Del Ben Giorgio 2°
Data di nascita: 25 ottobre 1925
Intervista rilasciata in italiano nel luglio 2004
Intervistatore: Michela Tonon
(Lettura di una memoria scritta)
Io sottoscritto Giorgio Del Ben nato il 25/10/1925, assunto al lavoro in Cotonificio Veneziano come
apprendista meccanico nel 1940 e mi sono dimesso dopo 39 anni di lavoro, nel 1979 per ragioni di
salute. Dopo diversi anni mi viene chiesto di ricordare qualche episodio vissuto a quei tempi. Per
prima cosa dirò che a quel tempo c’era la sirena che suonava diverse volte al giorno per annunciare
l’inizio e la fine del lavoro. Quando gli operai entravano per recarsi al lavoro, in portineria c’erano
dei pannelli con appese delle medaglie numerate di ogni operaio che doveva togliere e depositare in
un’apposita cassetta e in seguito il portinaio le controllava per segnare la presenza degli operai. I
cartellini individuali sono stati introdotti molto tempo dopo.
Terminato l’orario di lavoro, all’uscita tutti gli operai e le operaie venivano controllati da un addetto
della portineria; donne e uomini venivano sottoposti alla “palparessa”. Ricordo delle belle gite
giornaliere in pullman alle quali partecipava tutta la maestranza; erano molto belle e divertenti.
Sono stati fatti a quei tempi molti scioperi, con dimostrazioni in piazza, per questioni economiche
con comizi condotti dalle commissioni di fabbrica.
All’interno di ogni filatura c’erano spacci alimentari che hanno funzionato bene per diverso tempo,
poi all’improvviso lo hanno chiusi; erano gestiti dagli operai. All’interno avevamo pure
un’infermeria con un’infermiera sempre presente anche ventiquattro ore, quando si faceva orario
continuato.
Non si può dimenticare che esisteva pure la cucina, gestita in parte da suore che davano un primo
piatto molto importante per quei tempi di magra.
Ricordo che durante l’estate veniva distribuito nei reparti l’acqua con anice dissetante.
Ogni quindici giorni venivano consegnate dal capo sala le buste paga agli operai. Ricordo pure che
ogni anno all’epifania veniva dato un pacco dono ai bambini degli operai all’interno dello
stabilimento.
In filatura ogni macchina era munita di un contatore che segnava le produzioni di ogni operaia che
ad ogni fine turno il capo reparto rilevava.
La filatura era composta da circa diecimila fusi produttivi. I singoli reparti comprendevano:
l’apriballe di cotone, i battitoi, le carde, gli stiratoi, i banchi e infine i filatoi (rings).
C’erano pure i reparti complementari che comprendevano: ritorcitura, roccatrici e aspatura, infine il
reparto confezioni per le spedizioni dei prodotti finiti.
Un triste racconto che non si può dimenticare è stato nel 1955: al rientro delle ferie abbiamo trovato
i cancelli chiusi, il lavoro è rimasto fermo per circa tre mesi.
La ripresa delle attività è avvenuta purtroppo con personale e produzione ridotto.
A quei tempi stavano costruendo una sala nuova per i filatoi, con condizionamento moderno; le
macchine di allora non andavano più bene e venivano sostituite con nuovi macchinari. Nonostante
questi macchinari dessero una buona produzione dopo un lungo periodo anche queste venivano
sostituite con i famosi open hand (B.D) provenienti dalla Cecoslovacchia, tutt’altra cosa ai filatoi
tradizionali. Questo ha portato una riduzione della maestranza. Dopo aver subito la cassa
integrazione parte di operaie e operai sono stati assunti alla filatura di Rorai. Non si può neanche
dimenticare l’alluvione del 1967, sembrava la fine della filatura, è stato solo con il sacrificio e la
capacità della maestranza che la filatura ha potuto riprendere progressivamente la produzione.
Lei mi parlava della sirena, quando iniziava a suonare?
Prima della sei del mattino perché nei primi tempi si facevano due turni: dalle sei alle quattordici e
dalle quattordici alle ventidue.
La sirena cominciava a dare il primo segnale verso le sei meno un quarto per l’inizio del turno delle
sei, poi alle sette e mezza per gli operai che lavoravano a giornata, poi a mezzogiorno all’uscita e
poi all’una e mezza quando gli operai riprendevano, poi alla sera alle dieci all’uscita. La sirena in
entrata e in uscita suonava un po’ prima per dare un avvertimento dell’orario.
Se un operaio arrivava in ritardo cosa succedeva?
Veniva richiamato dall’assistente o dal capo sala, oppure si faceva la multa.
Che tipo di multa? Doveva lavorare un po’ di più?
No, c’era una bacheca dove l’assistente segnava le multe che consisteva in cinquanta lire.
Queste multe venivano date dalla portineria o direttamente dal reparto?
In un primo momento venivano date dal portinaio poi dall’assistente.
Cosa vuol dire “palparessa”?
E’ una parola dialettale, era proprio chiamata così: le operaie che facevano orari spezzettati e che
entravano e uscivano più volte al giorno venivano letteralmente palpate in uscita e controllate che
non portassero fuori dal cotonificio spolette di filato.
E gli uomini?
C’erano i portinai e, a volte anche il titolare, che perquisivano gli operai per controllare che non
portassero via per esempio delle viti ecc, (se autorizzati potevano portarsele a casa).
Mi parli dello spaccio alimentare.
C’era su tutti gli stabilimenti, si trovava perfino la legna. Gli operai che non avevano abbastanza
soldi potevano acquistare i prodotti e trattenerli dalla busta paga. Oltre che alimentare c’era anche
abbigliamento per uomo donna.
Abbigliamento prodotto dal cotonificio?
No, abbigliamento esterno.
Questi spacci erano gestiti dalle commissioni di fabbrica formate da operai; però dopo molti anni
sono stati chiusi.
Facevano buoni sconti?
Non era tanto per gli sconti ma perché c’era appunto la possibilità di acquistare “senza soldi”.
La paga ogni quanto veniva data?
La paga era chiamata “quindicina”, perché ogni quindici giorni il capo sala la distribuiva agli
operai;
Eravate pagati in contanti?
Si, sempre contantie e se c’era qualche errore bastava farlo presente.
Le ore venivano segnate sia dalla portineria che dal capo reparto.
Per quanto riguarda il pacco dono per l’Epifania?
Ai figli degli operai veniva dato un pacchettino di tela (fatto in cotonificio) con dentro qualche
caramella o piccolo giocattolo. I genitori portavano i figli nel refettorio dove c’era un dirigente che
li accoglieva, faceva un piccolo discorso e poi, provvedeva alla distribuzione dei doni.
Questo in che anni? Oppure era una tradizione?
E’ una tradizione che è nata con il tempo.
Che cosa sono le roccatrici?
Erano delle macchine che servivano per fare dalla bobina le rocche.
Che cos’è l’aspatura?
Dalle spole si facevano delle matasse.
Ha parlato anche di rings…
C’era la preparazione e la filatura; quest’ultima si faceva con il rigs. Erano le macchine da dove si
ricavava il filato, dallo “stoppino” (lucignolo) veniva ricavato il filo.
Le operaie seguivano il lavoro di questa macchina perché dovevano sostituire le spole e attaccare i
fili che si rompevano.
Veniva filato solo il cotone o anche altre fibre?
C’era il cotone e le fibre artificiali, c’erano i colorati e il nero.
Le operaie poverine dovevano stare con settantacinque percento di umidità e 38 gradi di caldo
vestite con la cuffia in testa e il grembiule.
Il filato nero si lavorava separatamente dagli altri filati perché c’era il rischio di sporcare tutto il
resto.
Lavoravamo anche del nylon perché si diceva che avrebbe sostituito in futuro il cotone.
Si lavoravano anche i misti e sintetici.
Com’era il filato appena uscito dalla macchina, era piuttosto grezzo?Che dimensioni aveva?
Il prodotto finito veniva mercerizzato a Fiume Veneto, dove venivano lavorati cotoni e filati più
pregiati con fibre più lunghe e fini. Vi si lavoravano “titoli” (grossezza di filo) molto più leggeri,
per fare calzini e prodotti più costosi.
Il nostro cotone a Pordenone invece aveva dimensioni più corte, lunghe circa un pollice e più
grezzo. Veniva infatti, da diverse parti dell’Europa. Il cotone lavorato, spesso, non era della stessa
qualità; se ne usavano dunque diversi tipi dai quali si ricavava un filato molto grosso che serviva
per fare la tela delle lenzuola, di federe, la tela all’uovo per fare le camicie da notte, quest’ultima
però solo su richiesta, visto che era Fiume Veneto che generalmente lavorava questo tipo di filato
pregiato.
C’era anche uno spaccio di vendita all’interno della fabbrica dei prodotti lavorati in Cotonificio?
Si poteva fare richiesta in tessitura per avere della tela, che veniva data a prezzi ridotti e l’importo
veniva detratto dalla paga.
Ha parlato di condizionamento…
Sono stati fatti molti cambiamenti di macchine nel corso del tempo. Tanto in tessitura quanto in
filatura erano stati fatti due grossi capannoni dalla parte con il confine verso il seminario. Hanno
fatto due saloni grandi, senza nemmeno una colonna nel mezzo e c’era l’impianto di
condizionamento: si figuri che i motori dentro, erano alti due volte queste stanze qui; erano degli
impianti giganti in cui si entrava da porte blindate quando c’era l’aria. L’aria veniva buttata dentro
regolata nel grado di umidità.
C’era tanta polvere che veniva alzata?
Sì, oltre a questi che buttavano dentro l’aria, c’erano i motori di aspirazione, perché doveva
circolare l’aria; ogni 10 macchine, sul pavimento c’erano dei motori di aspirazione, però sopra le
macchine c’era un ventilatore volante che andava su e giù, ogni otto macchine, la cui funzione era
di buttare giù dalla macchina la polvere facendo da scopa verso canali che aspiravano ed avevano
dei filtri.
Gli operai che lavoravano mentre avveniva questo filtraggio dell’aria venivano colpiti dai getti di
acqua?
No, non c’entra, la macchina buttava solo aria umida…
Lei ha parlato anche del termine “pignone”, era un nuovo tipo di macchina?
Noi avevamo molti tipi di macchine. Ad un certo punto hanno sostituito una ventina di macchine
con questo tipo detto “pignone” che venivano fatte a Sestri, vicino Genova; era una macchina che
assomigliava alle tradizionali, ma avevano una cilindrata, struttura, grandezza più innovative. Erano
le prime sostituzioni che venivano fatti ai filatoi vecchi. Ad esempio ho visto il nome di quella
signora, quella lì lavorava su una macchina “ariete”
Ed il marito, ci ha detto che il padre faceva l’autista. Lei lo ha sostituito?
Io ero l’aiutante di quello che faceva l’autista al sig. Zuppinger; come le ho detto era stato assorbito
per andare in sala perché era sprecato a far l’autista, allora hanno messo questo. Io facevo già
l’autista per il sig. Mezzler, l’ispettore, ma cercavano l’autista per sostituire quello di Zuppinger e
allora hanno visto che in officina c’era uno che in precedenza faceva già l’autista per una contessa
di Cimpello, e gli hanno messo a posto la patente e la documentazione ecc. Io gli consegnai la
macchina, perché facevo l’aiutante. Questo ha fatto l’autista per un bel periodo di tempo, poi ha
avuto un piccolo incidente, e siccome non era nelle grazie del direttore dopo l’incidente è tornato in
officina.
Lei ha detto che era l’autista di Mezzler, era un ispettore bulgaro, questo significva che andava a
prenderlo?
La casa dove c’era la sede dei vigili urbani, era stata fatta, proprio per Mezzler; davanti c’era la villa
di Scaramelli il direttore, e dietro hanno fatto la villa per lui e mentre gliela costruivano, stava in
una villa dentro lo stabilimento di Rorai, in tessitura. Alla mattina lui usciva di casa ed andava in
stabilimento che era lì vicino, ma poi io lo portavo quando doveva andare a Rorai, a Torre, a Fiume
Veneto, a Venezia perché lui andava a fare gli ordini.
Per quanti anni ha fatto l’autista?
Per tre, quattro anni, ma ero sempre lì che insistevo con questo ispettore “Lei ha una certa età, io
sono ancora giovane, cosa faccio io quando lei non c’è più?!?” allora insistevo perché mi
mandassero in preparazione in filatura, perché ero già stato in precedenza, con quello che dicevo
che aveva fatto l’autista e allora a forza di “dai, dai, dai” mi rimandarono in filatura.
Quando è morto Zuppinger, il suo autista, che aveva un grado più di me è passato autista a Mezzler,
anche perché io andavo via con una Balilla, lui aveva delle macchine più pregiate, allora io sono
rimasto l’autista di scorta e sono andato in sala e lì mi sono affrancato sulla revisione delle
macchine e dopo ero in grado di fare quello che in officina non ero in grado di fare.
La sua mansione consisteva solo in guidare, o anche tenere in ordine la macchina?
Allora il sig. Zuppinger aveva un’Aprilia che l’avevano requisita i tedeschi, mentre la Balilla
l’avevano presa i partigiani. A guerra finita, siamo dovuti andare a riprendercele e si trattava di
rimetterla a posto; allora sapevo a maneggiare perché non c’era tutta l’elettronica che c’è adesso a
quel tempo c’era un macchina meccanica, con spinterogeni, con una bobina, …
C’era una divisa per le donne, che erano in maggioranza?
Sì, c’era un grembiule che passavano annualmente e una cuffia che, anche se a qualcuna dava
fastidio perché faceva i ricci e rovinava la capigliatura, c’era il pericolo che chi aveva i capelli
lunghi abbassandosi per attaccare i fili, andasse dentro nei cilindri coi capelli.
Poi si dava una tasca, che si allacciava attorno con uno spago e sul vetro; c’erano due tasche: su una
tasca quando si sostitutiva lo spolone sopra, restava lo stoppino e si metteva su quella, anche i resti
del filo; nell’altra i rottami che la macchina faceva, in fondo della macchine, c’era una cassetta
divisa in tre, quattro scomparti dove si svuotavano le tasche e poi una donna passava e lo
raccoglieva e andava a finire dove c’erano le presse e diventavano balle di rottami e stoppini. Tutto
veniva recuperato, anche la polvere che cadeva sotto veniva imballata poi andava sui cascamifici
c’era qualcuno che li adoperava.
Mi hanno parlato di “saccoccia”, era questo grembiule, questa tasca?
Brava! Ha detto il nome giusto! Tante volte un’operaia mi diceva “ mi dia una sacchetta”, perché
magari si era rotta, perché come minimo ne aveva due “cava e meti” (togli e metti).
Questo grembiule è più verso gli anni ’70, sempre o da quando aveva iniziato lei?
No, no, è sempre stata! Solo che ultimamente andavano vestite come volevano, ma la saccoccia c’è
sempre stata, perché in un modo o nell’altro l’operaia che lavorava sullo stoppino o sul filato, aveva
bisogno di questa, non poteva prendere ed andare a portare un po’ di cotone chissà dove, doveva
avere il modo di tenerlo in tasca.
Prima lei mi ha parlato di una cuffia per i capelli, perché c’era il pericolo di incidenti…
Era pericoloso per i capelli delle donne, perché intervenendo sulla rottura dei fili, per la riparazione
dei fili, abbassandosi, se non avessero avuto questa protezione, i capelli potevano avvolgersi nei in
questi movimenti nei cilindri, nei fusi che c’erano sopra ed era pericoloso.
Ci sono stati altri incidenti? Qualcuno che si è fatto male alle mani o cose del genere?
Io ho visto uno morire con l’impianto elettrico, lei ha presente un senatore… alla Camera, Vetturi,
del partito comunista, adesso è il figlio in politica…
Un deputato?
Ecco brava! Non mi veniva in mente… un fratello suo, più piccolo, faceva l’elettricista. Mi ricordo
che è andato sotto ad una macchina in riparazione, c’erano spesso dei guasti, ha messo le mani sui
fili ma è rimasto lì, abbiamo fatto le respirazioni, ma è rimasto lì. Un altro ragazzo invece l’ho
salvato, gli ho tirato la lingua con la pinza, perché ha preso una scossa anche quello, e siamo riusciti
a maneggiare il cuore finché ha tirato un grido, che gli ho dato una sventola dicendo “beh adesso
urla fino a domani!”. Se ad esempio ad una donna veniva un malessere, e la donna andava in
infermeria, l’infermiera diceva “questa qua bisogna che vada a casa e vada a letto”; allora
chiamavano dal direttore e mi mandavano ad accompagnarle a casa. Ma dopo una volta che ho
accompagnato a casa uno e la macchina si è sporcata di sangue, dopo quella volta non mi hanno
fatto più andare e chiamavano l’ambulanza, anche per una stupidaggine.
Perché immagino fossero frequenti i malori, con quella temperatura alta e quell’umidità…
Sì c’era sempre un’infermiera lì…
24 ore su 24…
Anche se si faceva il turno a rotazione (poco chiaro????), si faceva 2 turni. I turni andavano dalle 6
alle 22 della sera e poi quelli della giornata e la notte era ferma.
Quindi se qualcuno si assentava dal posto di lavoro, veniva sostituito?
No, se prendiamo ad esempio il rigs , c’era la titolare della macchina e poi quando dalla macchina
lo stoppino veniva fuori di una certa grossezza, allora dovevano fermar la macchina e fare la levata,
cioè quando le spole erano piene fin sopra bisognava levarle. Allora c’era il gruppo di “cavalevate”
(????) con la maestra, ne aveva 5 o 6 sotto di lei ogni turno; quando c’era la levata pronta, la titolare
con un fischietto faceva un fischio, queste cavalevate venivano di corsa, se erano libere, altrimenti
la titolare doveva aspettare perché potevano essercene due o tre in contemporanea, potevano essere
richiamate e loro dovevano andare a rotazione e alla svelta, perché il contatore della macchina non
segnava e alla fine del turno il caporeparto prendeva la produzione e chiedeva “perché la macchina
è rimasta ferma?”. Quando succedeva una rottura, o una fermata per qualsiasi ragione, bisognava
annotare in un libro che la macchina tot. é rimasta ferma per tot minuti per questo motivo; Però
questo gruppo di cavalevate, facevano le levate, tanto in preparazione che in filatura.
Chi è che segnava in questo registro la macchina che stava ferma?
Sempre l’assistente, il caposala aveva altre mansioni.
Lei ha iniziato come autista, poi ha fatto l’assistente?
No, prima ho cominciato in officina, poi per un periodo di tempo, come le ho detto ho seguito
l’autista del direttore generale, lui é stato assorbito dalle sale e allora ho fatto io l’autista, ma per
poco perché poi è stato preso quello che le dicevo, io ero un po’ il supplementare. In seguito io sono
andato nelle sale di revisione e poi sono andato sui rigs, dove facevo l’assistente per una decina
d’anni, nel frattempo mi hanno mandato a Venezia per fare un montaggio e spostamento di
macchine, perché io le conoscevo, avevo acquisito il mestiere. Da lì c’erano 2 capisala, uno è
rimasto lì, l’altro è andato via per (non chiaro????) ed io come da assistente ho preso il posto da un
pensionato, anche da capo sala ho preso il posto da un pensionato.
Prima mi ha detto che il funzionamento delle macchine lo conosceva solo lei, la mandavano anche
a fare corsi di aggiornamento?
No, no, si facevano dei seminari. Quando facevo l’assistente andavamo via in 5, 6 per stabilimento,
andavamo in Lombardia, si facevano questi seminari per venire messi al corrente delle innovazioni,
ed ognuno faceva delle domande “io ho fatto quella modifica ed ho trovato dei miglioramenti…”
ognuno portava la sua esperienza, ma io la mia capacità, la mia professione l’ho acquisita con tanta
volontà, studiando dai libri, e stando a fianco di persone che sapevano lavorare. Ero in grado di
conoscere la macchina dalle revisioni che facevo, gli altri magari avevano delle capacità superiori
alle mie ma non erano in grado di fare quel lavoro lì, perché io mi ero come specializzato in quel
settore lì.
Sempre nel suo scritto, lei dice di aver fatto tante gite con lo stabilimento…
C’era il Cral (dopolavoro) di Torre, c’era Scaramelli che era il responsabile di questo Cral ed
organizzava delle gite. Ricordo quelle al lago di Misurina o ad Auronzo; la gente si prenotava e
venivano fatti anche 6, 7 pullman si partiva alle 6 della mattina, alla portineria del C., c’erano
ragazzi e ragazze, c’era allegria, si portava via il pranzo al sacco e si tornava alla sera, felici di aver
passato una giornata in gita. La partecipazione ti veniva trattenuta dalla paga, siccome non c’era una
gran disponibilità, ed era possibile anche frazionarla.
Sono nate tante storie d’amore tra le persone che erano nate lì?
(non chiaro??????)
Queste gite erano un modo per conoscersi, c’erano altri occasioni per vedersi fuori dal lavoro?
All’uscita delle 22, quando c’era l’orario continuato che lavoravano anche di notte, specialmente
negli ultimi tempi, i turni erano frazionati e la maestranza era dimezzata perché le macchine erano
moderne richiedevano meno personale. Al contrario per i primi tempi, quando che c’era un’operaia
per ogni macchina, i turni erano solo 2 e la gente era tanta, e quando uscivano a mezzo giorno, se
c’era un gatto che voleva passare in portineria, non riusciva nemmeno a passare perché la gente che
usciva a piedi o in bici era tanta! Alla sera specialmente c’erano tante ragazze e c’erano macchine,
biciclette sul bordo della strada che aspettavano o la moglie o la ragazza. Sa, allora non c’erano
discoteche, e un’occasione d’incontro era quando si usciva dallo stabilimento o al mattino prima di
entrare, anche se c’erano sempre alcune ritardatarie, la maggior parte arrivava circa un quarto d’ora
prima e aspettava che aprissero i cancelli: si ritrovavano in tanti lì fuori; dentro c’erano tanti reparti:
reparto officina meccanica, reparto elettricisti, reparto muratori, allora a mezzo giorno c’era tanta
gente che usciva. Poi c’erano gli uffici: l’ufficio manodopera, l’ufficio spedizioni, l’ufficio
tecnico…Ultimamente, quando sono venuto via io, c’era una donna a cui davamo i cartellini già
pronti, faceva tutto con una persona sola.
Con i tedeschi era cambiato il sistema di lavoro?
Una volta c’era tanta miseria, tante famiglie nei negozi di alimentari, non andavano con i soldi,
andavano con il libretto e segnavano gli acquisti sul libretto. Quando arrivarono i tedeschi, che
venivano dentro anche in fabbrica con i loro camion, anche a prelevare dai magazzini merce che
bisognava poi pagare, venne costituito un ufficio che aveva annunciato che per quegli operai, che
avevano dei debiti in questi negozi coloniali, bisognava che i negozianti presentassero la lista dei
debiti, specificandoli, ed i tedeschi pagarono tutti i debiti. Mi ricordo che entravano in cucina e
portavano le verze-zucche per fare il minestrone…
Facevano spesso il tesserino a chi lavorava, ma nessuno mi ha mai importunato o costretto a far
qualcosa; i tedeschi venivano anche dentro in magazzino a prelevare i tessuti che poi pagavano.
Quando c’era l’allarme toccava scappare, avevamo i rifugi, ma erano vuoti, perché la gente
scappava dalla portineria ed andava fuori. Anche dalla parte del seminario, era stato fatto un
cancelletto che era un’uscita più spiccia, perché qualche volta capitava che suonava l’allarme e gli
aerei erano già sopra la portineria, magari capitava che facevano una mitragliata e allora gli operai
andavano fuori in parte di qua ed in parte di là. Poi c’era il pre-allarme dei caccia che volevano solo
bombardare il ponte della ferrovia, ma anche con quelli spesso arrivavano prima gli aerei che
l’allarme, ma la gente non stava nel posto di lavoro perché aveva paura, sentendo gli aerei sopra.
Allora sopra la specola c’era una campana ed un interruttore collegato alla parte elettrica sulle sale,
a turno, fra l’altro ci sono andato anche io, si andava sulla specola e se si sentiva il rumore dei
caccia, si batteva sulla campana con un martello e tutti sapevano e scappavano fuori. Ma poi si
facevano dei segnali sulle sale con le lampadine rosse(non chiaro?????). Prima dell’allarme quando
c’erano questi aerei all’improvviso, la gente usciva fuori lo stesso, quando poi magari c’era il preallarme e gli aerei davano il cessato allarme, allora la gente tornava sul posto di lavoro, se non c’era
allora si dava il segnale noi da sopra “Non ci sono più!”. Ho visto tanti bombardamenti io…
Ma questa specola dove era posizionata?
Era sopra l’orologio, c’era una bella visuale attorno, dove c’erano i merletti. Quando c’erano i
bombardamenti in via Nuova di Corva, in via Selvatico… Quello che infastidiva non ero lo scoppio
ma quanto il fischio di quando venivano giù… Facevano un crepitio insopportabile. Ogni tanto
capitava che le donne approfittavano delle uscite per scappare in strada con le spole, con cui poi
facevano canottiere, mutande.
Parlavano degli scioperi “a singhiozzo”, come erano visti questi scioperi?
C’erano i sindacati della sinistra e c’erano i sindacati liberi: non sempre il sindacato libero era
d’accordo con il sindacato della sinistra, allora quando il sindacato libero non partecipava allo
sciopero era oggetto di mitragliamento degli altri…Allora lo scioperante non si accaniva più con il
datore di lavoro o contro chi rivendicare i diritti del lavoratore, ma si accaniva contro chi non faceva
sciopero, era una lotta fra sindacati. Veniva chiesto chi aveva scioperato, c’era una rivalità forte fra
CIGL e sindacati liberi. Durante questi scioperi si andava nella piazza XX settembre in corteo, il
sindacalista entrava nel palco a fare la sua esposizione, il motivo per cui c’era sciopero, poi la gente
ritornava in fabbrica. Alcuni scioperi, venivano fatti dentro in mensa: c’era un sindacalista che
metteva al corrente dei risultati ottenuti o meno; ogni mese, ogni periodo di tempo veniva data
un’ora in cui veniva fatta un’assemblea simile per mettere al corrente i lavoratori su cosa era stato
ottenuto.
C’erano delle ripercussioni anche sullo stipendio, per questi scioperi? Vi veniva tolto la parte
relativa a quelle ore in cui avevate scioperato?
Sì, il tempo che non si lavorava, veniva tirato via, a chi lavorava veniva lasciato, ma non era una
cosa che si andava a sbandierare!
Adesso racconti lei qualcosa che si ricorda, è libero di scegliere…
…Se mi dà lo spunto di che cosa parlarle sarebbe meglio!
Sarebbe disposto anche a fare altri incontri?
Sì certo, anche l’altra signora me l’ha detto e mi ha chiesto se ero disponibile ad accompagnarli
dentro allo stabilimento. Ora non ci sarà più nulla, hanno smantellato tutto, ci saranno solo i muri
rotti, ma saprei indicare “qui c’era questa macchina qui… lì l’altra…”.
All’altra signora ho raccontato della macchina apri-balle o “rompi-balle”…Da quella macchina,
circa a 15 m si mettevano le balle di cotone che venivano miscelate tramite degli impianti di
aerazione ecc. su alcune celle, finché erano piene… da lì il cotone veniva buttato dentro ad altri
buchi che veniva aspirato e mandato sui battitoi per fare delle tele. Spesso il cotone prendeva fuoco,
perché sull’apri-balle c’era un rullo calamitato che attirava tutti i corpi estranei fermi, se lasciava
passare qualcuno di questi corpi estranei entravano nei rulli rotatori, facevano una scintilla che
provocava lo stesso effetto di una scintilla sulla benzina, poi portava il fuoco in altri parti. Tutte le
volte che accadeva intervenivano i pompieri ed era un lavoraccio, perché bisognava smontare le
macchine ed asciugarle; parte del cotone andava buttato sul macero ed un’altra parte che si poteva
recuperare, veniva messo all’aria. Nei magazzini, dove c’erano delle pile di cotone, distinti da un
cartello che indicava il tipo di cotone, “egiziano”, ecc. un carrellista andava a prendere le balle e le
portava in un luogo in cui venivano aperte perché erano avvolte da yuta grezza e veniva riposto in
graticci per miscellarlo.
Lei ha parlato di celle, altre persone hanno parlato di celle, ma dicevano che una volta riempite
con dei fusi, venivano chiuse ermeticamente per gettare dei gas che andavano a sbiancare il
cotone… Le risulta questa cosa?
No non mi ricordo…
Forse mi confondo con la filatura…
Come le ho detto, le celle, ce n’erano una decina, erano dei contenitori che tenevano in deposito il
cotone che veniva dall’apri-balle e una volta riempite, con il forcone veniva preso il cotone e lo si
mandava dentro ad un dispositivo che lo aspirava e lo mandava nei battitoi da cui uscivano le tele,
da 15-17 kg. Queste erano le celle della filatura, poi c’erano altre celle… Forse parlavano di Fiume
Veneto?
Sì, è possibile, magari mi confondo con altre persone… Mi racconti un po’ di lei, della sua famiglia
lei era l’unico che ha lavorato al Cotonificio?
No, io sono entrato che avevo 15 anni ed avevo una sorella, del ’22, io sono del ’25, che è entrata
dentro e lavorava in “binatura”, dove si abbinavano i fili. Noi la chiamavamo binatura, mentre in
realtà si chiamavano “roccatrici”: dalla bobina si facevano le rocche ed anche lei ha lavorato tanti
anni lì. Mia moglie l’ho conosciuta che lavorava sui banchi. Quando andavo a lavorare io, andava a
lavorare anche lei, dopo che ci siamo sposati dopo 13 mesi è nato il figlio ed io ho avuto il
passaggio di qualifica da operaio ad assistente, mia madre mi ha detto “tienila a casa, adesso che c’è
una paga sicura”, perché quella volta la paga da assistente era una buona paga come oggi quella
della banca. Se in giro vedeva una casa un po’ distinta dalle altre, era sicuro che quella era di un
assistente, era ben trattato. Mia moglie ha lavorato per 11 anni in fabbrica, poi le ho aggiunto io
quattro anni di marchette facoltative e così ha percepito la pensione minima [discorso su
Berlusconi].
Facevate gli stessi orari di lavoro lei e sua moglie?
No perché lei faceva i suoi turni in sala, io in officina facevo la giornata, poi quando io ho iniziato a
fare l’autista gli orari non si contavano, ero sempre a disposizione.
Quando ha partorito sua moglie, è rimasta a casa dopo il parto o è tornata subito a lavorare?
Per legge chi partoriva, aveva diritto di stare a casa, un mese prima del parto e tre mesi dopo, non
come adesso che hanno tante agevolazioni! Si figuri che ai tempi in cui ancora io non c’ero, le
operaie portavano i figli al “lattificio”, cioè una stanza per l’allattamento dei bambini, era una
stanza sotto l’orologio. Una volta non davano tanti mesi e le donne dovevano allattare, allora col
cavallo o col mulo, portavano questi bambini e li allattavano e poi tornavano al lavoro.
Adesso facciamo nomi e cognomi! Molte persone hanno nominato la figura di Riccetti e dicevano
che era un personaggio un “po’ così”…
Riccetti era un direttore che faceva soggezione solo a guardarlo, era un direttore severo, però se
qualcuno faceva il suo lavoro e stava al suo posto, aveva rispetto e lo aiutava. Non si può sempre
dire che i dirigenti fossero cattivi, erano cattivi con chi non faceva il loro dovere. Riccetti era uno
che non aveva tante delicatezze con le donne, se magari qualcuna aveva un filo che era rotto, le
venivano date certe fischiate, soprattutto a Torre questo, a Pordenone c’era Lanterna, anche lui era
fiscale se vedeva magari uno che era fuori posto, era capace anche di mandarlo a casa, ma se sapeva
che faceva il suo dovere non diceva nulla. Anche il portinaio… non creda che il portinaio d’allora
fosse gentile con le donne che passavano dentro in portineria, a quel tempo era così, oggi le donne
sono trattate come il Presidente della Repubblica, allora erano altri tempi, non c’era il sindacato che
difendeva le operaie. Nel mio periodo sì, se la direzione sgarrava con un operaio si andava subito
dalla Commissione che magari ritirava gli ordini della direzione, ma bisognava stare attenti alla
direzione… erano momenti difficili anche a fare al capo. Quelli dei tempi prima di me potevano
fare alti e bassi, ma non c’era nessuno che difendeva gli operai e potevano fare quello che volevano
e trattarli senza delicatezza. Ma ai tempi miei bastava che dicessi “non chiaro???” Su queste
macchine allora c’era un contatore, un orologio e a fine orario si rilevava i punti che era stata
immobile, allora cominciava a scritturare per ricavare la produzione giornaliera: la mandavano in
ufficio ed emergeva “tanti kg di questo, tanti kg di quello”, oltre il controllo che c’era sulle filatrici
c’era questo controllo sulla produzione manuale e non teorica.
Poi c’era il “condizionamento”: il filato veniva portato fuori dalla sala da un facchino, non lo
portava a magazzino, ma lo portava nella macchina di condizionamento, e lì c’era gli “strusciatori”
con delle spazzole, con un serbatoio sotto di acqua, buttava dentro le rocche o le spole, le portava
avanti ed uscivano dall’altra parte, lavate; c’era dell’acqua con un liquido che si metteva per
conservare il cotone. Quando mandavano via queste spole per le spedizioni, il cotone poteva essere,
“condizionato” o “ non condizionato” , perché nel primo caso doveva essere tirato via una
percentuale di “non chiaro???” mentre nel secondo caso, il peso era quello reale. Nel reparto
spedizioni, c’erano delle file di scatoloni legati, venivano aperti e fissati, e le donne mettevano
dentro le rocche di necessità e venivano sigillate. Poi c’erano i cassoni che venivano riempiti
secondo la richiesta del cliente.
Il “ritorcitoio” consisteva nell’abbinare due o tre fili in questi dispositivi, dando una certa torsione,
destra o sinistra; oppure fare anche “della torpidia”??????, per quelli che facevano le reti da pesca.
Era un bel lavoretto che dava soddisfazione, quelle macchine per la ritorcitura le faceva Savio, non
è che faceva Savio, ma le aggiornava e migliorava costantemente.
Quando si rompeva il filato, da come ho capito, certe donne intervenivano e avevano questa tasca e
annodavano, era manuale o avevano delle macchine?
Era manuale loro lo sapevano fare, per quanto riguarda la filatura in preparazione sui banchi era una
cosa manuale che si attaccava i fili, lo stoppino diciamo, sul rigs quando qualcuno entrava, doveva
essere affiancato per imparare ad attaccare i fili, bisognava prendere una certa pratica, la donna che
ha una mano più sensibile, ecco perché c’erano le donne che lavoravano dentro. In binatura sulla
roccatrice invece, quando dovevano attaccare il filo dalla rocca che si rompeva alla bobina perché
era esaurita, l’operaia era in grado di fare [“non chiaro???]negli ultimi tempi aveva una macchinetta
a mano, prendeva il filo della rocca, il bandolo, ed il filo della bobina, lo accavallava così, un
colpetto con la macchinetta e si faceva il nodo e poi lo si mandava via.
Come si chiamava questa macchinetta?
Macchinetta per fare le giunte, non aveva un nome particolare…
Quindi quando all’inizio le chiesi se conosceva la parola “singer” forse mi riferivo a questa
macchinetta o forse ho capito male la parola “rin” ? Queste signore sostituivano lo spago…
No, il procedimento era questo: nelle roccatrici, lei metteva le bobine che aveva delle cassette che
venivano riempite da una persona adatta che le spingeva su e giù dalla macchina e le spingeva,
quando la bobina si esauriva, perché la rocca le aveva assorbite, si prendeva la bobina, la si infilava
dentro, ma prima si prendeva il bandolo e lo si teneva il mano, poi si girava la rocca dov’era avvolto
l’altro filo per prendere l’altro bandolo e con la macchinetta dava un colpetto e veniva faceva il
nodo. I nodi venivano fatti per sostituire la bobina una volta esaurita per fare la rocca o per
aggiustare un filo che si era interrotto in fase di dipanamento della bobina stessa.
[…] il sig. Del Ben chiede che non venga speso il suo nome perché ha timore di potere
compromettersi dato che alcune cose le conosce solo lui come ad esempio la narrazione che segue:
d’estate quando non avevamo la sala nuova di condizionamento in cui c’era temperatura e umidità
regolata, nelle sale vecchie invece c’erano gli aerotermi, un “cassellotto” ogni 7, 8 metri sul muro
che gettavano caldo d’inverno, poi avevamo dei tubi con gli augelli, degli spruzzatori che venivano
regolati per gli spruzzi d’umidità. D’estate che c’era caldo toglievano le serpentine, che creavano
per fare il caldo d’inverno, per fare la ventilazione: per cui dagli aerotermi usciva aria ventilata per
rinfrescare l’ambiente.
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I parte - Storia Storie Pordenone