DETTI E CONTRADDETTI 1998 – ° SEMESTRE
Rubrica settimanale tenuta sul Giornale di Brescia
2 luglio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Domande e risposte. A dar risposte sono - o sembrano - capaci
tutti, ma per fare le vere domande ci vuole un genio (Oscar Wilde). Il coraggio di sognare. Solo
quelli che hanno avuto il coraggio di sognare sono riusciti a cambiare il mondo (Margaret A. Ogola,
Il fiume e la sorgente, San Paolo, Milano 1998 - Premio Kenyatte per la letteratura). La vera origine
di ogni riduzionismo. Ogni tendenza riduttiva nasce dalla paura dell'Infinito (Iosif Brodskij). Avere
dei buoni dubbi. Avere dei buoni dubbi è un modo per smettere di dubitare male di se stessi
(Romana Caruso, Mangiare l'amore, F. Angeli, Milano 1998). Farfalle e zanzare. Le farfalle,
ahimé, / ci ignorano, ma le zanzare / sfortunatamente no (Wistan H. Auden, Grazie nebbia, Tea,
Milano 1998).
L'ESPERIENZA DI CHI SI SENTE LIBERO. Certo, il grande orientamento cosmico non tollera
lacune e tutto sembra essere determinato. Eppure c'è qui un essere umano che si è sentito libero,
nell’atto in cui, resistendo a se stesso o ad altri, opera una scelta che cambia l'esistenza. Provate pure
a confutare la sua sensazione con i vostri concetti! Egli vi risponderà: «Io sono la faccia scura della
luna; sapete della mia esistenza, ma ciò che voi stabilite sia la faccia chiara per me non ha valore.
Io sono il resto irriducibile dell'equazione. Potete contrassegnarmi, ma non abolirmi». Se un essere
umano si è sentito libero e nel proprio agire ha sperimentato la libertà, ebbene in quell'istante il suo
spirito si è aperto al soffio vivificante dello Spirito.
LE «TENTAZIONI DI CREDERE» DI ELIO VITTORINI. 1). Da una lettera al critico letterario e
amico Leone Piccioni: «Sono poco credente, ma sempre più mi persuado che quello che mi aiuta in
ogni circostanza sia semplicemente cristianesimo». La lettera risale al 1954. 2). La seconda
affermazione, che riportai a suo tempo su un mio taccuino, senza precisare purtroppo la data e la
fonte, è la seguente e riguarda Gesù Cristo: «Credo che nulla di quanto gli uomini hanno pur detto
di nuovo e concreto, o anche di più utile, dopo di lui, sia stato detto in contrasto con lui». Nel
recente volume Il lungo viaggio di Vittorini (Marsilio, Venezia, pp. 480) Raffaele Crovi ci offre una
compiuta biografia e uno studio critico dello scrittore siciliano, ripercorrendo con grande rispetto le
sue «tentazioni di credere».
ABBIAMO BISOGNO D'UN IDEALE SOCIALE. Un ideale sociale coincide con il disegno, i
tratti i lineamenti di una forma di vita collettiva che sia più degna di essere vissuta per uomini e
donne che hanno una vita in comune da vivere. Un ideale sociale è una promessa di convivenza,
degna di lode. Esso è generato da un nucleo di valori che fanno parte dei nostri vocabolari di
politica, moralità e identità ereditati. In questo senso possiamo asserire che un ideale sociale è l'esito
di una storia; di una catena di vicende, fatta di conflitti, interessi, bisogni, speranze: impronte e
tracce dei progetti di esseri umani che si sono presi per mano e, impegnandosi nell'azione collettiva,
hanno perseguito almeno due scopi tanto semplici e vaghi quanto preziosi e difficili: 1) la
minimizzazione della sofferenza socialmente evitabile, e 2) la massimizzazione del rispetto per
l'eguale dignità di chiunque e di ciascuno. Non vi è ideale sociale che non sia al tempo stesso un
ricordo della società e una promessa di futuro, un'offerta di condivisione di un modo di vivere
insieme, stabile nella durata (Salvatore Veca, Della lealtà civile, Feltrinelli, Milano 1998, p. 7).
PAROLA E SILENZIO. Quando la parola non sorge dal silenzio. Oggi la parola non sorge più dal
silenzio per un atto dello spirito che dà senso alla parola e insieme al silenzio, ma sorge da un'altra
parola, dal suono di un'altra parola, e non ritorna più al silenzio, non finisce più nel silenzio, ma in
un altro suono verbale e si perde col proprio rumore... La parola non esiste più come spirito, ma
soltanto come suono, acusticamente (Max Picard). Il sopravvento della chiacchiera e del rumore.
Non abbiamo che da guardarci in giro nel mondo che ci circonda per vedere in quale terribile misura
il silenzio sia scomparso e scompaia sempre più; quanto sopravvento abbiano le chiacchiere e come
sempre più aumenti il rumore. Di fuori e, prima, dentro; giacché lo stato interiore anche di quelli
che tacciono è spesso tutt'altro che silenzio (Romano Guardini).
9 luglio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Sei capace di meraviglia? La meraviglia è un modo di pensare.
Essa è sostanzialmente l'incapacità di adattarsi alle parole e ai luoghi comuni (Abraham J. Heschel).
Né idolatria, né rifiuto della ragione. L'idolatria della ragione è arroganza e tradisce una mancanza
d'intelligenza. Il rifiuto della ragione è viltà e tradisce una mancanza di fede (Abraham J. Heschel).
Chi ha interessi privati non può occuparsi della pubblica utilità. Chi assume il potere al più alto
livello deve occuparsi degli affari pubblici, non dei propri interessi; deve pensare esclusivamente
alla pubblica utilità; non deve scostarsi neppure di un pollice dalle leggi di cui è autore ed esecutore.
Se non lo fa trae lo Stato all'estrema rovina (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1511 - Ed.
Mursia, con la splendida introduzione di Nicola Petruzzellis).
Ma chi credono di essere? Hanno un'alta opinione di sé e questa li rende felici perché li induce a
guardare gli altri dall'alto in basso, con una sorta di commiserazione per tutti gli altri mortali.
Altezzosi e litigiosi come sono, se osi discutere con loro non hai scampo. Trincerati dietro un
esercito di definizioni magistrali, conclusioni, corollari, proposizioni implicate ed esplicate, hanno a
loro disposizione qualsiasi scappatoia... Inesauribili nel coniare termini nuovi e parole rare, con le
loro distinzioni recidono facilmente qualsiasi nodo... Usciresti prima da un labirinto che dalle loro
oscure tortuosità (ibid.).
SE LA SPECIALIZZAZIONE DIVENTA RISTRETTEZZA MENTALE... Anatole France nella
sua autobiografia racconta che da ragazzo, in occasione di una visita al museo del Jardin des
plantes di Parigi, rivoltosi ad un paleontologo per avere notizie su un dente di mammouth, si sentì
rispondere che quel dente non faceva parte della sua vetrina: egli perciò nulla sapeva dire in
proposito. Credo che sia invece importante cominciare a dare uno sguardo alle varie «vetrine», per
vedere se è possibile conseguire una visione più articolata di quella fornita da ognuno dei singoli
specialisti.
OLTRE L'INGRANAGGIO DELLA NOSTRA UMANA ESISTENZA. L'ingranaggio della nostra
umana esistenza, che ingloba ogni cosa, tutta la luce e tutta la musica, tutte le stravaganze del
pensiero e le varianti del dolore, la piena dei ricordi e quella delle attese, è refrattario a una cosa
soltanto: all'unità. In ogni sguardo lampeggiano segretamente mille sguardi che non vogliono
apparentarglisi; ogni stupore, per bello e puro che sia, è turbato da mille ricordi, e persino nel dolore
più silenzioso si avverte il sussurro di mille quesiti. L'ingranaggio, nella sua estrema
sovrabbondanza ma anche povertà, accatasta il superfluo e rinnega l'insieme, crea un vortice di
oggetti e un vortice di sentimenti, vortici che si fronteggiano, si scontrano e si travolgono facendoci
percorrere, senza unità, il nostro cammino. L'ingranaggio mi concede le cose e le idee che le
concernono; solo, non mi concede l'unità...
Ma questo è il senso divino della vita umana: che l'ingranaggio è soltanto l'esterno rispetto a un
interno vividissimo e ignoto, e che questo interno non può negarsi all'anima che libera si leva verso
l'esperienza vivente. È l'anima che riceve la grazia dell'unità, l'anima che si è tesa spasmodicamente
per far saltare l'ingranaggio e sottrarsi ad esso.
Oltre ogni lacerazione e sforzo, oltre il brulichio delle tenebre che non conoscono l'unità, esiste
però un'esperienza, che dall'anima cresce in se stessa, senza scosse né intoppi, in pura singolarità.
L'anima che in essa è immersa sta in se medesima, possiede se medesima, sperimenta se medesima sconfinatamente. Essa altresì coincide col proprio fondo e con la propria sorgente. Questa
esperienza, assolutamente interiore, è ciò che i greci chiamavano ékstasis, cioè andare fuori (M.
Buber, Confessioni estatiche, Adelphi, Milano 1987, pp. 23-25 passim).
POESIA DEL NOVECENTO. Aut-aut. L'uomo deve innamorarsi / di Qualcuno o di Qualcosa, / o
altrimenti ammalarsi (W. H. Auden, Grazie nebbia, Tea, Milano 1998). Grazie a Dio, non sono uno
spirito disincarnato. A niente posso pensare / che vorrei essere meno / di uno spirito disincarnato, /
incapace di bere o masticare, / di aver contatto con le superfici / o respirare gli odori dell'estate / o di
capire la parola e la musica / o di fissare quel che c'è di là. / No, Dio mi ha messo proprio dove avrei
scelto di essere (W. H. Auden, ibid.).
16 luglio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Oggi più che mai. La violazione del diritto in un punto della terra
è avvertito in tutti i punti (Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 17). La priorità assoluta: lavorare
al risveglio delle coscienze. Il vero progresso nasce dalla collaborazione degli spiriti nella ricerca
della verità e nello sforzo di preparare un'umanità più fraterna. Occorre portare nella vita sociale, in
cui gli uomini rischiano l'omologazione più degradante, la vita interiore e l'ascesi morale, non certo
imponendo l'honestum per decreto legge, ma attraverso un'opera di instancabile risveglio delle
coscienze (Levi Appulo). È il caso di Seneca. È una caratteristica proprio del classici
accompagnare, con le domande che li attraversano, l'interpretazione che i contemporanei danno di
se stessi. In fondo, non c'è epoca che non si sia autodefinita rileggendo i classici, quasi che l'identità
si instauri solo attraverso quelle matrici di senso che sono diventati alcuni autori o particolari testi.
È il caso di Seneca (Ilario Bertoletti, Seneca umanizzatore, «Giornale di Brescia» del 19 maggio
1998).
Le celebri domande del rabbino. Se io non sono per me [= se non mi prendo cura della mia
anima], chi è per me [= chi lo farà al posto mio]? E se io non sono per gli altri, chi sono io? E se
non ora, quando? (Rabbino Hillel).
TU VALI QUANTO VALE IL TUO TEMPO. Il tempo cosmico scorre senza posa, impersonale
nella sua oggettività misurabile; e tuttavia i segni che lascia l'inarrestabile succedersi dei giorni sono
ovunque e noi li percepiamo, soprattutto se ci accade di rivedere dopo un lungo intervallo luoghi e
persone. La vita del mutamento di ciò che è altro da noi ci induce allora a pensare, almeno per
qualche istante, e come noi stessi siamo cambiati e a chiederci dove ci mena quella rincorsa
affannosa a cui abbiamo ridotto la nostra esistenza. Seneca scrive con grande verità: «ogni giorno,
ogni ora ti cambia, ma negli altri la rapina appare più facilmente; in te, invece, si cela, non è allo
scoperto» (Ad Lucilium ep. 104, 12).
Il tempo cosmico appare allora come lo scenario del tempo vissuto da colui che lo misura. È questa
la dimensione più reale e individuale del tempo e fa tutt'uno con la coscienza che l'io ha di sé, con la
sua stessa sostanza, con la sua vita. E ciò sta a significare che la vita d'un uomo vale quanto vale il
suo tempo. Il tempo possiede, pertanto, un valore inestimabile per cui occorre seriamente
contabilizzarli, domandandosi per che cosa lo spendiamo e come ne entriamo in possesso. Il
problema per l'uomo è, allora, come far presa sul tempo, come non lasciarsene travolgere; in una
parola, come vincere l'angoscia e trasfigurarla in serenità d'animo e gioia.
Molti sono i modi in cui la stoltezza si manifesta, ma il denominatore comune è e rimane sempre lo
stesso: La dissipazione della propria esistenza attraverso la perdita di quel tempo di cui dovremmo,
invece, assicurarci il possesso. Ed è unica anche la via per trasformare il tempo in un bene tangibile
e fecondo: solo la riscoperta dell'interiorità e la socratica «cura dell'anima» possono farci uscire da
uno stato di alienazione e restituirci finalmente a noi stessi.
NOI SIAMO CORRESPONSABILI. Noi siamo corresponsabili per quello che accade nel nostro
tempo presente, per lo sviluppo positivo, per il progresso (non tutto ciò che va sotto questo nome è
progresso); ma siamo corresponsabili allo stesso modo anche per le piccole e grandi ingiustizie, per
gli atti di disumanità, le negazioni quotidiane dei valori sociali e umanistici, la distruzione della
natura e l'impoverimento spirituale degli uomini. E ciò perché su tutto prevale la ricerca del profitto
e l'opportunismo.
Anche noi abbiamo in ciò la nostra parte di colpa. Ognuno la propria, se non guardiamo, se non
vogliamo sapere, se non reagiamo al male con fermezza e costanza. E di questo anche noi dovremo
rendere conto alle generazioni future (Michael Verhoeven, regista tedesco. Da Noi non taceremo Le parole della Rosa Bianca, ed. cit., p. 16).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Scuotici, Signore! Scuotici, Signore, / chiamaci, / infiammaci e
rapiscici, / facci sentire il tuo profumo, / sii per noi fuoco e dolcezza. / Insegnaci a correre
nell'amore. / Forse che molti non ritornano a te / da un abisso di cecità? / Fa' che anche noi ci
avviciniamo a te / e che siamo illuminati da quella luce / mediante la quale si riceve il potere / di
diventare tuoi figli (Agostino, Confessioni VIII, 4, 9).
23 luglio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Perché si cammina? Non si cammina solo per arrivare, ma per
vivere mentre si cammina (Goethe). Quando si diventa una società chiusa. Una qualsiasi società,
grande o piccola che sia, diventa chiusa quando alla libera discussione si sostituiscono l'«obbedir
tacendo» e il mugugno (Levi Appulo). La vera misura del tempo. La vera misura del tempo non è
l'orologio, ma la speranza e l'attesa (C. Ebling). Ci vuole un'inquietudine magnanima. Finché si è
inquieti, si può stare tranquilli (Julien Green).
Libertà e carità. La libertà è l'aria della carità (Primo Mazzolari). Dio stesso ti vide brillare. Che
bella sei, libertà. Dio stesso / ti vide brillare, davanti al primo abisso, / sul suo petto, solitaria stella.
/ Una scintilla del vulcano ardente / prese nella sua mano. E ti appuntò sulla mia fronte, / libera
fiamma di Dio, libertà bella (Damaso Alonso, poeta spagnolo, 1896-1990). Formare alla libertà.
Libero veramente è soltanto colui che è capace di donarsi totalmente. Educare alla libertà significa
educare all'amore (Paolo VI).
La filosofia sociale non regala profezie. Bisogna rifiutare quel dogma secondo il quale la filosofia
sociale debba essere una profezia. Che tutto questo non funzioni e di quali catastrofi o pasticci
questo modo di praticare la funzione intellettuale sia responsabile, lo sappiamo o dovremmo saperlo
tutti molto bene (Salvatore Veca, Della lealtà civile, Feltrinelli, 1998, p. 5).
UN VIAGGIO NELLE PAGINE DEI DIARI SCOLASTICI. In tanti anni di insegnamento mi è
capitato di vederne molti di diari scolastici, senza parlare di quelli dei miei figli e ora di mio nipote.
Il linguaggio è iperbolico, la battuta talora è pesante, la voglia di ridere tende al ridanciano e alto è il
prezzo pagato al gergo in voga al momento; ma da quelle pagine, prima o poi, ti viene incontro
qualcosa di autentico che ha il sapore stesso della vita e che merita ascolto e rispetto.
Così, ad esempio, in un recente opuscolo di Stampa Alternativa, che si propone un viaggio nelle
pagine dei diari scolastici, le volgarità volutamente abbondano, ma anche qui i sentimenti e i
pensieri genuini non mancano. Eccone alcuni.
- «I sogni non muoiono, siamo noi ad ucciderli».
- «Il primo bacio non viene mai dato con la bocca, ma con gli occhi».
- «Meglio essere analfabeti piuttosto di leggere negli occhi di chi ti tradisce».
- «In amore il silenzio dice più delle parole».
- «Per il mondo sei nessuno, ma per qualcuno sei il mondo».
- «Tanti si preoccupano di avere degli amici. Pochi si preoccupano di esserlo».
Le ignote autrici di queste altre due scritte meritano poi una segnalazione particolare:
- «Vorrei dirti che ti voglio bene, ma non ho il coraggio. Vorrei dirti che sei un cretino e te lo dirò».
- «Se un ragazzo ti lascia, va in giro con un cartello: "Cercasi cane di razza pura perché un bastardo
l'ho già trovato"».
LE ORIGINI SONO NEI MONASTERI. È un fatto storico non molto noto: tutti i principi
costituzionali sono di origine monastica. È lì, infatti, che sono stati formulati per la prima volta per
essere poi trasferiti - poco a poco, parzialmente e solo in seguito a dure lotte - alla società civile e
politica. Quei principi, infatti, pongono le premesse della rivoluzione liberale e di quella
democratica, avviando il processo di trasformazione dei sudditi in cittadini soggetti di diritti-doveri.
C'è, però, una ragione di tutto questo: i monasteri sono state le prime comunità organizzate con
l'idea che tutti gli uomini hanno pari dignità. Idea che fa da regola ed insieme da postulato etico di
ogni reale progresso nella storia.
L'ANGOLO DI ERASMO. Un tratto di alta dignità. Io avevo poco il gusto dei grandi (Erasmo,
Opus espist. t. 9, p. 206 - Lettera di Erasmo da Rotterdam ad Alessandro Steuco, 27 marzo 1531). Il
vero senso della devozione. Vuoi piacere a San Pietro o a San Paolo? Imita la fede dell'uno o la
carità dell'altro. Così farai di più che se corressi dieci volte a Roma (Erasmo da Rotterdam, Manuale
del soldato cristiano - Questo piccolo, grande libro -autentico manifesto del cristianesimo interiore
e della riforma cattolica - uscì nel 1504. Lo si può leggere in traduzione italiana nel volume La
formazione cristiana dell'uomo, Rusconi, prima ed. 1989).
30 luglio 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Solo, però, se ci sono ragioni serie per farlo. Quando qualcuno
non mi piace, la mia più forte preoccupazione è farglielo sapere (Raymond Aron). Il vero Anticristo.
Combattiamo contro un persecutore insidioso, un nemico che lusinga. Egli non ferisce la schiena,
ma accarezza il ventre; non confisca i beni per darci la vita, ma arricchisce per darci la morte; non ci
spinge verso la libertà imprigionandoci, ma verso la schiavitù onorandoci nel suo palazzo; non
colpisce i fianchi, ma prende possesso del cuore; non taglia la testa con la spada, ma uccide l'anima
con l'oro; non minaccia il rogo, ma accende il fuoco della Geenna (Ilario di Poitiers, Contro
Costanzo imperatore - 300 circa-367 d. C.).
No, non dire di aver amato troppo. Niente può essere amato troppo, / ma ogni cosa può essere
amata / nel modo sbagliato (Nothing can be loved too much, / but all things can be loved / in the
wrong way - Wystan H. Auden, Grazie nebbia, Tea, Milano 1998). Non all'unisono, ma in armonia.
Se veramente fratelli, / gli uomini non cantano all'unisono, / ma in armonia (W. H. Auden, ibid.).
Un'esperienza al limite, eppure realissima: dire l'indicibile. L'estatico si può spiegare dal punto di
vista psicologico, fisiologico, patologico; per noi, invece, è essenziale ciò che resta al di là della
spiegazione: la sua esperienza vivente (Martin Buber, Confessioni estatiche, Adelphi, Milano 1987,
p. 13).
LA SORGENTE DELLA NOSTRA LINGUA, NOSTRO VERO ESPERANTO. Il latino
dell'Occidente cristiano non è una lingua morta, il latino della Chiesa è vivo, poiché, lungi
dall'averlo semplicemente attinto dal popolo romano, essa stessa lo ha formato a suo uso e in vista
dei suoi bisogni. Il latino della Chiesa non è più bello né meno bello del francese o dell'inglese; né
lo si può paragonare ai modelli della lingua classica, perché è nato dallo sforzo degli scrittori
cristiani per tradurre l'Antico e il Nuovo Testamento, intraducibili nel latino letterario, e dallo sforzo
per creare una lingua teologica capace di esprimere le verità di fede nel loro rigore e nelle loro
sottigliezze. Come il greco dei padri per le Chiese orientali, il latino è per la cristianità
dell'Occidente la lingua madre. Lingua propria della Chiesa, esso è nello stesso tempo la radice
comune delle lingue nazionali europee.
Sarebbe un impoverimento incalcolabile per l'umanità se i nostri nipoti non fossero in grado di
leggere le Confessioni nel testo originale, o inni come l'Ave maris stella e il Veni Creator Spiritus.
Andrebbero perduti temi di verità, bellezza e vita spirituale di incalcolabile valore. Per noi europei,
almeno per coloro che hanno avuto una certa dimestichezza con la lingua di Ambrogio e di
Gregorio Magno, il latino può ben essere il nostro esperanto, e un esperanto che si è formato, non
prodotto in modo artificiale. Ricordo che in un viaggio in Ungheria e in Cecoslovacchia nell'agosto
del 1968, quando in quei Paesi c'era il socialismo reale, io e i giovani che mi accompagnavano
abbiamo potuto conversare liberamente con gli amici di Budapest e di Praga, senza conoscere né il
ceco né l'ungherese, perché loro e noi abbiamo capito che potevamo comunicare in una lingua
comune: il latino dell'Occidente cristiano.
NON È VUOTA ILLUSIONE. Una poetessa tedesca, Marie Luise Kaschnitz, in una delle sue
migliori composizioni ha espresso in modo sobrio ed efficace la continuità reale tra la vita
quotidiana di chi cerca di redimere il tempo e la resurrezione nella vita ultraterrena. Ecco il testo
nella traduzione di Giovanni Moretto.
Qualche volta ci alziamo / per una resurrezione / nel cuore del giorno / con i nostri capelli vivi /
con la nostra pelle che respira. /
Solo le cose familiari ci circondano. / Nessuna fata morgana... / gli orologi non cessano di fare tic
tac / le loro lancette luminose non si spengono. /
E tuttavia leggeri / e tuttavia invulnerabili / ordinati in un ordine misterioso / siamo accolti
anticipatamente in una casa di luce.
L'ANGOLO DI ERASMO. Saggezza umanamente accessibile. Se non puoi fare ciò che vuoi, fa'
ciò che puoi. Se la fortuna non ti ha appagato, trai buon partito da ciò che hai. Se non puoi ottenere
ciò che desideri, volgiti a ciò che è alla tua portata (Erasmo da Rotterdam, Adagia, 1508).
Al servizio della teologia autentica. La teologia a cui dedico tutte le mie veglie è la teologia non
macchiata, non fatta a brandelli come la si trova oggi nelle scuole dei sofisti, liberata da tutte le
muffe (Erasmo, Opus epist., Allen ed. 1, p. 344 - Lettera ad Anna di Veere, 27 gennaio 1501).
6 agosto 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Le cose si fanno, facendole. I sentieri si formano camminando
(Proverbio spagnolo). Sentenza lapidaria. La pena di morte è una soluzione di tipo militare a un
problema sociale (Helen Prejean, la suora americana che conforta i condannati a morte. Si legga il
suo intervento nel volume a più voci "Non uccidere", Guerini e Associati editori, Milano, 1998).
Quando il piccolo è grande. Non possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con
animo grande (Maria Teresa di Calcutta).
Un bel biglietto di presentazione. Sì, è vero, io sono noto per l'affetto paterno che porto ai miei
fratelli (et ipse notus in frates animi paterni - Orazio, Odi II, 2, 6-7). Un dubbio. Il progresso è un
gran dono, d'accordo; / ma è progresso avere più auto di quante ne potete parcheggiare? (Wystan H.
Auden).
ITALIA SCOMBINATA. 1). Sconto per chi marina la scuola. Un bar di Verona distribuisce
biglietti-invito negli istituti superiori. Recano la scritta «Speciale per studenti in fuga». Si offre
musica,video, cabaret e giochi su Internet, più il 10 per cento di sconto sulle consumazioni
(Corriere della Sera, 19 marzo 1998).
2). L'Als pagava le cure a 17 mila morti. Una dimenticanza di oltre cinque miliardi e mezzo. La
Guardia di finanza di Catanzaro ha scoperto che l'Azienda sanitaria del capoluogo calabrese tra il
'90 e il '97 non ha segnalato alla Regione il decesso di oltre 17 mila persone. Il risultato è che sono
stati erogati i contributi ai medici di base per pazienti in realtà già morti. La scoperta è avvenuta da
una richiesta di accertamenti avanzata dal procuratore generale della Corte dei Conti di Catanzaro
che si era accorto di un'evidente anomalia (Avvenire, fine giugno 1998).
3). Sotto il segno dell'oligopolio. Sotto il coperchio l'oligopolio. Il settore delle comunicazioni è in
pieno fermento e i rischi di concentrazione dietro l'angolo. Le dichiarazioni del presidente Rcs
(=Rizzoli-Corriere della Sera), Cesare Romiti, sulla necessità industriale di accorpare grandi
giornali e grandi Tv sotto un unico editore, sommate alle voci sul presunto incontro d'affari a
Monaco di Baviera fra tre colossi dell'editoria internazionale come Murdoch, Kirch e Berlusconi
fanno meditare (Avvenire del 23 giugno 1998).
Il problema dell'informazione è il più delicato per ogni democrazia, e puntare all'oligopolio in quel
settore è fatto di estrema gravità, ma a nessuno può essere consentito farlo in nome del liberalismo.
Il maggiore tra i grandi liberali che abbia avuto l'Italia, Luigi Einaudi, fu sempre implacabile
critico di ogni privilegio e di ogni esclusiva monopolistica. Noi non ne abbiamo dimenticato
l'insegnamento.
AMICI, CIOÈ REALMENTE DISINTERESSATI. Quel che sulle basi naturali sorge tra l'uomo e la
donna come amore, sorge nelle altre parti della vita sociale come amicizia. Anche qui bilateralità,
egualità, non protezione, non inferiorità; anche qui niente di utilitario, altrimenti è scambio
economico; né di meramente affettivo, altrimenti si chiama simpatia; anche qui parità, ma solo
nell'amicizia; anche qui, com'è noto, rarità del legame nella sua perfezione, forse anche maggiore
che nell'amore coniugale.
Come l'amore, l'amicizia non ha nulla da vedere col giudizio che si rechi sull'individuo nel suo
complesso; non ha da vedere con l'ammirazione intellettuale o etica. Hanno torto del pari coloro che
pretendono l'amico irreprensibile e coloro che per amicizia smarriscono o relegano in un canto il
giudizio critico e morale. L'amicizia consiste tutta in quel reciproco legame delle anime.
E per questo essa è un «istituto morale, il cui significato e valore sta nella realtà del disinteresse
nell'uno o nell'altro, nel sentirsi sollevati sull'utilitarismo. Onde nell'amicizia, come nell'amore, si
trova un rifugio: con l'amico ci si sfoga, ci si confida, si piange e si ride insieme. Solo tra amici si
ride davvero, di riso sano» (B. Croce, Etica e politica, Laterza, Bari 1956, pp. 94-95).
POESIA DEI NOSTRI GIORNI. Pensieri carnefici di se stessi. Ci sono giorni in cui i pensieri,
carnefici di se stessi, / stridono contro i pensieri / e un'intera esistenza può cambiar segno. / Ma io
desidero andare / ove le fonti non vengono meno / e le cadenti altezza / pulsano d'azzurro (Levi
Appulo).
Necessaria separazione. Venga dispersa / senza indugio / la mia pula. / Resti solo il mio grano
(Levi Appulo).
13 agosto 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Esattamente l'opposto del famoso adagio di Andreotti. Il potere
dà alla testa anche a chi non lo possiede (Elias Canetti, La provincia dell'uomo - Quaderni di
appunti 1942-1972, trad. it. Garzanti, Milano 1986, p. 46). Come si rovina una persona. Non
possiamo fare cosa peggiore a qualcuno che occuparci esclusivamente di lui (E. Canetti, ibid., p.
84).
La metafora suggestiva e insostituibile. Solo la metafora può dare una specie di eternità allo stile
(Marcel Proust). Il poeta dispone di uno e di uno solo strumento che è l'immagine, e fra tutti i tipi
d'immagine la metafora (André Breton).
Il dolore più intenso. Il dolore più intenso non è l'infelicità, bensì l'incapacità di tendere alla felicità
(Claudio Magris, Itaca e oltre, Garzanti II ed., Milano 1998, p. 6). Amore e ironia. Non c'è amore
senza ironia, ma non c'è vera ironia senza amore (Claudio Magris, ibid., p. 21). L'ispirazione.
L'ispirazione non è la folgore di un istante che acceca, è la luce costante e tranquilla che avvolge
l'esistenza (Claudio Magris, ibid., p. 289).
ALL'INIZIO DELLA MODERNITÀ STA ERASMO. A distanza in quasi mezzo millennio la sua
figura ci affascina e ci inquieta, le sue opere sono sempre più tradotte e commentate, gli uomini di
cultura e i giovani che hanno la ventura di incontrarlo scoprono che il suo messaggio è profondo e
attuale. Vissuto in un secolo di aspri contrasti e di avvenimenti decisivi per la storia dell'umanità.
Erasmo fu un uomo europeo nel senso forte della parola e insieme uomo universale, cittadino del
mondo, spirito interiormente libero da fanatismi e preclusioni.
Editore instancabile di classici greci e latini e dei Padri della Chiesa, egli seppe coniugare il sorriso
della ragione e la più esigente serietà, l'ironia graffiante e l'ammirazione commossa per la superiore
follia della croce, la saggezza classica e il paradosso cristiano. Ponendosi alla scuola di Socrate e di
Cristo, Erasmo fece emergere attraverso i suoi scritti le linee di forza di quell'umanesimo perenne,
che va ben oltre gli splendori e i limiti dell'umanesimo rinascimentale.
L'umanitas erasmiana anticipa in modo sorprendente e nei campi più diversi - dalla filosofia della
cultura all'educazione, dall'esegesi biblica alla teologia, dalla politica all'etica - intuizioni e direttrici
della più illuminata coscienza moderna.
Contemporaneo di Machiavelli, egli non cessò mai di smascherare la disumanità strutturale di ogni
politica vuota di valori e di animazione morale. La lotta senza tregua per la pace, la rinuncia
consapevole alla guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, il sogno di
un'Europa patria ideale di tutti gli uomini di buona volontà - perché civile nei suoi costumi, libera
nelle sue istituzioni, affratellata dalla cultura e dalla fede: ecco, queste furono le cose in cui Erasmo
credette appassionatamente al punto che esse divennero i tratti della sua personalità e gli scopi del
suo impegno.
I TELE-ACCATTONI. Il più implacabile specchio della demenza di questi anni è la ricerca della
visibilità ad ogni costa. Per avere la sensazione di vivere questa vita, non ci si accontenta di nascere,
viaggiare, far soldi, sposarsi, prendere un master, usare il fax. No, per sentirsi vivi bisogna apparire
in tv, frequentare le plaghe della visibilità.
E così, sul finire degli anni Ottanta, le catene della solidarietà Rai-Mediaset (allora Fininvest) si
misero ad approntare programmi dove l'importante era apparire, costasse quel che costasse. L'album
delle facce di quei partecipanti sarebbe la più formidabile campionatura dell'inespressività dei nostri
anni: gli anni della fisiognomica zero.
Come non ricordare C'eravamo tanto amati (1989) condotta da Luca Barbareschi, una delle più
macabre e triviali trasmissioni della tv italiana, dove con cinismo rivoltante si tentava di ribaltare
una civilissima forma di convivenza: non infliggere mai agli altri, per nessuna ragione, le proprie
disgrazie. Un grigiore di normalità cattiva si accendeva per un attimo, artificialmente.
E poi via, come se nulla fosse, a convivere ancora, giorno dopo giorno, miseria dopo miseria,
complici nell'astio o nella finzione perché era tutto una balla. Come per ricordare tutti i gameshow
che avevano l'unico scopo di esibire malati di visibilità, gente che pensava di poter ritirare il
certificato di esistenza solo apparendo in tv.
Ma chi erano e sono questi accattoni del video, questi proletari della fama? Intanto erano, senza
distinzione di classe, in primo luogo dei grandi consumatori di tv (Aldo Grasso in Sette - Suppl. al
Corriere della Sera del 9 luglio '98).
20 agosto 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. I tempi cambiano, anche in meglio. Se fossimo nati a Milano
quattro secoli fa, avremmo considerato giusto torturare un presunto untore per farlo confessare. Se
fossimo nati ad Atlanta nel secolo scorso, saremmo andati al mercato a comperarci uno schiavo. Ma
il mondo va avanti e, come la tortura e la schiavitù, anche la pena di morte diventerà una vergogna
(Franca Zambanini). È così, ma talora sembra che non lo sappiamo. Il pudore conferisce alle donne
un fascino indicibile (Anatole France). Perché è terribilmente grave il peccato nella sfera pubblica.
Una sola ingiustizia, un solo delitto, una sola illegalità bastano a infrangere il patto sociale nella sua
interezza: è un punto di cancrena che corrompe tutto il corpo (Charles Péguy).
Che cos'è la "gloria"? La gloria è forse la somma dei malintesi che si accumulano su un nome
(Rainer M. Rilke). Sogno d'estate: godere i luoghi ameni. Ameni sono i luoghi in cui si prova solo
godimento, quasi amunia senza preoccupazioni, da dove non si ricava nessun guadagno: per cui
chiamiamo immunes anche coloro che non danno nessun contributo (La definizione è data da Servio
nel suo celebre commento all'Eneide, libro V, verso 734).
IL SORPASSO CHE CI FA ONORE. Per la prima volta nella storia c'è stato il sorpasso tra i Paesi
che hanno abolito il patibolo, per legge o almeno di fatto, e quelli che lo mantengono: 99 i primi, 94
i secondi. Diciannove anni fa, quando Amnesty International inaugurò la campagna mondiale contro
la pena di morte, erano solo 40 i Paesi che non l'avevano e ben 122 gli altri. Quella che Gianfranco
Ravasi ha definito «l'oscena e demoniaca liturgia che accompagna l'esecuzione capitale» è stata
messa finalmente in minoranza. Almeno su questo punto cala il tasso di barbarie e la coscienza
universale registra un progresso.
La strada da percorrere, però, è molto lunga perché se l'assassinio comandato per legge è pratica
corrente nei regimi totalitari, esso resiste tuttora anche in alcune democrazie. Il caso degli Stati
Uniti, il più clamoroso e sconcertante, è sotto gli occhi di tutti.
UNA VERITÀ CHE CONTI NON È DICHIARABILE COME SI FA CON IL CODICE FISCALE.
In quarta ginnasio, quando avevamo quattordici anni, un mio compagno di scuola, che tra la fine del
liceo e l'università si sarebbe distinto per l'abitudine di dividere imparzialmente i suoi risparmi fra
l'acquisto sistematico delle opere complete di Kant e Hegel e metodici svaghi nei modesti night
triestini, soleva chiedere a bruciapelo, quando il padre lo presentava a qualche suo conoscente:
«Scusi, lei è teista, ateo o panteista?». L'inquisito, spesso un commerciante di caffè o un funzionario
assicurativo di mezza età, abbozzava perplesso un gesto vago e autorevole, col quale cercava di
esprimere i complimenti per la precoce profondità filosofica del ragazzo e di nascondere la
riprovazione per la sua mala creanza.
L'imbarazzo di quei rispettabili signori era legittimo, perché, a parte la giovane età del mio amico
inquirente, quella domanda pressante e indiscreta difficilmente poteva avere una risposta precisa, e
avrebbe probabilmente fatto esitare, sia pure per un attimo, anche un vescovo o un presidente della
lega per il libero pensiero, in quanto non si risponde a simili interrogativi con la medesima sicurezza
con la quale si dichiara la propria residenza o il numero del proprio codice fiscale.
Ci sono delle verità che non si possono descrivere o dichiarare, come si fa con un teorema o con
una professione ideologica, ma soltanto raccontare, così come i maestri chassidici, richiesti di
spiegare una verità di fede, rispondono raccontando una parabola, una storia con personaggi e
vicende specifiche (Claudio Magris, Itaca e oltre, II ed. Garzanti, Milano 1998).
L'ANGOLO DELLA PREGHIERA. Che sia perennemente Pentecoste. Signore, sappiamo che
anche nello sconforto, nell'aridità, nell'impotenza dell'anima, dobbiamo e possiamo mantenerci
fedeli a te. È per questo che dobbiamo implorare lo Spirito della consolazione e della forza, della
gioia e della fiducia, della crescita nella fede, nella speranza e nell'amore, della tranquillità e della
pace. Spirito Santo, bandisci dai nostri cuori la desolazione, l'oscurità, la confusione, la sfiducia
senza speranza, la tiepidezza, la tristezza, il senso d'abbandono, in dissidio interiore, la sensazione
soffocante di essere lontani da te... Signore, che sia perennemente Pentecoste! Fa' che anche in noi
sia Pentecoste! (Karl Rahner).
27 agosto 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Occorre prima consumare insieme il sale. Per diventare amici ci
vuole tempo e consuetudine di rapporti; infatti, secondo il proverbio non è possibile conoscersi
reciprocamente prima di avere consumato insieme il sale. La volontà di amicizia sorge in fretta, si
sa, ma non l'amicizia (Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, trad. it. Universale Laterza, Bari-Roma).
L'intenzione. Io voglio riuscir vigoroso, ma non aspro (Plinio il Giovane, Lettere ai familiari, I, 2).
La simpatia dei malvagi. La simpatia dei malvagi è tanto infida quanto lo sono essi stessi (ibid. I,
6). Il mondo, l'uomo, Dio. Un solo pensiero dell'uomo vale più di tutto il mondo, perciò solo Dio è
degno di lui (San Giovanni della Croce, Opere, Utet, Torino 1993, p. 15). il silenzio e l'operare. Al
compimento perfettivo dell'uomo non mancano le parole e gli scritti, ma il silenzio e l'operare (ibid.,
p. 11). Per chi è piccino dentro non c'è nulla di grande. Due sono i segni di più sicura meschinità: il
non aver occhi per riconoscere l'autentica grandezza e l'essere incapaci di dire «Grazie!» (Levi
Appulo).
PER NOI ITALIANI È INIMMAGINABILE. Siamo negli Stati Uniti e la prima mossa, in un Paese
dove tutto si deve poter fare per telefono, è avere il telefono. È sufficiente chiamare la C&P (la
Sip-Telecom locale, privata e perciò efficiente) e chiedere l'assegnazione di un numero. L'impiegata
pone alcune domande: nome, cognome, età, indirizzo. Al termine della conversazione, la medesima
impiegata ordina: «Prenda la penna e scriva: questo è il suo numero di telefono. Verrà allacciato tra
24 ore». Tempo totale per la pratica: 10 minuti. Costo: 25 centesimi. A questo punto è necessario
collegare il nuovo telefono a un long distance carrier, una società di telecomunicazioni che fornirà i
collegamenti interurbani e internazionali. La concorrenza tra At&T, Mci e Sprint è spietata. Ognuna
offre condizioni particolari: sconti sul numero chiamato più spesso, su un Paese straniero a scelta,
su alcuni orari del giorno, su alcuni giorni della settimana. Tempo necessario per la scelta: quindici
minuti. Costo: zero. Ogni società offre infatti un «numero verde».
Seguono: allacciamento alla televisione sia cavo (telefonata a Cablevision, che indica l'orario
esatto in cui gli operai si presenteranno il mattino successivo) e assicurazione del contenuto della
casa contro furto e incendio: dieci minuti, nessuna formalità. Per la richiesta del numero di social
securuty (previdenza sociale), che negli Stati Uniti sostituisce di fatto il documento d'identità, il
telefono non basta. Occorre recarsi presso l'apposito ufficio, dove un'impiegata pone le domande e
batte le risposte direttamente nel computer. Coda inesistente; moduli nessuno; tempo dell'intervista
cinque minuti. Per il permesso provvisorio di parcheggio, visita presso il comando di polizia (tempo
quindici minuti; costo zero). Per aprire il conto in banca, infine, basta presentarsi con i soldi e una
prova di residenza; un indirizzo su una lettera va bene: la fotocopia del contratto d'affitto va meglio.
Un libretto degli assegni provvisorio viene consegnato immediatamente.
Il brano qui riportato è tratto da Un italiano in America di Beppe Severgnini, apparso ora anche
nei Superpocket 1998. Un libro che merita appieno il giudizio che ne ha dato Il Sole 24 Ore: «Un
piccolo capolavoro di ironia e garbato intrattenimento, un'autentica lezione di umorismo». Si sa,
grandi Paesi hanno anch'essi gravi problemi irrisolti e piaghe sociali che rendono invivibili per
milioni di persone le loro società. Ma in quei campi, delimitati ma per loro fortuna numerosi, in cui
quei Paesi hanno trovato il modo di semplificare genialmente la vita dei cittadini, perché noi non
dovremmo affrettarci a imitarli? Questa è la sola esterofilia legittima e benefica.
CHE TEMPO FA? Il tempo, a sentir noi, è sempre una disperazione. Il tempo è come un governo,
non ne fa mai una dritta. D'estate diciamo che ci soffoca; d'inverno che ci gela; in primavera e in
autunno gliene facciamo una colpa perché non è né carne né pesce, e ci auguriamo che si decida. Se
fa bello diciamo che la campagna va in malora per mancanza di pioggia; se piove preghiamo per
avere bel tempo. Se dicembre passa senza neve, chiediamo sdegnati che ne è stato dei nostri begli
inverni all'antica, e parliamo come se fossimo stati truffati di qualcosa che avevamo comprato e
pagato; e quando poi nevica, il nostro linguaggio è una vergogna per una nazione cristiana. Non
saremo mai soddisfatti, finché ciascun uomo non si fabbricherà il suo tempo personale e non se lo
terrà tutto per sé (Jerome K. Jerome, I pensieri oziosi di un ozioso, 1886 - Trad. it. Bibliot. Ideale
Tascabile, Milano 1955, p. 44).
3 settembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Qui si entra... di qui si esce. Qui si entra per adorare Dio, di qui si
esce per amarlo nel prossimo (Scritta sulla porta d'ingresso del duomo di Cervia). Perfezione o
perfettibilità? A chi mi chiede se credo nella perfezione della natura umana, rispondo no. Credo,
invece, nella sua perfettibilità (Levi Appulo).
L'invito di Gandhi ai giovani. Dissetatevi profondamente alla fonte del Discorso della Montagna.
Quel discorso si rivolge a ciascuno di noi, senza eccezione, e ci ripropone sempre di nuovo la scelta
di fondo: non si può servire nello stesso tempo Dio e Mammona, Dio che è la misericordia stessa e
la tolleranza fatta persona e il Mammona, d'iniquità che genera distruzione e autodistruzione
(Gandhi, Young India, 8 dicembre 1927). Perché manca oggi un'architettura degna e originale.
Non abbiamo architettura perché manchiamo di una concezione generale del mondo (P. Van De
Bosch).
VERDI, PROTAGONISTA E SIMBOLO DEL RISORGIMENTO. Chiunque abbia qualche
conoscenza della vita di Verdi sa quanto questa sia intrecciata con quella del suo paese; che il suo
nome divenne il vero simbolo del Risorgimento, che in Italia Viva Verdi (non soltanto per ragioni
politiche o monarchiche) fu il più famoso grido rivoluzionario e patriottico; che egli ammirò tanto
Mazzini quanto Cavour, tanto i democratici rivoluzionari quanto il Re, e in questo modo, riunì in sé
le diverse tendenze che costituirono la nazione italiana. Visse sempre vicino al centro di gravità
della sua nazione, e parlò ai suoi compatrioti e per loro, come non fece nessun altro, neppure
Manzoni o Garibaldi, a cui era vicino. Le sue convinzioni, sebbene andassero da destra a sinistra,
erano dalla parte del sentimento popolare; rispose profondamente e personalmente a ogni tendenza e
mutamento nello sforzo italiano per l'unità e la libertà.
Gli ebrei del Nabucco sono italiani in schiavitù: «Va', pensiero» era la preghiera nazionale per la
resurrezione. Lo spettacolo de La battaglia di Legnano evoca scene di indescrivibile esaltazione
popolare nella Roma rivoluzionaria del 1849. Il Rigoletto era ispirato da odio verso l'oppressione,
l'ineguaglianza, il fanatismo e il degrado umano, non meno del Don Carlo, della Forza del destino e
dell'Aida. L'inno che Verdi scrisse per Mazzini è soltanto un episodio di un'unica grande campagna.
Per mezzo secolo fu il simbolo vivente di tutto ciò che di più generoso e universale vi fosse nel
sentimento nazionale italiano.
MA QUANDO SI VIVE? Se l'esistenza è solo un ininterrotto congedo da se stessa, sulla sua fuga
s'innalza di continuo la domanda di Oblomov: quando si vive? L'età moderna non sembra conoscere
il presente, ma soltanto un trascorrere, un divenire percepito non quale arricchimento, quale
itinerario verso una meta che infonde significato e sostanza a ogni tappa del cammino, bensì quale
dileguare, quale continuo non-essere, mancanza di ogni valore cui afferrarsi saldamente. La vita
alienata e quella che è stata privata di fini che realmente la giustifichino e la rendano consistente
nella dedizione a una meta superiore; in luogo di un fine ultimo è subentrata una miriade di obiettivi
momentanei e parziali, che susseguono l'uno all'altro senza sosta e senza prender fiato, come nella
catena di montaggio d'una immane produzione, sacrificando e bruciando ogni attimo a quello che
gli succede, per raggiungere uno scopo meramente pratico e ignaro di valori, che non illumina
perciò - né a ritroso, nella memoria, né in avanti, nell'attesa - la strada che è necessario percorrere
per raggiungerlo.
Il presente, per bastare a se stesso, deve poggiare su dei valori, ma il pulviscolo di scopi e obblighi
convenzionali, con i quali l'organizzazione sociale bersaglia l'individuo, offusca e vela questi valori,
quando non li distrugge; impedisce al pensiero di soffermarsi sull'essenziale e lo incalza in una
corsa affannosa, che lo distoglie da ciò ch'esso ama o vorrebbe amare. La quotidianità martellata da
un incessante sciame di cure, che assalgono e pungono da ogni parte, allontana l'individuo dalla sua
verità ( Claudio Magris, Itaca e oltre, II ed. Garzanti, Milano 1998, pp. 30-31).
POESIE DELLA NUOVA GENERAZIONE. La mappa del dolore. Dove mi porta il viaggio /
verso la guarigione? / da me stessa o da che altro male? / E poi / come orientarla la mappa / del
dolore umano, come leggerla? (Paola Davite, Sine die, Ed. Letteraria Intern., Ragusa 1998, p. 16).
L'attesa e l'esilio. Io sono la muta mancanza di me, / l'attesa del non buio, / l'esilio che tutto spazza
via. / Io sono il mio debito (ibid., p. 30).
11 settembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Come comportarci. Da quegli amici che sono sfortunati si deve
andare senza essere chiamati, e andarvi con sollecitudine; e anche se non pretendono nulla,
beneficateli se si trovano in necessità. È questa, infatti, la cosa migliore per loro e per noi
(Aristotele, Etica Nicomachea, Laterza, Bari 1965, libro IX). Sono francamente troppe. Di Voltaire
a noi sono giunte circa quindici milioni di parole (Thèodore Besterman, Voltaire, trad. it. Feltrinelli,
Milano 1974, p. 47). Salus ex inimicis. Gli amici si dicono sinceri, ma realmente sinceri sono i
nemici. Si dovrebbe, quindi, utilizzare il loro biasimo come una medicina amara, utile, però, a
conoscere noi stessi (Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomeni, trad. it. Adelphi, Milano 1962,
vol. I, p. 622). Aspirazione e preghiera. A te, Signore, innalzerò il mio pensiero: / apri gli occhi
miei allo splendore del bene (Niccolò Tommaseo 1802-1874).
IL RITORNO ALLA FONTI E L'ECUMENISMO. Critico, implacabile, insistente e persino
caustico di ogni deformazione della coscienza cristiana, Erasmo volle riaccostare gli uomini
direttamente alle fonti del Nuovo Testamento e a quella primavera dello spirito che fu la fioritura
della Patristica greca e latina. Forse nessuno più di lui dedicò a quel compito tante energie. Egli era
sinceramente convinto della validità di molti aspetti della protesta luterana, ma dissentì con vigore
dai suoi sviluppi che gli parvero fuorvianti rispetto alla mirabile funzione storica che quel
movimento avrebbe potuto assolvere a vantaggio di tutto il mondo cristiano. Ciò che più turbava
l'umanista era il modo in cui il teologo di Wittenberg concepiva il rapporto tra l'uomo e Dio, il suo
determinismo teologico. Alla visione pessimistica di Lutero, Erasmo contrappose la sua esegesi
biblica e l'appassionata difesa della libertà; ma anche nell'infuriare della tempesta, egli fu apostolo
di pace e di riconciliazione ecumenica. Nulla in ogni caso gli ripugnava di più, nell'uno e nell'altro
campo, della mescolanza di religione e politica e della pretesa di mettere al servizio della fede
l'intolleranza e la violenza. Il Vangelo di Cristo, infatti, è annuncio di pace e appello alla libertà
interiore, esercizio eroico di fraternità.
La cultura come educazione ai valori universalmente umani, la politica come ricerca del bene
comune e tirocinio di libertà, la pace come indeclinabile dovere di tutti, la ricerca dell'unità tra i
cristiani divisi, la celebrazione di tutto ciò che onora l'uomo e lo rende capace di giovare ai suoi
simili: questi, a nostro avviso, sono i titoli per cui oggi Erasmo può farsi nostro compagno di
viaggio e nostro maestro.
LE AMICIZIE DELLA SOLITUDINE. Come il rapporto dell'amore è ricco di amori traditi, così
anche quello dell'amicizia, di amici ingannati e poi delusi. Ma non giova insistere su questi aspetti
ovvi. Piuttosto, è da aggiungere che, anche quando la fortuna non concede gli amici o l'amico,
quando ci si risolve a vivere «in solitudine», e s'intonano le lodi della «vita solitaria», della solitudo
beatitudo, proprio allora non si fa altro che procurarsi altre amicizie o altra compagnia meno
corporea ma più salda e più sicura, nel paese ideale in cui convengono gli spiriti di ogni luogo e
tempo. E colà s'intende e si prosegue il pensiero e il sentire degli uomini del passato, e si conversa
con loro, e si palpita coi loro cuori. Di tanto in tanto scopriamo (e con quanta gioia!) anime e
intelletti che prima non conoscevamo o non avevamo intesi, e quella compagnia si allarga e si
arricchisce. E se teniamo al nostro buon nome, e ad essere stimati quando non saremo più della
terra, è per il desiderio e la speranza di convivere in quel mondo che amammo, e di là comunicare
senza impedimenti con gli uomini che passano sulla terra (B. Croce, Etica e politica, Laterza, Bari
1956, pp. 95-96).
L'IMMERITATA FELICITÀ DI INCONTRARE CERTE PERSONE. La luce che brilla intorno alle
immagini poetiche, e che spesso viene vista meglio da chi la guarda che da chi la crea, non risplende
soltanto nei grandi libri. Essa illumina - ben più misteriosa, ma inavvertita e struggente - quelle
persone, spesso inappariscenti e inconsapevoli, che talvolta abbiamo l'immeritata felicità di
incontrare e che ci rivelano, talora senza saperlo, la verità, la grazia e l'incanto dell'esistenza, perché
vivono in quella grazia e in quella verità, la incarnano nei loro gesti, nei loro sorrisi, nella loro
capacità di amore e di semplicità (Claudio Magris, Itaca e oltre, Garzanti, II ed., Milano 1998, p.
289).
17 settembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il muro della vergogna. C'era una volta il muro di Berlino, ma è
stato abbattuto. Ma chi abbatterà il muro della corruzione, che ripara di continuo le sue crepe e trova
sempre chi ha interesse a riedificarlo? Questo è l'ostacolo vero su cui la nostra Repubblica rischia di
andare a sbattere (Levi Appulo).
È peccato per chi scrive. Ogni vigliaccheria, ogni reticenza è peccato per chi scrive. La sua
audacia sta nell'esprimere. Sebbene ne porti la responsabilità, egli è tenuto a dire (Elias Canetti, La
provincia dell'uomo, Bompiani 1986, p. 366). Attraverso il labirinto del proprio tempo. Trovare il
cammino attraverso il labirinto del proprio tempo, senza soccombergli, ma anche senza saltarne
fuori (ibid., p. 352). Tolstoj e Dostoevskij. Bisogna dire che Tolstoj arrivò a 82 anni e Dostoevskij
soltanto a 59. Sono un periodo molto lungo 23 anni. Tolstoj sarebbe Tolstoj se fosse morto già nel
1887? (ibid., p. 349).
La risposta a una grande sfida. Gli europei non sono in grado di vivere se non sono impegnati in
una grande impresa che li unisca. Quando essa viene meno, la loro anima si avvilisce e si disgrega
(Ortega y Gasset). Dire le cose in modo rigoroso. Come negli affari, anche nei discorsi il rigore ad
alcuni sembra essere illiberale (Aristotele, Metaf. II, 3, 395 u 12).
IL FONDAMENTO. È la nostra luce, non il nostro buio che ci spaventa di più. Noi siamo nati per
rendere manifesta la gloria di Dio dentro di noi. Essa non è solo in alcuni di noi, ma è in ognuno. E,
non appena noi lasciamo brillare la nostra luce, inconsciamente spingiamo gli altri a fare lo stesso.
Quanto più siamo liberati dalla nostra paura, automaticamente la nostra presenza libererà gli altri.
Chi ha pronunciato queste alte e nobilissime verità è stato il negro sudafricano Nelson Mandela.
Lo ha fatto nel 1994, nel discorso di insediamento come capo dello Stato. Il fondamento della
dignità di ogni creatura umana e la ragione del cammino verso il suo pieno riconoscimento sono
qui indicate nel modo più semplice e profondo. Nelle parole di Mandela noi avveriamo l'eco e il
prolungamento del Prologo di Giovanni: «La luce vera illumina ogni uomo che viene in questo
mondo». (I, 9).
È ACCADUTO NEGLI ULTIMI TRENT'ANNI. La nostra era è un'era in cui i due terzi della
popolazione sono dediti a raccogliere, elaborare e vendere informazioni o a fornire servizi ai singoli
o alle imprese. I media si sono moltiplicati col passare di questi ultimi decenni e, soprattutto, è
cambiato il modo di trasmettere ed elaborare le notizie. Sino agli anni Sessanta il giornale, il libro, il
telefono o la radio erano, nei fatti e nel vissuto di chi li produceva e di chi ne fruiva, dei prodotti di
industrie diverse, per cultura e dimensioni economiche di riferimento, e quindi appartenevano a
mondi caratterizzati da pochi punti di contatto e da limitate sovrapposizioni. L'evoluzione
tecnologica degli ultimi trent'anni, in particolare lo sviluppo della microelettronica e le possibilità
sempre più diffuse di immagazzinare, elaborare e trasmettere informazioni a costi decrescenti, ha
avvicinato progressivamente questi mondi, ne ha aumentato la compenetrazione, li ha
progressivamente unificati nell'unico grande universo chiamato mondo della comunicazione o
dell'industria dell'informazione.
E l'elemento unificatore di questi diversi pianeti della galassia della comunicazione è stato il
computer. Sono stati i calcolatori, figli dei circuiti integrati, a trasformare radicalmente e a unificare
il complesso mondo della comunicazione, più di quanto non appaia, di primo acchito, a uno
spettatore di una trasmissione televisiva o a un lettore di una prima pagina di un quotidiano.
L'uomo è stato costretto ad adattarsi al mondo telematico e videomatico, a imparare a lavorare in
uffici senza carte, a leggere libri virtuali. È nata l'editoria elettronica, si sono sviluppate le reti via
cavo, i giornali sono teletrasmessi via satellite in lontani Paesi per esservi stampati prima delle luci
dell'alba (M. Baldini, Storia della comunicazione, Newton, Roma 1995, p. 89).
POESIA DELLA NUOVA GENERAZIONE. Se io trovassi la misura. Se io trovassi / la misura
della disperazione, / coglierei l'oscura trasparenza / che mi confermi in una commozione. /
Smetterei allora di bruciare / questo mio debole involucro (Paola Davite, Sine die, Edit. Letteraria
Internaz., Ragusa 1998, p. 37).
24 settembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La più cara. La cosa più cara per gli innamorati è vedersi. Noi
preferiamo questa sensazione ad ogni altra in quanto l'amore consiste soprattutto in essa e sorge da
essa (Aristotele, Etica Nicomachea IX, Laterza, Bari-Roma). La sensazione di esistere. Per ognuno
è desiderabile sentire di esistere; ma si prova la stessa gioia anche per l'esistenza degli amici (ibid.).
Non cercarla. La gloria deve essere conseguita, non cercata. Per un animo nobile, infatti, la
ricompensa della virtù è riposta assai più nella propria coscienza che nell'opinione altrui (Plinio il
Giovane, Lettere ai familiari I, 8 - Seneca, Sant'Anselmo o Kant correggerebbero la frase così «La
ricompensa della buona coscienza è riposta nella propria coscienza e non nell'opinione altrui»).
Meglio non menarne vanto. Coloro che abbelliscono con tante parole le proprie buone azioni
mostrano non già di rimettere in evidenza ciò che hanno compiuto, ma di averlo fatto per porlo in
evidenza (ibid.).
I sogni puliti dei giovani. Quando si insinua in noi l'irriverenza per i sogni puliti dei giovani, allora
vuol dire che il gelo è sceso in noi e abbiamo in qualche modo ceduto moralmente. In realtà i
«giorni pazzi» dell'onore, della dedizione generosa, della fede in un futuro degno sono sempre, in
ogni epoca della vita, i soli nostri «giorni saggi» (Levi Appulo).
I FILM IN TELEVISIONE E I MINORI. 1). Il problema non è tanto quello di vietare, ma di
calibrare i messaggi dello schermo, considerando la gradualità dello sviluppo psicologico dei
minori. Un bambino o un adolescente può capire un messaggio, ma non essere ancora in grado di
prendere le distanze da esso (Anna Oliviero Ferraris, psicologa). 2). Nella riforma della censura
dovrebbe essere tenuta presente la diversità fra cinema e tv: in sala si accede solo grazie ad una
volontà precisa, determinata dall'acquisto del biglietto, mentre la trasmissione televisiva arriva in
casa senza preavviso (Fulvio Lucisano, presidente dell'Associazione nazionale industrie
cinematografiche e audiovisive). 3). Si può giudicare utile o inutile la censura, ma abolirla non
autorizza nessuno a dire che con quella decisione «l'Italia si allinea finalmente agli altri Paesi
d'Europa». Non è vero, visto che la censura è ancora oggi in vigore in Paesi democratici come la
Francia, la Svezia e la Gran Bretagna (Paolo Basile, esperto di legislazione cinematografica).
CANTORE DELLE PASSIONI UMANE FONDAMENTALI. Per comprendere la musica di Verdi
non abbiamo bisogno di sapere quali furono le opinioni personali del compositore, o le circostanze
storiche della sua vita o quella della sua società. Lo ha detto molto bene Isaiah Berlin, in uno scritto,
L'«ingenuità» di Verdi, che introduce il Catalogo Bruno Mondadori del 1998. Scrive Berlin:
«Chiunque conosca le primarie passioni umane, amore paterno e orrore totale per l'umiliazione
subita da uomini da parte di altri uomini in una società disumanizzata, può comprendere il
Rigoletto, chiunque possiede la capacità di interpretazione di un eroe distrutto dalla gelosia può
intendere l'Otello. La conoscenza delle emozioni umane di base diventa in sostanza
l'equipaggiamento extramusicale necessario a interpretare l'opera di Verdi, iniziale o finale, grande
o piccola: Suona la tromba così come La Traviata; l'Attila o la Luisa Miller non meno de La forza
del destino o dell'Aida; Il corsaro o l'Ernani così come Il Trovatore, il Requiem o l'Otello, o anche
il Falstaff, opera musicalmente e artisticamente unica».
GUADARE AVANTI. Abbandoniamo i desideri e i rimpianti per i giorni che non saranno mai più
nostri. Il nostro lavoro sta davanti, non dietro di noi: «Avanti!» è il nostro motto. Non stiamocene
seduti con le mani in mano, contemplando i giorni passati come se fossero tutto l'edificio: essi non
sono che le fondamenta. Non sciupiamo anima e vita pensando a ciò che potrebbe essere stato, e
dimenticando il futuro che sta di fronte a noi (Jerome K. Jerome, I pensieri oziosi di un ozioso, 1886
- Trad. it. Bibliot. Ideal Tascabile, Milano 1995, p. 89).
LA POESIA DI UN CANDIDATO ALLA MATURITÀ. Lo scienziato viennese Erwin Ringel
indica in questi versi di un candidato alla maturità le ragioni di fondo del disagio giovanile. Eccoli:
Volevo dei genitori / e ho ricevuto giocattoli. / Volevo imparare / e ho ricevuto pagelle. / Volevo
una visione del mondo / e ho ricevuto ideuzze. / Volevo amore / e ho ricevuto precetti. / Volevo una
professione / e ho ricevuto un posto. / Volevo la felicità / e ho ricevuto denaro. / Volevo cambiare /
e ho ricevuto compassione...
1 ottobre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. C'è pazzia e pazzia. In un'epoca di pazzia credersi immuni dalla
pazzia è una forma di pazzia (Saul Bellow, Nobel 1976). Pazzi e intelligenti sono ugualmente
innocui. I mezzi matti e i mezzi intelligenti, quelli sono i più pericolosi (Goethe).
La bocca e il cuore. Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola, / scavata è nella mia vita /
come un abisso (Giuseppe Ungaretti). La bocca custodisce il silenzio per ascoltare il cuore che parla
(Alfred de Musset).
La più grande invenzione, l'alfabeto e il libro. Sopra tutte le invenzioni stupende qual eminenza di
mente fu quella di colui che s'immaginò di trovare modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri
a qualsiasi altra persona benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare con
quelli che sono nell'India, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille
e diecimila anni? Con quale facilità? Con vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta
(Galileo Galilei).
La radice della corruzione. Da quando si è cominciato a onorare il denaro, che incatena tanti
magistrati e giudici, le cose hanno perduto il loro vero valore, e noi, diventati ora mercanti, ora
merce in vendita, non consideriamo più la qualità, ma il prezzo; per interesse siamo onesti, per
interesse disonesti, e la virtù la pratichiamo finché c'è una speranza di guadagno, pronti a voltafaccia
se la scelleratezza promette di più (Seneca, Lettere a Lucilio, XIX).
ZEMAN, SEI STATO GRANDE! L'estate televisiva è stata dominata dal «caso Zeman».
L'allenatore della Roma aveva posto con chiarezza un problema: in che misura il doping è praticato
nel calcio e come si spiegano i prodigiosi accrescimenti nella massa muscolare dell'uno o dell'altro
giocatore? Per aver detto ad alta voce ciò che molti pensavano, o peggio sapevano essere vero, il
boemo fu letteralmente sommerso da accuse indignate e da minacce di querela.
Sulla Gazzetta dello Sport ancora in data 14 agosto si poteva leggere quanto segue: «Il presidente
federale (della Lega Calcio) fa sapere dal Kenya, dov'è in vacanza, che apprezza l'intenzione di
Zeman di evitare l'effetto Tour, ma che non vede pericoli per il calcio, all'avanguardia nella lotta al
doping». Ed ecco, un mese dopo, in seguito agli accertamenti del magistrato di Torino e di altre
Procure, tutti siamo ormai venuti a conoscenza del modo sistematicamente fraudolento con cui i
medici del Coni eludevano i controlli anti-doping dei giocatori di calcio della massima serie.
Il sasso gettato da Zeman nello stagno dell'omertà interessata - e si tratta, ovviamente, di interessi di
migliaia di miliardi - ha avuto così un effetto magico: ha prodotto un vero e proprio terremoto e ha
smascherato una monumentale ipocrisia. E questa volta, finalmente, non è venuta copertura alcuna
né tanto meno dal governo.
DI DOVE NASCE L'ENORME MALE DEL MONDO? Non c'è voce che giunga senza
conseguenze alle nostre orecchie: ci danneggiano coloro che ci fanno gli auguri non meno di quelli
che ci lanciano improperi; le imprecazioni degli uni ci incutono timori vari, e l'effetto degli altri
insegna male col bene che ci augura; perché ci indirizza verso beni lontani, incerti, vaghi, mentre la
felicità potremmo trovarla a casa nostra. Non ci è permesso, insomma, di andare per la via diritta;
tutti ci sviano, dai genitori ai servi. Nessuno sbaglia soltanto a suo danno, ma comunica la sua
stoltezza a quanti gli stanno attorno, per ricevere a sua volta la loro. E per questo ritroviamo negli
individui i difetti dell'ambiente, perché l'ambiente glieli ha contagiati. Ognuno di noi è reso peggiore
al tempo stesso in cui rende gli altri peggiori; ha imparato cose cattive e poi le insegna, e
dall'accumularsi di quanto ognuno di noi sa di peggio nasce l'enorme male del mondo.
Vi è dunque bisogno di uno che vegli su di noi, che di tanto in tanto ci tiri le orecchie, allontani le
dicerie, protesti dove il volgo applaude. Ti sbagli, infatti, se credi che i nostri vizi nascano con noi;
sono sopraggiunti, ci sono stati inculcati... La natura non ci fa inclini ad alcun vizio. Ci ha generati
puri e liberi. Non ha posto in evidenza nulla che potesse sollecitare la nostra avidità: l'oro e l'argento
ce li ha messi sotto i piedi... La natura ha alzato verso il cielo il nostro viso e ha voluto che levando
gli occhi noi vedessimo tutto quanto essa ha fatto di magnifico e mirabile: le aurore e i tramonti, e il
volgere volubile di un mondo che ci illumina di giorno le cose della terra e di notte quelle del cielo,
i mori degli astri (Seneca, Ad Luc. ep. 94, 53-56 trad. it. di M. Bellincioni, Paideia Editrice, Brescia
1979, p. 79)
8 ottobre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Un verso ammonitore. Ma nulla fa chi troppe cose pensa (Torquato
Tasso). Imparare anche da loro. Uno dei segni di superiorità è quello di saper imparare anche dagli
inferiori (Giovanni Papini, Scritti postumi - Pagine di diario, Mondadori 1966, p. 91). La fregatura
è lì. Chi è disperato giudica e desidera tutto in generale, nulla in particolare (Albert Camus).
Esattamente l'opposto di alcuni suoi presunti eredi. De Gasperi era un uomo che diceva quello che
sentiva e non concepiva la politica come inganno (Emilio Colombo, in Sir 3-VII-1998, p. 10).
Tempo e coscienza. Il tempo cancella i reati, ma non restituisce la verginità (Antonio Di Pietro).
Il saggio e lo stolto. Anche chi è saggio talora si inganna e cade in errore; a differenza di chi è
stolto, però, egli non presume di essere infallibile e si interroga sulle cause dei suoi sbagli (Levi
Appulo). Al posto di un altro. Chi non si sia messo almeno una volta nei panni di un altro non è un
essere umano, ma un mostro o un demente (Levi Appulo).
HANNAH ARENDT CI AIUTA A DISTINGUERE I «GIÀ COMUNISTI» E GLI «EX
COMUNISTI». Nel 1953, in piena guerra fredda, colei che insieme a Simone Weil è la pensatrice
più originale del XX secolo, Hannah Arendt, invitava a distinguere nettamente, e più propriamente a
opporre, i «già comunisti» e gli «ex comunisti».
I «già comunisti» sono coloro che in un punto o l'altro della loro vicenda personale, e più spesso in
rapporto ai segni rivelatori immanenti all'una o all'altra situazione storica, hanno avvertito che il
partito in cui militavano era totalitario e hanno cercato uno sbocco democratico al loro impegno
politico.
Il fatto decisivo è che il loro passato comunista sia rimasto un evento biografico importante, ma non
sia divenuto il nucleo dei loro nuovi punti di vista, opinioni, Weltanschaungen. Essi non sono andati
in cerca di un surrogato per la fede perduta, né hanno concentrato tutti i loro sforzi e talenti nella
lotta contro la loro antica fede.
Le ragioni del disinganno contano, eccome, e non autorizzano né autodifese né sterili rimpianti; ma
il distacco dal proprio passato, doloroso e insieme doverosamente inevitabile, non li porta ad odiare
i compagni di ieri, non li trasforma in anticomunisti d'assalto.
Non sono più comunisti proprio perché il mondo appare finalmente ad essi com'è, ossia a più
dimensioni, pluralista e problematico.
Gli «ex comunisti», invece, sono dei veri e propri «comunisti al contrario». Quale che sia il nuovo
partito, o l'area di cui è entrato a far parte, dalla cosiddetta destra alla cosiddetta sinistra, egli rivolge
contro i vecchi compagni - e soprattutto contro i «già comunisti» - l'aggressività e l'intolleranza
inesorabile che prima dirigeva con orgogliosa sicurezza contro quelli che ora sono i nuovi compagni
di strada.
Gli «ex comunisti», del resto, sono convinti che ad esse e ad essi soltanto spetti guidare i nuovi
amici e alleati anticomunisti che, senza l'apporto della loro superiore conoscenza, sono esposti
all'inganno e allo scacco. Gente del genere ha quindi un assoluto bisogno - e sennò che ci starebbero
a fare - di avere perennemente di fronte e contro il drago rosso: e il drago, ci vien fatto osservare,
non si può combattere senza diventare a nostra volta draghi, cioè animali politici capaci di usare
qualsiasi mezzo, nessuno escluso, pur di battere gli avversari.
Le obiezioni che l'Arendt muove a questo tipo di pretesa alla leadership e di lotta politica sono
molte. Mi accontento di riportane una sola, ma decisiva: «Se diventassimo noi stessi draghi, non
avrebbe molta importanza quale dei due draghi dovrebbe alla fine avere la meglio. Il significato
della lotta andrebbe perduto».
Le riflessioni dell'Arendt, che apparvero in «The Commonwealth» il 20 marzo 1953 con il titolo
Gli ex comunisti, sono incluse nel volume Essays in Understanding 1930-1954 pubblicato a New
York nel 1994 nelle edizioni Harcourt Brace & Company. Il testo si può leggere anche in italiano
nella rivista «Aut-aut» 1996 nn. 271-272, pp. 77-85.
LA VITA NUOVA. «La comunità cristiana / inesorabilmente / crea una nuova civiltà». / In luoghi
abbandonati / noi costruiremo con mattoni nuovi / vi sono mani e macchine / e argilla per nuovi
mattoni / e calce per nuova calcina / dove i mattoni sono caduti / costruiremo con pietra nuova /
dove le travi sono marcite / costruiremo con nuovo legname / dove parole non sono pronunciate /
costruiremo con nuovo linguaggio / c'è un lavoro comune / una Chiesa per tutti / e un impegno per
ciascuno / ognuno al suo lavoro (T. S. Eliot, Cori, da «La Rocca»).
22 ottobre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La verità che noi occidentali abitualmente ignoriamo. Dio non è
forza, ma giustizia (Proverbio russo). L'idea morale e la nascita di una nazione. Un'idea morale ha
sempre presieduto alla nascita di una nazione e quando, nei secoli successivi, si deteriore l'idea
spirituale che l'ha fatta nascere, perisce la stessa nazione con le sue istituzioni e le sue leggi (Fedor
M. Dostoevskij nel Diario di uno scrittore).
L'oroscopo. L'oroscopo soddisfa i desideri di persone convinte che altri sappiano su di loro, o su
quello che devono fare, più di quanto esse non siano in grado di decidere da sé. (Theodor W.
Adorno). Se mi va male, perché dovrei incolpare Urano o Venere? Ecco una cosa che non riesco
proprio a pensare (Enzo Biagi).
Dante e l'Italia. Che Dante non amasse l'Italia, chi vorrà dirlo? Anch'egli fu costretto, come
qualunque altro l'ha mai amata o l'amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità, sì che
ne senta vergogna (Carlo Cattaneo). Il solo che abbia diritto. Solo un amore sofferto dà diritto a
insultare la propria nazione Sergej Bulgakov).
IL DEFICIT D'UN GRANDE STORICO. Hubert Jedin, studioso di fama mondiale, autore della
grande Storia del Concilio di Trento, pubblicata dalla Morcelliana di Brescia, poco prima di morire
pose termine al manoscritto delle sue memorie, che s'intitolano appunto Storia della mia vita,
anch'esse apparse presso la stessa editrice. Soggiornando come borsista a Roma intorno al 1930, egli
racconta che «per reazione al nazionalismo degli altri, e in particolare di italiani e francesi»,
abbandonò il pacifismo radicale della giovinezza per rafforzare in sé il senso di appartenenza alla
nazione tedesca. Scrive testualmente lo Jedin: «Consideravo la presa del potere da parte di Hitler
come un esperimento pericoloso, ma provavo simpatia per le sue finalità nazionaliste, naturalmente
senza aver letto Mein Kampf. Così fu per me, così sarà stato per molti tedeschi» (ed. it. Morcelliana,
1987, p. 121). Ma due mesi dopo le elezioni del 5 marzo 1933, favorevoli a Hitler, il docente alla
facoltà di Teologia cattolica di Breslavia fu esonerato dall'incarico che gli era stato appena conferito
perché figlio di un'ebrea (pp. 122-123).
L'infame discriminazione gli aprì finalmente gli occhi sulla vera natura del nazismo, e tuttavia non
senza intime concessioni sul versante dell'orgoglio nazionalistico. Un esempio. Il 14 giugno 1940,
com'è noto, a Parigi Hitler celebrò il trionfo della potenza nazista e in quel giorno lo Jedin compiva
quarant'anni. In data 17 giugno nel diario annotava: «La vittoria militare di Hitler ha distrutto ogni
mia speranza di ritornare ancora nel pieno delle mie forze a un'attività accademica e di riottenere la
parità dei diritti civili. Questa constatazione predomina sull'orgoglio per i successi del soldato
tedesco, sulla soddisfazione di veder cancellata l'onta fatta al popolo tedesco nel 1918-19». Le
affermazioni del diario sono così commentate nell'autobiografia: «Queste frasi si basavano
sull'errata convinzione che Hitler avesse già in mano la vittoria finale; non è tuttavia il caso che mi
vergogni di questo giudizio sbagliato...» (p. 176).
NON COSÌ LA PENSAVANO I TESTIMONI TEDESCHI DELLA FEDE. È sorprendente
constatare che lo Jedin si poneva il problema se Hitler avrebbe o no vinto la guerra e non l'altro, ben
più importante, se un cristiano, benché di nazionalità tedesca, non dovesse augurarsi nel profondo la
sconfitta senz'appello di un'ideologia e di un regime che si proponevano di cancellare per sempre
dalla storia l'eredità ebraico-cristiana. I grandi testimoni tedeschi della coscienza cristiana - i
Lichtenberg, i Bonhoeffer, i Muckermann, i von Moltke, i meravigliosi giovani della Rosa Bianca e
tanti altri - capirono perfettamente che quello era il solo interrogativo che bisognava porsi. Lo vide
anche il nostro Benedetto Croce, che scrisse allora le pagine commosse di Perché non possiamo non
dirci cristiani.
L'ANGOLO DI ERASMO. Un tratto di alta dignità. Io avevo poco il gusto dei grandi (Erasmo,
Opus Epist. t. 9, p. 206 - Lettera di Erasmo da Rotterdam ad Alessandro Steuco, 27 marzo 1531). Il
vero senso della devozione. Vuoi piacere a san Pietro o a san Paolo? Imita la fede dell'uno o la carità
dell'altro. Così farai di più che se corressi dieci volte a Roma (Erasmo da Rotterdam, Manuale del
soldato cristiano. - Questo piccolo, grande libro.- autentico manifesto del cristianesimo interiore e
della riforma cattolica - uscì nel 1504. Lo si può leggere in traduzione italiana nel volume La
formazione cristiana dell'uomo, Rusconi prima ed. 1989).
29 ottobre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Ognuno può ben dirlo in rapporto al "suo" tempo. In questo tempo
non so che cosa si possa scrivere, che non offenda questo o quello (hoc seculo nescio quid scribi
possit, quod non hunc aut illum offendat - Erasmo, Ep. n. 2.207, 7 agosto 1529).
La radice di ogni vero ecumenismo. La prima delle grazie è l'umile riconoscimento dei nostri torti.
Solo una lingua penitente può aprire il processo di riconciliazione reciproca (Erasmo da Rotterdam,
Lingua, 1525, 750 c - A nessuno può sfuggire il valore eminentemente ecumenico dell'appassionata
raccomandazione che il maggiore degli umanismi fa ai credenti in Cristo delle due chiese, la
cattolica e la protestante, nel momento stesso della loro separazione).
Misteriosa complessità di ogni uomo. Chi non sa d'un uomo se non ciò che costui sa di se stesso,
non va lontano (qui ne sait d'un homme que ce que celui-ci sait de lui-même ne va pas loin - A. De
Tocqueville, Lettre à Corcelle, 11 marzo 1854 - Oeuvres t. 15, p. 100).
«IL SILENZIO DEI VIVI». Ecco un libro autobiografico che l'Autrice s'è portato dentro per mezzo
secolo, prima di decidersi a scriverlo: Il silenzio dei vivi, pubblicato da Marsilio. «Sono nata a
Vienna - così si presenta l'Autrice, Elisa Springer - il dodici febbraio 1918. Figlia unica di genitori
ebrei, fui educata secondo le leggi di questa religione senza mai sentirne il peso. Mi consideravo
una ragazza viennese di religione ebraica, non un'ebrea. Appartenevo a una famiglia di nobili
origini ungheresi, molto benestante. Ricordo con grande nostalgia la mia infanzia, la fanciullezza e
la gioventù, vissute in una Vienna da sempre città ricca di stimoli culturali, di tradizioni e di
grande storia. Abitavo con i miei genitori, in un palazzo della Strozzigasse, ai numeri 32-34,
nell'ottavo distretto chiamato Josefstädt... In quel piccolo regno nel centro di Vienna, vissi
spensieratamente».
I sogni non finti e le ardenti aspettative della giovane viennese furono, però, distrutti di colpo
quando il 10 aprile 1938 Hitler annesse l'Austria al Reich germanico e il plebiscito degli austriaci gli
portò il 99,08 % dei consensi! Un mese e mezzo dopo il padre di Elisa, Richard, fu internato nel
campo di Buchenwald e il 28 dicembre dello stesso anno ne fu dichiarata la morte. Iniziò allora per
la giovane Elisa l'odissea degli spostamenti, in Ungheria, in Bulgaria, in Italia per sfuggire alla
cattura, costretta ad apprendere rapidamente lingue diverse dalla sua, nuove abitudini e attività
lavorative. Così fino al 23 giugno '44, quando fu scovata a Milano da una spia tedesca e deportata
subito ad Auschwitz. Di quell'inferno i ricordi sono nitidissimi, scarnificati da cinque lunghi,
interminabili decenni di silenzio, e di un silenzio reso angoscioso dall'indifferenza di quanti - per i
motivi più diversi, alcuni dei quali abietti - di Auschwitz non vogliono sentir parlare.
Qualche breve annotazione sul «Viaggio verso Auschwitz». Durò cinque lunghi giorni, ma la durata
dice poco se non si aggiunge che il trasporto avveniva su un vagone piombato, in cui erano pigiate
trentasei persone.
La sola provvista, un pezzo di pane nero, e nel chiuso del vagone, il caldo ben presto si fece sentire,
sino a diventare soffocante. Tutti ebbero allora una gran sete, ma non c'era acqua per soddisfarla. Si
alzava il lamento dei bambini e degli ammalati. «Nel vagone - scrive Elisa Springer - si respirava
un'aria nauseabonda: urine e feci si erano mescolate con la paglia. Due uomini, però, riuscirono a
rompere alcune assi al centro del carro bestiame, creando così un'apertura che ci consentì
finalmente di fare i nostri bisogni nascondendoci, a turno, dietro una barriera di uomini o donne».
Così, prima ancora di approdare ad Auschwitz, il progetto satanico di ridurre delle persone ad
animali schiavizzati dalla fame, dalla sete, dal terrore aveva già cominciato a realizzarsi. E non era
che il prologo.
POESIA DEL NOVECENTO. Congedo. Quando sarà il momento, Signore, / concedimi di portare
con me / il fico grande del giardino di Montaldo, / l'aiuola con le rose e con l'ibisco, / uno spruzzo di
mare / con le sue onde lucenti, / il Campanile Basso del Brenta / e l'allegro sorriso dei miei figli. / E
lascia ancora che porti con me / il piccolo scrittoio in camera da letto / perché possa vedere per
sempre / mia moglie che scrive / al lume della lampada. (Giovanni Cristini, Poesie 1978-1995,
Istituto Propaganda Libraria, Milano 1997. La composizione reca la data 9.10.1995).
5 novembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Tentazione e saggezza. Meglio non far entrare il diavolo che
cercare poi di metterlo alla porta (Proverbio inglese). L'onestà del "Cinico doc". Non uccidere ha
detto. «Se un altro lo può fare al tuo posto», ha aggiunto (Stanislaw Jerzy Lec, Nuovi pensieri
sfrenati, 1992).
L'arte autentica. Tutto passa: l'arte solida / sola ha l'eternità (Tout passe: l'art robuste / seul a
l'éternité - Théophile Gautier, Emaux et Camées). L'ultimo traguardo. Tutti noi attendiamo /
l'avvento della luce / che ci unifica e ci assolve (Mario Luzi).
TRE RASSEMBLEMENTS DI GRANDI FOLLE: UN FENOMENO DA DECIFRARE.
Storicamente i grandi rassemblements sono stati l'espressione dell'entusiasmo oppure della rabbia
collettivi: in un caso, dell'esaltante soddisfazione delle più vitali aspettative come la vittoria sul
nemico, la liberazione dall'occupante, la vittoria in un referendum decisivo; nell'altro caso, della
delusione per i propri diritti calpestati o per le proprie aspettative tradite. Nella settimana dei fiori che seguì alla morte di Lady Diana, i primi giorni di settembre 1997 - non v'è stato entusiasmo né
rabbia. Si tratta evidentemente - scrive Paolo Ceri su «Il Mulino» (1997, n. 5) - di un caso anomalo,
ma per certi aspetti non del tutto isolato. Altri casi di mobilitazione diversi da quelli tradizionali si
sono verificati, infatti, negli ultimi tempi: in Belgio nell'ottobre 1966 la marche blanche contro la
pedofilia; in Spagna nel luglio 1997 le manifestazioni in occasione dell'assassinio dell'assessore
Miguel Blanco per mano dell'Eta. Luc Rosenzweig ha colto con sensibilità sociologica rilevanti
assonanze tra queste due manifestazioni e quella per Lady Di. Sono «eventi inattesi» nei quali «la
folla, la grande folla, è scesa in strada senza essere espressamente convocata, battendo tutti i record»
(Le Mond, 11 settembre 1997).
I tratti comuni a tutte e tre le manifestazioni sono la spontaneità della mobilitazione, il suo carattere
del tutto non violento e simbolico, l'appartenenza alle più diverse classi sociali dei partecipanti.
Tratti distintivi: i sentimenti trascinanti sono stati in Belgio la vergogna, la rabbia e la compassione,
in Spagna la rabbia e la compassione, in Gran Bretagna la compassione soltanto. La mobilitazione
spagnola e quella inglese aggiungono in più la componente integrativa, cosicché se in Belgio la
popolazione mette sotto accusa l'intera classe politica, negli altri due casi accetta che questa si
associ alla sua iniziativa.
Dei tre rassemblements, però, a nostro avviso è proprio il più debole e ambiguo - sia nelle
motivazioni, sia nel messaggio di cui l'evento è caricato inconsciamente da chi vi prende parte quello originato dalla tragica fine di Diana Spencer, che ha avuto una risonanza planetaria, se è vero
che l'audience televisiva registrata il 6 settembre, in occasione dei funerali, fu la più alta che si
conosca, avendo superato i due miliardi di spettatori. Il dato certo è che oggi, in virtù della capillare
diffusione e uniformità della comunicazione televisiva, nel villaggio globale è possibile a centinaia
di milioni di cuori pulsare all'unisono e abbandonarsi alla più intensa commozione collettiva;
rimane, però, assai difficile per chiunque spiegare un fenomeno importante per la sua eccezionale
vastità e nello stesso tempo così privo di lucidità da qualsiasi punto di vista lo si voglia considerare.
LA GUERRA COME FOLLIA CRIMINOSA. Nel mondo classico una della voci più alte che si
levarono a condanna della follia criminosa della guerra fu quella di Seneca. Ascoltiamola
attraverso una pagina di grande intensità e bellezza, tratta dalla Lettera 95, 30-33. «Soffriamo di
una follia collettiva, oltre che privata. Gli omicidi e gli assassini, se compiuti singolarmente,
vengono, sì, puniti; ma come giudicare le guerre, e il delitto glorioso di far strage di popoli? Avidità
di possesso e crudeltà non hanno limiti. E finché colpe del genere sono commesse di nascosto e
individualmente sono meno nocive e dannose; ma le vere atrocità vengono perpetrate in forza di
senatoconsulti e deliberazioni popolari; ciò che ai privati viene proibito, è poi ordinato dallo Stato.
Fatti che, commessi furtivamente, si sconterebbero con la vita, noi li lodiamo quando chi li
commette porta una divisa. L'uomo, la più mite delle creature, non si vergogna di godere del sangue
reciproco, di fare la guerra e di trasmettere il dovere ai figli, mentre persino gli animali e le bestie
feroci vivono in pace fra loro. Contro una follia così violenta e dilagante la filosofia è diventata più
solerte, ha raccolto tante più forze quanto più crescevano quelle del nemico da combattere»
12 novembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La forza dell'uomo libero. Egli spezza tutte le convenzioni, ma
osserva i comandamenti (G. K. Chesterton, L'uomo vivo). Naufragio provvido. Soltanto quando
avete fatto naufragio sul serio, trovate sul serio ciò che vi occorre (ibid.).
Il surplus di notizie. Il bombardamento implacabile di notizie nella nostra psiche è come il
sovrapporsi di più riflettori puntati negli occhi: la luce è tanta, ma si vede poco o nulla (Levi
Appulo). Andate in libreria. Bisogna andare in libreria, e spesso, malgrado i best seller (Levi
Appulo). Etimologia maligna. In ceri casi diventa naturale pensare che le parole manager e
maneggione siano etimologicamente imparentate (Levi Appulo).
Gli uccelli. Tutti quelli cui le piume accordano / l'illimitata libertà del cielo (Wystan H. Auden,
Grazie nebbia, Tea, Milano 1998). Aristotele. Aristotele, il grande cartografo dei nostri paesaggi
intellettuali ereditati... (Salvatore Veca, Della lealtà civile, Feltrinelli, Milano 1998).
TRE INTERROGATIVI SULLA PADANIA INDIPENDENTE. 1). Abolirà la Padania indipendente
col tricolore anche la lingua italiana? Ma provate a far parlare insieme nei loro dialetti un genovese,
un bergamasco, un lumezzanese, un cuneense e un udinese: l'uno non capirebbe una parola
dell'altro. L'unico tramite possibile perché s'intendano tra loro rimane pur sempre la lingua
nazionale.
2). Le regioni attraversata dal Po nel corso della storia hanno avuto un destino comune e una
qualche configurazione politica? No, non vi è nella loro storia politica traccia di unità, neppure la
più labile. Il Lombardo-Veneto fu unito, e fino ad un certo punto, solo sotto la dominazione
austriaca; ma la Serenissima e Milano si combatterono per secoli. E non parliamo del Piemonte e di
Genova. Anche i tipi di economia che caratterizzano il Nord-Ovest e il Nord-Est sono fra loro non
solo diversi, ma opposti.
3). Quali sono le regioni italiane che ricevono più servizi di quante tasse paghino? Sono cinque: la
Liguria, la Val d'Aosta, il Trentino, il Friuli - Venezia Giulia, la Toscana. Dunque ben quattro sono
del Nord.
ALCUNE RIFLESSIONI DEL 1903, VERE ANCHE OGGI. La vita intima. Il mio progetto è di
parlare della vita intima, dir come nasce, come si sviluppa, da cosa trae nutrimento e cosa la soffoca
e la storce; dire dove si mostra con maggiore pienezza e quali simboli essa riveste, e sotto quali
maschere si nasconde; del modo di tenerla segreta, e di portarla sì alta che nessuno la giunga; di
farne l'elogio a dispetto dei mille suoi avversari: l'uomo mediocre, l'uomo comune, il goditore
materiale, il letterato: contro tutti insomma coloro che sono schiavi diretti, o indiretti, coll'esserne i
padroni, del mondo esterno.
Chi sono gli altri per noi? Noi non conosciamo degli individui che alcuni punti e brandelli di vita;
e di alcuni individui soltanto quei punti che essi vogliono mostrarci; e la nostra immaginazione è in
continuo lavoro per riunirli e farne un tutto che ci soddisfaccia e ci sia utile, in quella delle direzioni
della nostra anima che è preponderante: l'estetica, la morale, la mercantile. Siccome poi quello che
conosciamo è pochissimo di fronte a quello che noi non sappiamo degli altri, e che talora
conosciamo il solo straordinario, o il solo aspetto esterno, così le altre persone sono su per giù
nostra creazioni, o meglio nostre costruzioni ed integrazioni, e il loro esame ci potrà assai bene
servire di base a un giudizio su noi stessi.
Possedere le cose interiormente. Problema della proprietà. Le cose non si danno a tutti; per
possederle bisogna viverle; chi le possiede internamente ne è più padrone del possessore materiale.
Vi sono delle antiche famiglie e dei parvenus che hanno nei loro palazzi molte cose di cui non sono
padroni: dei libri, dei quadri, delle donne. Così l'amicizia dei grandi uomini consiste soprattutto nel
modo con cui essi e noi ci compenetriamo idealmente, essi per mezzo delle loro opere, poi per
mezzo dei nostri istanti di elevazione intellettuale; non già nel salutarli per strada o incontrarli nei
salotti o riceverne le dediche. Senza di che, come contare fra i nostri amici tanti di coloro che sono
morti, ma dei quali sopravvive l'opera o un frammento di essa o di nome soltanto? (G. Prezzolini,
Vita intima, 1903; ripubblicata in Scrittori italiani di Aforismi, 2° vol., I Meridiani, Mondadori,
Milano 1996).
19 novembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Avere ed essere. Fate attenzione, tenetevi lontano da ogni
cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni (Vangelo
secondo Luca 12, 15). Chi accumula tesori per sé non arricchisce davanti a Dio (ibid. 12, 21). Non
c'è nulla di nascosto che tenga. Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non
sarà conosciuto. Pertanto, ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce; e ciò che avrete
detto all'orecchio nelle stanze più interne sarà annunziato sui tetti (ibid. 12, 2-3). Lo vuoi un
consiglio? Non datemi consigli, so sbagliare da solo (Leo Longanesi). I consigli di vera saggezza
suonano sempre troppo semplici. Per questo non si seguono (Beniamino Placido).
Due battute di Hitchcock. Quando mi occupavo di cinema, ebbi la fortuna d'intervistare Hitchcock,
l'insuperato mago del brivido, l'inventore della suspence: «Se girassi Biancaneve e i sette nani», mi
disse, «la gente sarebbe inchiodata sulla poltrona a chiedersi quale nano ucciderà Biancaneve».
Spiegò con un esempio la sua ricetta del terrore: «Maria Stuarda pose la testa regale sul ceppo dicendo al boia: Please; e dopo che il boia ha fatto il suo lavoro, la testa si volta e sussurra: Thank
You» (Franca Zambonino).
È L'«INTENSITÀ» LO STILE DELL'ARTE DEL NOSTRO TEMPO? Ecco una frase
sconcertante: «Il bello è sempre bizzarro». Ma poiché a scriverla è Baudelaire, che di arte e di
bellezza se ne intendeva, ho il dovere di prenderla sul serio e di cercare il nocciolo di verità che essa
di certo racchiude. Il procedimento da cui prendo le mosse è semplice: provo a rivoltare la frase nel
suo contrario. Il risultato è semplicemente qualcosa di impensabile: «Il bello è sempre banale». È
quanto basta a dare all'aggettivo che fa scandalo, «bizzarro», un primo significato: quel termine
provocatorio sta a designare ciò che ha forza di urtare e semplificare le nostre percezioni e i nostri
modi abituali di rappresentarle. Dunque il bello per l'artista non è immaginabile se non a partire da
una rottura con l'usuale, il deja vu, il precostituito. L'animo si fa poetico e può muovere alla ricerca
di un linguaggio poetico solo se riesce a liberarsi - con uno sforzo doloroso di ascesi - da un mondo
ritagliato a misura dei nostri bisogni sociali di pratica utilità. È il momento che chiamerei
«bergsoniano» della creazione artistica, ciò che ad essa conferisce senso e intensità... Hyppolite
Taine - uno dei più chiusi pensatori positivisti del secondo Ottocento, che però era storico e critico
letterario di notevole levatura - aveva intravisto qualcosa del genere quando individuava
nell'intensità «la grande rivoluzione dello stile moderno».
Mi chiedo se non sia proprio la ricerca dell'intensità a spingere gli artisti del nostro tempo a disfare
- e con un accanimento prima del tutto sconosciuto - l'oggetto stesso della percezione nel tentativo
di coglierlo, al di là di schemi di comodo e griglie pseudo-concettuali, come parte del loro io
profondo e, dunque, del loro sentimento della vita. Ma se questa linea interpretativa ha una sua
qualche plausibilità, la garanzia della propria autenticità l'arte contemporanea potrebbe ravvisarla
nel farsi sempre più ricerca dell'essenziale, avviando un processo al limite di semplificazione delle
stesse forme espressive.
ALLA RICERCA DELLA SAGGEZZA. Dieci consigli da non disattendere (Sir. 4, 23-33). 1).
Esamina con prudenza la situazione in cui ti trovi e considera bene le ingiustizie che vi sono. 2).
Non vergognarti di quello che sei. 3). Se fai dei favori, guarda di non danneggiare te stesso. 4).
L'eccessivo rispetto degli altri non deve indurre te al male. 5). Quando è necessario farlo, non tacere.
6). Non metterti contro la verità e riconosci i tuoi limiti. 7). Non vergognarti di ammettere i tuoi
torti, sarebbe come andare contro corrente. 8). Conserva la tua indipendenza di fronte agli stupidi.
9). Non lasciarti influenzare da chi ha il potere. 10). Lotta per la verità fino alla morte e il Signore
Dio lotterà con te.
Queste raccomandazioni a chi vuol diventare una persona buona e saggia si rivelano di una
sorprendente acutezza morale e psicologica. Furono scritte verso il 190-180 a. C. e il libro che le
propone all'umanità è l'ultimo dell'Antico Testamento, Il Siracide, che ha come autore appunto Ben
il Siracide, rappresentante tipico degli «hasidim», gli uomini pii per eccellenza del giudaismo. La
Chiesa cristiana include fin dalle origini tra i libri canonici della Bibbia quel testo designato per
secoli col nome L'Ecclesiastico (dal latino «Liber ecclesiasticus»).
26 novembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Altro che Alessandro e Napoleone! Nella mente di sant'Agostino
e di Kant sono state combattute battaglie più importanti e più grandiose di quelle di Alessandro e di
Napoleone (Giuseppe Prezzolini, Vita intima, 1903). Ciò che è comodo, ciò che nuoce. È sempre
comodo imparare, massime dai nemici; è sempre nocivo insegnare, massime agli amici (G.
Prezzolini, Il Centivio, 1906). Per mia fortuna. Io non sono sempre delle mie opinioni, né
appartengo sempre alla mia scuola (ibid.).
Abbasso ed evviva. L'italiano non dice mai bene di quello che fa il governo, anche se ha fatto bene;
però non c'è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al governo e non si lagni perché il
governo non pensa a tutto (G. Prezzolini, Codice della vita italiana, 1921; ora nella «Biblioteca del
Vascello» 1993, Milano-Roma).
Guardare indietro e guardare avanti. Chi guarda soltanto avanti, ha tanta ragione quanto quello
che guarda soltanto indietro; e perciò fu messo lo specchietto a chi guida l'auto.
Per guidare bene bisogna stare attento a chi s'incontra ma anche a chi ci segue o ci insegue. E chi
scappa deve obbedire alla stessa regola di chi lo cerca (G. Prezzolini, Filosofia del nulla, 1980).
L'ESPERIENZA-SHOCK DI UN RAGAZZO DI NOME MARTIN BUBER. Mi ha colpito
profondamente una frase di Martin Buber:
«Vorrei morire stringendo una mano». Buber, tra i filosofi del linguaggio, è quello che ha
maggiormente sottolineato, e con convinzione, il carattere fondante della relazione interpersonale.
Non a caso il titolo del capolavoro di Buber è Il principio dialogico, che si può leggere nella recente
traduzione pubblicata dalla San Paolo nel '93, già alla terza edizione nel '97.
Solo di recente, però, sono venuto a conoscenza dell'esperienza-shock, che fu alla base
dell'orientamento filosofico del pensatore ebreo e che egli stesso ebbe a confidare all'intervistatore.
A tre anni Buber subì dolorosamente il divorzio dei genitori. In Meetings racconta: «Non mi
ricordo di averle mai parlato di mia madre. Ma mi pare di sentire ancora quella baby-sitter dirmi:
"No, lei non tornerà mai più". So che rimasi in silenzio. Ricordo anche che non ebbi alcun dubbio
sulla verità di quelle parole: essa si fissò in me, si impresse sempre più profondamente, anno dopo
anno, nel mio cuore; ma è dopo più di dieci anni che cominciai a percepirlo come una realtà che
non riguardava soltanto me ma ciascun essere umano. Coniai più tardi la parola "disincontro"
(Vergegnung), per intendere il fallimento dell'incontro reale tra persone... Credo che quanto
compresi successivamente, nel corso della mia vita, sull'incontro autentico abbia la sua genesi
proprio in quell'ora, lassù, su quel balcone».
Buber comprese che sull'incontro o, in negativo, sul mancato incontro si gioca l'umanizzazione
dell'uomo (Traggo la citazione dal volume: G. Milan, Educare all'incontro, la pedagogia di Martin
Buber, Roma 1994, p. 8).
ALCUNE RIFLESSIONI SUL GENIO DEL CRISTIANESIMO. Se Cristo non fosse Dio. Se
Cristo non fosse Dio non avrebbe portato nelle anime quel turbamento, quell'approfondimento,
quello sbigottimento, quell'arsura e quell'ansietà che troviamo nei grandi cristiani.
Non esiste un Paolo buddista né un Agostino zaratustriano né un Pascal mussulmano né un Hello
confuciano né un Dostojevski brahmanico.
Tutte le altre religioni, accanto al Cristianesimo, sembrano fornelli casalinghi presso un vulcano (30
settembre 1944).
Gli evangelisti laici. Penso a uno scritto sugli evangelisti laici dell'Ottocento: Kierkegaard, il
vangelo del tremore; Dostoevskij, l'evangelo del peccatore; Hello, l'evangelo della gloria; Nietzsche,
l'evangelo di Balaan (o dell'Anticristo).
Non divinamente ispirati, come i primi, ma ispirati. Adatti ai tempi nuovi. Ogni secolo ha i suoi
evangelisti. Anche il nostro: Bloy, l'evangelo del povero; Unamuno, l'evangelo del tragico
Berdiaeff, l'evangelo della trasfigurazione; Papini (?), l'evangelo del ritorno.
Anche nel '600 si potrebbero trovare quattro evangelisti laici; il più grande è Pascal (16 agosto
1946) (Giovanni Papini, Pagine di diari e di appunti - Scritti postumi, Arnoldo Mondadori, 1966).
POETI DEL NOSTRO TEMPO. Inno alla gioia. Questa coscienza di sentirsi vivi / nei propri
passi, nel gesto / o in un volto che non è un volto ma un sogno / che appare e che dispare / nel
cerchio di un sorriso / - scoperta della mente, tumulto del cuore / prima che turbamento / peso vuoto
languore / delle viscere, tormento / e potenziale energia / in sé chiusa e repressa come l'arco / teso e
pronto allo scatto - / questo è l'inno alla gioia / alla piena d'amore / che in sé riassume il mondo / e
che lo esprime (Giovanni Cristini, Poesie 1978-1995, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1997).
3 dicembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Succede a tutti noi. Si dice che l'usignolo si trafigga il petto con
una spina ogni volta che leva un canto d'amore. Succede a tutti noi (Kahlilon Gibran). Cercar di
dire quello che non si può dire. Una grandissima parte dell'uomo non può essere detta. La poesia
cerca di dire quello che non si può dire. È una scommessa rischiosa, che nessun sistema
dell'informazione potrebbe accettare: se lo facesse, verrebbe subito messo in liquidazione. Così, la
poesia, è mettere in parole quello che, a rigore, non può essere messo in parole, quello che non ha
nemmeno «forma di parole» (A. Asor Rosa, L'ultimo paradosso, Einaudi, Torino 1985, pp. 138-9).
Rimedio drastico, ma efficace. I grandi oratori che dominano le assemblee con lo splendore delle
loro parole sono, generalmente, gli uomini politici più mediocri. Non vanno combattuti con le
parole, ne hanno sempre di più roboanti delle vostre. Occorre opporre alla loro facondia un
ragionamento stringato, logico. Poiché la loro forza consiste in ciò che è vago; occorre riportarli alla
realtà dei fatti (Napoleone Bonaparte).
Ingannevole la chiarezza che manchi di precisione. Io temo sempre che, parlando di chiarezza, non
si pensi affatto a quello che ne è il requisito fondamentale: la precisione. Per essere precisi è
necessaria una padronanza sicura della lingua, che si acquisisce soltanto cercando di conoscerne e
saperne usare le diverse forme e sfumature. Un discorso può essere chiarissimo, perché semplice,
ma incomprensibile, perché impreciso, o, peggio, ambiguo, tanto da offrire al lettore o
all'ascoltatore il dubbio sulla vera interpretazione che è da darsi; in casi abbastanza frequenti si
finisce col capire l'opposto di quel che l'autore vuole dire effettivamente (Giorgio Barberi
Squarotti).
ERASMO E MORE, COSÌ DIVERSI, COSÌ INSEPARABILI. È difficile, se non addirittura
impossibile, scindere il ricordo di Erasmo da quello di Thomas More. È vero che i biografi, più o
meno avvertiti, lasciano spesso nell'ombra l'immagine di quello dei due amici che nuoce alla loro
tesi: a chi fa di More un modello di ortodossia alquanto rigida, la vicinanza del malizioso umanista
può sembrare compromettente; a chi vuol vedere in Erasmo uno scettico ed un incredulo, il ricordo
del suo migliore amico, martire della fede cattolica, deve apparire ingombrante. Ciò non toglie che i
due uomini, abbeverati alle medesime fonti, vissuti nelle stessa epoca, legati da una di quelle
simpatie totali la cui delicatezza si rivela in mille tratti affascinanti, resteranno nella storia come una
delle coppie predestinate, di cui restano incantati sia i giovani, nei loro entusiasmi, sia gli anziani,
nelle loro riflessioni sulla vita.
UNO SLOGAN PER... CANCELLARE IL PENSIERO. Lo slogan è chiarissima, netta
affermazione che non ammette replica. Aggredisce per persuadere, per convincere non solo a
comprare una pessima grappa, ma anche a mutare sistema di governo. I dittatori l'hanno sempre
saputo. Nel suo primo incontro ufficiale ad una conferenza stampa con un divo della politica
(Benito Mussolini, eravamo nel '21), una penna acuta come Ugo Ojetti scriveva - lo si legge in Cose
viste - che la definizione dell'aspirante dittatore erano «niente nebbia, niente grigi, tutto il mondo
ridotto a bianco e nero». Ojetti aggiungeva: «Lui i dubbi se li tiene per sé». Il bianco ed il nero del
linguaggio, lo slogan allora, la parola propagandistica che genera il consenso, promuove concetti
indubitabili, fa sembrare necessarie cose che non lo sono affatto (la propaganda nazista che
convinse gli ebrei tedeschi a sentirsi colpevoli di essere tali ne è un classico esempio). Lo slogan è il
massimo del parlar facile che non lascia pensare.
UN TAVOLACCIO LARGO m. 2 LUNGO m. 1 PER 12 PERSONE. Trascorsi la mia prigionia nel
campo B II C di Auschwitz-Birkenau e precisamente nella baracca 12. Una baracca in legno, molto
grande, lunga circa ottanta metri, senza finestre e con due grandi portoni: uno anteriore e l'altro
posteriore. Una stufa in mattoni rossi, alta circa un metro, percorreva la baracca per tutta la
lunghezza: non l'ho mai vista funzionare. Sulle pareti erano appoggiati dei tavolacci incolonnati su
tre piani. Tra un piano e l'altro, l'altezza era di un metro appena, sicché non si poteva stare seduti
con la schiena diritta, ma ci si poteva curvare assumendo la posizione degli animali rintanati nelle
loro cucce.
Fummo costretti a dormire in dodici su quei tavolacci larghi due metri e lunghi uno, costretti a
rimanere sdraiati su un fianco, immobili in quella posizione, poiché mancanza di spazio ci
precludeva ogni movimento. L'insufficiente lunghezza del tavolaccio ci costringeva, oltretutto, a
rimanere con le gambe nel vuoto (da Il silenzio dei vivi di E. Springer, Marsilio, Venezia 1997, p.
76).
10 dicembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il dono dell'intelligenza. È l'intelligenza che vede, è l'intelligenza
che ode e tutto il resto è sordo e cieco (Epicarmo). Il valore primario, la Giustizia. Presta l'orecchio
a Giustizia e dimentica completamente il Sopruso (Esiodo). Nella Giustizia sono già comprese tutte
quante le virtù (Focilide). Andrò senza piegare di qua e di là, per la via diritta, perché io devo
pensare solo cose giuste (Teognide). Uno spiraglio. Le cose visibili sono uno spiraglio
sull'invisibile (Anassagora).
Il punto di Archimede nella vita di uno Stato. Le finanze sono sempre state considerate il punto di
forza dello Stato, perché, come quello di Archimede, una volta stabilito solidamente, permette di
muovere tutto (Armand-Jean du Plessis Cardinal de Richelieu, Testamento politico, a cura di A.
Piazzi, Giuffré editore, Milano). Per contrasto o per adesione, tutto viene di lì. La Bibbia è il libro
che, non solo per la cultura occidentale, definisce il concetto stesso di un testo: tutti gli altri, in un
modo o nell'altro, da quello discendono, per contrasto o adesione, espliciti o impliciti, quasi variazione infinita (George Steiner).
BERGSON: CINQUE PROPOSTE PER LA SCUOLA SECONDARIA. Nel novembre del 1919, il
filosofo Henri Bergson è eletto membro del Consiglio superiore dell'Istruzione pubblica in Francia e
partecipa ai lavori con assiduità. Ne fa parte fino al 1925. Quali sono le idee e la proposta del grande
filosofo per riorganizzare l'insegnamento superiore della sua nazione? Sono riducibili a cinque punti
ben precisi.
1) Occorre tener conto che vi sono tipi diversi di intelligenza da valorizzare e nello stesso tempo
evitare ogni precoce specializzazione. Anche se tra loro differenziate, le scuole secondarie hanno
come scopo primario l'educazione dell'intelligenza e del buon senso, del carattere morale e del
senso civico.
2). Si deve rafforzare l'insegnamento umanistico con un solido insegnamento scientifico, sì che il
liceo classico risulti una scuola di alto livello che renda gli allievi, reclutati per merito da tutti i
ceti sociali, realmente idonei agli studi superiori e a certe carriere. È un errore sia abolire il liceo
classico, sia farne l'unico modello di scuola secondaria.
3). È del pari urgente organizzare in modo diffuso ed efficiente un sistema di «insegnamento
industriale, commerciale e agricolo», in stretto rapporto con le necessità produttive del Paese.
Occorre, insomma, una scuola di cultura scientifica che sia, però, nettamente orientata verso la
pratica e l'inserimento nel mondo produttivo.
4). Il problema sociale esige un innalzamento del grado generale d'istruzione del popolo con un
appropriato sistema scolastico di formazione umana e professionale, sì da poter disporre su tutto il
territorio nazionale di un esercito di tecnici e operai altamente specializzati
5). La democrazia in campo scolastico non si salvaguarda con soluzioni demagogiche, quale è
quella della «scuola secondaria unica», né abbassando il livello culturale dei licei e delle
università. Occorre, invece, assicurare a tutti uguali punti di partenza nella gara della vita e ai
migliori l'accesso agli studi più alti.
A veder bene, quel programma di riforme - serie, assolutamente necessarie e insieme possibili rimane ancora valido, nella sua estrema concretezza e, a settant'anni di distanza, sarebbe una
benedizione per l'Italia se i nostri addetti ai lavori lo facessero proprio. Ma la lucidità del buon senso
e l'aderenza effettiva ai bisogni della nazione potranno mai averla vinta sulla demagogia insensata e
sulle dotte, logorroiche insulsaggini dei sedicenti «specialisti»?
L'ANGOLO DI PAOLO. Sono un essere debole. Sono un essere debole, schiavo del peccato.
Infatti non riesco nemmeno a capire quello che faccio: quello che voglio non lo faccio, faccio invece
ciò che odio. Ma se io faccio quello che non voglio, riconosco che la legge è buona. Allora non sono
più io che agisco, ma il peccato che abita in me. So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non
abita il bene. In me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di compierlo. Infatti io non compio
il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio (Lettera ai Romani 7, 15-19). La grande scelta.
Offritevi come strumenti di bene al servizio di Dio (ibid. 6, 13). Chi porta buone notizie. Come dice
la Bibbia: «Quant'è bello vedere arrivare chi porta buone notizie!» (ibid. 10, 15). Allo stesso tempo.
Dio è allo stesso tempo buono e severo (ibid. 11, 22).
17 dicembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La gloria in questo mondo talora è... «La gloria è forse la somma
dei malintesi che si accumulano su un nome» (Rainer Maria Rilke).
il doppio sradicamento dell'uomo. «Lo spirituale è anch'esso carnale». «Il corpo e l'anima sono
come due mani strette». «Ogni anima che si salva, salva anche il suo corpo» (Ch. Péguy).
Anche noi come lui. «Io servo una sola Repubblica, la Repubblica dalle mani pulite» (Ch. Péguy).
Persona e personaggio. «C'è chi diventa personaggio perché non sa essere persona» (Gesualdo
Bufalino).
Lo sguardo interiore. «L'intenzione è lo sguardo dell'anima» ( Bossuet).
Che cosa dovrebbe essere uno scritto? «Un libro non è niente, se non è apertura, discorso introduttivo, prolegomeno a una verità essenziale» (Levi Appulo).
CHI SI RIFIUTA ALL'ALTRO, ANNIENTA SE STESSO. Ogni attività umana autentica è dialogo:
dialogo con il mondo che è poesia, dialogo con gli altri che è amore, dialogo con Dio che è
preghiera. La tentazione propria del pensiero è il monologo: basta murarsi nel proprio sistema e
rifiutare l'altro per annientare se stesso.
Il vero pensiero, al contrario, è dialogo: è, come dice Platone, il dialogo dell'anima con se stessa. E
l'anima non può dialogare con se stessa se non ha saputo accogliere l'altro, se l'altro non è già in
essa.
Il mondo moderno è pieno di individui monologanti che, senza mai accogliere l'altro, si oppongono
e si urtano.
QUELLA CRUDELE PERVERSIONE NEL PUNIRE. La mattina all'alba, intorno alle cinque,
venivamo svegliate dalla Blockowa (capobaracca): iniziava così la nostra giornata di miseria e di
paura.
La vita, ad Auschwitz, era segnata da rituali ben precisi. Ogni giorno, si veniva sottoposte allo
Zühlappell (appello) che aveva luogo all'aperto. Ci obbligavano, in fila per cinque, a rimanere
immobili con lo sguardo fisso avanti per lunghe interminabili ore.
La durata dell'appello variava a seconda delle condizioni climatiche e così, se faceva freddo e
pioveva, i tempi si allungavano, diversamente diminuivano.
L'impossibilità di muoverci era assoluta e se qualcuna, cedendo alla stanchezza e agli stenti,
crollava, le SS la sottoponevano alle più svariate punizioni, coinvolgendo anche chi, eventualmente,
le avesse prestato aiuto.
La tecnica delle punizioni variava a seconda dei casi e dei momenti: si passava dallo strappo delle
unghie, ai calci con i pesanti stivali delle SS, alle bastonate inferte con rara crudeltà.
Le capobaracche sembrava provassero un piacere indicibile nell'infliggere le punizioni. Fra tutte,
una delle più frequenti consisteva nel farci inginocchiare, con le mani sollevate verso l'alto,
reggendo dei mattoni pesantissimi: in questa posizione dovevamo rimanere ore, fino a quando non
perdevamo i sensi, ormai sfinite.
Il trattamento punitivo veniva riservato anche a chi non comprendeva, subito, gli ordini impartiti dai
tedeschi.
Una mattina, solo per aver aiutato durante l'appello una compagna che era sul punto di svenire, fui
chiamata fuori dal gruppo da un ufficiale che, davanti a tutte, con un ferro rovente, mi bruciò
l'interno della coscia destra. (Da Il silenzio dei vivi di Elisa Springer, Marsilio, Venezia 1997, pp.
77-78).
IL FOLLE ESPERIMENTO. È famoso il folle esperimento compiuto da Federico II nel XIII secolo
su un gruppo di bambini. Così lo descrive uno storico: «La sua idea era quella di scoprire che tipo di
linguaggio e che modo di parlare avrebbero avuto i bambini se fossero cresciuti senza che alcuno
parlasse mai con loro.
Allora ordinò alle nutrici e alle balie di allattare i bambini, di far loro il bagno e lavarli, ma di non
proferire sillaba, né di parlare con loro perché voleva sapere se avrebbero parlato ebraico, che è la
lingua più antica, oppure il greco o il latino o l'arabo, o forse la lingua dei genitori che li avevano
procreati.
Ma si affannò invano perché tutti i bambini morirono. Non riuscirono a vivere senza le carezze, i
visi lieti e le parole amorevoli delle loro nutrici» (I. Robertson, Elementi di sociologia, Bologna
1996, pag. 65).
L'ANGOLO DI PAOLO. Inno alla sapienza di Dio. Quanto è profonda, o Dio, la tua ricchezza, la
tua sapienza, la tua scienza!
Quanto sono imperscrutabili i tuoi giudizi e superiori alle nostre vedute le tue vie!
Chi ha mai potuto conoscere il tuo pensiero, o Signore?
E chi ha mai saputo darti un consiglio?
Chi ti ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?
Tutto viene da te, esiste grazie a te e tutto tende a te. A te sale, Dio, il nostro inno di lode per
sempre. Amen.
(San Paolo, Lettera ai Romani 11, 33-36).
24 dicembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Di te si tratta. Vi parlo di me, ma parlo di voi (V. Hugo,
Prefazione a Contemplations, 1856). L'amore e la poesia. La condensazione espressiva e l'alta
valenza simbolica della poesia sono fatte apposta per esprimere la complessa, inesauribile
fenomenologia del sentimento amoroso (G. Davico Bonino). Non cessa di preoccuparci. Che un
avventuriero o un'avventuriera tessano intrighi, talora ne vengono travolti, talora ne traggono
vantaggio, è normale. Ma che una persona presumibilmente di media intelligenza, con doveri
politici e religiosi, da questi intrighi sia convinto, affascinato, obnubilato, e riesca a consacrarsi alla
storia come monumento di imbecillità, questo non cessa di preoccuparci (U. Eco, Tra menzogna e
ironia, Pas-Saggi Bompiani 1998, pp. 8-9).
TOCCA IL MIO ANIMO COL SOFFIO DELLA TUA ETERNITÀ. Nel penultimo Natale del
secolo mi è caro porgere un cordialissimo augurio ai lettori che, un giovedì dopo l'altro, mi seguono
da ormai dieci anni, perché tanti ne sono passati dal gennaio 1988, quando ebbe inizio questa
rubrica. Lo faccio con le parole di un pensatore che, nel corso degli anni, insieme abbiamo imparato
a conoscere e ad amare: Romano Guardini. «Nella nostra vita, che è un andare verso la morte, noi
presagiamo o Signore, la tua eternità. Di là sei venuto a noi, Gesù, e ci hai portato l'annuncio di
"ciò che nessun occhio ha veduto e nessun orecchio ha udito e che non è penetrato in alcun cuore
umano". Quando il tempo sarà compiuto, là pure sarà la mia patria. Fammi certo di questo. Fa'
che nel mio cuore non muoia mai il desiderio, affinché nel mutare della vita io rimanga unito a ciò
che solo dà misura e senso a ogni cosa. Tocca il mio animo col soffio della tua eternità, affinché io
compia bene la mia opera nel tempo e possa un giorno portarla nel tuo regno eterno» (Da
Preghiere teologiche, Morcelliana, Brescia, 1986).
IL DONO E L'ARTE DI ASCOLTARE. Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di
ascoltarlo. Come l'amore di Dio incomincia con l'ascoltare la sua parola, così l'inizio dell'amore per
un altro essere umano sta nell'imparare ad ascoltarlo. È per amore che Dio non solo ci dà la sua
parola, ma ci porge pure il suo orecchio. Altrettanto è opera di Dio se siamo capaci di ascoltare il
fratello. I cristiani, e specialmente i predicatori, credono spesso di dover sempre «offrire» qualcosa
all'altro, quando si trovano con lui: e lo ritengono, come loro unico compito. Ma, così facendo,
dimenticano che ascoltare può essere un servizio ben più grande del parlare.
Molti uomini cercano un orecchio che sia pronto ad ascoltarli ma non lo trovano tra i cristiani,
perché questi parlano anche quando dovrebbero ascoltare. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto
non saprà neppure ascoltare Dio: anche di fronte a Dio, infatti, sarà sempre lui a parlare. Qui ha
inizio la morte della vita spirituale, ed infine non restano altro che le chiacchiere spirituali, la
condiscendenza fratesca che soffoca in tante parole pie.
Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza, parlerà senza toccare mai veramente l'altro, senza
avvertirne i bisogni e le domande. Chi crede che il suo tempo è troppo prezioso per essere perso ad
ascoltare il prossimo, non avrà veramente tempo per Dio e per il fratello, ma sempre e solo per se
stesso, per le sue parole e per i suoi progetti. Dobbiamo, invece, ascoltare con l'orecchio di Dio,
affinché ci sia dato di parlare con la parola di Dio (D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana,
Brescia 1978, pp. 123-125).
BENIGNI «BATTE» SPIELBERG. È quanto scrive Peter Alexander Meyers, su Le Monde
(31.10.1998). «Benigni sa una cosa che registi come Spielberg rifiutano di riconoscere: per chi
aspira a fare un grande film su un argomento importante in questa estrema fine secolo, il
"realismo" è un'impasse. Benigni ci porta brillantemente in un'altra direzione, quella dell'allegoria
visuale di cui sono protagonisti il Buffone, che rivela instancabilmente l'assurdità del mondo, e il
Bambino, troppo innocente per vedere le cose come stanno veramente. Benigni, forte di una magia
ereditata da Fellini, trova la finezza necessaria per allargare la nostra comprensione della Shoah.
Nello stesso tempo, il suo approccio allegorico mette in luce dei problemi che restano impliciti
nelle nostre rappresentazioni abituali dell'atroce».
L'ANGOLO DI PAOLO. Attenzione all'autostima. Dico a ciascuno di voi di non sopravvalutarvi,
ma di valutarvi invece in modo giusto (Lettera ai Romani 12, 3). Non giudicare. Accogliete chi è
debole nella fede, senza criticare le sue opinioni (ibid. 14, 1). Il regno di Dio e i tabù. Il regno di
Dio non è fatto di questioni che riguardano il mangiare e il bere, ma esso «è giustizia, pace e gioia
che viene dallo Spirito Santo» (ibid. 14, 17).
31 dicembre 1998.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Temperamento e formazione umana. L'insieme delle disposizioni
congenite costituiscono la scaletta mentale di un uomo; ma lungo la sua esistenza storica, ciò che
conta e che fa di lui una persona è la capacità di scorgere nel proprio temperamento l'ostacolo da
superare e insieme il punto su cui far leva. Dunque si deve scegliere in primo luogo fra le nostre
stesse tendenze per elevare a dignità di valore morale le ambizioni generose e il desiderio di bene
che ci portiamo dentro (Levi Appulo). L'accettazione fraterna. L'amore reciproco delle persone
nasce dall'accettazione fraterna delle legittime differenze (Levi Appulo).
Disgrazia postuma inevitabile. Se muore un grande artista o intellettuale in tv si celebrano infiniti
funerali con uso di spot dove gli amici dipingono la buonanima come un fesso qualsiasi, pieno di tic
e hobby, amante della Nutella, e guai a chi parla del significato dell'opera. L'essenza, l'alto, l'oltre
non esistono più (Curzio Maltese).
DISTINGUERE FRA SOCCORSO ALLE VITTIME E CACCIA AI CRIMINALI. Saettano con i
gommoni fin sottocosta, buttano in mare il carico di mamme e bambini, virano in velocità e si
dileguano nelle tenebre. Ormai è il bollettino fisso dei telegiornali che completano la notizia con
l'elenco dei profughi soccorsi, a volte annegati, sempre assiderati, spesso depredati da chi già li
aveva vessati con pedaggi di rapina. Benedetti carabinieri, poliziotti e finanzieri che salvano le
vittime, avvolgono amorevolmente i bambini in coperte asciutte, accompagnano quei disgraziati nei
centri di accoglienza.
Ma, Domine Iddio, perché non alzano un mignolo contro gli scafisti sterminatori? Quante volte ci
siamo ribellati a certe riprese televisive: si vede un gommone illuminato da un faro (di elicottero, di
una motovedetta?) ma tutto finisce lì: come in una gara di offshore. Certo non dipende dai nostri
militari. Ma dagli ordini che ricevono. Domandiamo allora ai nuovi ministri dell'Interno e della
Difesa: perché in terraferma un criminale in fuga viene inseguito, la polizia spara alle gomme, e se
viene catturato, finisce in galera? E diversamente questi fuorilegge di mare (spesso rei di omicidio,
di rapina, di violazione delle acque territoriali) godono di una scandalosa immunità? Lo Stato
italiano è in grado di allestire imbarcazioni più veloci dei famigerati gommoni albanesi? Di
installarvi radar e congegni a infrarossi per localizzarli nelle notti senza luna? Lo Stato italiano,
soprattutto, ritroverà la lucidità di mente per distinguere fra compiti umanitari (soccorso alle
vittime) e doveri istituzionali (caccia ai criminali)?
L'Italia è la sponda più esposta d'Europa ed è giusto chiedere ai nostri partner di assumersi oneri e
responsabilità nell'affrontare un'immigrazione di proporzioni bibliche. Ma i nostri partner ci
possono chiedere se abbiamo paura di cento scafisti e se ne incoraggiamo con la nostra inerzia la
spavalderia di questi delinquenti (Luca Goldoni, Sette del 5 novembre 1998).
OBBEDIENZA E IRRESPONSABILITÀ: IL «CASO VICHY» (E GLI ALTRI). Gli orrori che
abbiamo visto e quelli che vedremo non sono per nulla il segno che il numero dei rivoltosi, degli
insorti, degli indomabili aumenta nel mondo, ma ben piuttosto che cresce di continuo, con una
rapidità stupefacente, il numero degli obbedienti, dei docili, degli uomini che non cercano di capire
e coniugano, come meglio possono, obbedienza e irresponsabilità.
«Che volete? Non sono responsabile!». Ecco la scusa-tipo valida in qualunque caso! Migliaia di
bravi uomini del mio paese l'hanno intesa dalla bocca del poliziotto e del gendarme di Vichy
durante l'occupazione tedesca. Questi poliziotti, questi gendarmi erano loro compatrioti, spesso
anche loro vecchi camerati. Ma che importava? Che Pétain fosse divenuto capo dello Stato con una
vera truffa e nelle condizioni più disonoranti per un militare, vale a dire a causa della rotta, al
poliziotto o al gendarme non interessava.
«Non ti offendere, diceva il gendarme di Vichy al suo compatriota, se ti consegno alla polizia
tedesca, che dopo averti torturato scientificamente ti fucilerà; che vuoi? Il Governo mi ha dato un
posto e non posso naturalmente rischiare di perderlo». Ebbene nessuno, a guerra finita, ha pensato a
dar noia a questo poliziotto o a quel gendarme, a questo bravo servitore dello Stato (Da: La Francia
contro la civiltà degli automi di George Bernanos).
L'ANGOLO DI EDITH STEIN. Tre grazie. Signore, dammi / tutto ciò che mi conduce a te. /
Signore, prendi / tutto ciò che mi distoglie da te. / Signore, strappa me da me stessa / e dammi tutta
a te (Da La scelta di Dio [Lettere 1917-1942], Città Nuova, Roma 1973).
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DETTI E CONTRADDETTI 1998 – ° SEMESTRE Rubrica