le bielle
recensioni
Numero 60
12 febbraio 2006
L'agrodolce
del pendolo,
l'imperdibile irritante
di Giorgio Maimone
H
o sentito un bel disco. Uno di quelli antichi.
Durava 42', proprio come un vecchio lp.
Facciata A e facciata B, qualche pezzo un po'
più debole, qualcuno mosso, qualcuno lento.
Una bella alternanza. Un disco praticamente
perfetto: grandi autori francesi, ottimamente
tradotti, e mai traditi. Una bella interpretazione e un accompagnamento con qualche vuoto,
ma anche con molti pieni. Insomma, qualcosa
di bello. Alessio Lega non tradisce. Peccato
che ... questa selezione sia quella che mi sono
fatto io! All'album di Alessio vanno aggiunti
altri 24'28" e che al termine di questi i conti
tornino un po' meno,
Opera agro-dolce, quindi, che costringe a
miscelare il sapore della bouillabaisse con
quello della ratatouille, boccone dopo boccone; la bourride che si mischia al fricandeau.
Vini bianchi e rossi a sorsi alterni. Alessio
Lega ha voluto proporci una sorta di antologia
del meglio della canzone francese, partendo
da brani inediti in italiano. Il compito è riuscito.
L'antologia è esaustiva. Adesso ne sappiamo
molto di più sulla canzone d'autore francese.
Ma tutto il disco di fila non riusciamo ad ascoltarlo quasi mai.
Poteva semplicemente essere un capolavoro:
hanno voluto fare di più. E non sempre la
tappa superiore al capolavoro continua a
esserlo. La sensazione è che la materia, così
tanto amata, abbia preso la mano ad Alessio
e gli strumenti ai Mokacyclope, fin dalla copertina del disco erti a co-protagonisti del lavoro
e quindi delle scelte. Scelte su cui qualche
dubbio è lecito nutrire: non è detto che un
autore di testi (il Lega in questo caso) e degli
autori di musiche (i Moka, per gli arrangia-
menti) riescano a lavorare assieme senza
sacrificare ognuno qualcosa. Ma visto che i
Moka non hanno messo becco nei testi
(penso), anche il margine di intervento di
Alessio nelle musiche potrebbe essere stato
risicato.
L'impressione è che al disco sia mancato un buon
produttore. Uno di quelli che abbia coraggio e forbici pronte per dire "qui si taglia, qui si tronca, qui
si lascia andare la musica e si resta un po' zitti ad
ascoltarla". Paradossalmente (e poi coi difetti
abbiamo finito) è un disco che ha sia troppa musica che troppe parole. E' un disco bulimico e ipertrofico:può ucciderti di piacere, ma gozzovigliare
può portare alla noia. Undici canzoni sono imperdibili, un paio insopportabili e cinque stanno nel
mezzo, con variazioni di gradevolezza.
Certo che quando sento Amori marinai (di
Brassens e Paul Fort) vado in sollucchero, che
Con eleganza (Jacques Brel con Gerard
Jouannest) mi dà brividi di piacere. Che
Naturale (ancora di Brassens) è di enorme
godimento naturale e Né dio nè stato (di Leo
Ferré) è sempre stata e continua a essere
una pietra miliare. Ma il gusto dell'intelligenza
è tutto da sorseggiare anche in brani come Le
cose schifose hanno un gran bel nome (di
Allain Leprest e Romain Didier) o in Tolleranza
zero (di Renaud Sechan), che che appartengono alla nouvelle vague della canzone d'arte
francese.
Il lavoro di Alessio sulle traduzioni poi è da statua equestre al Pincio! "E i sorrisi, i "tu pure
ora" / il lasciarsi, il ritornare / ci son, come
miniature / negli amore d'alto mare" (Amori
Quindicinale poco puntuale di notizie, recensioni, deliri e quant’altro passa per www.bielle.org
Le BiELLENEWS
Sotto
il
pavé
la spiaggia
le bielle novità
Sul sito due nuove
interviste: Daniele Sepe
e i SEMIsuite. Ma chi
sono costoro? Semplice, sono la continuazione del progetto
SULUTUMANa dopo
l’uscita dalla formazione di Michele Bosisio.
Un’intervista “fondamentale”, perchè è
prima rilasciata dal
gruppo.
Inoltre un nuovo format
più interattivo per gli
articoli e...
Alessio Lega
Sotto il pavé la spiaggia
Nota cd - 2006
Nei negozi di dischi
recensioni
Si rischierebbe di riportare mezzo libretto. Ma
Lega non ha solo tradotto bene: spesso ha
inventato, attualizzato, cambiato, agito sul
testo nel completo rispetto delle intenzioni. Lo
stesso rispetto che è in parte mancato quando
si è trattato di affrontare gli arrangiamenti e le
musiche. Va bene mettere le minigonne alle
canzoni, ma non lasciarle in mutande! In fin dei
conti sono vecchie signore e gli aggiornamenti
li gradiscono sì, ma non come l'inserto hendrixiano di chitarra che commenta La medaglia o il lungo finale philipglassiano di Tango
funebre (che peraltro non è un tango, contrariamente all'originale). Bianco e nero, dolce e
agro. C'è di tutto e c'è di più qua dentro. Non
perdetelo. Dischi così, anche nei contrasti, se
ne fanno pochi.
le bielle
marinai). "Forse passammo da una serra / ma
c'era odor di tulipani / quando la gonna cadde
a terra / sotto la fretta delle mani" (La straniera). Oppure la magnifica (e deandreiana, nel
senso che De André si ispirava anche a Brel)
"La birra" con una frase come questa: "C'è
tanto orizzonte da perderci il senno / Ma Dio
si è ubriacato e il diavolo è in scranno / la
gente del nord tracanna perché / si fabbrica il
sole con quello che c'è". O anche la "modiglianavo sul tuo tocco" o "In un disordine di letto"
con cui inizia "Sulle punte" ( di Leprest).
recensioni
le bielle
E
ra già ben visibile, assaporabile e godibile in
“Resistenza e amore” l’attaccamento di Alessio
Lega per la cultura d’oltralpe. Con naturalezza
prosegue il suo cammino, ma stavolta si tratta di
un’esclusiva dichiarazione d’amore. Esclusiva e
intensa, accorta, apologetica.
Un’operazione suicida per chi volesse sfondare
nel mercato: tradurre e adattare in italiano gli
chansonniers francesi. Cosa vuoi che gliene
importi alla gente di Brel o Brassens, chiede lo
scellerato produttore di major. Ma non fa niente,
intanto perché cosa vuoi che gliene freghi ad
Alessio Lega di sfondare nel mercato – e che
infatti mi dice: “Io vivo (in senso spirituale!) di questo”. E poi è meglio fare dischi con un’etichetta
piccola, anche perché molto spesso le operazioni
suicide nell’immediato sono quelle che si imprimono nella memoria e non esauriscono mai il
loro valore artistico. E “Sotto il pavé della spiaggia”, mano sul fuoco, è una di quelle.
Oltre che autore, quindi, divulgatore. Un lavoro lodevole già in partenza per l’intenzione,
che sopperisce alle lacune linguistiche di chi –
come il sottoscritto – non può apprezzare il
repertorio originale per via della precaria
conoscenza della lingua francese. Senza contare che si tratta di canzoni mai adattate in
italiano. Intenzione che, però, non pretende un
intento “didattico”, rifuggendo dall’idea
rischiosa di voler proporre un’antologia rappresentativa. Invece Lega prende una mappa-
Un'operazione
suicida
di puro amore
di Antonio Piccolo
ta di canzoni che ama. E si sente. Perché l’amore con cui canta, nel suo modo d’intonare
evocativo che ricorda vagamente Vecchioni,
entra automaticamente nel petto di chi ascolta. Che non può fare altro che ricambiare.
Per essere precisi, prende diciassette brani
per cinque autori. Tre sono i mostri sacri: Brel
(quattro canzoni), Brassens (tre), Ferré (quattro). Due sono gli autori della generazione
successiva: Allain Leprest (tre canzoni) e
Renaud Séchan (tre).
Ed è bene specificare ancora. Abbiamo detto
“divulgatore”, ma chiariamo che si tratta di
una definizione che ha anche valenza artistica.
Perché la traduzione non è un gioco da ragazzi e qui non si corrono rischi: “Sotto il pavé
della spiaggia” ha un suono italiano, che combacia con la melodia sia per metro che per
effetto acustico, non si tratta di una scopiazzatura da una lingua all’altra. Anzi, talvolta la
trasposizione non è solo di lingua, ma anche di
senso: per questo, dopo il verso de “La medaglia” di Renaud, “l’amor di patria, quest’idea
schifosa su cui cago di cuore”, può partire l’inno di Mameli; oppure in “Chissà” di Leprest, il
personaggio di De André prende il posto del
personaggio di Brel, oppure Anna Magnani
sostituisce Colette.
Cinque autori che si incasellano perfettamente nello spirito di questo disco, che è nel
segno dell’anarchia, dell’antifascismo, dell’anti-nazionalismo, del pacifismo. Insomma, in un
Il segno dell’anarchia è dichiarato anche nella
bomba “A” disegnata sul cd da Lorenzo
Sartori, che ha curato tutte le umanissime
illustrazioni di un elegante e simpatico booklet. Che ha un difetto, l’unico del disco, che
però va bonariamente segnalato: il cd è incastrato nel cartoncino, e tirarlo fuori senza
spaccare tutto è un casino.
Alessio Lega
Sotto il pavé la spiaggia
Nota cd - 2006
Nei negozi di dischi
recensioni
segno splendido, di cui “Né dio né stato” di
Leo Ferré è la perfetta canzone di chiusura.
Preceduta dall’unico inedito, tutto strumentale, “Il disordine è uguale all’ordine meno il
potere”, composto da alcuni elementi dei
MokaCyclope, che suonano egregiamente,
con arrangiamenti moderni, senza eccezionale inventiva, ma per nulla invadenti – e questa
ci pare la virtù più auspicabile in un’operazione simile.
le bielle
A proposito delle due canzoni citate, non possiamo far altro che ringraziare Lega per la
scoperta di Leprest e Rénaud. Perché, se è
bello ascoltare i tre mostri sacri - per cui rinnoviamo l’amore di “La straniera” di Ferré e
“La scimmia” di Brel -, è pur vero che la loro
sacralità è conosciuta e riconosciuta (grazie a
gente come Duilio Del Prete, De André,
Herbert Pagani e altri ancora, tutti devotamente ringraziati nei “Crediti in forma di
(p)rosa”). Invece, è bello farsi venire la curiosità di approfondire queste due “novità”, dopo
aver ascoltato “Quando si va dove?” di
Renaud, affascinante dissertazione scettica
sul mondo della scuola con versi come “se
davvero le elezioni cambiassero la vita /
sarebbe il voto, vecchio mio, la cosa più probita”; oppure la scanzonata e irriverente “Le
cose schifose hanno un gran bel nome” di
Leprest.
“S
otto il pavé la spiaggia" che richiama nel titolo un vecchio slogan del maggio '68 francese (e un
vecchio film tedesco del 1975 "Sotto il selciato c'è la spiaggia" di Helma Sanders-Brahms) è un'antologia della canzone francese. Mai come in questo caso sono le canzoni che fanno il disco, che mantiene una sua unitarietà di tema, ma non di argomenti. In questo corpo unico di versi poetici abbiamo
provato a giocare il consueto gioco delle preferenze e per esprimere le nostre valutazioni abbiamo
deciso di utilizzare uno dei "topos" letterari frances: i Gargoyle di Notre Dame. Quindi 5 Gargoyle è il
massimo del giudizio e un solo Gargoyle il minimo. Ribadiamo, come sempre, e qui ancora di più perché i brani francesi sono pre-esistenti, che sono giudizi del tutto personali che non inficiano in alcun
modo il lavoro di Alessio Lega (tantomeno di Brasses, Brel, Ferré, Renaud e Leprest) né le preferenze di chiunque altro. Per illustrare le canzoni non si poteva fare a meno di riprendere i meravigliosi
disegni di Lorenzo Sartori che corredano in maniera esemplare il libretto.
Sul palco
"Sul palco" era canzone già nota, anche prima del
disco e fondamentalmente non si può dire che
abbia neinte che non vada. Se non una certa
pesantezza di fondo. Un po' dettata dal tema, un
po' dall'interpretazione che spinge un po' troppo il
pedale sull'espressionimo. Sconta un po' la sua
lunghezza (4'50"). Bella. Ma faticosa.
La frase: "Sul palco c'è la paura che si muove a scatti"/ Sul palco c'è la voce che mi viene dalle onde / ...
/ Sul palco c'è Bene che ti recita il male"
La straniera
Molto meglio dell'originale. Centrata, con un bell'inciso corale. Uno degli esempi meglio riusciti di collaborazione tra traduzione e arrangiamento. L'ascolto
scorre facile per i 3'59" del brano e si segue con
attenzione la storia di uno che prese "senza dolore
/la mano di una di passaggio / che aveva gli occhi di
oltremare / che aveva sguardo da naufragio".
Amori marinai
Forse proprio per contrasto l'atmosfera di Amori
marinai sembra un'oasi. Salvo errore, compare
l'unica chitarra dell'intero disco e la batteria sceglie la strada di percussioni d'acqua dal piacevole
sciabordio. E' uno dei pezzi che vale un disco.
Tutto quadra: parole, musica, senso, immagine.
Cinque Gargoyle!
La frase: "Resta in camera un odore / di amore stanco e di sudato / mette un po' d'animo in cuore /
mette un affanno nel fiato."
La birra
Deandreiano. Ma Brel. E stava prima di De André.
Ovviamente nell'originale era un trionfo di fisarmonica, qui il ritmo tira come un treno e la batteria, potendo finalmente eseguire un tempo da marcetta, picchia che è un piacere. Alcolica.
La frase: "la gente del nord tracanna perché/ si fabbrica il sole con quello che c'è".
recensioni
di Giorgio Maimone
le bielle
I Gargoyle di Alessio Lega
La frase: "All'ombra della statua due amanti si
baciano teneramente / ed il marmo iracondo
vibra indignato, ma non può farci niente /
Generali assassini quanto odio portate a ogni
forma d'amore!".
Sulle punte
Canzone fragile, fatte di poche cose. Forse troppo poche. Un bel testo. Molto malinconia, un po'
di amor perduto, qualche geniale trovata testuale. Ma la spina dorsale resta fragile. Come dice il
testo? Un po' incompiuta. Ecco.
La frase: "In maglia bionda sul balcone / la luna
ha esploso il suo pallone / curvata come fose
incinta / ti ho lasciato un po' incompiuta / sulla
punta della matita / sulla punta".
Le cose schifose
hanno un gran bel nome
Bel titolo e trattamento pop-rock dell'arrangiamento adeguato, perché già nasce così nella versione di Allain Leprest. Molto simile alla versione
francese e altrettanto piacevole. Stimola lo spunto del titolo e la maestria del Lega nel trovare
nella trasposizione in italiano altrettante cose
"schifose" che abbiano un bel nome. La migliore?
Certamente: "Silvio" avvicinato con intenzione a
"camorrista".
La frase: "Cimice, migale, morso, formichiere /
colica, analcolica, divieto-di-bere / costola, apostolo, imbalsamazione / le cose schifose hanno
un gran bel nome"
Tango funebre
Mah. Questa proprio non la capisco. Si prende un
tango. Lo si trasforma in qualcosa d'altro per
motivi non del tutto chiari (forse solo che non si
vuole usare l'odiata fisarmonica?) e la si continua
a chiamare Tango? Ma perché? Ripeto, mi sfugge. L'originale vince a mani basse.
Incomprensibile.(Ps: l'immagine non è di Sartori)
La frase: "Convinti che è indecente /la morte di
un cantante / e il prezzo dei fiori"
recensioni
le bielle
La medaglia
Il pezzo di Renaud è molto lento e intimo, con
accompagnamento appena accennato. Lega e i
Mokaciclope scelgono invece la caciara. E la canzone ne viene sconfitta. Già ricca di un bel testo
sarcastico, subisce il contraccolpo del troppo
pieno accoppiandosi a una musica che già in partenza sceglie la strada dell'ironia. Effetto paradosso: l'ironia viene cancellata. Resta rumore e lo
sfregio di una Fratelli d'Italia eseguita alla Star
Spangled Banner di Jimi Hendrix a Woodstock.
Obiettivo mancato.
Filistei
Perfetta. Non cè niente da aggiungere.
Atmosfera, parole, senso, traduzione. Senza una
sola pecca. Certo che si partiva da un originale di
altissimo livello, ma il cesello del Lega sulle rime è
degno degli esercizi di stile di Raymond Queneau.
Applausi.
Brevissima. Una breve piccola gemma di appena
1'32". Solo voce e basso. E un testo vincente. La
versione originale viene presa e scarnificata, fino
al nocciolo delle parole. A dimostrazione che la
verbosità in canzone paga poche volte.
Essenziale.
La frase: "Se entra in un bar, se per errore /
s'accorge d'essere il più anziano / urla che ti
offrirà da bere / in un silenzio disumano / sgranocchia le banalità / del repertorio d'impotenza
/ lo sa di esser disperato / però con eleganza".
La frase: "Ma punendo / i vostri sforzi / la natura affari scarsi / vi rende: / dei bambini / non
voluti / che diventeran barbuti. / Poeti."
Quando si va dove?
La scimmia
Un brano di Renaud in cui fa la sua bizzarra comparsa un solitario sassofono. Che si accompagna
a un ben bizzarro titolo. Questo però è simile all'originale. La canzone originale di Renaud viene
velocizzata e mutata. Forse troppo. Il risultato è
discontinuo.
Questa non mi piace per niente. Non cerco nemmeno di spiegarmelo. Non mi piace neanche in
originale e non mi interessa quello che dice.
Nemmeno perché lo ha detto Brel. Anche De
André ha cantato "Verdi pascoli"!
La frase: "Siamo oche all'ingrasso di stupide
materie / fatte per farci scordare cose ben più
serie".
La frase: "Però poi sono usciti a colpi di bastone
/ con la ragion di stato che ha ucciso la ragione".
recensioni
le bielle
Con eleganza
recensioni
le bielle
Chissà
Naturale
Canzone che sfugge. La cerchi e non la trovi. E'
inutilmente pop (laddove l'originale manco per
idea: è un tango!), elettrica e incazzosa per esprimere concetti di assoluta tranquillità.
Scetticismo distaccato e non rabbia è quello che
suggerisce il testo. Perché contraddire l'intenzione? Ma l'attenzione all'intenzione non rientrava
nell'ideazione della produzione. Evidentemente.
Scivolosa.
Naturale è il brano che preferisco. Clima da lenta
favola, andamento vagamente da musica popolare (un genere in cui il Lega dovrebbe avere più
fiducia, anche perché la sua voce in quest'ambito
è perfetta). La dolcezza della musica racconta
una storia diversa da quella delle parole e il
melange è di ottima fattura. Dulcamara.
La frase: "Chissà se poi è Gesù quello che hanno
beccato / mentre stava rubando in un supermercato / non lo sapremo mai, povere foglie
morte / per un dio di successo / milioni fan da
corte".
La frase: "No, niente la fermerà / né la voce che
le dice / che quando lei rientrerà / non ci sarà
luce / e lui sarà già morto di / morte natuale".
Tolleranza zero
Grano d’anarchia
Ecco invece un rock che ci sta. Da un brano di
Renaud. Tolleranza zero, testo aggressivo e musica pure. Renaud è acustico, ma la trasposizione
ha una sua logica, anche se poteva essere giocata con meno "gemetrica potenza" e più eclettismo.
E' la canzone più breve del cd. Solo 1'09". Solo
testo e la genialità di Leo Ferré. Come è possibile
che non piaccia? Lega fa di più. Toglie del tutto la
musica e spezza le parole per fare coincidere le
pause. Effetto: attenzione alle stelle. Anarchica.
La frase: "Dice un impiegato, buon padre di famiglia / e se fosse tuo figlio sdraiato sul selciato /
se ad essere sparata ci fosse lì tua figlia"
La frase: "Frutto veleno= / so nacqui per via /
del vento e di un gra= / nello di anarchia"
Non so neanche se ho qualcosa contro questa
canzone o meno. Trovo solo poco meno che scorretto che 3'12" di puro rumorismo vengano inflitti a un ascoltatore dopo oltre un'ora di musica
"tosta". Tutto qui. Io la salto.
Né dio nè stato
Bella, indiscutibilmente bella. Una delle poche già
consciute. Tutto funziona. Peccato metterla in
coda, dopo oltre un'ora di musica e 18 brano di
un'antologia.
La frase: "Quel braccio detto della morte / che
vive in seno alle prigioni / sbarrato a tutte le illusioni / col boia che bussa alla porta"
recensioni
le bielle
Il disordine è uguale all'ordine
meno il potere
interviste
le bielle
A
lessio Lega ed io abitiamo nella stessa città.
Non solo, ma per motivi vari ci vediamo molto
"Una storia
concentrica, un
suggerimento"
spesso. Nonostante questo non c'è stata volta
in cui abbiamo provato a fare un'intervista dal
vivo che non ci sia stata qualche diavoleria tecnica a impedircelo: registratori che si spaccavano,
altri che uscivano di produzione e non trovavi più
le ricariche, registratori che fingevano di registrare, i-Pod fallaci e menzogneri che dicevano esistesse un file che in realtà era solo nella loro
immaginazione e così via. Ci manca solo l'afonia di
uno dei due per completare il cursus dei possibili
orrori. Quindi, tutte le volte, ripieghiamo sull'intervista via mail. Più comoda, ma meno immediata.
Anche questa volta è andata così. Non stupitevi
quindi se a domanda e risposta non segue contradditorio. Seguirà a voce. Su Alessio Lega, ho
già detto più volte, penso tutto il bene possibile. E'
uno dei migliori che abbiamo e penso che farà
ottime cose, oltre a quelle che già ha fatto. Non
sono del tutto d'accordo (e lui lo sa) sugli arrangiamenti che i Mokaciclope fanno sulle sue canzoni. E questo è motivo di dibattito. Quello che leggerete tra poco qua sotto.
Giorgio: Centocinquantavolte ho iniziato questa
intervista e non l’ho mai finita. E ne abbiamo parlato già 847 volte, più un’intervista a voce che il
registratore si è “mangiato”. Vediamo se ce la
faccio ora.
Le perplessità da parte mia le conosci benissimo.
Ale: Ebbene si… so che questo disco t’ha creato
di Giorgio Maimone
un caso di coscienza (si fa per dire!). Da una
parte la nostra amicizia e la reale ammirazione
per i brani e i loro autori (e un po’ anche per il mio
lavoro di traduzione), dall’altra l’esito musicale
che in generale non t’è piaciuto… Proprio però l’amicizia e la stima reciproca ci danno l’occasione
- più unica che rara - di fare una discussione, mettendo da parte le suscettibilità, fra punti di vista
opposti, e forse anche di scendere a fondo in
quelle che sono state le idee guida di questo
disco.
La produzione
Giorgio: Spieghiamo come prima cosa il progetto. Per “giustificare” la lunghezza eccessiva
(quasi 70 minuti) mi hai detto che la tua intenzione era un po’ quella di comporre un’antologia.
Ale: Io credo che i cd (tecnicamente intesi come
dischetti d’alluminio) siano un contenitore senz’anima, dunque nel pensare un disco mi richiamo
alla durata aurea del vecchio vinile: 45 minuti. Da
questa mini-regola si deroga per i live e le antologie. Questo disco, fra molte cose, ambisce a voler
essere precisamente un’antologia di due generazioni di autori francofoni: i grandi classici
Brassens/Brel/Ferré (Brel era però un po’ più
giovane degli altri due) e i moderni
Renaud/Leprest… ritengo che il minimo sindaca-
La scaletta
Giorgio: Devo dire che è un
album che mi fa un effetto
agro-dolce. Sento un bel
brano, mi rilasso. Me lo godo
fino in fondo e …. TAC … mi
cade sulla testa “La scimmia!”.
In alcuni attimi sfiori il sublime,
poi sembra quasi che ne hai
pudore e lo rifiuti. Un disco
contrastato. Mi fa quasi pensare che diviso in due facciate
(A e B, come nei vecchi vinili) e
separando i brani rock da
quelli lenti si potrebbe godere
di un ascolto più armonico.
Farò la prova.
Ale: Tornando alla definizione
di questo disco come antologia, pare del tutto evidente che
la scaletta è solo un suggerimento. Però non un suggerimento casuale! Avremmo
potuto mettere le canzoni in
ordine cronologico o per autore, abbiamo invece cercato di
suggerire una storia concentrica, una struttura a chiasmo.
- Sul palco fa da introduzione, è
la sigla in cui appaiono i nomi,
o piuttosto i pensieri, di quelli
che sono lì a suonare.
- Arriva poi un blocco emotivo,
il romanzo della formazione,
l’educazione
sentimentale
(Amori marinai, La straniera,
La birra… tre storie da taverna
o da… pub sui navigli!)
- Per continuare questa educazione si passa a una visione
della politica, anche un po’
interviste
Giorgio: E’ un disco in cui mi sembra che manchi
la produzione…
Ale: C’è stata sicuramente una produzione –
diciamo - di assemblaggio e ri-scrittura dei materiali originali che è mia, poi una produzione della
ri-scrittura musicale (che mi pare sia la parte su
cui hai più da ridire) che è collettiva dei musicisti,
e poi ancora una produzione dei suoni che è di
Max Trisotto, che ha anche prodotto gli arrangiamenti… cioè ha trasformato delle intuizioni musicali in una realizzazione precisa. Dato a Cesare
qual che è di Cesare (23 pugnalate!), questo è un
disco autoprodotto… con tutti i pregi e i limiti: dire
che manchi la produzione è come dire che in una
democrazia manca un dittatore!
infantile se vuoi (La medaglia esprime un dissenso quasi punk attraverso un immaginario scatologico: la merda, il piscio, il vomito) o ancora più
giornalistica che vissuta (Le cose schifose).
- La vita e l’amore diventano una cosa quotidiana
(Sulle punte); così il mestiere di vivere e poi la
morte fanno capolino in due canzoni contrapposte e perciò accostate (Tango funebre/Con eleganza): la prima è la morte vista da un vivo con
tutte le sue passioni e violenze, la seconda è la
vita vista da uno che si sente già morto. Ma la
morte non è la fine di nulla, è un passaggio, perciò l’abbiamo messa al centro del disco.
- Si ricomincia da una nascita, anzi da un concepimento (Filistei). In questa seconda parte tutti i
temi della prima ritornano, non più come paradigmi ma come narrazioni, la realtà prende il posto
della favoletta. La scuola e la cultura civile
(Quando si va dove e La scimmia), l’impossibilità
di crescere rispettando il proprio talento naturale (Chissà).
le bielle
le per potersi avvicinare alla scrittura di un autore siano 3 canzoni… ecco che già di partenza
c’era una scaletta di 15 pezzi… senza almeno
questi quindici avremmo dovuto far dei torti ad
autori cui vogliamo troppo bene!
Giorgio: “La scimmia” e “Chissà” messe di fila piegherebbero la buona volontà dei santi. Non pensi
che sarebbe stato meglio allontanarli nella scaletta?
Ale: La scimmia è una canzone quasi
Rouseauviana, che prende per culo l’evoluzionismo, dicendo che forse quand’eravamo scimmie,
con un po’ meno scartoffie, armi e religioni, ce la
passavamo meglio; Chissà parla dell’impossibilità
nella nostra società di esprimere i propri talenti
naturali (chissà se poi è De André/l’ubriaco che
fischietta)… mi paiono due variazioni dello stesso
tema, perciò sono accostate.
Giorgio: … e non è comprensibile che dopo un’ora e qualche minuto di musica “tesa” e non superficiale si arrivi a un solo di musica stile Pink Floyd
incomprensibile e fuori luogo. Né brutto, né bello.
Non è questa la questione di quel pezzo. Ma lì non
doveva starci.
Ale: Quel pezzo si trova fra due brani di Ferré, uno
minuscolo che ho cantato a cappella Grano d’anarchia, l’altro un inno della maturità Né dio né
stato.
Léo ha conosciuto tre fasi della sua carriera il
La traduzione
Giorgio: Ci sono delle cose geniali, soprattutto a
livello di traduzione come: “C’è Bene (Carmelo)
che ti recita il male”, “il Chiapas che aspetta la primavera” “Sul palco c’è Sting che mi guarda e poi
ride” che senz’altro non c’erano negli originali
(buona parte dei quali sono stati scritti 40 anni fa
e oltre). Hai operato in modo libero, ma in un
certo senso fedele sui testi. Fedele alle intenzioni.
Insomma “tradotte, ma non tradite”.
Ale: Nell’atto della traduzione ci sono due intenzioni diverse con cui fare i conti: l’intenzione dell’autore e l’intenzione del testo. Queste due intenzioni man mano che ci si allontana nel tempo e
nello spazio differiscono sempre più. Per fare un
esempio banale: se negli Stati Uniti faccio riferimento a uno sport particolarmente popolare
dico baseball, se lo faccio in Italia dico calcio.
Io credo che – cercando di evitare la forzatura e
il grottesco – bisogna aderire più all’intenzione
dell’autore che a quella del testo…
interviste
primo in cui scriveva velenose canzoni ancorate
alla tradizione e il cui potenziale era dissimulato
sotto l’apparenza leggera (cui appartiene il primo
brano), un secondo, quello delle sue canzoni più
note (Avec le temps, Les anarchistes e, appunto,
Ni dieu ni maitre), e un terzo in cui s’è svincolato
dalla forma canzone per creare dei recitativi su
poemi sinfonici con echi Beethoveniani e
Ravelliani. Le due prime fasi erano ben rappresentate da quei due pezzi che trattano dello stesso argomento. Alla terza fase è molto difficile rendere omaggio, noi ci abbiamo provato attraverso
il principio dell’improvvisazione che è, quasi didascalicamente, la forma più libertaria possibile: un
sorta di caos ordinato da cui far emergere il
brano più esplicitamente anarchico, l’ossessività
del bolero (Ravel, per l’appunto) trasfigurata nell’ossessività della psichedelia.
le bielle
- Naturale è la grande canzone di resistenza e
amore.
- Infine la resistenza alla morte civile: Tolleranza
zero/Grano d’anarchia/Né dio né stato, tre canzoni su tre diverse forme di pena di morte.
L’ultima è la più rivendicativa, la più propositiva.
Nasce dal magma confuso dell’improvvisazione
strumentale e finisce con un monito che è politico ed esistenziale, che rifonda una religione dell’uomo libero.
Abbiamo aperto con la visione interiore dell’artista, abbiamo seguito la sua evoluzione sentimentale e politica, il suo scontro con la cultura e con
la vita. Alla fine il nostro eroe è diventato un
uomo, appunto né dio né stato.
La tradizione
Giorgio: Sarebbe stato più interessante, più che
innestare brutalmente il rock sul solco della tradizione francese, fare uno studio musicale che, pur
restano nell’ambito della canzone francese, prendessero spunto dalle tendenze più creative delle
musica francese d’oggi (certo rap, ibridazioni
interviste
maghrebine, Pascal Comelade, Arthur H.).
A me resta la percezione dello “stupro” culturale
in certi momenti. Ripeto, al di là del fatto se la
canzone sia poi venuta bene o meno. Sembra un
uso improprio del bagaglio culturale di un popolo.
O meglio, una voluta trascuranza. Che a livello di
testo non ti sei e non ti saresti mai permesso.
Con una vera nota dolente: la batteria! E’ stereotipata. Praticamente assente nella canzone francese classica è qui costretta a eseguire marcette. Perché c’è poco scampo, il tempo delle canzoni francesi spesso è un tempo in tre, tempo di valzer. La batteria c’entra come i cavoli a merenda.
Ale: cercherò di fare un discorso più generale sulla
percezione della canzone francese (non ti sarà sfuggito che io la chiamo sempre “francofona”). La canzone francese non esiste! Dei tre mostri sacri Ferré
era del principato di Monaco e aveva studiato a
Bordighera, a Parigi per cantare c’era arrivato pressocchè trentenne, Brel era Belga e manco vallone,
bensì fiammingo! Brassens era un francese del sud
con la mamma napoletana… pensa quali ninna nanne
cantava Elvira Dragosa al piccolo Georges! In Italia
invece i primi cantautori erano non solo genovesi, ma
dello stesso quartiere, la Foce! Giustificato dunque il
nostro provincialismo, ma non inventiamoci per gli
altri tradizioni inesistenti. La canzone moderna nasce
in Francia con Charles Trenet che era un jazzofilo
accanito. Il primo a fare chanson a texte con la chitarra è Felix Leclerc che era un uomo dei boschi canadese… Insomma per allargarci, la grandezza della cultura francese è proprio nel non avere un tratto nazionale, nel nascere già ibrida, come le avanguardie del
‘900 che nascono quasi tutte a Parigi ma da artisti
stranieri (Modigliani, Picasso, Apollinaire, Tzara,
Brancusi, ecc…). Per venire alla notazione tecnica:
nessuno dei brani fatti da noi era caratterizzato da un
tempo in tre! I più valzerosi sono quelli di Renaud, ma
solo perché derivano dalla folk ballad americana. Gli
arrangiamenti originali erano chiari tentativi di fare
del pop, così come lo si faceva all’epoca.
le bielle
per farlo però è necessario conoscere l’autore,
studiarne la biografie, le idee, le passioni. Io ho
letto qualche pagina in merito a Léo Ferré e compagnia, per cui quando, per venire al tuo esempio,
in Sur la scene (Sul palco) lui fa riferimento al
grande attore francese Charles Dullin (su cui ho
fatto delle ricerche, perché quando ho sentito la
prima volta la canzone proprio non sapevo chi
fosse). Io cerco d’interpretare cosa rappresentava quell’attore per Léo e la sua generazione. La
scelta di metterci Carmelo Bene è ovviamente
personale e dettata dall’ammirazione incondizionata che porto al mio grande conterraneo.
Più in generale la traduzione della canzone è un
atto d’amore e come tale prevede un rapporto
con l’originale di continuo scambio: si viene invasi
e violentati da un autore, dalla sua vita, dalle sue
ossessioni, dal suo linguaggio, e poi a propria
volta ci si scambia i ruoli. C’è qualcosa di sessuale, fondo e incontrollabile. È una discesa in un
grembo comune, una risalita del fiume alla ricerca della medesima ispirazione.
Talvolta i brani sono delle favole paradigmatiche e la
traduzione allora è fedelissima (Amori marinai, La
straniera, Sulle punte), talvolta sono delle narrazioni
universali ma con un’ambientazione precisa, e così
personaggi e svolgimento restano uguali, ma cambia la scenografia (Tolleranza zero, La medaglia), talvolta sono canzoni in cui è importante mantenere l’idea di base, la struttura, ma proprio per questo è
necessario re-inventarsi totalmente lo svolgimento
(Sul palco, Chissà, Le cose schifose).
Giorgio: Io sento lo stacco tra l’interpretazione,
ovviamente vicina ai classici, e la musica che
cerca di allontanarsi, ma la provocazione non riesce. C’è una crasi, uno scollamento, sembrano
due canzoni diverse. E’ il caso tipico di “Naturale”.
L’interpretazione vocale
Giorgio: Ma possibile che un disco recitato e cantato benissimo inizia con due errori di dizione
(“amOOOre” e “canzOOOne”) proprio nel primo
brano, possibile che non vi siate un po’ corretti a
vicenda? E’ vero che uno non può sentire se stesso, ma gli altri sì.
Ale: Rocco me l’aveva detto…ovviamente la colpa
è mia… e sei tu fin troppo buono a notare solo
quei due errori. Io personalmente ho sempre trovato veniale il peccato della dizione nel canto, anzi
interviste
Giorgio: Le canzoni meglio venute sono quelle
che meno cercano di uscire dal solco della tradizione, come “Amori marinai”, “Con eleganza”, la
prima parte di “Naturale”. Non credi che parole
tanto belle meritassero più attenzione e meno
distrazione? E poi perché scegliere, dovendo proprio trasgredire, atmosfere da cabaret Brechtweilliani? Espressionismo sonoro, solismi alla
Hendrix. Tutte tracce fuori da qualsiasi contesto
culturale, vicinanza per contrasto?
Ale: A proposito di Hendrix lo sai che, poche settimane prima che morisse, Ferré lo aveva contattato per incidere un disco assieme? Renaud
ha registrato i suoi dischi più noti con la produzione di Phil Palmer (un’icona del pop anni ’80).
Ripeto, siamo noi italiani ad avere una visione un
po’ stereotipata della chanson… Gainsbourg,
uno dei grandi assenti di ‘sto disco, era nato nel
’28 (per intenderci, lo stesso anno di Modugno)
e ha inciso i suoi ultimi dischi con i musicisti di
Micheal Jackson. Oggi c’è un suo “allievo” interessantissimo, Alain Bashung, che fa alcune
delle cose più estreme nel campo della sperimentazione sonora che la canzone occidentale
abbia mai conosciuto.
Ale: L’andatura carillonante di quel pezzo è una
dichiarata citazione di Sundey morning dei Velvet
underground, anche lì la voce di Nico è una voce da
sciantosa, un modo di cantare tradizionale sovrapposto a una struttura che incrocia Satie alla musica undergdround del ‘66. L’originale Bonhomme
(Naturale) è un capolavoro di dolore trattenuto.
Una tempesta esteriore (la bufera) e una interiore
(la morte naturale del compagno) non fanno deflettere di un atomo la vecchina che, in tutto questo
disastro, procede inarrestabilmente al suo scopo,
forse inutile: raccogliere legna per scaldare un
morto. Per cosa? Per rispetto della vita, perché la
vita stessa è una storia di resistenza contro la
morte. È una canzone che a me fa piangere di
pena e d’orgoglio già solo a pensarci. Congelarla
con quel glockenspiel, sospeso fra Dario Argento e
babbo natale, era l’unico modo in cui avrei potuto
cantarla senza singhiozzare.
Giorgio: Altri pezzi risultano ben amalgamati come
“La birra” di Brel, ma in generale si sente una predominanza del parlato sul musicale come quantità
che, a livello di volume sonoro si inverte. La musica
schiaccia la voce. Problemi di mixaggio?
Ale: Se c’è un lavoro dove il missaggio è stato di
un‘attenzione sacrale per la voce è proprio questo. A meno di non far sparire del tutto la parte
musicale!
le bielle
Unica eccezione Brassens, che si accompagnava
solo con la chitarra e il contrabbasso (e infatti per
lui abbiamo in un caso tolto anche la chitarra e
fatto un pezzo solo voce/basso)… ma, occhio alle
apparenze, in realtà Brassens compone nella stragrande maggioranza delle marcette swing, il suo
riferimento ritmico era Django Reinhardt (non a
caso l’unico musicista originale del jazz europeo! E,
ancora una volta, un francese… gitano!).
Giorgio: I Mokacyclope prendono troppo spazio
rispetto ad Alessio Lega…O, come sembra, è
stato un lungo e faticoso compromesso tra due
componenti diverse che non si sono sempre
amalgamate?
Ale (cantando): Bien sur nous eumes des orages
Vingt ans d’amour, c’est l’amour fol!
(Certo ne abbiamo avuto di tempeste/vent’anni
d’amore è amore-follia)
La chanson des vieux amants di Jacques Brel
Giorgio: E poi non è la trasgressione, ma l’esagerazione. “La straniera” pur essendo di Ferré,
risente bene del trattamento aggressivo. Il clangore futurista di altri pezzi invece risulta fuori
luogo.
Ale: Dai… clangore futurista ce n’è ben poco, direi
che è un disco pop con qualche spruzzatina rock
e progressive, tutt’al più.
Giorgio: Sull’altro versante “Le cose schifose
hanno un gran bel nome” funziona. E non so dirti
esattamente perché. Forse perché la musica
resta più defilata e accompagna, pur con forza
decisa e imponendosi all’attenzione.
Ale: In realtà l’arrangiamento di quel pezzo è
forse quello che più s’avvicina al dato della scrittura originale: appena più lento, ma l’originale era
un pezzo che giocava con i moduli della discomusic anni ’80, il nostro con quella anni ’90…
senza saperlo ti piace perché aderisce all’originale come un guanto! Ti confermi un purista!
Giorgio: Un altro caso che calza a pennello è
“Sulle punte”, pezzo alquanto lugubre e non dei
più allegri, a cui è abbinata una marcetta funera-
interviste
Giorgio: Più in generale i Mokacyplope hanno
questa tendenza alla musica automatica ripetitiva, un riff e via per l’eternità. Espressionismo e
avanguardismo che si toccano. Non credi, è una
provocazione ma ci sta, che i Moka non siano alla
tua altezza? Tu scrivi canzoni molto belle, che
reggono anche alla prova distruttiva di chitarra e
voce. I Moka non fanno che rafforzare le intenzioni che già esprimi tu.
Ale: Ovviamente questa è una tua valutazione… e
se per un canto è anche molto elogiativa nei miei
confronti, dall’altro mi è impossibile risponderti.
L’interpretazione musicale (Alessio VS Moka)
Giorgio: Esempio di unione non riuscita “La medaglia” era già sufficientemente ironico il pezzo per
non aver bisogno di una musica ironica (dio
santo, ricorda Popcorn!) di sottofondo. Si rischia
l’effetto paradosso di capovolgere l’intenzione.
Sarcasmo parolaio, più sarcasmo musicale uguale noia. Non doppia attenzione.
Ale: Quello è uno degli arrangiamenti nato live e
che facciamo da un bel po’…
Beh, l’abbiamo fatto a Mantova il due giugno del
2005 (giorno della parata delle forze armate!), e
siamo gli unici a non essere mai stati pagati! In un
blog – sempre in riferimento a quell’esibizione un tizio ha scritto che ero un pirla che non meritavo rispetto perché non ne davo ai soldati.
Quest’anno abbiamo fatto La medaglia a Faenza
in teatro, in uno spettacolo sponsorizzato dal
comune, e c’è stato un consigliere di AN che ha
fatto un esposto (chiedi un po’ al povero
Sangiorgi!)… tu dici che il problema del pezzo è
che stimola poco l’attenzione… e se per caso la
catturasse? Ci avrebbero già sparato?
le bielle
ti dirò che sentire Guccini (o Dalla) senza la loro
marcata – a volte grottescamente marcata pronuncia emiliana, per cui tanto viene preso per
culo, mi toglierebbe qualcosa… ma certo è un
vezzo e chiedo pertanto venia!
Giorgio: Forse l’ideale sarebbe stato poter
fare un disco doppio. Ma la carenza dei mezzi
non consente questi exploit da “ricchi”. C’è
qualcosa che ti è dispiaciuto sacrificare e
lasciare fuori? E c’è qualcosa, che, ripensandoci ora, non avresti inserito?
Ale: Doppio addirittura? A parte che c’è sempre
tempo per farne un altro, vi sono moltissime can-
Intervista rilasciata via mail il 20 gennaio 2007
interviste
zoni lasciate da parte perchè non abbiamo trovato un arrangiamento che ci convincesse, come
pure ci sono alcuni pezzi (Le scimmie o Le cose
schifose) che ho tradotto appositamente perché
ritenevo che dessero ottimi spunti al gruppo. Poi
ti dico subito che c’è un ulteriore progetto imparentato a questo: c’è l’intenzione di raccogliere i
miei articoli sulla canzone (francofona, ma non
solo) in un libro, a tale libro dovrebbe essere allegato un CD con molti brani tradotti da molti autori fra quelli presenti nel libro. Tali brani saranno
suonati solo chitarra e contrabbasso, per presentare, della mia ricerca sulla canzone d’autore,
una visione interiorizzata che si situa agli antipodi
del Pavé. Il Pavé nasceva per essere un doppio, il
mio editore sarebbe stato disponibilissimo, ma i
Mariposa (di cui i Moka sono per certi versi una
costola) venivano dall’esperienza di Proffity now
che avevano ottimi motivi per non ripetere. Ho
preferito allora convogliare tutte le mie energie
nella concezione del libretto del pavé, di cui un po’
mi dispiace che tu non parli, perché secondo me
è una delle componenti fondamentali di questo
disco…
le bielle
lesca. Siamo a posto! Chiunque arrivato al pezzo
numero sette del tuo disco schiaccia fast
forward.
Ale: La mia percezione di quel pezzo non è poi
così triste. Cosa racconta? Per metterla sul brutale: è notte, un uomo colto da un attacco d’insonnia (o di desiderio?) cerca di svegliare la sua
donna titillandole i capezzoli (modiglianavo sul tuo
tocco/e dato un ultimo ritocco), lei continua a
dormire, allora lui guarda la luna, la corteggia un
po’ (in maglia bionda sul balcone/la luna ha
esploso il suo pallone/curvata quasi fosse incinta). Alla fine la luna resta lì e lui decide di tornare
dalla sua donna (alla tua bocca che
dischiudi/sono tornato a piedi nudi)… ben due
storie d’amore che vanno bene in una sola canzone… direi che per il genere è una media straordinaria!
Scarica

Biellenews 60