DETTI E CONTRADDETTI 1998 – 1° SEMESTRE
Rubrica settimanale tenuta sul Giornale di Brescia
2 gennaio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Vi auguro un'amicizia "elevata". Un'amicizia elevata colma il
cuore dell'uomo molto più di un'amicizia comune e usuale. Nel suo seno le piccole cose trascorrono;
soltanto le grandi cose vi si fermano e vi dimorano (Blaise Pascal).
Un risultato si concorre a produrlo, preannunciandolo. Pur supponendo che un sondaggio sia
condotto con le più perfette garanzie di obiettività, ci si può domandare se il mezzo d'informazione
non divenga esso stesso un mezzo di azione; se le opinioni che sono espresse, le preferenze che
sono rimarcate non abbiano un effetto sui nostri giudizi e, in caso di elezioni, sui voti che noi
esprimeremo il giorno dopo. Questo è tanto vero che i sondaggi e le statistiche, anche quando
vengono prese le più scrupolose precauzioni, sono dei mezzi per influenzare quello che avverrà
(Levi Appulo).
Com'è possibile che io non sia grande, se... Com'è possibile che io non sia grande, se ho messo
fuori posto tante cose e se un Dio, amico mio, si è scomodato per me e per me si è sacrificato?
Ecco, questo è il cristianesimo (Charles Péguy, Lui è qui, Pagine scelte, Bur-Rizzoli, 1997).
RICONCILIARSI CON IL PROPRIO PASSATO NELLA VERITÀ. I cattolici hanno colpe da farsi
perdonare, ma, oggi come oggi, hanno un merito da farsi accreditare, e cioè il coraggio con cui
hanno riconosciuto che nella loro storia passata non sono mancate sbandate, intolleranze,
valutazioni maggiormente influenzate dalle mode del tempo che non dall'autentico spirito del
Vangelo. Giovanni Paolo II ha chiesto scusa agli ebrei per essere stati fatti oggetto di odio e di
persecuzioni dalle generazioni cristiane dei secoli passati; ha riabilitato Galileo Galilei,
riconoscendogli onestà, buona coscienza e meriti di grande scienziato; sta per riabilitare il
Savonarola (se è vero che procede la causa della sua beatificazione); ha definito come offesa a
Cristo ogni ricorso alla violenza, alla crudeltà e all'odio utilizzati come mezzi per promuovere la
causa di Dio.
La Chiesa cattolica è risalita alla ricerca delle cause che hanno reso accettabili, nel passato, sia
prossimo che remoto, scelte chiaramente inaccettabili se confrontate con la lettera e lo spirito del
Vangelo ed ha individuato nella dissociazione della causa dell'uomo da quella di Dio la fonte dalla
quale sono scaturite tante devianze della cristianità. Chi offende l'uomo offende Dio e chi offende
Dio offende l'uomo. Non sarebbe male che chi scrive e chi legge la storia del Novecento facesse sua
questa enunciazione e l'usasse con criterio di valutazione e di discernimento.
QUANDO L'INCREDULO SA CHI È QUEL DIO CHE GIUDICA ASSENTE. Vi è nei taccuini di
Valéry, un pensiero di cui riproduco la sostanza: «Se Dio esistesse, se potessi solo credere che egli
esiste, io sarei perpetuamente felice. Non penserei che a quell'oggetto, non potrei interessarmi più ad
altra cosa se non a lui. La vita sarebbe dolce e sapida, perché mi sentirei avvolto di tenerezza e di
protezione. La morte non sarebbe nulla. Se Dio esistesse, se la vita non fosse che il ritardo del mio
incontro con lui, la vita sarebbe già, anche se dolorosa, una beatitudine come la lunga attesa d'una
donna diletta e della quale si è certamente sicuri che verrà. Se Dio esistesse, mi sembra ch'io sarei
buono verso tutti, come un uomo divenuto all'improvviso miliardario che gettasse sacchi di scudi da
ogni parte, per il semplice piacere di donare. A me sembra, se Dio esistesse, che le mie colpe
trascorse sarebbero assorbite in lui e perdonate».
Il pensiero di Valéry è sottile. Sembra dire: «Tu che ti dici credente, sai di quale ricchezza
interiore, di quale riserva di gioia puoi disporre?».
POESIA DEI NOSTRI GIORNI. La tendenza è quella. Mi conosco, la tendenza è quella. / Quella
disegnata da John Donne: / salmone contro corrente (Levi Appulo).
Colloquio amoroso. I tuoi occhi sono belli - mi disse. /Sono colmi di te - risposi (Levi Appulo).
A voi, giovani amici. Non sprofondate anche voi, / ve ne scongiuro, giovani amici, / nella lurida
feccia della Circostanza, / non perdetevi / nella nebbia dell'indifferenza (Levi Appulo).
Inconsciamente amorose. Cessato il litigio, / chiusi gli occhi, / nel sonno le teste, / inconsciamente
amorose, / si sono accostate (Levi Appulo).
8 gennaio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Quel calore umano su cui si regge il mondo. Che piacere ti fa
l'uomo per la strada quando ti dice "per favore" oppure "grazie". E lo dice con tanta grazia come se
ti augurasse veramente la salvezza. Solo su questo calore umano si regge il mondo (Andrej
Sinjavskij). L'erudizione e il talento. Un uomo erudito non è erudito in tutto, ma l'uomo di talento è
di talento ovunque, anche nell'ignorare (Michel de Montaigne).
Dare, ma con gioia. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per
forza perché Dio ama chi dona con gioia (San Paolo, 2 Cor 9, 7).
Amore e disprezzo. Amare quelli che si disprezzano, è un gran bene. Ma disprezzare quelli che si
amano, è la più grande delle sofferenze che ci sia (Charles Péguy, Lui è qui, Bur 1997, p. 179).
L'affare Gesù. Quando ci si riconcilia su un affare è che non se ne capisce più niente. In questo
senso vi è solo un affare sul quale non ci si riconcilierà mai e sul quale noi siamo sicuri che ci sarà
sempre un'eterna divisione: è l'affare Gesù (Ch. Péguy, ibid., p. 170).
Perché leggo? Leggo per legittima difesa (Woody Allen). Leggo perché non ho mai avuto una
tristezza che un'ora di lettura non abbia dissipato (Charles de Montesquieu).
Quando si tratta di poesia. Si ha poesia ogni volta che uno scrittore ci introduce in un mondo
diverso dal nostro, dandoci la presenza di un altro [...] La poesia è creazione di un soggetto che
assume un nuovo ordine in relazione simbolica con il mondo. La poesia ci induce in una nuova
dimensione dell'esperienza (Jacques Lacan, Le Séminaire III, Le Seuil, Paris 1981, p. 91).
LA VIA NUOVA DELL'ECUMENISMO. No, non è discendendo verso la base comune che si può
fare l'unione dei cristiani, ma al contrario elevandosi fino al vertice di ogni fede. Detto in altri
termini, non è essendo meno protestante che un protestante si riavvicinerà ad un cattolico, ma al
contrario approfondendo la fede che ha ricevuto dalla sua Chiesa, ritrovando mano a mano la sua
profondità e la sua altezza. E allo stesso modo, un cattolico non si renderà più accogliente alle altre
Chiese essendo meno cattolico, ma al contrario approfondendo l'ideale di pienezza, di
ricapitolazione che è l'ideale cattolico.
È elevandosi verso il più alto, il più puro, il più profondo di se stesso, nella riflessione, nella
preghiera, nel dono di sé che i cristiani disgiunti potranno meritare, un giorno ignoto, di oltrepassare
l'intervallo - immenso e infimo - che separa l'Unione dall'Unità!
SE IL DENARO È TUTTO. Questo mondo moderno tutto teso al denaro, tutto in tensione verso il
denaro, contagiando perfino il mondo cristiano, gli fa sacrificare la sua fede e la sua morale per il
mantenimento della propria pace economica e sociale.
Nel mondo moderno non esiste, non regge, non conta alcun potere accanto al potere del denaro; non
esiste, non regge, non conta alcuna distinzione in confronto all'abisso che separa i ricchi e i poveri, e
queste due classi, malgrado le apparenze e malgrado il gergo politico e i paroloni di solidarietà, si
ignorano come mai nel passato si sono ignorate.
In modo infinitamente diverso, infinitamente più grave s'ignorano e misconoscono. Sotto le
apparenze del gergo politico parlamentare c'è un abisso fra di esse, un abisso di ignoranza e di
incomprensione, un abisso di non comunicazione. Una volta l'ultimo dei servi apparteneva alla
stessa cristianità... Oggi non c'è più città. Il mondo ricco e il mondo povero vivono, mostrano di
vivere, come due masse, come due strati orizzontali separati da un vuoto, da un abisso di
incomunicazione.
Il denaro è tutto, domina tutto nel mondo moderno, a tal punto, così completamente, così
totalmente, che la separazione sociale orizzontale fra ricchi e poveri è divenuta infinitamente più
grave, più radicale, più assoluta della separazione verticale di razza... (Ch. Péguy, Lui è qui, Bur
1997, pp. 238-239).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Assai più che perdono. Lasciami piangere, / Signore, / lo
spettacolo della mia follia, / o ridere / della mia irragionevolezza. /
Aiutami, mio Dio! / Tu, la cui mano / accarezza i monti e l'oceano, / demolirai in me / il muro del
peccato. /
Passato, presente, futuro / tutti gli istanti della mia vita / tu raccoglierai in uno solo / e mi restituirai
la limpidezza / del tuo stesso sentire. /
Tu, Dio, nella mia felicità, / assai più che perdono, / dono. (Max Jacob, 1876-1944, in Preghiere
dell'umanità, Brescia, Queriniana).
15 gennaio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il pasticcio e il vino dolce. È impossibile piacere alla moltitudine,
se non diventando un pasticcio, o un vinello dolce (Bione di Boristene, filosofo antico). La noia e
quelli in cui lo spirito è qualcosa. Poco propriamente si dice che la noia è mal comune. Comune è
l'essere disoccupato, o sfaccendato per dire meglio; non annoiato. La noia non è se non di quelli in
cui lo spirito è qualche cosa (Giacomo Leopardi, Pensieri, 67). Fa male. Il bene, precipitosamente
afferrato, fa male (Niccolò Tommaseo, Pensieri morali).
Al di là delle apparenze. C'è più imbecilli tra i dotti che tra gli ignoranti; più villanie si commettono
in città che in campagna; più barbarismi diconsi nelle accademie che al mercato (N. Tommaseo,
ibid.). La lingua batte... Spesso i più rei sono quelli che più parlano di diritto (N. Tommaseo, ibid.).
Il fiore di ogni pregio. I pregi possono essere tanti. Il fiore, però, di ogni pregio è uno solo: la
delicatezza (Levi Appulo).
RISCOPRIRE DIEGO FABBRI. Uno dei pochi italiani che ha saputo sprovincializzare, nel campo
che era suo, il teatro, il nostro Paese e, nello stesso tempo, far apprezzare all'estero la nostra
produzione migliore è stato Diego Fabbri (1911-1980).
Drammaturgo di razza, sapeva proporre dal palcoscenico problemi reali, sentimenti profondi,
passioni autentiche. Ecco un autore a cui un Nobel poteva benissimo essere assegnato con pieno
merito.
I giovani faranno bene a leggere non solo il famosissimo Processo a Gesù, ma anche Inquisizione,
Figli d'arte, Ritratto d'ignoto, Un ladro in Vaticano, Incontro al Parco delle Terme e Al Dio ignoto,
vero e proprio testamento di Fabbri, rappresentato pochi giorni prima della sua scomparsa. Né sono
meno ariose e spregiudicate nei temi affrontati le sue commedie, tra le quali eccellono Il seduttore e
La bugiarda.
Ho avuto la gioia di conoscerlo di persona un anno prima della sua morte, avendolo invitato a
Brescia a parlare su un tema che gli era particolarmente congeniale: «Rifiuto e invocazione di Dio
nel teatro contemporaneo». E tra noi si stabilì un'amicizia schietta, al punto che rimandò di qualche
giorno la partenza per Roma.
Aveva esprit de finesse ed una cultura vasta, profonda, divenuta sostanza del suo sentimento della
vita. I suoi maestri erano non solo Pirandello e Ugo Betti, ma Platone, Agostino, Pascal,
Dostoevskij, Blondel; nutriva un profondo affetto per Silone; conosceva fin nelle sfumature più
sottili gli orientamenti e i dibattiti del nostro secolo.
Anticonformista serio, non cedette al compromesso e al grigiore dominante, né alla tentazione del
carrierismo e della ideologizzazione; libero e fedele testimone della sua fede, fu instancabile
indagatore delle ragioni di chi era fuori dell'orizzonte cristiano.
La sua adesione al Cristo dei Vangeli era schietta e radicata, e per questo non fu mai sfiorato dal
pensiero di starsene per conto suo, fuori dalla Chiesa e dall'ortodossia; al contrario, egli era convinto
che «il cristianesimo è un vivere insieme ed un salvarsi insieme», secondo un'affermazione di Péguy
che Fabbri amava citare.
Come incontrare un uomo e un autore come Fabbri? Di lui, per cominciare, occorre procurarsi - o
fotocopiare, se non è più in vendita - Tutto il teatro edito nel 1983 da Rusconi, e il prezioso
volumetto Ambiguità cristiana, ristampato di recente dalle Edizioni Studium di Roma. Per un
inquadramento storico-critico, l'opera più completa è Fabbri e Pirandello - Il teatro, la persona,
l'oltre, Forlì, Ateneo Editrice 1991.
QUANDO L'ANGOSCIA AFFERRA IL NOSTRO CUORE. Gli infelici si stancano dell'infelicità
e anche della consolazione; son stanchi d'esser consolati prima che noi di consolarli; come se ci
fosse al cuore della consolazione una cavità; come se fosse bacata; e quando noi siamo ancora
pronti a dare, loro non sono più pronti a ricevere, non vogliono più ricevere; non accettano più; non
han più fame di ricevere; non vogliono più ricevere niente [...] (Ch. Péguy, Lui è qui, Bur 1997, p.
173).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Con la semplicità e l'amore. Liberami Signore, / dalla pigrizia
che si agita, / sotto la maschera del fare, / e della mollezza che compie / ciò che non è stato
richiesto, / per riuscire a eludere un sacrificio! / Ma domani l'umiltà / nella quale soltanto è il riposo,
/ e liberami dall'orgoglio / che è il fardello più pesante. Penetra tutto il mio cuore, / tutta la mia
anima, / con la semplicità dell'amore (Thomas Merton, Semi di contemplazione, Milano 1962, pp.
33- 34).
22 gennaio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. I nostri giudizi. I nostri giudizi sono sempre delusioni d'amore
(Giacomo Noventa). Ognuno ha i suoi occhiali, ma nessuno sa mai troppo bene di che colore siano
le lenti dei propri (Alfred de Musset). La maieutica del dolore. L'uomo ha delle zone del suo cuore
che non conosce ancora e dove il dolore entra per farle esistere (Leon Bloy). Eliminare le parole
enfatiche. Eliminare le parole enfatiche. Che il pensiero stesso sia forte e non lo slancio con il quale
lo esprimi (Elias Canetti).
Il sigillo di autenticità. In un racconto di Chesterton, padre Brown dice che ciò che distingue le
grandi religioni dalle nebbiose superstizioni è il loro genuino materialismo, cioè la capacità di
confrontarsi con l'argilla di cui è impastato l'uomo e di cui sono impastate anche le sue creazioni più
alte, da un gesto d'amore o di sacrificio alla musica del Flauto magico (Claudio Magris). La
semplicità di vita, il distacco dell'ossessione dell'avere. L'amore per la povertà non è per nulla
ascetico: coglie e assapora nella loro pienezza, tutti i piaceri, tutte le gioie che si offrono (Simone
Weil).
DATI SU CUI INTERROGARCI. Primo. Vent'anni fa, i matrimoni in Italia erano 7,5 ogni mille
abitanti, oggi sono 5,1. Cinquant'anni fa, le coppie con tre o più figli erano 22 su cento, oggi sono
l'1,7 per cento. I separati e i divorziati sfiorano la cifra di due milioni... Questi ed altri dati si
leggono nel libro di Giulia P. Di Nicola e Attilio Danese Amici a vita, pubblicato da Città Nuova
Editrice, Roma.
Secondo. Mentre la Francia riduce del 9 per cento le spese militari, le nostre crescono nel 1997 del
9 per cento: 448 miliardi in più. Come cittadino vorrei che qualcuno me ne facesse conoscere le
ragioni.
Terzo. Il tasso di disoccupazione che negli anni Sessanta era in Europa sotto il 2,6 per cento con
punte minime dello 0,7, oggi è tra il 10 e il 12. Le previsioni sono che nel giro di pochi anni negli
Stati Uniti, che pure è il Paese che meglio si è difeso, gli operai si ridurranno al 10 per cento della
forza lavoro totale. Secondo uno studio di Jeremy Rifkin, già ora i disoccupati mondiali sarebbero
800 milioni. Il progresso tecnologico, da cui ci si attendeva il paradiso in terra, sta dunque,
uccidendo il lavoro? Allo stato attuale dei fatti, un investimento tecnologico, che negli anno
Sessanta avrebbe prodotto due nuovi milioni di posti di lavoro, oggi ne cancella altrettanti. Chi
voglia essere informato sugli scenari della crisi strutturale che il mondo intero sta attraversando,
può leggere utilmente La sinistra sociale di Marco Revelli, edito da Bollati Boringhieri.
ILARIA E IL SUO NONNO. «Sono andato con Giacinta a Loppiano, per rivedere l'Ilaria e
Alvise, esiliati lassù da venti giorni. L'Ilaria, appena mi ha visto, è saltata sull'automobile e mi ha
coperto il viso di baci schioccanti. I suoi begli occhi cilestrini erano illuminati di candida malizia;
poi, quando si partì, oscurati da rassegnata mestizia.
È molto difficile, anche nei bambini, capire fino a che punto sia disinteressato l'affetto. Ma è certo
che l'Ilaria, fra tutti i miei cinque nipotini, è quella che ha maggior calore e più slancio. Le ho
procurato, credo, molti piaceri, da quando è nata, ma certo ne ha dati a me assai di più: coi suoi
sorrisi, coi suoi discorsi, colle sue carezze. Fra tutte le creature che vivranno quando io non vivrò
più l'Ilaria sarà, forse, l'ultima a ricordarsi di me » (G. Papini, Diario, 7 gennaio 1943).
L'Ilaria di cui si parla è Ilaria Occhini, una delle attrici di prosa tra le più brave, e il nonno è
Giovanni Papini. Negli ultimi anni, quando allo scrittore fiorentino, ridotto a un rudere, divenne del
tutto impossibile una qualsiasi comunicazione con gli altri, solo Ilaria riuscì ancora ad afferrare nei
mugolii disarticolati del nonno i suoi pensieri sferzanti e a tradurli in bellissimi articoli. Articoli che
testimoniano la vittoria dello spirito sulla materia in disfacimento e dell'amore su ogni ostacolo.
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. La Luce che dissipa le tenebre. Apri a noi la tua porta,
Signore, / e da te sarò illuminato / come dallo splendore del giorno. / Alla luce canterò la tua gloria.
/ Mi risveglio al mattino / per lodare la tua divinità / e mi affretto a impregnarmi della tua Parola. /
Col fluire del giorno la tua luce / brilli sui nostri pensieri / e le tenebre dell'errore siano cacciate
dall'anima. / Tu che illumini ogni creatura, / rischiara anche i nostri cuori / perché ti lodino per tutto
il trascorrere dei giorni.
L'Autore di questa preghiera è Giacomo di Sarug, uno dei grandi Padri della Chiesa di Siria
vissuto tra il 451 e il 521.
29 gennaio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Nel divenire storico si verifica. Mi convinco sempre più che ogni
casta muore soltanto per suicidio (G. Papini, Diario, 17 gennaio 1943). Chiesa cattolica e società
politica. La Chiesa per le sue origini si trova sempre a disagio nella società politica, qualunque sia il
regime... Pio IX è per l'autorità e la gerarchia in tempo di liberismo, Pio XII liberale e democratico
in tempo di autorità totalitaria (G. Papini, idem, 10 gennaio 1943).
Se tutto l'anno è quaresima. La morte del carnevale, come nella Firenze di Savonarola e nella
Ginevra di Calvino, toglie ogni senso alla quaresima (Levi Appulo). Quando si muore la prima
volta. Moriamo sulla terra una prima volta quando ci lasciano quelli che ci amarono (Levi Appulo).
Italia, Italia! Chi dell'Italia dispera, forza è che disperi di tutta l'umanità, perché i nostri destini sono
i destini d'Europa (Niccolò Tommaseo, Dell'Italia. Il dalmata scriveva queste cose quando era
ancora lontano il 1848 e più ancora il '59 e il Risorgimento era di là da venire). No, non è ipocrisia.
Non è ipocrisia se le tue opere sono inferiori alle tue parole. Ci mancherebbe! Dove saremmo se le
cose stessero così? Io dovrei stare zitto per evitare di essere ipocrita, dato che, se parlassi, ciò
significherebbe che mi ritengo perfetto. Ovviamente no. Non penso di essere perfetto perché parlo
di perfezione, non più di quanto crederei di essere italiano se parlassi italiano (San Francesco di
Sales, A una signora, lettera del 26 aprile 1617).
IL PARADOSSO CRISTIANO SPIAZZA LE ANTITESI GROSSOLANE. Il paradosso della
rivelazione cristiana consiste proprio in questo: la libertà dell'uomo non può essere giustificata che
dall'onnipotenza della libertà creatrice e redentrice. L'onnipotenza di un Dio che è agàpe, ed essa
sola, può garantire l'indipendenza di colui che è posto nell'essere. Si tocca ancora una volta qui per
mano l'originalità della «metafisica cristiana», che non concepisce il rapporto tra Dio e l'uomo in
termini di concorrenza antagonistica - per cui l'affermazione dell'uno esigerebbe la negazione
dell'altro - ma come «sinergia» e «vincolo nuziale». Nel Nuovo Testamento l'unico, autentico
superuomo è chi si unisce a Dio nell'amore di tutto ciò che Dio ha creato e redento, facendosi
testimone libero e fedele, collaboratore insostituibile di un disegno d'ineffabile grandezza. Da Ireneo
ad Agostino, da Tommaso d'Aquino a Niccolò Cusano, da Vico a Bergson l'approfondimento di
questo motivo centrale della visione cristiana della vita è costante e significativo. Sull'argomento
offriamo ai lettori una pagina di straordinaria penetrazione e forza dialettica. È di Soeren
Kierkegaard.
KIERKEGAARD: SOLO L'ONNIPOTENZA PUÒ RENDERCI INDIPENDENTI. La cosa più
alta che si può fare per un essere, molto più alta di tutto ciò che un uomo possa fare di essa, è
renderlo libero. Ma per poterlo fare, è necessaria precisamente l'onnipotenza. Questo sembra
strano, perché l'onnipotenza dovrebbe rendere dipendenti... L'essere creato solo per via
dell'onnipotenza può essere indipendente. Per questo un uomo non può rendere mai completamente
libero un altro uomo. Soltanto l'onnipotenza può riprendere se stessa mentre si dona e questo
rapporto costituisce appunto l'indipendenza di colui che riceve. L'onnipotenza di Dio è identica alla
sua bontà. Il suo stesso essere è un donarsi completamente ed è ciò che costituisce l'indipendenza di
colui che riceve. Ogni potenza finita, invece, rende dipendenti... È soltanto un'idea miserabile e
mondana della dialettica della potenza pensare che essa cresca in proporzione della capacità di
costringere gli altri e di assoggettarli. Socrate aveva ben compreso che l'arte della potenza più alta
è rendere gli uomini interiormente liberi e che questa è la cosa più degna... La creazione dal nulla
esprime proprio questa idea: che solo l'onnipotenza può rendere liberi... Se Iddio, per creare gli
uomini, avesse perduto qualcosa della sua potenza, non potrebbe più rendere gli uomini
indipendenti (Diario, Morcelliana, Brescia 1980, vol. III, pp. 240-241 passim).
POESIA DEL '900 ITALIANO. La ventura primavera. Ritrova, / il senso ritrova, / tra sorpresa e
attesa, / quell'aria rilustrante / in cui balena / la ventura primavera / ancora chiusa nel cuore
dell'inverno (Mario Luzi, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, 1994).
Confuso è il profilo delle opere. Scorge / a brani e a lacerti, / il bene / e il malefatto umano, / ma
confuso / è il profilo delle opere... / Non può fuori distinguere / né dentro se medesimo, / si perde
nell'enigma / della sua specie l'uomo (ibid.).
Nihil sine voce. Ha / una luce l'ombra, / una voce il nembo / nell'incommensurabile concento
(ibid.).
5 febbraio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Perché esiste il teatro. Il teatro esiste perché il mondo è falso: la
finzione smaschera la falsità di tutti i giorni (Gabriele Lavia).
Ora lo dice anche lui. Ribadiamo la nostra condanna contro tutti i regimi totalitari, quindi anche
contro il fascismo. Ci chiedete se questo giudizio riguarda anche la Repubblica sociale? Ebbene,
come si può pensare che la condanna del fascismo non si estenda anche alla condanna della sua fase
terminale? (Dichiarazione fatta da Gianfranco Fini nella trasmissione televisiva Moby Dick dell'11
dicembre 1997).
Questo mondo ha bisogno di bellezza. Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza
per non affondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che mette la gioia nei cuori,
è quel frutto prezioso che resiste all'usura del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare
nell'ammirazione (Paolo VI, Messaggio per gli artisti, 1965).
L'UNITÀ DEI CRISTIANI NELLA DIVERSITÀ. Vi sono nel Nuovo Testamento passi che si
rivelano straordinariamente fecondi se considerati nel loro dinamismo e concretamente applicati a
problemi e situazioni del nostro tempo. Si pensi, ad esempio, all'affermazione di Gesù che si legge
nel Vangelo di Giovanni: Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore (14, 2). Ebbene, se quel
passo diventasse un criterio, un orientamento per affrontare il problema del rapporto tra le Chiese
cristiane, si aprirebbe dinanzi a noi una nuova, ardita prospettiva. Una prospettiva che a qualcuno
potrà anche non piacere, ma di cui nessuno potrà contestare l'intrinseca legittimità. Per parte sua, il
cardinale Joseph Ratzinger ebbe a scrivere che «l'unità nella diversità», nella formulazione che ne
dette Oscar Cullmann, nel 1986, per lui suonava come «una parola d'ordine illuminante (hilfreich)».
Nelle sue lettere Paolo illustra la pluralità multiforme dei carismi dello Spirito Santo, ma anche dei
carismi che caratterizzano positivamente le prime comunità cristiane, ognuna delle quali ha un
«dono» suo proprio da mettere a disposizione di tutti. Similmente, non sarebbe questa l'ora per le
Chiese cristiane - cattolica, ortodossa ed evangelica - di adottare con crescente consapevolezza
come via all'unità la visione teologica e il metodo che suggerisce San Paolo?
Oggi s'impone un nuovo «sentire ecumenico» sia nella riflessione teologica, sia nell'annuncio di
Cristo al mondo, sia nel porsi unitariamente dei cristiani a servizio di tutti gli uomini per
promuovere la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. In ognuno di quei tre ambiti c'è per i
cristiani delle tre confessioni religiose un immenso lavoro da fare insieme; ma non dimentichiamo
che la strada percorsa negli ultimi trent'anni, a partire dal Concilio Vaticano II, è stata molto lunga.
Siamo, dunque, autorizzati a sperare.
LETTERA DI TOMMASO D'AQUINO A UNO STUDENTE (1270). Mio caro Giovanni, mi hai
chiesto come fare per acquisire un ricco bagaglio culturale. Ecco i miei consigli.
1. Non tuffarti a capofitto nel mare del sapere ma cerca di arrivarci lungo corsi d'acqua secondari. È
cosa saggia lavorare in crescendo, dalle cose più facili alle più difficili. Questo è il mio consiglio, e
tu faresti bene a seguirlo.
2. Sii lento a parlare...
3. Da' grande importanza a una buona coscienza.
4. Non trascurare mai i momenti di preghiera.
5. Mostrati amabile con tutti.
6. Non mettere mai il naso negli affari altrui.
7. Non entrare in troppa familiarità con nessuno, perché la familiarità genera disprezzo e offre un
pretesto per trascurare il lavoro serio.
8. Non sciupare tempo in chiacchiere inutili.
9. Cerca di seguire le orme degli uomini onesti e santi.
10. Non badare tanto a chi parla, ma accumula nella mente quanto di utile egli dica.
11. Assicurati di aver ben compreso quanto leggi o ascolti.
12. Chiarisci i punti dubbi.
13. Fa' del tuo meglio per riporre tutto quello che puoi nella piccola libreria della tua mente...
14. Non preoccuparti di cose al di fuori della tua competenza.
Se seguirai alla lettera i miei consigli raggiungerai la meta desiderata. Addio. Tommaso d'Aquino.
12 febbraio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. A proposito di "diritti d'acquisto". Dovrebbe essere motivo di
riflessione constatar che i cosiddetti "diritti acquisiti" sono in genere "privilegi acquisiti" (Giacomo
Canobbio). Incontro al Terzo Millennio. Noi stiamo entrando in un tempo simile ad un oceano e per
affrontarlo non abbiamo né barca, né vela, né timone. Occorre, dunque, pensare tutto nuovamente»
(Jean Giutton). Non cedere. «Non prostrarti mai a ciò che appare grande (Tagore). Il soffio del
disprezzo. Per l'oppressione dei miseri e il gemito degli indigenti, / ecco, io sorgerò - dice Jahweh - /
e metterò in salvo chi ha su di sé il soffio del disprezzo (Salmo 12, 6).
Testa e tasca. Il cittadino ha il diritto di sapere non soltanto ciò che l'onorevole ha in testa, ma
anche quello che ha in tasca (Corrado Alvaro). Il Papa, i poveri, i potenti. Il Papa è il naturale
avvocato dei poveri e il naturale giudice dei potenti (Giovanni Papini, Diario, 20 febbraio 1943).
I VERI SANTI SPEZZANO OGNI CLICHÉ. Domenico, sdraiato su un ruvido sacco steso per
terra, è moribondo e lo sa. Vuol andare incontro a Dio «nudo» e non lascia nulla dietro di sé: né le
lettere, né i libri con le sue annotazioni, né il bastone da viaggio. Nulla di suo deve diventare
«reliquia», oggetto di culto indebito, o peggio di commercio. Lì, nell'ora solenne dell'addio, il
Fondatore invoca la maledizione di Dio per chiunque introdurrà l'uso della proprietà del suo Ordine;
nello stesso tempo, in sublime delirio d'amore, si spinge a far violenza alla giustizia stessa del
Padre, implorando la liberazione dei dannati. Ad in infernos damnatos extendebat caritatem suam annota il biografo.
In commosso silenzio i frati gli fanno corona; colui che ha privilegiato l'intelligenza e la ricerca
della verità nel testimoniare la fede è agli ultimi istanti. Ma ecco, Domenico fa loro segno con la
mano e li invita ad avvicinarsi. «Mi accuso», dice il maestro dell'Ordine dei predicatori, «di aver
sempre preferito, a quella delle vecchie, la conversazione delle donne giovani». I veri santi, i grandi
santi non finiranno mai di sorprenderci per la loro straordinaria umanità, così schietta e irriducibile
ai cliché che circolano sul loro conto.
LA TIMIDEZZA, OSTACOLO O FORZA PROVVIDENZIALE: L'ESPERIENZA DI GANDHI.
Mentre gli altri, durante le riunioni, esprimevano la loro opinione, io me ne stavo seduto in assoluto
silenzio. Non che non fossi mai stato invitato a parlare, ma ero imbarazzato, non sapendo come
avrei dovuto esprimermi. Tutti gli altri partecipanti mi sembravano più informati di me. Inoltre,
spesso accadeva che, proprio quando avevo raccolto il mio coraggio per parlare, la discussione era
spostata su altri argomenti. Solo in Sudafrica vinsi questa timidezza, benché non l'abbia mai
completamente superata. Mi era impossibile parlare senza un testo già scritto. Ogni volta che
dovevo comparire dinanzi ad un pubblico sconosciuto, mi bloccavo, ed evitavo di parlare non
appena potevo.
Al mio debutto come avvocato, mi presentai come difensore degli imputati e perciò dovetti
interrogare i testimoni dell'accusa. Mi feci coraggio, ma il cuore mi venne meno. Tutto ruotava nella
mia testa, compresa la corte; non mi veniva in mente neppure una domanda da porre. Il giudice deve
essersi messo a ridere e i suoi consulenti si godevano lo spettacolo.
... Devo dire che la mia costitutiva timidezza non è stata soltanto un impaccio per me, a prescindere
dal fatto che essa mi ha talvolta esposto all'irrisione; ora in essa vedo soltanto dei vantaggi. Il mio
scrupolo a parlare, che prima aveva costituito un peso, ora mi fa piacere. Il beneficio più grande che
mi ha dato è l'avermi insegnato a misurare le parole, ha formato in me l'abitudine a tenere sotto
controllo i miei pensieri. E adesso potrei giurare che non una sola parola non meditata mi sfugge
dalla lingua o dalla penna (I due brani di Gandhi sono riportati nel volume Parole di pace, trad. it.
Queriniana, Brescia 1995, pp. 114-115).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Non disprezzare l'opera delle tue mani. «O Dio, io credo: /
che tu mi hai creato: non disprezzare l'opera delle tue stesse mani; / che tu mi hai fatto immagine e
somiglianza tua: non permettere che la tua somiglianza venga sfigurata; / che tu mi hai riacquistato
col tuo sangue: non permettere che sia sciupato il prezzo del riscatto; / che tu mi hai chiamato
cristiano col tuo stesso nome: non disdegnare il tuo titolo stesso; / che tu mi hai santificato nella
rigenerazione: non distruggere la tua santa opera; / che tu mi hai innestato nel buon olivo, come
membro del corpo mistico: che esso non sia mai reciso da te» (Lancelot Andrewes).
19 febbraio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Se è involontario. Il comico involontario è sempre il più comico
di tutti (Hans Otto Meissner). Se vuoi essere gentile. Se vuoi essere gentile, modera la tua fretta»
(Levi Appulo). Novità infinita. In Dio si scoprono nuovi mari, quanto più si naviga (Fray Luis de
Leon). Ma non tutto è letteratura. La letteratura è la più assoluta forma che la verità può assumere
(Leonardo Sciascia). Se sono sincere e pensate. Le nostre lettere siamo noi stessi (John Donne). La
storia narra questo di Gesù. Veramente non violento è colui che, mentre viene ucciso, non si adira
con il suo assassino, ma anzi prega Dio di perdonarlo. La storia narra questo di Gesù (Gandhi). Si
diventa ciò che si crede. Si vede spesso che l'uomo diventa ciò che crede. Se mi ripeto
continuamente che non posso fare una cosa, ne diventerò realmente incapace. Se, invece, credo
fermamente di poterla fare, allora sicuramente ne acquisterò la capacità, anche se all'inizio essa non
mi era congeniale (Gandhi).
IMPARIAMO A CONTARE I NOSTRI GIORNI. In uno dei libri di più intensa umanità e
saggezza spirituale che esistano, I racconti di Chassidim di Martin Buber, un libro che occorre
procurarsi assolutamente, si legge una parabola giudaica. Questa: «L'angelo Gabriele fu mandato da
Dio per far dono della vita eterna a chi avesse un momento di tempo per riceverlo. Ma l'angelo
tornò indietro e disse: Avevano tutti un piede nel passato e uno nel futuro. Non ho trovato nessuno
che avesse tempo». In effetti, in un mondo svuotato di interiorità e di silenzio pensante e amante, la
futilità e l'asservimento ai disvalori correnti ci impediscono di capire e far nostro il tempo della
gratuità, del dono di sé, della preghiera, della poesia, della contemplazione. Del santo iniziatore del
movimento dei Chassidim, Baal Shem Tov, si racconta anche questa storia: «Un giorno lo spirito di
Baal Shem Tov era abbattuto perché gli sembrava di non riuscire a raggiungere il mondo futuro.
Allora si fermò, si mise a riflettere ed esclamò: Se amo Dio, che bisogno ho di un mondo futuro?».
È vero, solo l'avvertire con l'intelligenza e il cuore la contemporaneità di Dio ad ogni giorno
dell'uomo conferisce al tempo una durata e un valore infiniti, sì che gli istanti non svaniscano
nell'insignificanza. Per coloro che si rapportano a Dio il futuro germoglia già nel presente. San
Paolo dirà che quelle persone «redimono il tempo», sono cioè nel tempo ma per riscattarlo e lo
vivificano alla luce e in compagnia dell'Eterno. Cercare, trovare il tempo necessario per vivere la
vita più alta, che scorre nel nostro intimo e che nondimeno ci trascende, significa sentire e
sperimentare che siamo resi partecipi dell'Eterno: sentimus experimurque nos aeternos esse. Si
comprende, allora, quanto sia sublime l'invocazione che si legge nel libro dei Salmi: «Insegnaci a
contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore». (Salmo 90, 12).
UN PARADOSSO SU STORIA E LETTERATURA. Ieri sera, leggendo, m'è venuto il pensiero
che «tutti» i fatti storici non hanno altro fine e altro effetto che quello di dare ispirazione e materia a
un'opera letteraria. La guerra troiana non ha altro scopo che far comporre l'Iliade, la guerra del
Peloponneso di far nascere il capolavoro di Tucidide, le conquiste e le guerre civili di produrre
l'Eneide, la Rivoluzione Francese di fare scrivere le grandi e belle pagine di Michelet, di Carlyle, di
Victor Hugo ecc. Sarà una fantasia dell'orgoglio letterario, ma è pur vero che di quei lunghi drammi
di sangue, di stenti, di fatiche, di ambizioni e di affanni non restano, alla fine, che storie e poemi insomma libri, null'altro che libri (G. Papini, Diario, 15 gennaio 1943).
L'ORIGINALE DEDICA DI UN BEL LIBRO. A Leone Werth. Domando perdono ai bambini di
aver dedicato questo libro a una persona grande. Ho una scusa seria: questa persona grande è il
miglior amico che abbia al mondo. Ho una seconda scusa: questa persona grande può capire tutto,
anche i bambini; e ne ho una terza: questa persona grande abita in Francia, ha fame, ha freddo e ha
bisogno di essere consolata. E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino
che questa grande persona è stato. Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se
ne ricordano): perciò correggo la mia dedica: A Leone Werth, quando era un bambino (Antoine de
Sint-Exupéry, Il piccolo principe, 1943).
26 febbraio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Gli antichi e noi. Gli antichi sono vicini a noi perché la loro
filosofia, la loro scienza, la loro arte, hanno partecipato non poco alla costituzione del mondo
moderno. Ma per comprenderli bene bisogna rendersi conto di essere completamente altro da loro,
guardandoli da lontano, recuperare tutto il peso della discendenza dinastica e della differenza
(Jean-Paul Vernant). Dedicato alla madre morta. Poiché parlavi poco / e rispondevi a stento, /
venivano a trovarti / sempre più raramente. / Come se l'amore / si nutrisse solo di parole (Tommaso
Lisi, La contigua stanza, Ed. Eva, Venafro 1997).
Uno storico inglese la vede così. Per l'Italia era comunque una fortuna avere giudici capaci di
portare alla luce fatti che presto o tardi avrebbero costretto il potere legislativo ad agire: anzi, senza
il lavoro di Borrelli, Falcone e Di Pietro, non è facile immaginare come il paese avrebbe potuto
trovare una via d'uscita (Denis Mack Smith, Storia d'Italia dal 1861 al 1997, Laterza, Bari-Roma
1997, p. 657).
I GRANDI PENSATORI RUSSI E SOLOV'EV, IL LORO CAPOFILA. Saremo veramente
europei quando conosceremo e ameremo i grandi pensatori, teologi e maestri di vita spirituale del
mondo slavo, così come da tempo abbiamo imparato a godere la musica di Borodin e Ciaikovskij,
di Chopin e di Stravinskij, e gli scritti di Dostoevskij, Tolstoj, Pasternak, Sinjavskij. Tra i pensatori
russi non possiamo ancora oggi ignorare tre figure di prima grandezza: Vladimir Sergeevic Solov'ev
(1853-1900), Nicolaj Berdjaev (1874-1948) e Pavel Florenskij (1882-1943). E se il secondo e il
terzo sono all'origine della rinascita culturale e cristiana russa del Novecento per settantaquattro
anni schiacciata dalla dittatura del comunismo ateo, il primo della triade, Solov'ev, è anche il loro
capofila ideale. Solov'ev, è bene che si sappia, è l'autore della più universale creazione speculativa
dell'età moderna, e lo è al punto di essere posto da Urs von Balthasar accanto a Tommaso d'Aquino,
essendo «il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero». Il teologo
svizzero ha dedicato al pensatore russo un saggio magistrale nel terzo volume della sua «summa»,
Gloria, quello dedicato agli «Stili laicali» (Jaca Book, Milano, 1976, pp. 258-324). Solov'ev è
inoltre il pensatore «ecumenico» più eminente.
La sua chiaroveggenza spirituale è quasi allucinante e nei suoi scritti il dialogo tra le confessioni
religiose si eleva ad un'altezza prima mai raggiunta.
TUTTO QUESTO MIRA AL CERVELLO. L'uomo moderno è schiavo della modernità, la
pubblicità, uno dei mali più grandi del nostro tempo, ferisce i nostri sguardi, falsifica gli aggettivi,
rovina i paesaggi, corrompe ogni qualità.
Tutto questo mira al cervello. Ben presto bisognerà costruire chiostri rigorosamente isolati, dove
non entreranno né la radio né i giornali, nei quali sarà salvaguardata e coltivata l'ignoranza di ogni
politica. Si disprezzeranno la velocità, il numero, gli effetti di massa, di sorpresa, di contrasto, di
ripetizione, di novità e di credulità. È lì che in determinati giorni si andrà ad osservare, attraverso le
grate, alcuni esemplari di uomini liberi (Paul Valéry).
SCRIVERE LETTERE. «Riconosco che scrivere lettere, quando lo si fa con una certa serietà, è una
specie di estasi dell'anima, la quale in quell'attimo si comunica a due corpi. E come ogni giorno
vorrei provvedere all'ultima scorta della mia anima, sebbene non sappia quando morirò, così per
queste estasi divenute lettere, sovente mi abbandono allo scrivere in un momento in cui non so
quando quelle lettere ti verranno inviate - e molte non vengono mai inviate» (John Donne).
NELL'ORA DELL'ANGOSCIA PIÙ GRANDE. Perché Signore, e fino a quando? Fino a quando,
Signore...? Per sempre mi dimenticherai? / Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? / Fino a
quando nell'anima mia proverò affanno, / tristezza nel cuore di ogni giorno? / Fino a quando
trionferà su di me il nemico?... / Dio, tu ci hai respinti, ci hai messi in rotta, / ti sei sdegnato: ritorna
da noi (Salmi 13, 2-3; 60, 3).
Spezza, Signore, queste spade di collera. Spezza, spezza, Signore, queste spade di collera, /
abbrevia, in favore dei giusti della terra, / questi giorni di disperazione e di convulsione, / in cui il
tuo nome s'eclissa agli occhi dei popoli. / Possa l'angelo della pace ridiscendere presto tra noi!
(Alphonse Lamartine, Jocelyn, 1836).
5 marzo 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Oltre il timore, la speranza. Non ci basta di non avere nulla da
temere, vorremmo che anche qualcosa da sperare (H. Bergson, Le due fonti della morale e della
religione, cap. 2). Forza costitutiva, fondante. Si trovano nel passato, si troverebbero anche oggi
società umane che non hanno né scienza, né arte, né filosofia; ma non c'è mai stata una società senza
religione (H. Bergson, ibid.).
A forza di mentire si crede di sire la verità. La finzione, quando è dotata di grande efficacia, è come
un'allucinazione nascente e può controbilanciare il giudizio e il ragionamento, che sono le facoltà
propriamente intellettuali (H. Bergson, ibid.).
Che cos'è la fiducia? La fiducia, questa eterna invasione del presente sull'avvenire... (H. Bergson,
ibid.). Non lasciarlo nella solitudine della sua grandezza. L'umano e il divino, la coerente carità e i
valori eterni, il bello e il vero sono nelle pagine del Manzoni. Non lasciamo il Manzoni nella
solitudine della sua grandezza. La grandezza sua è un dono per noi (Umberto Colombo).
La cosa più bella. La cosa più bella del mondo! Una bimba che ti chiede qual è la strada, e che
riparte cantando, quando tu gliel'hai indicata (Proverbio giapponese).
«DOVE NOI ABBIAMO DEVIATO DAL VANGELO?». Giovanni Paolo II vuole portare
all'appuntamento del Terzo Millennio la Chiesa che si purifica chiedendo perdono per le sue colpe,
dirette o indirette, in alcuni tristi fatti dell'era cristiana. «Alla fine di questo Secondo millennio scrive il Papa - si deve fare un esame di coscienza: dove stiamo, dove Cristo ci ha portati e dove noi
abbiamo deviato dal Vangelo». Si è già svolto, dal 28 ottobre al 2 novembre 1997 in Vaticano un
simposio internazionale allo scopo di capire le radici dell'antisemitismo nel mondo cristiano. In
quest'anno se ne svolgerà un altro sull'inquisizione, che sancì il ricorso alla coercizione e alla
violenza in materia di fede. Non è stato facile per Giovanni Paolo II far accettare questa mirabile
svolta, ma tutti coloro che hanno unito inscindibilmente la fede in Cristo e la passione per la verità
esultano di gioia.
Aveva aperto la strada Giovanni XXIII che aveva voluto l'abolizione della formula «perfidi giudei»
nella liturgia della settimana santa; lo aveva seguito Paolo VI che durante il Concilio Vaticano II si
rivolse con parole accorate alle altre Chiese Cristiane, riconoscendo che anche la Chiesa Cattolica
aveva responsabilità nell'aver favorito lo scisma.
Su queste basi il dialogo tra la parte migliore del mondo moderno e Cristo può ripartire, senza equivoci, in spirito di verità. Noi vediamo in questo esame di fine millennio l'eredità più alta di papa
Wojtyla, quella di maggior interesse culturale e che meglio può essere intesa fuori della Chiesa. È
anche la via regale per rilanciare in modo effettivo l'ecumenismo.
GLI UOMINI DEL COMUNISMO ITALIANO NON OSAVANO PORSI QUELLA DOMANDA.
Una sera fui invitato da Celeste Negarville nella sua elegante casa ai Parioli. Poco dopo, arrivarono
Amendola e Pajetta. Cominciarono a discutere con una vivacità che non gli conosceva. Affioravano
dubbi, domande, perplessità su un unico tema: Stalin. Si accapigliarono, rimanendo uniti soltanto su
un comune scetticismo. Avrebbero continuato a lungo, incaponendosi su tesi senza sbocco.
Ma successe un episodio imprevisto. All'improvviso intervenne la giovane signora che Negarville
aveva sposato in Unione Sovietica, limitandosi ad una sola domanda rivolta a tutti i presenti: "Ma
davvero avete creduto che il Generalissimo fosse contemporaneamente il primo studioso di
linguistica dei popoli, primo stratega, primo economista, primo storico, primo in tutto?".
Negarville, Amendola e Pajetta furono presi alla sprovvista. Pensavano le stesse cose, solo con
minore chiarezza, ma forse non avevano mai osato porsi quella domanda.
Una giovane signora, invece, intervenendo casualmente nella conversazione, aveva osato dire in
modo sobrio e sensato: il re è nudo. La discussione morì di colpo, come se l'imprevista sortita
avesse messo tutti quanti d'accordo, con una ingenuità pari a una sconcertante sincerità liberatoria.
Rimasi stupito anch'io, forse per una ragione diversa. La domanda retorica che la signora Nora,
questo era il suo nome, aveva posto era la stessa che circolava dentro e fuori dal Partito... Mi stupiva
soprattutto un particolare: in quella stanza erano presenti gli uomini che non avrebbero mai
consentito che di Stalin si parlasse in pubblico e sui giornali con tale irriverenza (Massimo Caprara,
Quando le Botteghe erano oscure 1944-1969. Uomini e storie del comunismo italiano, Il
Saggiatore, Milano 1997, pp. 132-133).
12 marzo 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Quando comincerà veramente ad essere così? Qui nessun
vantaggio è dato al denaro, ma il ricco e il povero godono gli stessi diritti (Euripide, Supplici, vv.
407-408). Il solo modo serio di cercare la verità. La verità sta nei fatti. Essa confuta le opinioni
errate relative ai fatti stessi (Alessandro di Afrodisia, Peri eimarmenes 12, 40).
Letizia e affabilità con tutti. Rallegratevi nel Signore sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La
vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini (S. Paolo, Lettera ai Filippesi 4, 4).
Paura e amore. Paura e amore si contraddicono a vicenda: l'amore si offre audacemente e non si
cura di che cosa riceve in cambio. L'amore lotta con il mondo come contro l'io e subordina a sé ogni
altro sentimento (Gandhi, Parole di pace, Queriniana, Brescia 1995, p. 112).
Lì non vale. Nei problemi di coscienza la legge della maggioranza non vale (Gandhi, ibid., p. 98).
L'arte più alta, la gioia più autentica. La vita intesa come servizio è l'arte più alta ed è colma di
autentica gioia (Gandhi, ibid., p. 99).
La tendenza ad esagerare. La tendenza a esagerare, a reprimere intenzionalmente o no la verità o a
distorcerla è una debolezza naturale dell'uomo, e il silenzio è necessario per vincerla... Sono molte
le persone che si agitano parlando nelle assemblee... Ma tutto questo gran parlare difficilmente è
utile al mondo (Gandhi, ibid., p. 115).
SOLOV'EV E LA PENA DI MORTE. Lo zar Alessandro II fu ucciso il 1° marzo 1881 e il suo
assassino fu condannato a morte. Ma prima che la sentenza fosse eseguita, Solov'ev prese posizione
pubblicamente sull'uso della violenza nella lotta politica e sulla pena di morte.
Lo fece a Pietroburgo, capitale dell'impero russo, in due discorsi tenuti ai Corsi femminili superiori.
Ai rivoluzionari, che ricorrevano alla violenza per attuare un futuro di giustizia, Solov'ev diceva.
«Se l'uomo non è destinato a retrocedere allo stato di belva, una rivoluzione che si fondi sulla
violenza è priva di futuro».
Nello stesso tempo, egli chiedeva che all'attentatore fosse risparmiata la pena capitale, con una
motivazione semplice e radicale, mirabilmente riassunta nel passaggio conclusivo dell'intervento:
«Lo zar deve rinunciare al principio pagano della vendetta e della dissuasione dal delitto facendo
ricorso a un altro delitto... Lo zar, dunque, deve dare l'esempio per perdonare».
Frenetici applausi, soprattutto da parte dei giovani, e urla di «Traditore! Canaglia! Terrorista!»
accolsero le parole si Solov'ev.
Egli tornò sull'argomento in una lettera al nuovo zar, Alessandro III, a cui scrisse con tutta
franchezza: «Il popolo russo nel suo complesso trae vita e movimento dallo spirito di Cristo e lo zar
deve rappresentare ed esprimere quello spirito. L'attuale grave momento dà alla zar di Russia una
possibilità senza precedenti di manifestare la forza del principio cristiano del perdono».
La risposta giunse attraverso il ministro della Pubblica istruzione: gli interventi del filosofo
sull'attentato del 1° marzo erano stati «inopportuni» e gli si ingiungeva di astenersi dal fare
pubbliche conferenze per un tempo a discrezione del ministero.
Solov'ev non si piegò e dette allora le dimissioni dall'Università. Tanto gli stava a cuore «il dovere
religioso» di rifiutare l'idea stessa della pena di morte, cioè di «un assassinio inescusabile perché
consumato lentamente, a sangue freddo, con chiarezza di mente».
IL DOCUMENTO: LA CORSA ALLO STUPORE BALORDO. «Il Legionario non può dirsi
compiuto se non sia esperto: nel correre, nello spiccar salti, nel fare a pugni, nello scagliare pietre,
nel levar pesi, nel lottare, nel remare, nel nuotare, nel cavalcare qualunque cavalcatura, nel montare
su qualunque albero o trave, nel superare muri e cancelli, nell'inerpicarsi sino a una finestra, a una
gronda, un tetto, un fumaiolo, nel gettarsi giù dall'altezza più disperata, nello spalancare una porta
con un colpo di spalla, nell'intraprendere con le mani e con i piedi la più ripida delle rocce, nel salire
e nel calarsi per una fune, nel passare attraverso le fiamme salvo, nell'assottigliarsi per passare
attraverso spiragli e fenditure, nel raggomitolarsi per restar dentro al più stretto nascondiglio in
agguato, nel fischiar forte e nel variare il fischio per segnali, nell'imitare le voci degli uomini e delle
bestie, nel cantare, nel suonare, nel ballare». Il testo riportato è l'articolo XLIV della Costituzione di
Fiume, datata 8 settembre 1920. L'autore è Gabriele D'Annunzio.
POESIA DEI NOSTRI GIORNI. Non cado nella rete. Nella rete delle parole / false e bugiarde /
nessuno / mi pescherà (Levi Appulo).
Il fiume. Impastati / di futuro e d'infanzia, / scorre tra memoria e speranza / il fiume della vita (Levi
Appulo).
Plenilunio. Come sull'altare / l'ostia, / sta sopra il monte / la luna (Levi Appulo).
19 marzo 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Quando la donna è ridotta a cosa. Per lo sguardo del playboy la
foglia di fico è stata semplicemente spostata in parte diversa del corpo: essa nasconde ora il volto
umano (Giulia P. Di Nicola). Quando si è analfabeti in amore. Quando si è analfabeti in amore,
l'esito è sempre scontato: si passa rapidamente dall'idoleggiamento al rifiuto e dall'altare al tribunale
(Levi Appulo).
Homo videns. Nell'epoca della riproducibilità televisiva se il mondo sparisce dal video, il mondo
stesso non esiste più... La Tv genera un nuovo ànthropos, condannato a vedere tutto, da dovunque e
ad essere subito dimentico di tutto... L'homo videns, reso incapace di costruzione logica, è dominato
dall'opinione e con la televisione le autorità cognitive diventano divi del cinema, belle donne,
cantanti, calciatori, e via lungo questa china... In Tv più che altrove è il produttore che produce il
consumatore (Giovanni Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza 1997).
GLI AFFARI DELL'ITALIA ILLEGALE. Nel volume Italia illegale, edito a cura di S. Scamuzzi
(Rosenberg e Seillier, Torino 1996), vi è una tabella sulle stime economiche del crimine in Italia,
calcolate in milioni di lire. Ecco alcune voci: frodi in danno Cee 156.000; frodi alimentari 247.000;
usura 1.300.000; truffe 800.000; traffico e commercio d'eroina 6.500.000; traffico e spaccio di altri
stupefacenti 11.000; sequestri di persone 15.000; contrabbando tabacchi 700.000; estorsioni
1.400.000; sfruttamento prostituzione 845.000.
Occorrerebbe, però, avere i dati relativi alle stesse voci di almeno tre altri Paesi europei - penso alla
Francia, alla Germania e all'Inghilterra - per esprimere un giudizio comparativo. Il giudizio morale,
comunque, è ben netto e non trarrebbe motivo di conforto dalla conoscenza dell'entità dei mali
altrui.
L'EDEN INFERNALE. Nell'agosto 1952 visitai Mosca con Nullo (= Giancarlo Pajetta, leader di
spicco del Partito comunista italiano). Gli itinerari mutavano ogni volta per sfuggire alle guardie
accompagnatrici e alle guide ignoranti. A un certo punto, dietro la Piazza del Maneggio,
raggiungemmo le strisce pedonali, dove la gente stazionava in attesa, ordinatissima, prima di
passare sull'altro marciapiede. Molti erano soldati in divisa, frammisti a ufficiali, persino a qualche
generale. «Ecco. Guardagli le mostrine», mi consigliò Nullo. Mi avvicinai e aguzzai gli occhi.
Alcuni generali portavano sulle mostrine un vistoso rombo rosso. «Sono generali del Nkvd» (=
Commissario del popolo degli Interni), spiegò sollecito il mio accompagnatore. «Accidenti, quanti
sono!» notai. «E quanto comandano!» ribatté lui...
Degli uomini della Lubianka, - la prigione nel centro di Mosca e sede della polizia politica - e di
Lefortovo mi aveva parlato uno che c'era stato per diciotto mesi, isolato dal resto del mondo. Era
Paolo Robotti, cognato di Togliatti, che aveva scritto un incredibile In Unione Sovietica si vive così,
un libretto che fece scalpore perché descriveva quel Paese come un autentico Eden.
A lui «quelli dei rombi rossi» avevano chiesto a bruciapelo la mattina del 17 luglio 1937, quando lo
avevano arrestato: «Conosci Ercoli? (= Togliatti)». «Certo. È mio cognato». «Che direttive ti ha
dato?». «Nessuna. Di che direttive parlate?». «Di quelle contro il partito». Robotti mi raccontava
l'episodio con stupore privo di qualsiasi forma di animosità... Io insistevo. «Volevano che tu parlassi
contro Togliatti, contro un segretario del Komintern». «Può darsi. Ma io non ho detto niente». «Sì»,
replicavo, «ma la cosa è enorme. Volevano che tu, Robotti, segretario del Club degli stranieri a
Mosca, facessi il delatore».
Robotti batteva leggermente con il pugno sulla corazza che portava, un busto di stecche d'acciaio
che gli sostenevano il torace, e mi informava, in piedi dinanzi alla mia scrivania: «Anche quest'anno
i compagni russi mi hanno invitato assieme a mia moglie nella dacia di Barvikha... Mi curano
regolarmente. L'anno scorso, mi hanno fatto iniezioni di novocaina contro i miei dolori».
Lo ascoltavo sbalordito: chi se non «quelli dei rombi rossi» gli avevano procurato i dolori che adesso gli curavano? Una volta, mi venne il fiato per chiedergli: «Che disse Togliatti quando uscisti dalla Lubianka?». «Ti hanno impacchettato per bene» fu la risposta laconica di Robotti. «Solo
questo?». «Niente di più e niente di meno», concluse lui (Massimo Caprara, Quando le botteghe
erano oscure 1944-1969. Uomini e storie del comunismo italiano, Il Saggiatore, Milano 1997, pp.
134-137 passim).
26 marzo 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Non l'istante, ma la durata reale. Non ha senso l'istante. Ne ha il
tempo, / ne ha la misteriosa / continuità di esso... (Mario Luzi).
Rimani dove sei. Rimani dove sei, ti prego, / così come ti vedo. / Non ritirarti da quella tua
immagine, / non involarti ai fermi / lineamenti che ti ho dato... (M. Luzi, Viaggio terrestre e celeste
di Simone Martini, Garzanti 1994).
I ferri del mestiere. Se hai sempre una matita in tasca, ci sono molte probabilità che un giorno o
l'altro tu sia tentato di usarla. E come amo dire ai miei figli: ecco perché sono diventato scrittore
(Paul Auster).
Il lungo dialogo tra parola e suono. Oggi sappiamo che il suono è portatore sempre di un senso, e
questo senso avvolge quello della parola, vi si aggiunge e contrasta; ed è questo il rapporto alla fine
che conta, un rapporto che diventa sempre più definibile quanto più noi andiamo verso il problema
della voce. È probabile che quanto più noi pensiamo alla poesia, alla parla come parola che non va
solo capita, ma va interpretata, cioè eseguita, tanto più nella distinzione delle parti il problema della
musica, il problema del ritmo ritorna anche per colui che parla e dice un verso (Ezio Raimondi).
NON «PADANIA», MA «PEDEMONTANA». Ogni soggetto politico si fa portatore, in modo
corretto o distorto, di esigenze e interessi e la Lega lo fa anch'essa, né le manca certo la fantasia per
crearsi spazio e visibilità. Non voglio giudicare in questa sede le sue iniziative, i suoi metodi e i suoi
slogan, ma fare solo una constatazione.
La Lega trova consenso non nel cuore della Valle Padana - a Torino, a Milano, a Bologna o a
Venezia - ma quasi esclusivamente nelle zone pedemontane. Essa non ha conquistato né la
cosiddetta Padania, né il più vasto Nord. Ma se le cose stanno così, perché si ostina a parlare in
nome di popolazione e zone che elettoralmente finora le hanno negato il loro consenso?
La famosa espressione «Repubblica del Nord», che è un po' l'insegna programmatica della Lega,
non andrebbe allora più correttamente sostituita con «Repubblica della Pedemontania»? Occorre,
infatti, cercare sempre corrispondenza tra la res, la realtà effettuale di un fenomeno, e ciò che la
designa, il nomen.
MA SIAMO PROPRIO BRAVA GENTE? La domanda è inevitabile: siamo davvero «brava gente»,
come ci vantiamo di essere, se siamo in tanti ad essere disonesti? E siamo onesti noi stessi se
chiudiamo gli occhi dinanzi a un'illegalità di massa, che attesta quanto grande sia il nostro
incivismo e scarso il senso di responsabilità verso la comunità nazionale di cui facciamo parte?
Le tipologie dell'illegalità di massa sono ben note ai lettori della cronaca di qualsiasi quotidiano.
Non si tratta solo di pensioni percepite senza averne diritto (i beneficiari sarebbero 1 milione) e di
assunzioni di falsi invalidi (3-400 mila).
Vi è qualcosa di più e di peggio: abituale pagamento illecito a pubblici dipendenti di straordinari e
di trasferte inesistenti; assenze prolungate dal lavoro con rientro massiccio alla vigilia dei periodi di
vacanza, soprattutto nella scuola; frodi ingenti allo Stato per analisi non eseguite e cure fittizie. E
qui non parliamo di altri fenomeni assai corposi come il sistema delle tangenti, la corruzione di
parecchi «controllori» e dei giudici, l'abusivismo edilizio.
Vi sono, infine, illegalità particolarmente diffuse per l'enorme numero di persone che vi sono coinvolte. Secondo lo studio di E. D'Antona (Fuori legge e fuori bilancio, «Il Mondo», 10 ottobre 1995)
si va dai 4 milioni degli evasori del bollo auto, ai 3 milioni che non pagano il canone tv, ai 10
milioni di evasori parziali del fisco.
E quanti sono gli evasori totali?
POESIA DEI NOSTRI GIORNI. Scherzo con dedica... Lui e lei / facevan sì, / lavorando in coppia,
/ che la somma dei guai / fosse doppia (Levi Appulo).
Il cielo che s'accende. Il cielo che s'accende / di porpora, / prima che il sole ceda il suo oro / è
offerta senza parola / d'infinito / e suo presentimento (Levi Appulo(.
2 aprile 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il silenzio e la parola. Sii intelligente e taci (Iomà 7a). Incolla le
labbra una all'altra e non affrettarti a rispondere (Avodà Zarà 35a). Il silenzio conviene ai saggi. A
maggior ragione conviene ai citrulli (Avot di Rabbi Nathan 22). Di una persona presente si tesse
soltanto una parte degli elogi che merita. Ma si dicono tutti in sua assenza (Eruvin 8b). Il tuo
silenzio è più bello delle tue parole (Jevamot 65a). Ti lodi un altro e non la tua bocca (Proverbi 27,
2).
L'UOMO, PARADOSSO VIVENTE. La finitezza dell'uomo, la sua contingenza radicale,
l'improrogabilità della morte sono le prime acquisizioni dell'itinerario filosofico di Seneca. Ma
l'uomo è un paradosso vivente in quanto è situato ontologicamente al punto di congiunzione della
parola con l'inesprimibile, della speranza con la disperazione, dello scacco con l'affermazione
vittoriosa, del finito con l'infinito, dell'eroismo magnanimo e della meschinità sordida, del sapere
col non sapere, del volere con il disvolere, della razionalità con l'irrazionale che preme in noi e fuori
di noi, della vita con la morte. La duplicità dell'uomo si manifesta ovunque, così che diventa
inevitabile che ogni domanda sulla sua natura e sulla sua condotta si presenti in forma di dilemma:
buono-malvagio, razionale-irrazionale, sociale-antisociale, e così via.
Seneca ha avvertito fortemente la presenza del male nella vita dei singoli e nella società; tuttavia, è
pur sempre all'uomo, e solo a lui, che è data la possibilità di «trasfigurare» la sua esistenza. Alfonso
Traìna ha fatto notare che non a caso il verbo transfigurari, destinato ad avere tanta fortuna, è un
neologismo di Seneca (Lo stile "drammatico" del filosofo Seneca, Bologna 1987, p. 61). L'uomo
può diventare peggiore di qualsiasi belva (Ad Lucilium epistulae morales 103, 2); ma è ben lui che
ascende le vette più alte dell'eroismo morale e, ancor più, dell'amore disinteressato, rendendosi
simile a Dio. Non siamo che particelle infinitesimali dell'universo; la natura, tuttavia, ci ha generato
per essere spectatores tantis rerum spectaculis, «spettatori di spettacoli incommensurabili» ("De
otio" 5, 3). La sua fatica sarebbe sprecata se opere tanto grandi e splendenti di perfezione facessero
mostra di sé in un deserto (ibid. 5, 3). Dio ha voluto, insomma, che noi riconoscessimo la sua gloria
nella sua opera e ha immesso in noi un ardente bisogno di conoscenza, vera molla del progresso in
ogni campo.
CHE COS'È CHE FORMA L'ABITO DI UNA GENERAZIONE? Cos'è che forma l'abito di una
generazione? Sono i rapporti interpersonali che l'hanno alimentata, le molteplici vite che si sono
intrecciate influenzandosi a vicenda, le concomitanze e le casualità che l'hanno condizionata, le
convulsioni che l'hanno attraversata accomunando i piccoli e i grandi destini, come il turbine
dell'immagine manzoniana che «abbattendo muraglie e sbattendone qua e là i rottami, solleva anche
i fuscelli nascosti tra l'erba, va a cercare negli angoli le foglie passe e leggiere che un minor vento vi
aveva confinate, e le porta in giro involte nella sua rapina».
Ogni generazione passa alle successive qualcosa di sé: è la legge della vita, la ragion d'essere della
storia che non è una semplice addizione di atti estemporanei, ma una trama unita dalla quale solo a
grande distanza riusciamo a cogliere il senso effettivo. Di questa catena ininterrotta che lega le
generazioni la visione cristiana dà una motivazione ancora più alta: nulla viene perduto dell'agire
umano, dai più umili gesti di amore e di bontà alle nascoste e spesso inenarrabili sofferenze. Ogni
nostro atto confluisce in un'unica sorgente e di là si diparte influenzando i destini di persone ignote,
oltre i confini dello spazio e del tempo. È il mistero più abbagliante della fede cristiana che prende il
nome di comunione dei Santi. Siamo tutti come vasi comunicanti: ciascuno di noi dà e
contemporaneamente riceve (F. De Zan, La testimonianza dei giovani di cinquant'anni fa, in
«Brixia fidelis», 1998, n. 1).
POESIE AL FEMMINILE. Le parole non dette. Le parole non dette / fra noi / come semi morti /
fumo di un rogo spento / fiori secchi / fra le pagine / d'un libro polveroso (Mariolina Nuccio Nasta,
Erba di vetro, Greco e Greco, Milano 1998). Papaveri rossi. Nell'angolo fa le case grigie / un prato
di papaveri improvviso / rosse corolle aperte / bevono l'aria tiepida di giugno / petali sottili / ali di
farfalla / si toccano / si baciano / frementi di passione (ibid.).
9 aprile 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il lavoro e lo studio. Non si studia senza rinnovare (Haghigà 3a).
Ho molto imparato dai miei maestri, ma più ancora dai miei amici; ma è dai miei discepoli che ho
imparato di più (Makkot 10a). Hai già letto? Ancora rileggi. Hai letto due volte? Allora leggi tre
volte (Berachot 18a). Prima studia, soltanto in seguito potrai discutere (Shabbat 63a).
Agli allievi e ai maestri. Hai cominciato? Finisci ( Midrash Rabba sulla Genesi 9). Se studi fallo
con gioia (Shabbat 113 a). Chi è, dunque, saggio? Chi impara da ogni uomo (Babbà Bathrà 12 a).
Un maestro collerico insegna male (Avot 2, 6). L'onore dell'allievo sia caro al maestro quanto il suo
(Avot 4, 15). Il maestro che abbia coscienza della dignità del suo lavoro, ecco chi può rendere felice
l'allievo (Berachot 32 a).
Le citazioni riportate sono tratte dal volumetto. Ogni settimana ha il suo venerdì - (Proverbi di
saggezza ebraica) - di Victor Malka, Paoline, Milano 1996. Dello stesso autore è stato tradotto
presso la stessa editrice: Cos' parlavano i Chassidim - La saggezza e l'arguzia degli ebrei dell'Est.
LA STAFFETTA DELLA FEDE. Lo scrittore russo Andrej Sinjavskij si spense a Parigi il 25
febbraio del 1997. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di volergli bene. Lo avevo invitato a
parlare a Brescia vent'anni prima, il 12 aprile del '77, poco dopo l'uscita dal lager. Parlando in
pubblico, al teatro Franciscanum, raccontò tra l'altro un episodio vissuto in prima persona. Lo
trascrivo per i cari lettori come dono di Pasqua.
«Non molto tempo dopo il mio arrivo nel lager, verso sera, un'ora prima della ritirata, mi si
avvicinò un tale e mi chiese con cautela se non volessi ascoltare l'Apocalisse. Mi condusse nel
locale della caldaia, dove era più facile nascondersi a delatori e carcerieri. Lì, nella penombra di
quel covile simile a una caverna, si erano già raccolte, e si rimpiattavano negli angoli sedendo sui
talloni, alcune persone e io pensai che ora qualcuno avrebbe estratto da sotto il giubbotto il libro o
il fascio di fogli, ma mi sbagliavo.
Illuminato dai bagliori rossastri della caldaia un uomo si alzò e cominciò a recitare a memoria,
parola per parola, l'Apocalisse. Quindi il fuochista disse: "E adesso continua tu, Fjodor!". Fjodor
si alzò e recitò a memoria il capitolo successivo. Poi ci fu un salto nel testo, perché colui che
sapeva la continuazione era a lavorare con il turno di notte. "Beh, lo sentiremo un'altra volta",
disse il fuochista e dette la parola a Pjotr. A questo punto mi resi conto che quei detenuti, tutti
semplici contadini che avevano da scontare pene di dieci, quindici, vent'anni di lager si erano
suddivisi tutti i principali testi della Sacra Scrittura, li avevano imparati a memoria e,
incontrandosi segretamente di tanto in tanto, li ripetevano per non dimenticarli. Tutta questa strana
scena mi ricordò allora un romanzo dell'americano Ray Bradbury, Fahrenheit 451. Il grado 451 è
nella scala Fahrenheit la temperatura alla quale prende fuoco la carta e nel romanzo di Bradbury
viene rappresentato appunto un futuro Stato "perfetto" in cui ogni cosa è regolata dall'alto e i libri
e la carta sono proibiti.
Quando nel corso di una perquisizione vengono scoperti dei libri, essi e le persone che li detengono
vengono consegnati al fuoco. Alla fine del romanzo si narra che in certi luoghi fuori città,
nottetempo, convengono in grotte e boschi degli uomini e uno dice: "Io sono Shakespeare", e
l'altro: "Io sono Dante", o qualcosa del genere. E questo significa che il primo ricorda a memoria e
declama qualcosa di Shakespeare, l'altro di Goethe, il terzo di Dante...
I contadini del locale della caldaia avrebbero potuto dire di se stessi la medesima cosa. L'uno: "Io
sono l'Apocalisse, capitolo 22". L'altro: "E io il Vangelo secondo Matteo". E così via, in una
staffetta scandita da ciò che ognuno serbava nella memoria ».
NON SOSTITUIRE IL NOBILE SOGNO E L'IMPEGNO CON IL RIMPIANTO. Abbiamo la
tentazione qualche volta, assistendo alla caduta di tante illusioni, di considerare la nostra vita e,
ancor più, il nostro impegno pubblico, una somma di speranze perdute. Sbaglieremmo tuttavia se,
come accade ai più, cercassimo di sostituire i sogni con i rimpianti di ciò che poteva essere e non fu.
Ciò che conta per tutti è conservare intatta la capacità di sognare, continuare a credere nel valore di
ciò che si compie umilmente ogni giorno per edificare insieme la Città futura (F. De Zan, La
testimonianza dei giovani di cinquant'anni fa, in «Brixia fidelis», 1998, n. 1).
16 aprile 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il contrario esatto del motto: "me ne frego". Su una parete della
nostra scuola a Barbiana c'è scritto grande I Care. È il motto intraducibile dei giovani migliori: me
ne importa, mi sta a cuore. È il contrario del motto: me ne frego! (Don Lorenzo Milani).
L'esilio. L'esilio è simile a una lebbra leggera, gassosa, che, con un logorio diluito nel tempo, sfigura
e corrompe a poco a poco l'organo della memoria (Enzo Béttiza, esule dalmata). Come miei i figli
dei sapienti... Come mai i figli dei sapienti raramente diventano sapienti? Perché non si possa dire
che la legge (=la Torà) si trasmette ereditariamente (Nedarim 83 a).
Lui e lei. Chi sposa una donna per i suoi soldi avrà figli indegni (Kidduscin 70 a). Chi si marita al
buio divorzierà alla luce del giorno (proverbio del giudaismo marocchino). La casa di un uomo è
sua moglie (Jomà 1 a).
ACCOSTARSI AI GIOVANI CON TREMORE. Parlare ai giovani, scrivere pensando in primo
luogo ad essi, aiutarli a vincere lo scetticismo, ma anche l'univisualità settaria in cui possono
incappare, è uno dei bisogni essenziale della vita associata, perché con i giovani l'avvenire è già in
mezzo ad ogni società. Non ci si può, dunque, rapportare ad essi senza avvertire quanto sia sacro il
loro diritto alla verità e all'impiego più alto del loro potenziale di bene.
Ai giovani non ci si può accostare che con tremore, consapevoli della nostra personale
inadeguatezza rispetto al compito che ci siamo assunti o che ci è stato assegnato.
Per questo mi sono commosso nel rileggere la pagina del cronista medievale Guglielmo di Tocco
(Vita sancti Thomae Aquinatis, 31) in cui si riferisce del turbamento profondo che afferrò Tommaso
d'Aquino la notte che precedette l'inaugurazione del suo incarico magistrale, nel marzo del 1256,
all'Università di Parigi.
Quella notte il frate «dal volto color frumento» la passò in preghiera, meditando su questo versetto
del Salmo 11: «Salvami, Signore, perché devo andare tra i figli degli uomini dove le verità sono
ridotte a pezzi». (Salva me, Domine, quoniam diminutae sunt veritates inter filios hominum).
«SONO UN UOMO (POLITICO) CHE HA L'AMBIZIONE DI ESSERE ONESTO». Il
parlamentare bresciano Enrico Roselli nel 1964, nell'accomiatarsi dalla vita a 55 anni, scriveva
queste parole: «L'Italia è stata sempre piena di gente che, non volendo o non potendo o non
sapendo guadagnarsi il pane con un onesto e duro lavoro, si getta alla politica. Questo ingombro
frontale di faziosi e di avventurieri trattiene lontane dalla politica le persone tranquille e per bene,
che poi ne pagano il fio».
Sono ancora oggi parole tremende che indicano un pericolo costante della politica, dal quale sono
esenti, forse, solo i passaggi più dolorosi della storia. Ma è certamente possibile fare politica in
modo diverso, come scriveva un altro grande esempio di coerenza cristiana, Alcide De Gasperi,
l'esponente più dotato di quella generazione radiata dal fascismo che lasciò tracce incancellabili nei
giovani di cinquant'anni fa: «Bisogna presentarsi dinanzi agli avvenimenti con l'umiltà di
riconoscere che essi superano la nostra misura... Per risolvere i problemi vi sono vari metodi:
quello della forza, quello dell'intrigo, quello dell'onestà. Sono un uomo che ha l'ambizione di essere
onesto. Quel poco di intelligenza che ho la metto al servizio della verità... Mi sento un ricercatore,
un uomo che va a rincorrere i filoni della verità, della quale abbiamo bisogno come dell'acqua
sorgente e viva delle fonti. Non voglio essere altro».
Siamo vivamente grati a Fabiano De Zan di averci ricordato il lucido giudizio di Roselli e
l'idea-forza di De Gasperi nel suo bellissimo saggio Testimonianza dei giovani di cinquant'anni fa,
pubblicato in «Brixia Fidelis» 1998, n. 1. Un saggio scritto con schiettezza ed esprit de finesse, che
farebbero bene a leggere, per capirsi meglio, i giovani di ieri e quelli di oggi.
POESIA AL FEMMINILE. Forse lontano. Dove sul prato verde / l'anemone selvaggio / offre
all'aprile / la rossa corolla dell'amore, / dove s'aprono gli occhi di un bambino / potrei trovare / la
gioia della vita. (Mariolina Nuccio Nasta, Erba di vetro, Milano 1998).
23 aprile 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Morte prematura. L'indifferenza è morte prematura (Anton
Cecov). Le cosiddette "maggioranze silenziose". Troppo spesso siamo indifferenti e rassegnati e
lasciamo mancare la nostra voce di protesta contro la corruzione, l'ingiustizia, la menzogna, ma
anche il nostro annunzio e la nostra testimonianza di onestà, di giustizia e di verità. Le cosiddette
«maggioranze silenziose» sono spesso inutili e ipocrite, persino inclini a giustificarsi e a ritenersi
esemplari anche quando nel loro comportamento sociale non lo sono. Sono la voce e l'azione
sincera e onesta che contano e che ci rendono autenticamente vivi, persone umane e credenti
(Gianfranco Ravasi, Mattutino del 7 febbraio 1998 in «Avvenire»).
Ci vogliono le regole perché possa essere salvaguardata la libertà. Un libero mercato non c'è e
non può esserci senza intervento dello Stato. La libertà del mercato è fondamentale, ma non può
essere una libertà assoluta. Questo è vero per il mercato come per qualunque altra cosa. La libertà
assoluta è un non senso (Karl R. Popper).
SI PUÒ ESSERE FELICI AL DI FUORI DELLA VERITÀ? L'uomo ama la verità o l'odia? Ebbene
egli fa l'una e l'altra cosa. L'uomo è avidus veri e rifugge dalla verità; la sua passione per la verità su
certe questioni non esclude il rifiuto ostinato di essa in altre. Egli non vuol essere ingannato, ma è
spesso mentitore ed è addirittura «contumace» - termine caro a Seneca - nel non voler far luce
soprattutto su se stesso. Noi, infatti, copriamo i nostri vizi e i nostri peccati a noi stessi prima che
agli altri, impegnandoci a trovare, di volta in volta, la maschera più idonea ad occultare quello che
siamo dentro e di apparire così come la cattiva coscienza, le convenienze e gli interessi esigono.
Certamente è impossibile non vedere che l'ansia di verità caratterizza le conquiste più alte del
cammino umano nella storia: ma vi è in noi anche la capacità terribile, prima ancora che di tradire la
verità, di non prenderla neppure in considerazione.
«Nessuno può dirsi felice se è al di fuori della verità» (De vita beata 5, 2), ammonisce Seneca, né
può essere altrimenti: prescindere dalla verità - almeno nella misura in cui è accessibile a noi e si
traduce in luce per i nostri passi - equivale, infatti, per l'uomo al massimo di eteronomia, cioè di
estraneità al suo io profondo. Si finisce allora per condurre un'esistenza che Heidegger, in Essere e
tempo (1927), chiamerà «inautentica» e Mounier nella sua Introduzione agli esistenzialismi (1947),
«esistenza perduta».
LE PASSIONI, MATERIA PROPRIA DELLE VIRTÙ. Le passioni, che per gli stoici sono
agitazioni disordinate da estirpare, per Tommaso d'Aquino sono i moti delle nostre inclinazioni e
della nostra sensibilità: non vanno azzerate, ma consapevolmente assunte nell'opera incessante di
unificazione e potenziamento del nostro carattere e della nostra personalità. Le persone, dunque,
sono per il Doctor communis la materia propria delle virtù morali, le quali non possono esistere
senza passioni. La virtù non ha, infatti, il compito di far sì che le facoltà subordinate alla ragione
cessino, ma piuttosto di far sì che concorrano vitalmente a eseguire il comando della ragione.
Ma Tommaso si eleva a una concezione ancor più profonda quando afferma che dall'esercizio puro
e intenso della virtù si irradia una gioia che è generatrice essa stessa di passioni in un più nobile
senso, in quanto si effonde in risonanze che fanno vibrare intimamente e nella sua interezza la
psiche umana. «Come è meglio - scrive l'Aquinate - che l'uomo non solo voglia il bene, ma lo
realizzi anche con azioni esteriori, così alla perfezione del bene morale si richiede che l'uomo si
muova al bene non solo mediante la volontà, ma anche mediante la passione. Il mio cuore e la mia
carne hanno esultato nel Dio vivo (Salmo 83)». Cuore e carne, dunque, insieme; intenzione pura e
inclinazione a ciò che è buono e giusto.
POESIA AL FEMMINILE. Aiutami Signore. Aiutami Signore / nei momenti più bui dell'esistenza
/ quando tutto è deserto / e gli occhi che ti guardano / non vedono. / È difficile ascoltare la tua voce.
/ Vorrei fermarmi / sul ciglio di una strada erbosa / abbandonarmi al respiro dell'immenso / mentre
mi perdo / nell'intrico d'asfalto. / Non so leggermi dentro / aiutami, Signore (M. Nuccio Nasta, Erba
di vetro, Milano 1998).
30 aprile 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Una profanazione assai frequente. In campo religioso non c'è
cosa più orribile della profanazione ed io ho proprio la sensazione che, sia pure involontariamente,
essa è implicita nella riduzione della fede per lo schermo televisivo. Non possono che colpire
sgradevolmente, ad esempio, domande dirette e disinvolte in una sfera intima, misteriosa e sacra per
ogni persona. Di Dio non si deve chiacchierare a vuoto (Andrej Sinjavskij, Una parabola di
Pasqua, Vicenza 1996).
Ciò che è decisivo. Decisivo è non ciò che ci è gradito o sgradito, bensì ciò che è vero (Levi
Appulo). Di fronte alla violenza che monta. Preferisco morire come Abele che vivere come Caino
(Arturo Carlo Jemolo, Figli e padri, Studium, Roma 1984).
Se incliniamo alla malinconia. Non credo che siano possibili una capacità creativa e un rapporto
piuttosto profondo con la vita senza un temperamento malinconico. Non lo si può eliminare, bensì
inserire nella vita: ciò comporta nel senso intimo che lo si accetti da Dio e lo si volga in bene per gli
altri (R. Guardini, Appunti per un'autobiografia, Morcelliana, Brescia 1986).
LE SORPRESE DI UN GENIO: TOMMASO D'AQUINO... D'ACCORDO CON POPPER! Alberto
Magno (1206-1280) ebbe un vivo interesse per la scienza, mentre il suo discepolo prediletto,
Tommaso d'Aquino (1225-1274), fu un metafisico di razza. Tuttavia anche nel suo approccio al
sapere scientifico Tommaso lascia il segno della sua genialità e del suo senso critico con
un'intuizione che va ben oltre i limiti della cultura del tempo.
Nel Commentario alla Metafisica aristotelica e in quello al De coelo et mundo,le teorie
geocentriche di Eudosso, di Callippo e di Tolomeo sono non solo esposte, ma valutate esattamente
per quelle che sono, come opiniones o suppositiones, cioè ipotesi non certamente assurde (anche
studiosi moderni ne hanno apprezzato l'ingegnosità), ma nemmeno dotate di piena evidenza
scientifica.
Infatti, con acume critico eccezionale, Tommaso scrive: «Anche se con tali ipotesi si rispettano i
dati empirici, ciò non basta per dire che esse sono ipotesi verificate: infatti, forse esiste un'altra
teoria non ancora escogitata con cui si possa giustificare altrettanto bene quei dati empirici sul
moto degli astri. Invece Aristotele prende per verificate tali ipotesi circa la natura dei movimenti
stellari» (In librum Aristotelis De coelo et mundo 2, 12, 17).
Tommaso si riferisce al principio fondamentale della scienza della natura, ossia alla necessità di
formulare ipotesi di spiegazione, suppositiones, che siano compatibili con l'esperienza immediata e
certa, cioè con quelli che modernamente chiamiamo fenomeni e che gli scolastici chiamano
apparentia (termine che traduce letteralmente il greco phainòmena). Ma, osserva giustamente
Tommaso, perché un'ipotesi sia convincente non basta che «salvi i fenomeni»; bisogna che escluda
anche le altre ipotesi altrettanto plausibili; se invece tale esclusione non è possibile, allora l'ipotesi
di cui si tratta resta tale e «convive» con le altre, ma non può dirsi «legge».
Non a torto Antonio Livi, dopo aver documentato questo aspetto del pensiero tomista, sconosciuto
ai più, rileva che «ai nostri giorni Karl Popper nel suo saggio su Congetture e confutazioni non
aggiunge molto di più a questo principio di filosofia della scienza presente in modo esplicito in
Tommaso d'Aquino» (Tommaso d'Aquino - Il futuro del pensiero cristiano, Mondadori, Milano
1997, p. 181).
AD OGNI UOMO CHE NASCE VIENE CONSEGNATA UNA PAROLA. Stanotte, verso
mattina, all'ora dei sogni, ne ho fatto uno anch'io. Che cosa vi si svolgeva non lo so più, ma era un
certo discorso fatto a me, o da me. Vi si diceva che, quando un uomo nasce, gli viene consegnata
una parola, ed era chiaro che cosa significasse: non era soltanto un temperamento, ma una parola.
Essa viene pronunciata all'interno dell'essenza di ogni uomo ed è come un'insegna, la parola
d'ordine per tutto quanto poi accade; è insieme forza e debolezza, è compito e promessa, è
protezione e pericolo.
Tutto ciò che avviene nel corso degli anni è conseguenza di questa parola, suo commento e
adempimento. Avviene perciò che colui al quale essa è stata detta, ogni uomo, la comprenda e la
faccia sua.
Forse sarà questa parola ad essere il fondamento di ciò che un giorno il Giudice gli dirà
(Romano Guardini, Appunti per un'autobiografia, Morcelliana, Brescia 1986).
7 maggio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La paga dei mediocri. La mediocrità ha un solo vantaggio, quello
di credere a se stessa (Leo Longanesi). Il paradosso di troppi cristiani. Essere conservatori in un
Paese in cui c'è ben poco da conservare (Levi Appulo). In ogni luogo. Ogni imbecille tollerato è
un'arma regalata al nemico (Mino Maccari).
Il 18 aprile 1948 e il 18 aprile 1998. Il 18 aprile sta smettendo di essere l'anniversario della vittoria
della Dc contro i «rossi». Quella data sta entrando nella riflessione storica come una tappa della
democrazia italiana, qualcosa che ormai può appartenere a chiunque questa democrazia condivida.
Non è più una bandiera da sventolare, non è neanche solo un ricordo, è il «come» siamo fatti. Riesce
difficile condividere le lacrime che qualcuno eventualmente a sinistra ancora volesse spargere su
quella sconfitta elettorale (Mino Fuccillo, l'Unità del 12 aprile 1998, p. 1).
LATROCINIO E IPOCRISIA CONGIUNTI. All'inizio della legislatura il sottosegretario al Tesoro,
Laura Pennacchi, aveva rivelato in Parlamento, con tono scandalizzato, che esisteva un'antica norma
legislativa che assegnava come aumento di stipendio una tantum ai dipendenti del Tesoro i fondi di
tesoreria derivanti dalle vincite non riscosse nelle lotterie nazionali. In quell'occasione la Pennacchi
aveva promesso che mai più sarebbe accaduta una cosa simile e che sarebbe stata presto modificata
la destinazione d'uso di quelle somme, spesso ingenti.
Ma ecco che ai primi di aprile 1998 proprio la Pennacchi ha firmato una circolare con cui dava
l'assenso a suddividere quel fondo che ammontava ormai a 180 miliardi di lire, fa i 7 mila iscritti
alla cassa sovvenzioni del Tesoro, concedendo così una gratifica pasquale di 39 milioni di lire e
rimandando una seconda tranche da 15 milioni di lire per beneficiario alla vigilia dell'estate.
La vicenda sarebbe rimasta top secret se non ci fossero state le proteste sindacali dei dipendenti
delle sedi periferiche del Tesoro esclusi, a sorpresa, dalla ripartizione dei 180 miliardi.
Naturalmente anche loro vogliono la gratifica speciale (I. Bincher, Milano-Finanza, pag. 12 dell'11
aprile 1998).
QUANDO LE «CERCHIE DI FEDELTÀ» DIVENTANO TOTALITARIE. La vita sociale, per
poco che ci riflettiamo, è fatta di tante «appartenenze» che ci chiedono obbedienza ma ci offrono
anche protezione.
Chi più chi meno, secondo la propria indole, la propria propensione spirituale e i propri interessi,
«appartiene», di fatto o tramite un'adesione, a strutture sociali le più varie e le più variamente e
strettamente organizzate. Ciascuna di queste strutture, che arricchisce la vita degli uomini e delle
donne e che quindi la cultura costituzionale contemporanea è portata a valorizzare (si veda l'articolo
2 della Costituzione italiana), porta dentro di sé tuttavia, come pericolo un latente germe totalitario.
Noi ben conosciamo queste degenerazioni: la famiglia che diventa clan o mafia; le associazioni
segrete se esigono sottomissione totale ai propri appartenenti; le chiese «fondamentaliste» che
alimentano e si alimentano sul fanatismo dei credenti; i partiti politici, di destra e di sinistra, che
richiedono dai propri aderenti un'adesione assoluta e fideistica; le etnie che si manifestano come
razze, e così via fino allo Stato che pretende di essere la sola e sovrana misura del bene e del male,
del giusto e dell'ingiusto.
La stessa esistenza del pluralismo delle organizzazioni statali in cui ciascuno di noi è inserito
rappresenta una garanzia contro le loro tendenze all'involuzione totalitaria.
Spetta allo Stato dettare le regole della loro convivenza, e questo rappresenta il problema
essenziale delle costituzioni pluralistiche del nostro tempo. Nessuna garanzia giuridica, peraltro,
sarebbe di per sé sufficiente se non si avvertisse l'appello a qualche cosa che «sta più in alto» di
tutto ciò. Infatti, come è accaduto tragicamente, lo Stato potrebbe immedesimarsi con qualcuna di
esse, e diventare lo «Stato-chiesa», lo «Stato-partito», lo «Stato nazionalistico», lo «Stato-razza»,
ecc., con esiti sempre totalitari (Gustavo Zagrebelsky, giudice della Corte Costituzionale. Dal
volume Noi non taceremo - Le parole della Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 1997, pp. 36-38
passim).
LA PREGHIERA PER MIO FIGLIO DROGATO. O Signore, dandomi un figlio, / mi avevi affidato
uno spirito da conservare, / grande e incorrotto. / Io, forse, non l'ho saputo fortificare / per affrontare
la durezza della vita / e per resistere al miraggio di una droga / che gli ha dato l'illusione / di una
fittizia, eterna Beatitudine. / Essa, invece, l'ha costretto / alla disperata quotidiana ricerca / del suo
fallace paradiso. / Ma la tua bontà, Signore, / può ridare al suo spirito la perfezione originaria, /
perché solo tu, Signore, / puoi spezzare l'atroce catena / a cui volontariamente si è condannato, / per
ricondurlo presto o tardi a te / che solo temporaneamente me lo hai affidato.
L'autrice di questa preghiera è una signora bresciana. Ringrazio Gianfranco Ravasi per la
segnalazione.
14 maggio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Ricchezza e povertà. Chi è ricco? Chi si accontenta di ciò che
possiede (Avot 4, 1). Non c'è nulla al mondo di più difficile della povertà (Babbà Bathrà 116 a).
Tutte le idolatrie hanno la loro origine nel danaro (Nachman di Bresclaw). Non darmi, Signore, né
povertà né ricchezza (Proverbi 30, 8). Dal volume di Victor Malka, Ogni settimana ha il suo
Venerdì (Proverbi di saggezza ebraica, Paoline, Milano 1996).
Perché «shoah» e non «Olocausto»? La parola Olocausto (lett. «tutto bruciato», dall'uso rituale
ebraico di far consumare totalmente dal fuoco le offerte a Dio) ha assunto in italiano il significato di
offerta, sacrificio a Dio, con una connotazione specificamente religiosa. Non è possibile pensare di
collegare la persecuzione e lo sterminio nazista a Dio che fermò la mano di Abramo che stava per
sacrificare Isacco. Il termine Shoah è in ebraico derivato da una radice che significa «sciagura,
distruzione totale, immane rovina».
Per gentile concessione. Devi sentirti libera mi disse. Ti autorizzo io (Maria Luisa Spaziani). Il
peggio per un genio. Il peggio che può capitare per un genio è di essere compreso (Ennio Flaiano).
FIGLIO DI SS (Spermatozoo Surgelato). Jodie Foster ha dato il grande annuncio del lieto evento.
Con largo anticipo. Nascerà a settembre e dunque sarà probabilmente della Vergine. Il che non
guasta, visto che il mondo è tutto un pullulare di immacolate concezioni in virtù dello Spermatozoo
Surgelato. Tutto è Findus, difatti, in questa storia, a cominciare dall'amor materno, che regala
programmaticamente al nascituro la condizione poco invidiabile di orfano.
Povero bambino! Fortunati, al confronto, i figli di NN di una volta: quelli, almeno, erano sicuri di
averlo avuto, un padre, anche se non sapevano chi fosse. del signor NN una cosa si poteva dire con
certezza: aveva fatto l'amore con la mamma. Meglio che niente. Una storia vera: di corpi umani, in
carne e ossa. Questo disgraziato Fosterino, invece, sarà figlio di una paternità virtuale... Ai nostri
tempi si facevano acrobazie per far l'amore senza conseguenze. Adesso si fanno acrobazie per far le
conseguenze senza amore (F. Cologni, in MF del 14 aprile 1998).
QUATTRO BORDATE. Il Faust goethiano manca di vera serietà. L'intero Faust è l'abbandono
dell'esistenza etica personale alle forze mitico-magiche. Anche l'ultimo atto della «redenzione»
avviene non attraverso il lavoro e il sacrificio, ma tramite la magia. Così, malgré le poète, in tutto
manca vera serietà (R. Guardini, Diario, Morcelliana, Brescia, pp. 243-244).
«Ho detto ad Heidegger...». Un certo modo di pensare mi scoraggia. Mi riesce troppo complicato...
È ciò che mi accade con Heidegger. Spesso non capisco non soltanto che cosa s'intenda volta per
volta, ma neanche che cosa voglia e debba dire l'insieme. Del resto l'ho già detto a lui stesso che non
lo comprendo perché io penso molto più semplicemente. Ne è rimasto assai meravigliato (ibid., pp.
143-144).
«I dieci comandamenti» di mister Cecile de Mille. L'ufficio propaganda di mister Cecile de Mille
aveva inviato senza soste informazioni sul prodigioso film I dieci comandamenti. Ieri l'ufficio di qui
ha telefonato per sapere se la sera del 28 sarei andato alla «première». Ho rifiutato, trovo la cosa
spaventosa e non volevo averci nulla a che fare (ibid., p. 206).
I libri dei freudiani. I libri dei freudiani. Passione per le smascherature e materialismo. Del mondo
della realtà spirituale non sanno niente; di quella religiosa poi assolutamente nulla; e credono d'aver
detto qualcosa sul valore e sull'essenza per aver indicato i meccanismi secondo cui emergono (ibid.,
p. 153).
PREMESSA DI OGNI DEMOCRAZIA, L'INFORMAZIONE. Premessa di ogni democrazia è
l'informazione libera: i cittadini devono sapere su che cosa votano. Nell'antichità la vaghezza
dell'informazione era sfruttata dai populisti per diffondere notizie false. Oggi in democrazia la
circolazione di un'informazione corretta è sì possibile, ma solo se sono assicurati la libertà e il
pluralismo dei media, se questi ultimi non possono condizionare l'opinione grazie a situazioni di
monopolio. Oggi la concentrazione dei media, controllati da una persona o da un singolo gruppo,
specialmente in ambito televisivo, può portare a un pericoloso tipo di disinformazione, soprattutto
se contemporaneamente mira alla scalata del potere politico (Franz Josef Müller).
21 maggio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Ascoltare i piccoli. Fortunata la generazione in cui gli adulti
ascoltano i piccoli (Rosh Ha-Shanà, 25 a). Assurda e ignobile invidia. Un padre non invidia il figlio,
né il maestro il proprio allievo (Sanhedrin 105 b). Come s'insegna a rubare. Chi non insegna un
mestiere al proprio figlio è come se gli insegnasse a rubare (Kidduscin 29 a).
Panteismo, religiosità illusoria. Il panteismo è una tecnica per avere la vita intera piena di
religiosità e neanche un'ora di vera responsabilità nei confronti di Dio (Romano Guardini, Diario,
Morcelliana, Brescia 1983, p. 213). Che cosa vuol dire esprit de finesse? Esprit de finesse è il punto
di vista: 1) del concreto-individuale come tale; 2) della forma globale, dell'elemento sinfonico; 3)
del valore e della figura di valore; 4) dell'espressione (viso, gesto) e del simbolo (R. Guardini, ibid.,
pag. 193).
IL PRIMO SEGNO DI RICONOSCIMENTO. L'universalità della legge morale, comune a tutti gli
esseri ragionevoli, presenta immediatamente una forza discriminante: le massime, cioè i criteri che
adottiamo nelle nostre azioni, se nel momento in cui cerchiamo di elevarle a leggi universali, si
dimostrano contraddittorie, vuol dire che sono sicuramente immorali. Se una massima egoistica
diventasse legge universale, dileguerebbe, infatti, la possibilità stessa di una vita morale e sociale
dell'uomo: la moralità sarebbe distrutta nelle sue radici. Io posso mentire e rubare, ma non per
questo sono autorizzato a trasformare la menzogna e il latrocinio in leggi dell'agire umano.
Il segno di riconoscimento del valore morale di un'azione consiste, dunque, nel fatto che il criterio
che determina e struttura interiormente l'azione stessa può essere elevato a principio universale. Di
qui la prima formulazione dell'imperativo categorico: «Agisci in modo che la massima della tua
azione possa diventare legge universale». Kant ha colto qui una verità che si impone per la sua
evidenza e rimane sempre vera questa sua considerazione fondamentale: «Quando noi riflettiamo
con attenzione su noi stessi in ogni trasgressione di un dovere, rileviamo che non vogliamo
realmente che le nostre massime individuali diventino leggi universali, poiché ciò è impossibile, ma
che il contrario di esse resti universalmente valido come legge; senonché ci prendiamo la libertà
per noi (e magari soltanto per questa volta) di fare un'eccezione a vantaggio della nostra
inclinazione».
Bergson se la ride giustamente di quei filosofi i quali asseriscono che la sola ragione basti a «far
tacere l'egoismo e la passione»; ha torto, però, quando attribuisce a Kant tale pretesa, che è tipica,
invece, di ogni intellettualismo etico. Né si può assimilare alla tesi di fondo dell'intellettualismo
etico, secondo cui la conoscenza è causa necessaria e insieme sufficiente dell'azione buona,
l'affermazione di Kant «noi non dobbiamo mai volere ciò che si contraddice logicamente», a meno
che si voglia agire contro coscienza, o ricorrere all'auto-inganno. L'imperativo categorico, infatti,
non sarebbe un comando incondizionato della ragione se non fosse possibile mostrarne
l'incontraddittorietà, cioè l'intimo carattere razionale.
LA «LIBIDO LOQUENDI». La terra esala parole, opinioni, informazioni, commenti, allocuzioni,
comunicazioni, bolle e bollicine che l'avvolgono come un gas, in una febbre di parlare che ricorda la
loquela coatte e irrefrenabile di certi immortali personaggi dostoevskijani. Antichi precetti - ama il
prossimo tuo, carpe diem, proletari di tutto il mondo unitevi - cedono il passo allo slogan
universale: parliamone. Conferenze, dibattiti, interviste, tavole rotonde. Se succede qualcosa, i
giornali non indagano su ciò che è successo, ma riportano dichiarazioni, opinioni e commenti su ciò
che è successo e che finisce per passare in seconda linea o per scomparire.
Ciascuno dice la sua, come è giusto, su Dio o sulla camera da letto, ma non gli basta dirlo - e
ascoltarlo - con gli amici in birreria. Ha spesso bisogno di salire sul podio e di sedersi davanti a un
podio - il che è lo stesso, perché dà un tocco di ufficialità e d'importanza e dà l'illusione di non
essere davanti a un boccale di birra, alla vita che sgomenta e alla morte che avanza fra una sorsata e
l'altra, bensì sulla passerella della cultura e della storia (Claudio Magris, Corriere della Sera dell'8
marzo 1998).
AFFINCHÉ LA POLITICA NON DIVENTI SPORCA. Bisogna che l'educazione alla politica vinca
la persuasione che «a fare politica, ci si sporca». Non è vero che la politica sia sporca: è vero,
invece, che possono essere sporchi quelli che la fanno.
Ma allora, se noi vogliamo che non ci siano persone sporche a rendere sporca la politica, bisogna
che chi si sente pulito e vuole servire il Paese si impegni a fare politica, proprio perché questa resti
pulita e serva il bene comune (Antonino Caponnetto, magistrato in pensione. Creò il primo pool
antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Da Noi non taceremo - Le parole della Rosa
Bianca, ed. cit., p. 32).
28 maggio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Come un alito. Il tempo scivola come un alito (Salmo 90, 9). Che
il mio sforzo non s'infranga. Principio di gran virtù, / verità, o Signore, / fa che il mio sforzo non
s'infranga / contro lo scoglio / della menzogna (Pindaro, Framm. 83). Un albero. È ognuno un
mondo; scende in profondità, sale in alto, si espande in ampiezza nello spazio. È calmo e vive (R.
Guardini, Diario, Morcelliana, Brescia, p. 55). L'azzurro. L'azzurro è sempre gioia. L'azzurro ristora
(R. Guardini, ibid., p. 59).
Che cos'è la saggezza? Saggezza: avere di più di quanto si mostra, essere di più di quanto si
sembra (R. Guardini, ibid., p. 224).
«Signum obcaecationis»: un segno di accecamento. Lo spirito della rivoluzione spinge verso la
dittatura, ma nel suo caparbio accecamento la mentalità moderna crede che rivoluzione significhi
libertà (R. Guardini, ibid., p. 75).
IL RISCHIO: PERDERE L'ESSENZIALE E IL PROPRIO DEL CRISTIANESIMO. 1) Quello che
è positivo nell'induismo e nel buddhismo dovrà essere assunto dalla Chiesa cattolica. Il cammino
dell'umanità è verso l'unico Dio e la Chiesa cattolica deve far emergere, se vuol essere fedele alla
sua missione, i valori positivi di ogni altra cultura. Questa è un'esigenza primaria, un compito difficile che esige un lungo tempo e molti rischi. Basta pensare che per incorporare i valori della grecità
c'è voluto il primo millennio dell'era cristiana; per l'induismo e il buddismo non ci vorrà mano. Cosa
ben diversa invece è la moda delle religioni orientali e la mescolanza con esse di elementi cristiani.
Il dialogo con le religioni orientali è necessario, perché in esse vi sono tanti semi di saggezza e
illuminazioni profetiche; ma l'appiattimento delle fedi è un cedimento, una moda, un segno di
superficialità.
2) Ciò che fa la differenza. L'Asia è percorsa da un'aspirazione certamente religiosa, ma non c'è la
conoscenza di un Dio personale e trascendente. La mistica orientale è un reptus in uterum, un
ritorno alle origini avvertito come liberazione dal cosmo, da tempo e dall'io. È il perdersi
nell'Uno-Tutto. Per noi cristiani, invece, la salvezza non è la fuga dall'io: io sono amato da Dio
perché esisto ed è proprio perché Lui è Persona ed Amore che io esisto. Nel cristianesimo non c'è
nessuno svanire panteistico del mondo, del tempo, dell'io.
LETTERA ALLA PERSONA CHE L'AVEVA DENUNCIATA AI NAZISTI. Corrie ten Boom era
una donna generosa di Haarlem, in Olanda, la cui fede in Cristo non fu piegata dall'estrema malvagità umana. Durante l'occupazione nazista Corrie, ormai cinquantenne, i suoi familiari e gli amici
più stretti misero in salvo, nascondendoli, quanti più ebrei poterono, «per servire i figli dell'antico
popolo di Dio». Traditi, furono arrestati in 35 e internati nei lager. Appena finita la guerra, in data
19 giugno 1945, ecco che cosa Corrie scrisse a chi l'aveva denunciata.
Caro signore, oggi ho sentito che assai probabilmente lei è la persona che mi ha denunciato. Ho
subìto dieci mesi di campo di concentramento. Mio padre è morto dopo nove giorni di prigionia.
Anche mia sorella è morta in prigione.
Il male che lei ha progettato per me si è trasformato in bene per opera di Dio. Mi sono avvicinata a
Lui. Una terribile punizione l'attende. Io ho pregato per lei, perché il Signore possa accoglierla se
lei deciderà di pentirsi. Pensi che il Signore Gesù sulla croce ha preso su di sé anche i suoi peccati.
Se lei accetta questo e vuole essere suo figlio, lei è salvo per l'eternità. Io le ho perdonato tutto.
Anche Dio le perdonerà tutto, se lei glielo chiede... Non dubiti mai dell'amore del Signore Gesù.
Egli sta con le braccia spalancate per accoglierla. Spero che il cammino che ora lei intraprenderà
contribuisca alla sua salvezza eterna. Corrie ten Boom.
Questo documento, sublime nella sua disarmante radicalità evangelica, si può leggere nello
splendido libro che è Consigli per l'anima di John Cummimg, tradotto in italiano dalla Piemme
(Genova 1997, pp. 95-96).
DIRSI ADDIO A STALINGRADO. Un conoscente m'ha raccontato che un suo amico, al quale era
stato ordinato di lasciare Stalingrado all'ultimissima ora, aveva vissuto questa esperienza: quando
per un certo gruppo di soldati era giunta la fine, il cappellano militare protestante aveva tratto di
tasca il Nuovo Testamento, ne aveva strappato la copertina e aveva distribuito a ciascuno un foglio
del libro sacro. Nessuno l'aveva rifiutato (R. Guardini, Diario, trad. it. Morcelliana, Brescia, p. 19).
4 giugno 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Se la bestia che dorme nell'uomo... Se la bestia che dorme
nell'uomo potesse essere trattenuta da minacce - una qualsiasi minaccia, la prigione o la retribuzione
dopo la morte - allora il più alto emblema dell'umanità sarebbe il domatore di leoni nel circo con la
sua frusta, non il profeta che si è sacrificato (B. Pasternak, Il dottor Zivago). Fede e ragione. Il
trionfo della fede consiste precisamente nel conservare alla ragione l'efficacia delle proprie leggi,
senza barare sul piano apologetico e senza voler aggiungere qualcosa alla luce divina (D. Chenu).
Un brandello d'infanzia. Un brandello d'infanzia che per la maggior parte degli uomini va perduto,
è l'impeto verso la verità, il desiderio di una visione d'insieme delle cose e delle loro cause, la
struggente brama di armonia e di un sicuro possesso spirituale (H. Hesse). Saremo simili a lui.
Quando Dio si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo faccia a faccia
(Giovanni, Lettera prima 3, 2).
IL PERDONO, POETICA DELLA VITA MORALE. Il perdono, nel suo senso pieno, eccede di
molto le categorie politiche; esso appartiene ad un ordine - l'ordine della carità - che supera anche
l'ordine della moralità. Il perdono è legato ad una economia del dono, in cui la logica della
sovrabbondanza supera la logica della reciprocità. Poiché supera l'ordine della moralità, l'economia
del dono appartiene piuttosto a ciò che si potrebbe chiamare la «poetica della vita morale», se si
salva nella parole poetica il suo doppio senso: creatività, sul piano della dinamica dell'agire, del
canto e dell'inno, sul piano dell'espressione verbale.
È dunque da questa economia spirituale, da questa poetica della vita morale che viene
essenzialmente il perdono. La sua potenza «poetica» consiste nello spezzare la legge
dell'irreversibilità del tempo, cambiando, se non il passato, almeno il suo significato per gli uomini
del presente. Essa lo fa togliendo il peso della colpevolezza che paralizza il rapporto degli uomini
che agiscono e soffrono la loro propria storia. Non abolisce il debito, nella misura in cui noi siamo e
restiamo gli eredi del passato, ma gli toglie la sofferenza del debito.
Nella sfera politica la regola superiore è la giustizia e la reciprocità, e non la carità e il dono, e
tuttavia l'ordine della giustizia e della reciprocità può essere toccato da quello della carità e del
dono: toccato, ossia colpito e, se posso dirlo, intenerito. Non ne abbiamo forse esempi nella
giustizia penale, nella sfera sociale e in certe espressioni caritative della solidarietà? Che ne è sul
piano dei popoli e delle nazioni?
LA MENZOGNA, OMBRA TENEBROSA DELLA VERITÀ. La fisionomia più oscena della
menzogna è quando si ammanta delle stesse parole della verità avvelenandole. Le parole sacre come
«pace, giustizia, famiglia, vita, Dio» sono assunte con facilità, costellano i discorsi destinati a
catturare menti e cuori, vengono esaltate come programmatiche. In realtà ciò che si progetta è
guerra, prevaricazione, dominio, morte, negazione. È questo il volto ipocrita della menzogna, non
raro anche ai nostri giorni nella politica e nella società. Denunziata implacabilmente da Cristo
ovunque essa si annidasse, l'ipocrisia è il volto più sofisticato della menzogna. Per usare
un'espressione di Lutero, essa si fa simia Dei, scimmiottatura del Dio della verità.
Ma c'è un secondo aspetto che vorremmo far apparire. È quello più spontaneo della menzogna
quand'è al potere ed è la sua inderogabile necessità di bloccare la verità nell'esercizio della
giustizia, negandola agli oppressi, corrompendo e annientando la magistratura e il giudizio
processuale. Non per nulla nel Decalogo risuona quel comandamento capitale per la vita sociale:
«Non pronunziare falsa testimonianza» (Es 20, 16). Esso va ben oltre la semplice bugia e tutela il
diritto della verità, alla dignità, alla giustizia. Non per nulla questo monito costituiva il primo dei
282 commi del Codice babilonese di Hammurabi. È una condizione essenziale all'esistenza stessa di
ogni società e non solo un impegno etico o religioso. Scriveva Paolo agli Efesini: «Bando alla
menzogna! Dite ciascuno la verità al proprio prossimo» (4, 25) (Gianfranco Ravasi, biblista. Da Noi
non taceremo - Le parole della Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 1997, pp. 53-54).
CHE COSA SIGNIFICA «UMILTÀ». Il suo primo stadio è la modestia, che dice: ci sono altri
ancora e forse migliori di me, donde proviene anche il buon gusto, che trova sciocco mettersi
davanti.
Il secondo stadio è lo stare nella verità, in rapporto alla quale la persona dimentica se stessa.
Il terzo stadio è l'amore, che compie qual moto sacro nel quale il Dio grande s'è calato in ciò che è
piccolo (R. Guardini, Diario, trad. it. Morcelliana, Brescia, p. 13).
11 giugno 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Nessuno è inutile. Ogni uomo ha per vocazione di portare a
compimento qualcosa in questo mondo. Nessuno è inutile: il mondo ha bisogno di tutti e di
ciascuno (Rabbi Baroukh). I bambini, cosa sacra e futuro di ogni speranza. I bambini sono il
germoglio del terzo millennio. Non spegniamo le speranze nel loro cuore (Giovanni Paolo II).
Se ha da essere dialogo. Un discorso che va per le lunghe stanca, mentre riposa e attrae
l'ascoltatore se è variato nell'alternarsi di coloro che vanno argomentando (Robert Gaguin a Erasmo
da Rotterdam, 7 ottobre 1495). Per non perdere il gusto dell'amicizia. Io scrivo all'una o all'altra
delle persone con cui ho familiarità e dico cose che possono sembrare di nessun conto, sul tono
della chiacchierata, come si fa con un bicchiere davanti tra amici e compagni, che si confidano
liberamente tra loro (Erasmo, Prefazione ai colloqui, Lovanio 1519). Povero me e povero te!
Povero me che conosco troppo bene la libertà, avvertendone i limiti e i rischi, e povero te che non la
conosci abbastanza (Erasmo all'amico monaco Guglielmo Hermans, 14 dicembre 1498).
DUE TRAPPOLE DA EVITARE SULLA VIA DEL PERDONO. È con la più grande prudenza, e
guidati da una sobria chiaroveggenza, che occorre impegnarsi sulla via del perdono. Due trappole
sono da evitare. La prima consiste nel confondere il perdono e l'oblio; ora, al contrario, non si può
perdonare che là dove non c'è oblio, là dove la parola è stata resa agli umiliati. Niente sarebbe più
detestabile di ciò che Jankélévitch chiama il perdono smemorato, frutto della frivolezza e
dell'indifferenza.
La seconda trappola consiste nel prendere il perdono dal suo lato cattivo. Al contrario, il primo
rapporto che si ha col perdono non è il perdono facilmente esercitato, che ricorda ancora una volta
l'oblio, ma la pratica difficile del domandare perdono.
DAL CARTEGGIO CROCE-EINSTEIN. Einstein a Benedetto Croce, giugno 1944. La filosofia e
la ragione medesima sono ben lungi, per un tempo prevedibile, dal diventare guide per gli uomini,
ed esse resteranno il più bel rifugio degli spiriti eletti: l'unica vera aristocrazia, che non opprime
nessuno e in nessuno muove invidia, e di cui anzi quelli che non vi appartengono non riescono
neppure a riconoscere l'esistenza. In nessuna altra società i vincoli tra viventi e morti sono così vivi
e i nostri simili dei secoli precedenti stanno con noi come amici i cui detti non perdono mai
l'attrattiva, la loro fecondità e la personale loro magia. E, infine, chi realmente appartiene a quella
aristocrazia potrà bensì dagli altri uomini essere messo a morte, ma non offeso.
Risposta di Croce, luglio 1944. Quanto alla filosofia, essa non è vera filosofia se non conosce, con
l'ufficio suo, il suo limite, che è nell'apportare all'elevamento dell'umanità la chiarezza dei concetti,
la luce del vero. È un'azione mentale, che apre la via, ma non si arroga di sostituirsi all'azione
pratica e morale, che essa può soltanto sollecitare. In questa seconda sfera a noi, modesti filosofi,
spetta d'imitare un altro filosofo antico: Socrate, che fu filosofo ma combatté da oplita a Potidea, e
Dante, che poetò, ma combatté a Campaldino.
Anche io pratico la compagnia, della quale Ella parla con così nobili parole, di coloro che già
vissero sulla terra e ci lasciarono le opre loro di pensiero e di poesia, e mi rassereno e ritempero in
essa: di volta in volta m'immergo in questo bagno spirituale, che è quasi la mia unica pratica
religiosa. Ma in quel bagno non è dato restare, e da esso bisogna uscire per sottoporsi agli umili e
spesso ingrati doveri che ci aspettano sull'uscio.
Perciò mi sento oggi, conforme ai miei convincimenti ed ai miei ideali, impegnato nella politica del
mio paese.
E ringrazio Lei dell'augurio generoso che fa all'Italia, la quale ha sofferto una triste e dolorosa
vicenda, dovuta al collasso prodotto in essa come in altri Paesi dalla guerra precedente, onde fu
possibile ai dissennati e violenti d'impadronirsi dei poteri dello Stato non senza il gran plauso e la
larga ammirazione del mondo intero, e volgere e sforzare l'Italia in una via che non era la sua, che
tutta la storia smentiva (Questi due passi molto belli sono stati segnalati dalla prof. Maria Paola
Negri).
18 giugno 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. L'essenza dell'intuizione. L'essenza dell'intuizione non consiste
nel comprendere ciò che è descrivibile, ma nel percepire ciò che è ineffabile. Dobbiamo educare la
ragione all'apprezzamento di ciò che la trascende (Abraham J. Heschel).
Se si è poveri di amore. Tu non conosci che una frase: «Non ho nulla e non posso dar nulla perché
sono nullatenente!». In effetti tu sei veramente povero, anzi privo di ogni vero bene. Sei povero di
amore, povero di umanità, povero di fede in Dio, povero di speranza nelle realtà eterne (San Basilio,
IV secolo).
Che cos'è l'inferno? L'inferno non è altro che la perpetua angoscia che accompagna l'abitudine a
peccare, giacché il peccato porta con sé un elemento che deve farci orrore (Erasmo da Rotterdam,
Manuale del soldato cristiano):
L'ACUTA FORMULA DI MARSHALL MC-LUHAN. Qual è il senso, o uno dei sensi, dell'acuta
formula di Marshall Mc-Luhan: «Il mezzo è il messaggio?». Presa alla lettera, sarebbe priva di
senso, poiché la riproduzione non è il quadro, né il disco è la musica, né il telegramma è la notizia;
ma è ben vero che, in ciascuno di questi campi, venendo il mezzo della comunicazione ad eliminare
la comunicazione da persona a persona, i mass media divengono essi stessi il loro proprio fine. Per
quanto riguarda le trasmissioni televisive, chi vi ponga bene attenzione comprende ben presto che in
esse l'importante non è tanto l'argomento, il fatto o il personaggio in causa, quanto proprio la
trasmissione che diviene fine a se stessa.
IL PERDONO E LA POLITICA. La storia di questi ultimi anni ci offre alcuni esempi ammirevoli
di una storia di corto circuito tra la poetica morale del perdono e la politica. Tutti ricordano
l'immagine di Willy Brandt inginocchiato a Varsavia; si pensi anche a Vàlac Havel che scrive al
presidente della Repubblica Federale Tedesca per domandargli perdono per le sofferenze inflitte ai
Sudeti dopo la seconda guerra mondiale; si pensi anche al perdono richiesto dalle autorità tedesche
al popolo ebreo e alla loro cura meticolosa nell'esercitare queste riparazioni in molte maniere nei
confronti dei sopravvissuti alla soluzione finale. Si pensi infine al viaggio folgorante di Sadat a
Gerusalemme. La carità eccede la giustizia, ma proprio per questo sbaglia gravemente chi pensa di
sostituirla alla giustizia. La carità resta un surplus, un surplus di compassione e di tenerezza
suscettibile di dare allo scambio delle memorie la sua motivazione profonda, la sua audacia e il suo
slancio.
L'INDIFFERENZA COME «MALATTIA SOCIALE». Quando, inevitabilmente, l'indifferenza da
comportamento privato diventa «malattia sociale» è la democrazia stessa ad essere in pericolo.
Perché la delega, lo stare alla finestra, incrina alla radice il concetto di cittadinanza, la quale
significa, invece, partecipazione consapevole e attenta, esercizio responsabile di diritti e di doveri; e
la storia ci ha drammaticamente insegnato in passato che, se non si è pienamente cittadini, si rischia
di diventare sudditi.
Le guerre, le tirannie, le ingiustizie, per esistere necessitano di passività e indifferenza, occorre che
l'urlo delle vittima, dei poveri, dei deboli, degli oppressi non trovi ascolto, non arrivi alle orecchie,
non smuova le coscienze. L'indifferenza isola dalla realtà, diventa uno scudo che fa rimbalzare via
quel grido, quella vista, quella coscienza, impedendole di toccarci e di coinvolgerci. Così la vittima
trasparente: è così che viviamo nelle nostre città, ricche di beni e di merci, senza accorgerci che il
povero è il nostro vicino di casa, che nei confronti di chi soffre è stata commessa un'ulteriore
ingiustizia, quella, appunto, di renderlo invisibile e muto.
La parola diviene allora il «grimaldello» necessario che apre la porta alla giustizia: la parola che
descrive e quella che denuncia, la parola che sollecita e quella che unisce, costruisce, promuove;
quella che conosce, che fa conoscere e, dunque, ri-conoscere. Quella che rompe il pregiudizio, figlio
diretto e inevitabile dell'indifferenza (Luigi Ciotti, sacerdote, è l'animatore del Gruppo Abele di
Torino. Da Noi non taceremo - Le parole della Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 1997, pp. 42-43).
POESIA DEL NOVECENTO. Rischiando costantemente l'assurdo. Rischiando costantemente
l'assurdo / ogni volta che si esibisce / sulle teste / del suo pubblico / il poeta come un acrobata / si
arrampica sulle rime / su un filo alto della sua creazione... / e avanza a lunghi passi... / verso quella
meta ancor più alta / dove la Bellezza è ferma ad attenderlo / per spiccare il suo salto mortale
(Lawrence Ferlinghetti, Poesia. Questi sono i miei fiumi, trad. it. e testo inglese, Newton, Roma
1996).
25 giugno 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Non lasciarti incantare. Quando ti parlano di Achille, di Serse, di
Ciro, di Dario, di Cesare, non lasciarti incantare da questi nomi prestigiosi: sono delle terribili,
forsennate canaglie (Erasmo da Rotterdam al futuro Carlo V, a cui dedica l'Educazione del principe
cristiano, 1516).
A nessuno è vietato. Pochissimi sono i dotti, ma a nessuno è vietato di essere cristiano, di
possedere la fede. Avrei persino l'audacia di dire: a nessuno è vietato essere teologo (Erasmo, Nuovo
Testamento, 1516).
Ciò che più mi preoccupa. Laggiù, dici, si tengono sul mio conto discorsi assai sgradevoli. Ma io
posso davvero rispondere della mia innocenza, ed è ciò che faccio. Non sono in grado di rispondere
di ciò che la gente racconta sul mio conto. Ciò che più mi preoccupa è quello che, alla fine, tu pensi
di me, perché tu conti per me più di tutti gli altri insieme (Erasmo all'amico Guglielmo Hermans, 14
dicembre 1498).
Prima di ogni altra cosa. L'amicizia deve essere preferita a tutto in questo mondo; non è meno
necessaria dell'acqua, dell'aria o del fuoco (Erasmo).
DIO NON È L'UNO-TUTTO, DIO NON È IL MONDO. EGLI È PERSONA. Dio non è un
«luogo» e non è in un luogo piuttosto che in un altro. Egli è l'Assoluto ed è pertanto onnipresente
perché tutto esiste in quanto è creato da lui e da lui mantenuto nell'essere. Di qui la commossa e
forte espressione di Agostino: «Io non esisterei, mio Dio, propriamente non esisterei io, se tu non
fossi in me... o piuttosto se io non fossi in te» (Non ergo essem, Deus meus, non omnino essem, nisi
esses in me. An potius, non essem, nisi essem in te - Conf. I, 2). Io sono e sussisto a me stesso per
l'energia creatrice di «Colui che è». La mia esistenza e la conquista della mia autenticità hanno
pertanto in lui la prima radice. L'uomo può anche opporsi a Dio, farsi peccatore, separarsi da «Colui
che è il Santo» e dare persino un carattere definitivo al suo rifiuto; lo può, ma usando male una
forza che gli proviene da Dio.
Cielo e terra, tutto ciò che è, è come un immenso calice a cui accostiamo le labbra per attingere
qualcosa della divina Sorgente. Ogni uomo e la creazione nella sua totalità non possono avere in sé
la pienezza di Colui che è l'infinitamente puro, semplice, vivente. Dio è ed è dovunque totalmente,
ma nessuna realtà finita può comprenderlo nella sua interezza.
Non c'è identità tra Dio e il mondo: il panteismo, comunque sia concepito ed espresso, è una
risposta fittizia e assurda.
Dio non è un flusso indeterminato e impersonale che tende a darsi una forma ed una coscienza
attraverso le sue stesse produzioni.
È ancora Agostino a dircelo con una di quelle sue espressioni potenti in cui c'è più metafisica che
non si immagini: «Tu sei dovunque nella tua totalità e nessuna cosa è in grado di comprenderti
totalmente» (ubique totus es et res nulla te totum capit - Conf. I, 3).
L'onnipresenza di Dio all'opera sua esclude la confusione tra Dio e il mondo. Dio in quanto infinita
potenza non è nulla di ciò che ha creato e nessuna creatura può comprendere l'infinità del Creatore.
Non si può concepire la natura di Dio alla pari delle nature da lui create. Ma, appunto perché queste
nature vengono da lui, ce ne possiamo servire per la conoscenza del Creatore e accogliere da esse
quelle «insinuazioni» che servono alla nostra riflessione.
La nostra innegabile impotenza a conoscere Dio, come egli è, si deve certamente attribuire ad
un'infermità della nostra facoltà; però il sentirla dimostra quale grande idea abbiamo del nostro
Creatore.
Se stentiamo a formare concetti non troppo indegni di un essere così perfetto, non è perché egli sia
indeterminato, ma perché non penetriamo la sua essenza in sé determinatissima.
Essendo egli l'intelligenza e l'amore nella loro fonte e nel loro sommo grado, in lui si trovano portati
all'infinito i costitutivi della personalità.
A Dio si può parlare e ricorrere; lo si può lodare, ringraziare, amare, pregare.
LA LIBERTÀ È VINCOLATA ALLA VERITÀ. Dobbiamo spingere a fondo la nostra riflessione
sulla libertà, perché raramente una parola è stata usata in modo peggiore ed è stata corrotta più a
fondo...
Non c'è nessuna libertà senza coscienza - tanto meno può esserci coscienza, responsabile morale in
un essere che non è libero.
Solo chi sa di essere vincolato dalla verità, ha delle opinioni proprie e delle parole proprie. Solo chi
rispetta l'inviolabilità della sfera personale altrui, ha diritto all'inviolabilità della propria (Romano
Guardini, La Rosa Bianca, a cura di M. Nicoletti, Morcelliana, Brescia 1994).
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DETTI E CONTRADDETTI 1998 – 1° SEMESTRE Rubrica