Angelo Comastri
Benedetta Bianchi Porro
DIO MI AMA
Il Quaderno contiene, con un titolo redazionale,
la meditazione del Cardinale Angelo Comastri
pubblicata su “l’annuncio” di marzo 1989
ed una sua preghiera per ottenere delle grazie
con l’intercessione di Benedetta.
In copertina:
ALIZA MANDEL, Journey into Light [Viaggio nella luce]
acrilico 2007, particolarea e
Layout:
Roberta e Gianfranco AmatiGianfranco Amati
© 2008
Fondazione Benedetta Bianchi Porro
Associazione per Benedetta Bianchi Porro - ONLUS
Angelo Comastri
Benedetta Bianchi Porro
Dio mi ama
Quaderni di Benedetta 2
Proprio a Nazareth, nel suo paese,
in un giorno di festa, in un’ora di
preghiera, esplose il contrasto fra
le vie di Dio e le vie dell’uomo, le
scelte di Dio e le scelte dell’uomo
e questo contrasto attraversa tutta la storia e talvolta lo sentiamo
bollire anche dentro di noi.
Per gli abitanti di Nazareth il problema era la salute e volevano il
miracolo per la salute dell’oggi; per Cristo il problema è
la salvezza. Gli abitanti di Nazareth volevano il miracolo
come segno di potere, Cristo invece si presenta povero
di potere. Lo scontro era inevitabile, perché Dio non è
una miniera da sfruttare, Dio è un mare in cui dobbiamo
gettarci con umiltà e lodare. Gli abitanti di Nazareth non
vollero capirlo e rifiutarono Cristo; non riconobbero l’ora
di Dio, e Cristo non affrontò la loro incredulità con la
forza dell’onnipotenza, rispose all’incredulità con la pazienza che divenne passione, e perché?
Noi portiamo nel mondo l’amore!
Nel celebre romanzo «Quo vadis?» l’autore immagina un
dialogo tra il protagonista Vinicio, ancora non-cristiano,
e l’apostolo Pietro.
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Vinicio, stupito davanti ai primi e umili passi del cristianesimo, domanda all’apostolo: «Dimmi! La Grecia ha
portato nel mondo il culto della bellezza e la sapienza;
Roma ha portato nel mondo il diritto; ma voi cristiani,
che cosa portate nel mondo?». Pietro, senza indugio,
risponde: «Noi portiamo nel mondo l’Amore!».
La novità del cristianesimo sta proprio qui ed è una
novità che riemerge in ogni vero cristiano: riemerge
quindi anche in Benedetta.
Sì, Benedetta con la sua vita ha acceso una luce per
farci vedere la verità centrale del cristianesimo; per questo anche lei poteva dire e può oggi ripetere: «Noi cristiani portiamo nel mondo l’Amore!».
Il cristianesimo infatti nasce da una notizia, che mette in
crisi la nostra piccola logica umana; il cristianesimo
nasce da una notizia che illumina tutte le notizie della
storia, che altrimenti restano incomprensibili. E la notizia è questa: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il
Suo Figlio» (Gv 3,16).
Dio è amore
Per noi cristiani la risposta di Dio ai nostri problemi non
è e non sarà mai una risposta teorica: Dio ci risponde
con un fatto; ci risponde con un gesto di amore che Gli
costa il prezzo di una Croce: «Dio ha tanto amato da
dare...».
Perché Dio agisce così? La spiegazione si può pronunciare soltanto tremando di emozione e di stupore: Dio
agisce così, perché «Dio è amore» (1 Gv 4,8).
Oh, quali orizzonti si aprono davanti a questa verità! E
quanti pensieri su Dio vanno radicalmente corretti!
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Infatti se Dio è Amore, «l’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza dell’Amore: è l’Amore che è onnipotente.
Talvolta si dice: Dio può tutto! No, Dio non può tutto.
Dio può soltanto ciò che l’Amore può, perché Egli non
è altro che Amore. E tutte le volte che usciamo dalla
sfera dell’amore, ci inganniamo su Dio e stiamo
costruendoci qualche Giove...
In Dio non esiste altra potenza all’infuori della potenza
dell’Amore e Gesù ci dice (Lui, che ci rivela chi è Dio):
«Nessuno ha un Amore più grande di questo: dare la vita
per i propri amici» (Gv. 15,13), Gesù ci rivela l’onnipotenza dell’Amore accettando di morire per noi.
Quando Gesù è stato preso dai soldati, legato, incatenato nell’orto degli ulivi, ci dice Egli stesso che avrebbe
potuto fare appello a legioni di angeli che l’avrebbero
strappato dalle mani dei soldati. Ma si è guardato bene
dal farlo, perché in quel modo ci avrebbe rivelato un
falso Dio, ci avrebbe rivelato un onnipotente invece di rivelarci il vero Dio, Colui che arriva fino a dar la vita per
i propri amici.
La morte di Cristo ci rivela la qualità dell’onnipotenza di
Dio: non è un’onnipotenza di dominio, di sopraffazione...
No, Dio non è altro che Amore» (F. Varillon, Gioia di credere di vivere, Dehoniane, Bologna 1986, pag. 29).
Questa notizia è così centrale nel cristianesimo da poter
dire che è il cristianesimo stesso; però questa notizia è
anche così al di sopra della nostra visuale umana, che
noi stessi cristiani spesso la combattiamo perché ci
impegna ad un totale cambiamento di rotta: ci impegna
alla metanoia, alla conversione.
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La santità inizia con un atto di umiltà
Da questa verità nasce la novità della santità cristiana: se
Dio è Amore, il santo nel cristianesimo non è tanto colui
che ama Dio ma è soprattutto colui che si lascia amare da
Dio. L’Amore di Dio è prima del nostro: il nostro amore è
sempre e solo risposta; il nostro amore è «lasciarci amare»
da Dio, affinché l’Amore di Dio passi in noi e diventi Vita
nostra, Vita in noi, Carità in noi, Dio in noi.
Del resto l’apostolo Giovanni aveva acutamente osservato: «In questo sta l’Amore: non siamo stati noi ad
amare Dio, ma è Lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). E
ancora: «Noi amiamo, perché Egli ci ha amati per primo» (1 Gv 4,19).
Ma se la santità consiste nel lasciarsi amare da Dio, allora la santità inizia e può iniziare soltanto con un atto di
umiltà: infatti solo chi ha vinto l’orgoglio, ha spazio interiore per accogliere Dio.
L’aveva capito Benedetta, che annotò nei suoi Pensieri:
«L’umiltà è la chiave del Cielo» (1962); e ancora: «L’umiltà
e la semplicità sono le scale per salire a Dio» (1961).
E, in una sua lettera, basandosi sicuramente sull’esperienza personale, afferma: «Ci vuole umiltà, cioè riconoscersi poveri, per riconoscere la verità e per chiedere» (a
Nicoletta, 20 giugno 1962).
Del resto Gesù aveva esclamato: «Ti benedico, o Padre,
Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
Soltanto coloro che hanno messo l’orgoglio sotto i piedi
(per usare un’espressione cara a Papa Giovanni XXIII)
sono capaci di aprirsi a Dio e accogliere il Suo Amore.
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Ho trovato che Dio esiste ed è amore
Cerchiamo allora di vedere se e come Benedetta ha scoperto che Dio è Amore e se e come si è lasciata coinvolgere in questo amore. Vediamo se in lei si è compiuta la
preghiera di Gesù: «Padre, io ho fatto conoscere loro il tuo
nome e lo farò conoscere ancora, perché l’amore con il
quale mi hai amato sia in essi ed io in loro» (Gv 17,26).
Diciamo subito che Benedetta è arrivata lentamente alla
scoperta che Dio è Amore, ma ne ha tirato tutte le conseguenze lottando tenacemente per giungere a «vivere
lasciando che il senso della nostra vita lo sappia e lo
conosca solo Lui» (a Padre Gabriele, luglio 1963).
Vediamo le tappe del cammino di Benedetta verso l’incontro con Dio-Amore.
Nel 1953 Benedetta scrive nel suo Diario: «...gli occhi
sono pieni di luce e di pianto». «Luce e pianto» sono la
sintesi della vita umana: la vita è veramente fatta di
gioia e di dolore, di meraviglia e di patimento. Benedetta
con il suo animo sensibilissimo coglie la bellezza della
vita, ma avverte anche il dramma pungente di una malattia che sembra spegnere per lei ogni speranza.
Sempre nel 1953 scrive all’amica Anna: «Sono assetata
di pace e desidero abbandonare le onde del mare per
rifugiarmi nella quiete di un porto. Ma la mia barca è fragile, le mie vele sono squarciate dal fulmine, i remi spezzati e la corrente mi trascina lontano».
Dove troverà Benedetta il porto per la fragile barca della
sua vita?
Scrive ancora all’amica Anna: «Il lago è grigio, il cielo è
nebbioso; talvolta sento gli occhi pieni di lacrime e il
pianto che mi chiude la gola: non so se sia il freddo o i
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ricordi. Sai, Anna, mi sembra di essere in una palude
infinita e monotona e di sprofondare lentamente, lentamente...».
Troverà Benedetta qualcosa o qualcuno cui potersi
aggrappare per non sprofondare?
Sì! Ad un certo punto accade qualcosa nella vita di
Benedetta: e tutto cambia e tutto si illumina.
Nel 1961 scrive alla mamma: «Quanto a me sto come
sempre. Ma da quando so che c’è Chi mi guarda lottare
cerco di farmi forte: Com’è bello così, mammina! Io
credo all’Amore disceso dal Cielo, a Gesù Cristo e alla
Sua croce gloriosa. Sì io credo all’Amore!».
A Benedetta ormai è arrivata la buona notizia che Dio è
Amore e la vita di Benedetta cambia radicalmente.
Fede, luce nel dolore
Ella ha trovato il porto che cercava, ha trovato la mano
calda di Dio e vi si è aggrappata con fiducia assoluta.
La fede di Benedetta è lucida: «Mamma, io credo all’Amore!».
Questa fede, d’ora in poi, sarà per lei il criterio per leggere i fatti della vita; questa fede sarà la luce nel dolore,
anzi sarà il contenuto del suo dolore, perché lentamente il dolore in lei diventerà «via» dell’amore.
Scriverà nel suo Diario: «Basta credere per vedere tutto
in un’altra morbida luce» (1962). E ancora: «Nelle mani
di Dio anche le cose più insignificanti possono diventare la nostra cometa» (1962).
Sì, l’Amore di Dio sarà la cometa, che guiderà tutta la
vita di Benedetta e renderà grande ogni suo momento:
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«L’amore è un concime che rende fertile ogni terra»
(1961). Dal momento della scoperta che Dio è Amore,
la vita di Benedetta è come unificata: rassomiglia ad un
fiume impetuoso, che finalmente trova il suo alveo e
cammina dolcemente verso l’oceano. Nell’estate del
1963, quando soltanto pochi mesi la separano dall’Incontro faccia a faccia con Dio, ella può confidare a
Natalino il canto che riempie il suo silenzio: «Natalino
– gli dice – anch’io come te, ho ventisei anni e sono
inferma da tempo. Un morbo mi ha atrofizzata, quando
stavo per coronare i miei lunghi anni di studio: ero laureanda in medicina a Milano».
Benedetta ha un’incrollabile certezza
Benedetta è consapevole della sua situazione, ma nel
suo cuore ormai c’è una certezza, c’è una Roccia che
sostiene il peso di tutto il suo dolore: per questo con una
tranquillità, che stupisce noi gente di poca fede, può dire
a Natalino: «Fino a tre mesi fa godevo ancora della vista;
ora è notte. Però nel mio calvario non sono disperata. Io
so che in fondo alla via, Gesù mi aspetta».
Benedetta ha la stessa certezza incrollabile che un giorno fece dire a San Paolo: «So in Chi ho creduto» (2 Tim
1,12).
Per questo torna a focalizzare il centro della sua vita, il
punto di Archimede che solleva la sua Croce e confida:
«Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora,
ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia,
certezza fino alla consumazione dei secoli».
Il centro del cristianesimo diventa il centro della vita di
Benedetta, il cuore del cristianesimo diventa il cuore
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della vita di Benedetta: «Ho trovato che Dio esiste ed è
Amore!».
Dobbiamo assolutamente dimenticarci
Come e quando Benedetta ha incontrato Dio e ha creduto nel Suo Amore?
C’è stato, nella sua vita, un momento straordinario che
ha improvvisamente capovolto il suo mondo interiore?
Dagli scritti di Benedetta e dalle testimonianze di coloro
che l’hanno accompagnata nel viaggio della vita non si
arriva a stabilire l’esistenza di questo momento.
È probabile allora che Benedetta sia giunta alla scoperta di Dio-Amore, camminando umilmente nella strada
quotidiana dell’amore del prossimo.
Infatti è documentata la sua straordinaria sensibilità verso gli altri; è documentata la sua attenzione verso il
prossimo e la sua preoccupazione di non far soffrire nessuno; è documentata la sua mitezza che la portava a
interpretare sempre in positivo il comportamento degli
altri; è documentato il suo desiderio di «vivere, lottare e
sacrificarsi per tutti gli uomini», è documentata la sua
straordinaria capacità di perdonare sempre e tutti.
Tra i tanti episodi della vita di Benedetta, prendiamone
uno del 1955.
Questo episodio è significativo ed è rivelatore di uno
stato d’animo di profonda umiltà: quell’umiltà che permette a Dio di nascere e di manifestarsi.
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Benedetta fa dono di sé
Ecco il fatto. Benedetta ha 19 anni e la malattia è ancora all’inizio; durante l’esame fondamentale del primo
biennio, ella confida al professore la sua sordità e chiede gentilmente che le domande le vengano presentate
per iscritto.
Richiesta legittima.
Ma la risposta del professore è un vero fulmine per
Benedetta: ella vede il docente che, urlando, scaglia il
libretto universitario verso la porta; vede il sorriso divertito degli universitari in aula; avverte un grande imbarazzo e certamente sente la pungente amarezza dell’ingiusta umiliazione.... Eppure è prontamente capace di dire:
«Scusi, professore, non volevo offenderla».
Ci vuole eroismo per parlare così, ci vuole un atteggiamento interiore di assoluta vittoria su se stessi. Benedetta, nel 1955, già viveva quello che scriverà all’amica
Franci, molti anni dopo: «Vorrei... essere buona e remissiva, dolce e serena, e riuscire completamente a dimenticarmi per ascoltare solo il miracolo della Sua Luce» (a
Franci, 22 aprile 1963). Benedetta, nel 1955, già camminava decisamente sulla strada che porta a Dio: la
strada di Betlemme.
In seguito dirà: «Noi dobbiamo assolutamente dimenticarci per condividere il dolore degli altri. E in questo
modo si ha pace in terra» (a M. Grazia, 19 settembre
1963).
Ha osservato Kiko Argüello: «Non si è cristiani perché si
prega molto: anche i musulmani lo fanno e non sono cristiani. Non si è cristiani perché si fa una vita ascetica,
perché anche i buddisti sono ascetici, ma non sono cri13
stiani. Si è cristiani quando e perché si ama il proprio
nemico». Benedetta, secondo questo criterio, è stata
profondamente ed eroicamente cristiana, perché ella ha
vissuto fino in fondo il desiderio della sua anima: «Vorrei
completamente dimenticarmi». E così ha incontrato Dio:
ha incontrato Colui che dimentica se stesso, al punto da
non poter vivere più per sé, al punto da essere «dono di
sé» all’infinito.
Anche Santa Teresa di Lisieux, una santa che Benedetta
prediligeva perché la sentiva tanto vicina a sé, ha percorso la stessa strada di Benedetta per incontrare il
Signore.
Nei Manoscritti Autobiografici (noti come «Storia di
un’anima») Santa Teresa racconta che, nel Natale del
1886, una circostanza inattesa, fece cambiare completamente la sua vita. Tornata dalla Messa di mezzanotte,
Teresa aspettava il momento felice della scoperta dei
regali collocati attorno al camino, «ma il babbo provò
fastidio nel vedere le mie scarpe sul camino e disse queste parole che mi trapassarono il cuore: “Fortuna che è
l’ultimo anno...”».
Se il chicco non muore
Teresa lotta per vincere la sua sensibilità ferita e riesce
a far fiorire un atto di squisita umiltà: «Ricacciando le
lacrime, scesi rapidamente le scale e comprimendo i
battiti del cuore presi le scarpette, le posai davanti a
papà e allegramente ne trassi fuori tutti gli oggetti, con
l’espressione di felicità di una regina. Papà rideva, ritornato allegro anche lui, e Celina credeva di sognare!».
Ed ecco la conclusione stupenda, annotata puntualmente da Santa Teresa: «In quella notte luminosa incominciò
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il periodo più bello della mia vita... Sentii la CARITÀ
entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticare me stessa
per far piacere agli altri, e da allora fui felice».
Benedetta potrebbe aggiungere: «Io so che bisogna vivere per condividere la morte degli altri e so soprattutto
che bisogna morire per aiutare gli altri a vivere. Se il
chicco caduto in terra non muore, non darà pane e
pace» (a Sofia, 19 settembre 1963).
Per questa via Benedetta ha incontrato il Signore, perché la distanza tra noi e Dio è una distanza di atteggiamenti interiori, così come la vicinanza tra noi e Dio
nasce da una comunione dì atteggiamenti interiori.
L’umiltà ha aperto il cuore di Benedetta
Possiamo allora dire con certezza, che l’umiltà ha aperto il cuore di Benedetta all’amore del prossimo: solo gli
umili infatti sanno amare gli altri, perché gli umili hanno
posto nel cuore; gli orgogliosi invece non possono
amare nessuno, perché non hanno posto per nessuno
nel loro cuore. Amando il prossimo, Benedetta ha avuto
la felice sorpresa di incontrare Dio, perché Dio è Amore.
Vengono in mente le celebri parole incise su un albero
da uno sconosciuto prigioniero, nel tristemente famoso
lager sul fiume Kwai: «Ho cercato Dio, ma non l’ho trovato; ho cercato la mia anima, ma non l’ho trovata; ho
cercato i fratelli ed ho trovato Dio e la mia anima».
Oh, quanto Benedetta avrebbe da parlarci e da raccontarci sulla verità di queste parole!
Del resto, già l’apostolo Giovanni aveva scritto per noi:
«Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi
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non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è Amore»
(1 Gv 4,7).
E Pascal fa eco a queste ispirate parole, dicendo: «Il cuore
ha le sue ragioni che la ragione non conosce: lo vediamo
in mille cose» (Pensieri, Paoline Roma 1979, n. 277).
E con maggiore chiarezza: «Il cuore e non la ragione,
sente Dio. Questa è la fede: Dio sensibile al cuore e non
alla ragione» (Ivi, n. 278).
La carità è abitare negli altri
Viene ora una legittima domanda: la scoperta e l’incontro con Dio-Amore, quali reazioni producono nell’animo
e nella vita di Benedetta?
Il primo incantevole frutto è la serenità, che Benedetta,
lottando, conserverà per tutto il suo viaggio in mezzo al
dolore. Puntualmente, ancora una volta, si avverano per
lei le parole dell’apostolo Giovanni: «Nell’amore non c’è
timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore»
(1 Gv 4,18).
Così Benedetta scrive a Maria Grazia: «Quanto a me,
faccio la vita di sempre; pure mi sembra così completa!... È però vero che la vita in sè e per sé mi sembra un
miracolo e vorrei poter innalzare sempre un inno di lode
a Chi me l’ha data; come vorrei farti capire quello che
provo!» (21 febbraio 1960).
Perché questa gioia di vivere?
Da Sirmione scrive ancora a Maria Grazia il 17 dicembre 1963: «Io penso che il Natale, quasi sicuramente, lo
farò qui. A Milano verrò dopo, se il babbo mi ci porterà
con la macchina e se le strade saranno praticabili. Ma io
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non chiedo nulla: solo quello che Dio vorrà da me. ...Io
sto bene; ...Dio mi ama».
«Brancolo nel buio e ho la luce dentro»
Da questa certezza nasce la serenità. Evidentemente
Benedetta conosce la lotta, conosce la prova, conosce il
deserto; sa che le nuvole possono oscurare il sole, ma
non possono spegnerlo.
Sempre da Sirmione scrive all’amica Franci: «Nella tristezza della mia sordità e nella più buia delle mie solitudini, ho cercato con la volontà di essere serena per far
fiorire il mio dolore; e cerco con la volontà di riuscire ad
essere come Lui vuole: piccola, piccola, come mi sento
sinceramente quando riesco a vedere la Sua interminabile grandezza nella notte buia dei miei faticosi giorni»
(22 aprile 1963).
E pochi mesi dopo, nell’estate del 1963, racconta l’angoscia che talvolta attraversa la sua anima, ma senza
sconfiggerla: «Sono in certi istanti sbalestrata, senza sostegno, come in una scala traballante senza appoggio,
vagando e non riuscendo più a salire.
Eppure lo voglio... Brancolo nel buio e ho la luce dentro,
non posso balbettare ed ho infinite cose, dolcissime, da
comunicare con Lui.
Mi domando spaventata com’è terribile avere solo paura
di perdere Dio. E questo mi è accaduto, solo la paura!».
Di che cosa ha paura Benedetta?
Forse sono nubi di dubbio, momenti di stanchezza; sono
istanti nei quali Benedetta non vede più limpidamente il
sole dell’amore di Dio: e soffre!
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Santa Teresa di Lisieux provò questi momenti addirittura negli ultimi mesi della sua vita, ma li superò e riuscì
ad esclamare felice: «Non mi pento di essermi abbandonata all’Amore!».
Dio mi aiuterà perché sa che esisto
Anche Benedetta esclama: «Dentro di me ho sentito
ancora la voce del Padre. Assetata sono corsa a farmi
confortare. Era lui. L’ho risentito! L’ho ritrovato, Franci,
che sollievo! Con Lui mi sento di poter camminare
lontano, in capo al mondo, se Lui vorrà» (a Franci, estate 1963).
La sua serenità si nutre continuamente di fede e di speranza, mentre l’amore va già al di là della fede e della
speranza. Il 10 giugno 1963, in attesa di partire per
Lourdes, scrive all’amica Franci: «Vado ad attingere
forza dalla Mamma celeste, poiché non so abituarmi,
come vorrei, a vivere felicemente nel buio, nell’attesa di
una luce più viva e più calda del sole! Ma Dio mi aiuterà, perché sa che io esisto».
In queste splendide parole ci sono il dolore e la speranza che si combattono dentro l’anima di Benedetta; ci
sono la ferita e il conforto, la passione e la pasqua: «Dio
mi aiuterà, perché sa che io esisto».
E così Benedetta cammina, stringendo con la mano il
lembo di una incrollabile serenità.
Ma la scoperta dell’amore di Dio fa sbocciare nella vita
di Benedetta un secondo incantevole fiore.
Dice lei stessa: «Se si ama l’Amore, si finisce per vivere
di Amore» (Pensieri 1962).
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In queste parole c’è l’itinerario semplice e immenso
della santità di Benedetta: entrando in comunione con
Dio, comincia a vivere la misericordia di Dio, comincia
a vivere il desiderio di salvezza che prova Dio, comincia
a vivere la passione della redenzione dei fratelli.
E così il suo desiderio sarà uno solo: «abitare negli altri»
(Pensieri, 1962).
Sì, abitare!
Il suo dolore diventa carità
La carità infatti non è un momento fugace, non è un
gesto isolato, non è un’emozione passeggera: la carità è
non possedersi più per abitare perennemente negli altri.
Benedetta piega il suo stesso dolore alle esigenze della
carità: anzi il suo dolore diventa carità, perché ella lo
vive per gli altri.
Per questo può tranquillamente dire: «Sono contenta...
di avere sofferto questi anni» (a Nicoletta, 11 ottobre
1963).
E qual è l’orizzonte del dolore di Benedetta? L’orizzonte
sono gli altri, sempre gli altri.
Scrive a Franci: «Il mio compito non è solo quello di
scrutarmi dentro, ma di amare la sofferenza di tutti quelli che vivono o vengono attorno al mio letto, e mi danno e mi domandano l’aiuto di una preghiera» (a Franci,
22 aprile 1963).
Così la sofferenza di Benedetta, attraversata dalla carità, diventa un vero apostolato. Ella può dire: «Dal mio
letto vi seguo tutti, io così inoperosa, e vi tengo vicino al
cuore, sotto le coltri, mentre voi camminate col tempo...
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Vorrei tanto poter essere utile anche a te, mia cara Maria
Grazia» (a Maria Grazia, 16 ottobre 1963).
Ha fatto degli altri la sua dimora
Il cuore di Benedetta cammina per le vie del mondo,
cammina dove camminano i suoi amici. A Padre
Gabriele può garantire: «Io la seguo, quando lei è alle
prese coi suoi lavori di riviste; la seguo quotidianamente nel mio rosario» (a Padre Gabriele, novembre 1963).
Come è bella questa carità! Come è commovente questo «dimenticarsi» per vivere soltanto di dono, dono di
sé!
Benedetta ha fatto degli altri la sua dimora, perché l’amore non può vivere chiuso nel carcere dell’egoismo.
Benedetta guidata dall’umiltà ha incontrato Dio ed ha
scoperto che Dio è Amore; allora, ebbra di gioia, è tornata in mezzo alla vita con il desiderio ardente di condurre tutti all’incontro con Dio, alla festa che è Dio. Per
questo quando si accorge che qualcuno è lontano da
Dio, subito scatta nel suo cuore l’accoglienza generosa
del dramma.
La vicenda di Umberto, così come l’ha vissuta Benedetta, è una prova di quanto ella fosse capace di «abitare negli altri». Appena viene a sapere che Umberto non
crede ed è seriamente ammalato, Benedetta ancora una
volta dimentica se stessa e corre a bussare al cuore del
fratello per far entrare Dio.
Scrive a Maria Grazia: «Ho sentito dello stato di Umberto: non puoi credere che dolore ne ho nel cuore. Gli ho
scritto, non per accontentarti, ma perché sentivo che lo
dovevo fare. Ma come posso farmi comprendere?
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(...) Io non ho le parole che possano aiutarlo, non le
trovo; eppure mi piange il cuore quando so che qualcuno cerca Dio e non vuole riconoscere che Dio già batte
alla sua porta» (a Maria Grazia, 25 luglio 1963).
Benedetta, che grande lezione di vita ci hai dato! Noi facciamo apostolato soltanto quando abbiamo mille assicurazioni e mille gratificazioni e altrettanti tornaconti: per
questo spesso predichiamo noi stessi e non Dio. Tu, invece, dalla Croce hai seminato l’Amore: e così la storia di
Cristo, la storia di Dio ce l’hai resa viva e vicina.
Rivolgendoti direttamente ad Umberto, gli hai fatto sentire l’Amore di Dio, dicendogli: «Caro Umberto, mi permetta di dire così. So che è in ospedale e non sta bene
ed io ho voglia di mandarle gli auguri, dispiaciuta solo di
non poter fare di più, perché vorrei tanto aiutarla. Vorrei
proprio avere la possibilità di illuminarla, perché solo
così lei soffrirebbe meno e avrebbe di conseguenza Io
spirito in pace!».
Quanta delicatezza e quanta bontà in queste semplici
parole!
E continua: «Umberto, lasci che Dio la ritrovi e la tenga
amorevolmente sulle spalle, come dice la parabola della
pecorella smarrita... Il Signore, Umberto, ci è fedele:
sempre! Non ci lascia in nessun momento, Lui, il più
fedele degli amici».
La sua anima è popolata di gente
E perché le parole non sembrino pura teoria, Benedetta
confida ad Umberto la sua personale esperienza: «Se
riguardo il tempo, anch’io ho passato tanti dolori, agitazioni, e nella lotta cercavo Lui – Lui solo – da sempre...
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E Lui è venuto, mi ha consolata, mi ha accarezzata nei
momenti di paura e di dolore più forte, proprio quando
tutto mi pareva crollato, salute, studio, sogni, lavoro...
Come vorrei che lei, Umberto, trovasse un po’ di quella
pace che io posseggo!´» (a Umberto, 24 luglio 1963).
Il mio spirito vivrà tra i miei, tra chi soffre
Umberto trovò un po’ di quella pace che Benedetta desiderava per lui: questo fatto sicuramente accrebbe la
gioia di Benedetta, perché lei viveva per gli altri.
Anche per Ettore Billi, tornato alla Chiesa dopo più di 40
anni di lontananza, Benedetta provò un gaudio immenso. La lettera che gli scrisse documenta ulteriormente
come la sua anima fosse popolata di gente: gente che lei
amava e seguiva teneramente: «Caro Ettore, mi domandavo con quali parole dirti come sono stata felice del tuo
incontro con Cristo...
Mentre Lo ringrazio di te e per te, lascia che ti dica che
vi ho tutti e tre qui nel mio cuore e vi voglio tanto bene.
Vi sono riconoscente. E mi pare ancora, ogni giorno, di
sentirmi chiamare per correre su in campagna, quando
tu e la Rosina mi tenevate per mano là dove la strada
era più faticosa per me! Anche ora, Ettore, saliamo
come allora, e saliamo più in alto. E ci presentiamo in
letizia miti e sereni, anche se nelle nostre mani abbiamo
poco da offrire al Signore.
Ci prenderà così a mani vuote, ma col cuore pieno d’amore per tutti i nostri fratelli nel mondo» (a Ettore, 1963).
Benedetta si sentiva sempre a mani vuote, si sentiva
piccola piccola: per questo Dio la scelse, così come
scelse la piccola Betlemme. Sì, Dio e Benedetta si in22
contrarono e si riconobbero come due persone in perfetta sintonia.
Nel primo viaggio a Lourdes (primavera 1962) c’è un
particolare, che rivela l’umiltà e la carità eroica di Benedetta.
Un’ammalata guarisce improvvisamente durante la preghiera davanti alla Grotta e ricomincia a camminare.
Anche Benedetta desiderava la guarigione ma si abbandona al Signore e fa sua la gioia dell’amica miracolata.
Scrive a Nicoletta: «Eccomi di ritorno da Lourdes... Sono
andata a chiedere la guarigione, ma il criterio di Dio
supera il nostro ed Egli agisce sempre per il nostro
bene... Nel nostro pellegrinaggio c’è stata una miracolata: un’umile ragazza di 22 anni, che da due non camminava. Che bellezza! Ne sono ancora scossa» (a Nicoletta, 6 giugno 1962).
Giunti al termine di questo viaggio dentro il viaggio di
Benedetta, sentiamo che la speranza è entrata dolcemente anche in noi: avvertiamo che una luce si è accesa
nella nostra povera vita.
Sì, pieni di emozione e di stupore possiamo ripetere con
lei: «Io penso che tutto sia come la primavera che sboccia, rifiorisce, profuma, dopo il freddo e il gelo dell’inverno» (a Padre Gabriele, novembre 1963) e «Se sapremo
vivere tutti gli attimi con Dio, tutto sarà incantevolmente stupendo» (ivi).
Benedetta magistralmente ci ha insegnato che «la verità
senza la carità non è Dio, ma un idolo che non bisogna
amare né adorare» (Pascal, Pensieri, Paoline Roma
1979, n. 582).
23
La lezione della sua vita si può sintetizzare con le parole profonde di Helder Camara:
«Tanto povero tu rimarrai finché non avrai scoperto che
non è ad occhi aperti che potrai vedere meglio. Tanto
ingenuo tu rimarrai finché non avrai imparato che, a
bocca chiusa, ci sono dei silenzi più ricchi che la profusione delle parole. Tanto inesperto tu rimarrai finché non
avrai compreso che, a mani giunte, puoi agire molto di
più che agitando le mani, capaci di ferire anche senza
volerlo».
E Benedetta che nella vita terrena scelse di «abitare
negli altri», ora dal cielo certamente continua ad «abitare negli altri»: continua a volerci bene. Ci confortano le
sue parole: «Il mio spirito vivrà, tra i miei, tra chi soffre
e non avrò neppure io sofferto invano» (a Natalino, estate 1963).
Come promise Santa Teresa di Lisieux, noi abbiamo la
certezza che anche Benedetta ora «passa il suo cielo a
fare del bene sulla terra».
24
PREGHIERA
O Signore, commossi Ti ringraziamo
per il dono bello e luminoso
di Benedetta Bianchi Porro.
Attraverso di lei Tu hai seminato
speranza nelle nostre strade
povere di speranza
e ci hai rieducato
al canto della vita.
Solo Tu potevi trasformare
una giovane paralizzata
in una guida capace
di insegnare a camminare:
solo Tu potevi rendere una cieca
mirabilmente esperta
della strada che conduce
alla Luce, alla Pace
e alla Gioia grata e incontenibile.
Signore,
per intercessione di Benedetta
sorella da Te donata
alla nostra povertà di fede,
concedimi la grazia che Ti chiedo
affinché nel cielo della Chiesa
brilli la santità di Benedetta
e susciti in noi nostalgia viva di santità.
Amen.
+ ANGELO COMASTRI
25
BENEDETTA BIANCHI PORRO nacque a Dovadola
(Forlì) l’8 agosto 1936. Nel ’51 si trasferì a Sirmione. Si
manifestarono in questo periodo i primi sintomi di un
grave morbo.
A 17 anni s’iscrisse alla facoltà di Medicina, presso l’Università di Milano. Ebbe inizio allora il suo più duro calvario. Lunghe degenze in cliniche, consulti, interventi
chirurgici, sofferenze, menomazioni, umiliazioni non valsero a farla desistere dal suo sogno di diventare medico.
Inesorabilmente assediata dalla grave malattia, tralasciò
l’università all’ultimo esame. Sorda, totalmente paralizzata, priva d’ogni facoltà sensitiva, divenne, in seguito
all’ultimo intervento, anche cieca. Gli unici mezzi di
comunicazione con il mondo erano un fil di voce e la
sensibilità in una mano, attraverso la quale le venivano
fatti percepire sul corpo e sul volto segni convenzionali.
Benedetta ha spezzato con l’amore la sua solitudine:
crocefissa ha cantato le meraviglie della vita, ha dimenticato se stessa per gli altri, ha vissuto il dolore come
mistero d’amore e fonte di grazia.
A tutti ha donato la speranza. La sua fede ha operato
prodigi. La sua esistenza terrena si chiuse il 23-1-1964
a Sirmione.
Le spoglie mortali di Benedetta sono custodite in un sarcofago nell’Abbazia di S. Andrea a Dovadola (Forlì).
Il processo di beatificazione e di canonizzazione ha
avuto inizio il 25 gennaio 1976 nella Cattedrale di Forlì.
Il 23 dicembre 1993 il Papa Giovanni Paolo II ha approvato il decreto sull’eroicità delle virtù di Benedetta, che
viene dichiarata “Venerabile”.
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PER CONOSCERE BENEDETTA
SIATE NELLA GIOIA - Diari, lettere, pensieri di Benedetta
Bianchi Porro, a cura e con introduzione di David M.
Turoldo - Cesena - «Amici di Benedetta» - Villanova del
Ghebbo (Ro) - pagg. 255.
IL VOLTO DELLA SPERANZA - Note biografiche. Lettere di
Benedetta e lettere di amici a Benedetta. Testimonianze di
amici che l’hanno conosciuta, a cura di Anna Cappelli Cesena - «Amici di Benedetta» - pagg. 480.
OLTRE IL SILENZIO - Note biografiche. Diari e lettere di
Benedetta. Lettere degli Amici a Benedetta. Testimonianze
di chi l’ha conosciuta, a cura di Anna Cappelli - Cesena «Amici di Benedetta» - pagg. 168.
TESTIMONE DI RESURREZIONE - Pensieri di Benedetta disposti seguendo il suo itinerario spirituale, a confronto con
passi della Sacra Scrittura, presentazione di Enrico Galbiati
- Cesena - «Amici di Benedetta» - pagg. 152.
PENSIERI 1961 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo
diario - Forlì - «Amici di Benedetta» - pagg. 180.
PENSIERI 1962 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo
diario - Ravenna - «Amici di Benedetta» - pagg. 200.
BENEDETTA BIANCHI PORRO - I suoi volti - Gli ambienti - I documenti, a cura di P. Antonino Rosso - «Amici di Benedetta»
2006 - pagg. 255.
VIVERE È BELLO - Appunti per una biografia di Benedetta
Bianchi Porro, di Emanuela Ghini, presentazione del Card.
A. Ballestrero - Cesena - «Amici di Benedetta» - pagg. 200.
BENEDETTA - Sintesi biografica a cura di Maria G. Dantoni Stilgraf Cesena - pagg. 32.
27
BENEDETTA di Alma Marani - Stilgraf Cesena - «Amici di Benedetta» - pagg. 48.
BENEDETTA BIANCHI PORRO di Andrea Vena. Biografia autorizzata - Ed. S. Paolo - pagg. 221.
SCRITTI COMPLETI di Benedetta Bianchi Porro, a cura di
Andrea Vena - Ed. San Paolo - pagg. 815.
ABITARE NEGLI ALTRI - Testimonianze di uomini di oggi su
Benedetta, lettere, discorsi, studi, meditazioni - Cesena «Amici di Benedetta» - pagg. 416.
LA STORIA DI BENEDETTA - Narrata ai bambini, di Laura
Vestrucci con illustrazioni di Franco Vignazia - Forlì - «Amici
di Benedetta» - pagg. 66.
DIO ESISTE ED È AMORE - Veglia di preghiera sulla vita di Benedetta di Angelo Comastri - Cesena - «Amici di Benedetta» pagg. 33.
OGGI È LA MIA FESTA - Benedetta Bianchi Porro nel ricordo
della madre, di Carmela Gaini Rebora - Ed. Dehoniane pagg. 144 - Ristampato.
BENEDETTA BIANCHI PORRO - LETTERA VIVENTE - Scritti di
sacerdoti e di religiosi alla luce della parola di Benedetta Cesena - «Amici di Benedetta» - pagg. 256.
BENEDETTA O LA PERCEZIONE DELLA GIOIA - Biografia di
Timothy Holme - Gabrielli Editore, Verona - pagg. 230.
APPROCCIO TEOLOGICO AL MISTERO DI BENEDETTA
BIANCHI PORRO del Card. Giacomo Biffi - Cesena - «Amici
di Benedetta».
BENEDETTA BIANCHI PORRO di Piero Lazzarin, Messaggero di
Sant’Antonio - Padova 2006, pagg. 221.
IL SANTO ROSARIO CON BENEDETTA a cura della Parrocchia di Dovadola.
L’ANELLO NUZIALE - La spiritualità “sponsale” di Benedetta
Bianchi Porro, di E. Giuseppe Mori, Quinto Fabbri - Ed.
Ave, Roma 2004, pagg. 107.
CASSETTA REGISTRATA DELLE LETTERE DI BENEDETTA a
cura degli «Amici di Benedetta».
28
CARO LIBRO - Diario di Benedetta, illustrato con 40 tavole a
colori dagli alunni di una IV elementare di Lugo (Ra) con
presentazione di Carlo Carretto e Vittorio Messori - pagg. 48
formato 34x49 - Ed. Morcelliana.
LETTERA A NATALINO di Benedetta Bianchi Porro. Illustrazioni
di Roberta Bössmann Amati, pp. 24 - Ed. Stilgraf Cesena.
ERO DI SENTINELLA di Corrado Bianchi Porro. La lettera di
Benedetta nascosta in un libro - Ed. S. Paolo.
FILMATO SU BENEDETTA (documentario) in videocassetta.
DVD BENEDETTA BIANCHI PORRO - Testimonianze (filmato
in Dvd).
L’ANNUNCIO - semestrale a cura degli «Amici di Benedetta».
Postulatore della Causa di Beatificazione:
P. PAOLO ROSSI
Via Cairoli, 43 - 00185 Roma.
Per comunicare con noi, per richiedere libri o altro materiale
potete rivolgervi a:
AMICI DI BENEDETTA
Casella postale 62 - 47013 Dovadola (FC)
Tel. 0543 934800
C.C.P. 14097471
[email protected]
http: //www.benedetta.it
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QUADERNI DI BENEDETTA
1.
Divo Barsotti, Benedetta Bianchi Porro. Il cammino verso
la luce, 2007.
2.
Angelo Comastri, Benedetta Bianchi Porro. Dio mi ama,
2008.
30
S.E. il Cardinale Angelo Comastri
è Arciprete della Basilica papale di San Pietro,
Presidente della Fabbrica di San Pietro
e Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano.
È autore di numerosi volumi di spiritualità,
liturgia e meditazione.
Segue sempre con attenzione ed amore
la Venerabile Benedetta.
Se si ama l’Amore
si finisce per vivere d’Amore.
“In queste parole c’è l’itinerario semplice
e immenso della santità di Benedetta:
entrando in comunione con Dio,
comincia a vivere la misericordia di Dio,
comincia a vivere il desiderio di salvezza
che prova Dio, comincia a vivere la passione
della redenzione dei fratelli”.
Suppl. n. 1 al n. 2/2008 de “L’Annuncio” - Semestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. abbon. post. - D.L. 353/2003 (conv. in
L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB di Forlì - Aut. Trib. Forlì n. 18/86 - Dir. Resp.: Gianfranco Amati - “Amici di Benedetta”
Casella postale n. 62 - 47013 Dovadola (FC) - Amm.: Via Benedetta Bianchi Porro, 4 - Dovadola (FC) - Tel. 0543 934800 c.c.p. 14097471 - Taxe perçue (tassa riscossa) - Stampa: Stilgraf Cesena
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Dio mi ama