IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Agosto 2011 - n° 86
SOMMARIO
ARTICOLI, INTERVISTE, COMUNICATI STAMPA
2194 - La morte assistita nei casi di sofferenza mentale - di Alberto Bonfiglioli
2195 - Fine vita, la sfida da Treviso: giudice autorizza interruzione cure
2196 - La Caritas altoatesina delusa dal disegno di legge Calabrò
2197 - Libro: “il diritto di morire” – di Umberto Veronesi
2198 - Emanuele Severino: cosa significa morire con dignità
2199 - Chiese metodiste e valdesi: no al sondino di stato – di Gaëlle Courtens
2200 - Un tracollo ben preparato - di Giovanni Sartori
VATICANO: QUANTO CI COSTI?
2201 - Il Governo del Vaticano - di Walter Peruzzi
2202 - Il Vaticano siamo noi - di Cecilia M. Calamani
2203 - Il prezzo della fede - di Alessandra Maiorino
2204 - Stato e Chiesa cattolica - di Aldo Zanca
NOTIZIE DALL’ESTERO
2205 - GB: aggiornamento della legge per il suicidio assistito
2206 - Francia: un francese su due favorevole all’eutanasia
PER SORRIDERE…
2207 - Galileo: non basta guardare… - da www.religionsfree.org
2208 - Le vignette di Virus – Gheddafi deve arrendersi…
2209 - Le vignette de l’Unità – Berlusconi nel bunker
LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità
Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.
2194- LA MORTE ASSISTITA NEI CASI DI SOFFERENZA MENTALE - DI A. BONFIGLIOLI
La nota seguente, inviataci dal ns. collaboratore Alberto Bonfiglioli, trae spunto da due notizie
della “World right-to-die news“ del 25 luglio 2011, alle quali, per l’importanza dell’argomento,
ha aggiunto alcune informazioni supplementari.
Da "World right-to-die news" abbiamo ricevuto due lettere riguardanti la morte assistita di
persone in forte sofferenza psicologica o mentale. Una delle lettere è scritta dal prof. Wayne
Sumner, del Dipartimento di filosofia dell’Università di Toronto (Canada) e l’altra dall’avv.
Raymond P. Bilodeau dell’organizzazione “The help yourself
Lawer” di Worcester,
Massachusetts, USA.
La lettera del prof. Sumner fa riferimento al “caso Chabot” (Olanda, 1991) che ha portato al
riconoscimento della sofferenza mentale insostenibile come motivazione valida per una morte
assistita, formalmente accettata dalla legge olandese nel 2002 e quindi dalla legislazione del
Belgio e del Lussemburgo. Nel 2006 anche un tribunale svizzero ha riconosciuto che la
sofferenza mentale può essere accettata come motivo per il suicidio assistito. Sumner ricorda
che questi argomenti sono ampiamente trattati nel suo libro, Assisted Death: A Study in
Ethics and Law, pubblicato dall’Oxford University Press, concludendo che la sofferenza
mentale dovrebbe essere riconosciuta per l’eutanasia legale e il suicidio assistito.
Il caso riguarda lo psichiatra dr. Chabot che, da quanto risulta da una breve ricerca su
internet, ha avuto una certa risonanza nell’ambito giuridico olandese e internazionale nei
primi anni ‘90. Questo psichiatra ha ricevuto una richiesta pressante di eutanasia da una sua
paziente con una lunga storia di depressione, motivata in larga misura da fattori oggettivi (la
morte alcuni anni prima di due figli adulti, la separazione dal marito alcolizzato e violento). La
paziente si era sottoposta più volte a trattamenti psichiatrici anche a seguito di reiterati
tentativi di suicidio. Il dr. Chabot le propose nuovi trattamenti che la paziente rifiutò, insistendo
che voleva morire. Lo psichiatra, dopo aver consultato altri medici (che, tuttavia, non hanno
visitato la paziente), le prescrisse una droga letale che la paziente stessa si somministrò. Il dr.
Chabot é stato giudicato colpevole di non aver rispettato la procedura stabilita per i medici
olandesi, ma non è stato condannato. Il fatto ha scatenato una forte polemica tra chi si
opponeva all’eutanasia, particolarmente nel caso di persone depresse che non possono
essere considerate malati terminali, e i sostenitori della legge olandese i quali sostenevano
che nel caso particolare non esistevano cure psichiatriche appropriate né erano prevedibili
altre nel futuro immediato.
Un’analisi giuridica del caso è stata pubblicata da John Griffiths su Modern Law Review,
vol.58, n°2 (marzo 1995), pp.232-248. L’articolo in versione pdf si trova in:
http://keur.eldoc.ub.rug.nl/FILES/wetenschappers/2/11948/11948.pdf.
L’avv. Bilodeau, dal canto suo, sulla base della sua esperienza quasi quarantennale in
malattie mentali, ha riconosciuto la complessità oggettiva del problema del suicidio assistito in
tali casi (es. sviluppo ritardato, autismo, diverse forme di menomazione mentale). In proposito
esiste una decisione della Suprema Corte del Massachusetts che altri stati americani stanno
adottando ora. Secondo questa decisione, spetta al giudice valutare la volontà della persona
con disagio mentale se accettare o rifiutare il trattamento psico-farmacologico. Nel processo
si dovrà differenziare le tendenze suicide originate dalla malattia e la considerazione
razionale, accuratamente ponderata, che la morte sia la sola soluzione razionalmente
accettabile. Anche se le malattie mentali sono oggi difficilmente guaribili, esse possono in
qualche modo essere gestite, spesso molto bene. Tuttavia i nuovi farmaci per alcune malattie
mentali, compresa la depressione, hanno tra gli effetti collaterali appunto l’induzione di
tendenze suicide. Gli stessi effetti collaterali si osservano spesso con i farmaci destinati alla
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cura di altre patologie quali, ad esempio, le neuropatie diabetiche. Tutti questi fattori dovranno
essere presi nella dovuta considerazione in qualsiasi decisione giudiziaria.
É chiaro che la questione é complessa ma almeno esiste già un’esperienza che offre spunti
per una sua appropriata considerazione.
2195 - FINE VITA, LA SFIDA DA TREVISO: GIUDICE AUTORIZZA INTERRUZIONE CURE
da: www.repubblica.it di mercoledì 3 agosto 2011
TREVISO - E' destinato a far discutere il decreto firmato dal giudice trevigiano Clarice di Tullio
per permettere a una paziente di 48 anni di rifiutare le cure. La storia, riportata oggi dal
Gazzettino, risale all'inizio dell'anno. La donna, affetta da una grave malattia degenerativa,
era stata ricoverata in gravi condizioni all'ospedale di Treviso.
Nonostante il quadro clinico stesse precipitando, la paziente aveva rifiutato sia la trasfusione,
essendo testimone di Geova, sia la tracheotomia permanente, che le avrebbe permesso di
limitare il deficit respiratorio. Da qui la richiesta, di potere scegliere di sospendere, in caso di
necessità, le terapie salva-vita.
Le condizioni della donna erano poi migliorate, al punto da permetterle di ritornare a casa, ma
la paziente aveva comunque deciso di inoltrare la richiesta al giudice se la situazione fosse
nuovamente peggiorata. "Non voglio che la mia vita venga prolungata se i medici sono
ragionevolmente certi che le mie condizioni sono senza speranza", aveva detto la donna. Una
richiesta che il giudice ha deciso di accogliere, nominando anche il marito come
amministratore di sostegno.
Le motivazioni.
Una decisione che si scontra con il disegno di legge sul biotestamento approvato il mese
scorso alla Camera 1 e in procinto di approdare al Senato alla riapertura dei lavori dopo
l'estate. Il magistrato ha motivato il provvedimento basandosi sul codice deontologico dei
medici e sui principi, accolti anche della Cassazione, secondo cui il consenso del paziente
rappresenta un presupposto indispensabile per qualsiasi intervento medico.
Se anche il Senato dovesse approvare il disegno di legge la decisione del giudice di Treviso
potrebbe essere ininfluente: la tutela della paziente sarebbe infatti solo ed esclusivamente del
medico curante.
Commento. Anche se il Senato dovesse approvare il testo incivile licenziato dalla Camera,
non è detto che la decisione del giudice di Treviso diverrebbe automaticamente ininfluente.
La trasfusione di sangue e la respirazione artificiale non rientrano infatti nel divieto previsto
esplicitamente per l’alimentazione e l’idratazione artificiale che “non possono formare oggetto
di dichiarazione anticipata di trattamento” (art. 3 comma 4). Ciò fermo restando che, in barba
al principio della autodeterminazione stabilito dalla Costituzione, anche per la trasfusione e la
respirazione artificiale la decisione finale spetterebbe – secondo Calabrò - al medico e non al
paziente. GS
Commento. Infatti, e mi riferisco all'interpretazione di Calabrò, "inventore" della legge infame,
proprio per questo è citato il codice penale! che impedisce al medico di soddisfare la richiesta
dei pazienti. Mina Welby
Notizia dalla Federazione mondiale per il diritto di morire con dignità. Una testimone di Geova
italiana ha visto riconosciuto dal giudice il suo diritto a rifiutare un trattamento sanitario nel
caso divenga incapace di intendere e volere. Il caso ha innescato un acceso dibattito tra i
sostenitori e gli oppositori dell'eutanasia in questo paese prevalentemente cattolico. "Io non
voglio che la mia vita sia prolungata se i medici sono ragionevolmente convinti che il mio caso
è senza speranza” aveva detto la donna al giudice Clarice Di Tullio, della Corte di Treviso nel
nord Italia. Il giudice ha rispettato il suo desiderio in una sentenza all'inizio di questa
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settimana. Il Governo di centro-destra del primo ministro Silvio Berlusconi, che sta tentando di
approvare una legge in Parlamento che porrebbe fuorilegge questo tipo di decisioni end-oflife, ha reagito con rabbia alla sentenza del giudice di Treviso. La sentenza "mira a introdurre
il suicidio assistito non consentito dalle nostre leggi” ha detto il ministro del lavoro Maurizio
Sacconi, cattolico militante. "Solo il Parlamento può prendere tali decisioni importanti. Spero
che non lo faccia mai." Massimo Cozza, della sinistra sindacale CGIL Medici, ha invece
affermato: "questa sentenza non aiuta il suicidio assistito, ma piuttosto garantisce il rispetto
della volontà espressa dai pazienti”. Punto di vista che è stato condiviso da Ignazio Marino,
senatore dell'opposizione (partito democratico) che è egli stesso medico. "Il giudice ha preso
una decisione, conoscendo la causa e prendendo in considerazione anche la religione della
persona" ha detto. La Camera dei deputati nel mese scorso aveva approvato un progetto di
legge con cui la nutrizione e l’idratazione artificiale non possono essere sospese a meno che
"non siano più adatte a prolungare la vita del paziente". Tale disegno di legge, supportato dal
Vaticano, deve ora essere approvato dal Senato. .
2196 - LA CARITAS ALTOATESINA DELUSA DAL DISEGNO DI LEGGE CALABRO’
Il Servizio Hospice della Caritas altoatesina si dichiara deluso dalla recente approvazione del
disegno di legge sul testamento biologico alla Camera dei deputati. "Cosl
l'autodeterminazione della persona non è più presente per le situazioni in cui, per i più diversi
motivi, non si può decidere da soli", afferma Gunther Rederlechner, responsabile del Servizio
Hospice della Caritas. Un testamento biologico secondo gli standard internazionali, serve
allorquando una persona non è più in grado di comprendere, di esprimere il proprio giudizio o
di comunicare le proprie volontà a causa di una malattia invalidante o nella fase terminale
della vita. Il rispetto della volontà o l'autodeterminazione sono però necessari allo scopo di
salvaguardare la dignità del morente e dei malati, anche se questo non significa
semplicemente il "compimento di un desiderio ", Piuttosto si tratta di armonizzare il bene del
paziente con la sua volontà.
"II fatto che un testamento biologico non comporti alcun vincolo di responsabilità per il
medico, introduce una relazione di sfiducia nel rapporto medico-paziente ". sostiene
Rederlechner. "Sarebbe importante trovare una via di mezzo tra l'obbligo di attenersi in modo
assoluto alle direttive contenute nel testamento biologico - che non lascerebbe alcun margine
di intervento giustificato a medici, infermieri e famigliari - e l'assoluto svincolo e libertà da
parte del personale medico rispetto ad ogni tipo di intervento sanitario, come prescritto da
questa legge.
Sarebbe il caso di proporre - come nel caso dell'Austria - un testamento biologico "rispettoso"
delle volontà del paziente. In quel caso il medico è obbligato a rispettare le direttive anticipate
di trattamento e a tenerle in debito conto nel suo processo decisionale. Nel caso decida in
contrasto con la volontà del paziente, deve giustificare questa sua scelta. Ma non prevedere
alcun vincolo di responsabilità - come deciso in Italia - farà emergere il problema che le
persone in futuro non si affideranno al testamento biologico come strumento di tutela dei loro
diritti. "Ognuno penserà: Perché dovrei perdere del tempo e riflettere sul questo tipo di
disposizione se, alla fine, non conterà nulla?", chiede Rederlechner.
Il Servizio Hospice di Caritas giudica criticamente anche il fatto che l'alimentazione e
l'idratazione artificiali, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al
paziente, non possono essere respinte o interrotte, "E' comprovato che, nella fase terminale
della malattia, l'idratazione artificiale del paziente risulta spesso più dannosa che altro. Se
imposto per legge, ciò comporterebbe non solo benefici ma anche sofferenze inutili al
paziente", afferma Rederlechner. "Dal momento che l’alimentazione e l’idratazione artificiale
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necessitano di un intervento medico, è giusto che tale decisione sia valutata da un medico,
sempre però nel rispetto delle volontà espresse dal paziente in ogni sua forma”, aggiunge il
responsabile del servizio Hospice.
Commento. La ns. vice-presidente Meri Negrelli ci segnala il soprariportato articolo sulla
posizione assunta dalla Caritas altoatesina in merito all'infame disegno di legge licenziato per ora - dalla Camera dei Deputati.
Mentre rileviamo con soddisfazione che all'interno della Chiesa cattolica stanno sempre più
emergendo posizioni "laiche" rispetto alla posizione "fondamentalista" della gerarchia
vaticana sul tema della fine della vita, non possiamo non rilevare che la Caritas altesina si
limita a dare "un colpo al cerchio e uno alla botte".
Cosa significa infatti "Il medico è obbligato a rispettare le direttive anticipate di trattamento e a
tenerle in debito conto nel SUO processo decisionale"? E se decide di non tenerne conto,
cosa succede? Dice la Caritas altoatesina "Nel caso decida in contrasto con la volontà del
paziente, DEVE GIUSTIFICARE la sua scelta".
A chi? Al medico primario? ai parenti del paziente, ed a quali parenti nell'ordine di
preferenza? Al Giudice, e in base a cosa deciderà il Giudice? Oppure a Dio? Ed a quale Dio
se il medico non è cattolico oppure è ateo oppure semplicemente agnostico? Oppure
semplicemente alla sua coscienza, con le prevedibili conclusioni nel caso di medici "obiettori"
di coscienza?
Circa l'idratazione e l'alimentazione forzata, la Caritas altoatesina ammette che sono un
trattamento sanitario, ma anziché concludere che possono essere rifiutate dal paziente
perviene alla conclusione che "è giusto che siano valutate da un medico, sempre però nel
rispetto delle volontà espresse dal paziente in ogni sua forma". E se la valutazione del medico
non combacia con quella del paziente, chi decide? Insomma, si ritorna al circolo vizioso sopra
descritto. GPS
2197 - LIBRO: “IL DIRITTO DI MORIRE” – DI UMBERTO VERONESI
dalla newsletter: “per non mollare” del 13 agosto 2011
“[…]L’eutanasia non può che essere il diritto di morire, il quale, come tutti i diritti della
persona, fa unicamente capo unicamente al soggetto[…]E’ di questo diritto che voglio parlare,
ed è questo diritto che voglio difendere[…]il diritto di ogni uomo all’autodeterminazione, cioè il
diritto alla libertà[…]”
Non ci sono altre parole per presentare il contenuto di questo agile volumetto del prof.
Umberto Veronesi. E’ il famoso oncologo che introduce l’argomento tabù dell’eutanasia con
quella frase.
Con molta delicatezza affronta il tema della morte e del congedo cui tutti siamo destinati.
Osserva, Veronesi, che la medicina ha fatto notevoli progressi in questi ultimi vent’anni, per
cui ormai più che “curare” siamo giunti a procrastinare l’evento morte. Ossia si è
artificialmente prolungata la vita. A differenza che in passato si aveva la paura di morire
anzitempo, oggi “siamo assediati dalla paura di sopravvivere oltre il limite consentito dalla
dignità personale, dal nostro desiderio, dalla nostra capacità di sopportare sofferenze fisiche
e mentali”.
Solo in Olanda ed in Belgio vi è una legislazione che tutela il diritto di morire. Altrove il tabù
dell’eutanasia condanna all’ostinazione terapeutica l’essere umano, con sofferenze tanto
personali che non vi sono parole per poterle descrivere.
In Italia l’eutanasia è vietata, e viene equiparata all’omicidio del malato, anche se
consenziente. Ipocritamente si tollera (senza facilitarla, però) la cosiddetta “eutanasia
passiva”, ossia la rinuncia alle cure inutili.
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L’esperienza olandese ci insegna che il sorgere di un forte movimento di opinione favorevole
alla legalizzazione dell’eutanasia consegue alla consapevolezza che i progressi della
medicina hanno comportato un prolungamento “artificiale” della vita, e ciò non può essere
lasciato solo in mano ai medici. Di qui la necessità che la “decisione su come e quando si
dovesse prolungare la vita oltre il termine naturale fosse tolta ai medici e riconsegnata ai
pazienti.” Conseguentemente “ognuno ha il diritto di porre termine alla propria vita quando
ritiene che a causa della sofferenza essa abbia perso valore”.
Comunque, Veronesi non nasconde la persistenza di molte incertezze anche in Olanda. Ad
esempio non ci si può nascondere il rischio che la decisione del paziente possa essere
conseguenza di pressioni dei parenti che desiderano anticiparne la fine per ragioni
economiche o per ragioni egoistiche. Il paziente, inoltre, potrebbe essere indotto a richiedere
l’eutanasia perché affetto da grave e non inspiegabile crisi depressiva. Infine le cure palliative
potrebbero migliorare ed alleviare le sofferenze.
Concludendo, il prof. Veronesi ricorda una frase di Seneca (“l’uomo saggio vive finché deve,
non finché può”) quale ammonimento nei confronti della medicina perché non è detto che
tutto quello che si può fare sia lecito fare. (bl)
(“Il diritto di morire” di Umberto Veronesi – Mondadori editore, Milano 2005 - SOMMARIO:
Premessa – Introduzione – I. Il mistero della morte e della vita – II. Male fisico e metafisico –
III. Perché è ancora un tabù – IV. L’eutanasia nella società moderna – V. L’insostenibile
solitudine del dolore – VI. Le ipocrisie del “non fare” – VII. Un sonno senza risveglio – VIII.
Sacralità e dignità della vita – IX. Una legge impossibile – Conclusione).
2198 - EMANUELE SEVERINO: COSA SIGNIFICA MORIRE CON DIGNITA’
da: la Repubblica di lunedì 15 agosto 2011 - Intervista di Antonio Gnoli
Ha superato con tranquilla determinazione gli ottant'anni, ha affrontato con disperata calma la
scomparsa della moglie, ha scritto un'autobiografia (Il mio ricordo degli eterni, Rizzoli) che è
un insieme di ricordi, ma anche un tentativo di offrire al lettore un ritratto personale di
Emanuele Severino. Eppure, parlare di sé non gli piace. Non ama mettere al centro il
Severino in carnee ossa, quel privatissimo individuo attraversato da passioni ed emozioni. È
come se quel mondo segnato da una storia individuale non condividesse nulla con il piano
della speculazione. È come se al nostro cospetto si disegnasse una netta separazione tra
agire e volere da un lato e pensare dall'altro.
Le dà fastidio parlare della sua vita?
«Non so a chi possa interessare. Si tratta di un'esistenza come tante altre. Fatta di memoria
ed esperienze. Ma nel momento in cui io parlo dei miei ricordi, ecco che essi cominciano a
suonare falsi».
Non ci sono ricordi veri?
«Ci sono nel senso di ricordi nella cui esistenza io credo. Ma è proprio perché credo nella
loro esistenza che essi sono falsi. Sono cioè stati separati dal modo concreto in cui furono
vissuti. Io credo di essere stato un bambino, fino a un certo punto della sua vita, allegro. Ma
questo credere non è una verità indiscutibile, bensì una fede. Per questo ho avuto molti dubbi
sullo scrivere un'autobiografia».
Eppure l'ha fatto. Cosa l'ha spinta?
«Potrei risponderle che è la vanità, il bisogno che il Severino in carne e ossa sente di essere
conosciuto anche negli aspetti meno noti. E potrei aggiungere che ci sono peccati ben più
gravi di quello di scrivere di sé. Come voler vivere, voler parlare, voler dire la verità».
Tutte cose ben più che lecite.
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«Certo, non lo discuto. Ma rientrano tutte in una forma di volontà di potenza. E la volontà non
ha nulla a che vedere con la verità».
Ma possiamo distinguere tra una volontà buona e una volontà cattiva.
«La distinzione è infondata. E non posso neppure decidere, come fa certa saggezza
orientale, di prendere la distanza dalla volontà. Perché anche il non volere è una forma di
volere».
Lei, con un atto di volontà, scrive un'autobiografia e nel farlo si consegna all'errore, al
fraintendimento, alla non verità. Non mi pare un gran risultato.
«D'accordo. Ma nessuno di noi può non vivere. E così mi è capitato di compiere quell'errare
che è la scrittura e di praticare il genere autobiografico. Io so che dalle mie pagine trapelano
vanità e puerilità, so di aver preferito alcuni ricordi ad altri, e di aver usato un linguaggio
accattivante, quando avrei dovuto essere duro ed essenziale. Nondimeno l'ho fatto. Perché
una cosa è vivere credendo che la vita non sia peccato - nel senso di errore, di non verità altro è vivere sapendo che tutto ciò che si fa, anche il gesto più amoroso, appartiene alla follia
essenziale cui l'uomo è legato».
Insomma racconta se stesso ma, al contempo, mette in guardia dal voler dare un particolare
significato alla sua vita?
«Metto in guardia dal darle un significato di verità. Ovviamente anche il filosofo vive. Come
tutti gli altri. Ma ciò che chiamo filosofia è lo sguardo sulla verità che è presente in ogni uomo.
Questa presenza non è testimoniata dal linguaggio, che preferisce parlare del rapporto tra me
e lei, o di ciò che chiamiamo vita».
A proposito del linguaggio lei non ha mancato di essere autocritico.
«Accadde in relazione al mio primo libretto: La coscienza, pensieri per un antifilosofia. Era
scritto con la melassa, in uno stile che cedeva alla retorica. Mi fa rabbrividire il pensarci
ancora. Ed è il rischio che posso aver corso con l'autobiografia. Il linguaggio deve essere
senza fronzoli».
Parlando di lei, accennava al fatto di essere stato un bambino allegro.
«Lo sono stato fino alla tragica scomparsa di mio fratello. Fu lui ad aprirmi alla filosofia. Lui normalista a Pisa durante la guerra - a parlarmi con entusiasmo di Gentile. La sua morte mi
gettò nella costernazione. La stessa cosa, ma forse più dolorosa, l'ho rivissuta con la morte di
mia moglie. Con lei siamo stati insieme per più di sessant'anni. Ho il rimorso di non averle
forse dato tutto quello che avrei potuto».
Eravate una coppia solida. Viaggiavate spesso assieme.
«È vero. Per me era inconcepibile muovermi senza di lei e fino all'ultimo ci siamo spostati
all'unisono. Mi torna alla mente il nostro ultimo viaggio. A Cuba. Ero stato invitato e accolto
con tutti gli onori. Finita la parte professionale, ci misero a disposizione per una vacanza una
stanza in uno degli alberghi più belli di Varadero. Ricordo che durante una notte si alzò un
vento freddo - che lì chiamano il "fronte freddo" - che investì con furia la vetrata. Il suono di
quel vento era sImile all'ululato dei lupi. Esterina stava già male. Ebbe paura di quell'ululato.
Mi prese la mano nel letto e me la strinse. E io ebbi il presagio che la sua vita stava finendo».
In che modo ha affrontato il dolore che ha provato quando è scomparsa?
«Come lo affronto, direi. Perché è una ferita restata completamente aperta. La mia vita è
cambiata. Per certi versi è diventata intollerabile».
L'aiuta la filosofia?
«È un dogma l'idea che la verità possa illuminare l'individuo. Non sono io che capisco la
verità, ma è la verità che capisce se stessa. Eppure so che la filosofia ha messo al riparo
questo dolore. Non lo ha curato, ma circondato».
Mettersi al riparo è quanto cerchiamo nei momenti di crisi.
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«È una delle esperienze fondamentali della storia dell'uomo. Noi veniamo al mondo e ci
imbattiamo nel dolore e nella morte. Tutta la grande cultura è nata come difesa da questi
eventi terribili. Prima con il mito, poi con la filosofia, infine con la scienza e la tecnica si è
cercato il riparo. L'uomo, credendosi effimero, ha bisogno di protezione. Ma ciò che si cerca
nel riparo è quanto di più inautentico si possa ottenere».
È anche una risposta alla paura della morte.
«Sarà parte dell'argomento che affronto nel prossimo e ultimo libro, col quale concludo la mia
lunga ricerca iniziata sessant'anni fa. Morire è essere nella possibilità estrema, nel tramonto
del contrasto tra verità e vita. Solo a quel punto finirà ogni dolore e ogni contraddizione.
Questa idea non ha nulla a che vedere con la concezione cristiana della resurrezione».
Sembra quasi che l'attenda con gioia.
«Non temo la morte. Essa è una gran festa. Semmai ho paura dell'agonia. Il morente può
esibire qualcosa di osceno. Per questo, quando sarà il momento, non vorrò una morte
pubblica, in un ospedale. Ma una morte al riparo dagli occhi estranei e soprattutto priva di
qualunque accanimento terapeutico. Questo per me significa morire con dignità».
Perché, contrariamente a ciò che si pensa, la morte dovrebbe essere una gran festa?
«Perché siamo destinati a una Gioia infinitamente più intensa di quella che le religioni e le
sapienze di questo mondo promettono. I nostri morti ci aspettano. Esterina mi attende. Come
una stella fissa del cielo».
Nei riguardi di sua moglie lei ha detto di aver provato rimorso. Cos'è che si rimprovera?
«Nel confessare il rimorso, la prima preoccupazione è stata di non voler passare per il marito
perfetto, l'uomo pieno di virtù coniugali. Sono certo che avrei potuto essere migliore di come
sono stato. Ma non so fino a che punto sarebbe dispiaciuto a mia moglie se io fossi stato una
persona diversa».
Ma lei avrebbe voluto essere migliore?
«Forse più presente. Aver dedicato il proprio pensiero alla filosofia ha significato sacrificare in
parte la vita familiare. Mio figlio, che fa lo scultore e che legge e discute i miei libri, ha criticato
il mio modo di essere padre. E così anche mia moglie che pure non ha mai smesso di
aiutarmi, di farmi sentire migliore di quello che probabilmente sono».
La rattrista non esserlo stato?
«Sì, anche se esito nel confessarlo. Quando sono in pubblico evito di lasciar trapelare il mio
lato malinconico. Penso che sia sempre meglio non coinvolgere la gente con dei cupi
pensieri».
Se ne vergogna?
«No, tanto è vero che gliene parlo. Diciamo che tendo a non voler essere compatito. Meglio
forti nello stato d'animo piuttosto che patetici».
2199 - CHIESE METODISTE E VALDESI: NO AL SONDINO DI STATO – DI G. COURTENS
da: www.cronachelaiche.it di mercoledì 24 agosto 2011
«E’ una questione di laicità: lo Stato dovrebbe poter legiferare sulle questioni di fine vita,
senza sottostare al ricatto morale della chiesa di maggioranza». Lo ha detto il pastore della
chiesa valdese di Torino, Paolo Ribet, nel corso di una conferenza stampa dal titolo “No al
sondino di stato”, tenutasi ieri a Torre Pellice (TO) a latere del Sinodo delle chiese valdesi e
metodiste. «Una fattispecie tipicamente italiana» ha aggiunto Ribet, la cui comunità – alla pari
di tante altre sparse per la penisola – ha aperto uno sportello dove poter depositare il proprio
testamento biologico. «In Germania da anni esiste un ‘formulario cristiano’ per le direttive di
fine vita redatto congiuntamente dal Consiglio delle chiese evangeliche e dalla Conferenza
episcopale tedesca in merito. Non mi è chiaro perché la chiesa cattolica in Italia possa parlare
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di fatto ‘non negoziabile’ quando la stessa chiesa a nord delle Alpi assume un’altra
posizione», si è chiesto Ribet.
Dopo l’approvazione della legge sul biotestamento da parte della Camera dei deputati lo
scorso 12 luglio, è forte l’amarezza dei protestanti. La pastora Erika Tomassone, membro
della Commissione bioetica della Tavola valdese, intervenuta alla conferenza stampa, non ha
dubbi: «Non ci piace per nulla. E’ una legge oscurantista, un gran pasticcio che non risolve
niente. Non è una legge sulle direttive di fine vita, ma è una legge che mira a vietare
l’eutanasia». In particolare, spiega Tomassone, «non risolve nulla per quanto riguarda la
delicata questione del rapporto tra medico e paziente, anzi, se possibile, acuisce la
conflittualità tra due soggetti, pur titolari di sacrosanti diritti. Riteniamo inoltre che la legge sia
scientificamente scorretta, perché idratazione e alimentazione artificiale sono equiparate a
misure di assistenza ordinaria, che quindi non possono essere sospese».
Nel 2007 – dato il vuoto legislativo – la Commissione bioetica (che raccoglie una dozzina di
teologi, giuristi, medici, scienziati e ricercatori), propose un documento al Sinodo
sull’opportunità di legiferare in materia. Quello stesso anno il Sinodo – vero e proprio
“parlamentino” composto da 180 deputati tra pastori e laici – con un atto auspicò la
promulgazione di una legge. «Lo scopo era quello di evitare le battaglie sui corpi» – ha
precisato Tomassone. «Certo, di fronte al testo ora ratificato alla Camera è meglio nessuna
legge».
«Per noi, come credenti, quella di rivendicare la dignità e la libertà della persona è un
imperativo, oltretutto previsto dalla Costituzione» – ha aggiunto Ribet. «Altrimenti, il rischio
che corriamo, è quello di fare della “vita ad ogni costo” un vitello dorato».
E Tomassone: «Da un punto di vista della fede cristiana riteniamo che è il singolo soggetto a
dover rispondere davanti al Signore delle proprie libere scelte». Nei prossimi giorni il Sinodo
delle chiese valdesi e metodiste – massimo organo decisionale della piccola chiesa di
minoranza nostrana che si svolge ogni anno a fine agosto – non esiterà a mandare un
segnale forte al nostro legislatore, sottolineando l’inaccettabilità di questa legge.
Intanto nelle chiese valdesi, metodiste o battiste, prosegue la raccolta delle direttive di fine
vita. Gli sportelli aperti al pubblico sono a Pinerolo, Torino, Brescia, Milano, Trieste, Udine,
Vicenza, Lucca, Roma, Civitavecchia, Napoli, e Palermo. Complessivamente sono stati già
depositati più di 1500 dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari.
2200 - UN TRACOLLO BEN PREPARATO - DI GIOVANNI SARTORI
da: Corriere della sera di lunedì 29 agosto 2011
Tutti gli economisti, o quasi tutti, sostengono che la salvezza sta nella «crescita». Perché il
mondo occidentale non cresce più (in nessun senso della parola). La sola crescita globale è
stata, da un secolo a questa parte, quella della popolazione. Oggi siamo 7 miliardi, forse
arriveremo a 9 o anche a 10. E di tanto cresce la popolazione, di altrettanto (se non più)
crescono i problemi che la crescita economica dovrebbe risolvere. Problemi che oramai sono
di «grande depressione». E problemi che le ricette degli economisti non sembrano in grado di
risolvere. Forse perché sono ricette che ci hanno fatto sbagliare previsioni e terapie da
almeno mezzo secolo a questa parte. Perché da mezzo secolo a questa parte gli economisti
ci hanno incoraggiato a spendere più di quanto guadagniamo, creando così un progresso
economico fondato sul debito. Il debito pubblico che oggi assilla tutti (anche se alcuni più,
alcuni meno) nasce così: dallo Stato che spende e spande, che elargisce più di quanto
incassa.
Negli Stati Uniti, per decenni, l'indicatore di una economa che «tira» è stato la consumer
confidence, la fiducia del consumatore di poter spendere non sui soldi che si hanno ma sui
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soldi che verranno. Un altro problema delle società industriali avanzate è che alla fine le
macchine «disoccupano». Certo, all'inizio creano occupazione per creare le macchine; ma
poi, alla lunga, finisce che sono le macchine che lavorano per l'uomo e che lo sostituiscono.
Questo problema è stato oscurato dalla teoria (eminentemente sociologica) che la società
post industriale era, e doveva diventare, una «società dei servizi». Certo, in parte sì. Ma in
parte la società dei servizi è diventata sovrappopolata e parassitaria perché serve a colmare il
buco della disoccupazione crescente. Il nostro Sud è un magnifico esempio di politica che
diventa strumento di pubblico impiego.
Il sistema che sono andato descrivendo era destinato a crollare. E difatti sta crollando.
L'aggravante è poi stata la globalizzazione. Nel 1993 scrivevo che a parità di tecnologia i
Paesi poveri a basso costo di lavoro erano destinati a togliere lavoro alla manodopera dei
Paesi ricchi. Invece gli economisti hanno inneggiato alla globalizzazione come nuovi mercati
di espansione e di vendita. È finita, per ora, che la Cina è diventata la cassaforte che sostiene
il debito pubblico degli Stati Uniti, e che sono i cinesi che esportano più di noi.
Ci sono, infine, le malefatte dei banchieri e del loro avventurismo speculativo con i soldi degli
altri. Hanno cominciato a elargire mutui subprime e cioè insufficientemente garantiti. E poi si
sono buttati sui derivati, una diavoleria escogitata da due matematici che nemmeno i
banchieri né i loro economisti hanno ben capito. Il che non toglie che siano riusciti a inondare
il mondo con un nuovo tipo di pericolosa spazzatura.
Così oggi si scopre che abbiamo consumato le risorse per stimolare la ripresa, la crescita,
senza che le nostre economie ripartano, senza che ci sia ripresa. Anche la locomotiva
tedesca sembra che si sia fermata, la disoccupazione giovanile è altissima un po' dappertutto,
e non può essere assorbita da impieghi burocratici che già soffrono di elefantiasi. Sì, in Italia
bisogna assolutamente ridurre in modo drastico un deficit che continua ad alimentare uno dei
più alti debiti pubblici del mondo. Ma bisogna anche dire la verità, tutta la verità. Come ha ben
dichiarato il presidente Napolitano: «La maggioranza ha nascosto la gravità della crisi».
Berlusconi è bravo, bravissimo, come illusionista.
Resta da scoprire se sa vedere e dire la verità.
Commento. E se avesse ragione? Giorgio Grossi
2201 - IL GOVERNO DEL VATICANO - DI WALTER PERUZZI
da: www,cronachelaiche.it di martedì 16 agosto 2011
Pur preso dalle sue manovre di macelleria sociale, il governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti ha
trovato il tempo per respingere la legge contro l’omofobia, che dava l’orticaria a Giovanardi, e
far approvare il ddl sul testamento biologico, in base a cui dovremo morire nei tempi e nei
modi stabiliti da Dio tramite il suo medico di fiducia, cioè la Chiesa. Il governo si è inoltre
preoccupato di non mettere le mani nelle tasche di Ratzinger & soci; e di stabilire che anche
per sapere quando lavorare o fare festa ci si deve regolare sul calendario del Vaticano,
eliminando tutte le festività laiche e conservando solo quelle religiose (per quelle locali dei
santi patroni si sta “trattando”…).
Da una fiaba all’altra
Sono le ultime elemosine fatte dal duo distonico Tremonti-Berlusconi con i nostri soldi.
Piccole regalie, rispetto alla baraonda di sovvenzioni, contributi alle private, tagli dell’ICI,
coinvolgimento in cricche affari appalti & altre ladronerie piovuti sulla Chiesa in diciassette
anni di berlusconismo. Piccole cose, rispetto ai soldi dati ai docenti di religione nominati dalle
curie per insegnare la loro religione sempre a spese nostre; o rispetto all’arrogante
esposizione del crocifisso, privato amuleto cattolico, in ogni spazio pubblico. Briciole, che non
bastano certo a saziare il Vaticano e la CEI, anche se ricche di valore simbolico, come la
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soppressione delle festività laiche: uno stimolo a dimenticare gli eventi reali della storia (la
nascita della repubblica, la liberazione dal nazifascismo, le lotte dei lavoratori), da sempre
sgraditi al Caimano e alla sua corte; e ad abbandonarsi alla dimensione fantastica e
mitologica nutrita finora dal famigerato «meno tasse per tutti» e adesso – che questa favola è
finita – da un vecchio libro di fiabe improbabili e feroci raccontate (si dice) da Jhavé in
persona.
Il Bagnasco imbiancato
Ma ci vuol altro. Per questo gli alti prelati, dopo aver retto il sacco al mafioso di Arcore e al
razzista di Gemonio, si stanno adesso affannando a trovare nuove sponde. Bertone sta
tentando con ripetuti incontri bipartisan di dar vita a una replica fuori tempo della DC; la CEI
vagheggia invece un forte gruppo di parlamentari cattolici sparpagliati in vari partiti ma uniti
sui principi non negoziabili, cioè pronti a votare come un sol uomo leggi e privilegi richiesti
dalla Chiesa. La formula poco conta. L’importante, come ha ripetuto il 10 agosto Bagnasco, è
che i cristiani continuino a occupare la scena politica e sociale, perché «essi hanno l’onere e
l’onore e di ricordare a tutti chi è l’uomo, quali sono i suoi principi costitutivi, la necessità
dell’etica, il suo fondamento trascendente, la via aurea dell’autentica giustizia e del bene
comune».
Testimonial cercasi
L’unica incertezza riguarda i testimonial, tipo «se non ci credi, chiedilo a loro», da far sfilare
per documentare come i cristiani, nei secoli, abbiano perseguito «la via aurea» in questione.
Si sta valutando se potrebbe essere più efficace qualche sopravissuto delle stragi ustascia
benedette dal beato Stepinac; o i figli e i nipoti dei desaparecidos assassinati dai generali
argentini, compagni di merende del nunzio apostolico Pio Laghi (nell’immagine a colloquio
con Videla); o se è meglio qualche dvd, a piacere, sulla vera storia dell’Inquisizione, delle
“giustizie” a Roma, dell’evangelizzazione delle Americhe, delle crociate contro infedeli e
albigesi, della caccia papale alle streghe. Ma forse basta far parlare qualche rifugiato respinto
in mare o rinchiuso nei CIE da Maroni, sulla cui «piena condivisione col pensiero della
Chiesa» in materia etica, ha giurato Fisichella.
2202 - IL VATICANO SIAMO NOI - DI CECILIA M. CALAMANI
da: www.cronachelaiche.it di lunedì 22 agosto 2011
Dapprima fu il silenzio. L’accetta dei tagli del governo si è abbattuta sui lavoratori
(naturalmente dipendenti, in particolare pubblici) e sullo stato sociale, su Comuni, Province e
Regioni (e quindi servizi e assistenza) senza che un solo fiato si levasse dai porporati così
bravi, in altre circostanze, nel predicare solidarietà e aiuti ai bisognosi. Poi qualche penna
“illustre” (noi, che certamente non lo siamo, ne abbiamo parlato quando il silenzio ancora
regnava sovrano) ha cominciato a chiedersi e a chiedere se in un momento di tragica
difficoltà per il paese non fosse il caso che il Grande Esente, la Chiesa, cominciasse a pagare
le tasse sugli immobili di sua proprietà, a rinunciare a finanziamenti e agevolazioni e persino
all’otto per mille dell’Irpef, che frutta circa un miliardo di euro direttamente dalle tasche di tutti i
contribuenti (cattolici e non).
E allora tacere non si poteva più. Non si poteva più nascondere quegli almeno quattro miliardi
di euro (secondo la stima al ribasso di un’inchiesta di Repubblica datata 2007) che ogni anno
passano dalle casse dello Stato italiano a quelle della Chiesa. La cifra rimbalzava sui giornali,
sul web, su tutti i social network, scatenando l’indignazione del popolo e di (alcuni) intellettuali
e giornalisti. E così è iniziato l’immancabile carosello di prelati e politici affiliati. Chi difende i
privilegi, chi nega le agevolazioni, chi attacca per non essere attaccato, chi ribalta la frittata e
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spaccia i finanziamenti alla Chiesa per opere di carità (forse non sa dove finisce l’80%
dell’otto per mille?).
Nella ridicola difesa di indifendibili privilegi, meritano menzione alcune dichiarazioni.
Rosy Bindi, presidente del Pd. Ha esplicitamente detto che il Pd non appoggerà la richiesta
di far pagare al Vaticano l’Ici sugli immobili di sua proprietà, come proposto dai Radicali: «Io
credo, come Casini, che la Chiesa sia una grande ricchezza per la società italiana, l’unica
veramente impegnata con il volontariato nella lotta alla povertà». L’anima confessionalista del
Pd riemerge in tutta la sua potenza. Se sul testamento biologico e le coppie di fatto forse –
ma proprio forse – si può anche discutere, dell’eliminazione dei privilegi alla casta cattolica
non se ne parla neanche. E se lo dice la presidente…
L’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. «Bisognerebbe essere più precisi e informarsi, prima di
gettare ombra o perfino fango. Bisognerebbe avere, con la Chiesa, la precisione che si ha nei
confronti di altri soggetti più ‘reattivi’ e meno inoffensivi. Perché quei ‘quattro miliardi’ sottratti
all’Italia della crisi sono lo schizzo cattivo di un laicismo che intende eliminare ogni presenza
sociale e pubblica della Chiesa, che sta contribuendo già adesso ad ammortizzare gli effetti
nefasti della crisi». Ma come la Chiesa contribuirebbe non è dato sapere. Mistero della fede?
Angelo Bagnasco, presidente della Cei: «Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti»,
ha tuonato dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid scoprendo l’acqua calda. «Come
comunità cristiana, come credenti dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della
nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perché anche questo dovere possa
essere assolto da tutti per la propria giusta parte. […]. Così le cose sarebbero risolte, non
senza però rivedere gli stili di vita». Il pensiero è corretto, nulla da obiettare se pensiamo che
in Italia l’evasione fiscale raggiunge la cifra stimata di 265 miliardi di euro l’anno (dati 2008).
Ma proferito dal rappresentante di una casta che basa il suo potere economico (anche)
sull’esonero fiscale suona davvero come una presa in giro. L’astuto prelato ha preferito
guardare in casa altrui invece che nella propria in piena tecnica “la miglior difesa è l’attacco”
(ma la trave e la pagliuzza dove sono finite?).
Vittorio Feltri. Dalle colonne del Giornale lancia la sua crociata di ateo devoto: «Da quando
non si parla che di tasse e di tagli e di imbrogli peri noti motivi, anche la Chiesa cattolica è
finita sotto tiro dei soliti moralisti, accusata addirittura di eludere il fisco grazie a privilegi
concordatari strappati allo Stato. Senza entrare in particolari troppo tecnici, vorremmo tuttavia
ricordare che gran parte delle suddette critiche sono infondate. Infatti non è vero che il
mattone dei preti sia esente da imposte. O meglio, lo è se destinato ad attività di culto,
benefiche, assistenziali o comunque volte a colmare l’assenza dello Stato. […]Se la Chiesa è
in grado di sostituirsi ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato laddove questi sono
incapaci di agire, sarebbe assurdo che venisse penalizzata. Semmai dovrebbe ricevere, oltre
a encomi, anche dei congrui contributi e non soltanto l’esenzione fiscale. […] Attenzione.
Qualsiasi immobile della Chiesa che non sia utilizzato per gli scopi sommariamente citati
sopra [assistenza ai deboli e solidarietà, ndr], e che sia invece affittato e produca reddito,
viene trattato come se fosse nostro o vostro. Non è esente dall’Ici né da altre tasse». Preso
dall’ansia di compiacere le gerarchie ecclesiastiche – e, di conseguenza, il suo padrone – l’ex
mangiapreti Feltri ha dimenticato che l’esenzione totale per la Chiesa è stata approvata dal
governo Berlusconi nel 2005: cliniche, scuole, alberghi, circoli cattolici sono, da allora esenti
Ici. O forse intende dimostrarci, in un altro editoriale, che queste strutture non producono
reddito ma solo opere di carità?
Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia. Finora si scherzava. Nessuna delle
dichiarazioni rilasciate da politici e porporati (neanche quella di Bagnasco!) ha uguagliato, in
capacità dissimulatoria, quella del devoto manager immobiliare. «Nell’ ordinamento italiano,
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come d’altronde avviene in molte nazioni straniere, la spiritualità religiosa è considerata una
componente fondamentale della natura umana, e quindi una faccia della persona (alla
stregua della fisicità e dell’intelletto) che non può esser relegata nella sfera del privato; e
dunque rappresenta un bene fondamentale che, al pari della salute, della cultura, del
benessere, deve esser assicurato e garantito al cittadino dallo Stato. L’equivoco, in cui si
cade, di ritenere le Chiese, nella loro funzione, altro rispetto allo Stato, nasce dal fatto che
quest’ultimo non pretende di esercitare l’attività di culto e di religione direttamente o
attraverso la supplenza di altri soggetti ( come avviene per le attività “laiche” di interesse
collettivo, dalla assistenza, alla cultura): ma riconosce che questa attività, svolta dalle diverse
confessioni religiose secondo i propri fini istituzionali, risponde in sé al requisito dell’ interesse
collettivo. E dunque le esenzioni Ici, stabilite per gli immobili destinati ai compiti istituzionali
delle Confessioni religiose, non sono graziose e benevole elargizioni previste nei loro
confronti, né tantomeno nei confronti della sola Chiesa cattolica (come d’altronde non lo sono
per gli enti no-profit che esercitano attività di interesse collettivo); ma rispondono alla stessa
logica delle esenzioni stabilite per gli immobili pubblici». La sostanza dell’intervento (qui in
versione integrale) è che se la Chiesa dovesse pagare l’Ici, allora lo dovrebbe pagare anche
lo Stato. Si arriva perciò a un cortocircuito logico che ovviamente non può essere accettato:
da qui l’esenzione fiscale per la Chiesa trova la sua legittimità.
Sarebbe un insulto all’intelligenza di chi legge spiegare questa frode semantica che vede un
capitale privato spacciato per pubblico e uno stato straniero considerato parte del nostro. Ma
c’è da dire che il semisconosciuto manager avrebbe qualcosa da insegnare sia a Bagnasco
sia a Feltri. Al primo che è più avvincente una balla sapientemente formulata di una difesa
basata sull’attacco; al secondo che decostruire e ricostruire la realtà è molto più elegante di
una maldestra arrampicata sugli specchi.
Ma a noi, che oltre allo stile leggiamo la sostanza, resta solo un’amara certezza: il Vaticano
non si tocca, non c’è crisi che regga.
2203 - IL PREZZO DELLA FEDE - DI ALESSANDRA MAIORINO
da: www.cronachelaiche.it di giovedì 25 agosto 2011
Quanti, come noi di Cronache Laiche o come gli attivisti di associazioni e movimenti di
cittadini laici, da sempre cercano di far notare il peso fiscale sostenuto dai contribuenti italiani
per “mantenere” la Chiesa cattolica nella sua forma attuale, guardano piuttosto attoniti – e in
un certo senso divertiti – al gran clamore che la questione dei “privilegi” vaticani sta
sollevando in questi giorni.
Tutti, ma proprio tutti, dai grandi ai piccoli media, pare sentano il dovere, in questo momento
di crisi finanziaria, di denunciare, chi in maniera soft, chi in maniera più agguerrita, gli
innumerevoli sgravi, esenzioni fiscali e benefici di cui gode l’apparato ecclesiastico cattolico in
questo paese. Ottimo. Ma perché aspettare che il malato (ossia le finanze italiane) esali
l’ultimo respiro per dirgli la verità?
D’altra parte, un’ulteriore considerazione deve essere fatta in via preliminare: offrire un
quadro davvero esaustivo dell’esborso e delle mancate entrate subite da parte dello Stato
italiano in favore della Chiesa cattolica è impresa umanamente impossibile. È proprio il caso
di dire che solo Dio sa a quanto ammonta la cifra effettiva. Come sostengono alcuni, noi
uomini non possiamo che avere una visione difettiva e parziale della Provvidenza Divina. E
allora, visto che questo è l’agone in cui occorre scendere, accontentiamoci dei nostri mezzi e
tentiamo di fornire delle cifre; il lettore ci perdonerà le omissioni o le imprecisioni in cui
inevitabilmente incorreremo.
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8xmille. Fino ad un paio di anni fa, era un argomento tabu, roba da anticlericali conoscerne il
funzionamento e l’effettiva destinazione. Poi sono venute alcune trasmissioni televisive, prima
fra tutte Report di Marilena Gabanelli (se ve la siete persa e volete trascorrere un’oretta in
agonia, pardon, allegria, recuperate qui, ne vale la pena), che hanno reso noto non solo il
meccanismo perverso alla base della distribuzione di tale esazione, ma anche l’ingenua
ignoranza dei fedeli che appongono la propria firma per destinare il proprio 8xmille alla
Chiesa cattolica. Un’ingenua ignoranza di cui la Chiesa per anni si è servita per nascondere il
fatto che sebbene solo uno scarso 40% dei contribuenti esprima una scelta, in base alle
scelte espresse, quasi il 90% del gettito finisce nelle sue casse, e di questa entrata, che
ammonta a circa un miliardo di euro l’anno, solo il 20% finisce nelle opere di bene
reclamizzate nei suoi spot pubblicitari, mentre il rimanente (ossia l’80%), va in spese di culto
e in sovvenzionamento del clero.
A carico dello Stato. Il sovvenzionamento del clero e dei ministri di culto tratto dell’8xmille non
comprende però quello dei cappellani militari e dei docenti di religione cattolica delle scuole
pubbliche e statali, i cui stipendi sono invece pagati dallo Stato. La legge del n. 152 del 1°
giugno 1961 stabilisce infatti che «L’Ordinario militare e il Vicario generale sono assimilati di
rango, rispettivamente, al grado di generale di corpo d’armata e al grado di maggior generale
[generale di brigata]. Gli ispettori sono assimilati di rango di brigadier generale [tenente
colonnello]». Da un vecchio dato del Ministero della Difesa risalente al 2005, quando i
cappellani militari erano 190, risulta che l’esborso quell’anno fu pari a circa 11 milioni di euro.
Naturalmente a ciò vanno aggiunte le cifre (non note purtroppo a chi scrive) dei corrispettivi
destinati alle altre cariche summenzionate e quelle delle pensioni percepite dai vari ex
cappellani, ex vicari ed ex ispettori.
Per quanto riguarda i docenti di religione, la legge n. 186/03 ha «trasformato i 15.000
insegnanti di religione cattolica in dipendenti statali a tutti gli effetti, con l’obbligo di
provvedere a un loro impiego alternativo ove il vescovo ne revochi l’abilitazione. Poiché nel
frattempo questi docenti sono diventati 25.000, i loro stipendi costano all’erario 950 milioni di
euro l’anno» (da Chiesa padrona, Michele Ainis, ed. Garzanti 2009).
Se pensate che già così la misura sia colma, aspettate la goccia che farà forse traboccare il
vaso: il Trattato lateranense del 1929 – sì, quello del Duce – stabilisce all’art. 6 che «L’Italia
provvederà, a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati, che alla Città del
Vaticano sia assicurata un’adeguata dotazione di acque». L’articolo in questione non doveva
risultare tuttavia troppo chiaro, poiché gli importi dovuti all’Acea sono rimasti inevasi per anni.
Ci ha pensato poi il decreto del presidente del Consiglio del 23 aprile 2004 – Governo
Berlusconi II – a mettere a posto i conti: 25 milioni di euro stanziati per l’anno 2004 come
saldo degli arretrati e 4 milioni di euro l’anno per l’avvenire. “A spese nostre?”, si chiedeva in
una nota trasmissione televisiva di qualche anno fa, “No, a spese vostre!”.
Di Ici e altre bazzecole. Anche qui ci vorrebbe l’onniscienza divina per conoscere la vera
entità del patrimonio immobiliare del Vaticano, ma un fatto è ormai noto: è esentasse. Il
Governo Berlusconi II – sì, ancora lui – emana infatti un decreto, quello del 17 agosto 2005,
n. 163, con il quale si ratifica la totale esenzione dell’Ici «per tutti i beni della Chiesa: un
benefit di almeno 400 milioni di euro l’anno, secondo la stima più prudente» (M. Ainis, ibid.).
Forse da una prospettiva italiana non risulta immediato l’effetto dirompente che tale decreto
ha non solo sulle finanze dello Stato, o meglio dei comuni, ma anche sulle norme per la libera
concorrenza di mercato per quegli esercizi commerciali che non possono vantare alcuna
parentale, neanche lontana, con gli inabitanti di Oltretevere. L’Europa però lo vede bene, e
chiede chiarimenti. Forse è anche per questo che l’anno seguente il Governo Prodi cerca di
metterci una toppa, che però ha tanto il sapore della presa in giro: con il decreto del 4 luglio
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2006 n. 223 si stabilisce che sono esenti dal pagamento dell’imposta comunale sugli immobili
solo i locali a uso «non esclusivamente commerciale». E quali sono? Nessuno, ma proprio
nessuno, volendo. Basti pensare che persino l’agenzia di viaggi del Vaticano, l’Opera
Romana Pellegrinaggi, che organizza i charter da e per le mete della cristianità non paga l’Ici:
si trova nel palazzo del Vicariato e la sua è considerata un’opera “pastorale”, così come
quella di Roma Cristiana, il servizio di autobus gialli e bianchi a due piani che trasportano i
turisti in giro per Roma al costo di 18 euro a biglietto.
Poi ci sarebbero il dimezzamento dell’Ires (imposta di reddito sulle società); i finanziamenti
alle scuole cattoliche e agli istituti di cura cattolici; i fondi alle università private – vedi
l’Università Europea di Roma, della Congregazione dei Legionari di Cristo, fondata da Maciel
Degollado, di cui avevamo trattato a proposito del “caso De Mattei” –; i finanziamenti dei
“grandi eventi” (solo esempio: l’esposizione della Sindone tenutasi a Torino nella primavera
2010 è costata agli enti promotori, ossia comune e provincia di Torino e regione Piemonte,
2,4 milioni di euro); le sovvenzioni a Radio Maria, classificata (unica, insieme a Radio
Padania) come “emittente radiofonica nazionale a carattere comunitario”, e beneficiaria per
questo di un milione di euro nella finanziaria del dicembre 2004, legge n. 311, oltre che
destinataria del 5xmille; poi ci sarebbe lo IOR, ma questo è un capitolo a parte.
Con ciò ci auguriamo di non destare (nuovamente) le ire e la penna di Umberto Folena, che
dalle colonne dell’Avvenire pochi giorni or sono tuonava contro tutti «quelli che», a suo dire,
«vorrebbero far pagare l’Ici a chi ancora non la paga, ossia alle mense Caritas, agli oratori,
alle sacrestie, ai monasteri… perché sono soltanto loro che ancora non pagano», e inveiva
contro tutti «quelli che sul loro giornalone da 500 mila copie denunciano con veemenza che la
Chiesa italiana nasconde il rendiconto dell’8 per mille». Ovviamente non si riferiva a noi, che
non siamo affatto un “giornalone da 500 mila copie” e, al contrario di Avvenire, non
percepiamo alcuna sovvenzione statale. Tuttavia sarà il caso di evidenziare che nel dare una
notizia, ci curiamo di offrire al lettore l’eventuale legge di riferimento, il link al documento
originale, o la fonte della data informazione.
Non basta stracciarsi le vesti e dare del bugiardo a chi osa opporre obiezioni ad uno status
quo dimostrato dai fatti. Folena e quanti gridano all’attentato contro la Chiesa cattolica e la
sua carità, dimostrino (dati alla mano) di avere ragione, e cambieremo parere.
Al momento, l’anomalia tutta italiana del Vaticano, e del suo pingue mantenimento all’interno
di uno Stato sovrano e laico, è e resta cosa di evidenza innegabile. Le frecce all’arco dei suoi
difensori non possono essere la negazione dei fatti; piuttosto ammettano, e noi ne
converremo, che presentare al mondo e ai fedeli un papa e un apparato ecclesiastico
disadorni d’oro e privi di preziosi sacri paramenti non farebbe la stessa impressione che fa
ora. È (anche) per questo, forse, che la Chiesa non può rinunciarvi.
Ma non può certo dirlo a voce alta.
2204 - STATO E CHIESA CATTOLICA - DI ALDO ZANCA
da: www.criticaliberale.it – lunedì 29 agosto 2011
In che cosa credono i cattolici? Chi sono e quanti sono? La domanda non è impertinente e
non vuole ficcare il naso nella coscienza altrui. La risposta serve per verificare se è
giustificata o meno la pretesa della chiesa di rappresentarli, traendo da questo suo ruolo
enormi vantaggi in termini materiali e di potere. Il laico non solo non ha assolutamente nulla
contro la religione, ogni religione, ma ne difende a spada tratta la libertà e la sua presenza
nello spazio pubblico. Questo significa che lo Stato, che è e dev’essere rigorosamente laico,
riconosce le religioni e ne sostiene in vari modi la funzione in quanto «formazioni sociali ove
si svolge la […] personalità [degli individui]» (art. 2 Costituzione). Lo Stato laico non è
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indifferente al fenomeno religioso, nella misura in cui esso è un affare molto importante per
tante persone. Un atto profondamente laico da parte dello Stato sarebbe quello di riconoscere
gli stessi diritti riconosciuti alle associazioni religiose a quelle analoghe non religiose, così
come avviene in Germania: «Alle associazioni religiose vengono equiparate quelle
associazioni che perseguono il fine di coltivare in comune un'ideologia» (Legge
fondamentale, art. 137/6). Ma nella stessa Germania funziona un meccanismo perverso
basato sul ricatto morale e su un osceno collaborazionismo con lo Stato per il finanziamento
delle chiese: puoi non pagare la tassa prevista ma come conseguenza vieni “sbattezzato” e
quindi privato dei conforti religiosi.
A partire da qui nascono i problemi e la necessità di una militanza laica per vigilare che lo
Stato non attribuisca alle religioni un peso e un valore indebiti. In Italia questo rischio riguarda
esclusivamente la chiesa cattolica, poiché le altre religioni hanno fatto e continuano a fare
una gran fatica per poter fruire della tutela pubblica. Allora bisogna chiedersi quali sono i
criteri usati per attribuire la giusta rilevanza ad ogni religione per concedere l’accesso ai
benefici a carico di tutta la collettività nazionale.
Durkheim sostiene che una religione è «un sistema solidale di credenze e di pratiche relative
a cose sacre, […[ le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti quelli
che vi aderiscono». Sistematicità, riferimento a cose considerate sacre e organizzazione
comunitaria sono dunque i tre criteri che intercettano una religione. I pubblici poteri non solo
debbono evitare di prendere per buone le dichiarazioni autoreferenziali ma procedere ad un
accertamento obiettivo della consistenza reale delle varie chiese. Così come i versamenti dei
lavoratori determinano la rappresentanza dei sindacati o i voti ottenuti determinano la misura
dei contributi ai partiti.
Anche a limitarsi al solo criterio organizzativo, già siamo fuori da ogni idea di equità. Per
esempio: grazie ad un astuto meccanismo, nella ripartizione dell’8 per mille la chiesa cattolica
percepisce anche oltre il 90% del gettito, malgrado che i contribuenti che esprimono l’opzione
per essa si aggiri intorno al 35%, mentre più o meno il 60% non esprime nessuna opzione. La
furbizia sta nel fatto che viene ripartito l’intero gettito proporzionalmente alle opzioni
effettivamente espresse ed ecco che un 35% diventa un 90%. Il meccanismo funzione come
nelle elezioni, dove le astensioni non incidono sulla distribuzione dei seggi. In sostanza la
chiesa cattolica, in questo caso, si appropria della stragrande quantità di risorse pubbliche pur
essendo una minoranza.
Le cose si mettono sicuramente peggio se andiamo a sondare l’applicazione dei criteri circa il
«sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre». Sono numerose le indagini
che hanno dimostrato che i cattolici credono a quello che vogliono, mettendo in crisi il
sedicente carattere istituzionale della chiesa, cioè l’oggettività di un credo che può riscontrare
la legittimità di una rappresentanza “politica”. Per scrivere il mio ultimo libro (Religione e
morale. Filosofia del condizionamento religioso, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2011)
ho avuto alcune conversazioni con cattolici colti e conoscitori della dottrina. In tutti i casi è
stato dichiarato il rifiuto del peccato originale e dell’inferno, quanto dire il nucleo essenziale
della dottrina, così come è stata elaborata da Paolo e Agostino e trasmessa presso che
inalterata fino ad oggi, almeno se l’autentico insegnamento della chiesa è quello che si legge
nel Catechismo. La professione di fede di moltissimi sedicenti cattolici non osserva su punti
essenziali il credo insegnato dalla chiesa.
Dal punto di vista ideologico il cattolicesimo si presenta come una nebulosa, in cui c’è poca
fede ben fondata, pochissima obbedienza alla gerarchia, moltissimo conformismo, dilagante
neo-paganesimo. Sociologicamente, anche tenendo conto di una certa gradazione di
intensità, è oggi impossibile tracciare con decente approssimazione l’identikit del cattolico,
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fatta salva una ristrettissima fascia di militanti nell’ordine di alcune centinaia di migliaia e degli
appartenenti al clero.
Uno studio recentissimo (Roberto Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, il Mulino, Bologna
2011) getta nuova e interessante luce su questa nebulosa, che, a seconda dei parametri
utilizzati, può oscillare da un minimo di 18 milioni, bambini compresi, a non più della metà
degli italiani. Il fatto che la quasi totalità di essi sia battezzata non dice granché sull’effettiva
adesione al credo cattolico. Viene fuori che il cattolicesimo sempre di più si addensa nelle
aree del sottosviluppo economico, dell’inefficienza della pubblica amministrazione e del
degrado civile. Il cattolicesimo sembra prosperare nelle situazioni di disgregazione sociale e
di carenza di presenza dello Stato, cioè nel sud dell’Italia, dove il cattolicesimo si
presenterebbe come «subculturale, tradizionalista, carismatico, miracolistico o forse anche
celebrato popolarmente in superstizioni e magie» (Giancarlo Zizola).
«All’antica frattura tra zona bianca e zona rossa – spiega Cartocci –, separate dal Po […], si è
sostituita una nuova frattura, che corre più o meno da Roma ad Ascoli» (p. 138). La ricerca
socio-economica individua una correlazione positiva tra secolarizzazione e sviluppo: «L’indice
di secolarizzazione è strettamente legato agli indicatori di sviluppo economico, di rendimento
delle istituzioni e di dotazione di capitale sociale. Le aree più cattoliche – conclude l’autore –
sono anche quelle in cui si cumulano ridotto sviluppo, inefficienza delle istituzioni locali e della
sanità regionale […] più religione meno capitale sociale» (p. 139), cioè il meridione.
Ammonendo che la correlazione non significa causazione, si rileva che «gli elevati livelli di
pratica religiosa e di fiducia nella chiesa costituiscono la veste culturale di quelle realtà
italiane che sono nelle condizioni più critiche: ridotto sviluppo, inefficienza dei servizi, scarso
capitale sociale. […] si presenta comunque, ineludibile, la sovrapposizione tra diffusione dei
comportamenti conseguenti alle indicazioni della chiesa cattolica, da una parte, e i valori più
bassi dello sviluppo economico, della qualità delle istituzioni locali e dello stock di civismo»
(pp. 139-141).
Gli indicatori che Cartocci utilizza per la costruzione dell’indice di secolarizzazione, intesa
come recessione della pratica religiosa cattolica, sono: il tasso di matrimoni civili sul totale dei
matrimoni, l’incidenza delle nascite di figli al di fuori del matrimonio sul totale, il tasso di
studenti non avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica e la percentuale di
contribuenti che non indica la chiesa cattolica come destinataria del finanziamento dell’8 per
mille sul totale delle preferenze valide. L’autore mette in guardia dal rischio di sovrastimare
certi grandi numeri, che sembrerebbero deporre a favore di un cattolicesimo largamente
diffuso e radicato. Infatti «sulla scelta di avvalersi o meno gravano certamente motivazioni di
natura extrareligiosa, come innanzitutto la mancanza di alternative didattiche adeguate e la
convinzione [errata!] di molte famiglie che questa offerta didattica costituisca comunque un
arricchimento morale e culturale» (pp. 154-155). Aggiungiamo noi che, per esperienza
personale, c’è anche la preoccupazione che, soprattutto i più piccoli, non diventino oggetto di
pratiche discriminatorie. E anche «sposarsi in chiesa può essere una scelta su cui incidono
[moltissimo!] anche considerazioni profane e di tipo ritualistico e conformistico» (p. 159). Sulla
scelta dell’8 per mille pesano sicuramente la rinuncia dello Stato di fare la stessa propaganda
che la chiesa fa e l’uso scorretto che esso (meglio: il governo) fa della sua quota, in massima
parte dirottata a favore della chiesa cattolica. Chi scrive ha, per questo, da tempo cessato di
destinare il proprio 8 per mille allo Stato, preferendo la chiesa valdese.
I cattolici sono oggi, secondo tutte le indagini serie, anche di campo cattolico stesso, una
grossa minoranza, che però gode di una favorevole sovraesposizione grazie all’azione
congiunta del conformismo sociale e del sostegno dei pubblici poteri, non solo di tipo
economico-finanziario. I grandi numeri che si riferiscono al cattolicesimo (battesimi,
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matrimoni, ora di religione, 8 per mille ecc.) sono il risultato di procedimenti drogati, che non
rispecchiano affatto la reale consistenza sociologica e statistica delle adesioni al cattolicesimo
in termini di comportamenti osservabili e di fedeltà dottrinale.
In questa nuova situazione, che si cerca di tenere celata o di mascherare, viene meno ogni
giustificazione politica e giuridica del regime concordatario, che può avere un senso solo in
una società monoculturale e monoreligiosa, in cui altri raggruppamenti appaiono marginali e
ininfluenti. L’argomento secondo il quale il cattolicesimo sarebbe la religione della
maggioranza degli italiani sarebbe corretta se a “maggioranza” si aggiungesse l’aggettivo
“relativa”, a fronte della quale c’è una stragrande maggioranza assoluta di conformisti,
opportunisti, indifferenti, appartenenti ad altri credi religiosi e filosofici. Si tratta di applicare
una buona volta validi e corretti criteri e strumenti di rilevazione.
In questa nuova realtà, profondamente diversa rispetto a non molto tempo fa, in cui il
cattolicesimo appare eroso dall’esterno dalla secolarizzazione e dall’interno dal vacillare dei
capisaldi dottrinali, sarebbe corretto, nel quadro di un sano esercizio della laicità, cessare di
accordargli l’attuale favore che si rivela scandalosamente sovradimensionato in relazione alla
sua effettiva consistenza sia organizzativa che ideologica. Cominciando ad assegnare alla
CEI la quota dell’8 per mille nella reale misura delle opzioni espresse, e arrivando, chissà
quando, all’abolizione del regime concordatario, autentico obbrobrio civile.
Un gesto di per sé modesto, ma carico di significato simbolico ai fini di testimoniare la laicità
dello Stato, sarebbe quello di non prevedere più nelle cerimonie pubbliche la presenza delle
“autorità religiose”, che sono solamente quelle cattoliche, discriminando tutte le altre, e di
cancellare le parti relative del decreto del presidente del consiglio dei ministri del 14 aprile
2006. Nei posti riservati alle autorità il cittadino italiano non cattolico ha il diritto di non vedere
personalità che per lui non rappresentano alcuna autorità.
2205 – GB: AGGIORNAMENTO DELLA LEGGE PER IL SUICIDIO ASSISTITO
da: The Guardian drel 2 agosto 2011 - Traduzione per L.U. di Alberto Bonfiglioli
La legge britannica sul suicidio, stabilita nel 1961 dal Suicide Act, ha 50 anni. Sembrava
allora progressista perché depenalizzava il tentato suicidio. Tuttavia, introduceva anche il
reato di assistenza al suicidio, con condanne sino a 14 anni di carcere. La legge riconosceva
però che non sempre il prolungamento della vita sia la cosa migliore per il paziente e che i
medici non sono obbligati a trattamenti ritenuti inutili. Infatti, il “Mental Capacity Act “del 2005
ha riconosciuto agli adulti capaci di intendere e di volere il diritto di rifiutare trattamenti medici
per il prolungamento della loro vita, compreso il diritto di dichiarare in anticipo il loro rifiuto.
Inoltre, i medici possono decidere d’interrompere tali trattamenti senza il consenso del
paziente negli ultimi giorni o settimane di vita. Più di recente, il direttore dell’ufficio della
procura Generale del Regno Unito ha emanato le linee guida per le condanne nel caso di
assistenza al suicidio, secondo le quali una persona che fornisce tale assistenza potrebbe
non essere perseguita se si riconosce che ha proceduto per compassione senza alcun altro
tipo d’interesse. In altre parole, la pratica medica e l’applicazione della legge hanno sostituito
in certa misura l’incapacità del Parlamento di aggiornare la Suicide Act 1961.
Una tal evoluzione delle pratiche mediche e legali è comunque meglio della mancanza di
scelte, ma non può essere considerata sostitutiva di una legge aggiornata che permetta ai
malati terminali adulti e capaci di intendere e di volere di scegliere una morte medicalmente
assistita, senza implicazioni penali per chi fornisce questo tipo di assistenza. Siamo arrivati a
questo punto perché i parlamentari sembrano intimoriti dalla reazione di una minoranza molto
attiva che si oppone al cambiamento. Tuttavia, come l’evoluzione di altre istanze istituzionali
lo dimostra, non dovrebbe essere impossibile per il Parlamento emanare leggi che senza
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danneggiare quelli che desiderino prolungare il fine della loro vita, rispetti la scelta di coloro
che vogliono mettere fine alle loro sofferenze.
Sarah Wootton, Presidente esecutivo Dignity in Dying
2206 - FRANCIA: UN FRANCESE SU DUE FAVOREVOLE ALL’ EUTANASIA
da: Aduc salute n. 33-34 del 23.8.2011
Un francese su due favorevole all'eutanasia attiva, mentre il 45% la considera una soluzione
accettabile solo in alcuni casi. Sono i dati di un sondaggio realizzato Oltralpe dall'istituto Ifop
per il quotidiano 'Sud Ouest', per valutare l'orientamento dell'opinione pubblica, “agitata” dal
dibattito sul tema riaperto dal caso di un medico dell'ospedale di Bayonne, Nicolas
Bonnemaison, sotto accusa per aver praticato illegalmente l'eutanasia su almeno cinque
pazienti anziani.
La vicenda, ancora non del tutto chiara, ha fatto molto discutere e in poco tempo Bonnemaison è sotto accusa dal 12 agosto - è nato un vasto gruppo di sostegno al medico su
Internet. I dati del sondaggio mostrano che la maggioranza dei francesi considera
positivamente una legge a favore dell'eutanasia attiva, con un balzo in avanti rispetto al 2010
quando solo il 36% era assolutamente favorevole alla 'dolce morte' (contro il 49% di oggi): un
aumento di 13 punti percentuali in 10 mesi. Più favorevoli le persone tra i 50 e i 64 anni
(56%), mentre hanno maggiori riserve gli under 35 (41%).
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2207 - GALILEO: NON BASTA GUARDARE… - DA WWW.RELIGIONSFREE.ORG
2208 - LE VIGNETTE DI VIRUS – GHEDDAFI DEVE ARRENDERSI…
2209 - LE VIGNETTE DE L’UNITA’ – BERLUSCONI NEL BUNKER
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il punto - Centro Studi Calamandrei