerciali secondo il modello divisionale, di razionalizzazione delle attività di
back office delle reti e dei processi riorganizzativi delle Direzioni Centrali ferme restando le previsioni di legge e contratto vigenti in materia - saranno
effettuati su base volontaria qualora la distanza tra la residenza/domicilio del
lavoratore e la nuova sede di lavoro sia superiore a 50 Km per gli appartenenti
alle Aree Professionali e a 70 Km per i Quadri direttivi di 1° e 2° livello, salvo
che detto trasferimento comporti un avvicinamento al luogo di
residenza/domicilio.
Tali previsioni hanno carattere sperimentale e saranno oggetto di verifica nel
corso di apposito incontro da tenersi entro il mese di ottobre 2001.
Laddove le esigenze aziendali di mobilità connesse all’avvio dei progetti di cui
sopra non potessero risultare soddisfatte, le Parti s’impegnano ad individuare le
soluzioni idonee al fine di raggiungere alle scadenze stabilite gli obiettivi
prefissati dal piano industriale.
Resta comunque inteso che nel caso si rendesse necessario disporre trasferimenti
presso unità produttive situate ad oltre 25 km di distanza dal luogo di
residenza/domicilio del dipendente, il provvedimento potrà essere disposto solo
in presenza del consenso per gli appartenenti alle seguenti categorie di personale:
• personale femminile in stato di gravidanza o con figli di età inferiore ai tre
anni (ovvero del padre lavoratore quando detti figli siano affidati a lui
esclusivamente);
• dipendenti portatori di handicap ovvero nel cui nucleo familiare siano
presenti persone portatrici di handicap o in gravi e documentate condizioni
di malattia;
• dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale.
Banca Intesa, per agevolare il personale coinvolto nel processo di mobilità,
favorirà - compatibilmente con le esigenze di servizio - il ricorso agli strumenti
in materia di flessibilità degli orari di lavoro previsti dal C.C.N.L.
In caso di trasferimento – che non comporti l’effettivo cambio di residenza per
l’interessato – Banca Intesa, nei casi di distanza superiore a 30 km tra la
residenza e la nuova sede di lavoro, qualora sussista un oggettivo maggior
disagio per l’interessato, riconoscerà i seguenti importi ripartiti in due quote
semestrali:
Lit. 2.500.000
da 30 sino a 45 Km
da 46 Km sino a 70 Km Lit. 5.000.000
Lit. 7.000.000
oltre i 70 Km
oltre a n. 30 giorni di diaria nella misura contrattualmente spettante.
La distanza è quella più breve tra la residenza – da intendersi come abituale
dimora – e la nuova sede di lavoro.
139
Detto trattamento non sarà erogato nel caso in cui:
• il lavoratore sia trasferito ad unità produttiva situata nel luogo in cui ha la
propria residenza/domicilio ovvero, per effetto del trasferimento, sia
avvicinato alla propria residenza/domicilio;
• il trasferimento avvenga in accoglimento di domanda presentata dal
lavoratore.
Nel caso di trasferimento che comporti l’effettivo cambio di residenza, si
applicano le disposizioni previste dal C.C.N.L. 11 luglio 1999.
Le presenti intese hanno carattere eccezionale ed hanno validità sino al 31
dicembre 2003.
Esigenze di organico delle Società del Gruppo
Le esigenze operative che determinano necessità temporanee di rafforzamento
degli organici nell’ambito delle aziende del Gruppo, pure collegate a
trasferimenti di attività, potranno essere soddisfatte anche ricorrendo all’istituto
del distacco, ferma restando la salvaguardia delle professionalità acquisite.
In tale prospettiva, la Capogruppo presenterà preventivamente alle Delegazioni
Sindacali di Gruppo, nell’ambito di appositi incontri, i progetti complessivi di
mobilità riguardanti gruppi di lavoratori.
In presenza di mobilità territoriale, nella concreta attuazione dei provvedimenti
di distacco - anche in un’ottica di crescita professionale - si terrà prioritariamente
conto delle disponibilità che dovessero emergere a livello individuale, fermo
restando che i provvedimenti di distacco saranno adottati nel rispetto delle
condizioni stabilite nel capitolo sui “Processi di mobilità territoriale” del presente
Verbale di Accordo.
Le esigenze di rafforzamento strutturale degli organici nell’ambito delle aziende
del Gruppo, al di fuori delle ipotesi di trasferimento di rami d’azienda, potranno
essere soddisfatte mediante risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e
riassunzione presso altra Società del Gruppo.
Fermo restando il rispetto del generale principio di salvaguardia dei trattamenti
normativi ed economici, resta inteso che al momento dell’assunzione - che
avverrà senza soluzione di continuità - di tale personale saranno ricercate
soluzioni atte a individuare un trattamento economico complessivamente
equivalente, tenendo anche conto del trattamento previdenziale ed assistenziale
in precedenza fruito da ciascun interessato.
Nei casi in cui nell’ambito di un’azienda il fenomeno delle assunzioni di
personale proveniente da altre Società del Gruppo dovesse risultare
significativo, Banca Intesa informerà preventivamente le Delegazioni
Sindacali nel corso di un apposito incontro per la ricerca di soluzioni
condivise.
140
In ogni caso, negli incontri di verifica periodica sull’evoluzione degli organici
- previsti dal presente Verbale di Accordo - Banca Intesa fornirà, una puntuale
informativa sul totale del personale interessato da operazioni di siffatta natura.
Disposizioni per il personale conferito a ISS e IGC
Trasferimento del rapporto di lavoro a Intesa Sistemi e Servizi e a Intesa
Gestione Crediti
Ad esito delle procedure avviate in data 17 novembre 2000 per il trasferimento
dei rapporti di lavoro a ISS/IGC si conferma che per il personale di Banca Intesa
detto trasferimento avrà decorrenza 1° maggio 2001.
Per i dipendenti della Banca Commerciale Italiana il trasferimento sarà
effettuato, successivamente al passaggio di questi ultimi in Banca Intesa e,
presumibilmente, dopo il 1° giugno 2001, espletate le relative procedure
destinate ad esaurirsi con la ratifica del presente Accordo.
Considerata la valenza strategica di ISS/IGC, le Parti concordano sulla necessità
di definire un complesso di tutele di carattere contrattuale e occupazionale per il
personale ad esse conferito.
Tutele di carattere contrattuale
• Nei riguardi di tutto il personale di ISS/IGC (in servizio e di futura
assunzione) troverà applicazione il C.C.N.L. 11 luglio 1999. Le Società in
questione provvederanno ad iscriversi all’A.B.I.;
• al personale conferito saranno applicate le norme di cui al capitolo “Accordo
economico relativo alla fusione” del presente Verbale di Accordo;
• premio aziendale per gli esercizi 2000 e 2001: sarà riconosciuto quello della
società di provenienza, secondo le relative regolamentazioni. Per l’anno
2002 sarà definita un’apposita disciplina che prevederà anche il riferimento a
indicatori relativi alle performance della Capogruppo;
• inquadramenti, orari, turni di lavoro ecc.: saranno definite specifiche
discipline correlate alla particolarità dei processi produttivi. Fino ad allora al
personale conferito continueranno ad essere applicate, in materia di
inquadramento, le norme che saranno convenute ai sensi del presente
accordo;
• il personale conferito continuerà ad essere adibito alle attuali mansioni o in
altre di equivalente contenuto professionale.
Gestione delle richieste di ricollocazione nella rete
Valutate le esigenze di servizio si conviene che in caso di domande di
ricollocazione pervenute:
• entro il 31 maggio 2000: il personale sarà mantenuto in distacco presso
ISS/IGC e la ricollocazione avverrà, con la necessaria gradualità, entro il 30
giugno 2002;
• dopo il 31 maggio 2000, da personale in servizio a ISS: saranno accolte sino
al raggiungimento dell’obiettivo di efficientamento previsto dal Piano
141
Industriale, a partire dal secondo semestre 2002 e secondo la seguente
progressione:
sino a 50 entro il 31 dicembre 2002
sino a 50 entro il 30 giugno 2003
sino a 50 entro il 31 dicembre 2003
sino a 100 entro il 31 dicembre 2004;
• dopo il 31 maggio 2000, da personale in servizio a IGC: saranno accolte in
coerenza con il dimensionamento della Società secondo la seguente
progressione:
sino a 10 entro il 31 dicembre 2002
sino a 10 entro il 30 giugno 2003
sino a 10 entro il 31 dicembre 2003
sino a 20 entro il 31 dicembre 2004.
Le Parti verificheranno trimestralmente la situazione delle domande giacenti per
valutare l’impatto sulla funzionalità delle predette Società; entro il 31 dicembre
2003, accertata la situazione delle domande all’epoca giacenti, le Parti si
incontreranno per individuare idonee soluzioni al riguardo.
Le richieste di avvicendamento e di rotazione in altri compiti ovvero di rientro
presso la rete commerciale del Gruppo, avanzate in un’ottica di crescita
professionale dal Personale conferito, entro il biennio successivo alla
conclusione del processo di efficientamento, saranno accolte compatibilmente
con le esigenze organizzative e tenuto conto delle professionalità acquisite e
delle condizioni personali e familiari dell’interessato, previa definizione di
apposito percorso formativo.
Banca Intesa accoglierà, inoltre, le domande di rientro presentate dal personale
conferito, in presenza di particolari e gravi necessità di carattere personale e/o
familiare, debitamente documentate.
Clausole sulle garanzie occupazionali
In caso di tensioni occupazionali presso ISS/IGC, che si verificassero anche una
volta esaurito il processo di efficientamento, connesse a crisi aziendali, perdita di
controllo proprietario, vendita o cessazione dell’azienda nonché in caso di
trasferimento delle sedi di lavoro in altra località significativamente distante
dalle attuali, qualora – esperite le previste procedure contrattuali – dovessero
permanere eccedenze di personale, la Capogruppo riallocherà le risorse presso
Società del Gruppo Intesa, favorendo, compatibilmente con le esigenze di
carattere organizzativo, la collocazione nell’ambito territoriale di provenienza.
Qualora – in caso di cessione delle predette aziende a società non bancarie –
dovessero emergere, entro il limite massimo di sette anni dall’operazione,
tensioni occupazionali conseguenti alla decisione di Banca Intesa di far rientrare
in tutto o in parte le attività cedute, ovvero di affidarne il relativo svolgimento ad
altra società, Banca Intesa si renderà disponibile a riallocare le risorse eccedenti
presso società del Gruppo, favorendo, compatibilmente con le esigenze di
carattere organizzativo, la collocazione nell’ambito territoriale di provenienza.
142
Ambito di applicazione
Le garanzie contenute nei precedenti comma:
• si applicano al personale trasferito presso ISS/IGC ai sensi del presente
Accordo;
• non riguardano coloro i quali abbiano maturato il diritto al trattamento di
pensione I.N.P.S. o all’accesso alle prestazioni del “Fondo di solidarietà per
il sostegno del reddito, dell’occupazione, e della riconversione e
riqualificazione professionale del personale del credito” esperite le
necessarie procedure di legge e di contratto.
Accordo economico relativo alla fusione
Trattamento economico
Conservazione sotto forma di “Assegno ad personam ex Verbale di Accordo
13.4.2001” delle eventuali differenze fra il trattamento contrattuale aziendale
previgente (escluse le quote extrastandard del premio annuale di rendimento
standard di settore che continueranno ad essere corrisposte secondo le modalità
precedentemente in atto) e quello spettante ai sensi del C.C.N.L. 11 luglio 1999,
non assorbibile negli incrementi retributivi conseguenti a futuri avanzamenti di
merito.
Riconoscimento dell’eventuale automatismo economico e di carriera in corso
alla data di incorporazione secondo le regole della previgente contrattazione
aziendale.
Mantenimento esclusivamente a favore del personale che le percepisca alle date
di incorporazione sotto forma di “Indennità di funzione ad personam ex Verbale
di Accordo 13.4.2001” delle eventuali indennità aziendali legate a specifiche
funzioni (con cessazione all’atto dell’assegnazione di un nuovo incarico).
Premio aziendale
Per il premio aziendale 2000, che sarà erogato nel mese di luglio p.v.,
sottoscrizione di un Accordo che preveda un importo parametrato (3ª area
professionale 3° livello retributivo):
• L. 3.700.000 personale Banca Intesa (Cariplo, BAV e MCL); L. 3.100.000
per il personale COMIT;
• una quota fissa di L. 500.000 uguale per tutti collegata al raggiungimento
degli obiettivi di riorganizzazione previsti dal piano di integrazione, quota
che sarà altresì prevista nel premio aziendale dei prossimi anni.
Entro il 30 giugno 2001 impegno a concordare criteri e modalità per il premio
aziendale 2001, 2002 e 2003.
Buono Pasto
A decorrere dalle date di fusione corresponsione, secondo le modalità previste
dall’art. 42 del C.C.N.L. 11 luglio 1999, di un buono pasto di L. 9.000
giornaliere.
143
Per il personale a part-time che effettua una pausa, un buono pasto di L. 6.000
giornaliere ovvero, per il personale già a part-time, nelle misure in atto se di
miglior favore.
Previdenza Complementare
Conferma degli accordi aziendali in essere.
Per il personale già BAV iscritto al FAPA anteriormente al 28 aprile 1993,
nonché per quello di Banca Carime (sempre se iscritto anteriormente al 28 aprile
1993) che trasferisca la propria posizione ed infine per il personale ex Mediosud
se già destinatario di accordi alla data del 28 aprile 1993, contributo aziendale
non inferiore al 4,30 % della retribuzione utile ai fini del T.F.R..
Conferma per il personale CARIPLO già destinatario dell’accordo aziendale del
gennaio 1992, regolante il riassetto della previdenza aziendale conseguente
all’entrata in vigore della legge n. 218/1990 (legge Amato), della specifica
indennità così come convenuta nel suddetto accordo.
Banca Intesa conferma la propria disponibilità a proseguire il confronto fra le
Parti al fine di definire la trasformazione dei fondi a prestazione definita ancora
in essere nell’ambito aziendale.
Assistenza Sanitaria Integrativa
Per l’anno 2001 conferma dell’applicazione delle forme di assistenza sanitaria
integrativa, con le misure e i criteri di contribuzione in essere presso le Banche
incorporate.
Impegno delle Parti a confrontarsi al fine di addivenire, entro il 30 settembre
2001, ad una proposta volta a uniformare il sistema assistenziale aziendale a far
tempo dal 1° gennaio 2002, con l’obiettivo di istituire una cassa sanitaria di
Gruppo.
Al riguardo le Parti terranno in considerazione le situazioni esistenti e
confermano la volontà di adottare una forma atta a fornire prestazioni
aggiuntive/integrative, in linea con quelle attualmente assicurate dalle casse
assistenziali del Gruppo, compatibilmente con l’evoluzione del quadro
normativo in materia.
A far tempo dal 1° gennaio 2002 la contribuzione complessiva a forme di
assistenza sanitaria integrativa sarà del 2,30% suddivisa fra Banca Intesa (1,30%)
e dipendente (1%), ferme restando per il personale proveniente dalle diverse
Banche le misure di cui all’allegata tabella.
Impegno delle Parti a vincolare, anche nella nuova forma istituita, le
disponibilità ora esistenti nei singoli Enti a favore del personale iscritto agli Enti
medesimi.
Impegno della Banca, nei primi tre anni, a tenersi a proprio carico gli oneri di
parte del personale di cui la Cassa medesima si avvarrà per la propria operatività.
Le Parti si incontreranno a far tempo dal 2 maggio p.v. per definire le materie
non disciplinate dal presente Verbale di Accordo tra le quali:
• inquadramenti;
144
•
•
•
•
•
•
•
•
•
rapporti di lavoro a tempo parziale;
formazione professionale;
condizioni igienico-sanitarie;
sicurezza antirapina;
ferie arretrate;
associazioni dipendenti;
accordi ex art. 4 L. 300/70 in materia di registrazione del traffico telefonico;
regime delle anticipazioni del TFR
fonti istitutive FAPA di Gruppo (ivi compreso l’accordo per il personale di Banca Intesa non
ancora iscritto a forme di previdenza complementare)
• agibilità sindacali;
• pari opportunità;
• politiche sociali.
Banca Intesa, inoltre, entro il 30 settembre 2001, promuoverà un apposito
incontro per esaminare congiuntamente le disposizioni che saranno applicate
in materia di agevolazioni finanziarie e condizioni per il personale, sino a tale
data continueranno a trovare applicazioni le disposizioni in atto presso le
aziende di rispettiva provenienza.
In relazione a prestiti e mutui in corso di ammortamento, Banca Intesa
proseguirà nell’applicazione delle condizioni già previste presso le rispettive
Banche incorporate.
Il presente Verbale di Accordo sarà sottoposto alle assemblee dei lavoratori.
Accordo Fusione per incorporazione di Intesa Sistemi e
Servizi (ISS) in Banca intesa 2 dicembre 2004 Milano
tra BANCA INTESA S.p.A. (nella qualità di Capogruppo)
INTESA SISTEMI E SERVIZI S.p.A. e
la delegazione sindacale ad hoc ex art. 18 del C.C.N.L. 11 luglio 1999 delle OO.SS.LL.
Premesso che
1) per conseguire tutti gli obiettivi prefissati dal Piano d’Impresa 2003-2005 è
strategico rafforzare il governo dell’area informatica mediante la costituzione in
Banca Intesa di una Direzione Sistemi Informativi (DSI) nella quale far confluire
tutte le attività attualmente di competenza di ISS;
2) i rispettivi Organi Statutari hanno pertanto deliberato la fusione per incorporazione
di ISS in Banca Intesa dal 1° gennaio 2005, data di efficacia giuridica
dell’operazione;
3) le suddette Società hanno provveduto a fornire alle rispettive Organizzazioni
Sindacali la comunicazione prevista dalle disposizioni di legge e di contratto
vigenti;
4) su richiesta delle medesime OO.SS.LL. sono state avviate le procedure di
consultazione e contrattazione, ai sensi di quanto previsto dall’art. 47 della legge n.
428 del 29 dicembre 1990, così come modificato/integrato dal decreto legislativo
145
n.18 del 2 febbraio 2001, nonché dall’art. 18 del CCNL 11 luglio 1999, in ordine
alle ricadute sulle condizioni di lavoro dei dipendenti, il cui rapporto di lavoro sarà
trasferito da ISS (Società incorporata) a Banca Intesa (Società incorporante),
si è convenuto quanto segue
Art 1
la premessa costituisce parte integrante del presente accordo.
Art. 2
Dal 1° gennaio 2005 la titolarità dei rapporti di lavoro del personale di ISS proseguirà,
senza soluzione di continuità, alle dipendenze di Banca Intesa, alla quale la Società
incorporata trasferirà il TFR maturato dal suddetto personale a tutto il 31 dicembre
2004.
Art. 3
A seguito della fusione per incorporazione di ISS in Banca Intesa, l’accordo stipulato il
23 gennaio 2003 tra ISS e le rispettive OO.SS.LL. continuerà a trovare piena
applicazione, ad ogni conseguente effetto, presso la Società incorporante, ivi compresa
la riduzione degli organici prevista con decorrenza 1° aprile 2005 che sarà realizzata
secondo un’unica complessiva graduatoria. Gli effetti conseguenti all’armonizzazione
delle due graduatorie di Banca Intesa e ISS saranno esaminati nello specifico momento
annuale di consultazione e approfondimento, avviato fra le parti in base a quanto
disposto al punto 16 (RELAZIONI INDUSTRIALI) dell’Accordo di Programma del 5
dicembre 2002.
Art. 4
Le parti si impegnano a rivedere la materia dei trattamenti di reperibilità, indennità di
turno, indennità di intervento, indennità previste a beneficio dei programmatori e degli
operatori, anche al fine di addivenire ad una unica regolamentazione entro i termini di
scadenza del recesso dagli accordi aziendali che, esclusivamente per gli accennati
trattamenti e indennità, risultano eccezionalmente sospesi nei confronti del solo
personale incorporato fino alla data ultima del 31 marzo 2005 (o, se precedente, fino alla
data dell’eventuale accordo).
Banca intesa applicherà al personale incorporato i trattamenti economici e normativi
previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro del settore del credito (il
CCNL 11 luglio 1999 e il CCNL 1° dicembre 2000, così come risulteranno nel tempo
rinnovati dalle parti stipulanti) con le integrazioni disposte dagli accordi aziendali
vigenti tempo per tempo e da quanto segue.
Art. 5
Dalla data di efficacia giuridica dell’operazione, in Banca Intesa il predetto personale
continuerà ad essere adibito alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti, riconducibili
all’inquadramento posseduto, conserverà le stesse anzianità di servizio effettive e
convenzionali nonché lo stesso trattamento economico individuale complessivo.
L’accordo 10 marzo 2004, tra ISS e le rispettive OO.SS.LL. in materia di
inquadramenti, dal 1° gennaio 2005 viene recepito da Banca Intesa e applicato
esclusivamente al personale incorporato per il tempo in cui continuerà a svolgere le
attuali mansioni, come previste e descritte nel citato accordo. Conseguentemente,
l’applicazione degli specifici accordi di Banca Intesa (31 ottobre 2003) e ISS (10 marzo
2004) formerà oggetto di un’unica verifica congiunta. Banca Intesa precisa altresì che le
146
previsioni che hanno regolato i ruoli chiave in ISS continueranno ad essere osservate
presso la DSI laddove compatibili con la struttura organizzativa della citata Direzione.
Art. 6
Il lavoratore trasferito continuerà a percepire dal nuovo datore di lavoro il buono pasto
giornaliero, secondo il valore, alle condizioni e con le modalità tempo per tempo
previste da Banca Intesa.
Art. 7
Il personale proveniente da ISS con rapporto di lavoro a tempo parziale conserverà
anche alle dipendenze della società incorporante il contratto part time già in essere al 31
dicembre 2004 alle stesse condizioni pattuite.
Art. 8
In materia di assistenza sanitaria e di previdenza complementare Il personale
proveniente da ISS conserverà in Banca Intesa le iscrizioni e i trattamenti già in essere,
alle condizioni tempo per tempo vigenti.
Art. 9
Confermata la prevalente collocazione del suddetto personale presso la DSI, le eventuali
future esigenze di mobilità territoriale, ferme restando le garanzie di legge e di contratto
in materia, saranno regolate dalle disposizioni applicate al personale di Banca Intesa.
I.N.A Assicurazioni
Accordo Trasferimento di Ramo d’azienda - Settore Immobiliare Ina
4 giugno 1998
Il 27.04.1998 l’INA comunica alle R5A ed alle 0055 di settore la decisione del
C.d.A. INA di trasferire alla società “Unione Immobiliare (UNIM) S.p.A. il ramo
d’azienda composto dagli immobili ed il complesso di beni e persone organizzate
per il loro esercizio; con la stessa comunicazione si avviano le procedure ex
legge 29.12.1990 n° 428.
Il 4.06.1998 viene raggiunto un accordo che, sostanzialmente, migliora la
previsione dell’art. 47 Legge 29.12.1990 n° 428, laddove prevede il subentro di
UNIM nei rapporti di lavoro del personale senza soluzione di continuità, alle
condizioni in atto ed in coerenza con le rispettive aree professionali/livelli di
appartenenza e con le mansioni precedentemente svolte; l’anzianità di servizio
INA è computata, a tutti gli effetti di legge e contrattuali.
La UNIM applicherà il trattamento economico e normativo previsto dal CCNL
del settore assicurativo e dai successivi CCNL che saranno stipulati in sede
ANIA (cosiddetta clausola del “contratto nazionale a vita”); inoltre, la UNIM
conserverà il trattamento economico e normativa previsto dal C.I.A., nonché il
trattamento di previdenza complementare e di assistenza sanitaria integrativa, in
vigore per il personale INA.
147
Il C.I.A. continuerà ad applicarsi anche dopo la scadenza, salvo diversa
negoziazione fra le parti. Con gli allegati 1) e 2) dell’accordo 04.06.1998
vengono salvaguardati, anche, i benefici su polizze vita, RCA/ARD e rami
diversi, nonché i benefici sui mutui ipotecari e prestiti personali con la
prosecuzione dei contratti di mutuo e di prestito.
Alla fine del 1999 la Milano Centrale del gruppo Pirelli lancia una OPA su
UNIM che si conclude il 7 gennaio 2000; il 25.02.2000 viene concluso un
accordo che recepisce integralmente gli accordi del 4.06.1998 fra INA ed UNIM.
ACCORDO 4 giugno 1998
Premesso che:
• INA - Istituto Nazionale delle Assicurazioni S.p.A. (“INA”). considerata la
complessità raggiunta dalla gestione dei servizi immobiliari e del relativo
patrimonio immobiliare e ritenuto opportuno che tali incombenze vengano
svolte da società all’uopo dedicata e poiché intende concentrare sempre più
la sua attività nel “core business” è pervenuta alla decisione di trasferire alla
società Unione Immobiliare S.p.A. (“U. I..”) il ramo di Azienda composto
dagli immobili e il complesso dei beni e persone organizzati per il loro
esercizio;
• la società Unione Immobiliare è disposta ad accettare il trasferimento in suo
favore del ramo aziendale di cui sopra;
• il trasferimento di ramo «azienda verrà effettuato mediante una operazione di
scissione societaria ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 2504 septies e
seguenti del codice civile che vedrà coinvolta l’INA. quale società scissa e
Unione Immobiliare, quale società beneficiaria;
• è previsto che. subordinatamente al completamento delle procedure
societarie e dì quelle di quotazione della società beneficiaria, l’operazione di
scissione si concluda - con la stipula dell’atto di scissione, la quotazione di
Unione Immobiliare e gli adempimenti connessi e conseguenti - nel
novembre-dicembre 1998;
• i motivi della cessione del ramo aziendale sono stati illustrati con una prima
informativa alle OO.SS. aziendali il 24 marzo 1998, anche ai sensi dell’art.
14 del vigente CCNL (cui sono seguiti numerosi incontri) e successivamente
con comunicazione scritta in data 27 aprile 1998 (alle OO.SS. aziendali
nonché alle OO.SS. nazionali di settore) anche ai sensi dell’ad. 47 della
legge 29 dicembre 1990 n. 428, contenente anche precisazioni circa le
conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le eventuali
misure previste nei confronti degli stessi;
• le OO.SS., nel prendere atto delle motivazioni dell’operazione, hanno
ribadito l’esigenza che la stessa avvenga in un quadro di certezze normative
e contrattuali per il personale interessato e senza pregiudizio per i livelli
occupazionali e per la professionalità dei lavoratori;
148
•
al personale assunto direttamente dalla U.I. si applicherà il trattamento
normativo ed economico previsto dai CCNL del settore commercio;
tutto ciò premesso le Parti. a seguito di un ampio e articolato confronto, in
relazione al verificarsi di tali eventi unicamente per il personale INA che viene
assegnato, a Unione Immobiliare S.p.A. in sede di scissione,
hanno convenuto quanto segue:
Disposizioni in materia di trattamento normativo ed economico
1) La U.I.. subentrerà, secondo la legge nei rapporti di lavoro del personale senza
soluzione di continuità, alle condizioni in atto e in coerenza con le rispettive aree
professionali/livelli di appartenenza e con le mansioni precedentemente svolte.
Pertanto. verrà computata l’anzianità di servizio INA a tutti gli effetti di legge e
contrattuali. quali, a titolo esemplificativo l’anzianità relativa all’applicazione
delle norme in materia di premi di anzianità, ferie, periodo di comporto di
malattia, preavviso. trattamento di fine rapporto (TFR), maturazione degli scatti
tabellari, automatismi. etc.
2) La U.I. applicherà il trattamento normativo ed economico previsto dal
contratto collettivo nazionale di lavoro del settore assicurativo (CCNL
6.12.1994. scaduto il 31.12.1997) e dai successivi CCNL che saranno stipulati in
sede ANIA.
3) La U.I. conserverà il trattamento normativo cd economico previsto dal
contratto collettivo integrativo aziendale in vigore per il personale dell’INA.
stipulato il 29.12.1997 (e relative lettere alle OO.SS. in essere alla data di
efficacia della operazione). A tal fine per alcuni istituti del vigente CCIA nonchè per il trattamento di previdenza complementare di cui all’accordo
16.12.1997 e per i trattamenti contrattuali di assistenza sanitaria integrativa sono state identificate soluzioni specifiche risultanti rispettivamente dagli allegati
n. 1 e n. 2 (che costituiscono parte integrante del presente accordo).
Il predetto CCIA INA 29.12.1997 continuerà ad applicarsi anche dopo la sua
scadenza, salva diversa negoziazione che intervenga tra le Parti interessate (U.I. e
OO.SS.).
Nota a verbale: resta inteso che in ogni caso detti trattamenti di previdenza
complementare e assistenza sanitaria integrativa proseguiranno nelle misure in
atto (ovviamente con esclusione di ogni eventuale duplicità di sistemi: oneri,
prestazioni. etc.).
I lavoratori che, entro cinque anni dalla data di efficacia dell’operazione,
cesseranno dal servizio dalla UI.. con pensionamento saranno considerati da INA
come i propri pensionati agli effetti di ogni eventuale provvidenza
extracontrattuale.
149
RAS Assicurazioni
Accordo Conferimento attività gestione e liquidazione dei
sinistri di RAS in RasService gennaio 2002 Milano .
premesso
• che RAS intende procedere - secondo quanto comunicato e motivato con
lettere 17.12.2001 indirizzata alle OO.SS. - al conferimento delle attività di
gestione e liquidazione dei sinistri nella sottoscritta società RasService Gestione e Liquidazione Danni;
• che, a seguito di tale conferimento, i lavoratori già operanti in tali attività e
dipendenti da RAS proseguiranno if rapporto di lavoro con RasService,
avente sede legale in Milano;
• che le OO.SS. - confermando l'esigenza di favorire il mantenimento di un
modello organizzativo delle attività di liquidazione dei sinistri che possa
sostenere la qualità del servizio anche mediante un presidio diffuso sul
territorio - ribadiscono l'obiettivo primario della salvaguardia
dell'occupazione e della professionalità di tali lavoratori nonché
dell'appartenenza dei medesimi all'area contrattuale del settore assicurativo
si conviene:
I rapporti di lavoro di tutto il personale, già dipendente da RAS ed impegnato
nelle attività di gestione e liquidazione dei sinistri, proseguiranno con RasService
senza soluzione di continuità e resteranno disciplinati dal CCNL per i dipendenti
amministrativi delle imprese di assicurazione e dal contratto integrativo
aziendale applicato in RAS, conservando l'inquadramento normativo ed
economico acquisito nella società di provenienza.
L'inquadramento normativo ed economico dei lavoratori assunti successivamente
da RasService sarà quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale e
aziendale applicabile al momento della assunzione stessa, allo stato, il CCNL del
settore assicurativo 18.12.1999 e il CIA 23.1.1997(come rinnovato dal protocollo
7.7.2001);
Con il perfezionamento di tale operazione RasService potrà favorire - in una
realtà di lavoro fortemente specializzata e professionalizzata - lo sviluppo delle
competenze del personale e la valorizzazione dellecapacità professionali, anche
mediante adeguati interventi formativi.
Qualora, in futuro, RasService cessasse di operare, fosse posta in liquidazione,
oppure ii suo controllo passasse a soggetti non facenti parte del Gruppo RAS, i
lavoratori - attualmente dipendenti dalla medesima RAS con contratto a tempo
indeterminato e interessati dalla predetta operazione di conferimento - potranno
150
esercitare il diritto di rientrare alle dipendenze di RAS; a tale scopo RAS si
impegna a garantirne la ricollocazione.
Note a verbale
• Qualora inoltre l'eventuale capacità di ricollocazione mediante assorbimento nel normale
processo produttivo non risultasse sufficiente, RAS - compatibilmente con gli impegni da essa
eventualmente assunti nei confronti di terzi - si dichiara disponibile ad un rientro da RasService di
attività funzionali a tale scopo,
• Con riferimento ai chiarimenti richiesti dalle R.S.A., RasService si impegna a mantenere
continuità di applicazione rispetto alla gestione di Gruppo dei diritti sindacali e del D.Igs. 626/94
confermando altresì ['appartenenza atte sfora di applicazione del CIA RAS.
Lettera RAS e RSA Service a OOSS firmatarie
Ci riferiamo alla discussione con Voi intervenuta in sede di sottoscrizione
dell'accordo di data odierna riguardante l'operazione di conferimento delle
attività di gestione e liquidazione dei sinistri di RAS nella società RasService.
Al riguardo, relativamente a quanto previsto al punto 4. del citato accordo, Vi
confermiamo che qualora l'eventuale capacità di ricollocazione mediante
assorbimento nel normale processo produttivo non risultasse sufficiente, RAS compatibilmente con gli impegni da essa eventualmente assunti nei confronti di
terzi - si dichiara disponibile a valutare la possibilità di un rientro da RasService
di attività funzionali a tale scopo.
151
Avv. Giuseppe Farenga
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Nozione,
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zionario
Il trasferimento d'azienda è regolato dall'articolo 2112 del codice civile e
dall'articolo 47 della legge 428 del 1990 (attuazione della direttiva comunitaria
dei 14 febbraio 1977, n. 77/187), così come modificati dal Decreto Legislativo n.
18 del 2 febbraio 2001, in attuazione alla Direttiva 98/50 Ce (di modifica della
Direttiva 77/187/Cee) e dal Decreto Legislativo 276/2003.
CAMPO DI
APPLICAZIONE
Nozione di trasferimento d’azienda
e ramo d’azienda
Attività economiche senza scopo
di lucro
E’ importante ricordare che, secondo il nuovo art. 2112 c.c. novellato dal
Decreto Legislativo 18/2001 e dal Decreto Legislativo 276/2003, si intende per
trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione
contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività
economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento
e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia
negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento e' attuato ivi
compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come
articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata,
identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento.
Con la normativa del Decreto Legislativo n. 18 del 2 febbraio 2001 si è avuto
un chiarimento riguardo la nozione di trasferimento d’azienda e trasferimento di
ramo d’azienda, chiarimento imposto da esigenze di trasparenza e sicurezza.
La vecchia norma, secondo l’interpretazione prevalente nella giurisprudenza
italiana, dava centralità all’elemento oggettivo dell’azienda, inteso come
complesso di beni destinati all’esercizio dell’impresa e autonomamente
suscettibile di costituire idoneo e compiuto strumento di impresa.
Allo stesso proposito, invece, la Corte di Giustizia ha, costantemente, ribadito
la necessità che l’oggetto della cessione sia comunque una entità economica
organizzata in modo stabile e, quindi, un complesso organizzato di persone e di
elementi che consentono l’esercizio di una attività economica, finalizzata al
153
perseguimento di un determinato obbiettivo; la Corte, inoltre, ha precisato che il
rilievo degli elementi patrimoniali, materiali o immateriali andava valutato in
relazione al tipo di attività o di settore economico o, addirittura, in funzione dei
metodi di produzione dell’impresa in questione; per quelle attività che si
fondavano essenzialmente sulla manodopera, anche un gruppo di lavoratori che
assolvesse stabilmente una attività comune, poteva corrispondere ad una entità
economica. Tale prospettiva ha trovato conferma nella direttiva n. 98/50 e,
successivamente, nel decreto legislativo 18/2001 che, peraltro, da anche
ingresso nel diritto positivo al concetto di ramo d’azienda, frutto sino ad ora di
creazione giurisprudenziale e dottrinale; il decreto in questione ha, peraltro,
chiarito che il ramo d’azienda deve avere una propria identità preesistente al
trasferimento.
D'ora in poi, con la modifica del comma quinto articolo 2112 del Codice
civile da parte dell’art. 32 del Decreto Legislativo 10/12/2003 n° 276 saranno
l'impresa che cede e quella che rileva a definire se quello venduto si configura
come un ramo di impresa al momento della stipula del contratto. (vedi in materia
di requisito della preesistenza nella dottrina Martino, Alleva, De Felice e Fierro)
DIRITTI DEI
LAVORATORI
Prosecuzione del rapporto di lavoro
con il cessionario
Garanzia per i crediti
Garanzia contro il licenziamento
L’articolo 2112 – 1° comma - del codice civile prevede, in primo luogo, che in
tutte le ipotesi di trasferimento d'azienda i contratti di lavoro esistenti
proseguono con il cessionario ed i dipendenti mantengono tutti i diritti esistenti
al momento del trasferimento. Si tratta di una cessione del contratto che non
richiede alcun atto specifico (ad esempio una lettera di assunzione del nuovo
datore di lavoro), trattandosi di un effetto legale che deriva dal realizzarsi della
fattispecie. Ulteriore conseguenza è che il trasferimento d'azienda non può
costituire mai un giustificato motivo di licenziamento. Il "subentrante" oltre
l'azienda acquista tutti i crediti che il lavoratore vanta al momento del
passaggio.
L’articolo 2112 c.c. – 2° comma - stabilisce, a garanzia dei lavoratori trasferiti,
la responsabilità solidale del cedente e del cessionario per tutti i crediti vantati
dai dipendenti al momento del trasferimento d'azienda. Il cedente può essere
liberato da tale responsabilità, ma tale rinuncia da parte dei lavoratori deve
essere sottoscritta in una delle sedi «pubbliche» ovvero in sede sindacale, avanti
154
alla Commissione di conciliazione nell'ambito della Direzione provinciale del
lavoro o, in seguito a una controversia giudiziale, di fronte al giudice.
Lo stesso nuovo art. 2112 c.c. – 4° comma - specifica che il trasferimento della
proprietà aziendale (azienda che occupa più di 15 dipendenti) non costituisce
di per se motivo di licenziamento. Il datore di lavoro deve, invece, provare
l'esistenza di altre ragioni inerenti l'attività produttiva, l'organizzazione del
lavoro ed il regolare funzionamento di essa. Inoltre, lo stesso 4° comma,
stabilisce anche che il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una
sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può
rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo
comma:
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto:
• prima della scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato (Il
lavoratore potrà agire per il risarcimento commisurato al mancato
guadagno fino alla scadenza del termine);
• senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato (con diritto a
percepire l’indennità sostitutiva di preavviso).
Il concetto di sostanziale modifica delle condizioni di lavoro nasce in esperienze
giuridiche di altri paesi ove manca una disciplina inderogabile delle mansioni.
In Italia, laddove esistono norme esplicite (art. 2103 c.c.) in materia di
immodificabilità in pejus delle mansioni, non sembra possa farsi riferimento - a
violazioni da parte del nuovo datore di lavoro – di norme inderogabili di legge o
di contratto collettivo; gli interpreti, pertanto, dovranno elaborare una nozione di
modifica sostanziale delle condizioni di lavoro che tenga conto di elementi
interessanti quali, ad esempio, le aspettative professionali del lavoratore.
CONTRATTI APPLICABILI DOPO IL TRASFERIMENTO
L’articolo 2112 c.c. - 3° comma - stabilisce Il cessionario e' tenuto ad applicare
i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali,
territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro
scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili
all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente
fra contratti collettivi del medesimo livello.
Rispetto alla vecchia normativa viene ora precisato che i trattamenti sono quelli
previsti dai “contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali “ ma, soprattutto,
si aggiunge la previsione che “l’effetto di sostituzione si produce esclusivamente
tra contratti collettivi di medesimo livello.
Per anni, infatti, si sono contrapposte due tesi: l’opinione che tendeva ad
affermare l’automatico ed integrale effetto sostitutivo, anche immediato, delle
regole collettive comunque vigenti presso il nuovo imprenditore e quella che,
155
invece, riconduceva il termine “contratti collettivi applicabili” a coerenza con le
regole del sistema sindacale privatistico, pretendendo, quindi, un collegamento
negoziale con la collettività dei lavoratori interessati al trasferimento individuato,
soprattutto, nella possibilità di stipulazione – in sede di procedura – di accordi
collettivi “di ingresso” o di “armonizzazione”.
Dal momento che, generalmente, le imprese cessionarie mirano a sottrarsi ai
trattamenti collettivi aziendali vigenti nella precedente realtà aziendale, la nuova
previsione dovrebbe incentivare la ricerca di accordi di armonizzazione o di
ingresso in sede di procedura sindacale.
Aziende obbligate
PROCEDURA DI
INFORMAZIONE/
CONSULTAZIONE
Termine per la
comunicazione
Soggetti sindacali
interessati
Condotta antisindacale
L’articolo 47 della legge 428/90, al primo comma, disciplina la procedura di
comunicazione e consultazione sindacale.
Secondo tale norma, qualora si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del
codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati
più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una
parte d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario
devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che
sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa
vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali
unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma
dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive
interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto
collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle
predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei
confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può
essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione
sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato.
L'informazione - stabilisce la norma - deve riguardare:
a) la data o la data proposta del trasferimento;
b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda;
c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori;
156
d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.
Secondo il 2° comma dell’articolo 47 della legge 428/90 su richiesta scritta delle
rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette
giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il
cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della
predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti.
La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio,
non sia stato raggiunto un accordo.
Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi
previsti, sopra evidenziati, costituisce condotta antisindacale ai sensi
dell'articolo 28 della legge 300/1970.
Lo stesso articolo prevede che gli obblighi di informazione e di esame congiunto
devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento
sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata trasmissione da
parte di quest’ultima delle informazioni necessarie non giustifica
l’inadempimento dei predetti obblighi.
Riguardo il termine dei 25 giorni precedenti il trasferimento, si era innestato un
ampio dibattito rispetto al tipo di atto cui fare riferimento.
La norma attuale si esprime con decisione: lo spazio temporale per la procedura
sindacale deve essere di almeno 25 giorni “prima che sia perfezionato l’atto da
cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta una intesa vincolante fra le parti,
se precedente.”
La norma sembra essere coerente con la ratio dell’obbligo procedurale: se al
contropotere collettivo delle R.S.A. deve essere data la possibilità di influire
sulla vicenda (influenzandola nei suoi sviluppi o al limite opponendosi ad essa
nei limiti della propria capacità di conflitto) è del tutto conseguente che la fase di
consultazione debba svolgersi a giochi ancora aperti, quando l’imprenditore
cedente non sia ormai vincolato.
D’altra parte, anche in questo caso, il cedente ed il cessionario sono liberi di
sviluppare – in piena riservatezza – i contorni dell’operazione, purché fino a
procedura sindacale espletata l’imprenditore cedente non assuma un obbligo
vincolante alla cessione.
Riguardo la violazione delle procedure e delle conseguenze in termini
dell’applicazione dell’art. 38 legge 300/70, il precedente testo dell’art. 47 della
legge 428/90 sanzionava espressamente come condotta antisindacale il
mancato rispetto dell’obbligo di esame congiunto, mentre restava il dubbio se la
stessa sorte potesse toccare alla violazione del preventivo obbligo di
informazione.
La nuova norma prevede espressamente che il mancato rispetto del dovere di
comunicazione e dell’esame congiunto costituisce condotta antisindacale.
Inoltre, gli stessi obblighi di informazione e di esame congiunto devono essere
assolti dal datore di lavoro anche quando la decisione relativa al trasferimento
sia assunta dall’impresa controllante e la mancata trasmissione da parte di
157
quest’ultima delle informazioni necessarie non può essere assunta a
giustificazione dell’inadempimento procedurale.
Cessione di pacchetto azionario
La cessione di un pacchetto azionario non è invece riconosciuta come
trasferimento non tanto perché l’art. 2112 c.c. non lo nomina quanto perché la
giurisprudenza ha avuto occasione di sancire l’esclusione di questa ipotesi dal
novero delle «operazioni» che configurano un trasferimento. L’argomentazione
addotta per l’esclusione si fonda sulla considerazione che la cessione di un
pacchetto azionario non cambia la persona giuridica ma soltanto la
composizione interna della medesima. Ciò è dimostrabile dal raffronto di un
contratto di cessione di azioni con tutti gli altri negozi giuridici che provocano
un mutamento della persona giuridica. Per capirci, intesa in questo senso, è
trasferimento d’azienda quando all’ingresso dell’ufficio e/o dello stabilimento si
procede alla sostituzione dell’insegna indicante la ditta; non è trasferimento lo
scambio quotidiano di azioni in borsa. L’argomentazione è formalmente
ineccepibile. Lo è anche sostanzialmente allorché si osservi che la cessione di un
pacchetto azionario non implica – necessariamente – neanche una modificazione
della titolarità “sostanziale”. Se infatti fosse vero il contrario, portato alle sue
estreme conseguenze, si dovrebbe parlare di trasferimento d’azienda anche
quando un piccolo risparmiatore ordini alla banca di riferimento di cedere le
proprie quote azionarie.
Tuttavia, all’estremo opposto della casistica vi è il caso in cui la cessione di un
pacchetto azionario di maggioranza (assoluta o relativa) produce un chiaro ed
evidente «mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata» che,
peraltro, non risulta solo dalla percezione sociale ma costituisce il risultato di
una «operazione» finanziaria-industriale giuridicamente rilevante. Qui siamo di
fronte non solo ad una ipotesi effettuale di cessione di una posizione giuridica
attiva e passiva (qual è la titolarità di una quota azionaria) ma, soprattutto, ad
una operazione giuridica che produce un mutamento nella titolarità.
Il punto di fondo è che, se anche si trattasse di un mutamento sostanziale, la
conservazione formale della stessa persona giuridica implica la non mutazione
della sfera giuridica dei rapporti di lavoro ivi costituiti rispetto ai quali, dunque,
la cessione/modificazione del capitale azionario è tanquam non esset. Ciò non
toglie che quella modifica azionaria possa produrre effetti modificativi sulla
dinamica dei rapporti di lavoro; ma ciò sarebbe un evento ulteriore e – in ogni
caso – estraneo alla fattispecie.
158
dr. Fulvio Caldini,
Q
uadro ssinot
inottiico
co
Quadro
Trasferimento d'Azienda
nella sua generalità
QUALSIASI OPERAZIONE CHE, IN SEGUITO A CESSIONE
CONTRATTUALE O FUSIONE, COMPORTI IL MUTAMENTO
NELLA
TITOLARITÀ
DI
UN'ATTIVITÀ
ECONOMICA
ORGANIZZATA, CON O SENZA SCOPO DI LUCRO,
PREESISTENTE AL TRASFERIMENTO E CHE CONSERVA NEL
TRASFERIMENTO LA PROPRIA IDENTITÀ A PRESCINDERE
DALLA TIPOLOGIA NEGOZIALE O DAL PROVVEDIMENTO
SULLA BASE DEL QUALE IL TRASFERIMENTO E' ATTUATO
IVI COMPRESI L'USUFRUTTO O L'AFFITTO DI AZIENDA.
Azienda
ell''Azienda
arte ddel
to ddii pparte
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T
ennto
Trasferime
IL REQUISITO DELL'AUTONOMIA FUNZIONALE E
PRODUTTIVA DEL RAMO D'AZIENDA DA TRASFERIRE SI
DETERMINA AL " MOMENTO DEL TRASFERIMENTO"
I TITOLARI DELLA INDIVIDUAZIONE
DELL'AUTONOMIA
FUNZIONALE DEL RAMO D'IMPRESA TRASFERIRE SONO IL
"CEDENTE E IL CESSIONARIO"
159
Diritti dei lavoratori trasferiti
(art.2112 c.c.)
il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il
lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano
il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido,
per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del
trasferimento
il trasferimento d'azienda non costituisce di per se
motivo di licenziamento
Risoluzione del rapporto di lavoro
(Dimissioni del lavoratore)
Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una
sostanziale modifica nei tre mesi successivi al
trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie
dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119
c.c.,primo comma (Recesso per giusta causa: prima della
scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato,
senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato)
160
CCNL applicabili dopo il trasferimento
Il cessionario e' tenuto ad applicare:
I trattamenti economici e normativi previsti dai contratti
collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla
data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo
che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili
all'impresa del cessionario.
L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente
fra contratti collettivi del medesimo livello.
Art. 47 legge 428/90
Cosa devono fare cedente e cessionario
(nel trasferimento d'azienda o di una parte in cui
sono complessivamente occupati più di quindici
lavoratori))
CEDENTE E CESSIONARIO devono
Darne comunicazione per iscritto almeno
venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto
da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta
un'intesa vincolante tra le parti alle rispettive
rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle
rappresentanze sindacali aziendali costituite, a
norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970,
161
n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai
sindacati di categoria che hanno stipulato il
contratto collettivo applicato nelle imprese
interessate al trasferimento. In mancanza delle
predette rappresentanze aziendali, resta fermo
l'obbligo di comunicazione nei confronti dei
sindacati di categoria comparativamente più
rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal
cessionario per il tramite dell'associazione sindacale
alla quale aderiscono o conferiscono mandato
Art. 47 legge 428/90
L’informazione deve riguardare:
la data o la data proposta del
trasferimento;
i motivi del programmato trasferimento
d'azienda;
le sue conseguenze giuridiche,
economiche e sociali per i lavoratori;
le eventuali misure previste nei confronti
di questi ultimi.
162
ART. 47 legge 428/90
cosa devono fare le R.S.A.
Richiedere per iscritto, entro sette giorni dal
ricevimento della comunicazione un esame
congiunto che il cedente e il cessionario
sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal
ricevimento della predetta richiesta.
La consultazione si intende esaurita qualora,
decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia
stato raggiunto un accordo.
Il mancato rispetto, da parte del cedente o del
cessionario, degli obblighi previsti, sopra
evidenziati,costituisce condotta antisindacale
ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio
1970, n. 300.
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