Religioni e Società Rivista di scienze sociali della religione
n. 32, settembre-dicembre 1998
I documenti
Giovanna Fozzer : “L’anima per l’uomo spirituale è quasi carne”.
Per un’indagine sul religioso in Cristina Campo
Una lettera a MargheritaPieracci Harwell con inediti
dialoghi/documenti
Giovanna Fozzer
"L'anima per l'uomo spirituale é quasi carne".
Per un’indagine sul religioso in Cristina Campo
Una lettera a Margherita Pieracci Harwell con inediti
[Dopo molto silenzia, in cui avevano continuato a leggerla farse solo pochi
amici e conoscitori, da qualche anno Cristina Campo, scrittrice rara di
poche pagine riedita da Adelphi, sta trovando attenzione intensa e persino
fama. II fatto si deve da un lato al crescente interesse che si va manifestando
per la spirituale, nella accezione più vasta del termine, dall'altro al convegno
di studi, aperto da Massimo Cacciari, tenutosi al Lyceum di Firenze i17-8
gennaio 1997, i cui Atti sono stati pubblicati presso 1'editore Scheiwiller
nell'aprile 1998.
Margherita Pieracci Harwell, italianista docente alla Illinois University di
Chicago, fu per lunghi anni amica e corrispondente di Cristina, e
destinataria di circa 250 bellis-sime lettere, di cui qui si citano non pochi
passi.
Chi scrive é lettrice di Cristina Campa dagli anni Settanta e rimedita da
allora le sue tematiche, anche alla luce di scrittori spirituali come Angelus
Silesius e Margherita Porete, che ha tradotta, o di Simone Wei1, che di
Cristina Campo fu lettura decisiva.
Cristina Campo, al secolo Vittoria Guerrini, nacque a Bologna il 29 aprile
1923 da Guido Guerrini, che sarebbe poi divenuto direttore del
Conservatorio di Firenze e quindi di Roma, e da Emilia Putti, sorella del
celebre chirurgo ortopedico. Vittoria vis se a lungo con i genitori all'ospedale
R1ZZoI1, circondata da piccoli handicappati e quindi mortificata dal
possesso di un privilegio. Allo stesso tempo con quei piccoli si identificava,
per solidarietá ma anche perché era nata con un difetto cardiaco, la cui minaccia e delimitazione con questa congiunte le furono rese note appena poté
capire. Ma privilegio fu certo l'immersione infantile nel grande parco del
Rizzoli, e non meno l'esenzione dall'obbligo di frequentare la scuola, che le
permise d'imparare felicemente a leggere dalle fiabe.
Cristina si trasferì a Firenze quando il padre vi fu nominato direttore del
Conser-vatorio, e vi trascorse gli anni di guerra, funestati dalla morte della
sua grandissima amica Anna Cavalletti, nel bombardamento di Firenze del
1944. Di poco successivo l'incontro - e l'amore - con il germanista Leone
Traverso, che la iniziò alle grandi letterature ottocentesche europee. Fu lui a
presentarla al gruppo degli scrittori fiorentini - Luzi, Macrì, Bemporad,
Landolfi ed altri - di cui la Casa Editrice Cederna andava pubblicando allora
le mirabili traduzioni, c111 tedesca dall'inglese dallo spagnolo dal russo, e
colmava in tal moda il vuoto che si era creata in Italia con l'inasprirsi della
xe-nofobia fascista, durante gli ultimi anni del regime.
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Cristina traduce Mórike nel 1948 per le edizioni Cederna. AI periodo
fiorentino appartiene la prima fase della produzione campiana,sia in versi
che in prosa: le poesie di Passo d'addio (Scheiwiller 1956), ma anche i saggi di
Fiaba e mistero, che apparirà solo nel 1962 da Vallecchi - quando 1'autrice
risiede a Roma giá da qualche anno. A Roma si era trasferita a metà degli
anni Cin-quanta, dopo la nomina del padre a direttore del Conservatorio,
abitando con i genitori presso il Collegio di Musica al Foro Italico. Ai primi
anni romani risale 1'incontro con Elémire Zolla, che le fu compagno nel
periodo della creatività più compiuta; con lui iniziò nel 1968 la
collaborazione regolare alla Rai. A Roma Cristina poco frequenta 1'am-biente
letterario, e sempre meno dopo il `65, anno della scomparsa dei genitori,
quando si trasferisce all'Aventino, vicino al monastero di Sant'Anselmo. Si
intensifica allora la sua partecipazione alle iniziative dei grupp'i che lottano
per la conservazione del grego-riano e della liturgia in latino, minacciati
dalle riforme introdotte dal Concilio Vaticano II. Dalla seconda metá degli
anni Sessanta poesia e saggi testimoniano del fervore esclu-sivo con cui
Cristina Campo persegue l'impegno di ricordare al nostro tempo quale
rapporto di necessità leghi liturgia, tradizione, bellezza. I riti - affermerà
nell'unica in-tervista che abbiamo di lei, del 12.4.72 su "II Tempo" - "sono
[...] i veri modelli, gli ar-chetipi della poesia che é figlia della liturgia".
Quando cessò a Sant'Anselmo la liturgia gregoriana, passò al Russicum di
Via Merulana, attratta dal rito orientale. Ma alla* sua morte, nel gennaio
1977, le esequie si celebreranno - come dodici anni prima le esequie di
ambedue i genitori - nella cripta del monastero benedettino dell'Aventino, a
cui solo aveva attinto forza sotto l'assedio della Tigre Assenza. Giovanna
Fozzer]
Ma io non ho, davvero, che la poesia come preghiera - ma posso offrirla? E
quando mai la sentirò così vera (non dico pura, ma é différente?) da poterla
deporre 'a quell'altare - di cui non veda e forse non vedrò mai che i gradini come un cesto di pi-gne verdi, una conchiglia, un grappolo? Di giorno in
giorno mi persuado sempre più che non ho altro rosario, altra spada, altro
libro, altro rilizio che questo. E io non parto dall'amore di Dio - sto nel buio,
ma vorrei fare qualche cosa che agli altri sembrasse nato alla luce... (lettera
di Cristina Campo a MPH, del 24 luglio 1958)
... la poesia -presa e lasciata da me le mille volte come un capriccio, un lusso,
una voluttà segreta e saltuaria alla quale si dovessero anteporre in ogni caso i
"doveri'; e che in realtà era il solo dovere, quel che in religione si chiama dovere
di stato o di stretto ri-gore: come lo é sempre il "talento" che ci é stato dato,
sia pure piccolissimo; il quale non é un dono ma un prestito, che va trafficato,
di aci ci sará chiesto conto e che, se non lo usiamo, ci sarà tolto... (lettera di
Cristina Campo a MPH, del Capodanno 1970)
Cara Margherita,
c'é tanta distanza tra Chicago, dove tu vivi e insegni, e Firenze, e i nostri
pochi col-loqui del luglio 1997 hanno piú aperto che chiuso questioni e
ipotesi sulla nostra capacità di capire, della scrittrice-pensatrice Cristina
Campo, aspetti ancora poco esplorati.
C'é un tema della tua riflessione a cui in particolare ho cercato di
accostarmi, profondo e complesso come lo sento, snodo del percorso
interiore di Cristina. Ma co-me sempre, e come lei stessa insegna, la risposta
é nelle cose, da attendere più che da
voler definire e scoprire. Quale e come 'accettabile` il. rapporto tra la
spiritualità della scrittrice, l'altezza delle sue argomentazioni su ogni tema
affrontata, e la sua battaglia per una Chiesa pre-conciliare, soprattutto. la
sua appassionata. (aggiungerei disperata) partecipazione all'attività
dell'associazione italiana « Una voce, per la salvaguardia della liturgia latinogregoriana», che non stupisce per quest'ultima determinazione, ma per il
livello o meglio il tono della piccola pubblicazione
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«Notizie». (Su quel giornaletto avevo visto riportati, negli anni SettantaOttanta, echi di battaglie interne alla Curia romana al limite della bassezza
pettegola e diffamatoria, priva di carità e d'umiltà. Tut-tavia alcuni fascicoli
che posso ora esaminare per la cortesia di Piero Polito,corrispondente
fiorentino cui Cristina Campo li aveva inviati, presumibilmente negli ultimi
anni Sessanta, mostrano soprattutto un'appassionata documentazione della
`catastrofe' li-turgica conseguente al Vaticana II, e ne contestano
vigorosamente 1'antidogmatismo; particolarmente interessanti il fascicoletto
Vade merrtim del cattolico di sempre di fronte alla minacciata demolizione della sua
Chiesa, libera trascrizione di un opuscolo france-se raccomandato da Mons.
Marcel Lefèbvre, e il n°3 di «Documenti di "Una voce"», che vede l'ombra di
Lutero sulla nuova Messa, e parla ad esempio di ereticale pseudo riforma,
trionfo della protervia e dell'ignoranza. Qualche citazione: "Nel nuovo ordo
missae é intaccato la stesso dogma. E un arbitrio, compiuto non si sa
precisamente da chi e perché; contro il sentimento della stessa
Congregazione dei Riti, e della maggioranza dei vescovi. Un arbitrio
ingiustificato e ingiustificabile». "Abbiamo visto, in questi anni, abolire
sublimi gesti di pietà e d'adorazione, che il segretario dell'ufficio addetto alla
«riforma liturgica», padre Annibale Bugnini, osò pubblicamente definire
«anacronistici e fastidiosi». In cambio, si é voluto imporre un rito piazzaiolo,
vocife-rante e confusionario, supremamente squallido". Anche se lo stile non
é certo il suo, sentiamo qui spunti vicini al sentire di Cristina Campo, e non
solo suo). Chiudo la parentesi, lunga ma credo utile, e torno al nostro
colloquio. Con l'inquietudine e la perfezione di una goccia di mercurio
errante, la tua parola-richiesta ha continuato a scorrere sul piano mio
interiore, e la lontananza é divenuta il sale del pensare in solitudine, pur in
attesa delle tue risposte:
Tu conoscesti da vicino Vittoria Guerrini /Cristina Campo in diverse fasi
della sua vita, io l'ho soltanto letta. Non passo non immaginare, dei suoi
ultimi anni romani, una interiorità sempre più diafana e traslucida che mi
rimanda sovente al perlaceo della Piccarda dantesca: sprofondata in una
solitudine malata, attenta a letture, voci, musica, suono di sfere forse
celesti, e preda frequente di terrena angoscia, di terrori.
Prima era stato il canto gregoriano, la musica in cui poté trovare pace
luminosa a S. Anselmo, dove ci pare di vederla aggirarsi assetata di parola
sacra ("potrà vederlo, forse, dopo vespro per tutto l'Avvento sarà in ritiro spirituale,
le donne non sono ammesse in questa parte dell'abbazia", p.118 de Gli
imperdonabili), poi al Russicum di Via Merulana. In questa stessa pagina (il
titolo del saggio é Il flauto e il tappeto) c'é un ritratto della vita monastica che
basterebbe da solo a mostrare l'approccio autentico, forte, armonico di
Cristina Campo a tali temi e situazioni. Nel suo volume di prose s'incontrano
esempi di saggi i più vari, e ci si chiede anche dove la lettrice-pensatrice
trovasse indicazione di certi testi tanto rari e particolari; fors'anche nei
parlatori e nelle sacrestie dove le accadeva di conversare con amabilità pari
alla" deferenza. Ne scelgo tre, Ratisbonne, Manzoni, la Trinitá. Non basta
una lettura, di solito, per penetrare le finezze e le profondità delle pagine di
Cristina, che richiedono tante fasi d'attenzione quante probabilmente furono
le. sue, ed é ogni volta un'alba nuova.
Nella pagina sul breve racconto della propria conversione scritto dal
banchiere A.M. Ratisbonne, la lettura alata della saggista sgombra il campo
da ogni possibile roz-zezza e ironia gratuita: il suo é un leggere, un ascolto,
alla lettera. E nella lettera, in quella sorta di fedeltà che non vede altro che
quanto é scritto, senza chiusure, senza li-miti, consiste la sua via alla verità.
La verità dello spirituale sta lì, nel rispetto del per-corso interiore seguito da
ognuno, il Ratisbonne in questo caso. In fondo Cristina
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Campo applica quel suo duplice metro che è unico, la sua eleganza
mondana e di scrittura è la stessa con cui legge e accetta forme del religioso
che a noi poterono sembrare degne di scherno, di quelle battute tipiche
dell'attardato anticlericalismo ottocentesco che tanto hanno echeggiata ad
esempio alle mie orecchie, e che possono aver improntato ribellioni e rifiuti
poca profondamente motivati. Eleganza mondana a intellettuale è anche una
sarta di impassibilità, di compostezza, che non consente impennate e approssimazioni polemiche, e "le buone maniere sono il principio della santità",
assicurava Francesco di Sales citato a p. 107 de Gli imperdonabili.
Come dice Cristina stessa, a pagina 125: "Con l'uomo trasformato, si
trasforma il mondo. Esso si popola di figure e di meraviglie sempre sfiorate e
mai neppure supposte: tutto ciò che c'era da sempre ma solo oggi c'è
veramente". Ossia, siamo noi a non vede re, è Cristina a vedere. Poco prima
(p:124) la scrittrice sfiora con quelle sue parole-canto-del-destino uno dei
passi della narrativa novecentesca che più sono sprofondati nella nostra
memoria, o almeno nella mia, e che affiora se chiamato da intense affinità:
nello Zivago di Pasternak, il ritorno a Mosca di Lara, il suo passare sotto le
finestre gelate della casa nel vicolo, proprio il giorno in cui vi è esposta la
salma dell'amato. Nulla pareva più romanzesco del seguito dl coincidenze
che ve 1'avevano portata, ma nulla più vero di tali sequenze, nei momenti
decisivi della nostra vita, come dimostra anche la vicenda di Ratisbonne
(p.125). "L'odore di cose divine mette in fuga il mondo", e noi siamo nel, il
mondo, se non sentiamo il divino, se non siamo aperti ad accoglierlo, senza
preclusioni. Faceva parte dell'eleganza intellettuale di Cristina Campo anche
occuparsi di temi e scritti che negli anni Sessanta-Settanta sarebbero parsi
a moltissimi inammissibili, ridicoli, nella confusione allora dominante tra
religioso e clericale.
La considerazione che la saggista applicava era assolutamente netta e
nata dal vero. Leggendo e rileggendo il poco da lei scritto, anche testi non
entrati ne Gli imperdonabili e comunque in gran parte risalenti assai
addietro, e da lei approfonditi e limati come dimostra il passaggio da Fiaba e
mistero (1962} a Il flauto e il tappeto (1971), mi par di capire. che ella pensò
ben presto in quasi perfetta maturità, e che le sue convinzioni religiose risalgono a lontano, all'educazione avuta in casa, oltre che ad una sua
particolare inclinazione- sensibilità. Forse lesse ben presto i vangeli come
lesse le fiabe, infinite volte ritornandovi, ed entrando nelle loro tematiche
con un'autonomia e una naturalezza ai più di noi sconosciuta. Si riscontra,
nei suoi saggi e nelle ultime poesie, una sua familiarità precisa con molti
testi sacri e devoti. Beata lei, visto che in anni contigui (i Quaranta e
Cinquanta, per così dire) noi incontravamo, della religione cattolica, aspetti
che ci hanno poi scoraggiati per decenni a seguirla; parlo per me, ma credo
di poter dire anche per molti altri.
Di salute cagionevole fin da piccola, I'istruzione religiosa di
Vittoria/Cristina avvenne in gran parte non in qualche scuola o convento,
ma direttamente nelle letture; ella ebbe contatto con i testi in epoca in cui la
"dottrina" ci veniva ammannita in forme tanto autoritarie e lantane dallo
spirituale, che il resto della vita non ci basta per liberarci dalla voglia di
polemizzare. Il privilegio (del dolore? della solitudine tra i libri? del dono
intellettuale eccezionale?) consentì a Cristina Campo di saltare questo lunga
nostro fossato e di giungere, con leggerezza, ossia ancora in modo spirituale,
ad alternare meditazione e conversazione mondana, e sia pure per lo più
mondano religiosa come poteva e farse può aversi soprattutto a Roma. Ne
ricavo un piccolo esempio dalla tua lettera del settembre 1997:
Cristina racconta di una cena, da qualche signora romana, dov'erano
Heschel - ortodossissimo rabbino -, un mussulmano ortodosso e lei ed
Elemire Zolla che osservavano
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le vigilie, secondo le regole preconciliari -- e tutti insieme esclamano: "Antiecumenici di tutto il mondo unitevi!
" Il commento di padre Giovanni Vannucci, a cui la cosa fu raccontata ridendo: "Loro non si rendono conto del
male che possono fare-».
Fu mai non-mondana la visita di Cristina a sacrestie e cardinali? Me lo
chiedo, e ri-cordo la pagina d'una sua lettera che tu citi a p. 29$ della Tigre Assenza,
sulle sue lettu-re, dai canoni del Concilio di Trento alla Pascendi, e in cui dice che il suo
telefono squilla soltanto a chiamate di Cardinali, Vescovi, prelati, Abati e
preti, "la gente meno noiosa del mondo", ben diversa dagli scrittori con cui
parlava un tempo:
Soprattutto tra le Badesse e le Priore dei tanti conventi che ho visitato in cerca di brandelli di gregoriano, ho
trovato creature che hanno compreso quanto Platone e sul cui volto raggia una tale gioia perpetua da attirare
l'anima come il miele le api, talché si vorrebbe dire ogni volta che si va da loro "Facciamo qui tre Tabernacoli.:, "
Un altro passo d'altra lettera a p. 299 parla d'un suo ritorno da Roma a Firenze, re-staurata dopo
l'alluvione, dove tutto le appariva meraviglioso, ad esempio una visita alla Galleria Cantipi:
Qui a Roma non ho nulla di tutto questo, la conversazione fiorentina non esiste, non c'é un luogo dove si possa
bere il tè come da Doney, con un amico che ti mostra una medaglia commemorativa della congiura dei Pazzi incisa
dal Pollaiolo e ritrovata nelle fondamenta del ?'empio Malatestiano dove l'aveva celata Leon Battista Alberti.,. A
Roma non vedo c’è 'pochissima gente "sublime» - un Arcivescovo, un. Vescovo, alcuni preti e monaci, con i quali
la conversazione sarebbe fuori luogo, come tra ufficiali e soldati al fronte ...]
Mi chiedo quanto potresti aggiungere tu. Margherita, con i tuoi ricordi di testimone talora diretta di
questi contatti e visite. Cristina lesse con delizia (e acribia, dobbiamo aggiungere) tanti testi che per
noi; fermi alla superficie del pregiudizio, alla sua non libertà, rimanevano e forse rimangono bigotti
e crudeli. Lesse con attenzione,lei , calandosi - parrebbe con perfetto abbandono - nella materia che
aveva davanti, diven-tando, per capirla, la cosa stessa (così si sarebbe espressa Margherita Porete).
Trascrivo altri due passi della tua del settembre scorso:
Avevo verso Sant'Alfonso de' Liguori (e ne avevo talora parlato a Cristina) un vec-chio risentimento, risalente alle
ore d'adorazione nella chiesa di Loreto, a Belluno, dove - ero dell'Azione Cattolica - ne leggevo durante la
meditazione passi di lettere scritte a certe monache, in cui come padre spirituale le metteva in guardia contro il
piacere del mangiare le cattive sbobbe dei conventi, che sempre piacere era (bisognava mangiar le sbobbe con
disgusto): Quando ebbe letto, lei, opere di S. Alfonso, mi disse anni dopo; "Lei non aveva capito niente ".
Aveva ragione. Scrivendone ora (7/9/97), mi sono resa conto all'improvviso che il disgusto si doveva intendere
anche per metafora: é facile adattarsi alla misura del mondo - ma il genio della santità é proprio nel non
adattarvisi, nel vederne sempre lucidamente il limite, che non, può e non deve soddisfare il cuore umano. La
grandezza dei Provenzali é l'aver dichiarato che nulla in terra può soddisfare il cuore umano. Averlo dichiarato
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suppongo, su un terreno per così dire laico; perché, su un terreno
esplicitamente religioso, non l'avevano sempre detto tutti? Vedi la formulazione
di Agostino 'Il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te; ossia
nell'Assoluto. Del resto, religione non é questo volere “più`e altro” non
`contentarsi'? E riporre tutto l'amore in ciò che é meno che Assoluto, non é
questa l'idolatria (anche per Simone Weil: fare dei ponti case)? Quindi la
grandezza dei Provenzali sarebbe stata il riportare l'amore alla sua propria
misura di aspettazione, incolmabile nel qui ed ora - e ne nascerebbe l'idea che
secondo Denis de Rougemont é sottesa a tutta la poesia occidentale, di amore
impossibile, come la disperata definizione dell'uomo in Leopardi "creatura
ugualmente cupida e incapace di infinito".
Già sono evidenti le radici dell'asserzione della giovanissima studentessa
Margherita che legge }
de' Liguori poche lettere da lui scritte alle monache; e quindi la distanza tra
il tuo e 1'atteggiamento di Cristina adulta, che di lui aveva letto forse tutto, e
che non si fermava alle apparenze, all'evidenza prima, ma era già oltre.
Questo dico per i cammini suoi mentali, interiori, salvo tutto il suo soffrire,
di malattie, di estenuazioni, di passioni, gelosia d'amore o altra che fosse.
A ben riflettere, dovrebbe essere solo questo il rimpianto della nostra vita, se
il rimpianto avesse senso: il tempo in cui siamo rimasti involuti da opinioni,
vecchie im-pressioni che non abbiamo deposto ben presto, dopo una precisa
e rapida verifica, dopo aver riflettuto, capito, ed essere andati oltre, nella
libertà del continuare a pensare, a verificare, ad amare l'oggetto considerato,
al di lá del pregiudizio estetico od altro. Non é anche questa una pur piccola
forma di quella idolatria di cui parla la tua Simone Weil? Dovresti essere
specialmente in grado di deciderlo tu, che in casa di M.me Wéil
sei'vissuta,ché hai. veduto e praticato la stanza di Simone; che sei
depositaria si-lenziosa di tanti dati preziosi cui ti avevano dato accesso in
primis gli studi weiliani di Dwight.Harwell, condotti a contatto con casa Weil,
e rimasti inediti per la scomparsa precoce di lui, cesura anche della tua vita.
Le doti di visione .di Cristina Campo erano così forti da consentirle di leggere
dentro la pagina, non solo la pagina; forse anche per averne bruciato molte
tappe la sua vita non poté essere che breve. E probabile che il suo leggere
fosse un'assai rara maestria d'attenzione: questo senza infallibilità alcuna,
tanto che se Cristina ebbe libri di tutta la vita, Le mille e una notte o i vangeli
ad esempio, ebbe anche libri che 1'affascinarono solo per paco, e an-che lei
sbagliò sovente per precipitazione, idealizzando autore o persona nella sua
mente appassionata, attribuendole quasi le proprie doti, come succede
sovente alla umiltà dei forti, dei generosi. Monicelli ad esempio, di cui si
parla nelle Lettere a un amico lontano?
Lettrice `periodica' dei testi campiani, ho avvertito sempre che il piú segreto
esse-re della scrittrice era più forte, più nobile di quanto e di quanti la
circondavano, che emanava su di loro una luce che da soli non avevano, si
trattasse di persone o di cose. La sua lettura quindi di Alfonso Maria de'
Ligciori metteva a fuoco "il più", come lo chiamerebbe Margherita Porete. Il
limite, il limitare su cui ci soffermiamo noi, non sapendo penetrare e
accogliere in noi (c'é pure questo modo antitetico all'altro di prendere `alla
lettera') anche affermazioni come quelle del santo, predicatore, doveva essere
quasi sconosciuto a Cristina Campa, che lo valicava in quella comunione
profonda con la cosa, in quello che é anche il distacco eckhartiano, il puro e
amoroso intelligere, senza pre-giudizio. E questo c assai lontano
dall'estetismo in cui si vuole racchiuderla«per l'eleganza della scrittura e per
i suoi disdegni aristocratici ed estremi; a parte la sua disperazione quasi
apocalittica riguardo al presente, che chiamerei ceronettiana.
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Il tuo rancore per il precetto del santo, giovanile sdegno in sé generoso, privo però, come
ogni polemica, di oltre, era una scelta dualistica, oppositiva non dialettica: in questa trappola
(ora la chiamerei anche della cultura di sinistra) continuiamo a cadere, ma negli anni
Cinquanta credo vi ci spingesse il disdegno per una proposta religiosa e una predicazione che
poco o nulla ci diceva dello Spirito, del Logos, dell'Uno-Amore. Conoscere é amare, amare
rispettare, senza aggredire ciò che vogliamo capire, chiudendoci in difese. E farcene
sommergere e invadere, onda circolare da cui uscire salvi proprio non opponendo resistenza.
Posso immaginare il disdegno con cui Cristina re-spinse il tuo rifiuto della spiritualità del
Liguori solo per averne letto quell'ammoni-zione. La sua via era appunto divenire la cosa
stessa, non-esserci, nel giudizio, con il proprio io. "Conduci te stesso come un uomo' che non
esiste", era il precetto dell'abate Poemen (in Detti e fatti dei Padri del deserto p.157).
C'é insomma una forma superiore di attenzione, per dir così, che significa essere sempre nel
presente, non caricarsi vanamente fardelli-luoghi comuni anziché scaricarli, essere ogni
giorno nuovi, nuova alba d'un giorno mai stato prima, tabula su cui imprimere
l'apprendimento -intellezione nuova. Invece noi diamo per scontato, soffriamo di
attaccamento. Se avessimo la forza del distacco, di non affezionarci a nulla che non sia
divino, ovvero, che non sia verità! Tu lo chiami Assoluto, infatti.
Distacco, come fede, sono anche parole campiane. L'immagine delle pesche dall'a-nima
spicca, quale compare nel saggio Della fiaba (p. 33 de Gli imperdonabili) e nella seconda strofe di
Diario bizantino (p. 45 de La tigre assenza) é una figurazione del concetto di fede come distacco
quale lo enuncia il pensiero religioso speculativo, e "a spiccarsi il cuore dalla carne, o, se
vogliamo l’anima dal cuore, é chiamato l'eroe di fiaba, poiché con un cuore legato non si
entra nell'impossibile", commentava Cristina. E, ancora, distacco é perfetta attenzione:
ovvero, come scriveva Simone Weil: "E unicamente a Dio che si può pensare con la pienezza
dell'attenzione. Viceversa, é unicamen-te con la pienezza dell'attenzione che si può pensare a
Dio. Dio é l'attenzione senza di-strazione. Bisogna imitare l'attesa e 1'umilrá di
Dio"(Quaderni 3, p.217). E ancora: "L'attaccamento fabbrica illusioni, e chiunque vuole il
reale deve essere distaccato" (Quaderni 2, p. 293).
Cristina Campo supera il dualismo e sfocia nell'Uno per una via per così dire natu-rale di
pensiero, non filosofica in senso proprio, quasi un soffio che percorre, che sol-leva e fa
respirare i suoi testi rivelatori.
E questa specularità unitiva ella riscontra, con un acume certo non nostro, in testi che pure ci
sentiamo da sempre vicini:
Con tanta eleganza Manzoni riuscì a dissimulare le segrete implicazioni simboliche dei Promessi Sposi, la loro
obliqua, sfuggente costruzione tutta giuochi di specchi, ,di echi, di silenzi, tutta affermazioni per contrario e
negazioni per eccesso [quanto `autobiografica' questa finissima lettura!] da persuadere veramente il mondo, durante cento anni, di avere inaugurato il
romanzo realistico, moralistico; apologetico, lo studio mi-croscopico del noto "guazzabuglio, " e Dio sa che altro.
Se qualcuno lo lesse diversamente, sembra che abbia taciuto.
Poco sopra, nello stesso saggio (Una divagazione: del linguaggio), aveva scritto:
Quale delicata allusione si può rivolgere a Don Abbondio, quale nobile iperbole, quale bella, calda forma retorica?
II divino rabbuffo pastorale che il Cardinale Borromeo terrá al suo parroco é segnato dall 'inizio da quel sigillo
di disperazione che é l'implacabile, minuziosa, desertica esplicitezza.
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Con l'Innominato era bastato un accento, come una fiamma bettata su un cumulo di fascine
"portentosamente stagionate", "qui, desolatamente, il Cardinale accumula sempre nuova legna nel
focolare, già sapendo 'benissimo che non vi é fuoco per arderla" (pp.93-94 de Gli imperdonabili). Chi
mai prima di Cristina Campo aveva esamina-to in modo tanto ravvicinato questo passo
manzoniano? Non frutto, la sua meditazione, di scuole di pensiero, ma di "una sapienza tra le più
strane", come aveva scritto Guido Ceronetti per l'uscita (Einaudi 1971) di Poesie amorose e teologiche di
J.Donne. Ancora Ceronetti (Gli imperdonabili, p. '280) osserva, di questa lettura campiana di
Cardinale-Innominato: "questo é capire saggiando, avvicinare una lampada essendo tale». E non é
che un esempio tra i numerosissimi, per mostrare quella forma di pene-trante attenzione, porta
aperta sull'oltre nel quale Cristina si situava naturaliter. "Due mondi - e io vengo dall'altro" é
cadenza che risuona. tre volte nella prima strofa di Diario bizantino.
Nella prima parte del saggio suo fondamentale, Sensi soprannaturali, é presente an-che la sua
concezione del mistero della Trinità, di tanto rara comprensione (ad esempio alla domanda del
figlio C.G. Juncg, il padre, pastore protestante, rispose di non averlo
mai capito). E. quasi malgrado la cortina opulenta, la commozione delle sue immagini ("il corpo
maciullato- di Gesù ) Cristina sembra intuire il senso profonda della circola-zione trinitaria, trovare
una sua via per questa intellezione che così chiara diventa nel pensiero religioso speculativo,
nell'idea echartiaina della nascita del Figlio nell'anima del giusto'in quanto giusto. In una intensa
lettura degli aspetti carnale-miracolistici del passaggio del Verbo sulla terra, Cristina Campo si
inoltra dove i vangeli si fermano, dopo aver accennato alla guarigione dell'emorroissa o alla
resurrezione del "ragazzo putrefatto», e interpreta - di nuovo alla lettera - i miracoli, i segni,
sfociando così nella sua Trinità, nella sua Terza Persona. E il suo commosso calarsi nel mistero
della conce-zione di Maria (p. 235) é certamente a sua volta una via di conoscenza:
e non potrá contemplare la Terza [Persona], nella tenera irrisione della sua forma di colomba, chi non si sia velato
il capo dinanzi al dardo sidereo che ingravida un'adole-scente iniziata nel segreto del Tempio.
É la sua strada dei sensi soprannaturali, di cui parlò con forza Massimo Cacciari in-troducendo al
Lyceunl fiorentino, il 7 .gennaio 1997, le Due giornate di studio su Cristina Campo. É interessante
questa via intuitiva, attraverso il sensibile, via di trasformazione del sensibile in spirituale e divino,
derivata forse in leí soprattutto dalla cono-scenza dei Padri, dalla conoscenza - ossia, dall'amore - di
quell'intreccio di fiabesco e di ascetico che tanto la affascinava. Ma si torna sempre al punto, alla
profondità della sua lettura dei fatti e degli scritti, di cui tu, Margherita, hai detto con'tanta intensità
nella relazione al convegno. Ancora una rapida folgore ceronettiana: "1'erudizione non era che il
manifestarsi della sua ispirazione, il rivelarsi in lei della parola abscondita " (Gli imperdonabili, p. XV).
.
Vorrei dire che della perfezione Cristina volle liberarsi, sfociando (in particolare nelle ultime poesie)
nel liturgico -spirituale e basta; o potremmo parlare, per lei, di `seconda' perfezione. Fu la barriera
estetica - lo sapeva bene - a trattenerla a lungo su un
108
discrimine, insieme ad altre pastoie, quali {é ancora ipotesi mia} certe equivoche fascinazioni che direi stregonesche: ma c'era in lei un flessibile nastro d'acciaio, una dire-zione
precisa da sempre.
Sigillo di disperazione era apposto al suo destino, nella tempesta che é vivere una perenne
aspirazione alla `prima` perfezione. E vi sono mari di desolazione nelle sue let-tere (ad
Alessandro Spina ad esempio), per non riuscire a scrivere nella stanchezza, nella malattia; ma
v'é anche un consapevole, elegante darsene pace.
Sorella di perfezione, la disperazione ci riporta a Ceronetti, di Cristina affine spiri-tuale
principalmente per la visione apocalittica del presente e per i disdegni profetici che cadono da
altezze vertiginose nella considerazione delle cose', della loro possibile o
impossibile dignità e verità. {Ricorderò qui solo il compianto per la perdita del canto
gregoriano nella liturgia cattolica}. Ma anche per quel capire le cose invisibili agli altri,
illuminarle di bagliori momentanei e assolutî. Il linguaggio dei due é tuttavia diverso; diremo,
per brevità, meno visibilmente tragico e biblico quello di Cristina. Analoga si manifesta
I'impossibilità di citare da entrambi, così densa e concatenata la loro scrittura, che ogni
tentativo di proporla abbreviata é quasi solo un frantumare e miseramente ridurre. .
Le affinità tra i due rari scrittori non sono riconducibili a identità, com'é naturale. A proposito di un passo della sua traduzione del salmo 57 ripreso da Cristina, Ceronetti scriveva
(Gli imperdonabili, p. 281):
Sapere che qualcuno é rimasto, in ginocchio, nel tempio deserto, basta a fare di quel tempio
qualche cosa di più, di un triste monumento storico. Ma non riuscir mai, e se c'é troppo sforzo
diminuisce la grazia, a mettere d'accordo scavo di un testo sacro e rispetto
della tradizione fiorita sul suo baratro.... il commentare monotono dei santa é sovente una
speciosità sovrapposta, potente e vischiosa, che sbarra angelicamente le porte del te-sto.
Anche se quest'osservazione commenta un'affermazione di E. Zolla, non ci sarà difficile
vederla come un'interpretazione che si discosta da quelle di Cristina Campo lettrice, pure
impareggiabile, di testi devoti. Un altro esempio: per la saggista il rifiuto
di "annodarsi e snodarsi - soavemente ciecamente" nella scrittura del dio é limite-per-dita di
santità, per Ceronetti "la vipera che cerca di sfuggire alla voce dell'incantatore incarna [...]
anche un nobile rifiuto solitario, c una riottosità che non manca di gran-dezza". Ceronetti
sembra anche qui ricusare quell'abbandono alle cose, eckhartiana Gelassenheit che Cristina
conosce per le sue vie, tanto affini a quelle del pensiero reli-gioso speculativo, che pure
dovette aver esplorato in parte minima {anche se si sa che lesse e citó Eckhart, e se tradusse
qualche distico di Angelus Silesius}. A detta di Zolla, Ceronetti fu il primo e l'unico a capire
Cristina Campo ai suoi esordi di saggista - o quasi. E mi pare chiaro -- e ricordo che tu
concordavi - che una affinità forte quanto rara produsse questa intellezione dell'uno per 1'altra
(e viceversa, dato che Ceronetti fu tra i pochi frequentatori certi della casa di Roma). Era
Ceronetti ad aver capito: ossia, un autore a sua volta assolutamente a meno da appartenenze e
scuole, un autore 'unico' e isolato, traduttore speciale e in anticipo di libri a vario titolo
`scandalosi', in cui affondava la spada audace e doverosamente 'arbitraria'- ovvero, autonoma.
Responsabile di scelte - del suo ingegno. Non-conformismo senza coloriture politiche mi parrebbe di poter anche chiamare quello di entrambi: nella scelta delle letture, dei-temi da
trattare nei saggi, da vivere interiormente.
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Nei primi anni Sessanta, `bigotti' in politica e nel religioso - per certi nostri ricordi almeno poca attenzione della critica aveva trovato Fiaba e mistero.
E ora, a vent'anni dalla scomparsa di Cristina Campo, mi pare si veda chiaramente che é stato il
risveglio in atto da molti anni dell'interesse per lo spirituale e il cosiddetto `mistico' a rendere
possibile la rilettura di Cristina e l'inizio di una comprensione dei suoi testi, che vada oltre gli
abusati termini quali perfezione, sprezzatura e simili, ripe-tuti non di rado in una tautologia
che non raggiunge e nemmeno coglie l'affondo della relazione di Cacciari al Convegno del
Lyceum. Mi pare altresì che medesima origine abbia la spinta impressa da Adelphi, con la
pubblicazione de Gli imperdonabili (1987) e poi de La tigre assenza (1991), entrambi da te curati: e
in questo caso, l'attenzione ti-pica dell'editore per certa materia spirituale non rischia, forse
malgrado lui, l'equivoco dell'estetismo, soglia senza oltre sovente sfiorata.
Trascrivo ora la tua del dicembre 1997, e in appendice due delle preziose lettere a 'te di
Cristina, nelle quali mi toccano in particolare alcune precise conferme a certe mie intuizioni:
.
Cara Giovanna, ... J
Indubbiamente la morte dei genitori catalizza la `conversione' di Cristina; sulla forma che
questa `conversione' assume deve aver notevolmente influito Elémire Zolla, ma. la spinta
interna é, secondo me, precipitata da quella perdita. Cfr. le lettere dal 1965 in poi - specie dopo il
13 giugno, data in cui annuncia la morte del padre.
Nella grande lettera sul Breviario (di cui ti accludo copia) - dopo le lunghe istruzio-ni,
fioriscono illuminazioni sulla- preghiera, di altezza e bellezza `nove', in cui il `concreto
dell'espressione prelude ai grandi Canti usciti su «Conoscenza religiosa» (certe espressioni e
immagini di quegli Inni derivano dal breviario, per esempio).
Ma a quel `concreto ' la religiosità di Cristina - anche quella in nuce ,e perfino la sua forma cava tendeva da sempre. Era ancora degli anni fiorentini il suo riportare, total-mente aderendovi, la frase di Turoldo
sullo stato violento in cui doveva sopravvivere in lei priva in tutto del concreto nutrimento dell’amore sensibile e
della sua sublimazione nel pane e nel vino della comunione. Altro adepto del senso, Turoldo: "Io non ho mani che
mi accarezzino il volto" - o é necessariamente così quando la parola é parola poeti-ca (vedi anche John Donne)? E
la ragione per cui padre Vannucci non appare incatena-to al senso é forse che la sua mai fu in senso proprio
parola poetica; e forse, per la stessa ragione, neppure davvero lo fu quella di Platone?
Bisogna anche notare che l'altissima pagina sulla preghiera segue alla faticosa serie di `istruzioni' per l'uso del
breviario medesimo: se ne deve forse dedurre che é il premio ,fiore, di quella umiltà e di quella pazienza, magari
perfino mortificazione.
Un'altra riflessione s'impone anche per la lettera della Domenica in Palmis (3 apri-le) del
`66: "E tutto ciò, tutte queste cose irrimediabilmente condannate se Dio non
interviene,noi le viviamo con intensità inesprimibile di chi si è innamorato di
una creatura segnata. E forse anche questo, essendo una passione, é parte della Grazia .Questo
sentimento, che le cose amate sono condannate a sparire, aggiunge indubbiamente, per Cristina, al loro
incanto -per quel suo sogno di fedeltà dolorosa che le faceva desiderare un matrimonio dove l'impegno, irrevocabile,
fosse solo dalla sua parte. É un sentimento che, per le cose, sa era già espresso compiutamente nel Diano d Agosto,
poi con-fluito in Parco dei cervi: "Eppure amo il mio tempo perché... " Così, più amabili sono gli "imperdonabili"
perché il mondo li perseguita e dispregia. Questo era anche un tratto weiliano
- vero amore é quello nel quale il senso della precarietà dell'amato non in-duce a sottrarsi; rinnegandolo, alla pena
che porterà la sua perdita - altro punto di coin-cidenza tra i due spiriti, profondo,
Margherita
Appendice. Lettere inedite di Cristina Campo kMargherita Pieracci Harwell
sabato S, Quaresima 1966
Cara Margherita,
in questi giorni di Quaresima nei quali comincia a usare il Breviario, vorrei sugge-rirle di leggere ogni sera le
lezioni del Mattutino, con le loro Omelie e i loro Responsori. (Queste lezioni si trovano nel Proprio, non
nell'Ordinario: Feria II ad Matutinum ): Si ricordi che il Mattutino si legge di notte, quindi se è lunedì lei
deve leggere quello del martedì (feria III) e cosí via: [-] Ci vuole un po' di tempo per imparare a comporre questi
mosaici, a distinguere gli inni, i capitoli, le antifone per annum da quelli delle feste o dei periodi speciali. Si
sbaglia, ma non si legge nulla che non sia bello sempre.
Per ora, cercherei di tenermi a una lettura regolare dei Mattutini soltanto. In più, può recitare l' fficium
Defunctorum che non richiede pratica perché é completo in se .stesso e;la sera. Compieta, l'ultima delle ore
canoniche, immutabile per tutto Panno tranne l'Antifona della Vergine (in questo periodo: Ave Regina
Coelorum) e che contie-ne tutto, assolutamente, quanto occorre per affrontare la notte [ ...].
In un'altra lettera le dirò qualcosa delle piccole ore, poi delle grandi; o questo cumu-lo di spiegazioni non servirà
che a confonderla.
Le unisco la Crux monastica, complemento del Breviario. Essa é giá in sé una com-pleta piccola
cosmogonia e mostra con quale logica superiore sia organizzato il brevia-rio, dove si uniscono il giro del sole, il ciclo
dell'anno e 1'itinerarium mentis in Deum. Senza dubbio la musica, con i suoi sette toni, vita di questa parole
e stagioni, le mancherà. Cerchi sempre di recitare gli Uffizi recto tono, cioè su una sola nota (come il Sa-cerdote
quando canta Dominus vobiscurn) e senza dar loro espressione alcuna. All'aste-risco nel versetto, o alla
crocetta, piccola pausa. Alla fine di ogni salmo un Gloria, natu-ralmente, salvo nell'ufficio dei morti:
Vorrei tanto che lei scoprisse nel breviario un segreto che solo in questi giorni mi si é fatto chiaro nella mente: come
sia la preghiera a far tutto, e l'uomo non sia, come sempre, che un vaso en upoméne. É la preghiera a
impadronirsi lentamente dell'uomo, non l'uomo della preghiera, é lei a bere l'uomo e dissetarsene `e solo in
seconda istanza la cosa é reciproca: L'espressione: "assorbito nella preghiera" é letteralmente esatta. Il metodo, la
costanza necessaria, hanno il solo scopo di produrre il vuoto che renda pos-sibile questo assorbimento. É come nella
Cena: "Desiderio desideravi..." É lui per pri-mo ad aver fame di noi. É la preghiera (opus Dei) a
voler essere pregata, cioè nutrita da noi.
II tempo qui é variabile; come sempre la primavera alterna dolcezza e crudeltà. Io non ho giardino, ma davanti
alla mia finestra, che é triplice, come un bow-window del tempo di Jane Austen, l'albero di gincobiloba é ancora
nudo e secco. Anche a Sant'Anselmo c'é poco verde; solo sulle mura i rampicanti (credo rose) cominciano a
germogliare. Di me non posso dirle nulla per ora. Dopo settimane che immagino figura terrena delle pene del
Purgatorio, la parola si ritira di nuovo dentro il tronco, come i germogli dopo la gelata. Del resto é Quaresima.
Bisogna vivere tutto il piú umilmente possibile, e dare quel. che si ha - la sofferenza in questi casi - come l'obolo
della vedova: nulla e tutto allo stesso tempo.... .
Cristina
111
Dom. in Palmis 1966
Cara Margherita,
Stamane abbiamo portato palme e ulivi in processione per i chiostri e i giardini di S.Anselmo, e il coro dei
monaci cantava le dolci antifone: "Pueri Haebreorum portantes ramos olivarum..." e "Gloria laus et
honor sit tibi, Rex Xte Redemptor: cui puerile decus prompsit Hosanna pium". I monaci portavano
tutti queste altissime palme, il solo abate, tutto in porpora, un ramo fiorito di rose gialle, mirto e altri, boccioli,
come una verga fiorita,fortemente in quell’attimo c’erano molti bambini che senza comprendere le parole agitavano
graziosamente i loro rami; anche, in silenzio, come grandi ventagli,durante la lettura del Passio. E tra quei
bambini ce n'erano di storpi, bellissimi, come sempre questi bambini colpiti, e due giovinette cieche, sorridenti.
Tutto era un po' un miracolo, a cominciare dall'Abate che, gravissimamente malato (ha le vene di una gamba
aperte, é tutto una piaga fin sulle spalle), ha celebrato una Messa solenne di un'ora e tre quarti, dopo mezz'ora di
processione, can perfezione e lentezza: maestoso, anch'egli un poco graziosamente puerile, senza lasciare un gesto o
un inchino. E tutto ciò, tutte queste cose irrimediabilmente condannate se Dio non interviene, noi le vivia-mo con
l'intensità inesprimibile di chi si é innamorato di una creatura segnata. E forse anche questo, essendo una
passione, é parte della Grazia.
Le mando questa immaginetta per il suo breviario. Il quale forse non é un libro da leggere solo di sera e nel
silenzio. Credo anche sia il libro che dovrebbe crearci ovun-que, a seconda della nostra fedeltà, sera e silenzio. j... J
Lei sa che casa siano le strade, verso le otto di sera, dalle parti di Piazza Fiume... Scopersi di colpo che per
quelle vie molto più che infernali si poteva far qualcosa che né in albergo, né in chiesa, né in alcun altro luogo che
la propria casa, si può fare: piangere. Piansi felicemente per circa mezzo chilometro, grata dal profondo del cuore
che non un'anima mi gettasse un'occhiata - e a un tratto mi accorsi che stavo recitando due versetti di un Salmo:
"Euntes ibant et fle-bant mittentes semina sua... Venientes autem venient cum exultatione,
portantes mani-pulos suos...u. Li applicavo ai miei genitori, dei quali quella sera, sola per quelle strade,
non riuscivo ad accettare il dolore ,la passione da loro patita per due anni - e a poco a poco, ripetendo quei
versetti, il pianto si tramutò in soavissima forza. j...J In questo modo si può anche portare il SS. Sacramento
appeso al collo in una piccola teca d'ora, come il padre MayerJ lo portava quando veniva da mio padre; e
un'orrenda Volkswagen può trasformarsi per un attimo nel carro dell'Etiope che viene ricordato quando si benedice un'automobile. [..
Forse. Chicago é al di là di tutto e io non dovrei parlare. Mi perdoni. Ma leggere Rousseau per gli uffici é un
masochismo che mi supera. Ed é un masochismo, tra l'altro così "antico": come leggere Renan (le do un alltra
idea?). X, con le sue orrende suddivisioni e sintesi junghiane ("un po' di questo e un po' di quello, un po' di Dio e
un po' di buon demonio addomesticato») suggerirebbe Boccaccio. Ma io non posso suggerire nul-la perché da un po'
di tempo mi accade qualcosa di tanto strano.
L'altra sera ho preso in mano i Taccuini del Dottor Cechov un libro che fino a due anni fa era la mia delizia, e
dopo 10 minuti l'ho riposato. Una volgarità impalpabile, sottile, la volgarità del laico, dell'incredulo, evaporava
da certe piccole osservazioni di quell'uomo per tanta versi adorabile. Cos, per rallegrarmi senza la minima ombra
di noia (la volgarità é veramente di una noia desertica), ripresi una grande biografia del Curato d'Ars. Si muore
di paura, a leggerla, ma di noia - oh di noia no certo. E il solito caso del Santo deformato dalla demoniaca
perversità del secolo in bravo piccolo parroco di villaggio, tutto nature, igno-rante quanto basta e santamente
puerile. Mentre si tratta di una terribile aquila che ti rapisce nel suo forte becco ad altezze spaventose e poi, come
l'uccello Roc che trasportava Sindbad, ti lascia cadere con la massima indifferenza; e peggio per te se non sai
volare. Non mi stupisce che Simone lo amasse tanto.
A proposito di Simone, le racconterò la prossima volta del convegno che si é svolto su di lei qui a Palazzo
Barberini. Splendido ad eccezione di quel poverissimo Padre Perrin, del quale Mime[la madre di Simone WeilJ
aveva ben ragione di diffidare.
~... J Prego molto per lei, e vorrei dirle: si rimetta a Dio ~... J, cessi se può questa ri-cerca angosciosa che, finché
dura, temo -possa crearle intorno quei risucchi quei re folli che non possono non tener lontane le giuste soluzioni.
Dio la vuole in attesa. Evidentemente c'é il tempo necessario all'attesa. lo come lei attendo, da dieci mesi , e non le
dico le forme di questa attesa per-ché in parte le sa e in parte non sono comunicabili: Ma la cosa giusta verrà al
momento giusto se non turberemo con moti scomposti il lavoro del Tessitore. Impariamo dai bambini che non
conoscono il significato della parola; domani. L'ansia é il demonio, ~... J, .1l demonio che- io combatto giorno e
notte. Combattiamolo insieme, e l'una per l'altra: vuole. ?
Perdoni questa lettera precipitosa, dirotta e predicatoria.
Cristina
Notizia bibliografica
1943-45 Prime traduzioni:
1943 B.von Tórne, Conversazione con Sihcalius (1937), Monsalvato,
S.Casciano VP. (Firenze)
1944 K. Mansfield, Una tazza di té e altri racconti, Frassinelli, Milano
1945 Prima poesia: "Si ripiegano í bianchi abiti estivi" (pubblicata poi in Passo
d'addio) 1948 traduce E.Mórike, Poesie, Cederna, Firenze
1953 Il catalogo dell'editore Casini di Roma presenta I'indice del progetto di
volume Ottanta poetesse, a cura di Vittoria Guerrini, mal realizzato
1956 Progetto della rivista, dal significativo nome weiliano, che C.Campo
vorrebbe fondare: L'Attenzione
1956 Passo d'addio, ScheiwilIer, All'insegna del Pesce d'oro, Milano
1958 W.C.Williams: II fiore é il nostro segno, Scheiwiller, All'insegna del pesce
d'oro, Milano
1959 Il numero 39-40, Maggio-Agosto, A.VII di «Letteratura» ha una sezione
dedicata a S.Weil, a cura di C.Campo
1961 Prima edizione Einaudi di William Carlos Williams: Poesie, tradotte e
presentate da
C. Campo e V. Sereni (1967 Seconda edizione Einaudi)r
1962 Fiaba,, e mistero, Vallecchi, Firenze
1963 La cittá di rame, traduzione di A.Spina, Introduzione di C:Campo, Seheiwiller,
All'insegna del Pesce d'oro, Milano
.
1963 S.Weil, Venezia salva, traduzione di C. Campo, Morcelliana, Brescia (1987
Nuova edizione, Adelphi, Milano)
1963 Mistici dell'Occidente (a cura di E. Zolla), Garzanti, Milano (C. Campo
contribuisce con varie traduzioni)
1969 Appaiono su «Conoscenza religiosa», rivista diretta da E.Zolla, pubblicata tra il
1969 e il 1983 da La Nuova Italia, Firenze, le poesie di C. Campo "Missa Romana" e
"La tigre assenza"
1971 Il flauto e il. tappeto, Rusconi, Milano
1971 J.Donne, Poesie amorose Poesie teologiche, Einaudi, Torino 1972
Intervista, la'sua unica, sul «Tempo» di Roma (16 aprile)
1973 Racconti di un Pellegrino russo Rusconi, Milano., Introduzione di
C.Campo
1975 Detti fatti dei Padri del deserto, Rusconi, Milano, Introduzione di
C.Campo
1975 C. Trungpa, Nato nel Tibet, Rusconi, Milano, Introduzione di C. Campo
1969-77 Poesie e traduzioni in «Conoscenza religiosa»; le ultime uscite poco dopo la
morte
1987 Gli imperdonabili, Adelphi, Milano (prose)
1989 Lettere a un amico lontano, Sclleiwiller, Milano
1991 La Tigre Assenza, Adelphi, Milano (poesie e traduzioni di poeti)
1998 Sotto falso nome (a cura .di M. Farnetti, scritti sotto vari pseudonimi),
Adelphi, Milano .
1998 Lettere a Piero Polito: L’Infinito nel finito a cura di Giovanna Fozzer,Ed
Via del vento ,Pistoia
GIOVANNA FOZZER
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Religioni e Società Rivista di scienze sociali della