NOTE PER LA CATECHESI MISTAGOGICA
«[…] nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva
loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con
parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia sulla redditio
symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti
insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la
fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore […]. Voi dunque lo
avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete
ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti; e anche quando
dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore» (Benedetto XVI)4.
La consegna (traditio) e riconsegna (redditio) del Simbolo sono anche oggi un
momento importante all’interno dell’esperienza del catecumenato degli adulti5.
Chi fu battezzato ancora bambino, sa che la grazia di poter ascoltare la parola di
Cristo matura nella professione della propria fede, «a lode e gloria di Dio Padre»6.
Ne nasce il dovere di conoscere e approfondire adeguatamente i contenuti della fede,
dal momento che «la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio
assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene
proposto dalla Chiesa» (Benedetto XVI)7.
[La Messa della Domenica – 9]
Partecipare al dialogo della salvezza
OMELIA (OGMR 65-66)
PROFESSIONE DI FEDE (OGMR 67-68)
IL PROGRAMMA
[65-66] «L’omelia fa parte della Liturgia ed è vivamente raccomandata: è infatti
necessaria per alimentare la vita cristiana […]. Nelle domeniche e nelle feste di
precetto l’omelia si deve tenere, e non può essere omessa - se non per un grave
motivo - in tutte le Messe con partecipazione di popolo […]. È opportuno, dopo
l’omelia, osservare un breve momento di silenzio».
[67-68] «Il Simbolo, o professione di fede, ha come fine che tutto il popolo riunito
risponda alla parola di Dio, proclamata nella lettura della sacra Scrittura e spiegata
nell’omelia; e perché, recitando la regola della fede, con una formula approvata per
l’uso liturgico, torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro
celebrazione nell’Eucaristia. Il Simbolo dev’essere cantato o recitato dal sacerdote
insieme con il popolo, nelle domeniche e nelle solennità».
«Chi dice “Io credo”, dice “Io aderisco a ciò che noi crediamo”. La comunione nella fede
richiede un linguaggio comune della fede, normativo per tutti e che unisca nella medesima
confessione di fede» (CCC 185).
NOTE PER LA ARS CELEBRANDI
«La parola greca symbolon indicava la metà di un oggetto spezzato (per esempio un sigillo)
che veniva presentato come un segno di riconoscimento. Le parti rotte venivano ricomposte
per verificare l’identità di chi le portava. Il ‘Simbolo della fede’ è quindi un segno di
riconoscimento e di comunione tra i credenti» (CCC 188).
«Tenuta, di norma, da colui che presiede1, nella celebrazione della Messa l’omelia ha lo scopo
di far sì che la proclamazione della parola di Dio diventi, insieme con la liturgia eucaristica,
“quasi un annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di
Cristo” (cfr. SC 35,2). Infatti il mistero pasquale di Cristo, che viene annunciato nelle letture e
nell’omelia, viene attualizzato per mezzo del Sacrificio della Messa. Sempre poi Cristo è
presente e agisce nella predicazione della sua Chiesa. Pertanto l’omelia, sia che spieghi la
parola della sacra Scrittura appena proclamata, o un altro testo liturgico, deve guidare la
comunità dei fedeli a partecipare attivamente all’Eucaristia, perché “esprimano nella vita ciò
che hanno ricevuto mediante la fede” (cfr. SC 10)» (OLM 24).
«L’Amen finale del Credo riprende […] e conferma le due parole con cui inizia: “Io credo”.
Credere significa dire Amen alle parole, alle promesse, ai comandamenti di Dio, significa
fidarsi totalmente di colui che è l’Amen d’infinito amore e di perfetta fedeltà. La vita cristiana
di ogni giorno sarà allora l’Amen all’ “Io credo” della professione di fede del nostro Battesimo:
“Il Simbolo sia per te come uno specchio. Guardati in esso, per vedere se tu credi tutto quello
che dichiari di credere e rallegrati ogni giorno per la tua fede” (S. Agostino)» (CCC 1064).
___________________________________
4
BENEDETTO XVI, lett. apostol. Porta fidei, 11.10.2011, n. 9.
5
Cfr. CEI, Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, 1978, nn. 183-187. 194-199. 390 e 392.
6
Cfr. Rito del Battesimo dei bambini, nn. 74 e 121: «Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i
muti, ti conceda di ascoltare presto la sua Parola e di professare la tua fede a lode e gloria di Dio Padre».
7
BENEDETTO XVI, lett. apostol., Porta fidei, n. 10. «Per accedere a una conoscenza sistematica dei
contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso e
indispensabile»: Ibidem, n. 11; cfr. CCC 185-1065: «La professione della fede cristiana».
L’omelia
Con l’omelia, colui che presiede «guida i fratelli a intendere e a gustare la sacra Scrittura, apre
il cuore dei fedeli al rendimento di grazie per i fatti mirabili da Dio compiuti; in particolare
alimenta la fede dei presenti per ciò che riguarda quella parola che nella celebrazione, sotto
l’azione dello Spirito Santo, si fa sacramento; li prepara infine a una fruttuosa comunione e li
esorta ad assumersi gli impegni della vita cristiana» (OLM 41).
«Con questa viva esposizione della parola di Dio che viene proclamata, anche le celebrazioni
della Chiesa possono ottenere una maggiore efficacia, a patto che l’omelia sia davvero frutto di
meditazione, ben preparata, non troppo lunga né troppo breve, e che in essa si presti
attenzione a tutti i presenti, compresi i fanciulli e la gente semplice» (OLM 24).
1
«Il sacerdote celebrante tiene l’omelia alla sede, in piedi o seduto, o all’ambone stesso» (OLM 26).
La professione di fede
Essa ha «lo scopo di suscitare nell’assemblea riunita una risposta di assenso alla
parola di Dio ascoltata nelle letture e nell’omelia, e di richiamare alla mente la regola
della fede, nella forma approvata dalla Chiesa, prima di dare inizio alla celebrazione
del mistero della fede nell’Eucaristia» (OLM 29).
«Quando è prescritta la professione di fede, si potrà alternare il simbolo nicenocostantinopolitano con quello detto “degli Apostoli”, proclamando con diverse formule la
stessa unica fede. Sarà il criterio dell’utilità pastorale a suggerire l’uso di questo secondo
simbolo, che pure è patrimonio del popolo di Dio e appartiene alla veneranda tradizione della
Chiesa. Esso richiama la professione di fede fatta nella celebrazione del Battesimo e si
inserisce opportunamente nel Tempo di Quaresima e di Pasqua, nel contesto catecumenale e
mistagogico dell’iniziazione cristiana. Per una più facile memorizzazione nella lettera e nel
contenuto, è opportuno che il simbolo apostolico sia usato per un periodo piuttosto
prolungato»2.
Il Credo in qualche caso potrebbe essere introdotto da una monizione, che ne
richiami le finalità o ne metta in rilievo qualche risonanza particolare legata alla
festa o al Tempo liturgico (es. il Natale, la Risurrezione, l’Ascensione...).
Qualche esempio:
(nella solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo) «Fratelli e sorelle, nel cammino incontro al
Signore, che tornerà nella gloria, la fede della Chiesa vive delle parole che il Padre del cielo
rivelò a Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. In comunione con il papa
Benedetto, successore del primo tra gli Apostoli, vi chiedo di riaffermare – con vigore e
profonda convinzione – la fede del nostro Battesimo. Ci sentiamo spronati anche dalla
testimonianza di san Paolo, che, al termine della vita, potè asserire in piena coscienza: “Ho
conservato la fede”».
«Con la professione di fede (che eseguiremo in canto) ci è dato di “entrare in comunione con
Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, e anche con tutta la Chiesa che ci trasmette la fede e nel
seno della quale noi crediamo” (CCC 197). Alimenteremo così la gioiosa consapevolezza di
popolo che appartiene al Signore. Ognuno senta forte l’esigenza di trasmettere alle generazioni
future la fede di sempre».
«Fratelli e sorelle, in comunione con il Successore di Pietro, garante dell’unità di tutta la
Chiesa, fieri e grati di essere rinati alla grazia nelle acque del fonte battesimale, esprimiamo
con rinnovata consapevolezza la fede cattolica».
Nella celebrazione festiva dell’Eucaristia l’assenso alla parola di Dio proclamata
nelle letture e nell’omelia diviene più caloroso quando il canto sostiene il gesto di
risposta personale, rendendola robusta e coralmente compatta.
2
CEI, Precisazioni, n. 2, in MR, p. XLIX. «Non si ammetta nella santa Messa, come nelle altre
celebrazioni liturgiche, un Credo o Professione di fede, che non sia inserito nei libri liturgici debitamente
approvati» (RS 69).
Era pacifico nelle nostre parrocchie che la ‘Messa cantata’ comprendesse sempre
l’esecuzione in canto del Credo. Da anni è invalso l’uso di limitarsi a una semplice
recitazione, senza tenere abbastanza conto che una buona recita è sempre più
difficile del canto. È il caso, invece, di riprendere in considerazione la possibilità del
Simbolo di fede cantato dall’intera assemblea, adottando un adeguato recitativo.
Nel libretto «Jubilate Deo» (1974) - espressamente voluto dal venerabile Paolo VI,
con l’intento di mantenere in uso presso tutte le comunità un certo numero di canti in
‘gregoriano’ - è presente anche la più diffusa melodia del Credo in latino3. Può
essere una valida soluzione quella di riproporla, in determinate circostanze, attese
anche le sue connotazioni ‘universalistiche’ (Roma, Lourdes...).
Ricorrere alla recitazione (solistica o corale) del testo, intercalata da una breve acclamazione
in canto, non è la soluzione migliore, in quanto priva il popolo cristiano della possibilità di
esprimere in modo unanime la professione della sua fede.
La semplice recita del Credo può essere resa meno precipitosa mettendo in rilievo le
quattro articolazioni del testo: «Credo in un solo Dio…»; «Credo in un solo
Signore…»; «Credo nello Spirito Santo…»; «Credo la Chiesa…», e abituandosi a
lasciare un breve stacco tra le diverse parti.
Nella solennità di Natale, a cominciare dalla Messa della vigilia, e nella solennità
dell’Annunciazione del Signore (25 marzo), è previsto che ci si debba mettere in ginocchio per
recitare le parole «e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e
si è fatto uomo».
Per rendere più significativo il gesto, si potrebbe procedere in questo modo: interrotta la
recita dopo le parole «discese dal cielo», mentre ci si mette in ginocchio, si lascia spazio ad
un breve intermezzo organistico che può introdurre il canto (in italiano o in latino) della frase
riguardante il mistero dell’Incarnazione. Segue un altro breve intervento strumentale mentre
tutti si alzano, pronti a riprendere la recita da: «fu crocifisso per noi».
È il caso di adottare la versione a domande del Simbolo apostolico?
Per salvaguardare la singolarità di ogni rito, è meglio riservare questa modalità alle
situazioni in cui è espressamente prevista: il rito del Battesimo, il rito della
Confermazione (con le apposite varianti) e la Veglia pasquale.
In quest’ultimo caso, la monizione del celebrante la connette al Battesimo che tutti hanno
ricevuto e al cammino penitenziale compiuto in Quaresima. Come autorevoli studi hanno
ampiamente dimostrato, più che di “rinnovazione delle promesse battesimali”, si tratta, più
propriamente, di una professione di fede che si svolge in un doppio movimento di rinuncia e di
assenso; una vera e propria ‘risposta’ al dono battesimale, piuttosto che una promessa
rinnovata. Una risposta costituita dalla professione della fede battesimale, da farsi nella
comunità cristiana; conseguentemente, e strettamente connessa a questa, la rinuncia
deliberata a tutto ciò che si oppone al progetto salvifico di Dio.
3
Cfr. ora Iubilate Deo. Cantus gregoriani faciliores, Libreria editrice vaticana, 1986, pp. 25-29.
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