EMANUELE CONTE
COSE, PERSONE, OBBLIGAZIONI,
CONSUETUDINI
PICCOLE OSSERVAZIONI SU GRANDI TEMI
1. Quando s'è occupata delle vicende del diritto privato tra l'evo
moderno e il contemporaneo, la storiografia giuridica ha posto in
rilievo la connessione intima tra l'esigenza di semplificare il sistema
delle proprietà medievali e quella di liberare la volontà individuale
nella formazione del contratto e nella creazione delle obbligazioni.
S'è quindi spesso ripetuto, con ragione, che il raggiungi mento della
«proprietà perfetta» ottenuto col famoso articolo 544 del Code
Napoléon ebbe l'effetto di sciogliere le ali, per così dire, alla libertà
contrattuale 1.
Se agli occhi dello storico del diritto privato moderno la dinamica dei rapporti contrattuali appariva palesemente dipendente dall'assetto assunto dalla statica dei diritti reali, non può però dirsi
altrettanto per lo storico dell'età medievale, al quale è occorso soltanto in rari casi di trattar congiuntamente le due grandi sfere che la
dogmatica moderna usa distinguere nettamente. Sarà fqrse la perdurante influenza di una concezione sostanzialmente evoluzionistica della storia giuridica2, che al Medioevo ha assegnato per tradizione la funzione di tramite tra diritto classico e diritto odierno: il
fatto è che quella separazione netta tra rapporti obbligatori e diritti
reali che s'è precisata lungo l'età moderna e fu sancita dalla Rivoluzione ha finito per orientare anche tanti autorevoli studi di diritto
privato medievale. Il che non ha impedito, per la verità, di porre in
rilievo esempi assai rilevanti di contatti tra diritti reali e obbliga-
JSi tratta di una posizione comune alla storiografia e accolta generalmente
anche nei manuali di diritto privato: basti menzionare il saggio di G. TARELLO,
Ideologie settecenteschedella codificazione e struttura dei codici (1978), ora in ID.,
Cultura giuridica e politica del diritto, Bologna, 1988,p. 41-60. Sull'area anglosassone cfr. P.S. AnYAH, 11zeRise and Fall or Freedom or Contract, Oxford, 1979,
p. 85-90.
2Cfr. sul tema l'equilibrato volume di P. STEIN,legaI Evolution. 11zeStòry or
an Idea, Cambridge, 1980. La teoria evoluzionistica fu suscettibile in Italia di
applicazioni curiose: se ne veda un esempio nell'opuscolo di P. COGLIOLO,
La
teoria dell'evoluzione darwinistica nel diritto privato, Camerino, 1882.
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28
EMANUELE CONTE
zioni. Basti pensare al caso della locazione-conduzione:
ancora
l'Astuti poteva indicarla come il tipico contratto con efficacia soltanto obbligatoria3, ma al Grossi essa svelò poi una forte propensione ad assumere efficacia reale quando il rapporto fosse vivo per
un tempo sufficientemente lung04.
2. n fatto è, insomma, che la cultura giuridica medievale non
delineò confini ben visibili tra i due territori che il diritto borghese
volle separar chiaramente. A dividerli v'era piuttosto una vasta
«zona franca» presidiata da un lato da forme molteplici di servitù,
che tendevano a vestire rapporti personali anche privi di oggetto
reale; dall'altro da obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni periodiche, cui la sensibilità medievale attribuiva caratteristiche tipiche
dei diritti reali. A questa nebulosa di situazioni giuridiche che la
nostra mentalità sistematica fatica a inquadrare si può dedicare qui
qualche osservazione.
E occoITerà partire da un testo di Baldo ch'è stato definito la
prima lista dei diritti reali s, compilata dalla dottrina con un ritardo
che, due secoli e mezzo dopo Irnerio, può sorprendere; e si spiega
con la scarsa preoccupazione che destava l'ordinata descrizione dei
diritti nel Medioevo, quando la scuola era attenta piuttosto a elaborare argomenti e rationes da mettere in campo nel gioco dialettico
che costituiva la scientia. Del resto anche Baldo, che pure anticipò
taluni atteggiamenti umanistici, concepl la sua lista nel quadro di
una discussione che risaliva al tempo dei glossatori, svolta dai civilisti in margine a una norma del Codice che stabilisce il principio,
all'apparenza indiscutibile, tempus non vestir pactum : il fatto che
per un certo tempo sia stata effettuata una prestazione periodica
convenuta per mezzo di un nudo patto non può conCOITere a formare la causa legittima di una obbligazione6.
3 G. Asnm, I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, Milano,
1952,p. 309-310: .Si tratta di definire non solo la struttura di questi contratti
(sc. agrari), e il fondamento giuridico della loro efficacia, ma soprattutto la loro
funzione, cioè il contenuto di questa efficacia, che in alcune figure è puramente
obbligatoria, in altre obbligatoria e reale, in quanto il contratto è al tempo stesso
atto traslativo o costitutivo di un diritto reale, e fonte di obbligazioni corrispet-
tive.
Esempio tipico della prima categoria nel diritto romano è il contratto di
locazione, della seconda il contratto di enfiteusi».
4Paolo GROSSI,
Locatio ad longum tempus. Locazionee rapporti reali di godimento nella problematica del diritto comune, Napoli, 1963.
5Da R. FEENSTRA,
lus in re. Het begrip zakelijk recht in historisch perspectief
(voordracht gehouden aan de Rijkuniversiteit te Gent op lO Maart 1978)(Thorbecke -Colleges, 4), Zwolle, 1979,p. 13.
6Si tratta di una costituzione di Diocleziano e Massimiano del 294 (C.
2.3.28): .Si certis annis quod nudo pacto convenerat datum fuit, ad praes-
COSE, PERSONE,OBBUGAZIONI, CONSUETUDINI
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Fa riflettere dunque che Baldo voglia descrivere i diritti reali
commentando una norma che dovrebbe suscitare approfondimenti
in tema di patti e, per estensione, di contratti e obbligazioni. E tuttavia la menzione dell' elemento tempo nel testo legislativo evocava
nell'interprete medievale da una parte quei rapporti contrattuali che
alla lunga durata dovevano la loro efficacia reale, dall'altra la prescrizione di diritti reali. Sicché era ormai costume fra i civilisti
trarre da quella norma un insegnamento fondamentale che tracciava in astratto una differenza tra diritti reali e «diritti personali»
(cioè i diritti soggettivi sorti da obbligazioni) : che i primi non possono costituirsi ex tempore, mentre i secondi si acquisiscono per
effetto di una longi temporis possessione confortata da un legittimo
titolo7.
Di qui, dunque, l'esigenza sentita da Baldo di identificare un criterio per distinguere i diritti reali dai personali, e la proposta di due
dottrine: l'una «per nomina», puramente definitoria; l'altra «per
quandam theoricam», più elaborata ma forse meno soddisfacente.
Ogni diritto soggettivo che esiste senza riferirsi ad una obbligazione
è un diritto reale, mentre il diritto che non sussiste se non nell'obbligazione è un diritto personale8 : ed ecco così identificati come diritti
reali la proprietà, le servitù e le quasi servitù. Che è come tornare al
punto di partenza, giacché i rapporti fra persone che potevano
tandum in posterum indebitum solutum obligare non potuit eum qui pactum
fecit, nisi placitis stipulatio intercessit».
7Nella formulazione di Baldo (commentario a C. 2.3.28, num. 18): «Ex
praedictis apparet quod iura personalia non inducuntur ex tempore, sed eorum
probatio inducitur ex tempore curo longa possessioneconiuncto. Iura vero realia
acquiruntur ex longi temporis possessione vel quasi, iuris adminiculo concurrente». L'accenno alla presunzione, discusso da Baldo in precedenza,è anch'esso
un vecchio motivo della civilistica, indotto dal confronto tra la menzionata l. Si
certis annis (C. 2.3.28) e un frammento del Digesto che disponeva che le usure
prestate per lungo tempo dovessero considerarsi legittimamente dovute (D.
22.1.6 Cum de in rem verso). La soluzione offerta da Baldo risale addirittura a
Giovanni Bassiano, che propose di considerare il lungo tempo non elemento costitutivo dell'obbligazione, ma requisito per presumere che la prestazione periodica abbia avuto una causa costitutiva valida anche se non più attestata.
8BALDO,loc. cit., num. 19 in fine: «...ubicumque reperitur ius sine ulla obligatione, istud est ius reale, ita dicit tex. in d. § Omnium (Inst. 4.6.1). Ius vero
quod non reperitur nisi in ipsa obligatione est ius personale, ut cf. de ser. l. Ut
pomum (D. 8.1.8),cf. de ser. urb. (!) praed. l. Pecoris (D. 8.3.4), cf. de usufr.leg. l.
Fundi Trebatiani (D. 33.2.38), et noto cf. de usuf. l. Si quis ita (D. 7.1.20). Unde
dominium et servitutes et quasi servitutes, quae ad essentiam sui non indigent
obligatione, sunt iura realia». Il ragionamento è abbastanzachiaramente ispirato
all'esordio del titolo de actionibus delle Istituzioni giustinianee; il che potrebbe
suggerire, se non si rischiasse di allontanarsi troppo dal nostro tema, riflessioni
su quel rapporto tra diritto soggettivo e diritto ad agire in giudizio che ha costituito l'oggetto di una erudita disputa tra M. Villey, G. Pugliesee Wubbe. Sul tema
si veda ora R. FEENSTRA,
Ius in re, cit., p. 3-12.
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EMANUELE CONTE
essere annoverati fra le servitù pur non avendo un oggetto reale
erano molti. Lo ammette Baldo stesso solo qualche riga più su, esponendo la sua dottrina «nominalistica», che proprio alle servitù deve
dedicare un approfondimento: oltre alle servitù reali, dovute da una
cosa verso un'altra cosa, esistono infatti servitù personali che sono,
a dispetto del bisticcio di parole, diritti reali9. E se pochi problemi
pongono alla nostra sensibilità l'uso e l'usufrutto inseriti in questa
categoria, colpisce invece il riferimento al rapporto tra superior e
vassallo descritto come una servitù, un diritto reale.
Una vecchia e diffusa tradizione storiografica insegnava infatti
che sul piano tecnico giuridico il feudo deve considerarsi costituito
di tre diversi istituti: il beneficio, il vassallaggio e l'immunità lO.Si
separa in tal modo nella teoria l'elemento reale dal rapporto personale e dalla delega di poteri pubblicisti ci, riconducendo così alle
nostre categorie mentali quell'inafferrabile miscuglio che fu il feudo.
E il vassallaggio, si insegnava e si ripete ancora, era un rapporto personale, generatore di diritti e doveri ma estraneo alla sfera dei diritti
reali, cui sarebbe appartenuto il beneficio.
Per Baldo, invece, quel rapporto è un esempio di servitù personale e dunque proprio un diritto reale: «Item servitutes hominum
sunt iura realia : unde in vasallo habemus ius reale et petitur per
quasi confessoriam; idem in ascripticio et censito». li che porta con
sé almeno due conseguenze di assoluto rilievo nella pratica: che
cioè una soggezione personale potesse essere acquisita per prescrizione, attribuendo così valore de iure a una situazione di fatto protratta per molti anni; e che sul piano processuale fosse ammesso il
ricorso alle procedure possessorie romane e canoni che, cioè gli
interdetti e l'actio spolii. Si tutelava insomma come possesso un rapporto di fatto fra uomo e uomo.
3. La conclusione di Baldo era però tutt'altro che pacifica. La
possibilità di rivolgersi al giudice per ottenere la restituzione nel
possesso non di cose materiali, ma di diritti, aveva costituito r oggetto di lunghe discussioni che avevano finito per opporre i civilisti
ai canonisti. La vicenda è in gran parte nota, grazie alle indagini
ormai più che centenarie di Bruns e di Ruffinill, e affonda le sue
9Sulla distinzione tra servitù personali e reali si veda per tutti la recente
voce Servitù (dir. intennedio) di I. BIROCCHIe M.C. LAMPls in Enciclopedia del
diritto, 42, Milano, 1990,p. 262-274,p. 265.
lOAssai diffusa fin dal seéolo scorso, la teoria della scomposizione del feudo
in tre istituti diversi ha ricevuto in Italia ampia divulgazione perché accolta dal
più diffuso manuale di storia del diritto medievale italiano, il Medio evo del diritto
di Francesco CALASSO,
Milano, 1954,p. 188-192.
Il Resta fondamentale per gli ampi orizzonti l'opera di CarI Georg BRUNS,
Das Recht des Besitzes im Mittelalter und in der Gegenwart, Tubinga, 1848, alla
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COSE,PERSONE,OBBLIGAZIONI, CONSUETUDINI
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radici in un episodio emblematico che pose di fronte, nell'aula del
tribunale, i due massimi esponenti della glossa civilistica e di quella
canonistica. Davanti a Uguccioda Pisa che, lasciata la cattedra scolastica per quella vescovile di Ferrarà, presiedeva l'udienza in veste
di giudice, Azzone difese le ragioni del monastero di S. Stefano
contro le pretese dei canonici bolognesi, i quali chiedevano che fosse
proseguita la prestazione di derrate che affermavano di «possedere»
da lungo tempo. Trasferita in una quaestio scolastica che ebbe due
redazioni differentil2, l'arringa di difesa del maestro civilista si basò
proprio sul carattere obbligatorio del preteso rapporto tra i due enti
ecclesiastici, per affermare l'inapplicabilità al caso della procedura
possessoria. La richiesta dei canonici, diceva Azzone, può essere
basata soltanto .su una obbligazione, e perciò può esser fatta valere
in giudizio soltanto da chi è in grado di provare l'esistenza di un
contratto valido che creò quell'obbligazioneI3. Se si potesse chiarire
la posizione del glossatore ricorrendo alla dottrina di Baldo, si
direbbe che l'omaggio annuale prestato dai monaci non poteva rientrare fra gli iura realia : per esser considerato la risposta a un diritto
quale si ispirò ampiamente l'indagine di RuFFlNI,L'actio spolii, Torino, 1889. Più
recenti i lavori di G. WESENER,
Zur Dogmengeschichtedes Rechtsbesitzes,in Festschrift Walter Wilburg, Graz, 1975, p.453-476 e L. CAPO
GROSSICOLOGNESI,
Appunti sulla «quasi possessioiuris» nell'operadei giuristi medievali, in Bullettino
dell'Istituto di diritto romano, s. 3, 19, 1977,p. 99-127,e le pagine dedicate alla
quasi possessioda H. COING,Europaisches Privatrecht, I, Monaco di B., 1985,
p. 343-344.
12Edita nella sua versione più diffusa da E. LANDSBERG,
Die quaestionesdes
Azo, Friburgo i. B., 1888 col num. XI, p. 75-82, la quaestio si presenta in vesti
alquanto diverse nella collezione azzoniana scoperta ed edita da A. BELLONI,Le
questioni civilistiche del secoloXII. Da Bulgaro a Pillio da Medicina e Azzone,Francoforte sul Meno, 1989 (Ius Commune Sonderhefte,43), p. 168-170.
13Cosi per larghe linee. Le fonti sull'episodio creano in realtà alcuni problemi : in particolare la versione Azo C. edita di recente dalla Belloni propone un
quadro alquanto diverso delle posizioni, allineando nella solutio Azzone a
Uguccio. Pur senza conoscerequesto diverso testo della quaestio, il CAPOGROSSI,
Appunti sulla quasi possessioiuris ..., cit., ha colto talune sfumature presenti nella
posizione di Azzone. È tuttavia da J;jlevareche quell'intransigenza che aveva colpito la più vecchia letteratura, che in Azzone aveva riconosciuto il paladino del
rigore romanistico opposto alla predominante impostazione canonistica, era
stata colta anche da Baldo, la cui interpretazione dell'episodio è rimasta fin'ora
inosservata. In una additio allo Speculum iudiciale di Guglielmo Durante il commentatore sintetizza la vicenda proprio in termini di opposizione netta tra il civilista e il canonista : -Pone ergo quod rusticus per lO. annos quolibet anno soluit
cuidam nobili uel cuidam ecclesie unum corbem grani. Non uult amplius
soluere : quaeritur utrum poterit conueniri quasi possessorio recuperandae?
Azo dicit quod non, per l. fin. ff. quorum bonorum (D. 42.2.2); Hug. iudicauit contrarium, et probatur ext. de election. Querelam (X. 1.6.24»>(Additio al
tit. De restitutione spoliatorum, pars Il dello Soeculum).
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EMANUELE CONTE
soggettivo dei canonici esso doveva configÙrarsi come l'adempimento di una obbligazione.
A Uguccio la tradizione attribuì la difesa dell'ottica tipicamente
canonistica, che fu del resto sancita soltanto pochi anni dopo il processol4dalla decretale .Querelam di Innocenzo m, del 1205. Confluita
nella raccolta dello stesso papa (la Compilatio tertia) e poi nel Liber
Extra (X. 1.6.24), la sentenza di Innocenzo, che stabiliva la restituzione di una chiesa nello «status percipiendi pensionem» in attesa
di definire la «quaestio proprietatis», apriva le 'porte all'irruzione
dell'ottica possessoria per la difesa di qualunque diritto, e finiva così
per provocare nelle opere dei canonisti uno smisurato ampliamento
di quella categoria delle servitù personali che ci è apparsa come
l'avanguardia dell'espansione incontrollata dei diritti reali.
Sicché nel corso del Duecento i civilisti arrivarono a criticare
apertamente non tanto i ragionamenti dei colleghi canonisti, quanto
piuttosto lo stesso contenuto della decretale di Innocenzo. E a Jacques de Révigny fu attribuita da Cino una espressione significativa:
«adversus Querelam opus est querela»15.
La soluzione canonica è troppo sbrigativa, aggiunge Cino :
mescola arbitrariamente le actiones in rem e quelle in persona m e
provoca insomma lo scompiglio nel sistema delineato dalle Istituzioni. Assai male fanno perciò quei legisti che si rivolgono alla
norma canonica per agire anche nel foro civile pretendendo di difen-
14La controversia tra i due enti ecclesiastici può esser datata con una certa
approssimazione: deve esser posteriore all'elezione di Uguccio all'episcopato
awenuta nel 1190,ma anteriore all'arbitrato dell204 che concluse la vertenza
~enzionando l'istruzione della causa ad opera dello stesso Uguccio [documento
edito in Chartularium Studii Bononiensis, m, Bologna, 1916,p. 162-163,num.
cx1ii (790)].
15Così la Lectura di Cino a C. 2.3.28 Si certis annis, num. 17(ed. Francoforti
ad Moennum, 1578,rist. Torino, 1964,fol. 59ra) : cUltimo quaero : nunquid in
personalibus praestationibus sit reperire iudicium possessorium? Verbi gratia
volo dicere in libello sic : cDico contra talem quod eram in possessionepercipiendi ab eo annua lO., quae mihi praestitit pluribus annis; modo denegatpraestare, quare peto mihi restitui etc.-. Nunquid procedit iudicium? Decretalistae
dicunt quod sic, per decreta. extra de elect. c. Querelam (X. 1.6.24). Dicit Iacob.
de Rauen : hic adversus querelam opus est querela, nam quod in personalibus
actionibus locum habeat poss~ssorium nusquam auditum, nusquam relatum
praeterquam a Satumino». Non ho però trovato il riferimento al canone Querelam né nella Lectura Codicis del Révigny stampata sotto il nome di Pierre de
Belleperche (Parisii, 1519,rist. Bologna, Forni, 1967),né nella repetitio alla l. Si
certis annis manoscritta segnalata da BEZEMER,
Les répétitions deJ. de R., Leida,
1987,p. 200-201nel ffis. Seo de Urgel2036 (cfr. la descr. del ms. in G. FRANSEN,
Textesde l'école d'Orléans dans le manuscrit Urge12036,in Studi Senesi,81, 1969,
p.7-26, 15). La diffusione dell'opera di Cino ha però fatto si che la critica al
canone fosse generalmente riportata al giurista orleanese.
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dere quello che deve considerarsi un possesso « impropriissimo» :
pur avendo tra le mani l'inestimabile tesoro delle leggi giustinianee
essi si rivolgono all'erronea scienza canonistica, come chi si riduce a
chieder l'elemosina ai mendicanti stessil6.
4. Non è qui il caso di menzionar tutti i civilisti che intervennero
sul tema del possesso di diritti nei cent'anni intercorsi tra le due
marcate prese di posizione di Azzone e di Cino; esse stanno ai due
estremi di una linea di pensiero, unitaria salvo qualche eccezione,
che percorre tutto il Duecento e rappresenta uno dei punti di attrito
tra le due grandi scienze che andavano costruendo il fulcro teorico
del sistema del diritto comune.
Per trovare una valida proposta di conciliazione tra i due orientamenti contrapposti occorre tornare ancora a Baldo, che si affida a
una distinzione sottile. Una prestazione periodica -dice -può esser
fatta principalmente per adempiere a un'obbligazione, e allora non
può esser richiesta con procedimento possessorio : non costituisce
una cosa e non può essere oggetto di diritto reale. Oppure quella
prestazione può aver relazione con una certa servitù o una soggezione personale: «puta iste rusticus praestit omni anno aliquid tamquam vasallus vel tamquam vasalli filius». E in questo caso essa è
l'effetto di un diritto reale, e dunque può essere oggetto di procedimenti possessori e petitoril7.
16La colorita espressionedi Cino si legge in fondo alla colonna L:itata : «Quid
plura? quod contra debitorem personal iter obligatum non habeat locum possessorium probatur per I. expressam. Interdictum quorum bonorum est possessonum, ut cf. quo. ho. I. i. (D. 43.2.1),tamen non potest intentari contra debitorem
personaliter obligatum, ut eo. titu. I. ult (D. 43.2.2). Et istud est verum secundum
Petoad decretalem Querelam (X. 1.6.24).Respon. quod ibi non loquitur de personali obligatione, sed de reali praestatione, ut de praestatione census, et ista est
veritas, licet et in foro civili Canonistarum servetur erroneus intellectus etiam per
illos legistas qui manus habentes extra gazophilatium Iustiniani thesauri apud
mendicantes vadunt merito mendicatum».
17Cosi Baldo nello stesso luogo del Commentario al Codice, nUllo 21 :
«Remanet ergo quaestio an aliquod possessorium habeat locum. Dicit Iac. de
Raven. quod non, quia ubi non reperitur petitorium sed sola actio personalis, ibi
non reperitur possessorium. Text. est in I. ult. cf. quo. ho. (D. 43.2.2). Sed ex ista
praestatione non oritur nec probatur petitorium, ergo non est reperire possessorium. Nec obstat c. Quaerelam, de electio. (X. 1.6.24),quia adversus quaerelam
opus est quaerela, secundum Iaco. de Ra. : vult dicere quod istud c. male
loquitur.
.
Tu autem dic quod aut ista praestatio est facta principaliter propter se, vel
respectu alterius obligationis personalis, quo casu habet locum I. Curo de in rem
verso (D. 22.1.6), et tunc non reperitur iudicium reale nec aliquod possessorium
iudicium vel interdictum. Aut ista praestatio habet relationem ad aliquam servitutem vel subiectionem, puta iste rusticus praestit omni anno aliquid tamquam
vasallus vel tamquam vasalli filius, sicut libertus praestat operas tamquam
;,
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EMANUELE CONTE
Ripete dunque Baldo, coerentemente a quanto aveva esposto
qualche riga più su; che il diritto del superior feudale è appunto un
diritto reale. E la cosa appare con evidenza ancor maggiore in una
delle additiones di Baldo allo Speculum iudiciale di Guglielmo
Durante, che approfondisce aspetti dell'istituto processuale tipicamente canonistico dell'actio spolii. n Durante aveva per la verità
affrontato l'argomento attingendo ampiamente alle opere processualistiche di Roffredo Beneventano : e non solo ai libelli iuris canonici, ma anche alla precedente opera civilistica, che al tema della
reintegra nel possesso dedicava lunghi capitoli centrati sul procedimento interdittale. L'additio di Baldo si appoggia dunque su un testo
di vero utrumque ius, un mosaico che ai brani del civilista risalenti
ai primi decenni del XIll secolo accosta le riflessioni del pi~ tardo
Guglielmo e poi il primo strato di additiones composte da Giovanni
d'Andrea verso gli anni 1340 e divenute immediatamente corredo
usuale dello Speculum. Sicché la sede sembrò opportuna al Baldo
doctor in utroque per pr9porre la sua conciliazione tra le due
opposte dottrine. Con termini più raffinati ripete la distinzione
enunciata nel Commentario al Codice: le obbligazioni possono
esser «simplices absolutae» oppure «respectivae seu connotativae»;
le prime son contratte tra uomini liberi e non possono dar luogo ad
alcun tipo di possesso; le seconde dipendono invece da una situazione di quasi servitù, di soggezione o di dominio, e creano nel «creditore» un quasi possessol8. È esplicito qui il ricorso di Baldo alla
figura della servitù: «Nam omnis servitus aut debetur a re rei, aut a
re personae, ut ususfructus, aut a persona non omnino libera, sed
quasi subiecta alterius personae, ut vasallus domino, vel a colono
glebae annexo : C. de agricolo et censi., l. Litibus (C. 11.48.20»>.
Ed ecco dunque non solo la servitù della gleba, ma tutti i rapporti di subordinazione personale trascinati fuori dall'ambito del
diritto delle persone e fatti confluire tra i diritti reali per la porta
ancora ben aperta ch'è rappresentata dal concetto assai vago di servitù innominata. Concetto che appare ancora lontano dalla precisazione raggiunta poi nel Cinquecento con l'opera sistematica di
Hugues Doneau, nella quale la servitù è definita per la prima volta
«diritto su cosa altrui» 19.Solo allora la sfuggente figura della servitù~
libertus. In isto casu, quia praestatio coITespondetiuri reali, est reperire petitorium et possessorium».
18cQuomodo ergo ius reddituum quasi possidetur? Resp. : quaedam sunt
obligationes simplices absolute, quaedam respective seu connotative: in simplici
obligatione non cadit quasi possessio,sed in obligatione relatiua ad quasi seruitutem vel subiectionem vel dominium sic».
19È stato il Feenstra a indicare in Doneau (Donellus) l'inventore della espressione ius in re aliena: cfr. Dominium and ius in re aliena: 1he Origins or a Civil
Law Distinction, in New Perspectives in the Roman Law or Property. Essays ror
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venne finalmente costretta a vivere soltanto in relazione alle cose e
ad abbandonare le incursioni fra le persone e le obbligazioni.
5. Nell'ottica medievale che abbiamo vist-o distillata in Baldo lo
s.tatus personale può invece vivere all'interno della categoria dei
diritti reali, poiché dà vita a diritti soggettivi che esistono anche
senza esser riferiti a obbligazioni. Non parlava la discussa decretale
Querelam della reintegra di colui che aveva sempre percepito prestazioni periodiche in uno «status percipiendi»? Allo stato personale di
chi era sottoposto alla superiorità altrui faceva quindi riscontro uno
stato personale del senior; uno status che giustificava da solo un
diritto soggettivo a ricevere le cose o i servizi, che costituivano la
sostanza del rapporto di subordinazione.
Il ricorso alla categoria dello status permetteva così ad Antonio
da Butrio di tornare con un argomento singolare sul vecchio tema
dell'acquisizione del diritto di riscuotere prestazioni periodiche per
il solo effetto del tempo. Non è necessario, in definitiva, deformare
l'idea del possesso per tutelare la posizione del creditore di fatto che
non è in grado di esibire prove della creazione di un'obbligazione.
Conviene invece rilevare che il ripetersi delle prestazioni da lunghissimo tempo «imprime una sorta di status» nel creditore, il quale ne
ricava un diritto a esser difeso se spogliato del suo status2o.
Il canoni sta contemporaneo di Baldo delinea così una situazione giuridica che finisce per sfuggire sia alla disciplina delle obbligazioni che a quella dei diritti reali. Accenna invece a una sorta di
«statuto della persona» che definisce in ciascuno diritti e doveri,
debiti e crediti. L'idea prospetta insomma un pluralismo dei soggetti
dell'ordinamento
enormemente più ampio di quello che si usa
descrivere nell'Europa prerivoluzionaria : gli status personali non
sarebbero un limitato numero di condizioni personali definite a
priori, ma le infinite situazioni socioeconomiche in cui si trovano le
Barry Nicholas, ed. P. Birks, Oxford, 1989,p. 111-122.Rilevanti anche le osservazioni proposte da I. BIROCCHI
e M:C. LAMPIS,voce Servitù, cit., p. 265-272.
20Il punto di vista di Antonio da Butrio era stato a suo tempo rilevato dal
BRUNS,op. cit., p. 243, che ne sottolineò tra l'altro la buona accoglienza tra i giuristi posteriori: «Et ex hoc concluditur quod in iure debiti etiam personali est
dare quasi possessionem, quamquam impropriam, quando habet multiplices
annuas prestationes. Sed proprie loquendo non est possessio vel quasi, quia in
illo non cadit possessiovel quasi, ut pIene dixi in dicto c. In litteris (X. 2.13.5),sed
bene imprimitur status quidam, cuius respectu eo quod innovatur potest agi possessorio ut status integretur, et hoc aperte voluit hec decretalis (X. 1.6.24»>(cosi
l'incunabolo Romae 1473,Hain, 4174,fai. non num., seconda colonna del c. Querelam, con varianti rispetto al testo riportato da Bruns).
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EMANUELE CONTE
persone. Tanti status quanti sono i soggetti di un ordinamento; che
si rivelerebbe così completamente estraneo a quelle esigenze di
disponibilità di beni, di risorse finanziarie, di forza lavoro che la
società borghese cominciava a perseguire con maggiore energia proprio tra Trecento e Quattrocento. L'esistenza di un numero illimitato di status personali~ riconosciuti e tutelati, ingabbiava invece la
libertà contrattuale almeno quanto il regime della proprietà era
bloccato da quella molteplicità di modelli che la riflessione prima
civilistica e poi storiografica ha tentato di rendere volgendo al plurale il sostantivo indeclinabile «proprietà»21.
6. Quell'imbarazzo dello storico giurista nell'accostarsi alle
manifestazioni medievali della proprietà è stato anzi disegnato dal
Grossi ricorrendo proprio all'immagine dello «statuto della cosa»22:
il dominio utile, insegna Grossi, è concetto quasi inafferrabile per il
dogmatico odierno che costruisce il ragionamento
partendo
comunque dal soggetto; mentre può esser colto soltanto ricostruendo l'atteggiamento medievale che disegna il diritto partendo
dalle cose23.
.Sicché il discorso che, cogliendo qualche aspetto di quella «zona
grigia» che sta all'intersezione di diritti reali e rapporti obbligatori,
sembrava averci condotto troppo lontani dal tema della proprietà,
torna per vie inattese al. mondo delle cose. Perché lo status personale
21li titolo di uno studio di PUGLIATfI,La proprietà e le proprietà, è diventato
poi quasi il simbolo della pluralità con cui si presenta nella storia l'istituto che
dovrebbe incarnare l'esclusiva singolarità del rapporto tra l'uomo e i beni. La
consuetudine si è manifestata di recente in un congresso che ha riproposto il
titolo pugliattiano : cfr. La proprietà e le proprietà (Pontignano, 1985), a c. di
Ennio Cortese,Milano, 1988.
22In una pagina di Le situazioni reali nell'esperienzagiuridica medievale.
Corsodi storia del diritto, Padova, 1968,p. 204; opera che a dispetto della dimessa
veste di corso di lezioni contiene molti degli spunti sviluppati poi nei lavori ora
riuniti in P. GROSSI,
Il dominio e le cose. Percezionimedievali e modernedei diritti
reali, Milano, 1992 (Per la storia del pensiero giuridico moderno, 41), raccolta
aperta proprio dalla prolusione a quel corso di lezioni.
23Di qui il ricorso allo «statuto della cosa». Un'espressioneche era apparsa,
ma con riferimento al diritto romano classico, anche in un saggio di M. VILLEY,
L'idée du droit subjectif et les systèmesjuridiques romaini; in RHDFE, 24-25,
1946-47,p. 201-227, 225, che suscitò poi alcune critiche di E. BETfI, Falsa impostazione della questione storica, dipendente da erronea diagnosi giuridica (1952),
ora in ID., Diritto metodo ermeneutica.Scritti scelti, a c. di Giuliano Crifò, Milano,
1991,p. 393-449, 397-403. Nel pensiero del Grossi lo «statuto della cosa» interpreta però «la certezza medievale che il dominium non piove dal soggetto sulla
cosa ma nasce dalla cosa» (voce Proprietà, diritto intermedio, in Enciclopedia del
diritto, 37, Milano, 1988,p. 226-254,243). E in questo senso è ricomparsa recentissimamente in un intervento. dello stesso GROSSI(Il problema stOriCo-gillridico
della proprietà collettiva in Italia) al convegno Demani civici e risorse ambientali, i
cui atti sono apparsi a cura di F. Carletti, Napoli, 1993,p. 23.
COSE. PERSONE. OBBUGAZIONI. CONSUETUDINI
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di Antonio da Butrio delinea giuridicamente i rapporti economici
senza chiamare in causa affatto i soggetti e la loro volontà: si limita
a registrare un equilibrio di forze, naturale o consolidato dal tempo,
e lo riveste di giuridicità. Proprio come avviene per il fondo rustico
che fomisce i suoi frutti diversamente a soggetti diversi: al proprietario e aII'enfiteuta, alla collettività che ne sfrutta i boschi e al feudatario che vi riscuote il censo.
Nell'alto Medioevo la distribuzione di queste utilitates del fondo
era talvolta regolata da quella consuetudo o lex fundi24 che attribuiva
a ciascuno il suo senza tirare in ballo i soggetti, i loro diritti e la loro
volontà. Sicché la consuetudine, ristretta nei confini di una curtis
sola, impiegava la sua forza normativa non per regolare i rapporti
tra i privati, ma per definire il loro contenuto economico: risucchiando così con la sua autorità tutta l'autonomia dei privati. Si
trattò, evidentemente, di una situazione particolare, alla quale i giuristi bolognesi opposero presto la figura di una consuetudine correttamente ricondotta nel solco del diritto pubblico, espressione di quel
consensus populi che produceva sotto i loro occhi il fenomeno grandioso della legislazione statutaria. Eppure i canonisti, per tanti versi
più conservatori dei legisti, si tramandarono per secoli2s una teoria
di Bemardo Compostellan026 che alla consuetudine si richiamava
per giustificare lo stabilirsi di vincoli di tipo obbligatorio tra privati.
24Anche sulla consuetudo fundi il GROSSI,Le sittlazioni reali, cit., p. 67-75,
ha sviluppato e illuminato gli accenni contenuti nelle opere dellà storiografia
economica e giuridica della prima metà del Novecento.
2SColpisce trovar la teoria rievocata da Guido da Baisio (cfr. nt. 28),
Guglielmo Durante (nello Speculum,lib. 4, partic. 2a de praescriptionibus, n. 21),
Giovanni d'Andrea (Novella in Decretalesin X. 1.4.11,num. 36), Antonio da Butrio
(Commentaria cito a X. 1.4.11,n. 49).
26In realtà non è agevole dir con sicurezza a quale dei due Bemardi di
Compostela debba esser ricondotta la teoria. Guido da Baisio (cfr. nt. 28)
accenna al fatto che essa sarebbe stata esposta a chiarimento di un canone del
Decreto (C.18 q.2 c.31), il che escluderebbe il Bemardo itmior che non commentò, a quel che se ne sa, l'opera di Graziano. Tuttavia l'incompiuto commento
al Liber Extra del Bemardo giovane (ed. nei Perilltlstritlm doctorum ram veterum
quam recentiorum in lib. Decretalium aurei commentarii..., Venetiis, apud Iuntas,
MDLXXXVIII, torno I, p. 179) contiene una stringata ma completa esposizione
della teoria in X. 1.11.4.Nelle opere del Bemardo antiqUtlS si trovano invece
accenni meno puntuali, anche se una sua quaestio rivela che egli consideravasufficiente allegare il solo tempo per ottenere tutela del diritto esercitato per lungo
tempo (q. 22 della collezione identificata da FRANSENin Traditio, 21, 1965,
p. 493-510,499). E un richiamo alla forza della consuetudine era anche nella
Summa Palatina, di alcuni decenni precedente alla redazione del commento del
Bemardo iunior. C'è da sperare qualche chiarimento della questione da un
controllo sull'unico manoscritto nel quale siano state segnalateglosse al Decreto
di Bemardo antiqUtlS,Gniezno 28, che non ho potuto vedere.
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EMANUELE CONTE
Basta che un certo comportamento si sia ripetuto per un tempo sufficientemente lungo perché esso possa esser considerato come una
consuetudo legitime praescnpta anche se coinvolga soltando due persone. La consuetudine stabiliva così un ius conservando alla parola
latina tutta la sua ambiguità: costituiva a un tempo un diritto soggettivo e il Diritto, law e right coincidevano. E l'iniziativa privata
scompariva, stritolata dallo strapotere della norma.
La teoria di Bernardo era basata sul connubio tra consuetudo e
praescnptio27, introdotto dai canonisti e teso a separare il contenuto
della norma consuetudinaria dalla sua forza disponente28. Incontrò
perciò resistenze da parte dei civilisti, che tendevano invece a ricondurre la consuetudine nella sfera delle fonti del diritto per applicare
la prescrizione ai rapporti privati29; sicché anche qui si creò una dissonanza tra i due diritti 3°.
27Il tema è in realtà assai vasto e ha suscitato parecchi interventi nella storiografia a partire da quelli di BRIE,Die Lehrevom Gewohnheitsrecht.Eine historisch-dogmatischeUntersuchung.I. GeschichtlicheGrundlegung (bis zum Ausgang
des Mittelalters), Breslavia, 1899(rist. anoFrancoforte s. M., 1968),p. 78 ss. e 194
s. fino a quello recente di C. DANusso,Ricerche sulla Lectura feudorum di Baldo
degli Ubaldi, Milano, 1991,p. 134-135e nt. 200, con menzione della letteratura
precedente,cui bisogna aggiungere però A. VANHoVE,De privilegiis. De dispensationibus, Malines-Roma, 1939 (Commentarittm Lovaniensein codicem iuris canonici, vol. I, tomo V-VI), p. 69 ss.
28La dottrina di Bemardo è rammentata da Guido da Baisio in Decr., C.18
q.2 c.31 Servitium, num. 6 (ed. Venetiis, apud Iuntas, 1577,286r e v) : «Scripsit B.
Comp. ad huius declarationem quod consuetudo est actus eiusdem repetitio, C.
de episc. au. l. 3 in fio (C. 1.4.3.4); 25 q. 2 Ita nos (C.25 q.2 c.25). Sed praescriptio
est continuatio possessionisdiffinitae, ff. de usucap. l. 3 (D. 41.3.3), unde si bene
attendis praescriptio se habet ad consuetudinem sicut disponens ad dispositum.
Actum enim repetitum, quem consuetudinem dicimus, continuatio temporis lege
diffiniti, quam praescriptionem vocamus, disponit secundum B. Com.». Il fulcro
del ragionamento è l'equivalenza consuetudo-praescriptio e dispositum-disponens : la continuazione per un tempo definito dalla legge, cioè la prescrizione,
dispone la legittimità di un atto che si ripete per consuetudine: il tempo assume i
connotati di autorità nonnativa in grado di disporre la giuridicità di certi
comportamenti. Sicché il factum-consuetudo costituito dalla prestazione non ha
bisogno di una causa remota costitutiva, ma solo della forza «disponente» della
prescrizione.
29La critica è esplicita ancora una volta in Cino, che accusa anche qui i
canonisti di non sapere quel che dicOIi;O: cfr. la Lectura super Codice,cit., in C.
8.53.2, num. 8 (rist. cit., fol. 521va-b) : «Consuetudo est ius disponens. Nam est
ius non scriptum. Praescriptio est illud quo acquiritur ius dispositum, ut dorninium et huiusmodi».
]OPuntualmente registrato dalle Differentiae inter ius canonicum et civile
usualmente attribuite a Bartolo e stampate sotto il suo nome, al num. 179 : «ll1ud
tamen non omitto, quia leges sumunt consuetudinem quae attenditur circa
factum et processum iudicii, et etiam quae attenditur circa gesta communiter
hominum alicuius civitatis, castri vel terrae. Sed canonistae sumunt consuet~dinem quae attenditur circa privatum ius aliquorum, et ita loquitur dicta decre-
:,..;...
COSE, PERSONE,OBBUGAZIONI, CONSUETUDINI
39
La dissonanza era del resto un suono consueto per l'orecchio
dell'interprete del diritto comune3., costretto prima a cercar la conciliazione delle sue contraddittorie fonti, e avvezzo poi a procedere
per contraria nel ragionamento esegetico. Occorre dunque tener presente che gli spunti teorici offerti da quei maestri, compresi i pochi
che si son sottolineati qui, furono parte di uno sconfinato organismo
concettuale sorretto dalla dinamica dei rapporti razionali tra i suoi
membri assai più che dalla statica del sistema. Relitti di una mentalità giuridica destinata a scomparire vivevano insieme ai germi del
diritto nuovo, e con essi contribuivano a creare la tensione dinamica
che faceva vivere quell'organismo.
Emanuele CONTE
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talis de causa possoet propr. c. Cum ecclesia. Quae quidem consuetudo de iure
civili appellatur praescriptio».
31L'immagine è di S. KUTTNER,Harmony {rom Dissonance: an Interpretation
o{ Medieval Canon"La~v (1956), ora in ID., 11zeHistory o{ Ideas and Doctrines o{
Canon Law in the Middle Ages,Londra (Variorum), 1980, 1992,I.
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