Maestri Nives e Giovanni Orsetti:
relazione per l’intitolazione
dell’aula policroma
della Scuola Primaria “IV Novembre”.
6 Dicembre 2007
Ho conosciuto personalmente il maestro Giovanni Orsetti nell’ottobre ’76, quando ho
preso servizio al 2° circolo; allora insegnava nella scuola di via Verga. Comunque già ne
avevo sentito parlare, quando ero direttore a Caorle, perché in quegli anni una delle case
editrici, più importanti a livello nazionale nel campo della pedagogia e della didattica,
LA SCUOLA DI BRESCIA aveva pubblicato “SASSI DOLCI”, a nome di Nives Orsetti.
Di quando gliene ho parlato e mi sono congratulato con lui, ricordo ancora una sua frase:
“Io sono il braccio, mia moglie è la mente; lei mette le idee e io il lavoro tipografico”.
D’altra parte nell’introduzione al testo l’autrice scrive “Per mia fortuna ho sposato un
maestro, e la mia ricerca è stata più facile, in quanto l’abbiamo continuata assieme”.
C’era quindi tra loro una comunità di intenti, di letture, di riflessioni sul lavoro e di
esperienze. Dire che la loro era una vita dedicata all’insegnamento non è una frase
retorica.
Allora c’era l’insegnante unico e quindi ognuno a
scuola aveva una sua classe, lui a Villastorta e lei a
Concordia, ma anche a casa, almeno per un certo
periodo, si può dire che avevano una pluriclasse: 6
figli a distanza ravvicinata. Cito anche questo, per
non fare una battuta, ma perché nelle loro
pubblicazioni vengono spesso citati i figli come
fonte di intuizioni, riflessioni e spunti.
“SASSI DOLCI” è un testo tecnico, racconta
l’esperienza dell’applicazione del metodo globale
per l’insegnamento della lettura e scrittura nella classe prima.
I “sassi dolci” sono i confetti che la maestra ha portato a scuola per far scaturire dagli
alunni la prima frase, motivata da un’esperienza fatta assieme, come prevede il metodo.
Dopo qualche anno la stessa casa editrice pubblicò un altro loro testo: “SASSI AMARI”,
sempre frutto di letture ed esperienze dirette, questa volta sulle possibili tecniche di
recupero ortografico.
I “sassi amari”, penso si riferiscano metaforicamente agli insuccessi degli insegnanti,
quando scoprono che una parte degli alunni continua a riempire con errori di ortografia e
sintassi i testi anche nel 2° ciclo. Nella premessa si racconta invece che l’espressione
sassi amari sia una frase pronunciata dal loro figlio Stefano, quando in gita sulla
spiaggia di Rovigno, aveva messo in bocca dei sassi e li trovati amari per la salsedine.
Però avendo conosciuto, in parte, le vicende della loro vita penso che l’aggettivo
“amari” sia anche introspettivo e profondamente personale, derivato dall’esperienza
dell’esilio. Difatti sia Giovanni che Nives erano nati in Istria ed erano stati costretti ad
andarsene con tanta amarezza.
Lui era nato proprio a Rovigno e aveva frequentato la scuola magistrale a Pola; lì aveva
avuto le prime esperienze professionali nell’immediato dopoguerra, infatti aveva
insegnato per tre anni italiano, disegno e scienze nel locale liceo ginnasio e nell’annessa
scuola professionale.
Lasciata l’Istria, nel 50 si è trasferito a
Milano, dove ha insegnato per due anni
come maestro di scuola elementare.
Nell’anno scolastico ‘52/’53 è andato ad
insegnare nel cividalese, nella scuoletta
Tarpana-Platischis.
Nell’ottobre ’53 entra in ruolo e va ad
insegnare nella scuola di Concordia
Sagittaria, dove resta fino al ’61 quando si
trasferisce a Villastorta, dove poi ha
lavorato fino alla pensione, maturata
nell’’88, dopo ben 42 anni di servizio effettivo.
Ritornando alle pubblicazioni, sempre la “SCUOLA DI BRESCIA” ha stampato, questa
volta a nome di tutti e due, un terzo testo intitolato “…PERCHE’ NESSUNO SI
PERDA”. Questa è proprio la frase simbolica, che la commissione per l’intitolazione
dell’aula ha scelto di incidere come motto nella targa di dedica.
Anche da questo libretto si deducono che i loro sforzi nell’insegnamento non erano volti
solo all’acquisizione di capacità, che possiamo definire tecniche, ma anche e soprattutto
denotano l’attenzione alle persone, ovvero a tutti i bambini che hanno frequentato le loro
classi, nessuno escluso.
A questo proposito per quanto riguarda il maestro debbo ricordare che quando
nell’ottobre ’76 è stata chiusa la scuola sociopedagogica di Portogruaro, ovvero la scuola
speciale per alunni portatori di handicap e quindi
ci si trovava nella necessità di inserire nelle scuole
comuni anche quegli alunni prima separati, la
commissione, che doveva trovare soluzioni
possibili, ha scelto la nostra scuola di Villastorta e
la sua classe per l’inserimento di un alunno
“cerebroleso”. È stato, a quanto mi risulta, il
primo inserimento di un alunno “grave” nel
distretto di Portogruaro.
Ora è un fatto ormai acquisito che tutti gli alunni frequentino la scuola comune con i
necessari appoggi, allora c’era incertezza, preoccupazione e diffidenza sia nell’ambiente
magistrale, sia soprattutto nei genitori, alcuni dei quali erano venuti dal sottoscritto a
minacciare denunce per eventuali possibili danni subiti dai loro figli.
Il maestro ha tenuto questo alunno nella sua classe, insieme agli altri venti, per tre anni,
fino alla classe quinta, con capacità, pazienza, intuizione e senza creare allarmi. Questo
inserimento è servito come esperienza per i casi successivi.
Naturalmente gli è costato tanto impegno e stress, ma li ha tenuti per sé; solo quando i
genitori dell’alunno in questione, che avevano paura del passaggio della scuola media e
insistevano per mantenerlo nella sua classe, è venuto a dirmi “mi pare che abbia fatto
abbastanza… mi vogliono morto…”.
Per quanto riguarda la maestra Orsetti debbo dire che non l’ho mai avuta alle mie
dipendenze, perché ha sempre insegnato a Concordia, dall’assunzione in ruolo alla
pensione, avvenuta contemporaneamente al marito. Però posso ricordare che l’ho
chiamata a tenere lezioni di didattica della lingua ai maestri di nuovo nomina, quando il
Provveditorato agli Studi mi ha incaricato di organizzare l’apposito corso di
preparazione della durata di quaranta ore nel Portogruarese.
Inoltre ricordo di aver visto ed apprezzato dei libretti, stampati artigianalmente col
ciclostile, relativi a ricerche ed esperienze sull’ambiente locale; ma di questo e di altro
lascio la parola all’ex collega e insegnante, la signora Claut.
Dott. Marcello Vicari
In ricordo della collega Sig. Nives Chelleris Orsetti
E’ un vero piacere per me e per noi che siamo state sue colleghe dell’ultimo periodo di
insegnamento, averla conosciuta ed incontrata da vicino, condividendo idee, progetti ed
esperienze.
Di Nives possiamo ricordare tanto: il suo sorriso accogliente con tutti; il suo rispetto per
ogni persona grande e piccola; il suo stupore di fronte ad ogni cosa, mai banale per lei,
da una foglia autunnale che cade ad un’erba spontanea del prato….
E quella sua giovinezza interiore che la faceva sempre mettersi in gioco e cercare nuove
strade e soluzioni, progettando scrupolosamente, verificando di volta in volta e “ad
personam”, incoraggiando negli insuccessi e valorizzando ogni dettaglio e progresso,
rischiando la novità.
E quella sua giovinezza interiore che la
faceva sempre mettersi in gioco e cercare
nuove strade e soluzioni, progettando
In lei erano sempre presenti la Storia e la
sua storia, in un confronto costante con il
presente vissuto ed esplorato ed ogni
scoperta era condivisa con i colleghi che si
volessero confrontare, mai gelosa di quelli
più giovani ed inesperti.
Non faceva mistero a noi anche dei suoi
affetti e delle sue nostalgie, dal rimpianto
mare di Strùgnan, alle gioie familiari per figli e nipoti, il tutto profondamente condiviso
con “Gianni”, con il quale, credo, si contassero anche i capelli del capo! (permettete la
battuta!) Questi pochi pensieri non sono retorica per un ricordo, ma una vera
testimonianza di stima professionale e di affetto umano per una persona davvero
speciale, da chi l’ha avuta vicino anche se per breve tempo.
Grazie Nives per quello che sei stata e che ci hai lasciato!
I colleghi di Concordia
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