FILARMONICA
A RT U R O TO S C A N I N I
N U OV E AT M O S F E R E
Decima Edizione
Dal 14 novembre 2015 al 29 maggio 2016
Auditorium Paganini di Parma
Mercoledì 23 marzo 2016 ore 20.30
FILARMONICA
ARTURO TOSCANINI
JEAN - LUC TINGAUD
Direttore
ANNA CATERINA ANTONACCI
Soprano
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P rog ra m m a
Erik Satie
(Honfleur, 17 maggio 1866 – Parigi, 1º luglio 1925)
Comune di Parma
Provincia di Parma
Jack in the Box (6’)
(orchestrazione di Darius Milhaud)
Prélude: Assez vif
Entr’acte: Vif
Final: Modéré.
3ème Gymnopédie (2’)
(orchestrazione di Claude Debussy)
Lent et grave
Partner Istituzionale della Filarmonica Arturo Toscanini
Partner Istituzionale della Fondazione Arturo Toscanini
1ère Gymnopédie (3’)
(orchestrazione di Claude Debussy)
Lent et douloureux
Francis Poulenc
(Parigi, 7 gennaio 1899 – 30 gennaio 1963)
Sponsor ufficiale
Sinfonietta (30’)
Allegro con fuoco
Molto vivace
Andante cantabile
Très vite et très gai
Amici
Francis Poulenc
La voix humaine (45’)
Sponsor tecnici
Tragédie lyrique en un acte
texte de Jean Cocteau
Esecuzione dedicata alla prima interprete
Denise Duval
scomparsa il 25 gennaio 2016 all’età di 95 anni
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ERIK SATIE
La carriera di Satie può dare adito a interpretazioni diverse, talvolta anche conflittuali, rispetto
alla sua estetica musicale e all'intera produzione, dalle prime composizioni fino alle ultime. A
questo proposito risulta più appropriato pensare l'esistenza di Satie attraverso la metafora di
una grande arcata, la cui opera è segnata da una volontà non convenzionale di ripensare costantemente gli scopi di una nuova direzione musicale, la cui estetica fosse in netta opposizione agli
eccessi prodotti nel XIX secolo. Questo è lo spirito che muove Satie fin dalle prime composizioni.
Danza, teatro e cabaret musicale sono ambiti privilegiati sui quali, e attraverso i quali, interviene
costantemente nell'intento di mettere in discussione e scardinare la cultura dominante dell'epoca. Se da un punto di vista musicale risulta quindi difficile individuare un momento nel quale si
possa manifestare un cambiamento di rotta, da un punto di vista esistenziale questo lo si può far
coincidere con il trasferimento nel sobborgo di Arcueil, che avvenne nel 1898 all'età di trentadue
anni. Qui Satie da una parte volta le spalle al mondo, ma dall'altra pone le basi per diventare una
figura centrale nel panorama contemporaneo dell'epoca. Analizzando la sua intera produzione si
nota l'assenza di evidenti cambi di direzione nella scrittura, nello sviluppo melodico e ancor meno
nell'armonia. Il suo stile è quello che è, e non evolve in senso convenzionale. Anzi, paradossalmente, le prime composizioni fra le quali le celebri Sarabandes del 1887, armonicamente risultano
essere molto più sofisticate rispetto alle costruzioni armoniche degli ultimi balletti. Il materiale
musicale è ridotto ai minimi termini, distribuito sulla partitura talvolta con una giustapposizione di
cellule semplici su tempi binari, quasi a simulare delle danze barocche, un ritorno alla semplicità, ad
un classicismo influenzato da uno spirito moderno. (Non è casuale che Ravel, dopo aver eseguito
nel 1911 alcune delle sue prime composizioni nell'ambito dei concerti della Société Musicale Indépendante, ne intuisca la portata rivoluzionaria, al punto da considerare Satie uno dei precursori
dell'impressionismo, garantendogli in questo modo un punto di svolta per la sua notorietà). La sua
limitata tecnica compositiva, che all'età di quarant'anni lo portò ad iscriversi alla Schola Cantorum
per frequentare un corso di contrappunto e seguire le lezioni di composizione di Vincent D'Indy,
ebbe un effetto tutt'altro che riduttivo. Questo limite gli consentì consapevolmente di comporre
perseguendo un'idea di semplicità, brevità e precisione, venendo così ad introdurre delle innovazioni nella scrittura e nell'armonia tutt'altro che irrilevanti. (Non è stato forse lui l'inventore
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del minimalismo?). Nelle prime composizioni di Satie si manifesta la concezione di una scrittura
senza tempo, ma impregnata di una forte spazialità. È il caso di Ogive, uno dei primi pezzi scritti nel
1886, nel quale non c'è alcuna divisione fra le battute. L'intransigenza di un vocabolario armonico ristretto si manifesta in modo ancor più marcato nelle Gymnopédies, scritte nel 1888 e senza
dubbio fra le composizioni più note di Satie, nelle quali accordi di settima maggiore e di nona si
alternano, inanellati, senza mai risolvere, seguendo un andamento cadenzato dal carattere modale
e imprevedibile. Nessuno aveva mai osato tanto! Queste delicate composizioni che raccontavano
di un mondo antico colpirono Debussy, al punto che ne orchestrò due (la I e la III) e le diresse
riscuotendo un grande successo di pubblico, per colui che definiva «un gentile musicista medievale
disperso nel secolo». Era trascorso poco più di un anno da quando Satie abbandonando la famiglia
e liberandosi di quel “penitenziario locale” che erano stati gli anni forzati di studio in conservatorio,
si era trasferito a Montmartre. Libero da ogni vincolo e costrizione familiare, inizia a condurre
con gioia una spericolata vita bohémien, ridisegnando un nuovo personaggio, ovvero l'uomo dai
capelli lunghi in città, con redingote e cappello a cilindro, autodesignandosi “Satie - gymnopédiste”.
Nel 1899 compose tre pezzi per pianoforte dal titolo Jack-in-the-box, una pantomima su uno scenario disegnato dall'illustratore Jules Depaquit. Satie era intenzionato a realizzarne una versione
per orchestra ma, convinto di aver perso la partitura, non ebbe alcuna possibilità di dar seguito
alla sua idea. In realtà la partitura non fu mai persa: era semplicemente scivolata dietro la schiena
del suo decrepito pianoforte. Quando alla sua morte il fratello Conad, Milhaud e un paio di altri
amici entrarono nella sua squallida stanza di Arcueil, dovettero portar via due carri di spazzatura
accumulata, prima di poter recuperare scritti e documenti. Le numerose lettere rinvenute, sfortunatamente, rimasero in seguito distrutte in un incendio divampato nella casa del fratello, ma le
note e le partiture furono preservate da Milhaud.
Fu così che in occasione dei sessant'anni anni dalla nascita di Satie, Darius Milhaud realizzò l'orchestrazione di Jack-in-the-box, prodotta dalla compagnia Ballets Russes di Djagilev, con la coreografia
di George Balanchine e le scene di André Derain.
A partire dal 1890 Satie inizia a comporre dei pezzi dal sapore più orientaleggiante (Gnossiennes),
altre frutto di una spasmodica ricerca di un perfetto sistema compositivo (Rose+Croix, 1891) dal
tempo uniformemente lento, ieratico, modale, che a dispetto di quanto suggerivano i bizzarri titoli
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dei brani, erano composizioni estremamente innovative.
La sua indole anticonformista lo portò a confrontarsi con il teatro dell'assurdo, a cercare relazioni
e ispirazione da poeti, commediografi, registi. La sua attenzione agli altri campi dell'arte contemporanea fanno di lui la personificazione di quello esprit nouveau che caratterizzava la Francia in
tempo di guerra.
Il trasferimento ad Arcueil segna tuttavia una biforcazione nella sua attività compositiva e per molti
aspetti un impoverimento della qualità dei suoi pezzi. Se da una parte continua a frequentare il
mondo del cabaret (pur ammettendo di odiarlo), dall'altra avverte il presentimento di una debolezza delle sue composizioni se messe a confronto con quelle dei suoi pari illustri Debussy e Ravel.
È forse questo il motivo per il quale compone dei pezzi dove si avverte l'influenza di questi autori,
a discapito di quella forza trasgressiva che aveva manifestato giusto qualche anno prima.
Con l'ingresso in scena di Jean Cocteau, Satie entrerà in contatto con Djagilev e realizzerà alcune
importanti composizioni musicali. Le ultime due opere prodotte, Mercure con scene e costumi
di Picasso e coreografia di Massine, ma soprattutto Relâche, un balletto istantaneista ideato dal
dadaista Francis Picabia, con la coreografia di Jean Börlin e gli straordinari filmati di René Clair, gli
garantirono una visibilità straordinaria, soprattutto per lo scandalo che le rappresentazioni suscitarono in Francia.
FRANCIS POULENC
Nel 1899, anno in cui Satie scrive Jack-in-the-box, in una famiglia borghese benestante di Parigi
nasce Francis Poulenc. Il padre Emile è direttore della casa farmaceutica di famiglia (diventata poi il
gigante Rhône-Poulenc), mentre la madre Jenny Royer proviene da una famiglia di artisti-artigiani.
Una duplice eredità quella di Poulenc: da una parte la fede profonda garantita dalle radici aveyronesi del padre, e dall'altra quella sensibilità artistica che gli venne trasmessa dalla madre fin da
giovane età. Nella sua opera musicale il sacro e il profano coesistono, e pertanto è facile ritrovare
nelle sue composizioni pezzi leggeri come le Chansons gaillardes, alternati a “œuvres sérieuses”
come una Messa, un'opera teatrale o uno Stabat mater. Due sorgenti d'ispirazione che il musico-
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logo Claude Rostand sintetizzò in modo impeccabile con la celebre frase «In Poulenc c'è qualcosa
del monaco e qualcosa del mascalzone». Nonostante il suo precoce talento musicale Poulenc, per
volere del padre, fece regolari studi classici presso il rinomato Lycée Condorcet, nell'intento di
ottenere un lasciapassare per l'iscrizione al Conservatorio di Parigi. Ma a sedici anni, la prematura
scomparsa della madre e quella del padre soli due anni dopo, scompaginò tutti i suoi piani. Dal
1914 inizia a studiare con il grande pianista Ricardo Viñes, insegnante e mentore spirituale, per
mezzo del quale conobbe Auric, Satie e Falla. Durante le frequentazioni della libreria “La Maison
des Amis des Livres” di Adrienne Monnier, conobbe diversi poeti e scrittori fra cui Apollinaire,
Éluard, Breton, Aragon, Gide, Fargue, Valéry e Claudel, prendendo così familiarità del loro lavoro.
Era una Parigi straordinaria quella in cui Poulenc, ancora diciottenne, fece il suo debutto con Rapsodie nègre, un pezzo dedicato a Satie che destò perfino l'attenzione di Stravinsky. Seguirono poi i
celebri Trois mouvements perpétuels e il suo primo ciclo di mélodies su delle poesie di Apollinaire.
Sono i primi anni del dopoguerra, quando un gruppo di compositori che frequentavano i locali
di Montparnasse, legati più da una sincera amicizia che da una reale condivisione di una consapevolezza di natura estetica, danno luogo al gruppo “Les Six”. Ne fanno parte Milhaud, Honegger,
Auric, Durey, Tailleferre e lo stesso Poulenc. Tutte personalità diverse, accomunati da uno spiccato
sentimento di avversione al romanticismo, forte ironia e sarcasmo dissacratore, mossi dal desiderio di semplificazione di un linguaggio musicale, in grado di accogliere gli spunti del cabaret, del
music-hall, del jazz e perfino del circo, a scapito di quel debussismo imperante che, a loro modo
di vedere (o sarebbe meglio dire, al modo di vedere di Jean Cocteau), non rappresentava più lo
spirito del tempo. Come lo stesso Cocteau aveva sentenziato: «Nella nebbia di Debussy non ci si
può perdere come nella bruma di Wagner, ma vi si può prendere qualche malanno».
Nonostante la notorietà e il successo di alcune produzioni come il balletto Les biches commissionatogli da Djagilev, alla fine degli anni Venti Poulenc ebbe seri problemi di depressione, probabilmente acuiti dalla consapevolezza della sua omosessualità. Fu segnato dalla morte della sua amica
Raymonde Linossier, l'unica donna che avrebbe potuto sposare come scrisse in una sua lettera.
Le sue corrispondenze testimoniano la complessità della sua vita esistenziale, la cui influenza si
riverbera nella sua creatività, alternando ciclicamente periodi maniaco-depressivi a grande euforia,
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che poi diventano dubbi o soddisfazioni; un senso di ambivalenza che caratterizza la sua vita di
cattolico devoto e omosessuale, e che inevitabilmente si riverbera in molte delle sue composizioni.
(Un pellegrinaggio al Santuario Notre Dame de Rocamadour gli fece rivivere la sua fede cattolica,
da cui ebbe l'ispirazione per il pezzo Litanies à la Vierge Noire, del 1936).
Un punto di riferimento importante nella vita di Poulenc fu l'incontro con il baritono Pierre Bernac, con il quale stabilì un sodalizio che durò venticinque anni, e con il soprano Denise Duval, la
quale divenne l'interprete femminile preferita fin dalla sua prima opera Les mamelles de Tirésias,
eseguita all'Opéra Comique nel 1947. Nello stesso anno, da tre temi di un quartetto d'archi che
egli stesso consegnò alle fogne di Parigi, scrisse la sua Sinfonietta.
Negli anni Cinquanta Poulenc si dedicò alla composizione in modo fieramente indipendente,
prendendo le distanze dalle correnti principali d'avanguardia che in quegli anni si andavano sviluppando in Francia, furiose nel loro spirito iconoclasta. (A questo proposito val la pena ricordare che
mentre nel 1959 Poulenc scrive l'ultima delle sue Improvisations, dedicata a Édith Piaf, negli anni
1953-55 Pierre Boulez compone Le marteau sans maître).
In molte composizioni Poulenc passava da uno stile all'altro in modo provocatorio e irriverente, prima di intraprendere altre direzioni stilistiche. Tuttavia, come talvolta accadeva in certa sua
musica per il teatro, alcuni lavori drammatici appaiono piuttosto inconsistenti, se non addirittura
assurdi. È il caso del suo primo dramma Le gendarme incompris, un'opera non-sense di Cocteau, di
cui lo stesso Poulenc - dopo la prima - ritirò la partitura. Lo stesso vale per Les mariés de la Tour
Eiffel, un'opera scritta a più mani con gli altri cinque compositori di “Les Six”, che a sua volta fu un
grande successo di scandalo! Il riconoscimento vero arrivò con Les mamelles de Tirésias, un'opera
buffa che include una varietà di scene talvolta inconsequenziali e insensate, in un alternarsi di toni
musicali talvolta nobili, altre volte più popolari, in un perfetto spirito surrealista. Ma nelle ultime
due opere di Poulenc i soggetti diventano molto seri. Nei Dialogues des Carmélites, la cui storia
narra dei capricci delicati di un gruppo di suore condannate a morte durante la rivoluzione francese, il testo, originariamente realizzato per uno scenario filmico, è costruito da una sequenza di
brevi scene che obbligano Poulenc a discriminare faticosamente fra le linee vocali e ritmiche, fino
al suono di una singola vocale. Gli stessi problemi li ritroverà nella tragedia lirica La voix humaine
(1958), qui ulteriormente aggravati dall'avere una sola scena. Il libretto di Cocteau narra il dramma
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di una donna innamorata, sola, in una camera da letto in disordine, con una sedia bassa e un tavolo
sul quale sta un telefono. La donna a un lato della cornetta telefonica fa l'ultima conversazione con
l'uomo che ama, il quale l'ha abbandonata per un'altra. Della presenza dell'uomo dall'altro lato
del filo non si ha mai certezza, poiché non se ne sente mai la voce. La donna inizierà a parlare al
telefono spostandosi in tutte le direzioni nella stanza, trascinando con sé il filo, finché esausta non
cadrà bocconi sul letto e il ricevitore in terra.
La scrittura vocale di Poulenc è in stile recitativo e mette in evidenza le naturali inflessioni del parlato. Poulenc in quest'opera quasi rifiuta il suo precedente lirismo a favore di una maggiore frammentarietà, un approccio declamatorio della voce, nell'imitazione di una conversazione telefonica
con le consuete e frequenti pause e silenzi. Nell'opera si avverte l'assenza di motivi conduttori a
favore di una molteplicità di linguaggi musicali che rimarcano una condizione psicologica ossessiva,
una frammentazione accentuata dalle continue interruzioni della linea telefonica, in grado di provocare silenzi inquietanti, intanto che l'armonia risolve su un tragico accordo di La minore dopo
l'ultimo sospirato Je t'aime. Il tutto può essere considerato come uno straordinario affresco sulla
disperazione umana.
Poulenc non dubitò mai della supremazia del sistema tonale rispetto ad altri. Il cromatismo era per
lui solo un momento di passaggio. I colori di Poulenc, il ritmo, l'armonia, non furono mai particolarmente innovativi. La cosa più importante per lui era la melodia. Questo è ancor più evidente nelle
sue composizioni per voce e pianoforte, dove spesso i brani non cambiavano molto gli uni dagli
altri. Era come se per arrivare a una maggiore raffinatezza utilizzasse minor materiale, cercando
forme di semplificazione. Era probabilmente un riflesso dell'interesse di Poulenc per l'opera di
Matisse. Nel 1942 in una sua lettera scrisse: «Io sono perfettamente consapevole del fatto di non
essere uno di quei compositori come Igor [Stravinsky], Debussy o Ravel, che hanno rinnovato
l'armonia, ma penso che ci sia modo di produrre della nuova musica utilizzando certe invenzioni
fatte da altri. Non è stato questo il caso di Mozart-Schubert?».
Martino Traversa
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LA VOIX HUMAINE
Testo di Jean Cocteau
Preludio: (lent, mais angoissé)
LEI (si sente suonare il telefono)
Pronto, pronto… Ma no, signora, dev’esserci un contatto: metta giù… Lei parla con un’abbonata… Ma
signora, la prego, metta giù… Pronto, signorina!… (Al colmo dell’esasperazione) Ma no, qui non è il dottor
Schmit… Zero otto, non zero sette! Pronto… Roba da matti… M’hanno chiamata; non so! - Riappende,
tenendo la mano sul ricevitore. Squillo.
Pronto!… Ma signora, che cosa posso farci?… È colpa mia?… Niente affatto… Pronto, signorina!… Dica a
quella signora di togliersi di mezzo. - Riattacca. Trilla ancora il telefono.
Pronto, sei tu?… Sì… benissimo… Che supplizio ascoltare la tua voce in mezzo a tante altre… Sì… sì…
no… è proprio un caso… (Molto naturale) Son rientrata da dieci minuti… Mi stai cercando già da un po’?…
Ah!… no no… Ho pranzato fuori… da Marta… Saranno le undici e un quarto… Sei a casa?… Allora guarda la pendola elettrica… È quello che pensavo… Sì, sì, mio caro… Ieri sera? Ieri sera sono subito andata a
letto però non riuscivo a prendere sonno e ho preso una pastiglia… No… una sola… alle nove… Avevo
un po’ di mal di testa, ma poi mi sono ripresa. C’era stata Marta a fare colazione con me. Sì, sono uscita…
Ho fatto qualche commissione. Ho… (Come un grido) Cosa?… Fortissima… Sì, ho molto, molto coraggio…
E poi? Poi sono rientrata in casa, Marta è venuta a prendermi… l’ho appena lasciata… È stata molto cara. In
effetti sembra così, ma non lo è. Avevi ragione, come sempre… Il vestito rosa… il cappello nero… Sì, non
ho avuto ancora il tempo di levarlo… E tu rientri adesso?… Sei rimasto sempre in casa?… Quel processo?
… Ah, sì… (Angosciata) Pronto! Amore… Se interrompono chiamami di nuovo, ti prego… Pronto! No…
sono qui… La busta?… Le tue lettere e le mie. Puoi mandarla a prendere quando vuoi… Doloroso… ti
capisco… ma no, tesoro, non ti scusare, è molto normale: sono io che sono stupida… (Come in un soffio) Sei
carino… (Pateticamente) Anche io, non mi credevo così forte…
Ma quale commedia? Pronto… Che?… Tu credi che stia recitando!… Tu mi conosci, non sarei capace di addossarmi una colpa… Niente affatto… niente affatto… Calmissima… Ma non lo senti?… Ho detto: ma non
lo senti? La mia voce è quella di chi cerca di nascondere qualcosa?… Ho deciso di avere coraggio e l’avrò…
Ho quello che mi merito. Ho voluto essere pazza pretendendo un folle amore… Tesoro, ascolta… pronto!
caro… (Urlato) Lascia… pronto… Ma lasciami dire. Non ti accusare. È colpa mia! Sì, sì… Non ricordi che
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fu quella domenica quando andammo a Versailles e la gomma… Sì… Allora!… Sono io che volli andare là,
e non volli ascoltarti, e ti dissi che tutto mi era indifferente… No… no… Ora sei ingiusto… Io ho… Io ho
telefonato per prima… un martedì… sono sicura. Giorno ventisette.Tutte le date le conosco a memoria…
(Con indifferenza) Tua madre? Perché?… Non mi pare che sia il caso…
Non ho deciso ancora… Sì… può darsi… Oh! no, sicuramente non subito, e tu?… (Bisbigliato, con angoscia)
Domani?… Non immaginavo che fosse così urgente… Allora aspetta… è molto semplice… (con il fiato
spezzato) domattina la busta sarà in portineria. Senz’altro: Giuseppe può passare a prenderla… (Teneramente
con dolcezza) Oh! Quanto a me è molto facile che resti, come è possibile che possa andare in campagna
qualche giorno da Marta…
Certo tesoro… ma certo, tesoro… Pronto… Ma come mai?… Eppure parlo forte… Ma come non mi
senti?… Dico, non mi senti?… Peccato: io invece ti sento come se fossi qui con me… Pronto!… pronto!…
Dio mio, adesso sono io che non sento più… Sì, ma lontano lontano… Tu invece mi senti?… Un po’ per
uno… Ora benissimo… Non ho mai sentito così bene, c’è solo una risonanza… Si direbbe che non è il
tuo telefono…
(Tenera e carezzevole) Io ti vedo, sai… -Tira a indovinare.
Quale foulard?… Il foulard rosso… ed hai le maniche rimboccate… Nella sinistra hai il ricevitore e nella
destra la stilografica: e disegni sopra un foglio profili, cuori e stelle. (con civetteria) Ah! Tu ridi! Ho due occhi
al posto delle orecchie.
- Macchinalmente, cercando di nascondersiOh! (Sconvolta) No, amor mio, ti prego, ti prego, non guardarmi… Paura? Oh, non ho paura… è peggio…
(Molto tenera con stanchezza) Non ho più l‘abitudine di dormire sola… (Triste) Sì… sì… sì… (Come in un
soffio) te lo prometto… te lo prometto… sei molto buono… Ah! Non lo so ma preferisco non guardarmi.
Non oso accendere più la lampada nella toilette. Ieri mi sono trovata faccia a faccia con una vecchia signora… No no! Proprio una signora con i capelli bianchi e un affollarsi di piccole rughe… (Teneramente ironica)
Sei troppo buono! Ma, amore mio, una stupenda figura è una cosa molto triste: serve da modella per gli
artisti (Con tenerezza e calma) Preferivo quando mi dicevi così: guardate là quella mocciosetta!… (Sforzandosi
di sorridere) Sì, signor mio!… (Con civetteria) Scherzavo solo… Sei uno sciocco… (Improvvisamente con angoscia) È una fortuna che sei uno sciocco e che mi ami. Se non mi amassi e se fossi scaltro, questo telefono
sarebbe un’arma tremenda. Un’arma che non lascia alcuna traccia e che non fa rumore…
Io cattiva?… (Bruscamente)Pronto!… (Al culmine dell’angoscia) Pronto, tesoro… dove sei? Pronto! Cosa c’è
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signorina? Pronto! Hanno interrotto. - Riappende. Silenzio. Squillo. - Stacca il ricevitore.
Pronto, sei tu?… (In collera) Ma no, signorina: m’hanno interrotto… (Sconvolta) ma non lo so… cioè… se…
aspetti… (Come in un soffio) Auteil zero, quattro virgola sette. Pronto!… Occupato… Pronto, signorina,
stanno chiamando… Bene. - Riappende. Squilla.
Pronto! Auteil zero, quattro virgola sette? Pronto!… Parla Giuseppe?… (Senza fiato) La signora… Parlavo
col signore poco fa… Non c’è… sì… sì… questa sera non ritorna… (Sforzandosi di rimanere calma) È vero
sono una stupida! Il signore telefonava da un ristorante: ci hanno interrotto e l’ho richiamato a casa sua…
(Molto dolcemente) Scusatemi, Giuseppe… Grazie… grazie… Buona sera, Giuseppe…. - Riappende, e si
sente quasi male. Squillo.
Pronto! Ah! caro! sei tu?… (Triste) Ci hanno interrotto… No no, aspettavo. Mi chiamavano, io rispondevo ma
non c’era nessuno… Senz’altro… (Tenera) Ma tu hai sonno?… Ti ringrazio di avermi chiamato… Sei stato
buono… - Piange….. Silenzio.
No, sono qui… Come?… Oh, scusami… ma è assurdo… (Come un essere ferito) Niente, niente… non ho
niente… Te lo giuro, non ho niente… È lo stesso… Non ho proprio niente.Ti sbagli… (Sgomenta) Solamente, capisci, si parla, si parla… - Piange.
Ascoltami tesoro. Io non amo la menzogna. (Sgomenta) Sì lo so, ti credo, ne sono convinta… ma non è così…
è che questa volta invece ti ho mentito… qui… al telefono, è da un quarto d’ora che mento. Lo so bene
che non posso avere più alcuna speranza, che mentire non può servirmi a niente. Per questo non ti voglio
mentire, non voglio più quand’anche questo fosse per il tuo bene… Oh non è niente di grave, mio coro…
Solamente mentivo parlando del vestito, e dicendo che ero stata a colazione dal Marta… Non ho affatto
pranzato, e non ho il vestito rosa, ma solo la camicia e un soprabito perché a forza di aspettare, (teneramente
infantile) di stare qui a guardare il telefono, perché a forza di sedermi, di alzarmi, di camminare per la stanza,
diventavo pazza! Allora ho messo un soprabito addosso perché volevo uscire, prendere un taxi, venire sotto
casa tua e aspettare… (teneramente infantile) Oh sì, aspettare… aspettare non so che cosa… Tu hai ragione.
Sì, sì t’ascolto… Sì, sarò ragionevole… Risponderò a tutto, lo giuro… Adesso… non ho toccato cibo…
proprio non potevo… Sono stata malissimo.
(Dolorosamente, ma con semplicità) Ieri sera per dormire ho preso una pasticca: poi ho deciso di prenderne
ancora per meglio dormire, di prenderle anche tutte quante per dormire sempre senza sognare e per
morire… - Piange.
(Come in un soffio) Così ne ho prese dodici….. nell’acqua calda….. Come un masso. Poi ho sognato (Al culmine
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della passione) quello che è accaduto. Così mi sono svegliata tutta felice, pensando che era un sogno, ma quando
ho visto che era vero, che ero sola e che non dormivo sulla tua spalla, ho sentito che non amavo più la vita.
(Con dolcezza) Leggera, leggera e fredda. Non sentivo più battere il cuore, ma la morte tardava a venire e
poiché avevo un’angoscia paurosa, dopo un’ora ho telefonato a Marta. (Al limite delle forze) Non avevo il
coraggio di morire qui da sola. Amore… amore… (Senza enfasi) Era appena spuntata l’alba, erano le quattro
quando è venuta qui con il dottore. Avevo più di quaranta. Il dottore ha prescritto qualcosa e Marta resta
fino a stasera. Poi l’ho supplicata di andarsene perché tu mi avevi promesso di chiamarmi e io temevo che lei
m’impedisse di parlarti… (Molto debolmente) Molto, molto bene… Non inquietarti…- Piange Pronto!… Credevo ci avessero interrotto… (Con molta calma) Sei molto buono, tesoro… amore mio caro
al quale faccio tanto male… Sì, parla, parla, dì qualunque cosa… Io soffrivo da torcermi per terra (Subito
distesa): ora mi basta ascoltarti per stare subito meglio e per chiudere gli occhi. Non sai che talvolta quando
ti ero accanto, e tenevo la testa appoggiata contro il tuo petto, sentivo la tua voce esattamente come adesso
al telefono…
Pronto!… Sento della musica… Ho detto che sento della musica… Ebbene, bussa alla parete (Urlato, come
per coprire un rumore) ed impedisci ai tuoi vicini di suonare il grammofono a quest’ora… È proprio inutile.
Domani Marta tornerà con il medico… Non ti preoccupare… Ma sì… Lei ti porterà mie notizie… (Sconvolta) Come?… Oh! Sì, molto meglio. Se tu non m’avessi chiamato sarei morta…
- Cammina avanti e indietro, e la sua sofferenza le strappa le lacrime Perdonami. Comprendo che questa scena è intollerabile e che tu hai molta pazienza, ma cerca di capirmi: io
soffro. Questo filo ormai è l’ultimo che mi unisce ancora a te…
Due sere fa? Ho dormito. Mi sono coricata con il telefono… sì. No, no. Nel letto… (Innervosendosi) Lo so
che sono assi ridicola, ma avevo il telefono qui nel letto e malgrado tutto noi siamo uniti da questo apparecchio…
(Sussurrando con tenerezza) Perché tu mi parli… Sono cinque anni che vivo da te, che sei l’aria stessa che respiro,
che trascorro il tempo ad attenderti, a pensarti già morto se tardi, a morire nel crederti morto, a rinascere
quando arrivi e ancora di nuovo a morire di paura che tu riparta. (Come in un soffio) Adesso respiro perché tu
mi parli… Ma certamente amor mio, ho dormito. Ho dormito perché era la prima volta… La prima sera si
dorme… Quella che non si sopporta (Con angoscia tremenda) è la seconda notte, stasera, e poi la terza domani,
e poi giorni e giorni a far cosa, mio Dio?… Eppure… (Spossata) ammettendo che io dorma, si fanno nel sonno
moltissimi sogni, poi ci si sveglia e si mangia e ci si alza (Sconvolta) e ci si lava e si esce per andare dove?… O
mio piccolo caro, io non mi sono occupata che di te… Marta ha la sua vita organizzata… Sola…
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Sono due giorni che non lascia l’anticamera…Volevo chiamarlo, carezzarlo. Non vuole che lo si tocchi. Un po’
più mi morderebbe… Sì, me! Ti giuro che mi spaventa. Non mangia più. Non si muove più. E quando mi guarda mi fa venire la pelle d’oca… Come vuoi che lo sappia? Forse crede ch’io t’abbia fatto del male… Povera
bestia!… Non ho alcuna ragione di volergliene. la comprendo fin troppo bene. (Tenera) Ti ama. Non ti vede
più rientrare. Crede che sia colpa mia… Sì, mio caro. S’intende; ma è un cane. Nonostante la sua intelligenza,
non può indovinarlo… (Al colmo dell’esasperazione) Ma, non so, mio caro! Come vuoi che lo sappia? Non si
è più se stessi. Persa che ho strappato d’un colpo solo l’intera busta delle mie fotografie, senza rendermene
conto. Sarebbe una prova di forza persino per un uomo…
Pronto! Pronto! Signora si tolga di mezzo! (Con civetteria) Lei parla con degli abbonati. Pronto! Ma no, signora…
Non cerchiamo affatto di sembrare interessanti… Comunque se ci trova ridicoli, cosa perde tempo invece di
togliersi di mezzo?… Oh!… Ma non te la prendere… Che importa… (Al limite delle forze) No no. Ha messo
giù dopo aver detto quella cosa ignobile… Tu sei arrabbiato… Sì, tu sei arrabbiato, lo sento dalla voce… Tesoro
mio, quella donna dev’essere un’oca, e poi non sa niente di te. Non sa che sei un uomo diverso dagli altri…
Ma no, amore mio, non è la stessa cosa. Per la gente ci si ama o detesta. Le rotture sono rotture, È inutile caro.
Tu non riuscirai a far capire… tu non riuscirai a far capire alcune cose… Il meglio è fare come me: ridere di
tutto… completamente. - Manda un grido di sordo dolore Oh!… Niente. Credevo di parlare come le altre volte, quando m’è apparsa la dura realtà…
- Lacrime Una volta ci si vedeva, si poteva perdere la testa, scordare le promesse, rischiare ogni cosa, convincere chi si
amava abbracciandolo e aggrappandosi a lui. Uno sguardo poteva cambiare tutto. Ma con questo apparecchio una volta finita è finita… Sta’ tranquillo: nessuno può ammazzarsi due volte… Non saprei comprare
una rivoltella… Mi vedi tu comprare una rivoltella?…
Ma come posso trovare la forza di escogitare una menzogna?… (Con molta stanchezza) Nessuna… Bisognava aver coraggio. Vi sono alcuni casi in cui è inutile mentire. Se tu mentissi per rendere il distacco meno
penoso… (Accelerando molto sgomenta) Ma non ho detto che tu menti. Ho detto se tu mentissi e se io lo
sapessi. Se per esempio tu fossi fuori casa e mi dicessi… (Sgomenta) No, no amor mio! Ascolta… io ti credo… Sì, la tua voce è cattiva… io dicevo soltanto che se tu m’ingannassi per bontà e io me ne accorgessi,
non proverei che maggior tenerezza per te… (Sgomenta) Pronto!… Pronto…
- Riappende, dicendo a voce bassa e molto rapidamente Dio mio, fa’ che mi richiami. Dio mio, fa’ che mi richiami! Dio mio, fa’ che mi richiami!
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Dio mio, fa’ che mi richiami! Dio mio, fa’… -Trilla il telefono. Stacca il ricevitore.
Hanno interrotto. Ti stavo dicendo che se tu mi ingannassi per bontà e io me ne accorgessi (Al culmine delle
dolcezza e dell’emozione) non proverei che maggior tenerezza per te… Sicuro… ma sei pazzo!… Amore
mio… tesoro mio!… (Si avvolge il filo intorno al collo)
Lo so bene che è necessario, ma è atroce. Non so chi può darmene il coraggio… Sì! Si ha l’illusione di
essere vicini, l’uno contro l’altra, quand’ecco che improvvisamente tutta una città ci separa… (Al culmine
della tenerezza) Ho il filo attorno al collo. Ho la tua voce attorno al mio collo… La tua voce attorno al mio
collo… Bisognerebbe che ad un tratto il filo si spezzasse… Amore mio! Ma come puoi immaginare che io
pensi una cosa così brutta? Lo so bene che questa operazione è ancora più crudele da compiersi per te che
per me… (Come in un soffio) No… no… A Marsiglia?… Ascoltami amore. Dato che sarete a Marsiglia dopodomani, io vorrei… insomma, desidererei… desidererei (Senza sfumature) che tu non scendessi a quello
stesso albergo dove andavamo sempre noi. Non sei mica offeso?… (Dolcemente sconvolta) È perché le cose
che non riesco a immaginare per me non ci sono, o meglio, esse esistono in una specie di luogo vago e ciò
fa meno male… mi capisci?… Oh! Grazie… oh! Grazie. Tu sei buono. Io ti amo… - Si alza e si dirige verso
il letto con il ricevitore in mano.
(Trieste e rassegnata) Allora ecco… Stavo per dire macchinalmente: a presto… Ne dubito… Oh!… È meglio… Molto meglio. - Si sdraia sul letto e stringe il ricevitore fra le braccia.
Amore mio… mio caro amore… Sono forte… (Molto violentemente) Andiamo sbrigati. Va’ via taglia! taglia
presto! (Come un grido) Io ti amo, ti amo, ti amo, ti amo……. (Come in un soffio) ti amo… - Il ricevitore cade
a terra.
La testimonianza della prima interprete Denise Duval
E ogni volta, dopo il debutto del 6 gennaio 1959, sento questa stessa necessità di dover agire sui nervi
del pubblico attraverso la musica, il testo, la scenografia. Ma sempre ritrovo all’inizio la stessa difficoltà
a catturare il pubblico – lo percepisco dai colpi di tosse, dal movimento della gente sulla sedia – ma
superato il quarto d’ora, ecco il silenzio, il peso del silenzio oppressivo e, alla fine, i corpi sospesi che
non respirano più. È un’esperienza che si rinnova ogni volta, sempre sconvolgente, sia per l’interprete,
sia per gli spettatori.
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INTORNO AL CONCERTO
Satie
Scrisse perfino musiche d´arredamento, da utilizzarsi come sottofondo per la conversazione. Ecco
alcuni titoli; Arazzo per gabinetto di prefettura, Tappezzeria in ferro battuto, per l´arrivo degli invitati - ricevimento di gala - da suonare in un vestibolo. Le partiture, contengono indicazioni del tipo:
“ovattare il suono” o “suonare come un usignolo con il mal di denti”.
In risposta all’accusa di scrivere pezzi ‘senza forma’, compose tre brani pianistici dal titolo di “Tre pezzi
a forma di pera”.
Estrosità
Possedeva una collezione di oltre100 ombrelli. Vestiva sempre pantaloni a righe ed un abito da passeggio. Una volta comprò 12 abiti grigi identici. Ne indossava uno alla volta, senza mai toglierlo finché
non era liso, e poi ne indossava un altro.
Una delle numerose idee fisse era il numero tre, un'ossessione mistica; forse una reliquia del simbolismo trinitario associato all'Ordine cabalistico dei Rosacroce (di stampo massonico), del quale Satie
aveva fatto parte in gioventù. Molte delle sue composizioni sono raggruppate in cicli di tre, e tra
queste le Trois Gymnopédies.
Poulenc
Al critico “Non analizzare la mia musica, amala!”
“L’Armonia” nel gruppo dei Sei
Lo slogan era facile ma, essendo la giovinezza avida di pubblicità, accettammo un’etichetta che, in
fondo, non significava nulla. La diversità della nostra musica, dei nostri favori e disfavori contrastava
con un’estetica comune. V’è qualcosa di più agli antipodi che la musica di Honneger e quella di
Auric? Milhaud ammirava [Albéric] Magnard, io no; nessuno di noi due amava Florent Schmitt, che
Honnegger rispettava; Arthur, al contrario, disprezzava nel suo intimo Satie che Auric, Milhaud e io
adoravamo.
La voix humaine
Da Cocteau in occasione della preparazione delle scene per La voix humaine del 1959
La protagonista non dev’esser di aspetto tragico. Né deve apparire frivola. Nessuna ricerca d’eleganza. La ragazza indossa quello che aveva sotto mano e, aspettando la telefonata, crede di esser vista.
La nota tragica sarà uno scialle o un trench o un loden che si getterà sulle spalle senza la minima
civetteria, perché ha freddo, «freddo dentro». Per questo la farei riscaldare al fuoco della lampada.
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JEAN-LUC TINGAUD
Dopo aver studiato il pianoforte e direzione d'orchestra al Conservatorio di Parigi, Jean-Luc Tingaud è stato scelto come assistente da Manuel Rosenthal; questi allievo di Ravel, gli ha trasmesso una profonda passione per la musica francese. Dal 2002 al 2007 è
stato Direttore Associato dell’Opéra Comique. Tra le opere da lui dirette si ricordano:
Pénélope di Fauré, Sapho di Massenet, Manon Lescaut di Auber, Le roi malgré lui di Chabrier
a Wexford Ciboulette di Hahn per Opera Zuid, L'île de Tulipatan di Offenbach a Lione,
Le nozze di Figaro al Théâtre Mogador a Parigi. Recentemente ha diretto Mireille, L'elisir
d'amore, La Bohème, Così fan tutte, Carmen e Faust al Théâtre d'Herblay a Parigi, Roméo
et Juliette di Berlioz al Teatro São Carlos di Lisbona, Tosca a Besançon Werther al Festival
della Valle d'Itria, La damnation de Faust a Reims, Véronique di Messager a Metz, Pelléas et
Mélisande e Carmen all'Opéra di Tolone, Mozart di Hahn al Festival di Spoleto, L’ assedio
de Corinto al Festival Rossini di Wildbad, Faust a Macerata, The Turn of the Screw a Lille,
Pelléas et Mélisande a Rennes e al Teatro Nazionale di Praga, L'heure espagnole con l'Atelier Lyrique de l'Opéra de Paris, Dialogues des carmélites e Madama Butterfly per l’Opera
Pittsburgh. Nel 2004 ha debuttato al Barbican di Londra con la English Chamber Orchestra
(solisti: Joshua Bell e Steven Isserlis). Tra le orchestre con cui ha lavorato menzioniamo:
Royal Scottish National Orchestra, Orchestra di Opera North, Orchestra del Teatro Carlo
Felice di Genova, Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, le Filarmoniche di Varsavia e
Cracovia, Orchestre National des Pays de la Loire, Orchestre National de Lyon, Mulhouse
Symphony Orchestra, Orchestre National de Lorraine. Tra il 2014 e il 2015 ha debuttato
con la English National Opera ne Les Pêcheurs de perles, quindi ha diretto alla Salle Pleyel
la Royal Philharmonic Orchestra nella Bohème (in forma di concerto), Roméo et Juliette
all'Arena di Verona (con Vittorio Grigolo e Lana Kos) e La fille du régiment al Teatro Real di
Madrid. La sua discografia comprende: Sapho (Fonè), Werthèr (Dynamic), La voix humaine
registrata a Compiègne (DVD) e l'Assedio di Corinto (Naxos). Con la National Symphony
Orchestra di Dublino, ha inciso due cd per Naxos (musiche di Dukas e di Bizet).
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ANNA CATERINA ANTONACCI
Tra i più acclamati soprani della sua generazione, Anna Caterina Antonacci si è affermata al Concorso Internazionale di “Voci Verdiane” nel 1988, al Concorso “Maria Callas”
e al Concorso “Luciano Pavarotti”. Dopo aver interpretato i ruoli del Rossini “buffo”,
affronta opere del Rossini “serio” tra cui: Mosè in Egitto, Semiramide, Elisabetta, regina
d’Inghilterra e Ermione, per poi passare alle regine di Donizetti e a Mozart: Donna Elvira
(Don Giovanni), Elettra (Idomeneo) e Vitellia (La Clemenza di Tito). Tra i suoi successi più
significativi ricordiamo: Armide di Gluck che ha aperto la stagione 1996-1997 del Teatro
alla Scala, Alceste a Parma e Salisburgo, Medea di Cherubini a Tolosa e al Théâtre du
Châtelet di Parigi dove, diretta da Sir John Eliot Gardiner, ha trionfato come Cassandra
(Les Troyens): personaggio quest’ultimo che, ispirandosi a Régine Crespin, l’ha portata
in seguito ad approfondire i ruoli propri delle grandi eroine tragiche del repertorio
francese. Inoltre, con La Juive e Carmen (rispettivamente al Covent Garden diretta da
Pappano e all’Opera Comique diretta Gardiner), fa rivivere di nuovo la tradizione del
canto francese nello spirito di Pauline Viardot, grande soprano parigino, figlia di Manuel
Garcia. Tra gli altri successi, segnaliamo: Agrippina e Rodelinda di Haendel e L’incoronazione
di Poppea di cui ha interpretato due ruoli: Poppea a Monaco di Baviera e Nerone a Parigi.
Questo è stato fonte di ispirazione per il suo ‘one woman show’ Era la notte incentrato
su Il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi che continua a portare in scena
con grande successo. Per quanto riguarda la musica da camera, è protagonista di numerosi concer ti cameristici durante i quali, con il pianista Donald Sulzen, ha interpretato le
romanze di Tosti e Respighi o del repertorio francese, in particolare di Fauré (L’horizon
chimérique), Debussy e di Reynaldo Hahn. Il 2013 per lei è stato un anno cruciale, avendo
debuttato ne La voix humaine, mentre nel 2014, dopo Carmen a Londra con Roberto
Alagna, ha affrontato alla Scala Les Troyens e ha debuttato in Iphigénie en Tauride a Ginevra. Recentemente ha cantato La ciociara, opera commissionata per lei a Marco Tutino
dall’Opera di San Francisco. Nel 2009 è stata insignita dell’Ordre de la Légion d’Honneur.
JEAN-LUC TINGAUD
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ANNA CATERINA ANTONACCI
LA FILARMONICA ARTURO TOSCANINI
Violini Primi: Mihaela Costea**, Gianni Covezzi,Valentina Violante, Mario Mauro , Julia Geller,
Luca Talignani, Maurizio Daffunchio, Federica Vercalli, Caterina Demetz, Daniele Ruzza
Violini Secondi: Viktoria Borissova*, Jasenka Tomic, Laurentiu Vatavu, Cellina Codaglio,
Claudia Piccinini, Simona Cazzulani, Alice Costamagna, Camilla Mazzanti
Viole: Behrang Rassekhi*, Carmen Condur, Sara Screpis, Diego Spagnoli,
Daniele Zironi, Laura Falavigna
Violoncelli: Marco Decimo*, Micaela Milone, Vincenzo Fossanova,
Donato Colaci, Fabio Gaddoni Contrabbassi: Antonio Mercurio*, Agide Bandini, Claudio Saguatti, Antonio Bonatti
Flauti: Sandu Nagy*, Andrea Oman
Ottavino: Andrea Oman
Oboi: Pietro Corna*, Massimo Parcianello
Corno Inglese: Massimo Parcianello
Clarinetti: Daniele Titti*, Paolo Poma
Clarinetto Basso: Stefano Franceschini
La Filarmonica Arturo Toscanini, che ha la sua sede a Parma, nell’Auditorium Paganini
disegnato da Renzo Piano, è il punto d’eccellenza dell’attività produttiva della Fondazione
Arturo Toscanini, maturata sul piano artistico nella più che trentennale esperienza dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna e nell’antica tradizione musicale che affonda le proprie
radici storiche nell’Orchestra Ducale riordinata a Parma da Niccolò Paganini nel 1835/36 e
per i quarant’anni successivi ai vertici delle capacità esecutive nazionali. Oggi è una delle più
importanti orchestre sinfoniche italiane.
Per saperne di più:
www.fondazionetoscanini.it/filarmonica-arturo-toscanini/
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Fagotti: Davide Fumagalli*, Fabio Alasia
Corni Fabrizio Villa*, Giuseppe Affilastro, Ettore Contavalli, Simona Carrara
Trombe: Roberto Rigo*, Marco Catelli
Tromboni: Carlo Gelmini*, Gianmauro Prina
Tuba: Antonio Belluco
Timpani e Percussioni: Gianni Giangrasso*, Francesco Migliarini,Tommaso Ferrieri Caputi,
Nicolò Vaiente
Arpe Elena Meozzi*,Tatiana Alquati
** spalla // *prima parte
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Ti piace la musica? Senza i grandi musicisti che con il loro talento interpretano i grandi
compositori, non sarebbe più musica. Sostieni insieme a noi il progetto “Adotta
un musicista” e contribuisci a mantenere il livello di eccellenza della tradizione
musicale emiliano-romagnola.
L’energia è invisibile, ma puoi ascoltarla.
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Prossimo appuntamento
di NUOVE ATMOSFERE
Mercoledì 13 aprile 2016 ore 20.30
Giovedì 14 aprile 2016 ore 20.30
Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92
Igor Stravinskij
Le Sacre du Printemps
FRANCESCO LANZILLOTTA
Direttore
IMPARIAMO IL CONCERTO
Gianluigi Mattietti racconta
Beethoven e Stravinskij
Martedì 12 aprile ore 18.00
Sala Prove Auditorium Paganini
Martedì 12 aprile
Concerto in anteprima
Ore 15.30 – 17.30
Auditorium Paganini
Per saperne di più
www.fondazionetoscanini.it
© Cristian Grossi
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