Pechino 2008
A cura di Michela Gaito, Beatrice Gnassi e Riccardo Noury
Hanno collaborato: Sara Battistini, Paola De Pirro, Angela Lobascio,
Alessandra Meloni, Simone Petrelli, Laura Petruccioli, Laura Renzi,
Gerardo Romei ed Ela Rotoli
Un ringraziamento particolare a Darwin Pastorin e Francesco Sisci
Amnesty International
Pechino 2008
Olimpiadi e diritti umani
in Cina
prefazione di
Darwin Pastorin
introduzione di
Francesco Sisci
Foto di copertina: © Gabriele Zucca
Indice
© 2007
Amnesty International Sezione Italiana - EGA Editore
È vietata la riproduzione anche parziale o ad uso interno o didattico
e con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia non autorizzata
EGA - Edizioni Gruppo Abele
EGA Editore
corso Trapani 95 - 10141 Torino
tel. 011 3859500 - fax 011 389881
www.egalibri.it / e-mail: [email protected]
ISBN 978-88-76706-46-2
Prima edizione: novembre 2007
anno
2007
edizione/ristampa
2008
2009
2010
I
Stampato per conto di EGA Editore da:
Tipografia Gravinese, Torino
II
III
IV
Prefazione di Darwin Pastorin . . . . . . . . . . . . . . . .
7
Introduzione di Francesco Sisci . . . . . . . . . . . . . . . .
11
Capitolo 1 - Verso le Olimpiadi . . . . . . . . . . . . . . .
25
Il ruolo del Comitato olimpico internazionale . . . .
27
Capitolo 2 - Pena di morte . . . . . . . . . . . . . . . . .
31
Preservare la dignità umana? . . . . . . . . . . . . . . . .
Ripristino della revisione da parte
della Corte Suprema del popolo . . . . . . . . . . . . . .
Applicazione estensiva della pena di morte. . . . . . .
Messaggi controversi sull’espianto di organi. . . . . .
31
32
36
44
Capitolo 3 - Libertà d’informazione . . . . . . . . . . . .
47
Doppio standard. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Censura su Internet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il caso di Shi Tao. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Complici nella censura: i casi Yahoo!, Microsoft
e Google. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’azione di Amnesty International. . . . . . . . . . . . .
47
51
54
55
57
Capitolo 4 - Difensori dei diritti umani . . . . . . . . .
59
Repressione ai danni di attivisti per il diritto alla casa 59
Altri casi di difensori dei diritti umani . . . . . . . . . 65
La censura sulla repressione del movimento a favore
della democrazia del 1989 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
Capitolo 5 - Detenzione amministrativa . . . . . . . . .
69
Uso della “rieducazione attraverso il lavoro”
e Olimpiadi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il caso di Bu Dongwei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prefazione
70
72
di Darwin Pastorin*
Capitolo 6 - Raccomandazioni
di Amnesty International . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
73
Raccomandazioni al governo cinese . . . . . . . . . . . .
74
Il rapporto di Amnesty International sulla Cina, in vista delle Olimpiadi
Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
77
Appendice - La Carta olimpica . . . . . . . . . . . . . . . .
89
di Pechino, è qualcosa di prezioso.
Ci dà l’idea esatta della situazione cinese per quanto riguarda la pena
di morte, la situazione dei diritti umani e la libertà dei media. Non un
atto di accusa urlato, ma un atto di accusa documentato.
Il colosso asiatico, rispetto al passato, sta facendo passi significativi,
anche se non definitivi, per quanto riguarda aperture “democratiche”. Ma
Amnesty International non si accontenta: osserva, denuncia, sottolinea,
riporta fatti e non parole, riconosce il bene, ma non molla la presa, e non
la mollerà, mai sul male.
Le Olimpiadi rappresenteranno una vetrina importante per la Cina, ma
la vetrina dovrà essere reale e non virtuale. Dietro alle imprese sportive
niente dovrà essere nascosto, occultato.
Amnesty non agisce e non agirà politicamente. Come leggiamo nel rapporto, «Amnesty International ripete di non avere alcuna agenda politica e che la sua unica preoccupazione è il rispetto e la protezione dei
diritti umani in Cina e in tutti i Paesi del mondo».
Quando si vuole colpire un’organizzazione seria, l’accusa è sempre la
stessa: «È di parte, risponde a un potere politico». Sono le parole usate,
ad esempio, per Gino Strada: per un uomo che, nelle nazioni devastate
dalle guerre, dalle bombe, dalla fame e dalla miseria, pensa soltanto a
curare uomini, donne e bambine.
*
Giornalista-scrittore, è stato inviato speciale e vicedirettore di Tuttosport, direttore responsabile di Tele+ e Stream, direttore dei nuovi programmi di Sky-Sport.
7
Pechino 2008
Io ringrazio Amnesty International e i suoi attivisti perché grazie a
loro sappiamo in quali parti del nostro pianeta si uccide, si tortura, si esilia, si umilia in nome di chissà quale idea, progetto, modello. E Amnesty
non guarda in faccia a nessuno, non fa sconti. Va sui luoghi, rischia, racconta nel dettaglio: e noi giornalisti abbiamo degli strumenti importanti in più per conoscere, per capire.
Lo sport non deve rappresentare uno strumento di inganno da parte di
nessun governo. Non potrò mai dimenticare, ad esempio, la “vergogna”
dei Mondiali di calcio del 1978 in Argentina, nel pieno della dittatura di
Videla e dei suoi scherani. In uno stadio si giocava e in un altro si torturava. Nell’indifferenza generale, con tanti, troppi resoconti favorevoli
alle menzogne del regime, con gente che non voleva andare oltre i gol.
A niente, o a poco, sono serviti gli appelli dei difensori dei diritti umani.
Ha scritto Eduardo Galeano, in Splendori e miserie del gioco del calcio: «Al
suono di una marcia militare, il generale Videla decorò Havelange durante la cerimonia di inaugurazione nello stadio Monumental di Buenos
Aires. A pochi passi da lì era in pieno funzionamento la Auschwitz argentina, il centro di tortura e sterminio della Scuola di meccanica dell’esercito. E, alcuni chilometri più in là, gli aerei lanciavano i prigionieri vivi
in fondo al mare».
Mai più, urlammo noi cronisti sportivi: mai più una manifestazione che
celava, dietro la facciata degli ori e delle fanfare, crimini di inaudita ferocia. In Argentina, a quell’epoca, venne cancellata un’intera generazione.
Amnesty International è la sentinella di quella promessa. Non solo in
Cina, ma in ogni anfratto di questo strampalato mondo. Le Olimpiadi
sono un megafono importante per qualsiasi nazione. Perché per quel
mese tutti gli occhi saranno puntati su quei luoghi, su quei governanti.
Amnesty chiede alla Cina, proprio in occasione di quell’alto momento
sportivo, di aprire definitivamente le proprie porte alla libertà, per esempio abolendo definitivamente la pena di morte. Utopia? No, speranza.
Perché lo sport, a volte, riesce a compiere miracoli.
La Cina fa parte della mia vita. Da bambino, a San Paolo del Brasile,
figlio di emigranti veronesi, giocavo a pallone, in quella meravigliosa,
polverosa, epica rua Nossa Senhora da Lourdes del quartiere Cambuci, con
8
Prefazione
bambini cinesi, giapponesi, mulatti, polacchi, musulmani. Ed eravamo
felici. Non esistevano differenze di razza, religione, non importava il
lavoro dei nostri genitori. C’eravamo noi: bimbi che, in quel momento,
creavano, senza saperlo, la Città ideale, una città di tutti uguali.
La Cina, poi, sarebbe entrata nella mia cultura: perché il fascino di
quella nazione è immenso, struggente. «La Cina è vicina», oggi più che
mai. Nella nostra Italia dove tanti cinesi lavorano e sognano. Per il nostro
pianeta: una Cina più democratica, più giusta, diventerebbe un baluardo
contro la paura del futuro.
Faccio mie queste parole: «Amnesty International ritiene che qualsiasi istanza volta al miglioramento della difesa dei diritti umani debba
essere considerata come un aspetto essenziale dei Principi fondamentali
delle Olimpiadi, insieme con “il rispetto della dignità umana” e dei “principi etici fondamentali”. Sembra inoltre che molti funzionari cinesi già
vogliano inserire la protezione dei diritti umani nei loro programmi politici nel periodo che precede i Giochi. Amnesty International continua a
chiedere al Comitato olimpico internazionale di sottoporre direttamente
alle autorità cinesi le preoccupazioni e le raccomandazioni contenute in
questo rapporto, con lo scopo di garantire che significativi progressi
nella protezione dei diritti umani avvengano prima delle Olimpiadi e
rimangano come definitive eredità dei Giochi per il popolo cinese».
Coraggio, dunque: tutto è ancora possibile.
9
Introduzione
di Francesco Sisci*
Era l’inizio del 1988, poco dopo l’11° Congresso del partito che apriva
a riforme politiche e dichiarava la separazione tra Stato e imprese, e faceva anche balenare la possibilità della fine del centralismo democratico.
Io ero da poco arrivato a Pechino, ed ero entusiasta. Ma anche timoroso di urtare delicate sensibilità. Mi interessavano la politica, i cambiamenti di cui sentivo l’odore nell’aria, però ancora non osavo parlare con
i miei compagni di studio cinesi di questioni politiche. Il Quotidiano del
popolo riportava tutti i giorni notizie sulle riforme economiche e politiche che il partito stava varando. C’era una rubrica fissa sull’ultima pagina del giornale, duzhe laixin, lettere dai lettori, che sembrava incoraggiare un più ampio dibattito politico. In Russia le riforme di Gorbaciov
erano in piena azione.
Insomma, in questa atmosfera di eccitazione generale, presi il coraggio a due mani e a un mio amico chiesi: «Ma cosa succede nella politica?». Lui, che fino a un minuto prima parlava con una voce alta che si
sentiva da fuori la porta, raccontando i fatti di casa sua, subito abbassò
*
Francesco Sisci, nato a Taranto nel 1960, è il corrispondente de La Stampa a
Pechino. Laureato e specializzato in Lingua cinese a Venezia e a Londra, è stato il primo
straniero mai ammesso alla Scuola superiore dell’Accademia cinese delle Scienze Sociali
di Pechino. Sposato con una cinese, da cui ha avuto due figlie, collabora dal 1988 a
testate giornalistiche italiane e internazionali, tra cui i più importanti quotidiani e
periodici orientali, e ad Asia Times, la maggiore testata on line dell’Estremo Oriente.
Direttore dell’Istituto italiano di cultura di Pechino dal 2003 al 2005, collaboratore
dell’Enciclopedia Treccani, è l’unico consulente straniero della rivista Zhanglue yu guanli (“Strategia e gestione”), il più prestigioso bimestrale cinese di politica e cultura.
11
Pechino 2008
il tono a un bisbiglio, come se temesse di essere spiato, come se il dormitorio fosse infestato da microspie.
In quel momento mi tornarono in mente i racconti dei Paesi dell’Est
Europa, con gli altoparlanti nelle camere, sotto il posacenere, nascosti in
una gamba del tavolo.
Mi guardai intorno, in quella stanza non c’era il pavimento, c’era solo
una gettata di cemento. Alle pareti non c’era la vernice e la calce si screpolava. I mobili erano fatti di compensato incastrato, il bagno non aveva
l’acqua calda e la doccia funzionava in uno stanzone fuori solo due volte
alla settimana. In dormitorio, in più di 400 ragazzi, c’era una sola linea
telefonica che, quando funzionava, era costantemente occupata. Non c’erano soldi per una mano di pittura sui muri, per ripulire il puzzo di urina
che infestava i corridoi, dove avevano i soldi per una microspia lì? Eppure
in quel bisbiglio c’erano solo parole confuse, come se semplicemente non
volesse dire, parlare; infatti aveva paura.
Questa era la Cina di vent’anni fa, in cui solo la semplice menzione di
questioni politiche gettava nel terrore chiunque.
Oggi, come mostra il rapporto di Amnesty International, ci sono tantissimi casi di persone arrestate per questioni che appaiono legate alla politica e alle proteste sociali, ma in generale non c’è più assolutamente quel
clima di terrore che c’era allora, anzi, i dibattiti politici si fanno a tavola.
La situazione è cambiata in Cina non solo rispetto a vent’anni fa, ma
ancor più rispetto a quarant’anni fa.
Nel 1966, all’inizio del periodo della Rivoluzione culturale, mia suocera portò una gonna in lavanderia. Invece di lavarla, la lavandaia pensò
bene di esporla al pubblico ludibrio davanti alla porta della sua bottega,
dicendo che la compagna Lu Bo, proprietaria della gonna, era una filocapitalista. Da quel momento cominciò un periodo di enorme tormento per
mia suocera.
Venne sottoposta alla “critica delle parole e delle armi” che in altre
parole significava essere soggetta a una pioggia di insulti, accuse vere,
simil-vere o totalmente inventate, ad essere picchiata, presa a pugni e
calci, sputi da chiunque le passasse davanti.
12
Introduzione
In quel caso non c’era stata sentenza, non c’era stato tribunale, non
c’era stata alcuna forma di giustizia formale. C’era stata una forma di linciaggio organizzato dalle masse, come si diceva un tempo, e guidato da
un’alzata d’ingegno di una lavandaia.
Alla fine di questo periodo di processo popolare, mia suocera venne
spedita in un campo di lavoro, che allora si chiamava campo di “riabilitazione” perché attraverso il lavoro forzato lei imparasse la vita e la via
vera del proletariato.
Fu fortunata perché dopo pochi anni si ammalò gravemente e, in una
decisione che doveva essere quella di mandarla a morire a casa, fu rispedita a Pechino. Qui però, invece di morire, si curò e cambiò vita.
Tutto questo appare oggi come una violenza lancinante, una profonda
ingiustizia nella storia cinese. Il suo marchio non arriva da ora, né dalla
Rivoluzione culturale, ma dai trent’anni precedenti – dal 1919 al 1949 –
di guerre civili, invasioni, come quella giapponese. Viene dai milioni di
morti in guerre fratricide o esecuzioni sommarie da parte degli invasori o
dei vari gruppi che si combattevano in Cina.
Nel 1949, dopo la presa del potere dei comunisti, Mao Zedong iniziò
un altro periodo tormentatissimo di lotta nelle campagne. Guidò i contadini a espropriare la terra dei proprietari terrieri e dei contadini ricchi e,
dopo essere stati spogliati dei loro beni, i disgraziati diventavano vittime di veri e propri linciaggi popolari. Qualcuno urlava in piazza delle
accuse, la folla faceva eco e gli sfortunati venivano pestati a sangue a
colpi di bastone. Vennero così uccise centinaia di migliaia, se non milioni di persone definite “proprietari terrieri” agli inizi del 1950.
Poi, finita la distribuzione delle terre, dal 1957 cominciò la campagna
contro la destra. Ogni “unità di lavoro”, come si diceva un tempo, ogni
azienda, ogni ufficio doveva identificare una percentuale fissa di elementi di destra. I funzionari responsabili del personale avevano l’ingrato
compito di compilare questa lista di proscrizione e poi, una volta compilata, i proscritti dovevano essere mandati nelle campagne. Se la lista non
era della percentuale sufficiente gli stessi funzionari dell’ufficio del personale erano automaticamente proscritti.
13
Pechino 2008
Centinaia di migliaia di intellettuali, quasi tutti uomini che in tempi
non sospetti si erano uniti al partito, vennero epurati.
Dopo la campagna contro la destra il partito iniziò il Grande balzo in
avanti. Il movimento avrebbe dovuto portare rapidamente all’industrializzazione delle campagne e del Paese e invece nel giro di 2-3 anni, uccise
forse 30 milioni di contadini in un periodo di carestie e di fame. E per di
più alcuni funzionari accusavano i contadini di far finta di avere fame
mentre invece nascondevano il grano.
Alla fine del Grande balzo in avanti ci fu qualche anno di tranquillità,
all’inizio degli anni Sessanta, e poi la Rivoluzione culturale.
Questa è la storia recente, quella da cui nasce il presente attuale, ma
la storia antica, le radici profonde, il modo di concepire la giustizia e la
pace sociale in Cina vengono da più lontano.
Cento anni fa, ai tempi dell’impero, il sistema di pena capitale cinese
non era unico. Si poteva essere giustiziati per decapitazione e il celebre
codino era un segno di servitù: l’assistente boia tirava il condannato per
il codino mentre il carnefice spiccava la testa. In altre parole quel codino diceva: tutti possono essere rapidamente giustiziati.
Questa era la forma più semplice, si poteva essere squartati oppure
essere tagliati in mille pezzi, con il boia che ti affettava come un prosciutto attendendo che morissi di dolore o dissanguato. Era la “tortura
dei mille tagli”. Oppure, semplicemente, se il reato era grave, oltre a giustiziare il delinquente, anche la sua famiglia poteva essere punita con la
pena di morte o con il confino interno.
Queste forme di punizione della Cina imperiale hanno continuato a esistere anche nel Novecento. I nazionalisti che inseguivano i comunisti
sterminarono tutti i parenti della famiglia Deng o della famiglia Mao su
cui riuscirono a mettere le mani. Forme di punizione come la “tortura dei
mille tagli” furono riscontrate persino durante il periodo della
Rivoluzione culturale.
Testimoni oculari mi hanno raccontato che a Wuhan, nel pieno della
lotta fra fazioni di guardie rosse, un ragazzo catturato da un’altra fazione dopo uno scontro venne legato e ucciso con la “tortura dei mille
tagli”.
14
Introduzione
Stiamo parlando della fine degli anni Sessanta. La differenza culturale e di eredità storica rispetto alla sensibilità della pena di morte è enorme se si pensa semplicemente che in Italia Bresci, l’uomo che uccise
Umberto I, re d’Italia in un attentato anarchico, nel 1900, quando in Cina
c’era ancora l’imperatore, non venne giustiziato. Bresci fu condannato
all’ergastolo perché allora l’Italia aveva abolito la pena di morte.
Stiamo parlando di un periodo nel quale la Cina non solo aveva la pena
di morte, ma aveva una pena di morte articolata, complicata, che poteva estendersi ai parenti oppure prolungarsi in una tortura.
Questa storia non serve a giustificare la Cina di oggi, che ha una situazione di diritti umani molto grave, ma serve a spiegare esattamente il
contrario.
La Cina oggi, dalla fine degli anni Settanta – l’inizio del periodo delle
riforme ad adesso – ha fatto enormi passi avanti: ci sono codici penali,
ci sono tribunali che condannano o assolvono, ci sono procedure formali che vengono rispettate. Non esistono più casi in cui una persona possa
essere presa e infilata in una “gabbia di buoi”, come venivano definite le
prigioni popolari negli anni Sessanta e Settanta.
Ma avendo fatto trenta, la Cina ha bisogno oggi di fare trentuno e può
farlo perché la distanza che oggi separa la Cina da uno stato pieno di
diritto è minore di quella che oggi separa la Cina dal suo passato, anche
semplicemente recente.
Inoltre la questione dei maggiori diritti civili, del maggior rispetto dei
diritti umani in Cina non è cosa che va necessariamente legata alla questione della libertà politica e delle riforme politiche democratiche1.
Ci sono molti argomenti per cui la Cina potrebbe dover pensare a una
riforma democratica del suo sistema politico solo tra qualche anno. In
teoria le due cose possono andare separate.
Sistema politico democratico e sistema di libertà dei diritti civili possono essere separati, come è il caso concreto di Hong Kong, dove c’è
libertà di stampa, libertà di espressione, c’è rispetto delle libertà civili
ma esiste una partecipazione democratica ancora solo limitata.
In pratica già oggi c’è un concreto movimento in questa direzione.
Esiste però anche un’altra serie di problemi in Cina.
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Pechino 2008
La nuova legge sulla pena di morte che richiede un consenso da parte
della Corte Suprema, sottolinea quello che in realtà è un conflitto tra enti
locali e potere centrale: chi ha il potere di infliggere la pena di morte,
che è la pena suprema?
Ci sono, come indica il rapporto, ancora ambiguità, differenze non
chiarite su come deve intendersi questo ricorso all’approvazione della
Corte Suprema. Le autorità locali tendono a interpretarla in maniera più
permissiva, dicendo che la Corte Suprema oggi ha un potere di revisione
semplicemente formale. Esponenti della Corte Suprema tendono a interpretare questo potere come un potere più sostanziale, come quello di
intervenire quasi nel merito della sentenza. In ogni caso di certo è un
limite preciso all’arbitrio con cui la pena di morte veniva comminata in
tutta la Cina.
Nell’interpretazione della pena di morte si vede un problema politico
importante. Il governo centrale ha riconosciuto attraverso questa legge
il bisogno in linea di principio di limitare la pena di morte, invece, i
poteri locali considerano il ricorso a questa pena come uno strumento
importante per il governo locale. Si tratta in qualche modo di un conflitto di potere interno a una definizione di una pratica giudiziaria. In
questo caso il potere più forte, quello che ha trainato i cambiamenti – il
potere centrale – è favorevole al cambiamento restrittivo della pena.
Naturalmente si tratta di accompagnare questa volontà del potere centrale per restringere e limitare la pena di morte.
Un conflitto politico simile lo si vede anche nell’uso delle pene amministrative. La legge recente che limita la pena di morte limita anche il
ricorso a quelle che erano sanzioni detentive comminate solo in base a
una sanzione amministrativa. In altre parole la polizia aveva il potere in
passato di imprigionare in un campo di lavoro le persone che voleva,
senza ricorrere a un processo.
Oggi questo potere è stato limitato ed è stato limitato anche il numero di anni che possono essere comminati come pena massima, inoltre è
stato concesso ai “condannati” di potersi avvalere dell’assistenza di un
avvocato. C’è stato poi un impegno a cambiare le condizioni stesse dei
campi di lavoro.
16
Introduzione
In questo si nota un altro conflitto di potere: da un lato il potere giudiziario in questo caso vuole allargare le sue competenze, dall’altro la
polizia, invece, che è un potere autonomo, vuole mantenere le sue prerogative che sono quelle di condannare una persona senza ricorrere a tribunali e avvocati. Sono due modi di imporre l’ordine sociale, uno più sofisticato, moderno, ma complicato, uno più semplice, arretrato, e più
prono a errori e brutalità.
Questo conflitto di potere in realtà è più complesso e articolato del
primo. Mentre nel primo conflitto vediamo chiaramente una tendenza a
favore del potere centrale, nel secondo la questione è più articolata perché il governo centrale in realtà appoggia sia il potere giudiziario sia la
polizia.
Il governo centrale ha un interesse a sostenere e allargare il potere giudiziario per allargare e potenziare la regolamentazione di tutta la vita economico-civile del Paese, che deve essere sottoposta a delle leggi in maniera articolata e queste leggi devono far capo a un tribunale, all’azione giudiziaria di un giudice e non semplicemente al potere di un poliziotto.
Una maggiore regolamentazione della vita commerciale favorisce lo
sviluppo economico del Paese, la priorità politica nazionale. Qui sono
toccate forze politiche, imprese, che hanno un forte interesse nella stabilità politica complessiva per continuare a fare affari.
D’altro canto però la polizia è un braccio necessario per il mantenimento della pace sociale nel Paese, per arginare le proteste e mantenere
comunque unito il potere nazionale con forze sociali che hanno minore
interesse nella stabilità politica complessiva, perché sono povere e hanno
poco da perdere e molto da guadagnare in un sommovimento.
In questo caso non c’è una tendenza chiara e univoca da parte del
governo centrale a sostenere con certezza il potere giudiziario contro il
potere della polizia, perché sono due braccia usate contro due fenomeni
in sostanza separati. D’altro canto l’allargamento della classe media è una
spinta oggettiva per un maggiore potere giudiziario e minori privilegi alla
polizia.
C’è però un’altra questione da considerare, il cambiamento radicale del
sistema di reclutamento dei giudici. Fino a trent’anni fa polizia e potere
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Pechino 2008
giudiziario erano quasi due facce della stessa medaglia. Una persona
poteva fare carriera passando da poliziotto, poi diventando avvocato e
quindi giudice. Oggi, se pure non è escluso che ciò avvenga, questo passaggio può compiersi solo attraverso degli esami e comunque solo degli
esami di competenza possono promuovere delle persone ad essere dei
procuratori oppure dei giudici.
C’è poi un altro elemento ancora, cioè una differenziazione delle competenze in corso tra polizia e quella che viene definita polizia armata. I
due corpi fanno capo a due emisferi diversi, la polizia fa capo al ministero della polizia, i wujin, invece, sono una branca dell’esercito.
La polizia è responsabile sempre di più di questioni di polizia giudiziaria, come si direbbe in Italia, mentre i wujin sono, a grandi spanne,
responsabili di proteste sociali. Se c’è una dimostrazione i wujin sono i
responsabili del mantenimento dell’ordine.
Questa differenziazione porta la polizia a estendere di più i suoi poteri, le sue competenze e anche a diventare sempre più sofisticata. Si
comincia a introdurre un principio fondamentale, cioè quello di mantenere la pace sociale attraverso forme di contenimento, le proteste possono esserci, ma non devono sfociare in rivolte. E non c’è solo la repressione. I wujin funzionano in qualche modo da contenimento, da prevenzione di sommosse sociali oltre che di repressione.
Questo è passato attraverso un cambiamento radicale e filosofico della
concezione della giustizia in Cina ed è quello che ha modificato il ricorso
alla pena di morte: è passato il principio secondo cui un ricorso indiscriminato alla pena di morte diminuisce la sicurezza sociale, non l’aumenta.
La casistica è nota: ad esempio, in Cina – specialmente in passato – se una
persona compie una rapina è passibile di pena di morte, sia che il rapinato abbia la vita salva, sia che il rapinato muoia. Naturalmente questo induce il rapinatore a uccidere il rapinato perché altrimenti aumenterebbe il
rischio che il rapinatore venga catturato senza diminuire il rischio di pena.
In altre parole l’eccessivo ed esteso ricorso alla pena di morte aumenta la violenza e la pericolosità dei delitti. Quindi la pena di morte deve
essere comminata solo in caso di pene gravi perché altrimenti non scoraggia ma incoraggia la gravità dei delitti.
18
Introduzione
Lo stesso principio vale per l’estensione del potere nelle mani della
polizia, oppure per il trasferimento di alcuni poteri della polizia nelle
mani del potere giudiziario. Se la polizia ha un potere troppo esteso e
troppo indiscriminato di punire con pene amministrative i cittadini, questo induce la possibilità di una giustizia sommaria. Quindi a lungo termine può indurre odio sociale, una rottura del patto etico tra il potere
dello Stato e le persone, spezzando il principio di fiducia tra cittadino e
polizia. Questo patto fiduciario fonda il principio di fiducia nella giustizia che polizia e giudici devono imporre nella società. In altre parole un
eccessivo ricorso alla violenza indiscriminata spezza la “società armoniosa” che il partito vuole creare secondo i recenti slogan politici lanciati
dal presidente Hu Jintao. Occorre maggiore armonia sociale e questa
armonia sociale si può ottenere solo attraverso un maggiore rispetto dei
diritti civili e dei diritti umani.
Questa armonia è tanto più necessaria visti i costi sociali della crescita economica cinese. Oltre il 30% della popolazione non ha accesso ad
acqua pulita e sicura, negli ultimi quindici anni si sono registrati un
aumento nettissimo dell’inquinamento, un maggiore sfruttamento della
manodopera, un maggiore numero di conflitti sociali e di incidenti sul
lavoro. Tutti elementi che creano nuove cause di conflitto.
Accanto a questo però bisogna pensare che non si tratta di una strada da leggere a senso unico, infatti, se noi oggi pensiamo ai maggiori
costi sociali della crescita cinese, dovremmo scontare questi costi sociali con quelli della non crescita cinese.
Se oggi parliamo di sfruttamento delle risorse e degli uomini dobbiamo comunque pensare che la Cina viene da un periodo in cui non è che
non ci fosse sfruttamento del lavoro, semplicemente non c’era lavoro e la
gente aveva un livello di vita di estrema povertà, visibile anche solo
guardando per strada.
Oggi per strada nelle grandi città molta gente, uomini e donne, è in
sovrappeso. Una delle mie prime impressioni di circa vent’anni fa, appena arrivato in Cina, è che tutti i cinesi erano magri, anzi, estremamente
magri, senza un filo di grasso addosso. In questo la qualità della vita è
migliorata nettamente.
19
Pechino 2008
Anche qui però funziona il discorso fatto precedentemente per i diritti umani. Ciò non significa che tutto va bene e possiamo riposare tra due
guanciali. Significa che è stato fatto tanto e che la strada che ancora c’è
da percorrere e che abbiamo davanti è decisamente minore rispetto al
passato. Ci sono dei passi avanti importanti da fare, ma relativamente
piccoli rispetto a quelli che sono stati compiuti fino ad ora.
Il problema però è molto concreto e pratico: farli questi passi avanti.
Il rapporto di Amnesty indica nel concreto quelle che dall’esterno si
vedono come le misure da prendere per far avanzare la “società armoniosa” di Hu.
Repubblica Popolare Cinese
Nota
1
Ci sono argomenti in Cina che spingono ad avviare con prudenza riforme
politiche democratiche. Vedi ad esempio gli articoli: China' inevitables, death,
taxes - and democracy, http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/
grubrica.asp?ID_blog=98&ID_articolo=15&ID_sezione=180&sezione=; Hu's for
president, http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.
asp?ID_blog=98&ID_articolo=45&ID_sezione=180&sezione=; e anche gli articoli
in cinese di Ji Li in Xuixi shibao, 11 settembre 2007; oppure Wang Gang in
Nanfang renwu zhoukan, 28 giugno 2007.
20
Capitale: Pechino
Democrazia popolare a partito unico, guidata dal Partito comunista cinese.
Organo supremo del potere statale è l'Assemblea nazionale del popolo (ANP), i cui 2979
membri sono eletti per cinque anni dalle province, dalle regioni autonome, dalle municipalità
e dalle forze armate.
Capo di stato: Presidente Hu Jintao
PIL: 9.412.361 milioni di $ (2° Paese al mondo)
Tasso di crescita PIL: 9,9% (anno 2005)
Area: 9.596.960 km2 (4° Paese al mondo)
Popolazione (2006): 1.313.973.713 ab. (1° Paese al mondo)
La popolazione maschile supera di 37 milioni quella femminile
Percentuale popolazione urbana al 2005: 43% (30% nel 1978)
Lingua: mandarino, 55 minoranze etniche (che rappresentano l’8% della popolazione)
usano una propria lingua. Come lingua scritta, il mandarino è in uso da 6.000 anni.
Etnie: cinesi Han (91,8%) e Mongoli, Manciù, Miao, Tibetani, Uiguri, Coreani, Yi, Hui e Zhuang
Gli utenti di Internet nel 2007 sono 162 milioni (+40%rispetto al 2005), 20 milioni i
bloggers.
La Cina è la più grande prigione nel mondo per cyberdissidenti.
Giornalisti: 700.000
Nel 2006 la Cina era al 163° posto (su 168 Paesi) nella classifica dei Paesi per libertà di
stampa (fonte: Reporters sans frontières).
Pechino 2008
Olimpiadi e diritti umani
in Cina
Capitolo 1
Verso le Olimpiadi
«…Olympism seeks to create a way of life based on the joy
found in effort, the educational value of good example and
respect for universal fundamental ethical principles».
Olympic Charter, Fundamental Principles of Olympism,
paragraph 2
L’8 agosto del 2008, avrà inizio a Pechino la 28
a
edizione dei Giochi
olimpici. Durante la campagna a sostegno della sua candidatura, il governo cinese ha dichiarato che la situazione dei diritti umani in Cina sarebbe migliorata se la città di Pechino fosse stata scelta come sede dei
Giochi.
Ospitare le Olimpiadi è una tradizione consacrata dal tempo che rappresenta la ricerca dell’eccellenza per gli atleti di tutto il mondo e la promozione della convivenza pacifica. È un’enorme responsabilità per il
Paese organizzatore e un’immensa fonte di orgoglio per i cittadini della
città scelta.
I Giochi olimpici sono un simbolo straordinario di prestigio e rilevanza globale, al quale si accompagnano anche responsabilità e aspettative
a livello planetario. Ogni quattro anni, il mondo attende un’Olimpiade
che promuova i principi dell’olimpismo, coniughi cultura ed educazione e
migliori la vita e il rispetto dei diritti umani dei cittadini.
Le Olimpiadi di Pechino saranno un evento coronato dal successo solo
se contribuiranno alla promozione di questi principi, oltre che all’eccellenza nello sport. Il governo cinese ha dunque davanti a sé l’opportunità di dimostrare la sua intenzione di tenere fede alle promesse fatte
durante la corsa per l’assegnazione dei Giochi estivi del 2008.
25
Pechino 2008
Gli impegni assunti dalla Cina in materia di diritti umani, come pure
lo spirito dell’olimpismo che sostiene che «la pratica dello sport è un
diritto umano» e afferma il rispetto dei «principi etici universali fondamentali», indicano senza ombra di dubbio che il rispetto per i diritti
umani è al cuore del movimento olimpico. La Carta olimpica del resto promuove un’eredità positiva per le città e i Paesi che ospitano i Giochi.
Nel periodo successivo all’assegnazione delle Olimpiadi del 2008,
Amnesty International ha regolarmente reso note le proprie valutazioni
su alcune aree direttamente correlate con la preparazione dei Giochi, con
i principi fondamentali della Carta olimpica e con le promesse che il
governo cinese ha fatto nel 2001, circa il miglioramento della situazione
dei diritti umani nel Paese.
In questi documenti, è risultato evidente come, a partire dal 2001, le
autorità cinesi abbiano puntato molto sui miglioramenti in campo economico e sulla creazione di un’immagine positiva a livello internazionale. Assai poca enfasi, purtroppo, è stata posta sui diritti umani. In questo inizio di secolo è risultata ancora più evidente la disparità tra il progresso economico e la possibilità per i cinesi di godere liberamente di
tutti i loro diritti.
Alla fine del 2007, Amnesty International ha lanciato una campagna
per richiamare la Cina al rispetto degli impegni assunti in occasione dell’assegnazione dei Giochi olimpici e per favorire sostanziali riforme e
miglioramenti in quattro aree fondamentali, strettamente connesse alla
preparazione e all’organizzazione delle Olimpiadi: la pena di morte; la
libertà d’informazione e la censura su Internet; l’imprigionamento, la tortura e le intimidazioni verso i difensori dei diritti umani; e infine le forme
illegali di detenzione amministrativa.
Questo rapporto fa il punto sulle principali preoccupazioni e raccomandazioni di Amnesty International su queste quattro aree, anche attraverso le storie individuali di persone che hanno subito violazioni.
Le Olimpiadi di Pechino 2008 possono contribuire a dare vita a concreti progressi nel campo della difesa dei diritti umani. In assenza di
miglioramenti sostanziali, non soltanto i Giochi di Pechino saranno
ricordati sotto una cattiva luce ma l’immagine che la Cina presenterà al
26
Verso le Olimpiadi
mondo continuerà a essere quella di un Paese che viola i diritti dei suoi
cittadini.
Spetta alla Cina fare una scelta. E al movimento olimpico condividere
la responsabilità di questa scelta.
Il ruolo del Comitato olimpico internazionale
I collegamenti tra i Giochi olimpici e i diritti umani sono stati fatti ripetutamente dagli stessi funzionari cinesi quando Pechino ha vinto la candidatura nel 2001 e ribaditi dai rappresentanti del Comitato olimpico internazionale (CIO). Il CIO ha anche dichiarato più volte che avrebbe fatto
affidamento sulle organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, per monitorare e documentare gli sviluppi in questo ambito.
Rispondendo a un rapporto pubblicato da Amnesty International nel
settembre 2006, il CIO ha dichiarato che è “irrealistico” aspettarsi pressioni da parte del Comitato sul governo cinese1. Amnesty International
ha accolto con disappunto tali risposte, che appaiono un passo indietro
rispetto a dichiarazioni più impegnative rilasciate in precedenza. Per
esempio, nell’aprile 2002, il presidente del CIO, Jacques Rogge, aveva
affermato che il Comitato avrebbe «chiesto al governo cinese di migliorare, al più presto possibile, il suo atteggiamento nei confronti dei diritti umani» e aveva aggiunto: «Se gli aspetti della sicurezza, logistici, o
legati ai diritti umani, non saranno soddisfacenti, allora provvederemo»2.
Il 31 gennaio 2007, durante un incontro richiesto dal CIO, i rappresentanti del Comitato hanno chiarito ad Amnesty International che
avrebbero continuato ad affrontare seriamente il tema dei diritti umani,
portandolo all’attenzione delle autorità.
Ad aprile, in seguito alla pubblicazione di un nuovo rapporto di
Amnesty International, Il conto alla rovescia delle Olimpiadi3, il CIO ha
inviato due lettere all’associazione, con in copia il Comitato organizzatore dei Giochi olimpici di Pechino (COGOP). Nella prima il CIO comunicava di aver letto con attenzione i punti chiave relativi ai Giochi di
Pechino e di aver trovato il rapporto molto utile, ringraziando per esserne stato messo a conoscenza. Il testo aggiungeva: «Saremo sempre impe27
Pechino 2008
gnati nel fare tutto il possibile per ciò che il nostro ruolo di organizzazione promotrice del movimento olimpico può valere per aiutare la Cina
a raggiungere l’obiettivo. Malgrado la difficile sfida, crediamo che le
Olimpiadi di Pechino siano un’opportunità straordinaria per aprire la Cina
al resto del mondo».
Nella seconda lettera, rispondendo a una specifica richiesta di maggiori informazioni da parte di Amnesty International, il CIO chiariva l’ambito di competenza e la validità del Bid Book e del Piano d’azione olimpico, due documenti che sono stati redatti dal COGOP durante la preparazione delle Olimpiadi. Il CIO affermava, inoltre, di non aver informazioni riguardo al progetto di costruzione di un edificio preposto per le
iniezioni letali nei pressi dell’Alta Corte del popolo di Pechino, che sarebbe rientrato nei piani edilizi legati alle Olimpiadi, aggiungendo che il
Comitato non aveva supervisione sui progetti di infrastrutture che non
fossero collegate ai Giochi.
Amnesty International ha apprezzato queste risposte ma si è detta
seriamente preoccupata per la riluttanza del CIO a intraprendere azioni
più incisive riguardo alla difesa dei diritti umani; la volontà iniziale del
Comitato sembra affievolirsi con l’avvicinarsi dei Giochi4.
Due organizzazioni per i diritti umani, la Federazione internazionale
per i diritti umani (FIDU) e l’Organizzazione mondiale contro la tortura
(OMCT), hanno espresso recentemente le loro perplessità riguardo alle
affermazioni di Hein Verbruggen, presidente della Commissione di coordinamento del CIO, sul fatto che i Giochi di Pechino vengano usati da
alcuni gruppi per promuovere istanze politiche e sociali di parte, cosa
universalmente deprecabile5. Verbruggen ha aggiunto che il COGOP
dovrebbe negare queste istanze. Non è stato specificato a quali gruppi
si riferisse, né cosa intendesse con l’espressione «negare queste istanze» ma, dato che queste affermazioni potrebbero essere interpretate
dalle autorità cinesi come una tacita approvazione alla repressione,
Amnesty International si è aggiunta alle richieste della FIDU e della
OMCT, affinchè il CIO dica chiaramente che «la situazione dei difensori
dei diritti umani in Cina non può essere messa in pericolo in nome dei
Giochi olimpici»6.
28
Verso le Olimpiadi
Amnesty International ritiene che qualsiasi istanza volta al miglioramento della difesa dei diritti umani debba essere considerata come un
aspetto essenziale dei Principi fondamentali delle Olimpiadi, insieme con
«il rispetto della dignità umana» e dei «principi etici fondamentali».
Sembra inoltre che molti funzionari cinesi già vogliano inserire la protezione dei diritti umani nei loro programmi politici nel periodo che precede i Giochi. Amnesty International continua a chiedere al CIO di sottoporre direttamente alle autorità cinesi le preoccupazioni e le raccomandazioni contenute in questo rapporto, allo scopo di garantire che significativi progressi nella protezione dei diritti umani avvengano prima delle
Olimpiadi e rimangano come definitiva eredità dei Giochi per il popolo
cinese.
29
Capitolo 2
Pena di morte
Preservare la dignità umana?
«[…] Più dell’80% delle esecuzioni totali al mondo attualmente
avviene in Cina, dove un numero spaventosamente alto di crimini
può comportare la pena capitale. Questo non rientra certamente
nello spirito olimpico».
«[…] Troviamo particolarmente inaccettabile il riferimento fatto in
questa dichiarazione alle statistiche sulla pena di morte e il collegamento tra pena di morte e spirito olimpico. In base alla Carta olimpica, i Giochi sono il più grande evento atletico al mondo. Nessuna
nazione dovrebbe approfittare di quest’evento per politicizzarlo.
Signor presidente, la Cina è una nazione rispettosa della legge. La
pena di morte si applica solo ai crimini particolarmente odiosi ed è
interamente compatibile con i principi del Patto internazionale sui
diritti civili e politici (ICCPR). Quest’anno, a partire dal 1° gennaio,
il diritto d’approvazione di una sentenza capitale tornerà alla Corte
Suprema del popolo (CSP). Facendo questo, cerchiamo di limitare
l’applicazione della pena di morte in Cina. Confido che, attraverso
questi sviluppi e il progresso del mio Paese, l’applicazione della pena
di morte si ridurrà ulteriormente fino ad essere abolita».
Dichiarazioni rese dai rappresentanti svedesi e cinesi al Consiglio dei
diritti umani delle Nazioni Unite, 12 marzo 2007 7
L
a dichiarazione del rappresentante svedese sopra riportata è un esempio delle sempre più numerose connessioni fatte in ambito internazionale tra l’organizzazione da parte della Cina dei Giochi olimpici del 2008 e
le crescenti preoccupazioni sui diritti umani nel Paese. Amnesty International spera che tali connessioni possano essere d’aiuto per compiere passi avanti verso le riforme, in linea con le aspettative degli attivisti per i diritti umani e le promesse fatte dai rappresentanti cinesi in
occasione della vittoria della candidatura di Pechino nel 2001. Tuttavia,
31
Pechino 2008
nella stessa occasione, La Yifan, il rappresentante cinese al Consiglio dei
diritti umani ha preferito parlare di “politicizzazione”, invece di riconoscere il legittimo legame tra i principi olimpici di «dignità umana» e le
preoccupazioni sulla pena di morte come violazione del diritto alla vita e
come punizione definitiva, crudele, inumana e degradante. Questa posizione pare in contraddizione con dichiarazioni pubbliche rese da alti funzionari cinesi, secondo i quali le recenti riforme in tema di pena di morte
sono in gran parte orientate al tema della «preservazione della dignità
umana», un principio importante citato nella Carta olimpica. Per esempio, nel marzo 2007, Xiao Yang, presidente della CSP, ha dichiarato: «Un
caso che coinvolga una vita umana è una questione d’importanza vitale
[…] Non potremo mai essere abbastanza cauti al riguardo»8. Nello stesso mese, Ni Shouming, un portavoce della CSP, ha dichiarato:
«L’abolizione della pena capitale sta diventando un tema globale, e noi
finalmente lavoreremo in questa direzione»9.
Amnesty International ha accolto con favore questa e altre recenti
affermazioni, che sottolineano il valore della vita umana. L’organizzazione
giudica positivamente anche le riforme, tra cui il ripristino della revisione
da parte della CSP, che puntano a ridurre il numero di condanne a morte e
rafforzano le garanzie legali riguardanti il giusto processo. Tuttavia, teme
che queste possano avere un impatto limitato, se non saranno allargate e
accompagnate da ulteriori provvedimenti. Esiste anche il rischio che possano avere l’effetto contrario di rafforzare il sistema della pena di morte,
nonostante la fiducia espressa dal rappresentante cinese al Consiglio ONU
dei diritti umani che la pena di morte sarà finalmente abolita.
Ripristino della revisione da parte
della Corte Suprema del popolo
Il 1° gennaio 2007, la CSP ha formalmente riassunto il proprio ruolo
nell’approvazione di tutte le condanne a morte comminate in Cina.
Amnesty International ha accolto con favore questa riforma, nella speranza che possa portare a un significativo calo del numero delle pene
capitali e possa favorire altre riforme del sistema giudiziario, che lo ade32
Pena di morte
guino ulteriormente agli standard internazionali d’equità dei processi. Sin
da quando sono state introdotte, queste misure hanno dato vita a un
vasto dibattito tra gli accademici cinesi e gli osservatori internazionali
riguardo alla loro portata. Tuttavia, le analisi sono state pregiudicate
dalla mancanza d’informazioni chiare sui meccanismi del processo di revisione, in quanto sono poche le informazioni pubbliche su come questo
venga tradotto nella pratica10.
Lo stesso problema, ovvero la mancanza di dati sull’applicazione della
pena capitale, rende arduo giudicare la più recente decisione della CSP,
che intorno alla metà di settembre 2007 ha chiesto ai tribunali di non
punire con la pena di morte reati di natura economica e delitti passionali, aprendo la strada a un risarcimento nei confronti delle vittime in
cambio di una pena più mite.
Tornando al meccanismo di revisione delle condanne a morte, alcuni
commentatori hanno sottolineato un evidente limite, ossia che esso
tende ad assicurare che tutte le procedure siano state seguite correttamente, piuttosto che a riesaminare il caso in sé, dal punto di vista del
merito. Una fonte di Pechino ha raccontato ad Amnesty International che
la procedura sembra principalmente avere l’obiettivo di garantire che la
pena di morte sia applicata in maniera uniforme tra le varie province,
piuttosto che di esaminare effettivamente eventuali errori giudiziari nei
singoli casi. Riconoscendo tale limite, alcuni esperti legali cinesi hanno
raccomandato che il sistema di revisione della CSP si trasformi in un effettivo sistema d’appello a tre livelli, in modo da salvaguardare nel modo
migliore il diritto a un giusto processo. Per esempio, un accademico ha
rilevato come sia importante garantire una procedura particolarmente
accurata, considerata la “natura particolare” dei casi di pena di morte:
«Ora che abbiamo creato una procedura per la revisione delle condanne a
morte e istituito così tante corti e giudici, perché non la trasformiamo in
un meccanismo sostanzialmente processuale? È perfettamente possibile.
Il punto chiave è l’atteggiamento dei nostri legislatori»11.
In difesa di questa riforma, tuttavia, alcuni accademici cinesi hanno
ammonito che la revisione da parte della CSP non è mai stata intesa come
un’udienza completa sui casi e che non deve essere valutata in modo iso33
Pechino 2008
lato, ma come parte di un più ampio pacchetto di riforme giudiziarie volte
a migliorare la qualità di processi. Tra queste vi sono le nuove regole introdotte nel 2006, che prevedono udienze d’appello aperte per le condanne
a morte12, e gli emendamenti proposti al codice di procedura penale che,
se adottati, dovrebbero aumentare la possibilità di contatti tra detenuti e
avvocati ed eliminare l’uso in tribunale di prove ottenute illegalmente13.
Nel febbraio 2007, la promulgazione dei nuovi regolamenti ha chiarito le
circostanze in cui la CSP può approvare, rivedere o annullare una condanna a morte14. Un articolo diffuso in quell’occasione dall’agenzia di stampa
ufficiale Xinhua evidenziava come nella maggior parte dei casi la CSP non
avrebbe avuto l’autorità per emettere un nuovo verdetto o dichiarare innocente un imputato, pur riscontrando errori procedurali15. In molte situazioni, tali casi sarebbero rinviati ai tribunali per un nuovo processo e non
parrebbe esservi un limite alle volte che ciò può accadere. Amnesty
International teme che questo si traduca in continui processi nei casi di
pena capitale, prolungando in tal modo l’angoscia degli imputati.
Il 12 marzo 2007, i principali organi giudiziari cinesi hanno emesso
una direttiva congiunta, raccomandando con urgenza ai dipartimenti giudiziari di controllare strettamente e applicare con prudenza la pena di
morte, allo scopo di salvaguardare i diritti legali degli imputati e di
garantire che ai condannati a morte fosse permesso di incontrare i propri familiari, dopo la conferma della sentenza. La direttiva sottolineava
anche che spetta alla CSP l’approvazione finale dei casi di condanna a
morte e ribadiva che sono vietate le esibizioni pubbliche dei condannati
e le confessioni ottenute tramite tortura16. Amnesty International ha
accolto con favore questi passi, ma teme che tali direttive abbiano un
effetto limitato, se non saranno seguite da meccanismi d’applicazione
efficaci a livello locale. L’esibizione pubblica dei condannati, per esempio, era già stata proibita nel 1998 in un’interpretazione da parte della
CSP del codice di procedura penale, ma le testimonianze su questo tipo
d’abuso hanno continuato a essere numerose17. Similarmente, nonostante la regola stabilita l’anno scorso dalla CSP sulle udienze a porte aperte, resta il timore che tale pratica rimanga un’eccezione piuttosto che la
regola nella maggior parte del territorio cinese18.
34
Pena di morte
Un tema chiave nel dibattito tra gli accademici cinesi verte sulla questione se gli imputati o i loro difensori possano appellarsi direttamente
al comitato di revisione della CSP. Secondo l’agenzia di stampa Xinhua,
un non meglio identificato funzionario della Corte Suprema ha dichiarato che «un rappresentante della difesa è autorizzato a rendere note le
proprie opinioni [sic] durante la revisione, e tali opinioni saranno ascoltate dalla corte»19. Non esistono tuttavia abbastanza informazioni disponibili per capire se ciò avvenga o meno nella pratica.
Amnesty International teme che un limitato processo di revisione non
possa affrontare gravi violazioni dei diritti umani, come l’uso della tortura da parte della polizia per estorcere confessioni, se le prove di tali
abusi non siano in precedenza presentate in un’aula di tribunale. Per
esempio, in un caso recente, Xu Shuangfu, leader di un gruppo protestante non riconosciuto, è stato messo a morte nel novembre 2006 insieme con altri 11 condannati, dopo essere stato riconosciuto colpevole per
l’omicidio di 20 membri di un altro gruppo non riconosciuto, tra il 2003
e il 2004. Pare che Xu Shuangfu abbia dichiarato di aver confessato sotto
tortura durante l’interrogatorio della polizia e di aver subito bastonate,
scariche elettriche sulle dita dei piedi, sulle mani e sui genitali e l’introduzione forzata di pepe e benzina nel naso. Tuttavia, sia nel primo processo che in appello il tribunale non ha permesso ai suoi avvocati di sottoporre alla corte queste prove a discarico20. Alla luce di questi fatti,
Amnesty International ritiene essenziale che gli imputati o i loro avvocati possano rivolgersi direttamente al comitato di revisione della CSP.
Il 19 marzo 2007, l’agenzia di stampa Xinhua ha annunciato che, da
quando si era nuovamente attribuita il diritto di revisione finale, la CSP
aveva confermato quattro condanne a morte. Si trattava di altrettanti
casi di rapimento, omicidio, stupro e incendio provenienti dai tribunali
della municipalità di Shanghai e delle province di Jiangxi, Jiangsu e
Fujian. Il lancio dell’agenzia citava un giudice, secondo il quale la CSP
aveva anche «riscontrato casi con prove insufficienti e li aveva rimandati alle corti inferiori per ulteriori inchieste», senza riportare il numero
totale dei casi rivisti21. Se fosse vero che la CSP ha approvato solo quattro condanne a morte fino al 19 marzo 2007, allora dal 1° gennaio sareb35
Pechino 2008
Pena di morte
bero state messe a morte almeno 13 persone senza che le loro sentenze
venissero confermate dalla CSP. Nel corso di un monitoraggio delle agenzie di stampa cinesi sull’applicazione della pena capitale dal 3 al 16 febbraio 2007 (due settimane prima del Capodanno cinese, tradizionale
periodo di picco delle esecuzioni), Amnesty International ha infatti documentato 13 esecuzioni in cinque province o regioni autonome: Jiangsu,
Sichuan, Shandong, Qinghai e Xinjiang. Nessuna di queste rientrava tra
le quattro sopra citate e nessun comunicato ufficiale riferiva che le sentenze fossero state esaminate dalla CSP prima di essere eseguite22. È possibile che i tribunali abbiano ritenuto che non vi fosse l’obbligo di sottoporre le sentenze all’approvazione della CSP, in quanto i casi erano stati
istruiti prima che il processo di revisione fosse introdotto formalmente.
Tuttavia, autorevoli specialisti cinesi di procedura penale hanno argomentato che i processi iniziati prima del 1° gennaio 2007 e non conclusi entro quella data, dovessero comunque essere approvati dalla CSP23.
Amnesty International teme fortemente che persone siano state messe
a morte da tribunali locali a partire dal 1° gennaio 2007 senza l’approvazione della CSP. L’organizzazione chiede alle autorità di aumentare la
trasparenza sul processo di revisione, rendendo pubbliche tutte le informazioni sulla sua natura e chiarendo quali garanzie esistano per gli imputati o i loro difensori per appellarsi al comitato di revisione. Occorre infine che siano resi noti tutti i dettagli e le statistiche sul numero di casi
approvati, respinti o rimandati alle corti inferiori.
Applicazione estensiva della pena di morte
«Rendere pubbliche le statistiche salvaguarderebbe il diritto dei cittadini a conoscere la situazione della pena di morte. Potrebbe anche
aiutare la società a controllare efficacemente i meccanismi attraverso
i quali la pena di morte è applicata dal sistema penale e giudiziario».
Professor Zhao Bingzhi, specialista di procedura penale cinese24
Gli accademici cinesi hanno ipotizzato che la ripresa della revisione
delle condanne a morte da parte della CSP porterà probabilmente a una
riduzione del 20-30% delle esecuzioni. L’8 giugno 2007, i mezzi d’infor36
mazione locali hanno dato la notizia che, durante i primi cinque mesi dell’anno, vi era stata una riduzione del numero di esecuzioni e di sentenze
capitali rispetto all’anno precedente. Citando le cifre dei Tribunali popolari intermedi 1 e 2 di Pechino, Ni Shouming, portavoce della CSP, ha
dichiarato che il numero delle condanne a morte è sceso del 10% rispetto all’anno precedente, aggiungendo che questo è il risultato di una maggior cautela nell’emettere tali sentenze sia da parte della CSP che dei tribunali di grado inferiore25. Amnesty International ha accolto con favore
questa apparente riduzione del numero delle esecuzioni, ma ritiene che il
modo migliore per consentire un’analisi completa del fenomeno, sia da
parte degli esperti legali che di organismi indipendenti, sia quello di rendere totalmente pubbliche le statistiche sull’applicazione della pena di
morte nel Paese. Questo sarebbe un passo avanti per informare i cittadini cinesi sulla vera natura della pena di morte nel Paese, permettendo
loro di esprimere opinioni consapevoli. Sarebbe inoltre particolarmente
importante, poiché le autorità cinesi citano regolarmente la “volontà
popolare” come giustificazione per mantenere la pena capitale o in difesa di lenti, ma costanti passi verso la sua abolizione.
Nel marzo 2007, Zhao Long, vice-presidente del Congresso del popolo
dello Jiangsu e delegato al Congresso nazionale del popolo (CNP), ha
espresso il suo disappunto per il fatto che il rapporto annuale della CSP
al CNP non fornisse dati disaggregati sulle condanne a morte26. Al contrario, la CSP ha mantenuto l’abitudine di inserire i dati sulla pena di
morte tra quelli riguardanti le pene detentive comprese tra cinque anni e
l’ergastolo (per un totale di 153.724 persone). Nello stesso mese, Liu
Jiachen, un ex vice-presidente della CSP, ha dichiarato che il numero
delle condanne a morte inflitte dai tribunali nel 2006 «era il più basso
da più di 10 anni»27. Ha poi aggiunto: «Non possiamo fondare le nostre
speranze sulla pena di morte per combattere il crimine. Dobbiamo affrontare i crescenti casi di criminalità attraverso molti altri modi […]. Il concetto si accorda anche con la tendenza mondiale ad alleggerire le pene,
il che significa punizioni maggiori solo per un ristretto numero di crimini gravi»28. Tuttavia, si è rifiutato di fornire il numero esatto delle condanne a morte eseguite nel 2006. In base all’esame delle fonti ufficiali e
37
Pechino 2008
non ufficiali disponibili, Amnesty International stima che quell’anno vi
siano state almeno 1.010 esecuzioni e 2.790 condanne a morte, anche se
i numeri reali sono indubbiamente più alti29.
La Fondazione Dui Hua, con sede negli Stati Uniti, basandosi su contatti con persone residenti in Cina e che hanno accesso a informazioni
ufficiali, ritiene che il dato reale del 2006 sia intorno alle 7.500-8.000
esecuzioni30. Questa cifra è in linea con altre stime effettuate da un
professore di diritto penale cinese all’inizio del 2006 ed è ritenuta credibile da Amnesty International31. Se fosse corretta, sarebbe certamente inferiore alla stima di 11.000 esecuzioni l’anno, fatta da un parlamentare cinese nel marzo 2004, ma supererebbe comunque di 13 volte
il numero totale delle esecuzioni di cui si è a conoscenza, avvenute nel
resto del mondo nel 200632. I dati completi e ufficiali sulle condanne a
morte e sulle esecuzioni restano coperti dal segreto, rendendo estremamente difficile qualsiasi analisi obiettiva sull’applicazione della pena
capitale in Cina. Una maggior trasparenza verso i cittadini è indispensabile non solo per le statistiche, ma anche per conoscere i casi individuali. Il 28 giugno 2007, i mezzi d’informazione cinesi hanno dato notizia della prima esecuzione a Pechino dopo la reintroduzione della revisione da parte della CSP33. Tao Jianhua è stato messo a morte su ordine del Tribunale popolare intermedio 2 di Pechino per omicidio, dopo
cha la sentenza è stata approvata dalla CSP. Mentre sono disponibili
informazioni sul processo di revisione in generale messo in atto dalla
CSP, non si hanno particolari sul caso di Tao Jianhua, ad esempio se lui
o il suo avvocato abbiano preso parte al processo di revisione della CSP.
Anche se alcuni commenti di giurisprudenza suggeriscono che i legali
della difesa abbiano accesso alla revisione, non si sa se questo poi
avvenga in ogni singolo caso.
Riconoscendo la necessità di maggior trasparenza ai livelli più bassi di
giudizio, il 14 giugno 2007, la CSP ha sottolineato che i casi di pena di
morte comminata in prima istanza devono essere trattati in udienze pubbliche e che le corti devono anche assicurare la trasparenza dei processi
di appello in tutti i casi34. La nota della CSP chiedeva anche che tutte le
sentenze siano rese pubbliche. Questa richiesta ha fatto seguito alla deci38
Pena di morte
sione della CSP, nel 2006, secondo cui, a partire dal 1° giugno dello stesso anno, tutti i processi d’appello relativi a casi di pena di morte avrebbero dovuto svolgersi in udienze pubbliche, nel tentativo di migliorare la
situazione dei diritti umani e di evitare errori giudiziari. Tuttavia,
Amnesty International ha ampiamente riscontrato come i processi d’appello nei casi di pena di morte continuino a svolgersi in camera (a porte
chiuse) in varie parti della Cina. Gli stessi mezzi d’informazione cinesi, il
23 giugno 2007, hanno riportato le dichiarazioni di una fonte giudiziaria
locale che rivelava come la mancanza di personale rendesse spesso
impossibile svolgere i processi capitali in udienza pubblica35. La fonte ha
aggiunto che «se i processi d’appello non vengono svolti in tribunali
aperti, il pubblico non si forma un’opinione, i diritti degli accusati non
vengono protetti e possono verificarsi errori giudiziari»36. Secondo la
fonte, i tribunali cinesi dovrebbero assumere 1900 persone per i processi di appello nei casi di pena di morte.
La famiglia di Nie Shubin, un innocente messo a morte nel 1995 dopo
che era stato giudicato colpevole di stupro e omicidio, continua a battersi per ricevere un risarcimento. Secondo quanto appreso da Amnesty
International, Nie Shubin era stato torturato dalla polizia per estorcergli
una falsa confessione. All’inizio del 2005, una persona arrestata per un
altro crimine ha confessato l’omicidio, descrivendolo nei dettagli. Ai familiari di Nie non era stato permesso di vederlo né erano stati informati sull’esito del processo; ad oggi, non sono ancora riusciti a ottenere una copia
della sentenza. Il padre ha scoperto che il figlio era morto solo quando è
andato in prigione a portargli da mangiare e dopo questa notizia ha tentato più volte il suicidio. La madre ha detto: «Avevo un solo figlio, tutte
le mie speranze erano in lui. Hanno distrutto il mio futuro [...]. Senza mio
figlio, la mia famiglia e io non possiamo andare avanti»37.
Allo stesso modo, la famiglia di Wu Zhenjiang, uno studente di 24 anni
condannato per omicidio volontario e messo a morte nel gennaio 2005,
ha denunciato che gli è stato impedito di incontrare il congiunto dopo il
processo38. Da allora, la madre di Wu Zhenjiang continua a chiedere alle
autorità di avere maggiori informazioni sul caso, in particolare su cosa
sia successo al corpo, cremato poco dopo l’esecuzione e mai restituito
39
Pechino 2008
alla famiglia. Sospetta che gli organi del figlio siano stati rimossi senza
consenso per essere utilizzati in trapianti.
Nel 2006, oltre al tradizionale picco nelle esecuzioni prima di ricorrenze come la Giornata nazionale (1° ottobre) e la Giornata contro la
droga (26 giugno), Amnesty International ha registrato un drammatico
incremento delle esecuzioni nel mese di dicembre, il che appare come un
tentativo da parte dei tribunali locali di “mettersi in pari” con i casi
prima della reintroduzione della revisione da parte della CSP, alla vigilia
del 1° gennaio 2007. Durante le ultime due settimane di dicembre,
Amnesty International ha verificato 131 esecuzioni, contro le 74 prima
della Giornata nazionale e le 55 prima della Giornata contro la droga. In
alcuni casi si è trattato di esecuzioni di massa di 10 o 12 persone.
Un caso particolarmente controverso è rappresentato dall’esecuzione
di Qiu Xinghua, un contadino di Ankang, nella provincia dello Shaanxi,
avvenuta il 28 dicembre 2006, pochi giorni prima della reintroduzione
della revisione da parte della CSP. Qiu era stato condannato all’inizio del
2006 per l’omicidio di 11 persone, commesso in seguito ai suoi sospetti
d’infedeltà della moglie. In molti ritenevano che fosse affetto da malattia mentale e alcuni esperti cinesi di psichiatria avevano chiesto un
esame in tal senso. Il caso aveva avuto una forte risonanza sui mezzi
d’informazione e alcuni eminenti accademici avevano chiesto, con una
lettera aperta pubblicata su Internet, che Qiu Xinghua venisse sottoposto a un esame psichiatrico39. Tuttavia, sia in prima istanza che in appello, la corte dello Shaanxi aveva rifiutato di ordinare l’esame. In base
all’articolo 18 del codice penale cinese, le persone affette da malattia
mentale legalmente dimostrata non sono responsabili per i reati commessi, non essendo in possesso del controllo su se stessi, e l’esecuzione
di imputati affetti da malattia mentale al momento del crimine è proibita in base agli standard internazionali sui diritti umani.
Il 26 giugno 2007, durante l’annuale Giornata contro la droga40, la
Rete asiatica contro la pena di morte, di cui fa parte anche Amnesty
International, ha pubblicato un documento nel quale esprime preoccupazione per l’alto numero di esecuzioni per reati di droga in vari Paesi della
regione Asia-Pacifico, Cina inclusa41. Durante le due settimane preceden40
Pena di morte
ti, Amnesty International ha registrato 47 condanne a morte e 14 esecuzioni per reati di droga, sebbene è presumibile che il dato reale sia molto
più alto. Alla vigilia della Giornata, il giudice Gao Guijun della CSP aveva
annunciato che la Corte aveva «esaminato attentamente i casi di pena di
morte connessi al traffico di droga» e che «la nostra approvazione della
pena di morte per quanto riguarda il traffico di droga non teme il confronto nemmeno con la storia»42. Il portavoce della CSP, Ni Shouming
aveva aggiunto che la Corte «non vuole mostrare indulgenza nell’applicazione di condanne severe per coloro che sono figure cardine all’interno
di bande che trafficano droga e per coloro che contribuiscono allo smercio di droga all’interno dei confini cinesi»43.
Nel giugno 2007, Yuan Yanjie, una ragazza di 23 anni originaria della
provincia dello Henan, è stata condannata a morte dal Tribunale popolare intermedio di Baoding, nella provincia dello Hebei, dopo essere stata
giudicata colpevole di aver fatto entrare in Cina 484,2 grammi di eroina
da Myanmar. Secondo quanto riportato la ragazza aveva nascosto la droga
nei tacchi dei suoi sandali ed era stata pagata con 15.000 renminbi (circa
1500 euro). Due complici, che apparentemente ricevevano, imballavano
e poi spedivano la droga, hanno a loro volta ricevuto condanne a morte,
ma la pena è stata sospesa44.
Il dibattito tra gli accademici cinesi sulla rimozione dei crimini non violenti tra quelli punibili con la pena di morte è proseguito durante il 2007,
in particolare sulla possibilità di togliere dall’elenco i crimini di tipo economico, come la frode fiscale, l’appropriazione indebita e la corruzione.
L’annuncio fatto dalla CSP intorno alla metà di settembre andrebbe in questa direzione. Tuttavia, al momento di andare in stampa le autorità cinesi
non hanno intrapreso alcun passo concreto per ridurre l’applicazione della
pena di morte, che resta prevista per 68 crimini, molti dei quali di natura
non violenta come quelli economici e quelli relativi al traffico di droga.
Nel febbraio 2007, il Tribunale popolare intermedio di Yingkou, nella
provincia del Liaoning, ha condannato a morte l’uomo d’affari Wang
Zhendong, per aver truffato per 3 miliardi di yuan un gruppo di persone
che avevano investito nel suo progetto d’allevamento di formiche45. Pare
che avesse promesso un guadagno di più del 60% per un investimento in
41
Pechino 2008
sacchi di formiche, chiedendo agli acquirenti di tornare dopo 37 giorni,
al termine del periodo d’allevamento. La maggior parte degli investitori
erano abitanti poveri dei villaggi della zona o lavoratori licenziati dalle
imprese statali del Liaoning e pare che uno di loro si sia tolto la vita dopo
aver scoperto di essere stato truffato.
Il 10 luglio 2007 è stata eseguita la condanna a morte di Zheng
Xiaoyu, ex direttore dell’Amministrazione statale per il cibo e i medicinali, accusato di corruzione. L’accusa si basava sul fatto che Zheng avesse
approvato medicinali, venduti al posto di altri prodotti, in seguito ritenuti causa della morte di varie persone in tutta la Cina. Alcuni commentatori hanno espresso perplessità sulla sua condanna, facendo notare che
altri accusati di corruzione, in casi in cui le somme di denaro coinvolte
erano molto più alte, avevano ricevuto solo condanne con sospensione
della pena di morte. Un lungo servizio pubblicato dall’agenzia di stampa
Xinhua ha precisato che Zheng Xiaoyu aveva «commesso reati particolarmente gravi arrecando seri danni alla società»46. Il testo aggiungeva
anche che l’esecuzione di Zheng aveva mostrato «la determinazione della
Cina a usare la legge per punire e prevenire i reati di corruzione e concussione» e che «perfino quadri altolocati con grande potere vengono
puniti senza pietà».
Il 4 luglio 2007, Ni Shouming e il vice presidente della CSP Zhang Jun
hanno annunciato che entro la fine dell’anno la CSP avrebbe introdotto
«linee guida unificate» sulla pena capitale per contrastare «l’ingiustizia
del sistema penale» derivante dalla diversità dei criteri messi in atto in
tutto il Paese nell’emissione di condanne a morte, in particolare nei reati
a carattere economico o collegati alla droga47. Illustrando un esempio,
hanno spiegato che nella provincia dello Yunnan un trafficante di droga
può essere condannato a morte qualora la quantità di droga sia pari o
superiore a 300 grammi, mentre nella vicina provincia del Guizhou, sono
sufficienti 150 grammi per far applicare la pena capitale48. Le linee guida
dovrebbero riguardare quattro categorie di reati: omicidio, furto, crimini
connessi alla droga e crimini di natura internazionale.
Amnesty International valuta positivamente i tentativi della CSP di
porre rimedio al modo arbitrario, ingiusto e soggettivo con cui la pena
42
Pena di morte
di morte è da sempre applicata in Cina. L’organizzazione insiste sul fatto
che il migliore e più efficace modo per risolvere questo problema sarebbe la completa abolizione della pena di morte. Gli standard internazionali comunque richiedono che in quei Paesi in cui viene mantenuta la
pena capitale, le condanne siano limitate ai reati più gravi. Su questo
tema Amnesty International sottolinea l’opinione del Relatore speciale
delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, secondo il quale la pena di morte dovrebbe essere abolita per
reati che non comportano spargimento di sangue. Questa interpretazione dell’articolo 6(2) dell’ICCPR è sostenuta da oltre un decennio dai
Relatori speciali49. In un suo recente rapporto al Consiglio dei diritti
umani, del quale la Cina è Stato membro, il Relatore speciale ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che la Cina sia tra le nazioni che
“«mantengono nella loro legislazione nazionale l’opzione di imporre la
pena di morte per crimini di tipo economico e/o legati al traffico di
droga»50.
Il dibattito interno sulle condanne a morte e i crimini non violenti
verte spesso sul fatto che l’esistenza della pena capitale impedisca l’estradizione in Cina dei presunti colpevoli fuggiti oltre confine51. Amnesty
International accoglie con favore questo dibattito, ma evidenzia anche
che focalizzarsi solo sui crimini economici potrebbe essere considerato
un privilegio concesso agli imputati più ricchi, potenti e influenti.
L’organizzazione chiede con urgenza che il dibattito sia allargato ad altri
crimini non violenti, come quelli riguardanti il traffico di droga, in modo
da giungere rapidamente a riforme che rimuovano tali crimini da quelli
per i quali è prevista la pena di morte.
Come passi concreti verso l’abolizione, Amnesty International chiede
alle autorità cinesi di pubblicare dati completi sulle condanne a morte e
sulle esecuzioni, nell’interesse della trasparenza e della responsabilità
pubblica, agevolare il lavoro degli analisti nel determinare se il processo
di revisione da parte della CSP abbia portato alla prevista riduzione delle
condanne a morte e delle esecuzioni e, infine, ridurre il numero di crimini punibili con la morte, per esempio abolendola per i crimini non violenti, come quelli economici e legati al traffico di droga.
43
Pechino 2008
Messaggi controversi sull’espianto di organi
Amnesty International è rimasta perplessa di fronte a dichiarazioni
recenti, attribuite a una fonte anonima della CSP, secondo le quali i casi
d’espianto d’organi dai cadaveri dei condannati a morte sarebbero «abbastanza eccezionali» e «la fonte principale d’organi per trapianti in Cina è
rappresentata da donazioni volontarie di cittadini in accordo con le loro
ultime volontà»52. Queste parole sono in contrasto con quelle pronunciate nel 2006 dal vice ministro della Sanità cinese, secondo cui la maggior
parte degli organi per trapianti proviene da condannati a morte e con
affermazioni simili rilasciate da autorevoli specialisti locali in trapianti53.
Le affermazioni del funzionario della CSP sono anche in disaccordo con le
testimonianze ricevute da Amnesty International e da altre organizzazioni non governative, secondo le quali si tratterebbe di una pratica talmente diffusa che, come suggerito da un paziente trapiantato, «tutti in
Cina ne sono al corrente»54. Inoltre, manca un sistema formale per le
donazioni volontarie degli organi e le norme culturali impongono che i
resti umani, se non vengono bruciati o cremati, debbano essere sepolti
intatti. Amnesty International ritiene perciò che la fonte anonima della
CSP dovrebbe fornire solide prove a sostegno delle sue affermazioni. Il
funzionario della CSP avrebbe anche aggiunto che gli organi possono
essere prelevati dai prigionieri messi a morte solo se questi hanno
«volontariamente deciso di donare i loro organi e firmato i relativi documenti, oppure se i loro familiari hanno acconsentito al prelievo».
Amnesty International ribadisce i suoi timori circa il fatto che chi affronta il trauma e l’angoscia di un’esecuzione imminente non sia nella posizione di fornire serenamente tale consenso e che la segretezza che avvolge l’applicazione della pena di morte in Cina renda impossibile verificare
in modo indipendente se tale consenso sia fornito o meno.
Amnesty International è preoccupata per le continue notizie relative
al commercio di organi per trapianti, anche dopo l’introduzione da parte
del ministero della Sanità di nuove regole che avrebbero teoricamente
proibito, a partire dal 1° luglio 2006, tale pratica. Per esempio, secondo
un’inchiesta realizzata di nascosto dalla British Broadcasting Corporation
44
Pena di morte
(BBC), lo staff dell’Ospedale centrale di Tianjin avrebbe affermato di
poter procurare un fegato per un trapianto al costo di circa 68.100 euro,
nel giro di tre settimane; il capo chirurgo avrebbe confermato che il
donatore era un prigioniero messo a morte55. Un’altra fonte avrebbe
aggiunto che vi era un surplus di organi, a causa dell’incremento delle
esecuzioni con l’avvicinarsi della Giornata nazionale cinese del 1° ottobre 200656.
Il 6 aprile 2007, l’agenzia di stampa Xinhua ha pubblicato il testo di
un nuovo regolamento sui trapianti di organi, che pare tenda a rafforzare le norme introdotte nel 200657. In vigore dal 1° maggio 2007, il regolamento stabilisce il divieto di commerciare organi provenienti da persone al di sotto dei 18 anni, precisa che le donazioni debbano essere
«volontarie» e «non a fini di lucro» e afferma che «nessuna organizzazione o singola persona può forzare, ingannare o adescare qualcuno per
fargli donare gli organi». Tuttavia, il regolamento non fa alcun riferimento specifico all’espianto di organi dai cadaveri dei condannati a morte e
ciò fa supporre che tale pratica proseguirà. Il regolamento è stato accolto con favore da uno dei maggiori specialisti in trapianti, il professor
Chen Zhonghua, come «un grande passo avanti per la pratica medica
nazionale»58. Tuttavia, egli ha precisato che «se il regolamento potrà
essere efficace, dipenderà dalla forza con cui sarà fatto rispettare»59.
45
Capitolo 3
Libertà d’informazione
Doppio standard
Il 4 luglio 2007, l’agenzia di stampa Xinhua ha diffuso la notizia che il
Comitato organizzatore dei Giochi olimpici di Pechino (COGOP) aveva
ricevuto, nella prima fase di accreditamento dei media per le Olimpiadi,
richieste da oltre 100 Comitati olimpici nazionali60. Il rapporto aggiungeva che ai Giochi olimpici avrebbero assistito 5.600 fra giornalisti e
fotografi, oltre a 16.000 giornalisti televisivi61. È probabile che molti di
loro saranno interessati a occuparsi, oltre che di temi sportivi, anche di
storie collegate ai diritti umani o ad argomenti sociali.
Nel gennaio 2007 il governo ha emanato nuove disposizioni riguardanti la stampa estera, con l’obiettivo di incrementare la libertà di riportare notizie sulla Cina prima e durante i Giochi olimpici. Mentre in passato dovevano richiedere formalmente l’autorizzazione alle amministrazioni locali prima di svolgere inchieste e fare interviste fuori Pechino, i
nuovi regolamenti affermano che «i giornalisti stranieri, per intervistare
organizzazioni o singole persone in Cina, hanno bisogno solo di ottenere il loro preventivo consenso»62. Amnesty International ha apprezzato
queste disposizioni, che estendono e agevolano l’attività dei mezzi d’informazione stranieri in Cina. Tuttavia, è dubbio che tali regole possano
essere applicate anche in regioni autonome come il Tibet e lo Xinjiang,
dove nulla è stato fatto per incrementare la libertà di espressione dei
giornalisti locali che, rispetto a quelli stranieri, vanno incontro a maggiori restrizioni e violazioni dei diritti umani. Alcuni funzionari hanno
suggerito un possibile prolungamento temporale di queste disposizioni,
ma l’articolo 9 delle nuove norme dice chiaramente che queste non saranno più valide dal 17 ottobre 2008. Un’analisi iniziale delle nuove regole
47
Pechino 2008
da parte di alcuni giornalisti ha confermato che era effettivamente possibile svolgere inchieste giornalistiche senza autorizzazione ufficiale.
Alcuni inviati e corrispondenti sono stati in grado di seguire casi “sensibili”, come è stato fatto dalla Reuters intervistando Xinna, la moglie di
Hada, prigioniero di coscienza nella Mongolia interna e Bao Tong, collaboratore dell’ex premier Zhao Ziyang63. The Economist è riuscito a portare avanti un’inchiesta sull’impatto devastante dell’HIV/AIDS nella provincia dello Henan64. Esempi più recenti, tuttavia, indicano che alcuni
funzionari provinciali non rispettano i regolamenti65. Ne è un esempio la
detenzione e l’espulsione da parte della polizia di due giornalisti della
BBC da Zhushan, nella provincia dello Hunan, nel marzo 2007, dopo che
avevano cercato di indagare sulla morte di uno studente durante una protesta su vasta scala, a seguito dell’aumento delle tariffe del trasporto
pubblico66.
Sembra che alcune amministrazioni locali abbiano reagito a queste
disposizioni chiedendo ai propri funzionari di impedire la pubblicazione
di storie “negative”. Ad esempio, pare che a marzo il governo della città
di Pingdu, nella provincia dello Shandong, abbia esortato i funzionari
locali a «utilizzare tutte le misure per ridurre al minimo l’impatto di notizie negative»67. Secondo un reporter investigativo, questo episodio è la
prova che le amministrazioni locali erano impaurite dall’aumento della
trasparenza in un ambiente mediatico più aperto68.
Le disposizioni del gennaio 2007 dovrebbero essere viste anche nel
contesto delle misure introdotte nel settembre 2006, per rafforzare la
supervisione dell’agenzia di stampa ufficiale Xinhua sulla diffusione delle
notizie provenienti da agenzie di stampa straniere. Queste misure vietano la pubblicazione in Cina di notizie e informazioni che servano «a mettere in pericolo la sicurezza nazionale, la reputazione e gli interessi della
Cina e che minaccino la stabilità sociale della Cina»69. Sembra quindi che,
mentre i giornalisti stranieri possono avere più libertà di riferire su temi
“sensibili”, i loro servizi corrano un alto rischio di essere censurati per il
pubblico cinese.
I tentativi delle autorità di incrementare i controlli sui mezzi d’informazione nazionali sono stati esplicitati sin dall’inizio del 2007 in tre deci48
Libertà d’informazione
sioni ufficiali. A gennaio, il Dipartimento centrale della propaganda del
Partito comunista cinese (PCC) ha imposto nuove regole di “pre-censura”,
che impongono agli organi di stampa di chiedere l’autorizzazione per trattare avvenimenti storici significativi o anniversari che coinvolgono temi
politicamente “sensibili” o controversi70. Successivamente, il Dipartimento
della propaganda dell’Amministrazione statale cinese di radio, cinema e
televisione (ASCRCT) ha introdotto il divieto di riferire notizie relative a
20 argomenti specifici, tra cui la corruzione giudiziaria e le campagne per
i diritti umani, prima dello svolgimento del 17° Congresso del PCC di ottobre71. A febbraio, il Dipartimento centrale della propaganda del PCC ha
istituito un nuovo sistema di “patente a punti”, che prevede la chiusura
dei mezzi d’informazione se vengono detratti loro tutti i 12 punti assegnati inizialmente. Non è chiaro però come la “penalità” venga accertata
o calcolata. Un funzionario del Dipartimento avrebbe affermato che «il
nuovo sistema è un chiaro messaggio da parte degli alti dirigenti cinesi,
che vogliono un ambiente sociale pacifico prima del 17° Congresso del PCC
e dei Giochi olimpici dell’anno prossimo»72.
Queste decisioni hanno così incrementato le restrizioni nei confronti
dei giornalisti e degli scrittori cinesi, che già si trovavano a lavorare in
un’atmosfera soffocante di censura e che ora corrono un pericolo ancora
più grande di subire violazioni dei diritti umani, se si occuperanno di
argomenti ritenuti “sensibili” dalle autorità. Malgrado questo, tuttavia,
molti giornalisti locali continuano a svolgere inchieste su temi quali l’ambiente, la salute e la situazione dei diritti umani, sperando che i loro articoli non verranno censurati e che non subiranno ripercussioni a carattere penale.
Un episodio recente, altamente preoccupante, è stata l’uccisione del
cronista Lan Chengzhang nel gennaio 2007. Egli aveva cercato di indagare sulle attività di una miniera di carbone illegale nella contea dello
Hunyuan, nella provincia dello Shanxi. La morte è avvenuta presumibilmente per emorragia cerebrale, a seguito del pestaggio da parte di un
gruppo di delinquenti assoldati dal proprietario della miniera. Le autorità locali hanno inizialmente dichiarato che Lan Chengzhang non era un
cronista accreditato e che forse aveva provato a estorcere soldi al pro49
Pechino 2008
prietario, minacciandolo di rendere pubblici i problemi della miniera73.
Queste affermazioni sono state contestate da alcuni quotidiani cinesi;
pare inoltre che la polizia locale abbia ostacolato le attività dei giornalisti che si erano recati nello Hunyuan per indagare sulla morte del loro
collega74. A seguito dell’intervento di alti dirigenti cinesi, compreso il
presidente Hu Jintao, le autorità dello Shanxi hanno aperto un’inchiesta,
terminata il 29 giugno 2007, con l’accusa al proprietario della miniera di
aver ordinato l’aggressione e con la sua condanna all’ergastolo75.
All’incirca nello stesso periodo Democracy and Legal Times, un autorevole settimanale di Pechino, che a sua volta si era occupato del caso di
Lan Chengzhang ma anche di casi di corruzione giudiziaria nella provincia del Liaoning, è stato costretto a licenziare otto redattori76. Un giornalista ha denunciato che le autorità avevano ordinato ai siti Internet di
non pubblicare in una posizione troppo evidente gli articoli del
Democracy and Legal Times.
L’uccisione di giornalisti in Cina è un fatto raro77, ma restano estese le
violazioni dei diritti umani nei loro confronti, come la detenzione arbitraria e l’arresto. Inoltre, tutti i mezzi d’informazione sono soggetti alla
censura e libri e saggi sono frequentemente vietati o messi fuori circolazione. Esempi recenti includono il divieto di pubblicazione della biografia del noto giornalista Dai Huang e il ritiro del libro Storie passate delle
stelle dell’Opera di Pechino della scrittrice Zhang Yihe. Entrambi gli autori hanno intrapreso azioni legali per far annullare il provvedimento
dell’Amministrazione generale di stampa e pubblicazione (AGSP)78.
Secondo quanto appreso da Amnesty International, Wu Shulin, vice direttore della AGSP ha dichiarato che il libro di Zhang era stato ritirato non
per i suoi contenuti ma per la “personalità sensibile” dell’autrice79.
«Credevo che l’attuale situazione legale in Cina fosse migliorata rispetto a quando ero stata arrestata […] ma la preoccupazione [delle autorità] dimostra che per lungo tempo la repressione degli intellettuali ha profondamente terrorizzato il loro pensiero e che la gente è ancora in preda
alla paura e per questo devo reagire», ha dichiarato Zhang Yihe80.
Molti abbonati sono rimasti negativamente sorpresi dalla chiusura
imposta il 4 luglio 2007 al China Development Brief (CDB). Fondato nel
50
Libertà d’informazione
1995 e letto da gruppi della società civile cinese e da donatori internazionali, il CDB era una pubblicazione indipendente che trattava argomenti legati allo sviluppo e alla società civile in Cina. Il fondatore ed
editore, Nick Young, cittadino britannico, ha affermato di essere stato
accusato di condurre «indagini non autorizzate» in contrasto con la
Legge sulle statistiche del 198381.
Nello stesso mese, sembra che le autorità abbiano preso di mira la distribuzione di un’altra pubblicazione a carattere sociale, Minjian, un trimestrale in lingua cinese pubblicato dall’università Zhongshan nella città
di Guangzhou, nella provincia del Guangdong82.
Il 17 luglio 2007, il quotidiano ufficiale China Daily ha pubblicato un
servizio richiamando l’attenzione sull’aumento del numero delle organizzazioni straniere e delle singole persone che conducono «inchieste illegali» e che «minacciano di rivelare segreti di Stato, mettendo in pericolo la sicurezza nazionale»83. L’articolo faceva particolare riferimento al
potenziale uso di informazioni geografiche relative alla Cina, che potrebbe essere fatto da altri Paesi in tempo di guerra, ma non citava le misure prese contro CDB, Minjian o altre pubblicazioni simili.
Censura su Internet
Dall’arrivo di Internet in Cina nel 1994 e soprattutto dalla sua commercializzazione nel 1995, il governo ha tentato di controllarne il contenuto e di censurare le informazioni ritenute dannose o “delicate”. Con
oltre 111 milioni di utenti, la Cina attua il più esteso, tecnologicamente
sofisticato e invasivo sistema di filtraggio di Internet del mondo. Per gli
utenti cinesi, le conseguenze di questo distorto ambiente d’informazione
on line sono profonde e inquietanti; nonostante la rapida espansione
economica della Cina, il clima politico continua a incoraggiare la repressione del dissenso e la limitazione delle libertà fondamentali. Amnesty
International è seriamente preoccupata per le misure adottate dalle autorità cinesi per limitare la diffusione di informazioni e per reprimere quegli individui o gruppi che decidono di esercitare in modo pacifico il proprio legittimo diritto di esprimere dissenso.
51
Pechino 2008
La sofisticata tecnologia che consente al governo di bloccare e filtrare
il contenuto di Internet è progettata principalmente da aziende straniere.
Tra le parole e le frasi prese di mira troviamo “diritti umani”, “democrazia”, “libertà”. Questo invasivo sistema di filtraggio delle informazioni
“indesiderate” è così efficace anche perché non è trasparente: i cittadini
cinesi non possono in alcun modo chiedere che un sito sia sbloccato e non
è chiaro quali siano le parole o le frasi vietate né come avvenga la decisione di proibire ricerche su certi argomenti. Nel settembre 2005, il governo ha emanato le “Norme sulla gestione dei servizi di informazione e attualità su Internet”, in base alle quali tutte le persone e le organizzazioni che
pubblicano notizie devono ricevere un’approvazione ufficiale. L’unica indicazione fornita dal governo sulle motivazioni che sottendono tale decisione, è che è nell’interesse della «causa socialista», della «promozione degli
interessi dello Stato» e della «corretta guida dell’opinione pubblica».
Attualmente in Cina c’è il più alto numero conosciuto al mondo di giornalisti e di cyberdissidenti incarcerati: alla fine del 2006, Amnesty
International aveva adottato come prigionieri di coscienza almeno 54
utenti cinesi di Internet, in carcere per aver firmato petizioni, invocato
la fine della corruzione, diffuso informazioni sulla SARS o progettato di
costituire gruppi pro-democrazia.
Alla fine del maggio 2007 è stata presentata una bozza del “Codice di
condotta del servizio volontario di blogging”, in cui si dice che le autorità centrali dovrebbero “incoraggiare” (piuttosto che “imporre”) la registrazione del nome vero da parte dei blogger84. Ciò è apparso come una
ritrattazione rispetto ai precedenti propositi delle autorità di rendere
obbligatoria tale registrazione, in linea con le indicazioni del presidente
Hu Jintao del 24 gennaio, che prospettavano una maggiore regolamentazione di Internet e invitavano a «purificare l’ambiente on line», accertando che i contenuti fossero «sani» e «ispirati a principi etici»85. Alcuni
blogger cinesi hanno giudicato positivamente la bozza, ritenendola una
vittoria per la libertà su Internet, mentre altri hanno suggerito che tale
mossa sia stata spinta più che altro dalla difficoltà pratica di imporre la
registrazione del nome vero86. La censura di siti web, blog e articoli pubblicati on line permane comunque molto forte.
52
Libertà d’informazione
Nel marzo 2007, l’Amministrazione statale cinese della radio, del
cinema e della televisione (ASCRCT) ha ordinato la chiusura di
www.ccztv.com, un sito web di informazione. Nello stesso mese, il direttore dell’Amministrazione generale di stampa e pubblicazione (AGSP),
Long Xinmin, ha annunciato che sarebbero state presto adottate nuove
regole per disciplinare le pubblicazioni on line e ha dichiarato:
«Dobbiamo riconoscere che in un’era in cui Internet si sta sviluppando
a velocità pericolosa, la sorveglianza da parte del governo e le misure
di controllo si trovano a fronteggiare nuove prove»87. Un primo obiettivo è stato l’avvocato di Pechino Pu Zhiqiang, il quale ha scoperto che
tre dei suoi blog erano stati rimossi dal popolare portale cinese
www.sohu.com. L’unica spiegazione che ha ricevuto è stata un messaggio dell’amministratore, che «aveva ricevuto ordini dall’alto»88. Nei suoi
blog venivano discussi argomenti legali e relativi alla libertà di parola
e di espressione.
Il 6 marzo è stato annunciato il divieto di aprire ulteriori Internet cafè
durante l’anno89. Un mese dopo l’agenzia di stampa Xinhua ha riferito che
le autorità avrebbero soppresso qualsiasi tentativo di vendere nuove
licenze di Internet cafè. Tuo Zuhai, un funzionario dal ministero della
Cultura, ha spiegato che i quasi 120.000 Internet cafè in Cina avevano
già soddisfatto la domanda del mercato e che un ulteriore aumento
avrebbe condotto a una «competizione negativa»90.
Fra i siti Internet chiusi di recente c’è un forum letterario tenuto dal
poeta Lu Yang, chiamato “Forum per la poesia cinese contemporanea”.
Questo sarebbe stato rimosso dal server che lo ospitava, l’11 luglio 2007,
in linea con le istruzioni ricevute dall’ufficio per l’Informazione di
Shanghai. Un impiegato del server, alla domanda di un giornalista di
Radio Free Asia su quali informazioni dovessero essere censurate, ha
dichiarato: «Tutti gli articoli che trattano di politica, del movimento
Falun Gong e tutte le critiche al Partito più lunghe di due pagine devono essere cancellati. In genere, succede così. Se le notizie messe sul sito
sono anche più pericolose, allora chiudiamo il forum»91.
53
Pechino 2008
Il caso di Shi Tao
Shi Tao, giornalista, sta scontando una condanna a 10 anni di carcere
per aver spedito, il 20 aprile 2004, un’e-mail che riassumeva il contenuto di un comunicato del Dipartimento centrale per la propaganda, trasmesso oralmente alla redazione del giornale per il quale lavorava. Aveva
spedito l’e-mail, usando il suo account Yahoo!, all’editore di un sito web
cinese a favore della democrazia con sede negli Stati Uniti.
Basandosi su questa e-mail, le autorità cinesi lo hanno accusato di
«divulgazione illegale di segreti di Stato a soggetti stranieri». È stato fermato il 24 novembre, arrestato ufficialmente il 14 dicembre 2004 e il 27
aprile 2005 è stato condannato a 10 anni di reclusione. La definizione giuridica di «segreto di Stato», dalla formulazione poco chiara, concede alle
autorità cinesi un ampio potere discrezionale di trarre in arresto chiunque
eserciti in modo pacifico il proprio diritto di libera espressione.
Stando alla trascrizione del Tribunale popolare intermedio di Changsha
(provincia dello Hunan), la Yahoo! Hong Kong Ltd, società di servizi
Internet con sede legale negli Stati Uniti, ha fornito informazioni sul
titolare dell’account che sono state usate nel processo come prova a carico, rivelandosi determinanti per la condanna di Shi Tao a 10 anni di carcere.
Un rappresentante della famiglia di Shi Tao ha sporto querela per violazione della privacy contro Yahoo! Hong Kong Ltd. Nel marzo 2007 l’ufficio sulla privacy di Hong Kong ha sollevato Yahoo! Hong Kong Ltd da
qualsiasi responsabilità nell’avere fornito alle autorità cinesi informazioni sull’account utilizzato da Shi Tao, in quanto non vi era la prova sufficiente «per ritenere la società responsabile secondo le leggi sulla privacy
di Hong Kong»92. Gli elementi chiave della decisione sono dipesi dal rapporto tra Yahoo! Hong Kong Ltd e Yahoo! Cina e dal fatto che non è chiaro se l’indirizzo IP di un individuo costituisca un dato personale93. I
sostenitori di Shi Tao, tra cui Albert Ho, presidente del Partito democratico di Hong Kong, hanno espresso rammarico per la sentenza. Amnesty
International resta profondamente preoccupata del ruolo svolto da
Yahoo! nel fornire le informazioni alle autorità, che hanno permesso la
54
Libertà d’informazione
condanna di Shi Tao e, più in generale, del coinvolgimento di provider
internazionali nell’esercizio della censura in Cina.
Il 4 giugno 2007, la madre di Shi Tao, Gao Qinsheng, ha accettato in
nome di suo figlio la Penna d’oro per la libertà 2007, il premio annuale
per la libertà di stampa conferito dall’Associazione mondiale dei giornali (WAN)94. In un discorso molto commovente, Gao Qinsheng ha
espresso il suo sincero ringraziamento alla WAN per non aver dimenticato Shi Tao: «In Cina Shi Tao è considerato un criminale, ma oggi la
WAN, formata da oltre 100 giornali, lo premia con la Penna d’oro per la
libertà. Non è solo un onore ma anche un gran conforto per lui.
Dimostra che mio figlio è realmente innocente. Ha soltanto fatto ciò che
un giornalista coraggioso dovrebbe fare. È per questo che ha il supporto e la solidarietà dei suoi colleghi che sostengono la giustizia in tutto
il mondo…»95.
Attualmente detenuto nel carcere di Chishan, Shi Tao sarebbe sottoposto a lavori forzati, consistenti nella fabbricazione di collane e catenelle. È tenuto sotto stretto controllo e i familiari possono visitarlo
solo richiedendo un’autorizzazione speciale al direttore della prigione.
Non gli è permesso di ricevere materiale stampato, inclusi libri e quotidiani.
La sua famiglia ha subito violente rappresaglie da parte delle autorità:
sua moglie è stata quotidianamente sottoposta a interrogatori e ha subito costanti pressioni nel proprio ambiente di lavoro perché divorziasse,
cosa che infine ha fatto; lo zio e il fratello sono stati sottoposti a sorveglianza e perseguitati sia a casa che al lavoro, e anche sua madre
sarebbe tuttora sottoposta a rigidi controlli.
Amnesty International considera Shi Tao un prigioniero di coscienza,
incarcerato per aver pacificamente esercitato il proprio diritto alla libertà d’espressione, sancito tanto dal diritto internazionale quanto dalla
stessa Costituzione cinese.
55
Pechino 2008
Complici nella censura: i casi Yahoo!,
Microsoft e Google
Sin dal 200296, Amnesty International ha denunciato come la repressione della libertà di espressione on line in Cina avvenga anche grazie
alla complicità di alcune tra le principali aziende occidentali operanti nel
settore97.
In particolare, il “Grande Firewall Cinese” è stato realizzato anche
grazie al software per il filtraggio dei contenuti fornito da Nortel
Networks98, mentre Cisco Systems ha concesso alle autorità locali l’uso
di Policenet, un sistema che consente l’accesso immediato a tutti i registri contenenti informazioni sui cittadini cinesi99. In occasione dell’assemblea degli azionisti di Yahoo!, l’11 giugno 2007, sono state presentate due mozioni che impegnavano l’azienda a sviluppare una precisa
strategia sul rispetto dei diritti umani. Le mozioni, la cui proposta è
stata accolta con favore da Amnesty International100, non sono state
approvate.
Yahoo!
Nel 2002 l’azienda ha appoggiato apertamente la politica del governo
cinese in materia di censura sottoscrivendo la “Pubblica dichiarazione di
impegno all’autodisciplina per l’industria dei servizi Internet in Cina”101.
In linea con l’impegno sottoscritto, nel 2003 e nel 2005 ha fornito alle
autorità locali le informazioni necessarie all’arresto di due giornalisti e
cyberdissidenti cinesi, Li Zhi e Shi Tao.
Microsoft
Questa compagnia, nel 2005, ha lanciato sul mercato cinese una versione autocensurata del servizio di blogging MSN Spaces e del motore
di ricerca MSN Search. Agli utenti è impossibile creare blog o effettuare ricerche contenenti parole chiave come “fatti di Tian An Men”, “diritti umani”, “indipendenza del Tibet”. Il 30 dicembre 2005, inoltre,
Microsoft ha acconsentito alla richiesta delle autorità locali di chiudere il blog del giornalista cinese Zaho Jing, critico nei confronti del
governo.
56
Libertà d’informazione
Google
Anche Google ha realizzato per il mercato cinese una versione autocensurata del famoso motore di ricerca: inserendo su Google.cn parole
chiave come “diritti umani” e “democrazia in Tibet”, la ricerca non fornisce alcun risultato.
L’azione di Amnesty International
In base agli standard internazionali, le aziende che in qualsiasi modo
forniscono un contributo, diretto o indiretto, all’attività repressiva del
governo cinese sono complici di violazioni dei diritti umani102.
Nel corso del 2006 Amnesty International è intervenuta sia alle assemblee degli azionisti di Microsoft, Yahoo! e Google, sia al Forum delle
Nazioni Unite su Internet, per chiedere l’adozione da parte delle compagnie del settore di una politica esplicita sui diritti umani.
Nel gennaio del 2007, l’organizzazione ha inoltre aderito al Forum di
stakeholder103 per l’elaborazione di principi guida in materia di diritti
umani diretti alle aziende operanti nel ramo di Internet e delle telecomunicazioni. All’iniziativa hanno aderito anche Yahoo!, Microsoft e
Google.
Nel 2007, il deputato statunitense Chris Smith ha presentato al
Congresso una proposta di legge denominata Global Online Freedom Act,
mirante a impedire violazioni dei diritti umani da parte delle compagnie
Internet statunitensi operanti all’estero104.
Amnesty International accoglie con favore questi primi tentativi di
individuazione di regole che rendano responsabili le imprese in materia
di diritti umani, ma è consapevole che resta ancora molto da fare; per
questo continua a rivolgersi alle imprese affinché adottino misure concrete per non rendersi complici di violazioni dei diritti umani105.
57
Capitolo 4
Difensori dei diritti umani
Se ultimamente le autorità cinesi hanno dimostrato maggiore tolleranza nei
confronti di alcune forme di attivismo a favore di diritti che non sono considerate fattori che mettano a repentaglio lo status quo, gli attivisti che si
occupano di argomenti “sensibili” subiscono crescenti livelli di repressione.
A metà aprile 2007, due dissidenti, Chen Ziming e Ren Wanding, hanno
ottenuto per la prima volta il permesso di lasciare il Paese per visitare Hong
Kong. Secondo Chen Ziming, in prigione per 13 anni dal 1991 per il suo
coinvolgimento nel movimento per la democrazia del 1989, si è trattato di
un segnale di maggior tolleranza verso gli attivisti, in vista delle Olimpiadi
dell’agosto 2008106.
Due mesi prima, a febbraio, le autorità centrali avevano permesso alla
dottoressa Gao Yaojie, un’importante attivista per i diritti delle persone
affette da HIV/AIDS, di lasciare la sua casa nella provincia dello Henan,
dove era agli arresti domiciliari, per recarsi negli USA e ricevere il Vital
Voices Global Women’s Leadership Award.
Amnesty International ha apprezzato l’apparente allentamento dei controlli e ha chiesto alle autorità di espandere questa politica per garantire
a tutti i difensori dei diritti umani che operano in modo pacifico in Cina
di svolgere le loro attività senza incorrere in detenzioni arbitrarie e restrizioni alla libertà di movimento.
Repressione ai danni di attivisti
per il diritto alla casa
Dal 2003, le autorità cinesi hanno costretto migliaia di persone ad abbandonare le proprie case e attività a causa del progetto di costruzione di
nuove strutture per le Olimpiadi.
59
Pechino 2008
Il 28 marzo 2007, le autorità hanno organizzato una visita guidata per
i giornalisti al Parco di canottaggio olimpico dello Shunyi, circa 40 km a
nord-est di Pechino, che era stato oggetto di una disputa dal 2005.
Durante la visita, i residenti del vicino villaggio di Maxinzhuang, contea
di Beixiaoying, distretto dello Shunyi, hanno avvicinato i giornalisti
informandoli che non erano ancora stati risarciti per la perdita delle loro
fattorie e che due persone si trovavano ancora in prigione per aver preso
parte alle proteste di due anni prima. Il direttore generale del parco
avrebbe replicato che il contenzioso si era risolto già nel luglio 2005.
Amnesty International non ha avuto modo di verificare queste affermazioni ma ha chiesto alle autorità cinesi di chiarire esattamente quando
l’indennizzo fosse stato versato agli abitanti e di quale entità fosse e di
fornire ulteriori dettagli sui detenuti, comprese le accuse contro di loro
e lo stato di salute. L’organizzazione ha chiesto anche l’intervento del
Comitato olimpico internazionale (CIO).
La riunione del Congresso nazionale del popolo (CNP), tenutasi dal 5
al 16 marzo 2007 a Pechino, è stata contrassegnata da una serie di arresti di difensori dei diritti umani. In assenza di dati precisi, Amnesty
International ha appreso con preoccupazione che, secondo un attivista
della capitale, la repressione era stata peggiore di quella del 2006, quando la polizia aveva arrestato più di 2.000 persone. Secondo altri attivisti, durante la prima settimana di lavori del Congresso, sono state arrestate «alcune migliaia» di persone, una sorta di «ripulitura della città,
probabilmente una prova per i Giochi olimpici». Un gruppo organizzato
di difensori dei diritti umani ha scritto una lettera aperta al CNP chiedendo la modifica della definizione del crimine di “incitamento alla sovversione”, previsto dall’articolo 105 del codice penale. Questo reato,
infatti, è spesso usato come pretesto per arrestare, processare e condannare difensori dei diritti umani, giornalisti e avvocati, in violazione del
loro diritto alla libertà di espressione e associazione.
All'inizio di giugno 2007, più di 2.000 abitanti della città di Fujin nella
provincia dello Heilongji hanno scritto una lettera aperta denunciando
che le autorità locali avevano espropriato con la forza i loro terreni,
senza fornire un risarcimento adeguato. I firmatari, sotto lo slogan «Non
60
Difensori dei diritti umani
vogliamo le Olimpiadi, vogliamo i diritti umani»107, sottolineavano che a
loro interessava avere la terra e i mezzi di sussistenza e non quante
medaglie d’oro sarebbero state vinte ai Giochi olimpici.
Lo stesso collegamento tra Olimpiadi e diritti umani è stato sollevato,
nel corso del 2007, da 800 attivisti che si occupano dei diritti delle famiglie sfrattate a Shanghai, i quali hanno firmato una petizione dal titolo:
«La popolazione di Shanghai vuole i diritti umani e non le Olimpiadi»,
per esprimere le loro preoccupazioni sull’incremento della repressione nei
confronti degli attivisti con l’approssimarsi dei Giochi.
Il 1° luglio 2007, a seguito di una forte emorragia, è morto Chen
Xiaoming, figura di spicco tra i firmatari della petizione di Shanghai. La
morte è avvenuta dopo la sua scarcerazione, autorizzata da un medico.
Chen Xiaoming, che soffriva di una preesistente malattia cronica, era
stato tenuto in un centro segreto di detenzione della polizia e sottoposto a maltrattamenti per otto mesi, senza che ai suoi familiari fosse stato
permesso di vederlo. Al suo ricovero in ospedale, a giugno, i familiari lo
avevano trovato molto dimagrito; vomitava sangue ed era appena
cosciente. Amnesty International ha sollecitato le autorità cinesi a condurre un’indagine completa, immediata e imparziale sulle circostanze
della sua morte e ad assicurare alla giustizia i responsabili delle torture
e dei maltrattamenti che hanno determinato il tragico esito.
Il caso di Ye Guozhu
Ye Guozhu, un attivista per il diritto alla casa, sta scontando una condanna a quattro anni di reclusione, emessa nel dicembre 2004 per «disturbo dell’ordine pubblico». Era stato arrestato ad agosto, poco dopo aver
chiesto il permesso di organizzare, in occasione dell’assemblea annuale
del Comitato centrale del Partito comunista, prevista il mese successivo,
una manifestazione contro gli sfratti forzati messi in atto dalla polizia nel
distretto di Xuanwu a Pechino, in vista delle Olimpiadi. Continua a soffrire di problemi di salute, anche a seguito delle torture subite in prigione, mediante pestaggi e scariche elettriche: soffre di pressione alta, problemi cardiaci, trombosi, dolori alla schiena e alle caviglie. Le autorità
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Pechino 2008
della prigione hanno fornito solo i medicinali di base per tenere sotto
controllo la pressione, impedendo alla sua famiglia di portargli ulteriori
medicine.
In questi anni, Ye Guozhu è stato più volte sottoposto a periodi di
disciplina nella prigione di Qyngyuan, l’ultimo dei quali iniziato nel febbraio 2007, per una durata prevista di 10 mesi. Amnesty International è
fortemente preoccupata per la salute di Ye Guozhu, che considera un prigioniero di coscienza, e continua a chiedere il suo rilascio immediato e
incondizionato.
Il caso di Gao Zhisheng
Gao Zhisheng, avvocato e noto difensore dei diritti umani, è stato condannato il 22 dicembre 2006 a tre anni di carcere per «incitamento alla
sovversione». Era stato arrestato il 15 agosto per aver promosso, a febbraio, uno sciopero della fame a Pechino, con l’obiettivo di attirare l’attenzione su altri attivisti perseguitati. L’anno precedente, dopo che aveva
diffuso una lettera aperta chiedendo libertà religiosa e la fine delle persecuzioni ai danni del movimento Falun Gong, le autorità avevano fatto
chiudere il suo studio legale e revocato la sua licenza.
La moglie di Gao Zhisheng, Geng He, e i loro due bambini erano stati
posti sotto sorveglianza dal giorno dell’arresto. Mentre il marito si trovava in carcere, Geng He era stata ammonita a non contattare nessuno,
tanto meno gli organi d’informazione. La polizia aveva ostentatamente
accompagnato la figlia tredicenne della coppia a scuola, tenendola sotto
controllo per tutta la durata delle lezioni. Una volta la ragazza aveva
rifiutato di salire sull’auto della polizia e vi era stata trascinata dentro,
riportando ferite alle gambe e sul collo.
Fatto piuttosto raro, al termine del processo la condanna a tre anni di
carcere è stata sospesa per cinque anni (ovvero, non sarebbe scattata se
egli non avesse commesso altri reati nel periodo di sospensione) e Gao
Zhisheng è stato rimesso in libertà. Da allora lui e la sua famiglia sono
stati posti sotto stretta sorveglianza da parte della polizia.
Questo tipo di controllo, sorveglianza e detenzione arbitraria da parte
della polizia è sempre più utilizzato contro gli attivisti per i diritti umani
62
Difensori dei diritti umani
e i loro familiari, a Pechino e in altre parti della Cina, soprattutto in
occasione di eventi pubblici o di particolare importanza politica. È quindi probabile che le autorità cinesi vogliano ricorrere alla stessa strategia
prima e durante le Olimpiadi del 2008.
Amnesty International è particolarmente preoccupata per l’aumento
dei casi di arresti domiciliari o “sorveglianza della residenza” (nota in
Cina come “detenzione blanda”) nei confronti di dissidenti e difensori dei
diritti umani. Mentre il codice di procedura penale cinese contempla la
“sorveglianza della residenza” come una delle misure che possono essere
adottate dalla polizia contro potenziali criminali, in pratica essa viene
utilizzata contro i difensori dei diritti umani e spesso per un periodo di
tempo superiore al limite massimo di sei mesi previsto dalla legge.
Amnesty International considera l’uso di questo tipo di reclusione arbitraria e in violazione di numerosi standard internazionali, compreso il
diritto alla libertà e alla sicurezza, al processo equo, alla libertà di movimento e di associazione.
Il caso di Chen Guangcheng e di Yuan Weijing
Chen Guangcheng, un consulente legale non vedente, protagonista di
campagne contro la pianificazione familiare forzata, è stato condannato
nell’agosto 2006 a quattro anni e tre mesi di reclusione per «danneggiamento di proprietà pubblica e assembramento di persone per bloccare il
traffico». Prima del processo aveva trascorso un anno agli arresti domiciliari.
All’inizio del 2007, dopo che la condanna era stata confermata in due
gradi d’appello, Chen Guangcheng è stato trasferito alla prigione di Linyi,
nella provincia dello Shandong. I suoi avvocati hanno potuto visitarlo in
prigione il 20 marzo e hanno immediatamente chiesto alle autorità giudiziarie che fosse permesso al loro cliente di scontare la pena al di fuori
della prigione per via della sua cecità. Mentre scriviamo, questa richiesta
non risulta ancora essere stata accolta. Ciò nonostante, Chen Guangcheng
resta determinato a lottare contro la sua condanna e sta studiando con i
suoi avvocati come portare in giudizio le autorità locali di Linyi per le
violazioni dei diritti umani connesse alla pianificazione familiare forzata.
63
Pechino 2008
Nel marzo 2007, l’Index on Censorship ha onorato Chen Guangcheng
con il suo Whistleblower Award, insieme ad altri quattro «paladini della
libertà d’espressione» di altri Paesi. Amnesty International continua a
chiedere il suo rilascio immediato e incondizionato.
Yuan Weijing, moglie di Chen Guangchen, è agli arresti domiciliari a
Linyi, sotto sorveglianza di polizia, dal settembre 2005. La sua unica
colpa pare essere quella di aver sostenuto il marito nella sua ricerca di
giustizia e nelle sue campagne per le donne vittime delle politiche di
controllo delle nascite. Il 28 novembre 2006, il giorno dopo che un primo
processo d’appello aveva confermato la condanna del marito, è stata portata via dalla polizia per un interrogatorio durato otto ore. Alcuni testimoni l’hanno vista trascinata fuori da un’auto della polizia e gettata ai
lati di una strada di campagna. Piangente e senza parole, Yuan Weijing
ha raccontato di essere stata maltrattata e insultata dalla polizia, anche
se non ha fornito ulteriori dettagli. L’imputazione a suo carico è risultata simile a quella del marito: «interruzione intenzionale del traffico e
incitamento alla distruzione di proprietà pubblica». Dopo un primo
momento di shock, la donna ha recuperato la sua determinazione: «Mi
aspettavo quello che mi hanno fatto. Sono arrabbiata, ma non per i risultati, solo per il loro atto deliberato di infrangere la legge. Non mi tirerò
indietro dal cercare giustizia per mio marito».
Il 21 giugno 2007, Amnesty International ha diramato un’azione
urgente dopo aver appreso che Chen Guangcheng era stato preso ripetutamente a calci e picchiato dai suoi compagni di cella, su ordine dei
secondini, per aver rifiutato di farsi radere la testa. Nonostante avesse
una costola rotta, la direzione del carcere non ha autorizzato le cure
mediche.
Ai primi di luglio, Yuan Weijing, eludendo la stretta sorveglianza della
polizia, è riuscita ad arrivare a Pechino, dove ha incontrato gli avvocati di Chen Guangcheng. È anche riuscita a parlare con i giornalisti, ai
quali ha riferito dell’ottimismo del marito e ha raccontato che egli si era
rifiutato di farsi rasare il capo, perché questo in Cina è uno dei simboli
della condizione di criminale, mentre lui è consapevole della sua innocenza108.
64
Difensori dei diritti umani
Altri casi di difensori dei diritti umani
Hu Jia, attivista per i diritti delle persone affette da HIV/AIDS, è rimasto confinato nella sua abitazione a Pechino per periodi fino a 214 giorni di fila, a partire dal 17 luglio 2006. Questo provvedimento sembra
essere collegato al sostegno di Hu Jia alla campagna per i diritti umani
promossa da Gao Zhisheng. Il 18 marzo 2007, Hu Jia è stato convocato
dalla polizia mentre, con la moglie, si apprestava a partire per l’Europa.
Durante le sei ore di interrogatorio, la polizia ha notificato ai due che
erano sospettati di «mettere in pericolo la sicurezza nazionale», ha vietato loro di lasciare il Paese e ha comunicato che sarebbero stati posti
sotto sorveglianza. Secondo Hu Jia, il divieto di lasciare il Paese aveva
lo scopo di impedire alla coppia di allertare “persone autorevoli” sulle
violazioni dei diritti umani in Cina, nella fase preparatoria dei Giochi
olimpici. Lo stesso Hu Jia ha riferito la minaccia di un poliziotto:
«Chiunque rovinasse le Olimpiadi verrebbe stritolato dallo Stato»109. Due
mesi dopo, il 20 maggio, Hu Jia è stato picchiato dagli agenti che sorvegliavano la sua abitazione perché aveva provato a uscire per comprare
da mangiare. L’11 giugno sua moglie, Zeng Jinyan, è stata fermata dai
funzionari della Dogana dell’aeroporto di Pechino, che le hanno ritirato
il passaporto. In questo modo, non ha potuto prendere parte a un convegno internazionale sui diritti umani in Svizzera e incontrare gruppi
della società civile in altri Paesi europei. La coppia ritiene che queste
restrizioni siano da mettere in relazione a un film da loro realizzato, dal
titolo Prigionieri nella città proibita, che racconta la loro vita agli arresti
domiciliari. Dall’inizio di giugno, la coppia ha potuto uscire di casa in
alcune occasioni ma sempre seguita da poliziotti in borghese.
Qi Zhiyong, un attivista diversamente abile che si batte per le vittime
della strage di Tian An Men del 1989, è stato tenuto sotto sorveglianza
dalla polizia nella sua abitazione di Pechino tra il 28 febbraio e il 18
marzo 2007, mentre era in corso la riunione del CNP. Ha dichiarato che si
è trattato di una detenzione più “blanda” rispetto agli anni precedenti,
in quanto la polizia è stata educata e non gli ha usato violenza; gli è
stato permesso di portare la figlia a scuola e di presentarsi a una visita
65
Pechino 2008
medica per controllare la protesi applicata alla sua gamba. Tuttavia, le
autorità continuano a impedirgli di aprire un piccolo negozio e sua
moglie, licenziata nel 2006, non riesce a trovare un impiego. Gli è stato
inoltre impedito di rilasciare interviste e frequentare altre persone diversamente abili.
Amnesty International resta profondamente turbata per il fatto che i
difensori dei diritti umani che cercano di denunciare violazioni, esprimere critiche su temi considerati “sensibili” o convincere altre persone a
difendere i propri diritti debbano subire questa persecuzione.
La censura sulla repressione del movimento
a favore della democrazia del 1989
Il 7 giugno 2007, tre redattori del Chengdu Evening News della provincia dello Sichuan sono stati licenziati dopo aver pubblicato un articolo
sulla campagna per ottenere giustizia, portata avanti dai familiari dei
manifestanti uccisi nella repressione di Tian An Men del 1989. L’articolo,
dal titolo Rendere omaggio alle forti madri delle vittime del 4 giugno, è
apparentemente sfuggito alla censura poiché il giovane redattore che ha
accettato di pubblicarlo non era a conoscenza dei fatti del 1989 e non
era consapevole del significato di quella data. Amnesty International sta
indagando per riuscire a capire quale sia stata la sua sorte.
A distanza di 18 anni, permane una forte censura su ogni dibattito
pubblico sulla repressione del 1989 e il tema non viene affrontato nelle
riviste, nei quotidiani, nei testi scolastici e nei siti Internet. Per questo,
Amnesty International continua a chiedere alle autorità cinesi di garantire il rispetto della libertà di espressione e d’informazione, attraverso l'abolizione del divieto ufficiale di riferire sugli eventi del 4 giugno 1989,
e di rilasciare tutti coloro che sono ancora in prigione a seguito di quella repressione.
Le stesse preoccupazioni sono state espresse dalle Madri di Tian An
Men110, che nel marzo 2007 hanno scritto una lettera aperta al CNP chiedendo, tra le altre cose, di annullare il divieto di pubblicazione di tre libri
che trattano degli eventi del 4 giugno 1989.
66
Difensori dei diritti umani
Nel 2007 le autorità cinesi hanno diminuito la sorveglianza e il controllo sui familiari delle vittime della repressione, consentendo loro di
commemorare pubblicamente i loro morti. A Ding Zilin, al marito e ad
altri due componenti delle famiglie delle vittime è stato permesso di
accendere candele accanto alle foto dei loro figli, in una breve cerimonia
commemorativa svoltasi il 4 giugno in viale Chang’an, a ovest di piazza
Tian An Men, nel luogo dove si ritiene che il figlio diciassettenne di Ding
Zilin fosse stato ucciso dai soldati. Altri membri del gruppo hanno potuto svolgere cerimonie funebri nel cimitero di Wan'an a Pechino, con una
meno evidente sorveglianza da parte della polizia.
Sempre nel 2007, prima dell'anniversario, 20 esponenti delle Madri di
Tian An Men hanno potuto svolgere un seminario informale a Pechino.
Questa è stata probabilmente la prima volta in cui è stato concesso al
gruppo di organizzare un incontro. Amnesty International ha accolto con
favore l'apparente distensione della linea politica rappresentata da questi sviluppi ma ha esortato le autorità a estendere questo approccio, consentendo l’avvio di un dibattito completo e pubblico sugli eventi del 4
giugno 1989, che potrebbe costituire un passo avanti importante per
assicurare giustizia alle vittime della repressione e ai loro familiari.
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Capitolo 5
Detenzione amministrativa
I sostenitori delle riforme in Cina, gli esperti e gli organismi sui diritti
umani dell’ONU (tra cui il Relatore speciale sulla tortura e il Gruppo di
lavoro sulle detenzioni arbitrarie), oltre ad Amnesty International, esprimono da tempo preoccupazione per il massiccio uso della “rieducazione
attraverso il lavoro” e di altre forme di detenzione amministrativa, imposte senza processo.
Il potere incontrollato della polizia di imporre periodi di detenzione
senza accusa, senza processo o supervisione giudiziaria, è in flagrante
violazione degli standard internazionali relativi al giusto processo, contenuti tra l’altro nel Patto internazionale sui diritti civili e politici
(ICCPR), che la Cina ha firmato e si è impegnata a ratificare in breve
tempo. La modifica sostanziale o l’abolizione della “rieducazione attraverso il lavoro” sono nell’agenda legislativa del Congresso nazionale del
popolo (CNP) ormai da molti anni.
Il 1° marzo 2007, il quotidiano China Daily ha pubblicato la notizia che
la bozza di una nuova legge che sostituirebbe la “rieducazione attraverso il lavoro”, ovvero la legge sulla «correzione dei comportamenti illegali», sarebbe stata inclusa nel programma legislativo dell’anno in corso.
L’articolo, ricordando come il processo di riforma fosse in stallo da due
anni a causa di “disaccordi”111, spiegava che le strutture della “rieducazione attraverso il lavoro” sarebbero state rinominate “centri correttivi”,
con caratteristiche più simili agli edifici scolastici e con la rimozione di
tutte le sbarre e i cancelli, e che i tempi di detenzione sarebbero stati
ridotti «a meno di 18 mesi». Questo articolo è parso riflettere un punto
di vista legale abbastanza diffuso, noto all'opinione pubblica da più di
un anno112. Come ammesso dallo stesso China Daily, rimangono però tuttora molti punti da risolvere, in particolare la differenza di vedute tra la
69
Pechino 2008
Corte Suprema del popolo (CSP), la quale sembra volere che «tutte le
detenzioni siano applicate solo dopo la decisione di un organo giudiziario», e il ministro della Pubblica sicurezza, che propone di mantenere le
condizioni attuali, ovvero che la revisione giudiziaria avvenga solo dopo
l'applicazione della pena amministrativa.
Il 4 aprile 2007, la municipalità di Chong Qing ha approvato una disposizione che permette agli avvocati di rappresentare i detenuti sottoposti alla “rieducazione attraverso il lavoro”. Alcuni avvocati locali, pur
intravedendo in questo provvedimento una maggiore trasparenza del
sistema, hanno comunque sottolineato la necessità di ulteriori riforme
strutturali, poiché «le decisioni vengono ancora prese unicamente dalla
polizia, non c’è supervisione esterna, né vengono applicate procedure
giudiziarie regolari»113. Altri avvocati si sono mostrati ancora meno ottimisti, ritenendo che queste regole non contenessero niente di nuovo,
dato che il fattore cruciale rimane quando esattamente i detenuti possano affidarsi a un avvocato (cioè se prima o dopo la decisione formale di
applicare la “rieducazione attraverso il lavoro”) e se tale accesso al diritto alla difesa sia subordinato all’approvazione della polizia.
Amnesty International ha giudicato la posizione della CSP più conforme agli standard internazionali sull’equità dei processi114. Alla luce degli
impegni assunti dal governo di Pechino in tema di diritti umani in occasione delle imminenti Olimpiadi e dell’annunciata ratifica dell’ICCPR, l’organizzazione ha ribadito la propria richiesta di abolire, senza ulteriore
ritardo, tutte le forme di punizione amministrativa imposte senza accusa, processo o supervisione giudiziaria e di garantire che le decisioni in
materia di detenzione non siano più esclusivamente di competenza della
polizia.
Uso della “rieducazione attraverso il lavoro”
e Olimpiadi
Nel settembre 2006, Amnesty International ha denunciato l’intenzione
delle autorità municipali di Pechino di imporre la “rieducazione attraverso il lavoro” a coloro che erano stati implicati per più di due volte in vari
70
Detenzione amministrativa
tipi di reati di lieve entità e ininfluenti rispetto alla fase di preparazione dei Giochi olimpici, fra cui la pubblicità illecita, la guida di taxi abusivi, il vagabondaggio e l’accattonaggio.
Il 28 giugno 2007, gli organi d’informazione ufficiali hanno reso noto
che anche i «medici non abilitati» sarebbero stati colpiti dalla “rieducazione attraverso il lavoro” in caso di terza recidiva, nell’ambito di una più
vasta campagna per «colpire duramente», messa in atto dalla polizia di
Pechino per stroncare tali pratiche115. Amnesty International, riconoscendo il diritto e il dovere delle autorità di prevenire e punire gli atti di
criminalità, ha sottolineato che ciò va fatto in linea con gli standard
internazionali sui diritti umani, compreso il diritto a un giusto processo.
Al centro delle preoccupazioni di Amnesty International vi è anche la
minaccia di non escludere «la possibilità di obbligare con la forza tutti
i tossicodipendenti della capitale a smettere entro l’inizio delle
Olimpiadi» (Fu Zhenghua, direttore dell’ufficio di Pubblica sicurezza di
Pechino)116. Queste parole hanno fatto seguito all’annuncio, fatto il 7
febbraio 2007 dall’ufficio della Pubblica sicurezza di Pechino, che durante l’anno sarebbero aumentati gli sforzi contro l’uso della droga, sarebbe stata intensificata la repressione sui singoli consumatori e sarebbero
stati estesi i termini della “riabilitazione forzata dalla droga”, da sei mesi a un anno117.
Nel giugno 2007, i mezzi d’informazione ufficiali hanno dato ampio
spazio all’invito del ministro per la Sicurezza pubblica, Zhou Yongkang, a
maggiori sforzi contro i reati di droga, così da «ottenere maggiori risultati nella lotta contro l’eroina e frenare l’espansione di droghe nuove
come l’ecstacy e l’ice»118. Negli articoli si sottolineava che il numero dei
consumatori di droga era aumentato del 35% fra il 2000 e il 2005, raggiungendo quota 1 milione e 16 mila persone, e poi sceso a 720.400
prima dell’agosto 2006, anche grazie alle “misure obbligatorie di riabilitazione”. Queste cifre, tuttavia, sono con ogni probabilità inaffidabili,
considerando soprattutto la natura estremamente punitiva delle misure
prese contro i tossicodipendenti, che hanno ottenuto come risultato una
minore segnalazione di casi e costretto molte persone ad agire di nascosto per paura della detenzione.
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Pechino 2008
72
Il caso di Bu Dongwei
Capitolo 6
Bu Dongwei, meglio conosciuto come David Bu, collaboratore da Pechino per un’organizzazione umanitaria statunitense, la Asia Foundation
e aderente al movimento Falun Gong, è stato arrestato il 19 maggio 2006
nella sua abitazione nel distretto dello Haidian. Il 19 giugno, dopo un
processo sommario, in cui le prove esibite sono state una sua confessione orale e 80 copie di opuscoli del Falun Gong, rinvenuti nel corso della
perquisizione del suo appartamento, Dongwei è stato condannato a due
anni e mezzo di “rieducazione attraverso il lavoro” per «resistenza all’attuazione della legge nazionale e disturbo dell’ordine pubblico». La famiglia ha ricevuto informazioni sul luogo di detenzione di Dongwei solo alla
fine di agosto, ovvero tre mesi dopo l’arresto. Secondo le autorità,
Dongwei avrebbe deciso di non ricorrere in appello contro la sentenza,
circostanza smentita dalla famiglia. In compenso la direzione del centro
di detenzione di Tuanhe ha sollecitato più volte un contributo alle spese
di soggiorno del detenuto, circa 400 yuan al mese (circa 37 euro).
Dongwei aveva già scontato 10 mesi di detenzione nella struttura di
“rieducazione attraverso il lavoro” di Tuanhe da agosto 2000 a maggio
2001, per «aver utilizzato un’organizzazione eretica per distruggere l’attuazione della legge». In realtà, aveva presentato una petizione alle
autorità in cui chiedeva di riconsiderare la messa al bando del movimento Falun Gong. Durante quel periodo, Dongwei era stato sottoposto a torture e maltrattamenti, costretto a rimanere seduto per un giorno intero
in una posizione molto scomoda, picchiato e sottoposto alla privazione
del sonno, per costringerlo a rinunciare al suo credo nel Falun Gong.
Amnesty International considera Bu Dongwei un prigioniero di
coscienza, detenuto in violazione dei suoi diritti alla libertà di espressione, di associazione e di religione e chiede il suo immediato e incondizionato rilascio.
Raccomandazioni
di Amnesty International
Alla vigilia delle Olimpiadi, Amnesty International teme fortemente
che gli sviluppi negativi in materia di diritti umani descritti in questo
rapporto possano compromettere o porre in secondo piano i passi avanti, quali gli interventi della Corte Suprema del popolo (CSP) nell’applicazione della pena di morte e l’introduzione di nuove regole per il lavoro
dei giornalisti stranieri in Cina.
I continui arresti e persecuzioni nei confronti dei giornalisti locali e
dei difensori dei diritti umani, così come il ricorso alla sorveglianza della
polizia o agli “arresti domiciliari” per stroncare attività pacifiche e legittime e ancora il potere incontrollato della polizia di imporre periodi di
detenzione amministrativa, continuano a gettare una cattiva luce sulla
reputazione del governo cinese, soprattutto sul piano internazionale.
Senza un’azione rapida in controtendenza da parte della leadership di
Pechino, l’eredità delle Olimpiadi sui diritti umani sarà a rischio.
Nel corso del 2007, si sono susseguite preoccupate dichiarazioni relative alla reputazione della Cina. Il 12 giugno 2007, il vicepresidente del
Comitato organizzatore dei Giochi olimpici di Pechino (COGOP), Jiang
Xiaoyu, ha promesso «un’azione volta […] a proteggere la reputazione
dei Giochi olimpici». Pochi giorni prima, un rapporto pubblicato da
PlayFair 2008 aveva denunciato lo sfruttamento dei lavoratori cinesi,
compreso il ricorso al lavoro minorile nella produzione di gadget olimpici119. Un altro rappresentante del COGOP, Sun Weijia, si è invece soffermato sul concetto di «servizio dei media» durante e dopo i Giochi olimpici: «Noi ci auguriamo che il concetto di servizio dei media possa essere largamente accettato dopo i Giochi olimpici, in quanto è parte di ciò
che noi chiamiamo eredità olimpica […]. Non solo gli eventi sportivi, ma
73
Pechino 2008
anche altre grandi iniziative, come il Shanghai World Expo del 2010,
potranno trarne beneficio»120.
Amnesty International auspica che dal concetto di «servizio dei
media», tutto sommato ancora da chiarire fino in fondo, si possa passare
a una “completa libertà dei media” e che vengano adottate altre significative riforme sui diritti umani nel periodo che precederà le Olimpiadi.
Raccomandazioni
formazione cinesi. Le autorità dovranno abolire la censura sulle trasmissioni televisive, sulle pubblicazioni off line e on line e prendere misure
immediate per prevenire gli arresti, le detenzioni arbitrarie, le minacce,
le intimidazioni e i licenziamenti ingiusti ai danni degli operatori dell’informazione, tutelando in questo modo il loro diritto alla libertà d’espressione.
Raccomandazioni al governo cinese:
Amnesty International chiede con urgenza alle autorità di rendere più
efficaci le riforme nel campo della pena di morte, introducendo una maggiore trasparenza nelle procedure, assicurando che i parenti e gli avvocati possano avere contatti con i condannati a morte e pubblicando i dati
sulle condanne e le esecuzioni. In merito alle decisioni della CSP circa
una diminuzione delle condanne a morte, delle esecuzioni e del numero
dei reati capitali, l’organizzazione chiede che siano messi a disposizione
dati completi per verificarne l’efficacia.
In attesa dell’abolizione definitiva della pena di morte, Amnesty
International rinnova la richiesta di togliere i crimini che non prevedono
spargimento di sangue, come quelli economici o relativi al traffico di
droga, dall’elenco dei reati capitali.
Per contrastare le violazioni del diritto a un giusto processo e ricondurre la pratica della detenzione negli ambiti stabiliti dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), che la Cina ha dichiarato d’essere intenzionata a ratificare nel prossimo futuro, Amnesty International
chiede alle autorità di abolire la “rieducazione attraverso il lavoro”, la
“riabilitazione forzata dalla droga” e la “custodia ed educazione” e di
garantire che le decisioni sulla detenzione non siano più esclusivamente
di competenza della polizia. La municipalità di Pechino dovrà adottare
provvedimenti urgenti affinché la polizia locale non faccia ricorso a queste misure di detenzione senza processo, come metodo per “ripulire” la
città prima e durante le Olimpiadi.
Infine, Amnesty International chiede con urgenza che le maggiori
libertà concesse ai giornalisti stranieri siano estese anche ai mezzi d’in74
75
Note
1
Cfr., ad esempio, la portavoce del CIO, Giselle Davies, citata in China:
Amnesty International Blasts Rights Observance Ahead Of Olympics, Radio
Free Europe/Radio Liberty, 21 settembre 2006.
2
Cfr. The Olympics countdown: failing to keep human rights promises, settembre 2006 (AI Index: ASA 17/046/2006), p. 19, n. 58.
3
People’s Republic of China. The Olympics Countdown: repression of activists
overshadows death penalty and media reforms, aprile 2007 (AI Index: ASA
17/015/2007).
4
Ivi, p. 2.
5
Lettera aperta a Mr. Hein Verbruggen, Rappresentante della Commissione
di coordinamento del CIO da FIDU e da OMCT, disponibile al link:
http://www.fidh.org/article.php3?id_article=4481.
6
Ivi.
7
Una registrazione dell’incontro è disponibile all’indirizzo:
http://www.unog.ch/80256EDD006B9C2E/(httpNewsByYear_en)/B0ACE4
B6EF0F09BDC125729C00427038?OpenDocument.
8
China pulls back on death penalty, UPI, 16 marzo 2007, disponibile all’indirizzo: http://www.playfuls.com/news_10_19344-China-Pulls-Back-OnDeath-Penalty.html.
9
Chief justice vows ‘extreme caution’ in death penalty cases, Beijing
Review, 15 marzo 2007, disponibile all’indirizzo:
http://www.bjreview.com.cn/headline/txt/2007-03/15/content_59293.htm.
77
Pechino 2008
10
11
12
Cfr. The Olympics countdown - failing to keep human rights promises, settembre 2006 (AI Index: ASA 17/046/2006), p. 6.
13
Questo aspetto è stato sottolineato dal professor Chen Guangzhong, un
esperto cinese di procedure penali, durante un intervento alla conferenza internazionale: Crime, Law and Justice in Chinese Societies: Global
Challenges and Local Responses, Chinese University of Hong Kong, 16-18
marzo 2007.
14
15
16
78
Per ulteriori informazioni sulla struttura del comitato di revisione e su
alcuni aspetti del processo, cfr.: Death penalty reform should bring drop
in Chinese executions, Dialogue, Issue 26, Winter 2007, Dui Hua
Foundation, disponibile all’indirizzo: http://www.duihua.org/our_work/
publications/newsletter/nl_index/NL_2007.htm; e Report from China:
Supreme People’s Court, Jiahong Yang disponibile all’indirizzo: http:
//www.thecourt.ca/2007/03/27/report-from-china-supreme-peoplescourt/.
Professor Chen Weidong, citato in Five big queries remain on restoration of CSP review of death sentences, 19 dicembre 2006,
http://news.sina.com.cn/c/2006-12-19/102111830638.shtml.
Regolamenti relativi ad alcuni temi concernenti l’approvazione della
CSP nei casi di pena di morte, effettivi dal 28 febbraio 2007. Disponibili in cinese all’indirizzo: http://rmfyb.chinacourt.org/public/
detail.php?id=106249. I regolamenti chiariscono che, nella maggior parte
dei casi, la CSP dovrebbe rinviare il caso all’Alta Corte del popolo, se fossero riscontrati errori nel processo. Può cambiare la condanna a morte
originale solo in alcuni casi che coinvolgono imputati condannati contemporaneamente per più reati che prevedono la pena capitale.
China’s Supreme People’s Court to order provinces to retry death sentences, Xinhua, 28 febbraio 2007, disponibile all’indirizzo:
http://en.chinacourt.org/public/detail.php?id=4134.
Supreme People’s Court, Supreme People’s Procuratorate, Ministry of Public
Security and Ministry of Justice demand that death penalty cases are dealt
with more strictly and according to the law, disponibile all’indirizzo:
http://www.chinacourt.org/public/detail.php?id=237697. Cfr. anche:
Procedures detailed for death penalties, China Daily, 12 marzo 2007;
Note
e Chinese law enforcement agencies urge caution in handling death
penalty cases, Xinhua, 11 marzo 2007.
17
Cfr.: http://www.cecc.gov/pages/selectLaws/criminalJustice/
supremeCourtInterpretation.php?PHPSESSID=2a75dd133576922
03938d2d07509d2a1; e People’s Republic of China. Executed “according
to law?” – The death penalty in China, marzo 2004 (ASA 17/003/2004),
p. 44.
18
Cfr., ad esempio, il commento dell’ex capo del dipartimento di ricerca
della CSP, professor Zhou Daoluan, in China takes serious control over
death penalty judgments, Beijing Review, 6 febbraio 2007.
19
Review of death penalty cautious and strict: Supreme Court, Xinhua, 13
marzo 2007.
20
Per ulteriori informazioni, cfr.: Executions of three protestants despite evidence of torture raises fear of a rush to carry out death sentences, Chinese
Rights Defenders (CRD), 4 dicembre 2006.
21
Supreme People’s Court approves four death sentences, Xinhua, 19 marzo
2007. Le persone messe a morte erano: Yu Maoge, Zhao Guiyong, Liu
Shilin e Li Shumu.
22
Le persone messe a morte erano: Liu Jianzhong, Yang Zhonghua, Xu
Yinggang, Li Dongsheng, Mei Zhanxiu, Ma Xuegang, Li Jinhua, Lin
Wenqing, Ma Shunqing, Fan Shexin, Ismail Semed, Cao Zhongzhi, e Chen
Ji.
23
Cfr., per esempio, i commenti dei professori Zhao Bingzhi e Chen Weidong
in Five big queries remain on restoration of CSP review of death sentences,
cit.
24
Citazione originale in cinese in Five big queries remain on restoration of
CSP review of death sentences, cit.
25
Fewer executions after legal reform, China Daily, 8 giugno 2007.
26
No word on death sentence numbers, South China Morning Post (SCMP) 14
marzo 2007.
27
Least number of death sentences meted out in 2007, Xinhua, 15 marzo
2007.
79
Pechino 2008
28
Ivi.
29
Questi dati sono inferiori a quelli di Amnesty International per l’anno precedente, ma potrebbero rappresentare un minor numero di notizie rese
pubbliche e non necessariamente un calo delle esecuzioni e delle condanne.
30
31
La stima di 8.000 esecuzioni del professore Liu Renwen è citata nel precedente documento di Amnesty sulle Olimpiadi: The Olympics countdown:
failing to keep human rights promises, settembre 2006 (AI Index: ASA
17/046/2006), p. 4.
32
Cfr.: Amnesty International, Death sentences and executions in 2006, aprile 2007 (ACT 50/004/2007), Facts and figures on the death penalty, aprile 2007 (ACT 50/002/2007) e List of abolitionist and retentionist countries
(1 January 2007), aprile 2007 (ACT 50/001/2007).
33
34
80
Statistiche fornite da John Kamm, direttore esecutivo della Duihua
Foundation, al Terzo Congresso della Coalizione mondiale contro la pena
di morte, Parigi, Francia, 1-3 febbraio 2007.
Cfr.: First death penalty prisoner executed in Beijing following restoration
of CSP review, China Youth Daily, 28 giugno 2007; e This year’s first death
penalty prisoner executed this morning, Legal Evening News, 27 giugno
2007.
Cfr.: Capital cases made more transparent, China Daily, 15 giugno 2007. Il
diritto a un processo pubblico è descritto negli articoli 10 e 11 della
Dichiarazione universale dei diritti umani e nell’articolo 14.1 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici. L’articolo 9.3 (b) della Dichiarazione dei difensori dei diritti umani spiega il diritto a partecipare a
udienze pubbliche «in modo da farsi un’opinione sulla loro aderenza alle
leggi nazionali e agli obblighi internazionali».
Note
38
A mother’s fight for truth delves into murky world of prisoners’ organs for
transplant, Associated Press (AP), 20 aprile 2007.
39
Per i dettagli sulla lettera aperta [in cinese], cfr.:
http://www.cnhubei.com/200612/ca1226726.htm.
40
Ufficialmente, “Giornata internazionale contro l’abuso di droga e il traffico illecito”.
41
Cfr.: Asia-Pacific: Death sentences for drug-related crimes rise in region, 26
giugno 2007, disponibile all’indirizzo: http://asiapacific.amnesty.org/
apro/aproweb.nsf/pages/adpan_a-p_anti-drug_ASA010032007. La Rete
asiatica contro la pena di morte è una rete indipendente e informale con
oltre 34 membri, compresi attivisti singoli e organizzazioni provenienti
dalla regione dell’Asia-Pacifico. Lavora per l’abolizione della pena di
morte nella regione, non è legata a nessun partito politico o movimento
religioso ed è indipendente da tutti i governi.
42
China approves death penalty for seven drug traffickers, Xinhua, 25 giugno
2007.
43
Ivi.
44
Masseuse seduced by profit into transporting drugs to China in her highheeled shoes gets the death penalty, Yanzhao Dushibao, 22 giugno
2007, disponibile all’indirizzo: http://www.yzdsb.com.cn/20070622/
ca761309.htm.
45
Le formiche sono usate nella preparazione di alcune medicine tradizionali cinesi.
46
Chinese scholars on why ex-drug chief was sentenced to death without
reprieve, Xinhua, 12 luglio 2007.
47
Supreme People’s Court tackles “judicial injustice”, China Daily, 5 luglio
2007.
35
China’s courts recruit more staff for death penalty reviews, Xinhua, 23 giugno 2007.
36
Ivi.
48
Ivi.
37
La madre di Nie Shubin, Nie Shuie, intervistata da Sky News, ottobre 2006.
Il video dell’intervista è disponibile all’indirizzo: http://news.sky.com/
skynews/video/videoplayer/0,,31200-p21983_waghorn,00.html.
49
Cfr.: Report by the Special Rapporteur, Mr. Bacre Waly Ndiaye, submitted
pursuant to Commission on Human Rights resolution 1996/74, al paragrafo 91, 24 dicembre 1996 (UN Index. E/CN.4/1997/60).
81
Pechino 2008
50
Civil and political rights including the questions of disappearances and
summary executions – Report of the Special Rapporteur on extrajudicial,
summary or arbitrary executions, Philip Alston, Advance Edited Version, 29
gennaio 2007 (UN Index: A/HRC/4/20), n. 57. Le altre nazioni citate
sono Iran, Malaysia, Singapore, Thailandia e USA.
63
China sticks, in part, to vow on media freedom, Reuters, 1° gennaio 2007.
64
China’s AIDS scandal, The Economist, 18 gennaio 2007.
65
Per ulteriori dettagli, cfr.: Disturbing lapses in application of new rules for
foreign media, Reporters Sans Frontieres (RSF), 22 marzo 2007.
Cfr.: Procuratorate official suggests abolishing the death penalty for economic crimes and increasing prison sentences to 30 years, Zhongguo
Xinwen Wang, 22 marzo 2007.
66
Ivi.
67
Free media for Games=media free of bad news, one city says, South China
Morning Post (SCMP), 20 marzo 2007.
52
China said to have “strict restrictions” on use of executed criminals’ organs,
Xinhua, 13 marzo 2007.
68
Ivi.
69
53
Cfr. The Olympics countdown: failing to keep human rights promises, settembre 2006 (AI Index: ASA 17/046/2006), p. 3.
54
Vedi le dichiarazioni di pazienti trapiantati dell’ospedale Zhongshan di
Shanghai: La otra cara de China: el auge del negocio de la muerte, El
Economista, 2 ottobre 2006.
Articolo 11 sulle «misure di gestione e controllo della diffusione di notizie e informazioni in Cina da parte delle agenzie di stampa straniere». Il
testo completo è disponibile in inglese su People’s Daily, 10 settembre
2006.
70
Party introduces new censorship rule, SCMP, 16 gennaio 2007.
71
Chinese media regulator sets out “forbidden areas”, SCMP, 24 febbraio 2007.
Organ sales “thriving” in China, BBC, 27 settembre 2006, disponibile
all’indirizzo: http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/5386720.stm.
72
China tightens media grip with penalty points system, SCMP, 9 febbraio
2007.
56
Ivi.
73
57
Regulations for Human Organ Transplant, come riportato da Xinhua, 6
aprile 2007.
China outcry grows over beating death of reporter, Reuters, 17 gennaio
2007.
74
Ivi.
51
55
58
Draft law on organ transplants passed, South China Morning Post (SCMP),
23 marzo 2007.
75
Hu orders inquiry into fatal beating of reporter at mine, SCMP, 25 gennaio
2007.
59
Ivi.
76
60
Beijing Olympics committee in first stage of media accreditation, Xinhua,
4 luglio 2007.
61
Ulteriori dettagli sul processo di accreditamento sono disponibili sul
sito del COGOP: http://en.beijing2008.cn/media/mediaservices/accreditation.
Unprecedented purge at newspaper that “covered what the others did not
dare report”, RSF, 13 luglio 2007; cfr. anche il rapporto originale nel sito
in lingua cinese Boxun, disponibile su: http://www.peacehall.com/news/
gb/china/2007/07/200707081709.shtml; e l’articolo di Radio Free Asia
(RFA) disponibile su: http://www.peacehall.com/news/gb/china/2007/
07/200707100118.shtml.
77
Due giornalisti risultano essere morti nel 2006 in Cina a seguito di percosse, entrambi erano nelle mani della polizia: Wu Xianghu e Xiao
Guopeng. Per ulteriori informazioni, vedi: China – Annual Report 2007,
Reporters without Borders e International Press Institute (IPI) condemns
killing of Chinese journalist, IPI, 17 gennaio 2007.
62
82
Note
Regulations on reporting activities in China by foreign journalists during
the Beijing Olympic Games and the preparatory period, Xinhua, 1 dicembre
2006, articolo 6. Le stesse norme sono state introdotte per i giornalisti
provenienti da Hong Kong e Macao.
83
Pechino 2008
78
79
84
Il tribunale ha rifiutato di accettare il caso Dai Huang e l’azione legale
di Zhang Yihe è ancora in preparazione. Per ulteriori informazioni, vedi:
China’s press Czar vs. authors of censored books, Chinese Right Defenders,
22 marzo 2007.
Author confronts the censors again, SCMP, 25 gennaio2007. La figlia dell’ex “elemento di destra” Zhang Bojun, ha passato 10 anni in carcere
durante la Rivoluzione culturale e i suoi due precedenti lavori sono stati
messi al bando.
80
Ivi.
81
Personal Press Statement by Nick Young, Founding Editor of China
Development Brief, 11 luglio 2007.
82
China: government has another civil society publication in its sights, RSF,
17 luglio 2007.
83
Number of foreign illegal surveys on the rise, China Daily, 17 luglio 2007.
Occorre sottolineare che la legislazione esistente sui segreti di Stato
include argomenti che in altri Paesi sarebbero oggetto di dibattito pubblico e vanno molto oltre a ciò che occorre per proteggere la sicurezza nazionale. Vedi State Secrets: China’s Legal Labyrinth, Human Rights
in China, 11 giugno 2007, disponibile su: http://hrichina.org/public/
contents/article?revision%5fid=41506&item%5fid=41421.
84
China’s bloggers set for rare censorship reprieve, Agence France-Presse
(AFP), 23 maggio 2007.
85
Chinese president order tighter controls over Internet, Xinhua, 24 gennaio
2007; China’s Hu vows to “purify” Internet, Reuters, 24 gennaio 2007.
86
Bloggers rejoice over retreat on real names, SCMP, 24 maggio 2007.
87
China looks to rein in bloggers, Reuters, 12 marzo 2007.
88
Internet police keep tight grip on blogs, SCMP, 8 marzo 2007.
89
China bans new Internet cafes, AFP, 6 marzo 2007.
90
Chinese pledges to eradicate sales of new Internet bar licences, Xinhua, 20
marzo 2007.
91
China: government has another civil society publication in its sights, RSF,
16 luglio 2007.
Note
92
Yahoo is cleared in case of Chinese journalist, Wall Street Journal, 15 marzo
2007.
93
Ivi; cfr. anche Hong Kong: Yahoo cleared of breaching privacy , The
Standard, 15 marzo 2007; e Yahoo! cleared in Hong Kong case over jailed
Chinese journalist, AFP, 14 marzo 2007.
94
L’Associazione mondiale dei giornali (World Association of Newspapers,
WAN) è una ONG fondata nel 1948 a Parigi.
95
Il discorso di accettazione del premio è disponibile su:
http://www.youtube.com/watch?v=JIbnSSvGYns.
96
People Republic of China, State Control of The Internet in China,
Amnesty International, disponibile su: www.amnestyusa.org/
document.php?lang=e&id=50A38A55EB758C0C80256C72004773CD.
97
Il secondo principio del Global Compact, lanciato dalle Nazioni Unite e firmato da oltre 2.500 aziende, prevede che le aziende non si rendano complici di violazioni dei diritti umani. Secondo una delle definizioni più
accreditate, un’azienda è complice di violazioni dei diritti umani se
«autorizza, tollera o consapevolmente finge di ignorare le violazioni commesse da un soggetto ad essa associato, o se consapevolmente fornisce
aiuto o incoraggiamento tale da sortire gravi conseguenze in termini di
perpetrazione delle violazioni dei diritti umani» (Embedding Human
Rights in Business Practice, pubblicazione congiunta di Nazioni Unite,
Progetto Global Compact e Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
diritti umani, 2004, p. 19).
98
People Republic of China, State Control of The Internet in China, Amnesty
International, cit.
99
La Rete che cattura – Il ruolo di Yahoo!, Microsoft e Google nelle violazioni dei diritti umani in Cina, Amnesty International, EGA Editore, Torino
2006, p. 26.
100
Cfr.: http://www.amnesty.org.uk/news_details.asp?NewsID=17373.
101
Nel testo della Dichiarazione si legge che le aziende firmatarie dovranno
«astenersi dal produrre, spedire o diffondere informazioni dannose che
possono compromettere la sicurezza dello Stato e sconvolgere la stabilità sociale, contravvenire a leggi e disposizioni o diffondere superstizioni
ed oscenità».
85
Pechino 2008
102
Sempre secondo la definizione di “complicità” fornita dalle Nazioni Unite,
questa si configura qualora un’azienda, tra l’altro «presti attiva collaborazione, diretta o indiretta, a violazioni dei diritti umani perpetrate da
altri soggetti».
103
Secondo il Commento al testo delle Norme ONU per le imprese, elaborate
dalla Sottocommissione delle Nazioni Unite sulla promozione e protezione dei diritti umani, il termine stakeholder (parte interessata) comprende «azionisti, altri proprietari, lavoratori e loro rappresentanti, come pure
qualsiasi altro individuo o gruppo che sia toccato dalle attività delle multinazionali o di altre imprese».
L’associazione prepara regolarmente appelli e petizioni in cui chiede alle
autorità di concedere alle famiglie delle vittime il diritto a svolgere manifestazioni e commemorazioni pubbliche, di autorizzarle ad accettare aiuti
umanitari, di porre fine alla persecuzione delle vittime e delle loro famiglie, di rilasciare tutte le persone arrestate dal 1989 e di portare avanti
un’inchiesta pubblica sugli eventi del 4 giugno 1989.
111
New law to abolish laojiao system, China Daily, 1 marzo 2007.
112
Cfr. People’s Republic of China: Abolishing “Re-education through Labour”
and other forms of punitive administrative detention – An opportunity to
bring the law into line with the International Covenant on Civil and
Political Rights, maggio 2006 (AI Index: ASA 17/016/2006).
104
Cfr.: http://www.amnestyusa.org/business/EndorsementLetter.pdf.
105
Per le raccomandazioni di Amnesty alle aziende del settore, La Rete che
cattura, cit., p. 27.
113
Ivi.
114
Per dettagli su questi standard, cfr. ASA 17/016/2006, cit.
106
Beijing to relax grip beyond Olympics – China dissident, Reuters, 17 aprile
2007.
115
107
China Human Rights Briefing, Chinese Human Rights Defenders, giugno
2007.
108
Activist’s wife tells of terror during escape to Beijing, South China Morning
Post (SCMP), 6 luglio 2007.
Special action by Beijing public security and health officials to strike hard
against “ticket touts” and “medical agents” bears fruit, Beijing City
Public Security Bureau website, 29 giugno 2007, disponibile su:
http://www.mps.gov.cn/cenweb/brjlCenweb/jsp/common/article.jsp?inf
oid=ABC00000000000039350.
116
Beijing may force drug abusers into year-long rehab, Xinhua, 7 febbraio
2007.
117
Ivi.
118
China to intensify drug-war, Xinhua, 14 giugno 2007.
119
Games organiser to act on reports of labour abuses, SCMP, 12 giugno 2007.
PlayFair 2008 è una coalizione internazionale di sindacati e gruppi di
lavoratori. Il rapporto è disponibile su: http://www.playfair2008.org/
docs/playfair_2008-report.pdf.
120
Chinese official on media service for Beijing Olympics, Xinhua, 6 luglio
2007.
109
110
86
Note
Aids activist, wife barred from trip, SCMP, 19 maggio 2007. Cfr. anche:
China accuses AIDS activists of endangering security, Reuters, 18 maggio
2007.
Il movimento delle Madri di Tian An Men, fondato da Ding Zilin, ex docente universitaria, è un gruppo di 130 difensori dei diritti umani, principalmente donne, i cui figli o altri parenti sono stati uccisi nella omonima piazza di Pechino o nelle sue vicinanze, nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989. L’associazione porta avanti una campagna per difendere i diritti dei familiari delle persone che sono state uccise o ferite nell’intervento militare di 18 anni fa.
L’associazione ha compilato una lista di nominativi di oltre 182 persone
che sono state uccise e di più di 70 ferite, ha distribuito aiuti umanitari alle famiglie delle vittime e ha contribuito a istituire un fondo per l’istruzione dei bambini e degli orfani di coloro che sono stati uccisi o sono
rimasti feriti nella piazza Tian An Men.
87
Appendice
La Carta olimpica
La Carta olimpica
Preambolo
L’olimpismo moderno è stato inventato da Pierre de Coubertin, su iniziativa del quale fu convocato il Congresso internazionale dell’atletica di
Parigi a giugno del 1894.
Il Comitato olimpico internazionale (CIO) si è costituito il 23 giugno
del 1894.
Le prime Olimpiadi dell’era moderna sono state celebrate ad Atene, in
Grecia, nel 1896.
Nel 1914 è stata adottata la bandiera olimpica presentata da Pierre de
Coubertin al Congresso di Parigi, che consiste in cinque cerchi intrecciati che rappresentano l’unione dei cinque continenti e l’incontro degli
atleti di tutto il mondo nel corso dei Giochi olimpici.
Le prime Olimpiadi invernali sono state celebrate a Chamonix in
Francia nel 1924.
Il principi fondamentali dell’olimpismo
1. L’olimpismo è una filosofia di vita che esalta e combina in un tutto
unico ed equilibrato le qualità del corpo, della volontà e della mente.
Armonizzando lo sport con la cultura e l’educazione, l’olimpismo intende creare uno stile di vita basato sulla gioia dello sforzo, il valore educativo del buon esempio e il rispetto dei principi etici universali fondamentali.
91
Pechino 2008
2. L’obiettivo dell’olimpismo è di mettere lo sport al servizio dello sviluppo armonico dell’uomo, con l’intento di promuovere una società
pacifica tesa alla salvaguardia della dignità umana.
3. Il Movimento olimpico si traduce nell’azione concertata, organizzata,
universale e permanente portata avanti sotto la suprema autorità del
CIO, da tutti gli individui e le organizzazioni che si ispirano ai valori
dell’olimpismo. Si estende ai cinque continenti e raggiunge il suo
apice mettendo insieme gli atleti di tutto il mondo nel più grande
festival sportivo, i Giochi olimpici.
4. La pratica dello sport è un diritto umano. Tutti gli uomini devono
avere la possibilità di praticare uno sport, senza discriminazioni di
sorta e nello spirito olimpico che richiede reciproca comprensione
insieme a uno spirito di amicizia, solidarietà e correttezza.
L’organizzazione, l’amministrazione e la gestione dello sport deve essere controllata da organizzazioni indipendenti.
5. Qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di un paese o una persona sulla base di appartenenza etnica, religione, politica, di genere o
altre è incompatibile con l’appartenenza al Movimento olimpico.
6. Per appartenere al Movimento olimpico occorre conformarsi ai principi
della Carta olimpica ed essere riconosciuti dal CIO.
Il Movimento olimpico e la sua azione
Appendice
2. I tre organi costitutivi del Movimento Olimpico sono il Comitato olimpico internazionale (CIO), le Federazioni sportive internazionali (FSI) e i
Comitati olimpici nazionali (CON). Ogni persona od organizzazione appartenente al Movimento olimpico è vincolata in qualsivoglia disciplina
dalle norme della Carta olimpica e dovrà rispettare le decisioni del CIO.
3. Oltre a questi tre organi, il Movimento olimpico comprende anche i
Comitati organizzatori dei Giochi olimpici (COGO), le associazioni
nazionali, i club e le persone che fanno parte delle FSI e dei CON, in
modo particolare gli atleti, la cui partecipazione costituisce un elemento fondamentale dell’azione del Movimento olimpico, così come per
i giudici, gli arbitri, gli allenatori e gli altri funzionari e tecnici sportivi. Il Movimento include inoltre altre organizzazioni e istituzioni riconosciute dal CIO.
2. La mission e il ruolo del CIO
La mission del CIO è di promuovere l’olimpismo nel mondo e di fare da
guida al Movimento olimpico. Il ruolo del CIO è quello di:
1. incoraggiare e sostenere la promozione dell’etica nello sport e l’educazione dei giovani attraverso lo sport e dedicare i suoi sforzi ad assicurare che, nello sport, prevalga lo spirito della correttezza e venga proibita la violenza;
2. incoraggiare e sostenere l’organizzazione, lo sviluppo e il coordinamento dello sport e delle competizioni sportive;
3. assicurare la celebrazione regolare dei Giochi olimpici;
1. La composizione e l’organizzazione generale
del Movimento olimpico
1. Sotto la suprema autorità del CIO, il Movimento olimpico comprende
le organizzazioni, gli atleti e altre persone che accettano i principi
della Carta olimpica. L’obiettivo del Movimento olimpico è di contribuire alla costruzione di un mondo pacifico e migliore educando i
giovani alla pratica dello sport in accordo con l’olimpismo e i suoi
valori.
92
4. cooperare con le organizzazioni competenti pubbliche o private e con
le autorità nel tentativo di mettere lo sport al servizio dell’umanità e
in tal modo promuovere la pace;
5. intraprendere azioni in modo da rafforzare l’unità e da proteggere l’indipendenza del Movimento olimpico;
6. agire contro ogni forma di discriminazione che può nuocere al
Movimento olimpico.
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Amnesty International è un movimento volontario di attiviste e
attivisti per i diritti umani, fondato nel 1961. È indipendente da
qualsiasi governo, persuasione politica o credo religioso.
Non sostiene né contrasta alcun governo o sistema politico, né
le opinioni di coloro i cui diritti cerca di tutelare; si occupa
esclusivamente della tutela imparziale dei diritti umani.
L’ideale di Amnesty International è quello di un mondo in cui
ognuno goda di tutti i diritti umani sanciti dalla Dichiarazione
universale dei diritti umani e fissati in altri standard internazionali.
Amnesty International realizza ricerche e azioni finalizzate a
impedire e a fermare le gravi violazioni dei diritti all’integrità fisica
e mentale, alla libertà di coscienza e di espressione e alla libertà
dalla discriminazione. In questo contesto il movimento:
• cerca di ottenere il rilascio dei prigionieri di coscienza: queste
sono persone detenute per le loro più intime convinzioni
politiche, religiose o di altra natura, per le loro origini etniche o
per motivi di razza, colore, sesso, lingua, provenienza
nazionale o sociale, condizione economica, di nascita o di
altro genere – che non hanno usato né sostenuto la violenza;
• opera per assicurare processi giusti e tempestivi per tutti i
prigionieri politici;
• condanna senza riserve la pena di morte, la tortura e altri
trattamenti o pene crudeli, inumane o degradanti;
• sostiene campagne per porre fine agli omicidi politici e alle
“sparizioni”;
• richiama i governi ad astenersi da uccisioni illegali nei conflitti
armati;
• richiama i gruppi politici armati a porre fine ad abusi come la
detenzione per reati di opinione, la presa di ostaggi, la tortura
e le uccisioni illegali;
• condanna gli abusi da parte di attori non statali là dove lo Stato
non è riuscito ad adempiere ai suoi obblighi di fornire una tutela
efficace;
• sostiene campagne per affidare alla giustizia i responsabili delle
violazioni dei diritti umani;
• cerca di aiutare coloro che, in cerca di asilo politico, sono a
rischio di essere rinviati in un paese dove potrebbero subire
gravi violazioni dei loro diritti umani;
• condanna gravi violazioni dei diritti economici, sociali e
culturali.
Amnesty International si pone inoltre l’obiettivo di:
• cooperare con altre organizzazioni non governative, le Nazioni
Unite e le organizzazioni regionali intergovernative;
• esercitare un controllo sulle relazioni internazionali militari, di
sicurezza e di polizia, per prevenire le violazioni dei diritti umani;
• organizzare programmi di educazione e di sensibilizzazione ai
diritti umani.
Amnesty International è un movimento democratico e
autogovernato con quasi due milioni di soci e di sostenitori in
oltre 140 paesi e territori. La Sezione Italiana di Amnesty
International, costituitasi nel 1975, conta circa 90.000 soci.
È finanziato prevalentemente dai suoi iscritti in tutto il mondo e
da donazioni pubbliche.
Amnesty International - Sezione Italiana
via G.B. De Rossi 10 - 00161 Roma
tel. 06 44901 - fax 06 4490222
[email protected] - www.amnesty.it
per donazioni: ccp 552000
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Pechino 2008