Nostra
Madre
Terra
francescanesimo e ambiente
MISCELLANEA
ASSISI 2014
Nostra
Madre
Terra
francescanesimo e ambiente
MISCELLANEA
ASSISI 2014
la fragile bellezza
ambiente e arte fra umanesimo e scienza
nostra madre terra 2014
programma
Mercoledì 17 settembre 2014
ore 9.45
Introduzione
Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento
Domenico Sorrentino, Vescovo di Assisi - Gualdo Tadino - Nocera Umbra
Emilia Chiancone, Accademia Nazionale delle Scienze
ore 11.15Prima Sessione: Ambiente tra umanesimo e scienza
Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace
Giuseppe Scarascia Mugnozza, Università della Tuscia
Enrico Garaci, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL
Modera: Francesco Giorgino
ore 15.00Seconda Sessione: Che ne è del bel Paese?
Ernesto Galli della Loggia, Storico ed editorialista
Andrea Carandini, Presidente del FAI
Modera:Franca Giansoldati
ore 16.15Terza Sessione: La città-periferia
Massimo Cacciari, Filosofo
Modera:Roberto Olla
Giovedì 18 settembre 2014
ore 9.30 Introduzione
Catiuscia Marini, Presidente Regione Umbria
ore 9.45 Quarta sessione: Salvaguardia dell’ambiente
Maria Patrizia Grieco, Presidente Enel SpA
Pietro Ciucci, Presidente Anas SpA
Barbara Morgante, Direttore Centrale Strategie, Pianificazione e Sistemi Gruppo FS Italiane
Bruno Fabbri, Legale Rappresentante Strabag (Italia)
Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Modera:Virman Cusenza
ore 11.30Quinta Sessione: Salvare la bellezza
Salvatore Settis, Professore di Archeologia classica alla Normale di Pisa
Lucia Annunziata, Direttore Huffington post
Gualtiero Bassetti, Presidente CEU
Maurizio Patriciello, Parroco di Caivano
Massimiliano Fuksas, Architetto
Modera:Paolo Rodari
ore 17.00 Sesta Sessione: La bellezza del creato
Víctor Manuel Fernández, Rettore della Pontificia Università Cattolica argentina
la fragile bellezza
ambiente e arte fra umanesimo e scienza
nostra madre terra 2014
Gualtiero Card. Bassetti
Introduzione al Convegno
Se la natura non può essere idolatrata, senza scadere in una sorta di visione panteista, allo
stesso tempo, però, non può essere ridotta a luogo di sfruttamento selvaggio in cui gli appetiti
dell’uomo si saziano senza limiti. Tutti gli esseri umani sono chiamati ad un’assunzione di
responsabilità nei confronti dell’ambiente in cui vivono. Un ambiente che gli uomini possono
custodire, coltivare e modificare ma che, di fatto, non hanno contribuito a creare.
Il grande poema della creazione si conclude con l’ammirazione di Dio stesso per l’opera
delle sue mani. “E Dio vide che era cosa buona” (Gn 1,12), letteralmente “cosa bella”. La bellezza è insita nella creazione divina. Non c’è nulla che esca dalla mani di Dio che non abbia in
sé il dono della bellezza. All’apice di questa meravigliosa creazione vi è l’uomo: l’incarnazione
stessa della bellezza di Dio. La libertà umana è contagiata però dal dramma del peccato che rende la bellezza dell’uomo e del creato estremamente fragile. Preda ogni giorno di scelte disperate.
Il tema di quest’anno di Nostra Madre Terra è La fragile bellezza. Ambiente e arte fra umanesimo e scienza. Il logo stesso dell’incontro – l’albero con i suoi vasti rami intrecciato al ricamo
di un mistico rosone – dà il senso della riflessione sull’opera di Dio e sulle meraviglie artistiche
create dall’uomo, strettamente intrecciate tra loro dall’unica “sapienza che viene dall’alto”.
MISCELLANEA
10 anni Nostra Madre Terra
A cura
Rivista San Francesco Patrono d’Italia
Grafica e impaginazione
Tiziana Boirivant
Stampa
Graphic Masters srl - Perugia
INDICE
13
Presentazione
15 Introduzione
15 Francesco, il creato e il suo Creatore
Felice Accrocca e Enzo Fortunato
23 Capitolo
I - San Francesco Patrono dei Cultori dell’ecologia
25 Bolla S. Franciscus Assisiensis caelestis
Patronus oecologiae cultorum eligitur
25
Lettera Apostolica “Inter Sanctos” di Giovanni Paolo II
27
Contributi da L’Osservatore Romano
27San Francesco d’Assisi patrono dell’ecologia con una “Bolla” di Giovanni Paolo II Articolo del 23 aprile 1980
29San Francesco d’Assisi patrono dell’ecologia
Articolo del 16 luglio 1980
31
Interventi dei Pontefici
31 Lettera Enciclica “Redemptor Hominis” di Giovanni Paolo II, 1979
32 Lettera Enciclica “Sollicitudo Rei Socialis” di Giovanni Paolo II, 1987
33Messaggio di Giovanni Paolo II, XXIII Giornata Mondiale della Pace, 1990
40 Lettera Enciclica “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II, 1991
44Discorso di Giovanni Paolo II alla Settimana di studio
“Risorse e Popolazione”, 1991
45Discorso di Giovanni Paolo II al Premio Internazionale per l’ambiente
“San Francesco”, 1992
46Discorso di Giovanni Paolo II al Convegno “Ambiente e salute”, 1997
49 Benedetto XVI, “Cercate le cose di lassù”, Edizioni Paoline, Milano, 2005
51 Benedetto XVI, Angelus, 27 agosto 2006
7
52Messaggio di Benedetto XVI, XL Giornata Mondiale della Pace, 2007
53Messaggio di Benedetto XVI, XLI Giornata Mondiale della Pace, 2008
55Discorso di Benedetto XVI, Assemblea Generale dell’ONU, 2008
56 Lettera Enciclica “Caritas in veritale” di Benedetto XVI, 2009
60Discorso di Benedetto XVI, 36ª Conferenza generale FAO, 2009
61Messaggio di Benedetto XVI, XLIII Giornata Mondiale della Pace, 2010
68Discorso di Francesco ai rappresentanti dei media, 2013
70 Francesco, Omelia Solennità di san Giuseppe, 2013
73 Francesco, Udienza generale, 2013
75Discorso di Francesco, XLVII Giornata Mondiale della Pace, 2014
76Discorso di Francesco ai membri del Corpo diplomatico, 2014
77 Francesco, Udienza generale, 2014
79Discorso di Francesco, Incontro con il mondo del lavoro e dell’industria, 2014
81 Capitolo
II - 10 anni di Nostra Madre Terra
83 Elenco dei Convegni
85
Interventi dei Custodi del Sacro Convento
85 Fratello Sole Madre Terra 2005
Vincenzo Coli
86 Fratello Sole Madre Terra 2006
Vincenzo Coli
87 Fratello Sole Madre Terra 2009
Giuseppe Piemontese
88 Fratello Sole Madre Terra 2010
Giuseppe Piemontese
90 Fratello Sole Madre Terra 2011
Giuseppe Piemontese
92 Nostra Madre Terra 2012
Giuseppe Piemontese
95 Nostra Madre Terra 2013
Mauro Gambetti
97 Contributi ai Convegni
Fratello Sole Madre Terra 2005
97 Introduzione
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza
101 Il Cielo
Giancarlo Setti
8
106 Problemi correnti relativi all’impatto ambientale delle emissioni atmosferiche
Giorgio Fiocco
110Aspetti moderni della visione francescana dell’acqua e della natura
Giuseppe Cognetti
115San Francesco e la natura: Terra
Annibale Mottana
123Animali
Enrico Alleva, Nadia Francia, Daniela Santucci
127 La situazione forestale mondiale dopo il seminario di Assisi sulla povertà
e l’ambiente
Giordano Ervedo
134 I fuochi dell’Universo e la vita sul Pianeta
Lucio Maiani
139Scienza dell’ambiente e messaggio francescano
Vincenzo Cappelletti
142Seminare occhi nuovi sulla terra
Antonio Moroni
Fratello Sole Madre Terra 2006
148 Introduzione al covegno
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza
151 Indirizzo di saluto
Claudio Ricci
152 Indirizzo di saluto
Cesare Patrone
155 Il ruolo delle Ferrovie dello Stato per la tutela e la salvaguardia dell’ecosistema
della Terra
Mauro Moretti
158 Che tipo di valore è l’ambiente?
Michele Caputo
160 Basi concettuali e implicazioni etiche di una scienza per la sostenibilità
Ireneo Ferrari
169 L’educazione ambientale nell’evoluzione di un movimento della gioventù:
lo scautismo
Enver Bardulla
188 La responsabilità delle imprese come valore per il futuro dell’ambiente
Michele Mastrobuono
191 Psicologia ambientale della sostenibilità e educazione ambientale
Mirilia Bonnes, Paola Passafaro, Marino Bonaiuto, Giuseppe Carrus, Ferdinando Fornaro
Fratello Sole Madre Terra 2009
204 Introduzione al covegno
Roberto Olla
9
206Analisi, rilievi e considerazioni
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza
209 Intelligenze naturali: una lettura etoecologica
Danilo Mainardi
214 Cambiamenti climatici: cause naturali e cause antropiche
Franco Prodi
220 Problemi della produttività agro-alimentare: cause naturali e cause antropiche
Enrico Porceddu
230Energia, emissioni e territorio: l’impegno del gruppo Ferrovie dello Stato
per l’ambiente
Mauro Moretti
232 Il Messaggio per la Giornata del Creato 2009
Simone Morandini
235 Fare la pace con il Creato: ambiente e dialogo ecumenico
Letizia Tomassone
239Dio e l’armonia tra l’uomo e il Creato
Mons. Vincenzo Paglia
243Emergenza ambiente: quale conversione?
Mons. Domenico Sorrentino
Nostra Madre Terra 2011
245 La biodiversità. Un tesoro da condividere con rispetto
e lungimirante responsabilità
Alessandro Minelli
Nostra Madre Terra 2012
251 Indirizzo di Saluto
Domenico Sorrentino
Nostra Madre Terra 2013
253 Indirizzo di Saluto
Catiuscia Marini
255 Il creato è ferito dall’inconsapevolezza
Card. Peter Turkson
258 Protocolli di intesa
258 2012, Lettera d’intenti tra il Ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio
e del mare e Ferrovie dello Stato
259 2013, Lettera d’intenti per la ratificazione del protocollo d’intesa:
Comune di Assisi e Novamont SpA
10
261
Capitolo III - Studi di ecologia francescana
263
Francescanesimo e ambiente
263 Cercare la gioia per promuovere lo sviluppo sostenibile e combattere la miseria
Mauro Gambetti
267 È necessaria una valutazione globale
Giuseppe Viriglio
268 Francesco canta Dio e il creato
Stefano Brufani
269 Francesco e il creato
Maria Pia Alberzoni
271 Francesco e la natura
Franco Cardini
273 Papa Francesco, il Poverello e la vocazione del custodire
Edoardo Scognamiglio
276 L’invito di Francesco
Ermete Realacci
278 L’uomo è parte della Terra
Chiara Frugoni
279 Il futuro sostenibile che vogliamo
V. M. Canuto
282San Francesco, gli agnelli, le mosche
283 La raccolta differenziata secondo San Francesco: getta e usa
Marco Iuffrida
284Si deve ripristinare una visione del futuro
Giuliana Martirani
287
Contributi di “Sorella Natura”
287Decalogo della saggia ecologia
288 Carta deontologica dello sviluppo sostenibile
289 La tutela dell’ambiente: rispetto della vita, salvaguardia dei valori etici
290 La scienza al servizio dell’Uomo
Carlo Rubbia
296Sviluppo integrale, solidale e durevole
Card. Laurent Monsengwo Pasinya
308Economia solidale, sviluppo sostenibile, custodia del creato
Card. Giovanni Battista Re
312Tempo di crisi? Economia solidale e sviluppo sostenibile
Anna Maria Tarantola
11
Presentazione
Questa pubblicazione vuole essere un modo per non disperdere i
valori che hanno accompagnato questi dieci anni di Nostra Madre Terra,
una miscellanea di interventi, studi e articoli di personalità della chiesa,
della politica e della cultura che hanno approfondito il tema dell’ambiente, spesso legato al francescanesimo: un binomio che da sempre
accompagna la figura di san Francesco. Discutere il tema dell’ecologia
senza disgiungerlo dall’uomo e dalle sue attività, diffondere una cultura di economia e sviluppo sostenibile. Custodire il creato con mano
attenta e amorevole, come ci insegna il Santo di Assisi sono stati i temi
che hanno guidato il nostro cammino e che hanno trovato riscontro
con i proponimenti semplici e chiari di papa Francesco fin dalla sua
elezione, quando ha voluto scegliere il nome di Francesco d’Assisi:
“l’uomo che ama e custodisce il creato”.
Il presente lavoro lo abbiamo articolato partendo dalla bolla di
proclamazione di san Francesco a Patrono dei Cultori del Creato del
1979, abbiamo poi inserito alcuni discorsi dei Pontefici che negli anni
hanno voluto affrontare il tema dell’ambiente. Nel secondo capitolo è
presente una scelta di interventi proposti in questi dieci anni di Nostra
Madre Terra, e infine una miscellanea di articoli e contributi al tema,
che possono sembrare idealmente disarticolati, ma rappresentano in
realtà le sfaccettature di un unico cristallo.
INTRODUZIONE
Felice Accrocca e Enzo Fortunato
Francesco, il creato e il suo Creatore
Francesco e l’ambiente: uno dei temi caldi sui quali tanto si discute e che necessita ancora
di chiarezza1. Trentacinque anni or sono Giovanni Paolo II – con la lettera Inter sanctos (29
novembre 1979) – proclamava l’Assisiate patrono dei cultori dell’ecologia poiché egli spiccava
tra i santi e gli altri grandi uomini che avevano «percepito gli elementi della natura come uno
splendido dono di Dio agli uomini» e avevano contemplato «in modo singolare le opere del
Creatore». Tali indicazioni, tuttavia, non sempre sono state tenute nella debita considerazione,
al punto che aspetti della personalità del Santo di Assisi sono stati molte volte esagerati, altri
addirittura – costruiti sul nulla – partoriti dalla fantasia di opinionisti di scarsa qualità, in ogni
caso spesso in maniera del tutto avulsa dal loro contesto e privati della loro sorgente ispiratrice.
Quei strani fraintendimenti…
C’è chi fa finito per fare di Francesco un vegetariano, quand’egli certo non lo fu: chiamava
sì «con il nome di fratello gli animali»2, faceva un uso limitato della carne perché non era un
cibo da poveri e come conseguenza di precise scelte e pratiche penitenziali, ma non escludeva
di potersene nutrire, tanto che – con espressione paradossale – desiderava che nel giorno di
1. Tra i contributi più recenti e di taglio e impegno differenti, cf. – senza alcuna pretesa di completezza – R. D. Sorell, St.
Francis of Assisi and nature. Tradition and innovation in Western Christian attitudes toward the environment, Oxford 2010; J. A. Merino,
Francesco d’Assisi e l’ecologia, Padova 2010; C. Paolazzi, Francisco de Asísy la creación: de la contemplación a la obediencia, in Selecciones
de Franciscanismo 40 (2011), pp. 65-79; L. Lehmann, «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona» (Gn 1,31). La visione
teologica della creazione in Francesco d’Assisi, in Italia Francescana 86 (2011), pp. 451-474. Sempre valido, soprattutto per la metodologia adottata nell’uso delle fonti, il riferimento ad A. Marini, «Sorores alaudae». Francesco d’Assisi, il creato, gli animali (Collectio
Assisiensis, 16), Assisi 1989. Pur tenendo conto, per quanto possibile, della storiografia, questo mio contributo si basa essenzialmente su una rilettura degli scritti di frate Francesco e delle sue fonti agiografiche, che utilizzo secondo le Fonti francescane. Terza
edizione rivista e aggiornata. Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e
biografie di santa Chiara d’Assisi. Testi normativi dell’Ordine Francescano Secolare. A cura di E. Caroli, Padova 2011 (= FF), seguendo il
numero marginale progressivo in grassetto; anche le abbreviazioni sono quelle utilizzate dalle FF. Per quanto attiene a molteplici
problemi connessi alle fonti agiografiche (la ben nota “questione francescana”), rinvio a: F. Accrocca, Un santo di carta. Le fonti
biografiche di san Francesco d’Assisi (Biblioteca di Frate Francesco, 13), Milano 2013, e alla bibliografia ivi citata.
2. 2Cel 165 (FF 750; ma cf. già, in tal senso, 1Cel 81 (FF 461).
15
Natale se ne cibassero persino i muri (2Cel 199: FF 787)3. Piaccia o non piaccia, dopo una malattia, recuperate le forze, un giorno desiderò mangiare della carne d’uccello e subito comparve
un cavaliere che gliene offrì uno. Francesco «accettò con gioia il dono e comprendendo come
Cristo avesse cura di lui, lo benedisse in ogni cosa» (3Cel 34: FF 857). Questo semplice fatto fu
ritenuto dai contemporanei un miracolo, ciò che in realtà non fu. Tuttavia, proprio la semplicità del racconto, priva di elementi prodigiosi (si trattò di una semplice casualità, niente di più),
spinge a escludere la possibilità di ritenere il fatto stesso il frutto di un’invenzione dell’agiografo. E mentre si trovava «gravemente malato» nel palazzo del vescovo di Assisi, poco tempo
prima della sua morte, pressato dai frati che gli chiedevano di mangiare qualcosa, Francesco
non espresse forse il desiderio di mangiare del «pesce squalo», che poi gli fu prodigiosamente
offerto da frate Gerardo, il quale – al tempo in cui i Compagni redigevano i loro ricordi – era
ministro (minister)4 dei Minori di Rieti (CAss 71: FF 1599)?
Tali motivi hanno indotto Benedetto XVI, nell’anno centenario della conversione di Francesco, a sottolineare – con ragione – che il Santo «non era solo un ambientalista o un pacifista;
era soprattutto un convertito» (1° settembre 2006, discorso al clero della diocesi di Albano).
Resta vero, però, che Francesco ricostruì un rapporto di sintonia profonda con tutta la creazione, soprattutto con il vertice dell’opera creatrice di Dio, che è l’uomo. Un rapporto oggi
troppo spesso infranto, incapaci come siamo di custodire l’opera del Creatore poiché «non la
rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura» (Papa Francesco,
Udienza generale in piazza S. Pietro, 5 giugno 2013). E «perché avviene questo? Perché pensiamo
e viviamo in modo orizzontale», perché «ci siamo allontanati da Dio», perché «non leggiamo i
suoi segni» (ibidem).
Una lode incessante
In effetti, la radice di ogni comportamento di Francesco sta nel rapporto che egli seppe
ricostruire con Dio, con quel Dio che l’aveva amato dall’eternità e al quale egli non aveva prestato attenzione per buona parte della propria vita. Quando, dopo un travaglio durato anni,
giunse infine a scelte definitive con la decisione di uscire dal secolo, vale a dire con l’abbandono dei valori perseguiti dal mondo (e che fino all’età di ventiquattro anni erano stati anche
i suoi) per riscoprire la bontà e la paternità di Dio, tutto acquistò un senso diverso: i poveri gli
3. L’episodio in questione compare solo nella più antica redazione del Memoriale giunta fino a noi, ma non in quella definitiva.
In quest’ultima, infatti, Tommaso l’espunse, mantenendo soltanto la prima parte della pericope, nella quale riferisce la grande devozione di Francesco per la festa del Natale e per il nome di Gesù, che era «per lui dolce come un favo di miele in bocca». Quella
di Tommaso fu una scelta autonoma o l’eliminazione di un episodio che alcuni anni prima aveva fatto conoscere ai frati di tutto
il mondo gli venne imposta? Una risposta plausibile sembra venire dalla legislazione emanata nel frattempo dall’Ordine: cf. in
proposito Thomas de Celano, Memoriale. Editio critico-synoptica duarum redactionum ad fidem codicum manuscriptorum. Curaverunt
F. Accrocca - A. Horowski (Subsidia scientifica franciscalia, 12), Roma 2011, pp. CXIII-CXV.
4. Frate Gerardo viene qualificato come «ministro», tuttavia, stando alla documentazione superstite, Rieti non era provincia
autonoma, poiché la custodia reatina era parte della provincia romana. Sarebbe stato più esatto, dunque, dire «custode». Sugli
insediamenti nel reatino, cf. ora la sintesi offerta da T. Leggio, Gli insediamenti francescani tra Sabina e Reatino nel XIII e nel XIV
secolo, in Da santa Chiara a suor Francesca Farnese. Il francescanesimo femminile e il monastero di Fara in Sabina, a cura di S. Boesch
Gajano e T. Leggio (sacro/santo, 21), Roma 2013, pp. 77-102.
16
manifestarono il volto di Cristo, i nemici divennero uomini da amare, gli animali furono i suoi
fratelli più piccoli, il creato si rivelò ai suoi occhi come l’orma del Creatore.
A Dio egli innalzò allora un grandioso inno di lode, che doveva coinvolgere tutte le creature dotate di volontà e d’intelletto. Tutti – i «sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti,
lettori, ostiari, e tutti i chierici, tutti i religiosi e tutte le religiose, tutti i fanciulli e i piccoli, i
poveri e gli indigenti, i re e i principi, i lavoratori e i contadini, i servi e i padroni, tutte le vergini
e le continenti e le maritate, i laici, uomini e donne, tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani
e i vecchi, i sani e gli ammalati, tutti i piccoli e i grandi e tutti i popoli, genti, razze e lingue,
tutte le nazioni e tutti gli uomini d’ogni parte della terra, che sono e che saranno» (Rnb XXIII,
7: FF 68) – furono da lui chiamati a un percorso di conversione e tutti furono esortati alla lode:
«noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo
veracemente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo
e sommo eterno Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e
Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui e amano lui» (Rnb XXIII, 11: FF 71).
Ma non solo degli uomini sono chiamati alla lode di Dio, poiché tale compito è prerogativa di tutta intera la creazione. È il creato nella sua interezza che deve lodare il Creatore: uomini, animali, piante, vento, acqua e fuoco, astri celesti e ogni altra creatura inanimata. È solo
in questo contesto che possiamo comprendere nella sua piena e vera luce il Cantico di frate sole,
il più famoso tra i compimenti poetici di Francesco. Un testo che – contrariamente a quel che
molti credono – nacque in circostanze umanamente tutt’altro che positive. Nei primi mesi del
1225, ormai sullo scorcio della propria esistenza, Francesco si fermò a San Damiano cinquanta
giorni e più, in preda ad atroci sofferenze. A un certo momento, una notte, non ce la fece più,
e invocò il soccorso del Signore; si sentì così rispondere in spirito: «Fratello, rallegrati e gioisci
di cuore nelle tue infermità» (CAss 83: FF 1614); il mattino seguente compose il Cantico di frate
sole. Ricordano i compagni: «Quando era più tormentato dal male, incominciava a dire le Lodi
del Signore, e poi le faceva cantare dai suoi compagni, perché, andando dietro al canto, potesse
dimenticare l’acerbità dei dolori e delle malattie. E così fece fino al giorno della sua morte»
(ibidem: FF 1615). Quella poesia che nei secoli ha dato pace e consolazione a milioni e milioni
di uomini nacque dunque in un momento di particolare dolore, eco di un animo pacificato nel
profondo e perciò capace d’invitare tutte le creature alla lode di Dio.
«Laudato si’, mi’ Signore, per»: una questione di non poca importanza
Una questione ancora aperta, invece, che si rivela di non poca importanza per comprendere il testo e il rapporto di Francesco con il creato, è il modo d’intendere la preposizione «per»,
tante volte ripetuta nel Cantico («Laudato si’, mi’ Signore, per»). Le citazioni da due studiosi,
entrambi seri e competenti, bastano a darci il quadro della contesa: Carlo Paolazzi asserisce,
infatti, in modo netto, che il «per» «va inteso in senso strumentale (‘per mezzo di sorella Luna’,
‘per mezzo di fratello Vento’), non in senso causale (‘a causa di…’), che distoglierebbe la pienezza
17
della lode dal Creatore, dirottandola sulle creature»5. Dal proprio canto, Daniele Solvi ritiene
che la testimonianza dei Compagni – da lui giudicata «autorevole» (il riferimento è a CAss 83:
FF 1615) – spinga piuttosto a credere che il «per» «doveva avere valore causale, non strumentale
o di agente»6. Cosa dire in proposito?
È bene anzitutto precisare che pure in altri suoi scritti Francesco invita le creature tutte
a lodare il Signore. Così, ad esempio, nelle Lodi per ogni ora, una silloge di testi biblici nella
quale egli cuce insieme brani dai salmi e da altri scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento. Vi
scrive, tra l’altro: «Opere tutte del Signore / benedite il Signore: / e lodiamolo ed esaltiamolo
nei secoli. Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi, / voi che temete Dio, piccoli e grandi: /
e lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli. / Lodino lui, glorioso, / i cieli e la terra: / e lodiamolo ed
esaltiamolo nei secoli. / E ogni creatura che è nel cielo / e sulla terra e sotto terra, / e il mare e
le creature che sono in esso: / e lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli» (Lora 5-8: FF 264). Affermazioni simili compaiono anche nell’Esortazione alla lode di Dio (cf. Eslod 5-7.11-12: FF 265a).
L’Altissimo, l’Onnipotente buon Signore, doveva essere lodato da ogni creatura che è sotto il
cielo. Una tale convinzione è così chiaramente presente nella mente e nel cuore di Francesco,
che non possiamo passarla sotto silenzio.
Non si ha tuttavia la stessa chiarezza quando si tratta del Cantico di frate sole, perché Francesco avrebbe altresì potuto usare una preposizione diversa per esplicitare ancor meglio il proprio
pensiero, come «da» o un’espressione equivalente. Del resto, può la morte corporale in sé lodare Dio, quando sappiamo che Dio non l’ha creata (Sap 1, 13), ma che è entrata nel mondo per
invidia del diavolo (Sap 2, 24)? Altro discorso sarebbe invece se l’uomo, fatto capace di trarre il
bene dal male, fosse invitato a lodare Dio per lei, perché nonostante la sua negatività è proprio
«sorella morte» che ci apre le porte e ci consente di prender parte all’eterno convito. La situazione, dunque, appare complessa. A questo proposito, neppure le testimonianze agiografiche si
rivelano concordi. Infatti, mentre secondo Tommaso da Celano Francesco volle invitare tutte
le creature alla lode di Dio, i Compagni del Santo riferiscono una posizione diversa.
In effetti, secondo Tommaso, «come un tempo i tre fanciulli gettati nella fornace ardente
invitavano tutti gli elementi a glorificare e benedire il Creatore dell’universo, così quest’uomo,
ripieno dello spirito di Dio, non si stancava mai di glorificare, lodare e benedire, in tutti gli elementi e in tutte le creature, il Creatore e Reggitore di tutte le cose» (1Cel 80: FF 459). In verità,
in questa sua prima testimonianza l’agiografo risulta piuttosto ambiguo: l’orizzonte biblico nel
quale egli colloca la lode francescana spinge infatti a ritenere che l’invito sia rivolto dal Santo
agli elementi inanimati per esortarli alla lode di Dio; così fecero appunto i tre fanciulli che Nabucodonor aveva fatto gettare nella fornace ardente (cf. Dn 3,51-88). D’altro canto Tommaso, in
quello stesso luogo, afferma che Francesco non si stancava di lodare Dio «in tutti gli elementi e
in tutte le creature». Molto più netta e decisiva risulta, però, un’altra testimonianza del Celanese,
contenuta nel Memoriale fin dalla sua redazione più antica (o almeno quella più antica giunta
5. Francesco d’Assisi, Scritti. Edizione critica a cura di C. Paolazzi OFM (Spicilegium Bonaventurianum, 36), Grottaferrata
[Roma] 2009, p. 122, nota 8.
6. Cf. FF, p. 948, nota 50. Le FF attribuiscono le note a Feliciano Olgiati e Daniele Solvi: in realtà, Olgiati curò le note della prima
edizione delle FF, mentre Solvi le ha riviste e completate in occasione della nuova edizione; che le affermazioni citate si debbano
a Solvi, è prova il fatto che queste non si ritrovano nella prima edizione.
18
fino a noi, portata a compimento nel 1247). In questa sua seconda opera, scritta a complemento
della prima, Tommaso, utilizzando la testimonianza dei Compagni di Francesco, narra le vicende che dettero origine al Cantico di frate sole e conclude: «In quella circostanza compose alcune
lodi delle creature, in cui le invita a lodare, come è loro possibile, il Creatore» (2Cel 213: FF 803).
Diversa invece la prospettiva dei Compagni; essi – nel narrare le circostanze in cui nacque
il Cantico – riferiscono un detto di Francesco, che avrebbe esclamato: «Siamo tutti come dei
ciechi e il Signore c’illumina gli occhi per mezzo di queste due creature [il sole e il fuoco].
Riguardo a queste e alle altre creature, di cui ogni giorno ci serviamo, dobbiamo sempre lodare
lo stesso glorioso Creatore» (CAss 83: FF 1615). Altrove, gli stessi Compagni affermano che,
«poco prima della morte», il Santo «compose le Laudi del Signore per le sue creature, allo scopo
d’incitare il cuore degli ascoltatori alla lode di Dio, e perché il Signore fosse da tutti lodato nelle
sue creature» (CAss 88: FF 1624).
Una posizione inclusiva
Il panorama così variegato delle testimonianze non consente – a mio avviso – di assumere una posizione netta ed esclusiva. Non è detto, peraltro, che le due posizioni non possano
coesistere. Certo è che Francesco ha utilizzato l’uno e l’altro registro, entrambi finalizzati alla
lode di Dio. Per un verso, infatti, egli invitava tutta la creazione – uomini, animali, piante e
ogni altra creatura – a lodare Iddio, il Signore Altissimo datore di ogni dono, che nel Cristo si
era reso visibile agli uomini e aveva dato loro la prova irrefutabile del suo Amore. Allo stesso
tempo, esortava gli uomini a lodare Dio per le creature, poiché le creature portano impressa su
di sé l’orma di Dio e perché tutte le creature sono state date all’uomo affinché se ne serva e ne
sia sostenuto nel servizio che egli è chiamato a rendere al suo Creatore.
I Compagni, infatti, ricordano come Francesco comandasse al frate ortolano di non coltivare tutto il terreno, ma di lasciarne libera una parte, perché producesse erbe verdeggianti che
poi fiorissero al tempo opportuno; egli, inoltre, «diceva che il frate ortolano doveva fare un bel
giardinetto da qualche parte dell’orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe odorose e
di piante che producono bei fiori, affinché nel tempo della fioritura invitino tutti quelli che le
guardano a lodare Dio, poiché ogni creatura dice e grida: Dio mi ha fatta per te, o uomo» (CAss
88: FF 1623).
Servendosi delle testimonianze dei Compagni, Tommaso da Celano concettualizzò quel
che essi lasciavano intuire, estraendo dalle loro memorie il succo di una lezione di vita. Secondo il Celanese, infatti, agli occhi di Francesco il mondo appariva come uno «specchio tersissimo» della bontà di Dio: «In ogni opera loda l’Artefice; tutto ciò che trova nelle creature lo
riferisce al Creatore. Esulta di gioia in tutte le opere delle mani del Signore, e attraverso questa
visione letificante intuisce la causa e la ragione che le vivifica. Nelle cose belle riconosce la Bellezza Somma, e da tutto ciò che per lui è buono sale un grido: “Chi ci ha creati è infinitamente
buono”. Attraverso le orme impresse nella natura, segue ovunque il Diletto e si fa scala di ogni
cosa per giungere al suo trono» (2Cel 165: FF 750). Espressioni, queste, divenute poi famose
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soprattutto grazie a Bonaventura, che le riprenderà testualmente7.
Il dramma della disobbedienza
La Creazione, dunque, grida: «Chi ci ha creati è infinitamente buono» (2Cel 165: FF 750);
e: «Dio mi ha fatta per te, o uomo» (CAss 88: FF 1623). È questo il punto forte del discorso
di Francesco: la creazione tutta, opera di Dio, è chiamata alla lode di Dio, ma vi è chiamato
soprattutto l’uomo, vertice della creazione stessa, poiché tutto è stato dato a lui perché se ne
serva e lo restituisca al Creatore. Torna, in altri termini, il concetto di restituzione, ben attestato
negli scritti di Francesco: dal momento che Dio è datore di ogni bene, tutti i beni debbono
essergli resi: «Restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti
i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal quale procede ogni bene» (Rnb XVII, 17:
FF 49)8. A Lui, dunque, va ricondotta l’opera creata, perché essa tutta loda Dio e parla di Dio.
Far violenza alla creazione vuol dire, perciò, far violenza a Dio stesso.
Il dramma è tutto qui: che le creature servono Iddio molto meglio dell’uomo, poiché,
mentre esse obbediscono al Creatore, l’uomo gli volta tranquillamente le spalle. Concetti che
Francesco esprime in modo efficace in una delle sue Ammonizioni: «Considera, o uomo, in
quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine
del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito. E tutte le creature, che sono sotto il cielo, per parte loro servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore
meglio di te» (Am V, 1-2: FF 153-154).
È quanto, per altro verso, tende a sottolineare anche Bonaventura, in un episodio che non
troviamo riferito da altre fonti; non sappiamo da dove il dottore serafico l’abbia attinto, ma esso
è estremamente istruttivo poiché, al di là dei fatti narrati (è difficile non vedere nel racconto
anche un ampliamento dell’agiografo), esso rivela con solare chiarezza il pensiero dell’autore, in
tutto fedele a quello del suo fondatore e padre. Scrive infatti Bonaventura che, in una indeterminata circostanza, mentre Francesco si trovava a Santa Maria degli Angeli, gli venne donata a una
7. Moltissimi hanno scritto sulla dottrina dell’esemplarismo bonaventuriano – vale a dire sul concetto secondo cui è possibile
ritrovare Dio in tutte le creature che portano impressa la sua orma, ne sono simboli o immagini –, spesse volte citando le ben
note espressioni della Legenda maior (IX, 1: FF 1162). Non sempre, tuttavia, è stato precisato che Bonaventura attinse tali espressioni alla lettera dal Celanese. Riporto i testi in sinossi nella loro versione originale, segnalando in corsivo le riprese testuali di
Bonaventura [per il Memoriale, mi servo dell’edizione citata sopra, nota 3; per la Legenda maior, utilizzo l’edizione curata dai
padri di Quaracchi, in Legendae S. Francisci Assisiensis saeculis XIII et XIV conscriptae (Analecta Franciscana, X), Ad Claras Aquas
1926-1941, pp. 555-652]
Tommaso da Celano
«In artificio quolibet commendat Artificem, quicquid
in factis reperit, regerit in Factorem. Exultat in
cunctis operibus manuum Domini et per iocunditatis
spectacula uiuificam intuetur rationem et causam.
Cognoscit in pulcris Pulcherrimum. Cuncta sibi bona:
“Qui nos fecit, est optimus”, clamant. Per impressa
rebus uestigia insequitur ubique dilectum, facit sibi de
omnibus scalam, qua perueniatur ad solium».
Bonaventura
«Ut autem ex omnibus excitaretur ad amorem
divinum, exsultabat in cunctis operibus manuum Domini et
per iucunditatis spectacula in vivificam consurgebat rationem
et causam. Contuebatur in pulchris Pulcherrimum et per
impressa rebus vestigia prosequebatur ubique Dilectum, de
omnibus sibi scalam faciens, per quam conscenderet ad
apprehendendum eum qui est desiderabilis totus».
8. Cf. anche Am XVIII, 2 (FF 162); Am VII, 4 (FF 156).
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pecora: il Santo allora «ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i
frati. La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell’uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura. Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa
e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all’altare della
Vergine, Madre dell’Agnello, come se fosse impaziente di salutarla. Durante la celebrazione della
Messa, al momento dell’elevazione, si curvava con le ginocchia piegate, quasi volesse, quell’animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare i devoti
alla reverenza verso il Sacramento» (LegM VIII, 7: FF 1148).
Opzioni preferenziali
È vero, però, che Francesco, il quale esaltava l’obbedienza delle creature inanimate opponendola alla disobbedienza dell’uomo nei confronti del suo Creatore, non si dimostrò miope
di fronte alla violenza gratuita e alla sopraffazione che pure tante volte il mondo animale lascia
emergere con fare ferino. Di fronte alla cattiveria gratuita, anzi, reagì a volte con implacabile
durezza: maledì infatti una scrofa che aveva ucciso un agnello appena nato e quella morì dopo
tre giorni tra dolori indicibili (2Cel 111: FF 698). Maledì un pettirosso, il più grande tra quelli di
un’intera covata, poiché si era messo a perseguitare i fratelli più piccoli, saziandosi a volontà e
scacciando gli altri lontano dal cibo, perché ne restassero privi: additando ai frati il suo comportamento perverso, egli predisse che avrebbe subito una cattiva sorte, cosa che puntualmente si
avverò, poiché l’uccellino affogò in un vaso pieno d’acqua sul quale era salito per bere. E «non
si trovò gatto o bestia che osasse toccare il volatile maledetto dal Santo» (2Cel 47: FF 633).
Anche gli animali, in definitiva, dovevano obbedire al progetto di amore di Dio, per cui
egli esprimeva comunque delle opzioni preferenziali, prediligendo quelli che potevano essere
presi a modello per esaltare i valori evangelici. Ad esempio, negli ultimi tempi della sua vita,
dato che il suo stato di salute peggiorava sensibilmente, i suoi concittadini, temendo che potesse cessare di vivere lontano da Assisi – Francesco si era infatti stabilito a Bagnara, sopra Nocera
– e quindi che altri riuscissero a impossessarsi del suo corpo, inviarono subito dei cavalieri affinché lo riconducessero nella città sotto buona scorta; ebbene, a quegli armati che per quanto
si impegnassero nella ricerca di provviste da acquistare sulla via del ritorno, non riuscivano
nel loro proposito, egli si rivolse con queste parole: «Non avete trovato niente proprio perché
confidate nelle vostre mosche, cioè nel denaro, e non in Dio». Se teniamo conto del disprezzo
che Francesco faceva del denaro, possiamo ben comprendere come il paragone potesse risultare
poco lusinghiero per le mosche. D’altronde, egli stesso aveva attribuito l’appellativo di «frate
mosca» a un frate che, a causa della sua vita disordinata e poco edificante, costituiva per i confratelli un motivo di turbamento: questi, infatti, non voleva lavorare, né andare per l’elemosina
e neppure aveva troppa voglia di pregare; mangiava, però, quand’era il momento, senza farsi
alcuno scrupolo. A costui Francesco disse: «Va’ per la tua strada, frate mosca! Tu vuoi mangiare
il lavoro dei tuoi fratelli, ma sei ozioso nell’opera di Dio. Sei come il fuco, che non vuol gua-
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dagnare né faticare e divora il frutto della fatica delle api operose»9.
Se il fuco simboleggia il valore negativo dell’oziosità che porta a vivere alle spalle degli
altri, è Bonaventura a motivare la valenza negativa assunta dalla mosca. Secondo il dottore
serafico, infatti, quando Francesco «notava qualcuno ozioso e bighellone, che voleva mangiare
sulle fatiche degli altri, lo faceva denominare “frate mosca”, perché costui, non facendo niente
di buono e sporcando le buone azioni degli altri, si rende vile e abominevole a tutti» (LegM
V, 6: FF 1093). Interessante, poi, quanto riferisce frate Egidio nei suoi Detti; secondo l’antico
compagno del Santo, infatti, «al beato Francesco non piacevano molto le formiche a causa
dell’eccessiva sollecitudine a raccogliere cibo; ma gli piacevano di più gli uccelli del cielo, poiché “non raccolgono nei loro granai”»10.
Torniamo a fare della nostra terra un giardino
Non possiamo dunque comprendere la disposizione di Francesco nei riguardi del creato
e degli animali al di fuori di un orizzonte teocentrico, prescindendo cioè da Dio e dall’obbedienza che gli è dovuta11. Il rispetto dell’ambiente passa quindi nel suo insegnamento attraverso il rispetto e l’obbedienza dovuti al Creatore: egli era infatti ben cosciente che Dio aveva
creato l’universo come un giardino e voleva che l’uomo, riconquistato dal sangue di Cristo,
tornasse a obbedire al suo Creatore così che l’universo intero tornasse a essere quel giardino
che era stato in origine. L’obbedienza, sorella della carità (Salvir 3: FF 256), virtù poco amata
in ogni tempo, chiede all’uomo di adeguare i suoi progetti a quelli che sono i progetti di Dio;
un’obbedienza dovuta «non solo al Padre che è nei cieli, ma anche al progetto di vita che egli
ha inscritto nell’intera famiglia delle sue creature»12. E ha ben ragione Carlo Paolazzi quando
afferma che siamo, forse, di fronte al «messaggio più inatteso e inascoltato dell’intera cultura
religiosa dell’Occidente cristiano»13.
9. Cf., rispettivamente, CAss 96 (FF 1632: i denari paragonati alle mosche); CAss 97 (FF 1635: frate mosca). Le parole di Francesco
riferite dai Compagni vengono riprese testualmente dal Celanese: cf., rispettivamente, 2Cel 77 (FF 665); 2Cel 75 (FF 663).
10. Cf., Egidio d’Assisi, Detti VIII, 6, in Fonti agiografiche dell’Ordine francescano, a cura di M. T. Dolso, Padova 2014, p. 497, num.
1336. Sulla persona e sui Detti di frate Egidio, si veda ora: Egidio d’Assisi, Dicta, edizione critica a cura di S. Brufani (Edizione
nazionale delle fonti francescane, 1), Spoleto 2013.
11. Per altro verso, in riferimento al tema della pace, è stato rilevato giustamente che «gli usi pubblici e contemporanei della figura
del Santo oggi tendono spesso a indicare l’atteggiamento di Francesco nei confronti della pace come l’aspetto più importante e
caratteristico della sua esperienza cristiana, trascurando però di comprenderlo come una naturale conseguenza della sua concezione evangelica. Astratto dal contesto da cui prende senso e attualizzato, tale atteggiamento assume contorni mitici e ideali, finendo
col presentarsi come un’invenzione della memoria più che come una testimonianza della storia» [S. Migliore, San Francesco e lo
«spirito di Assisi», in Convivium Assisiense 9 (2007), pp. 54-55]. E ancora: «L’eccessivo insistere sulla dimensione pacifista e inerme
di Francesco d’Assisi – fuori soprattutto dal contesto di imitatio Christi che la ispirò – implica il rischio di grandi travisamenti» (ivi,
p. 55). Anche papa Francesco, nell’omelia durante la celebrazione eucaristica tenuta ad Assisi il 4 ottobre 2013, ha affermato: «San
Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto
e vissuto e ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. […] La pace francescana non
è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le
energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito!
La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi
gli uni gli altri come io vi ho amato».
12. Così Carlo Paolazzi, in Francesco d’Assisi, Scritti, p. 49 nota 13.
13. C. Paolazzi, Il Cantico di frate Sole (Le voci della preghiera, 5), Genova 1992, p. 104.
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Capitolo I
San Francesco Patrono dei Cultori dell’ecologia
Bolla S. Franciscus Assisiensis caelestis Patronus oecologiae cultorum eligitur
Contributi da L’Osservatore Romano
Interventi sull’ambiente dei Pontefici
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco
23
IOANNES PAULUS PP. II
LITTERAE APOSTOLICAE
INTER SANCTOS
S. FRANCISCUS ASSISIENSIS CAELESTIS
PATRONUS OECOLOGIAE CULTORUM ELIGITUR
Ad perpetuam rei memoriam.
Inter sanctos praeclarosque virus qui rerum naturam veluti mirificum donum a Deo humano
generi datum coluerunt, Sanctus Franciscus Assisiensis merito recensetur. Namque universa
Conditoris opera singulariter ille persensit ac, divino quodam spiritu inflatus, pulcherrimum
illud cecinit «Creaturarum Canticum» per quas, fratrem solem potissimum ac sororem lunam
caelique stellas, altissimo, omnipotenti bonoque Domino debitam tribuit laudem, gloriam,
honorem et omnem benedictionem. Peropportuno igitur consilio Venerabilis Frater Noster
Silvius S. R. E. Cardinalis Oddi, Sacrae Congregationis pro Clericis Praefectus, nomine praesertim sodalium Consociationis Internationalis vulgo «Planning environmental and ecologycal
Institute for quality life» nuncupatae, petivit ab hac Apostolica Sede ut Sanctus Franciscus
Assisiensis Patronus apud Deum oecologiae cultorum ediceretur. Nos quidem de sententia
Sacrae Congregationis pro Sacramentis et Cultu Divino, harum Litterarum vi perpetuumque
in modum, Sanctum Franciscum Assisiensem oecologiae cultorum Patronum caelestem renuntiamus, omnibus adiectis honoribus congruisque liturgicis privilegiis. Contrariis quibusvis non
obstantibus. Haec edicimus, decernentes praesentes Litteras religiose servari suosque effectus
sive nunc sive in posterum habere.
Datum Roma, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die undetricesimo mensis Novembris, anno
Domini millesimo nongentesimo septuagesimo nono, Pontificatus Nostri secundo.
AUGUSTINUS Card. CASAROLI, a publicis Ecclesiae negotiis
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L’Osservatore Romano - 23 aprile 1980
SAN FRANCESCO D’ASSISI PATRONO DELL’ECOLOGIA
CON UNA «BOLLA» DI GIOVANNI PAOLO II
Dal giorno di Pasqua di quest’anno (6 aprile), San Francesco d’Assisi oltre ad essere primario patrono d’Italia (fu Pio XII a nominarlo nel 1939) è anche patrono dell’ecologia. In una
speciale Bolla di Giovanni Paolo II firmata dal segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli si
legge quanto segue (la traduzione dal latino è nostra):
«Giovanni Paolo II a perpetua memoria.
Tra i santi e gli uomini illustri che hanno avuto un singolare culto per la natura, quale magnifico dono
fatto da Dio all’umanità, viene meritatamente annoverato San Francesco d’Assisi. Egli, infatti, ebbe
un alto sentimento di tutte le opere del Creatore, e quasi supernamente ispirato compose quel bellissimo
Cantico delle Creature, attraverso le quali, in particolare frate sole e sorella luna e le stelle, diede all’onnipotente e buon Signore, la dovuta lode, gloria, onore e ogni benedizone.
Perciò, con lodevolissima iniziativa, il Fratello Nostro Cardinale Silvio Oddi, Prefetto della Sacra
Congregazione per il Clero, a nome specialmente dei membri della Società internazionale Planning environmental and ecologycal Istitute for quality of life ha avanzato il voto a questa Apostolica Sede
perchè San Francesco d’Assisi fosse proclamato celeste patrono dei cultori dell’ecologia.
Noi pertanto, avuto il parere della Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto divino, in forza di
queste nostre Lettere ed in perpetuo, proclamiamo San Francesco d’Assisi celeste patrono dei cultori dell’ecologia con tutti gli onori e privilegi liturgici inerenti. Nonostante qualsiasi norma in contrario. Tanto
disponiamo ordinando che le presenti Lettere siano religiosamente conservate e sortiscano al presente ed in
futuro il loro pieno effetto.
Dato in Roma, presso San Pietro sotto l’anello del Pescatore, il giorno 29 novembre dell’anno del Signore
millenovecentosettantanove, secondo del Nostro Pontificato.»
La petizione al Santo Padre affinché il Poverello d’Assisi venisse proclamato «Patrono
dell’ecologia», è stata presentata, dal Cardinale Silvio Oddi che, oltre ad essere Prefetto della
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Sacra Congregazione per il Clero, è pure Legato Pontificio per la Basilica di San Francesco
d’Assisi.
«Non è un segreto – ha detto il Cardinale Oddi in una intervista alla Radio Vaticana – che
il problema ecologico ha acquistato in questi giorni, ed in questi ultimi tempi specialmente,
un’importanza, del tutto particolare, dato il carattere del problema. La mancanza, cioè, del rispetto per la natura, direi, la violenza che si fa alla medesima, con tante forme di inquinamento,
minaccia l’esistenza stessa dell’uomo. Basti pensare alla strage di pesci, che provocano l’inquinamento delle acque, basti pensare agli inconvenienti che si producono sotto varie forme alla
natura fisica, o la mancanza di rispetto di certe zone, destinate ad assicurare il respiro alle popolazioni delle grandi metropoli. Basti pensare alle gravi minacce che pesano sulla salute fisica
degli esseri umani, condannati ad assorbire attraverso la respirazione i miasmi sommamente
nocivi diffusi, dai moderni mezzi di vita. Questo spiega come in tante parti del mondo, non
esclusa l’Italia, siano sorti degli organismi che si propongono di difendere la natura, sapendo di
recare un grosso vantaggio all’umanità intera. Ed è proprio in occasione di questi simposi per il
rispetto della natura, ai quali ho avuto il piacere di portare la voce della Chiesa in materia, che è
sorta l’iniziativa di chiedere alla Santa Sede di proclamare San Francesco d’Assisi come patrono
degli ecologi».
«Sono state raccolte moltissime firme – ha detto ancora il Cardinale Oddi – da parte di
importanti personaggi del mondo intero, anche non cattolici, e di alcuni organismi nazionali
ed internazionali come. - per citare il più significativo - la Associazione Internazionale «Planning Environmental and Ecological Istitute for Quality of Life»; e la petizione è stata da me
presentata alla Santa Sede, e la Santa Sede, per il tramite della competente Congregazione per i
Sacramenti ed il Culto Divino, mi ha rimesso, alla fine dell’anno, una Bolla che proclama San
Francesco, il Poverello di Assisi, Patrono dei cultori dell’ecologia, per il grande amore da lui
dimostrato verso tutta la natura, al punto da chiamare «fratello» i sole e «sorella» la luna, come
tutti conosciamo. Io ho creduto di fare una cosa piacevole ai Francescani, rimettendo l’originale del Decreto ai Francescani Conventuali del Sacro Convento di San Francesco in Assisi,
perché sia conservato fra i cimeli, a gloria del Patrono d’Italia».
***
Francesco d’Assisi cantore del creato (basti pensare al famoso Cantico delle Creature) ripropone all’uomo del nostro tempo un messaggio di vita, di rispetto per la natura, di dialogo con
tutto il creato che «canta le meraviglie di Dio».
Fatto ad immagine e somiglianza di Dio, l’uomo non può distruggere quanto Iddio «creatore e signore di tutta la terra» ha posto al servizio dell’uomo e per il bene dell’uomo. Nel collaborare con Dio a questo processo di ricreazione l’uomo resta fedele al primordiale progetto di
Dio che ha voluto l’uomo al centro del creato e della storia. Francesco d’Assisi chiamava madre
la terra, fratello il sole, sorella la luna, era la conseguenza logica di un credo e di un amore
autentico per la natura creata da Dio.
G.G.
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L’Osservatore Romano - 16 luglio 1980
SAN FRANCESCO D’ASSISI PATRONO DELL’ECOLOGIA
Siamo il gruppo dei giovani della lega di San Francesco per la difesa della natura e degli
animali. Ognuno di noi vorrebbe che tutti potessero costruire «l’Arca di Noè» per salvare l’uomo e tutti gli animali; vhe tutti scoprissero l’armonia dell’universo, la bontà di tutto il creato e
quindi l’amore che, tramite la natura e i suoi beni, Dio da all’uomo. «Canto la tua gloria, Dio
della vita...canto la tua gloria, Dio dell’amore...».
Come Francesco d’Assisi si esprime nel «Cantico delle Creature». Grande e vivissima gioia
abbiamo provato il giorno di Pasqua nell’apprendere che il Papa ha proclamato S. Francesco
d’Assisi Patrono dell’ecologia.
Nella «Bolla di nomina» il Papa invita «ad un singolare culto per la natura, quale magnifico dono fatto da Dio all’umanità...». L’ecologia diventa teologia. Già S. Paolo (Rom 9,19) aveva
impostato nella concezione cosmica la redenzione e la resurrezione di Cristo. anche il creato
partecipa al grande rinnovamento di tutte le cose. Uomo e animali, fiori, piante, acqua, sole,
stelle, luna, vento, fuoco, mare, e monti, prati e paesaggio, tutto è in Dio, nella sua bellezza,
nella sua potenza, nel suo amore.
Come sempre, nel pomeriggio delle grandi feste, il nostri gruppo si porta o in campagna
o sui monti o sul mare o sulla riva di qualche fiume, per studiare e contemplare il Creato che è
«Magnum theatrum Dei» (S. Ambrogio: Esamerone) e il «Primo rivelatore di Dio» (Paolo VI).
Nel giorno di Pasqua, quest’anno ci portiamo sulla riva sinistra del Brenta nell’alto Cittadellese (PD) zona celebre per la presenza di cardellini, di allodole, di rondini, di farfalle. E’ un
pomeriggio stupendo di sole, rosso e bello, che indora i rami delle piante già con le gemme in
movimento. Sulle sponde del fiume e dei fossi si intravvedono le primule, le piccole margherite, le viole. Tutto annuncia l’arrivo della primavera. Dopo la lettura di alcuni Salmi recitati
con il sottofondo delle chitarre su brani di alta musica classica, con in cuore la gioia per il gesto
del Papa che ha proclamato S. Francesco «Patrono dell’ecologia», intravvediamo il sorgere della
luna piena. Cantiamo «Fratello sole, Sorella luna».
Nel momento di lasciare i prati, incontriamo un vecchietto che sta seguendo la sua bella capretta tutta intenta a brucare i primi ciuffi d’erba: «Come mai, gli chiediamo, non si sente ne si vede
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un uccello?...» «Ah, ci risponde, non ce ne sono più... cacciatori, insetticidi, anticrittogamici,
fertilizzanti... tutto finisce!...».
Un colpo di amarezza. Scomparso il cardellino?... un uccellino così bello, dal ciuffo nero,
fronte e gola di color rosso fino agli occhi, coda nera con apici bianchi, ali e fasce gialle, nere e
bianche, dal canto dolcissimo e fringuellino. E l’allodola? L’uccelletto che ha ispirato a Dante
la più alta espressione poetica (Par. XXV vv. 72-77)
Siamo nella società dei consumi, spinti fino allo spreco, con una industrializzazione non
regolata e un tecnicismo indisciplinato. Un comportamento libertario che porta a conseguenze
tragiche: erosione dei terreni, desertificazioni, perdita di terreni agricoli, inquinamento, disboscamento, degradazione e distruzione degli ecosistemi, estinzione della specie e delle loro
varietà (vedi L’Osservatore Romano del 6 giugno u.s.).
Problemi grossi e vitali per l’uomo che l’ONU e l’Europa stessa hanno studiato nella
«Giornata mondiale per l’ambiente».
Il rimedio a tutti questi mai? L’amore! Solo l’amore è vita. Francesco d’Assisi andava per le
strade, per i campi, per le piazze, davanti le stesse Chiese cantando e ballando: «...Laudato si’,
mi’ Signore, per sora nostra matre terra, / la quale ne sustenta et governa / et produce diversi
fructi con coloriti flori et herba...»
Mons. Giovanni Mason con il Gruppo giovani della Lega di S. Francesco di Padova
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LETTERA ENCICLICA
REDEMPTOR HOMINIS
DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II
AI VENERATI FRATELLI NELL’EPISCOPATO
AI SACERDOTI E ALLE FAMIGLIE RELIGIOSE
AI FIGLI E FIGLIE DELLA CHIESA
E A TUTTI GLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ
ALL’INIZIO DEL SUO MINISTERO PONTIFICALE
15. Di che cosa ha paura l’uomo contemporaneo
L’uomo d’oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle
sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa
multiforme attività dell’uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono non soltanto
e non tanto oggetto di «alienazione», nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha
prodotti; quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effetti, questi
frutti si rivolgono contro l’uomo stesso. Essi sono, infatti, diretti, o possono esser diretti contro di lui.
In questo sembra consistere l’atto principale del dramma dell’esistenza umana contemporanea, nella
sua più larga ed universale dimensione. L’uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme
che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che
contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in
modo radicale contro lui stesso; teme che possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione, di fronte alla quale tutti i cataclismi e le catastrofi della storia, che noi conosciamo,
sembrano impallidire. Deve nascere, quindi, un interrogativo: per quale ragione questo potere, dato
sin dall’inizio all’uomo, potere per il quale egli doveva dominare la terra, si rivolge contro lui stesso,
provocando un comprensibile stato d’inquietudine, di cosciente o incosciente paura, di minaccia, che
in vari modi si comunica a tutta la famiglia umana contemporanea e si manifesta sotto vari aspetti?
Questo stato di minaccia per l’uomo, da parte dei suoi prodotti, ha varie direzioni e vari gradi di
intensità. Sembra che siamo sempre più consapevoli del fatto che lo sfruttamento della terra, del
pianeta su cui viviamo, esiga una razionale ed onesta pianificazione. Nello stesso tempo, tale sfruttamento per scopi non soltanto industriali, ma anche militari, lo sviluppo della tecnica non controllato
né inquadrato in un piano a raggio universale ed autenticamente umanistico, portano spesso con sé
la minaccia all’ambiente naturale dell’uomo, lo alienano nei suoi rapporti con la natura, lo distolgono
da essa. L’uomo sembra spesso non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo. Invece, era volontà del Creatore che
l’uomo comunicasse con la natura come «padrone» e «custode» intelligente e nobile, e non come
«sfruttatore» e «distruttore» senza alcun riguardo.
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LETTERA ENCICLICA
SOLLICITUDO REI SOCIALIS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL XX ANNIVERSARIO
DELLA POPULORUM PROGRESSIO
34. Il carattere morale dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per gli esseri che
formano la natura visibile e che i Greci, alludendo appunto all’ordine che la contraddistingue,
chiamavano il «cosmo». Anche tali realtà esigono rispetto, in virtù di una triplice considerazione, su cui giova attentamente riflettere. La prima consiste nella convenienza di prendere
crescente consapevolezza che non si può fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri
viventi o inanimati - animali, piante, elementi naturali -come si vuole, a seconda delle proprie
esigenze economiche. Al contrario, occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua
mutua connessione in un sistema ordinato, ch’è appunto il cosmo.
La seconda considerazione, invece, si fonda sulla costatazione, si direbbe più pressante, della
limitazione delle risorse naturali, alcune delle quali non sono, come si dice, rinnovabili. Usarle
come se fossero inesauribili, con assoluto dominio, mette seriamente in pericolo la loro disponibilità non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future.
La terza considerazione si riferisce direttamente alle conseguenze che un certo tipo di sviluppo ha
sulla qualità della vita nelle zone industrializzate. Sappiamo tutti che risultato diretto o indiretto
dell’industrializzazione e, sempre più di frequente, la contaminazione dell’ambiente, con gravi
conseguenze per la salute della popolazione.
Ancora una volta risulta evidente che lo sviluppo, la volontà di pianificazione che lo governa,
l’uso delle risorse e la maniera di utilizzarle non possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali. Una di queste impone senza dubbio limiti all’uso della natura visibile. Il dominio
accordato dal Creatore all’uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di «usare
e abusare», o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso
Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di «mangiare il frutto
dell’albero» (Gen2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile,
siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente
trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni
- relative all’uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di
una industrializzazione disordinata -, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione
morale, che deve distinguere lo sviluppo.
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XXIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 1990
PACE CON DIO CREATORE.
PACE CON TUTTO IL CREATO
1. Si avverte ai nostri giorni la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata,
oltre che dalla corsa agli armamenti, dai conflitti regionali e dalle ingiustizie tuttora esistenti
nei popoli e tra le nazioni, anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle sue risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita.
Tale situazione genera un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di
egoismo collettivo, di accaparramento e di prevaricazione.
Di fronte al diffuso degrado ambientale l’umanità si rende ormai conto che non si può continuare ad usare i beni della terra come nel passato. L’opinione pubblica ed i responsabili politici
ne sono preoccupati, mentre studiosi delle più diverse discipline ne esaminano le cause. Sta
così formandosi una coscienza ecologica, che non deve essere mortificata, ma anzi favorita,
in modo che si sviluppi e maturi trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative
concrete.
2. Non pochi valori etici, di fondamentale importanza per lo sviluppo di una società pacifica,
hanno una diretta relazione con la questione ambientale. L’interdipendenza delle molte sfide,
che il mondo odierno deve affrontare, conferma l’esigenza di soluzioni coordinate, basate su
una coerente visione morale del mondo.
Per il cristiano una tale visione poggia sulle convinzioni religiose attinte alla Rivelazione. Ecco
perché, all’inizio di questo messaggio, desidero richiamare il racconto biblico della creazione,
e mi auguro che coloro i quali non condividono le nostre convinzioni di fede possano egualmente trovarvi utili spunti per una comune linea di riflessione e di impegno.
I - «E Dio vide che era cosa buona»
3. Nelle pagine della Genesi, nelle quali è consegnata la prima autorivelazione di Dio alla umanità (1-3), ricorrono come un ritornello le parole: «E Dio vide che era cosa buona». Ma quando,
dopo aver creato il cielo e il mare, la terra e tutto ciò che essa contiene, Iddio crea l’uomo e la
donna, l’espressione cambia notevolmente: «E Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa
molto buona» (Gen 1, 31). All’uomo e alla donna Dio affidò tutto il resto della creazione, ed
allora come leggiamo - potè riposare «da ogni suo lavoro» (Gen 2, 3).
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La chiamata di Adamo ed Eva a partecipare all’attuazione del piano di Dio sulla creazione
stimolava quelle capacità e quei doni che distinguono la persona umana da ogni altra creatura
e, nello stesso tempo, stabiliva un ordinato rapporto tra gli uomini e l’intero creato. Fatti ad
immagine e somiglianza di Dio, Adamo ed Eva avrebbero dovuto esercitare il loro dominio
sulla terra (cfr. Gen 1, 28) con saggezza e con amore. Essi, invece, con il loro peccato distrussero
l’armonia esistente ponendosi deliberatamente contro il disegno del Creatore. Ciò portò non
solo all’alienazione dell’uomo da se stesso, alla morte e al fratricidio, ma anche ad una certa
ribellione della terra nei suoi confronti (cfr.Gen 3, 17-19; 4,12). Tutto il creato divenne soggetto
alla caducità, e da allora attende, in modo misterioso, di esser liberato per entrare nella libertà
gloriosa insieme con tutti i figli di Dio (cfr. Rm 8, 20-21).
4. I cristiani professano che nella morte e nella Risurrezione di Cristo si è compiuta l’opera
di riconciliazione dell’umanità col Padre, a cui «piacque . . . riconciliare a sè tutte le cose,
pacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col1, 19-20). La creazione è stata così rinnovata (cfr. Ap 21, 5), e su
di essa, prima sottoposta alla «schiavitù» della morte e della corruzione (cfr. Rm 8, 21), si è
effusa una nuova vita, mentre noi «aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà
stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3, 13). Così il Padre «ci ha fatto conoscere il mistero della
sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo
nella pienezza dei tempi: cioè il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1, 9-10).
5. Queste considerazioni bibliche illuminano meglio il rapporto tra l’agire umano e l’integrità
del creato. Quando si discosta dal disegno di Dio creatore, l’uomo provoca un disordine che
inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra
stessa non è in pace: «Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli
animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno» (Os 4, 3).
L’esperienza di questa «sofferenza» della terra è comune anche a coloro che non condividono la
nostra fede in Dio. Stanno, infatti, sotto gli occhi di tutti le crescenti devastazioni causate nel
mondo della natura dal comportamento di uomini indifferenti alle esigenze recondite, eppure
chiaramente avvertibili, dell’ordine e dell’armonia che lo reggono.
Ci si chiede, pertanto, con ansia se si possa ancora porre rimedio ai danni provocati. E’ evidente
che un’idonea soluzione non può consistere semplicemente in una migliore gestione, o in un
uso meno irrazionale delle risorse della terra. Pur riconoscendo l’utilità pratica di simili misure,
sembra necessario risalire alle origini e affrontare nel suo insieme la profonda crisi morale, di
cui il degrado ambientale è uno degli aspetti preoccupanti.
II - La crisi ecologica: un problema morale
6. Alcuni elementi della presente crisi ecologica ne rivelano in modo evidente il carattere morale. Tra essi, in primo luogo, è da annoverare l’applicazione indiscriminata dei progressi scien34
tifici e tecnologici. Molte recenti scoperte hanno arrecato innegabili benefici all’umanità; esse,
anzi, manifestano quanto sia nobile la vocazione dell’uomo a partecipare responsabilmente
all’azione creatrice di Dio nel mondo. Si è, però, constatato che la applicazione di talune
scoperte nell’ambito industriale ed agricolo produce, a lungo termine, effetti negativi. Ciò
ha messo crudamente in rilievo come ogni intervento in un’area dell’ecosistema non possa
prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle
future generazioni.
Il graduale esaurimento dello strato di ozono e l’«effetto serra» hanno ormai raggiunto dimensioni critiche a causa della crescente diffusione delle industrie, delle grandi concentrazioni urbane e dei consumi energetici. Scarichi industriali, gas prodotti dalla combustione di carburanti
fossili, incontrollata deforestazione, uso di alcuni tipi di diserbanti, refrigeranti e propellenti:
tutto ciò - com’è noto - nuoce all’atmosfera ed all’ambiente. Ne sono derivati molteplici cambiamenti meteorologici ed atmosferici, i cui effetti vanno dai danni alla salute alla possibile
futura sommersione delle terre basse.
Mentre in alcuni casi il danno forse è ormai irreversibile, in molti altri esso può ancora essere
arrestato. E’ doveroso, pertanto, che l’intera comunità umana - individui, Stati ed organismi
internazionali - assuma seriamente le proprie responsabilità.
7. Ma il segno più profondo e più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita, quale si avverte in molti comportamenti
inquinanti. Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità del lavoratore e gli
interessi economici vengono prima del bene delle singole persone, se non addirittura di quello
di intere popolazioni. In questi casi, l’inquinamento o la distruzione riduttiva e innaturale, che
talora configura un vero e proprio disprezzo dell’uomo.
Parimenti, delicati equilibri ecologici vengono sconvolti per un’incontrollata distruzione delle
specie animali e vegetali o per un incauto sfruttamento delle risorse; e tutto ciò - giova ricordare
- anche se compiuto nel nome del progresso e del benessere, non torna, in effetti, a vantaggio
dell’umanità.
Infine, non si può non guardare con profonda inquietudine alle formidabili possibilità della
ricerca biologica. Forse non è ancora in grado di misurare i turbamenti indotti in natura da una
indiscriminata manipolazione genetica e dallo sviluppo sconsiderato di nuove specie di piante
e forme di vita animale, per non parlare di inaccettabili interventi sulle origini della stessa vita
umana. A nessuno sfugge come, in un settore così delicato, l’indifferenza o il rifiuto delle norme etiche fondamentali portino l’uomo alla soglia stessa dell’autodistruzione.
E’ il rispetto per la vita e, in primo luogo, per la dignità della persona umana la fondamentale
norma ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico.
E’ a tutti evidente la complessità del problema ecologico. Esistono, tuttavia, alcuni principi
basilari che, nel rispetto della legittima autonomia e della specifica competenza di quanti sono
in esso impegnati, possono indirizzare la ricerca verso idonee e durature soluzioni. Si tratta di
principi essenziali per la costruzione di una società pacifica, la quale non può ignorare nè il
rispetto per la vita, nè il senso dell’integrità del creato.
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III - Alla ricerca di una soluzione
8. Teologia, filosofia e scienza concordano nella visione di un universo armonioso, cioè di un
vero «cosmo», dotato di una sua integrità e di un suo interno e dinamico equilibrio. Questo ordine deve essere rispettato: l’umanità è chiamata ad esplorarlo, a scoprirlo con prudente cautela
e a fame poi uso salvaguardando la sua integrità.
D’altra parte, la terra è essenzialmente un’eredità comune, i cui frutti devono essere a beneficio
di tutti. «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e
popoli», ha riaffermato il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 69). Ciò ha dirette implicazioni per il nostro problema. E’ ingiusto che pochi privilegiati continuino ad accumulare beni
superflui dilapidando le risorse disponibili, quando moltitudini di persone vivono in condizioni di miseria, al livello minimo di sostentamento. Ed è ora la stessa drammatica dimensione del
dissesto ecologico ad insegnarci quanto la cupidigia e l’egoismo, individuali o collettivi, siano
contrari all’ordine del creato, nel quale è inscritta anche la mutua interdipendenza.
9. I concetti di ordine nell’universo e di eredità comune mettono entrambi in rilievo che è necessario un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato a livello internazionale. Le dimensioni dei problemi ambientali superano, in molti casi, i confini dei singoli Stati: la
loro soluzione, dunque, non può essere trovata unicamente a livello nazionale. Recentemente
sono stati registrati alcuni promettenti passi verso questa auspicata azione internazionale, ma
gli strumenti e gli organismi esistenti sono ancora inadeguati allo sviluppo di un piano coordinato di intervento. Ostacoli politici, forme di nazionalismo esagerato ed interessi economici,
per non ricordare che alcuni fattori, rallentano, o addirittura impediscono la cooperazione
internazionale e l’adozione di efficaci iniziative a lungo termine.
L’asserita necessità di un’azione concertata a livello internazionale non comporta certo una
diminuzione della responsabilità dei singoli Stati. Questi, infatti, debbono non solo dare applicazione alle norme approvate insieme con le autorità di altri Stati, ma anche favorire, al
loro interno, un adeguato assetto socio-economico, con particolare attenzione ai settori più
vulnerabili della società. Spetta ad ogni Stato, nell’ambito del proprio territorio, il compito
di prevenire il degrado dell’atmosfera e della biosfera, controllando attentamente, tra l’altro,
gli effetti delle nuove scoperte tecnologiche o scientifiche, ed offrendo ai propri cittadini la
garanzia di non essere esposti ad agenti inquinanti o a rifiuti tossici. Oggi si parla sempre più
insistentemente del diritto ad un ambiente sicuro, come di un diritto che dovrà rientrare in
un’aggiornata carta dei diritti dell’uomo.
IV - L’urgenza di una nuova solidarietà
10. La crisi ecologica pone in evidenza l’urgente necessità morale di una nuova solidarietà, specialmente nei rapporti tra i paesi in via di sviluppo e i paesi altamente industrializzati. Gli Stati
debbono mostrarsi sempre più solidali e fra loro complementari nel promuovere lo sviluppo di
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un ambiente naturale e sociale pacifico e salubre. Ai paesi da poco industrializzati, per esempio,
non si può chiedere di applicare alle proprie industrie nascenti certe norme ambientali restrittive, se gli Stati industrializzati non le applicano per primi al loro interno. Da parte loro, i paesi
in via di industrializzazione non possono moralmente ripetere gli errori compiuti da altri nel
passato, continuando a danneggiare l’ambiente con prodotti inquinanti, deforestazioni eccessive o sfruttamento illimitato di risorse inesauribili. In questo stesso contesto è urgente trovare
una soluzione al problema del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti tossici.
Nessun piano, nessuna organizzazione, tuttavia, sarà in grado di operare i cambiamenti intravisti, se i responsabili delle nazioni di tutto il mondo non saranno veramente convinti della
assoluta necessità di questa nuova solidarietà, che la crisi ecologica richiede e che è essenziale
per la pace. Tale esigenza offrirà opportune occasioni per consolidare le pacifiche relazioni tra
gli Stati.
11. Occorre anche aggiungere che non si otterrà il giusto equilibrio ecologico, se non saranno
affrontate direttamente le forme strutturali di povertà esistenti nel mondo. Ad esempio, la povertà rurale e la distribuzione della terra in molti paesi hanno portato ad un’agricoltura di mera
sussistenza e all’impoverimento dei terreni. Quando la terra non produce più, molti contadini
si trasferiscono in altre zone, incrementando spesso il processo di deforestazione incontrollata, o si stabiliscono in centri urbani già carenti di strutture e servizi. Inoltre, alcuni paesi
fortemente indebitati stanno distruggendo il loro patrimonio naturale con la conseguenza di
irrimediabile squilibri ecologici, pur di ottenere nuovi prodotti di esportazione. Di fronte a tali
situazioni, tuttavia, mettere sotto accusa soltanto i poveri per gli effetti ambientali negativi da
essi provocati, sarebbe un modo inaccettabile di valutare le responsabilità. Occorre, piuttosto,
aiutare i poveri, a cui la terra e affidata come a tutti gli altri, a superare la loro povertà, e ciò richiede una coraggiosa riforma delle strutture e nuovi schemi nei rapporti tra gli Stati e i popoli.
12. Ma c’è un’altra pericolosa minaccia che ci sovrasta: la guerra. La scienza moderna dispone
già, purtroppo, della capacità di modificare l’ambiente con intenti ostili, e tale manomissione
potrebbe avere a lunga scadenza effetti imprevedibili e ancora più gravi. Nonostante che accordi internazionali proibiscano la guerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che
nei laboratori continua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alterare gli
equilibri naturali.
Oggi qualsiasi forma di guerra su scala mondiale causerebbe incalcolabili danni ecologici. Ma
anche le guerre locali o regionali, per limitate che siano, non solo distruggono le vite umane
e le strutture della società, ma danneggiano la terra, rovinando i raccolti e la vegetazione e
avvelenando i terreni e le acque. I sopravvissuti alla guerra si trovano nella necessità di iniziare
una nuova vita in condizioni naturali molto difficili, che creano a loro volta situazioni di grave
disagio sociale, con conseguenze negative anche di ordine ambientale.
13. La società odierna non troverà soluzione al problema ecologico, se non rivedrà seriamente
il suo stile di vita. In molte parti del mondo essa è incline all’edonismo e al consumismo e resta
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indifferente ai danni che ne derivano. Come ho già osservato, la gravità della situazione ecologica rivela quanto sia profonda la crisi morale dell’uomo. Se manca il senso del valore della
persona e della vita umana, ci si disinteressa degli altri e della terra. L’austerità, la temperanza,
la autodisciplina e lo spirito di sacrificio devono informare la vita di ogni giorno affinché non
si sia costretti da parte di tutti a subire le conseguenze negative della noncuranza dei pochi.
C’è dunque l’urgente bisogno di educare alla responsabilità ecologica: responsabilità verso gli
altri; responsabilità verso l’ambiente. E un’educazione che non può essere basata semplicemente sul sentimento o su un indefinito velleitarismo. Il suo fine non può essere né ideologico né
politico, e la sua impostazione non può poggiare sul rifiuto del mondo moderno o sul vago
desiderio di un ritorno al «paradiso perduto». La vera educazione alla responsabilità comporta
un’autentica conversione nel modo di pensare e nel comportamento. Al riguardo, le Chiese e le
altre istituzioni religiose, gli organismi governativi, anzi tutti i componenti della società hanno
un preciso ruolo da svolgere. Prima educatrice, comunque, rimane la famiglia, nella quale il
fanciullo impara a rispettare il prossimo e ad amare la natura.
14. Non si può trascurare, infine, il valore estetico del creato. Il contatto con la natura è di per
sé profondamente rigeneratore come la contemplazione del suo splendore dona pace e serenità.
La Bibbia parla spesso della bontà e della bellezza della creazione, chiamata a dar gloria a Dio
(cfr. ex gr., Gen 1, 4 ss; Sal 8, 2; 104[103],1ss; Sap 13, 3-5; Sir 39,16.33; 43, 1.9).
Forse più difficile, ma non meno intensa, può essere la contemplazione delle opere dell’ingegno umano. Anche le città possono avere una loro particolare bellezza, che deve spingere le
persone a tutelare l’ambiente circostante. Una buona pianificazione urbana è un aspetto importante della protezione ambientale, e il rispetto per le caratteristiche morfologiche della terra e
un indispensabile requisito per ogni insediamento ecologicamente corretto. Non va trascurata,
insomma, la relazione che c’è tra un’adeguata educazione estetica e il mantenimento di un
ambiente sano.
V - La questione ecologica: una responsabilità di tutti
15. Oggi la questione ecologica ha assunto tali dimensioni da coinvolgere la responsabilità di
tutti. I vari aspetti di essa, che ho illustrato, indicano la necessità di sforzi concordati, al fine
di stabilire i rispettivi doveri ed impegni dei singoli, dei popoli, degli Stati e della comunità
internazionale. Ciò non solo va di pari passo con i tentativi di costruire la vera pace, ma oggettivamente li conferma e li rafforza. Inserendo la questione ecologica nel più vasto contesto
della causa della pace nella società umana, ci si rende meglio conto di quanto sia importante
prestare attenzione a ciò che la terra e l’atmosfera ci rivelano: nell’universo esiste un ordine che
deve essere rispettato; la persona umana, dotata della possibilità di libera scelta, ha una grave
responsabilità per la conservazione di questo ordine, anche in vista del benessere delle generazioni future. La crisi ecologica - ripeto ancora - è un problema morale.
Anche gli uomini e le donne che non hanno particolari convinzioni religiose, per il senso delle
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proprie responsabilità nei confronti del bene comune, riconoscono il loro dovere di contribuire
al risanamento dell’ambiente. A maggior ragione, coloro che credono in Dio creatore e, quindi,
sono convinti che nel mondo esiste un ordine ben definito e finalizzato devono sentirsi chiamati ad occuparsi del problema. I cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede.
Essi, pertanto, sono consapevoli del vasto campo di cooperazione ecumenica ed interreligiosa
che si apre dinanzi a loro.
16. A conclusione di questo messaggio, desidero rivolgermi direttamente ai miei fratelli e alle
mie sorelle della Chiesa cattolica per ricordar loro l’importante obbligo di prendersi cura di
tutto il creato. L’impegno del credente per un ambiente sano nasce direttamente dalla sua fede
in Dio creatore, dalla valutazione degli effetti del peccato originale e dei peccati personali e
dalla certezza di essere stato redento da Cristo. Il rispetto per la vita e per la dignità della persona umana include anche il rispetto e la cura del creato, che è chiamato ad unirsi all’uomo per
glorificare Dio (cfr. Sal 148[147] et Sal96[95]).
San Francesco d’Assisi, che nel 1979 ho proclamato celeste patrono dei cultori dell’ecologia (cfr.
Inter Sanctos: AAS 71 [1979], 1509s), offre ai cristiani l’esempio dell’autentico e pieno rispetto
per l’integrità del creato. Amico dei poveri, amato dalle creature di Dio, egli invitò tutti - animali, piante, forze naturali, anche fratello sole e sorella luna - ad onorare e lodare il Signore.
Dal Poverello di Assisi ci viene la testimonianza che, essendo in pace con Dio, possiamo meglio
dedicarci a costruire la pace con tutto il creato, la quale è inseparabile dalla pace tra i popoli.
Auspico che la sua ispirazione ci aiuti a conservare sempre vivo il senso della «fraternità» con
tutte le cose create buone e belle da Dio onnipotente, e ci ricordi il grave dovere di rispettarle e
custodirle con cura, nel quadro della più vasta e più alta fraternità umana.
Dal Vaticano, 8 dicembre dell’anno 1989.
IOANNES PAULUS PP. II
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LETTERA ENCICLICA
CENTESIMUS ANNUS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL CENTENARIO DELLA “RERUM NOVARUM”
36. Conviene ora rivolgere l’attenzione agli specifici problemi ed alle minacce, che insorgono
all’interno delle economie più avanzate e sono connesse con le loro peculiari caratteristiche.
Nelle precedenti fasi dello sviluppo, l’uomo è sempre vissuto sotto il peso della necessità: i suoi
bisogni erano pochi, fissati in qualche modo già nelle strutture oggettive della sua costituzione
corporea, e l’attività economica era orientata a soddisfarli. È chiaro che oggi il problema non
è solo di offrirgli una quantità di beni sufficienti, ma è quello di rispondere ad una domanda
di qualità: qualità delle merci da produrre e da consumare; qualità dei servizi di cui usufruire;
qualità dell’ambiente e della vita in generale.
La domanda di un’esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in sé cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi
con questa fase storica. Nel modo in cui insorgono e sono definiti i nuovi bisogni, è sempre
operante una concezione più o meno adeguata dell’uomo e del suo vero bene: attraverso le
scelte di produzione e di consumo si manifesta una determinata cultura, come concezione
globale della vita. È qui che sorge il fenomeno del consumismo. Individuando nuovi bisogni
e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un’immagine
integrale dell’uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali
e istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti e
prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare
abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute
fisica e spirituale. Il sistema economico non possiede al suo interno criteri che consentano di
distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani
dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità. È, perciò,
necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l’educazione
dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso
di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa,
oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità.
Un esempio vistoso di consumo artificiale, contrario alla salute e alla dignità dell’uomo e
certo non facile a controllare, è quello della droga. La sua diffusione è indice di una grave disfunzione del sistema sociale e sottintende anch’essa una «lettura» materialistica e, in un certo
senso, distruttiva dei bisogni umani. Così la capacità innovativa dell’economia libera finisce
con l’attuarsi in modo unilaterale ed inadeguato. La droga come anche la pornografia ed altre
forme di consumismo, sfruttando la fragilità dei deboli, tentano di riempire il vuoto spirituale
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che si è venuto a creare.
Non è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume esser migliore, quando è orientato all’avere e non all’essere e vuole avere di più non per essere di più, ma
per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso. È necessario, perciò, adoperarsi per
costruire stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli
altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi,
dei risparmi e degli investimenti. In proposito, non posso ricordare solo il dovere della carità,
cioè il dovere di sovvenire col proprio «superfluo» e, talvolta, anche col proprio «necessario»
per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero. Alludo al fatto che anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è
sempre una scelta morale e culturale. Poste certe condizioni economiche e di stabilità politica
assolutamente imprescindibili, la decisione di investire, cioè di offrire ad un popolo l’occasione
di valorizzare il proprio lavoro, è anche determinata da un atteggiamento di simpatia e dalla
fiducia nella Provvidenza, che rivelano la qualità umana di colui che decide.
37. Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa
vita. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico,
purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un
certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla
base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre
arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non
avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera
della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura,
piuttosto tiranneggiata che governata da lui.
Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell’uomo, animato
dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell’atteggiamento
disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa
leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l’umanità
di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future.
38. Oltre all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più
grave, dell’ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione.
Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli
«habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto
che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all’equilibrio generale della terra, ci si
impegna troppo poco persalvaguardare le condizioni morali di un’autentica «ecologia umana».
Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è donato a se stesso da Dio e deve,
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perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in
questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo
preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un’«ecologia sociale»
del lavoro.
L’uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura
sociale in cui vive, dall’educazione ricevuta e dall’ambiente. Questi elementi possono facilitare
oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un
ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con
più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza.
39. La prima e fondamentale struttura a favore dell’«ecologia umana» è la famiglia, in seno alla
quale l’uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende
che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una
persona. Si intende qui la famiglia fondata sul matrimonio, in cui il dono reciproco di sé da
parte dell’uomo e della donna crea un ambiente di vita nel quale il bambino può nascere e
sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare
il suo unico ed irripetibile destino. Spesso accade, invece, che l’uomo è scoraggiato dal realizzare le condizioni autentiche della riproduzione umana, ed è indotto a considerare se stesso
e la propria vita come un insieme di sensazioni da sperimentare anziché come un’opera da
compiere. Di qui nasce una mancanza di libertà che fa rinunciare all’impegno di legarsi stabilmente con un’altra persona e di generare dei figli, oppure induce a considerare costoro come
una delle tante «cose» che è possibile avere o non avere, secondo i propri gusti, e che entrano
in concorrenza con altre possibilità.
Occorre tornare a considerare la famiglia come il santuario della vita. Essa, infatti, è sacra: è il
luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita umana.
Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita.
L’ingegno dell’uomo sembra orientarsi, in questo campo, più a limitare, sopprimere o annullare le fonti della vita ricorrendo perfino all’aborto, purtroppo così diffuso nel mondo, che a
difendere e ad aprire le possibilità della vita stessa. Nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis sono
state denunciate le campagne sistematiche contro la natalità, che, in base ad una concezione
distorta del problema demografico e in un clima di «assoluta mancanza di rispetto per la libertà
di decisione delle persone interessate», le sottopongono non di rado «a intolleranti pressioni ...
per piegarle a questa forma nuova di oppressione». Si tratta di politiche che con nuove tecniche
estendono il loro raggio di azione fino ad arrivare, come in una «guerra chimica», ad avvelenare
la vita di milioni di esseri umani indifesi.
Queste critiche sono rivolte non tanto contro un sistema economico, quanto contro un sistema
etico-culturale. L’economia, infatti, è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con
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l’occupare il centro della vita sociale e diventano l’unico valore della società, non subordinato
ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto
nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è
indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi.
Tutto ciò si può riassumere affermando ancora una volta che la libertà economica è soltanto
un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l’uomo è
visto più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e
consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con
l’alienarla ed opprimerla.
40. È compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l’ambiente naturale e l’ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici
meccanismi di mercato. Come ai tempi del vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di
difendere i diritti fondamentali del lavoro, così ora col nuovo capitalismo esso e l’intera società
hanno il dovere didifendere i beni collettivi che, tra l’altro, costituiscono la cornice al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire legittimamente i suoi fini individuali.
Si ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non
possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che
sfuggono alla sua logica; ci sono dei beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si
debbono vendere e comprare. Certo, i meccanismi di mercato offrono sicuri vantaggi: aiutano,
tra l’altro, ad utilizzare meglio le risorse; favoriscono lo scambio dei prodotti e, soprattutto,
pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con
quelle di un’altra persona. Tuttavia, essi comportano il rischio di un’«idolatria» del mercato,
che ignora l’esistenza dei beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci.
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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI STUDIOSI PARTECIPANTI ALLA SETTIMANA
DI STUDIO SU «RISORSE E POPOLAZIONE»
Venerdì, 22 novembre 1991
7. Abbiamo tutti precisi doveri verso le generazioni a venire: sta qui una dimensione essenziale
del problema, che spinge a basare le nostre indicazioni su valide prospettive in ordine allo sviluppo demografico e alla disponibilità delle risorse.
Premessa della conservazione delle risorse e la convivenza pacifica degli uomini, poiché - com’è
generalmente riconosciuto - le guerre sono fra i peggiori devastatori ambientali. Premessa della
convivenza pacifica è a sua volta la solidarietà, frutto di un alto senso morale. Le virtù basilari
della vita sociale costituiscono il terreno propizio per la solidarietà mondiale, di cui ho parlato
nella Sollicitudo rei socialis, solidarietà dalla quale dipende principalmente la soluzione delle
questioni da voi trattate.
8. In questo contesto occorre un forte comune impegno nella riforma delle Istituzioni che
punti all’innalzamento del livello d’istruzione e maturazione personale grazie ad un sistema
educativo adeguato; al rafforzamento dell’iniziativa e alla creazione di posti di lavoro con
corrispondenti investimenti. La distruzione dell’ambiente causata dall’industria e dai prodotti
industriali deve essere ridotta secondo precisi piani ed impegni anche a livello internazionale.
Si impone un’opera di radicale revisione dell’attuale stato di fatto.
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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DEL COMITATO ORGANIZZATORE DEL
PREMIO INTERNAZIONALE PER L’AMBIENTE «SAN FRANCESCO»
Giovedì, 22 ottobre 1992
Reverendi Padri,
Illustri Signori,
Sono lieto di accogliervi in occasione della terza edizione del Premio Internazionale per l’Ambiente, promosso dal Centro Francescano di Studi Ambientali.
Saluto cordialmente i membri del Comitato organizzatore e della Giuria, come pure i rappresentanti dell’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, che sostiene questa lodevole iniziativa.
Rivolgo le mie felicitazioni all’“International Center for Insect Physiology and Ecology” di
Nairobi, al Professor Herbert Bormann e al Dottor Bindeshwar Pathak, che hanno meritato
l’ambito riconoscimento.
Nel mirabile testo del “Cantico delle Creature”, al quale il vostro Premio, carissimi, s’ispira, il
Poverello d’Assisi, contemplando la grandezza di Dio nelle opere del creato, vede al centro di
esse l’uomo. Con la sua capacità di perdonare e di aderire alle “sanctissime voluntati”, infatti,
la persona si pone tra l’“Altissimo Signore”, a cui obbedisce, e il cosmo, di cui è l’interprete.
L’uomo, anzi, si riconosce collaboratore di Dio stesso nell’opera della creazione quando, abbracciando la fede, si apre con umile riconoscenza alla Fonte della vita e assume un atteggiamento di responsabile fraternità verso le creature. La peculiare posizione dell’uomo nel cosmo
non deve, dunque, condurlo né a scelte di dispotico dominio, né a forme di passiva abdicazione al proprio ruolo: la sua autentica centralità consiste piuttosto in un autorevole servizio al disegno di Dio sul mondo, disegno che culmina nel riscatto dal peccato e dalla “morte seconda”.
Carissimi, mi congratulo con voi per l’opera di sensibilizzazione con la quale, sulle orme di
Francesco, vi proponete di diffondere la genuina ispirazione evangelica nella complessa e urgente problematica ecologica. Nell’esprimere l’augurio che tale contributo apporti gli auspicati
frutti di pace e di bene, imparto di cuore a tutti la mia benedizione.
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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AD UN CONVEGNO
SU AMBIENTE E SALUTE
Sala dei Papi - Lunedì, 24 marzo 1997
Illustri Signori e Signore!
1. Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, promotori, organizzatori e partecipanti al Convegno
sul tema: “Ambiente e salute”, a cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha offerto ospitalità
e collaborazione scientifica. Ringrazio, in particolare, l’Ingegnere Sergio Giannotti per le parole
con cui ha voluto illustrarmi questa importante iniziativa.
L’ecologia, sorta come nome e come messaggio culturale oltre un secolo fa, si è ben presto imposta all’attenzione degli studiosi, richiamando un interesse interdisciplinare crescente da parte
di biologi, medici, economisti, filosofi e politici. Essa si configura come studio della relazione
tra gli organismi viventi e il loro ambiente, in particolare tra l’uomo e quanto lo circonda.
L’ambiente infatti, animato e non animato, ha un influsso decisivo sulla salute dell’uomo, argomento sul quale state raccogliendo le vostre riflessioni nel corso del Convegno.
2. Il rapporto tra uomo e ambiente ha connotato le diverse fasi della civiltà umana, a partire
dalla cultura primitiva: nella fase agricola, nella fase industriale e nella fase tecnologica. L’epoca
moderna ha registrato una crescente capacità d’intervento trasformativo da parte dell’uomo.
L’aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed
è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell’ambiente: l’ambiente come “risorsa”
rischia di minacciare l’ambiente come “casa”. A causa dei potenti mezzi di trasformazione
offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l’equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto
un punto critico.
3. Nell’antichità l’uomo si è situato nei confronti dell’ambiente in cui viveva con ambivalenti
e alternanti sentimenti, ora di ammirazione e venerazione, ora di paura verso un mondo apparentemente minaccioso.
La Rivelazione biblica ha portato nella concezione del cosmo l’illuminante e pacificante messaggio della creazione, da cui risulta che le realtà mondane sono buone perché volute da Dio
per amore dell’uomo.
Nello stesso tempo l’antropologia biblica ha considerato l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, come creatura capace di trascendere la realtà mondana in virtù della sua spiritualità, e perciò come custode responsabile dell’ambiente in cui è posto a vivere. Esso gli è offerto
dal Creatore sia come casa che come risorsa.
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4. È ben chiara la conseguenza che discende da tale dottrina: è il rapporto che l’uomo ha con
Dio a determinare il rapporto dell’uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché
la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l’uomo altrettanti
doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. In particolare, la
spiritualità benedettina e francescana hanno testimoniato questa sorta di parentela dell’uomo
con l’ambiente creaturale, alimentando in lui un atteggiamento di rispetto verso ogni realtà del
mondo circostante.
Nell’età moderna secolarizzata si assiste all’insorgere di una duplice tentazione: una concezione del sapere inteso non più come sapienza e contemplazione, ma come potere sulla natura,
che viene conseguentemente considerata come oggetto di conquista. L’altra tentazione è costituita dallo sfruttamento sfrenato delle risorse, sotto la spinta della ricerca del profitto senza
limiti, secondo la mentalità propria delle società moderne di tipo capitalistico.
L’ambiente è così diventato spesso una preda a vantaggio di alcuni forti gruppi industriali e a
scapito dell’umanità nel suo insieme, con conseguente danno per gli equilibri dell’ecosistema,
della salute degli abitanti e delle generazioni future.
5. Oggi assistiamo non di rado al dispiegamento di opposte posizioni esasperate: da una parte,
in nome della esauribilità e della insufficienza delle risorse ambientali, si chiede la repressione
della natalità, specialmente nei confronti dei popoli poveri e in via di sviluppo. Dall’altra, in
nome di una concezione ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, si propone di eliminare
la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un’unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore
responsabilità dell’uomo in favore di una considerazione egualitaristica della “dignità” di tutti
gli esseri viventi.
Ma l’equilibrio dell’ecosistema e la difesa della salubrità dell’ambiente hanno bisogno proprio
dellaresponsabilità dell’uomo e di una responsabilità che deve essere aperta alle nuove forme di
solidarietà. Occorre una solidarietà aperta e comprensiva verso tutti gli uomini e tutti i popoli,
una solidarietà fondata sul rispetto della vita e sulla promozione di risorse sufficienti per i più
poveri e per le generazioni future.
L’umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l’ambiente come casa e come risorsa
a favore dell’uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d’inquinamento, di
assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani.
La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire
equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, per
i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno.
6. Tutto ciò ha bisogno di saldi punti di riferimento e di ispirazione: la coscienza chiara della
creazione come opera della sapienza provvida di Dio, e la coscienza della dignità e responsabilità dell’uomo nel disegno creazionale.
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È guardando il Volto di Dio che l’uomo può rischiarare il volto della terra e assicurare con
l’impegno etico l’ospitalità ambientale per l’uomo di oggi e di domani.
Ricordavo già nel Messaggio per la Giornata della Pace del 1990 che “il segno più profondo e
più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza dirispetto per la vita quale si avverte in molti comportamenti inquinanti” (Giovanni Paolo
II,Messaggio per la Giornata della Pace del 1990, 8 dic. 1989: Insegnamenti di Giovanni Paolo
II, XII, 2 (1989) 1467).
La difesa della vita e la conseguente promozione della salute, specialmente nelle popolazioni
più povere e in via di sviluppo sarà ad un tempo il metro e il criterio di fondo dell’orizzonte
ecologico a livello regionale e mondiale.
Nel vostro impegno per la conservazione della salubrità dell’ambiente, vi illumini ed assista il
Signore. Alla sua bontà di Padre, ricco di amore verso ognuna delle sue creature, affido i vostri
sforzi e, nel suo nome, tutti vi benedico.
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BENEDETTO XVI
Amore per la creazione in Francesco d’Assisi
da Cercate le cose di lassù, di Joseph Ratzinger, Edizioni Paoline, Milano, 2005, pagg.143-146
Tra i nomi presenti nel calendario dei santi della Chiesa cattolica, Francesco d’Assisi ha un
posto di primo piano. Cristiani e non cristiani, credenti e non credenti amano quest’uomo. Da
lui emana una gioia, una pace che lo pongono al di là di molti contrasti altrimenti insanabili.
Naturalmente le varie generazioni hanno anche voluto vedere in lui, in modi diversi, il sogno
dell’uomo buono. In un tempo che cominciava a non poterne più delle dispute confessionali,
apparve come il portavoce di un cristianesimo sovraconfessionale, che si lasciava alle spalle il
peso opprimente di una storia dolorosa e ricominciava semplicemente dal Gesù biblico. In seguito se ne impadronì il Romanticismo, facendone una sorta di sognatore fanatico della natura.
Il fatto che oggi Francesco sia visto ancora sotto un’altra forma dipende da due situazioni che
condizionano largamente la coscienza degli uomini nelle nazioni industrializzate: da una parte
la paura delle conseguenze incontrollabili del progresso tecnico, e dall’altra la nostra cattiva
coscienza nei confronti della fame nel mondo a causa del nostro benessere. Perciò ci affascina
in Francesco il deciso rifiuto del mondo del possesso e l’amore semplice per la creazione, per gli
uccelli, i pesci, il fuoco, l’acqua, la terra. Egli ci appare come il patrono dei protettori dell’ambiente, il capo della protesta contro un’ideologia che mira solo alla produzione e alla crescita,
come propugnatore della vita semplice.
In tutte queste immagini di Francesco c’è qualcosa di vero; in tutte si affrontano dei problemi
che toccano punti nevralgici delle creature umane. Ma se si considera Francesco attentamente,
dovremmo anche correggere in ogni caso i nostri atteggiamenti. Egli non ci dà semplicemente
ragione; pretende molto più di quello che vorremmo riconoscere, e con le sue esigenze ci porta
alla pretesa della verità stessa. Per esempio, non possiamo risolvere il problema della separazione dei cristiani cercando semplicemente di sfuggire alla storia e creandoci un nostro Gesù
personale. Lo stesso vale per le altre questioni. Prendiamo il problema dell’ambiente. Desidero
raccontarvi innanzitutto una storiella. Francesco una volta pregò il frate che si occupava del
giardino di “non coltivare tutto il terreno a orto, ma di lasciare una parte del giardino per i fiori
perché in ogni periodo dell’anno produca i nostri fratelli fiori per amore di colui che viene chiamato “fiore dei campi e giglio della valle” (Ct 2,1)”. Analogamente voleva che fosse coltivata
sempre un’aiuola particolarmente bella, di modo che in tutte le stagioni le persone, guardando
i fiori, levassero lodi entusiaste a Dio, “perché ogni creatura ci grida: Dio mi ha creato per te, o
uomo” (Specchio della Perfezione 11,118). In questa storia non si può lasciare da parte l’aspetto
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religioso come anticaglia, per riprendere solo il rifiuto del meschino utilitarismo e la conservazione della ricchezza della specie. Se è questo che si vuole, si fa qualcosa di completamente
diverso da ciò che ha fatto e voluto Francesco. Ma soprattutto in questo racconto non si avverte
affatto quel risentimento contro l’uomo come presunto disturbatore della natura presente oggi
in così tante arringhe a favore della natura. Se l’uomo si perde e non si piace più, ciò non può
giovare alla natura. Anzi: egli deve essere in accordo con se stesso; solo così può essere in accordo con la creazione ed essa con lui. E questo, di nuovo, gli è possibile solo se è in accordo
con il Creatore che ha voluto la natura e noi. Il rispetto per l’essere umano e il rispetto per la
natura sono un tutto unico, ma entrambi possono prosperare e trovare la propria misura solo
se rispettiamo nella creatura umana e nella natura il Creatore e la sua creazione. Solo lui può
unirli. Non potremo ritrovare l’equilibrio perduto se ci rifiutiamo di arrivare a questo punto.
Abbiamo perciò tutte le ragioni perché Francesco d’Assisi ci renda pensierosi e ci conduca con
sé sulla via giusta.
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BENEDETTO XVI
ANGELUS
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Domenica, 27 agosto 2006
Dopo l’Angelus:
Il prossimo 1° settembre la Chiesa in Italia celebrerà la 1ª Giornata per la salvaguardia del
creato, grande dono di Dio esposto a seri rischi da scelte e stili di vita che possono degradarlo.
Il degrado ambientale rende insostenibile particolarmente l’esistenza dei poveri della terra. In
dialogo con i cristiani delle diverse confessioni occorre impegnarsi ad avere cura del creato, senza dilapidarne le risorse e condividendole in maniera solidale. In questa occasione, sono lieto di
accogliere stamani la rappresentanza del pellegrinaggio, promosso dalle ACLI, che ha percorso
l’antica Via Francigena dal Monginevro a Roma sensibilizzando al rispetto dell’ambiente.
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XL GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1 gennaio 2007
LA PERSONA UMANA, CUORE DELLA PACE
L’«ecologia della pace»
8. Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Centesimus annus: « Non solo la terra è stata data
da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è
stata donata; ma l’uomo è stato donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale
e morale, di cui è stato dotato ». È rispondendo a questa consegna, a lui affidata dal Creatore, che
l’uomo, insieme ai suoi simili, può dar vita a un mondo di pace. Accanto all’ecologia della natura c’è
dunque un’ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un”‘ecologia sociale”.
E ciò comporta che l’umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni
esistenti tra l’ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l’ecologia umana. L’esperienza dimostra
che ogni atteggiamento irrispettoso verso l’ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa.
Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini.
L’una e l’altra presuppongono la pace con Dio. La poesia-preghiera di San Francesco, nota anche come
« Cantico di Frate Sole », costituisce un mirabile esempio — sempre attuale — di questa multiforme
ecologia della pace.
9. Ci aiuta a comprendere quanto sia stretto questo nesso tra l’una ecologia e l’altra il problema ogni
giorno più grave dei rifornimenti energetici. In questi anni nuove Nazioni sono entrate con slancio
nella produzione industriale, incrementando i bisogni energetici. Ciò sta provocando una corsa alle
risorse disponibili che non ha confronti con situazioni precedenti. Nel frattempo, in alcune regioni
del pianeta si vivono ancora condizioni di grande arretratezza, in cui lo sviluppo è praticamente inceppato anche a motivo del rialzo dei prezzi dell’energia. Che ne sarà di quelle popolazioni? Quale
genere di sviluppo o di non-sviluppo sarà loro imposto dalla scarsità di rifornimenti energetici? Quali
ingiustizie e antagonismi provocherà la corsa alle fonti di energia? E come reagiranno gli esclusi da
questa corsa? Sono domande che pongono in evidenza come il rispetto della natura sia strettamente
legato alla necessità di tessere tra gli uomini e tra le Nazioni rapporti attenti alla dignità della persona
e capaci di soddisfare ai suoi autentici bisogni. La distruzione dell’ambiente, un suo uso improprio o
egoistico e l’accaparramento violento delle risorse della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre,
proprio perché sono frutto di un concetto disumano di sviluppo. Uno sviluppo infatti che si limitasse
all’aspetto tecnico-economico, trascurando la dimensione morale-religiosa, non sarebbe uno sviluppo
umano integrale e finirebbe, in quanto unilaterale, per incentivare le capacità distruttive dell’uomo.
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XLI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1 gennaio 2008
FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE
Famiglia, comunità umana e ambiente
7. La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie
relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la terra, l’ambiente che Dio Creatore ci ha dato
perché lo abitassimo con creatività e responsabilità. Dobbiamo avere cura dell’ambiente: esso
è stato affidato all’uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo
sempre come criterio orientatore il bene di tutti. L’essere umano, ovviamente, ha un primato
di valore su tutto il creato. Rispettare l’ambiente non vuol dire considerare la natura materiale
o animale più importante dell’uomo. Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a
completa disposizione dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà responsabile che
rivendichiamo per noi. Né vanno dimenticati i poveri, esclusi in molti casi dalla destinazione
universale dei beni del creato. Oggi l’umanità teme per il futuro equilibrio ecologico. È bene
che le valutazioni a questo riguardo si facciano con prudenza, nel dialogo tra esperti e saggi,
senza accelerazioni ideologiche verso conclusioni affrettate e soprattutto concertando insieme
un modello di sviluppo sostenibile, che garantisca il benessere di tutti nel rispetto degli equilibri ecologici. Se la tutela dell’ambiente comporta dei costi, questi devono essere distribuiti
con giustizia, tenendo conto delle diversità di sviluppo dei vari Paesi e della solidarietà con le
future generazioni. Prudenza non significa non assumersi le proprie responsabilità e rimandare
le decisioni; significa piuttosto assumere l’impegno di decidere assieme e dopo aver ponderato
responsabilmente la strada da percorrere, con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere
umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo
e verso il quale siamo in cammino.
8. Fondamentale, a questo riguardo, è « sentire » la terra come « nostra casa comune » e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali. Si possono aumentare, se necessario, i luoghi istituzionali a livello internazionale, per
affrontare insieme il governo di questa nostra « casa »; ciò che più conta, tuttavia, è far maturare
nelle coscienze la convinzione della necessità di collaborare responsabilmente. I problemi che
si presentano all’orizzonte sono complessi e i tempi stringono. Per far fronte in modo efficace
alla situazione, bisogna agire concordi. Un ambito nel quale sarebbe, in particolare, necessario
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intensificare il dialogo tra le Nazioni è quello della gestione delle risorse energetiche del pianeta. Una duplice urgenza, a questo riguardo, si pone ai Paesi tecnologicamente avanzati: occorre
rivedere, da una parte, gli elevati standard di consumo dovuti all’attuale modello di sviluppo,
e provvedere, dall’altra, ad adeguati investimenti per la differenziazione delle fonti di energia
e per il miglioramento del suo utilizzo. I Paesi emergenti hanno fame di energia, ma talvolta
questa fame viene saziata ai danni dei Paesi poveri i quali, per l’insufficienza delle loro infrastrutture, anche tecnologiche, sono costretti a svendere le risorse energetiche in loro possesso.
A volte, la loro stessa libertà politica viene messa in discussione con forme di protettorato o
comunque di condizionamento, che appaiono chiaramente umilianti.
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INCONTRO CON I MEMBRI DELL’ASSEMBLEA GENERALE
DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE
DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
New York - Venerdì, 18 aprile 2008
[...] Certo, questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e
globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili
internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede,
nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta. Penso in particolar modo a quei Paesi dell’Africa e di altre parti del mondo che
rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione.
[...] Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri. Qui il nostro pensiero si rivolge al modo in cui i risultati delle scoperte della ricerca scientifica e tecnologica sono stati talvolta applicati. Nonostante gli enormi
benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara
violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto
il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della
loro identità naturale. Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente
e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale
della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione.
Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare
un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici.
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LETTERA ENCICLICA
CARITAS IN VERITATE
DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI
AI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE
AI FEDELI LAICI
E A TUTTI GLI UOMINI
DI BUONA VOLONTÀ
SULLO SVILUPPO UMANO INTEGRALE
NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ
29 giugno 2009
CAPITOLO QUARTO
SVILUPPO DEI POPOLI,
DIRITTI E DOVERI, AMBIENTE
48. Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto
dell’uomo con l’ambiente naturale. Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta
per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera. Se la natura,
e per primo l’essere umano, vengono considerati come frutto del caso o del determinismo
evolutivo, la consapevolezza della responsabilità si attenua nelle coscienze. Nella natura il
credente riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio, che l’uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni — materiali e immateriali — nel
rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o
per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio.
La natura è espressione di un disegno di amore e di verità. Essa ci precede e ci è donata da Dio come
ambiente di vita. Ci parla del Creatore e del suo amore per l’umanità. È destinata ad essere «
ricapitolata » in Cristo alla fine dei tempi. Anch’essa, quindi, è una « vocazione ». La natura è a
nostra disposizione non come « un mucchio di rifiuti sparsi a caso », bensì come un dono del
Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per “custodirla e coltivarla”. Ma bisogna anche sottolineare che è contrario
al vero sviluppo considerare la natura più importante della stessa persona umana. Questa posizione induce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo: dalla sola natura, intesa in
senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l’uomo. Peraltro, bisogna anche
rifiutare la posizione contraria, che mira alla sua completa tecnicizzazione, perché l’ambiente
naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non
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strumentale e arbitrario. Oggi molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte. Ridurre completamente la natura ad un insieme di semplici dati di fatto finisce
per essere fonte di violenza nei confronti dell’ambiente e addirittura per motivare azioni irrispettose verso la stessa natura dell’uomo. Questa, in quanto costituita non solo di materia ma
anche di spirito e, come tale, essendo ricca di significati e di fini trascendenti da raggiungere, ha
un carattere normativo anche per la cultura. L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale
mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta
ai dettami della legge morale. I progetti per uno sviluppo umano integrale non possono pertanto ignorare le generazioni successive, ma devono essere improntati a solidarietà e a giustizia
intergenerazionali, tenendo conto di molteplici ambiti: l’ecologico, il giuridico, l’economico,
il politico, il culturale.
49. Le questioni legate alla cura e alla salvaguardia dell’ambiente devono oggi tenere in debita considerazione le problematiche energetiche. L’accaparramento delle risorse energetiche non
rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce, infatti, un grave
impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri. Questi non hanno i mezzi economici né per
accedere alle esistenti fonti energetiche non rinnovabili né per finanziare la ricerca di fonti
nuove e alternative. L’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi
poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno. Tali conflitti
si combattono spesso proprio sul suolo di quei Paesi, con pesanti bilanci in termini di morte,
distruzione e ulteriore degrado. La comunità internazionale ha il compito imprescindibile di
trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con
la partecipazione anche dei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro.
Anche su questo fronte vi è l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà, specialmente
nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati. Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico sia perché
le attività manifatturiere evolvono, sia perché tra i loro cittadini si diffonde una sensibilità
ecologica maggiore. Si deve inoltre aggiungere che oggi è realizzabile un miglioramento dell’efficienza energetica ed è al tempo stesso possibile far avanzare la ricerca di energie alternative.
È però anche necessaria una ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che
anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi. Il loro destino non può essere lasciato nelle
mani del primo arrivato o alla logica del più forte. Si tratta di problemi rilevanti che, per essere
affrontati in modo adeguato, richiedono da parte di tutti la responsabile presa di coscienza delle conseguenze che si riverseranno sulle nuove generazioni, soprattutto sui moltissimi giovani
presenti nei popoli poveri, i quali « reclamano la parte attiva che loro spetta nella costruzione
d’un mondo migliore ».
50. Questa responsabilità è globale, perché non concerne solo l’energia, ma tutto il creato, che
non dobbiamo lasciare alle nuove generazioni depauperato delle sue risorse. All’uomo è lecito
esercitare un governo responsabile sulla natura per custodirla, metterla a profitto e coltivarla anche
in forme nuove e con tecnologie avanzate in modo che essa possa degnamente accogliere e
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nutrire la popolazione che la abita. C’è spazio per tutti su questa nostra terra: su di essa l’intera
famiglia umana deve trovare le risorse necessarie per vivere dignitosamente, con l’aiuto della
natura stessa, dono di Dio ai suoi figli, e con l’impegno del proprio lavoro e della propria
inventiva. Dobbiamo però avvertire come dovere gravissimo quello di consegnare la terra alle
nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente
coltivarla. Ciò implica l’impegno di decidere insieme, « dopo aver ponderato responsabilmente
la strada da percorrere, con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che
deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo
in cammino ». È auspicabile che la comunità internazionale e i singoli governi sappiano contrastare in maniera efficace le modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose.
È altresì doveroso che vengano intrapresi, da parte delle autorità competenti, tutti gli sforzi
necessari affinché i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni
siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future: la protezione dell’ambiente,
delle risorse e del clima richiede che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente
e dimostrino prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e della solidarietà nei
confronti delle regioni più deboli del pianeta. Uno dei maggiori compiti dell’economia è proprio il più efficiente uso delle risorse, non l’abuso, tenendo sempre presente che la nozione di
efficienza non è assiologicamente neutrale.
51. Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e,
viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte
parti del mondo, è incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che
ne derivano. È necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare
nuovi stili di vita, “nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli
altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi,
dei risparmi e degli investimenti”. Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca
danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazione nelle
relazioni sociali. La natura, specialmente nella nostra epoca, è talmente integrata nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi più una variabile indipendente. La desertificazione
e l’impoverimento produttivo di alcune aree agricole sono anche frutto dell’impoverimento
delle popolazioni che le abitano e della loro arretratezza. Incentivando lo sviluppo economico
e culturale di quelle popolazioni, si tutela anche la natura. Inoltre, quante risorse naturali sono
devastate dalle guerre! La pace dei popoli e tra i popoli permetterebbe anche una maggiore
salvaguardia della natura. L’accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua, può provocare gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte. Un pacifico accordo sull’uso delle risorse può
salvaguardare la natura e, contemporaneamente, il benessere delle società interessate.
La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione
appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso. È
necessario che ci sia qualcosa come un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto. Il degrado
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della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana:
quando l’« ecologia umana » è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio.
Come le virtù umane sono tra loro comunicanti, tanto che l’indebolimento di una espone a
rischio anche le altre, così il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda
sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura.
Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici
e nemmeno basta un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema
decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte
naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove
generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a
rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul
versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una
parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con
i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non
si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e
della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società.
52. La verità e l’amore che essa dischiude non si possono produrre, si possono solo accogliere.
La loro fonte ultima non è, né può essere, l’uomo, ma Dio, ossia Colui che è Verità e Amore.
Questo principio è assai importante per la società e per lo sviluppo, in quanto né l’una né l’altro
possono essere solo prodotti umani; la stessa vocazione allo sviluppo delle persone e dei popoli
non si fonda su una semplice deliberazione umana, ma è inscritta in un piano che ci precede e
che costituisce per tutti noi un dovere che deve essere liberamente accolto. Ciò che ci precede
e che ci costituisce — l’Amore e la Verità sussistenti — ci indica che cosa sia il bene e in che cosa
consista la nostra felicità. Ci indica quindi la strada verso il vero sviluppo.
59
VISITA ALLA FAO IN OCCASIONE DELLA
36ª SESSIONE DELLA CONFERENZA GENERALE
DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE
PER L’ALIMENTAZIONE E L’AGRICOLTURA
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Palazzo della FAO, Roma - Lunedì 16 novembre 2009
8. I metodi di produzione alimentare impongono altresì un’attenta analisi del rapporto tra lo
sviluppo e la tutela ambientale. Il desiderio di possedere e di usare in maniera eccessiva e disordinata le risorse del pianeta è la causa prima di ogni degrado dell’ambiente. La tutela ambientale si pone quindi come una sfida attuale per garantire uno sviluppo armonico, rispettoso del
disegno di Dio, il Creatore, e dunque in grado di salvaguardare il pianeta. Se l’umanità intera
è chiamata ad essere cosciente dei propri obblighi verso le generazioni che verranno, è anche
vero che sugli Stati e sulle Organizzazioni Internazionali ricade il dovere di tutelare l’ambiente
come bene collettivo. In tale ottica, vanno approfondite le interazioni esistenti tra la sicurezza
ambientale e il preoccupante fenomeno dei cambiamenti climatici, avendo come focus la centralità della persona umana ed in particolare delle popolazioni più vulnerabili a entrambi i fenomeni. Non bastano però normative, legislazioni, piani di sviluppo e investimenti, occorre un
cambiamento negli stili di vita personali e comunitari, nei consumi e negli effettivi bisogni, ma
soprattutto è necessario avere presente quel dovere morale di distinguere nelle azioni umane
il bene dal male per riscoprire così i legami di comunione che uniscono la persona e il creato.
9. È importante ricordare – ho osservato sempre nell’Enciclica Caritas in veritate - che “il degrado
della natura è… strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana:quando
l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.
È vero: “Il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura”. Ed “Il problema decisivo è la complessiva
tenuta morale della società”. Pertanto, “i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con
i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non
si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità
e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società”.
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XLIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1 gennaio 2010
SE VUOI COLTIVARE LA PACE, CUSTODISCI IL CREATO
1. In occasione dell’inizio del Nuovo Anno, desidero rivolgere i più fervidi auguri di pace a
tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle Nazioni, agli uomini e alle donne di buona
volontà del mondo intero. Per questa XLIII Giornata Mondiale della Pace ho scelto il tema: Se
vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche
perché «la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio» e la sua salvaguardia
diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà
dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale – guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni
dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se
non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito. Per
tale motivo è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi «quell’alleanza tra essere umano e
ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il
quale siamo in cammino».
2. Nell’Enciclica Caritas in veritate ho posto in evidenza che lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale,considerato
come un dono di Dio a tutti, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità
intera, in special modo verso i poveri e le generazioni future. Ho notato, inoltre, che quando
la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso
o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità. Ritenere, invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la
vocazione e il valore dell’uomo. Con il Salmista, pieni di stupore, possiamo infatti proclamare:
«Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai
l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?». Contemplare la bellezza
del creato è stimolo a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che «move il sole e l’altre
stelle».
3. Vent’anni or sono, il Papa Giovanni Paolo II, dedicando il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace al tema Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato, richiamava l’attenzione
sulla relazione che noi, in quanto creature di Dio, abbiamo con l’universo che ci circonda. «Si
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avverte ai nostri giorni – scriveva – la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata... anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura». E aggiungeva che la coscienza
ecologica «non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi,
trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete». Già altri miei Predecessori
avevano fatto riferimento alla relazione esistente tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, nel
1971, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII,
Paolo VI ebbe a sottolineare che «attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, (l’uomo) rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Ed aggiunse
che in tal caso «non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo
non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile:
problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana».
4. Pur evitando di entrare nel merito di specifiche soluzioni tecniche, la Chiesa, «esperta in
umanità», si premura di richiamare con forza l’attenzione sulla relazione tra il Creatore, l’essere
umano e il creato. Nel 1990, Giovanni Paolo II parlava di «crisi ecologica» e, rilevando come
questa avesse un carattere prevalentemente etico, indicava l’«urgente necessità morale di una
nuova solidarietà». Questo appello si fa ancora più pressante oggi, di fronte alle crescenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabile non prendere in seria considerazione. Come
rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole,
l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di
eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare
il crescente fenomeno dei cosiddetti «profughi ambientali»: persone che, a causa del degrado
dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare
i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire di fronte ai conflitti
già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse naturali? Sono tutte questioni che
hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita,
all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo.
5. Va, tuttavia, considerato che la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle
questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla
visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. Saggio è, pertanto, operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso
dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di
salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo. L’umanità ha bisogno di
un profondo rinnovamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che costituiscono il
solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. Le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale –,
sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Esse obbligano a riprogettare il comune
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cammino degli uomini. Obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato alla sobrietà
e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno, puntando con fiducia e coraggio sulle
esperienze positive compiute e rigettando con decisione quelle negative. Solo così l’attuale crisi
diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità.
6. Non è forse vero che all’origine di quella che, in senso cosmico, chiamiamo «natura», vi è
«un disegno di amore e di verità»? Il mondo «non è il prodotto di una qualsivoglia necessità,
di un destino cieco o del caso... Il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha
voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà». Il Libro della
Genesi,nelle sue pagine iniziali, ci riporta al progetto sapiente del cosmo, frutto del pensiero
di Dio, al cui vertice si collocano l’uomo e la donna, creati ad immagine e somiglianza del
Creatore per «riempire la terra» e «dominarla» come «amministratori» di Dio stesso. L’armonia
tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descrive, è stata infranta dal peccato
di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature. La conseguenza è che si è distorto anche il compito
di «dominare» la terra, di «coltivarla e custodirla» e tra loro e il resto della creazione è nato un
conflitto. L’essere umano si è lasciato dominare dall’egoismo, perdendo il senso del mandato
di Dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di
esso un dominio assoluto. Ma il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato
nel Libro della Genesi, non consisteva in un semplice conferimento di autorità, bensì piuttosto
in una chiamata alla responsabilità. Del resto, la saggezza degli antichi riconosceva che la natura
è a nostra disposizione non come «un mucchio di rifiuti sparsi a caso», mentre la Rivelazione
biblica ci ha fatto comprendere che la natura è dono del Creatore, il quale ne ha disegnato gli
ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per «custodirla
e coltivarla». Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non
perché ne dispongano arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di
collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura, «piuttosto tiranneggiata che governata da lui». L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo
responsabile della creazione, custodendola e coltivandola.
7. Purtroppo, si deve constatare che una moltitudine di persone, in diversi Paesi e regioni del
pianeta, sperimenta crescenti difficoltà a causa della negligenza o del rifiuto, da parte di tanti,
di esercitare un governo responsabile sull’ambiente. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha
ricordato che «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli». L’eredità del creato appartiene, pertanto, all’intera umanità. Invece,
l’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse
naturali non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future. Non è difficile
allora costatare che il degrado ambientale è spesso il risultato della mancanza di progetti politici
lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici, che si trasformano, purtroppo,
in una seria minaccia per il creato. Per contrastare tale fenomeno, sulla base del fatto che «ogni
decisione economica ha una conseguenza di carattere morale», è anche necessario che l’attività
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economica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle risorse naturali, occorre
preoccuparsi della loro salvaguardia, prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce essenziale degli stessi costi dell’attività economica. Compete
alla comunità internazionale e ai governi nazionali dare i giusti segnali per contrastare in modo
efficace quelle modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose. Per proteggere
l’ambiente, per tutelare le risorse e il clima occorre, da una parte, agire nel rispetto di norme
ben definite anche dal punto di vista giuridico ed economico, e, dall’altra, tenere conto della
solidarietà dovuta a quanti abitano le regioni più povere della terra e alle future generazioni.
8. Sembra infatti urgente la conquista di una leale solidarietà inter-generazionale. I costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle generazioni
future: «Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi
abbiamo degli obblighi verso tutti e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo
di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch’è un fatto e
per noi un beneficio, è altresì un dovere. Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future, una responsabilità che appartiene anche ai singoli
Stati e alla Comunità internazionale» [17]. L’uso delle risorse naturali dovrebbe essere tale che
i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi, umani e non
umani, presenti e a venire; che la tutela della proprietà privata non ostacoli la destinazione
universale dei beni; che l’intervento dell’uomo non comprometta la fecondità della terra, per
il bene di oggi e per il bene di domani. Oltre ad una leale solidarietà inter-generazionale, va
ribadita l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente industrializzati: «la comunità
internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare
lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri, in
modo da pianificare insieme il futuro». La crisi ecologica mostra l’urgenza di una solidarietà
che si proietti nello spazio e nel tempo. È infatti importante riconoscere, fra le cause dell’attuale
crisi ecologica, la responsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, in
particolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto
al creato, perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali efficaci appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più facilmente se vi fossero calcoli meno interessati
nell’assistenza, nel trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie più pulite.
9. È indubbio che uno dei principali nodi da affrontare, da parte della comunità internazionale,
è quello delle risorse energetiche, individuando strategie condivise e sostenibili per soddisfare
i bisogni di energia della presente generazione e di quelle future. A tale scopo, è necessario
che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti improntati
alla sobrietà, diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorando le condizioni del suo
utilizzo. Al tempo stesso, occorre promuovere la ricerca e l’applicazione di energie di minore
impatto ambientale e la «ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche
i Paesi che ne sono privi possano accedervi». La crisi ecologica, dunque, offre una storica op64
portunità per elaborare una risposta collettiva volta a convertire il modello di sviluppo globale
in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e di uno sviluppo umano integrale,
ispirato ai valori propri della carità nella verità. Auspico, pertanto, l’adozione di un modello di
sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene
comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di
vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può
accadere domani.
10. Per guidare l’umanità verso una gestione complessivamente sostenibile dell’ambiente e delle
risorse del pianeta, l’uomo è chiamato a impiegare la sua intelligenza nel campo della ricerca
scientifica e tecnologica e nell’applicazione delle scoperte che da questa derivano. La «nuova
solidarietà», che Giovanni Paolo II propose nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace
del 1990, e la «solidarietà globale», che io stesso ho richiamato nel Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace del 2009, risultano essere atteggiamenti essenziali per orientare l’impegno
di tutela del creato, attraverso un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato
a livello internazionale, soprattutto nel momento in cui va emergendo, in maniera sempre più
evidente, la forte interrelazione che esiste tra la lotta al degrado ambientale e la promozione
dello sviluppo umano integrale. Si tratta di una dinamica imprescindibile, in quanto «lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità». Tante
sono oggi le opportunità scientifiche e i potenziali percorsi innovativi, grazie ai quali è possibile
fornire soluzioni soddisfacenti ed armoniose alla relazione tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, occorre incoraggiare le ricerche volte ad individuare le modalità più efficaci per sfruttare
la grande potenzialità dell’energia solare. Altrettanta attenzione va poi rivolta alla questione
ormai planetaria dell’acqua ed al sistema idrogeologico globale, il cui ciclo riveste una primaria
importanza per la vita sulla terra e la cui stabilità rischia di essere fortemente minacciata dai
cambiamenti climatici. Vanno altresì esplorate appropriate strategie di sviluppo rurale incentrate sui piccoli coltivatori e sulle loro famiglie, come pure occorre approntare idonee politiche
per la gestione delle foreste, per lo smaltimento dei rifiuti, per la valorizzazione delle sinergie
esistenti tra il contrasto ai cambiamenti climatici e la lotta alla povertà. Occorrono politiche
nazionali ambiziose, completate da un necessario impegno internazionale che apporterà importanti benefici soprattutto nel medio e lungo termine. È necessario, insomma, uscire dalla
logica del mero consumo per promuovere forme di produzione agricola e industriale rispettose
dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. La questione ecologica
non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione
mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune. D’altronde, come
ho già avuto modo di ricordare, «la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le
sue aspirazioni allo sviluppo; esprime la tensione dell’animo umano al graduale superamento
di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di «coltivare
e custodire la terra», che Dio ha affidato all’uomo, e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra
essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio».
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11. Appare sempre più chiaramente che il tema del degrado ambientale chiama in causa i
comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale e finanche economico. Si rende ormai indispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad
adottare nuovi stili di vita «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione
con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei
consumi, dei risparmi e degli investimenti». Sempre più si deve educare a costruire la pace a
partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico. Tutti
siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Tale responsabilità non conosce
frontiere. Secondo il principio di sussidiarietà, è importante che ciascuno si impegni al livello
che gli corrisponde, operando affinché venga superata la prevalenza degli interessi particolari.
Un ruolo di sensibilizzazione e di formazione spetta in particolare ai vari soggetti della società
civile e alle Organizzazioni non-governative, che si prodigano con determinazione e generosità
per la diffusione di una responsabilità ecologica, che dovrebbe essere sempre più ancorata al
rispetto dell’ «ecologia umana». Occorre, inoltre, richiamare la responsabilità dei media in tale
ambito, proponendo modelli positivi a cui ispirarsi. Occuparsi dell’ambiente richiede, cioè, una
visione larga e globale del mondo; uno sforzo comune e responsabile per passare da una logica
centrata sull’egoistico interesse nazionalistico ad una visione che abbracci sempre le necessità
di tutti i popoli. Non si può rimanere indifferenti a ciò che accade intorno a noi, perché il deterioramento di qualsiasi parte del pianeta ricadrebbe su tutti. Le relazioni tra persone, gruppi
sociali e Stati, come quelle tra uomo e ambiente, sono chiamate ad assumere lo stile del rispetto
e della «carità nella verità». In tale ampio contesto, è quanto mai auspicabile che trovino efficacia e corrispondenza gli sforzi della comunità internazionale volti ad ottenere un progressivo
disarmo ed un mondo privo di armi nucleari, la cui sola presenza minaccia la vita del pianeta e
il processo di sviluppo integrale dell’umanità presente e di quella futura.
12. La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito
pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per
proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è,
infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui «quando
l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio».
Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia
e nella società a rispettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente
come su quello dell’etica personale, familiare e sociale. I doveri verso l’ambiente derivano da
quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. Volentieri, pertanto,
incoraggio l’educazione ad una responsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’Enciclica
Caritas in veritate, salvaguardi un’autentica «ecologia umana» e, quindi, affermi con rinnovata
convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il
prossimo e al rispetto della natura. Occorre salvaguardare il patrimonio umano della società.
Questo patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è
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fondamento del rispetto della persona umana e del creato.
13. Non va infine dimenticato il fatto, altamente indicativo, che tanti trovano tranquillità e
pace, si sentono rinnovati e rinvigoriti quando sono a stretto contatto con la bellezza e l’armonia della natura. Vi è pertanto una sorta di reciprocità: nel prenderci cura del creato, noi
constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi. D’altra parte, una corretta concezione del rapporto dell’uomo con l’ambiente non porta ad assolutizzare la natura né a ritenerla
più importante della stessa persona. Se il Magistero della Chiesa esprime perplessità dinanzi
ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale
concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri
viventi. In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo,
favorendo una visione egualitaristica della «dignità» di tutti gli esseri viventi. Si dà adito, così,
ad un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in
senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo. La Chiesa invita, invece, ad impostare la
questione in modo equilibrato, nel rispetto della «grammatica» che il Creatore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del creato,
ruolo di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare. Infatti, anche la
posizione contraria di assolutizzazione della tecnica e del potere umano, finisce per essere un
grave attentato non solo alla natura, ma anche alla stessa dignità umana.
14. Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. La ricerca della pace da parte di tutti gli uomini
di buona volontà sarà senz’altro facilitata dal comune riconoscimento del rapporto inscindibile
che esiste tra Dio, gli esseri umani e l’intero creato. Illuminati dalla divina Rivelazione e seguendo la Tradizione della Chiesa, i cristiani offrono il proprio apporto. Essi considerano il cosmo
e le sue meraviglie alla luce dell’opera creatrice del Padre e redentrice di Cristo, che, con la sua
morte e risurrezione, ha riconciliato con Dio «sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che
stanno nei cieli». Il Cristo, crocifisso e risorto, ha fatto dono all’umanità del suo Spirito santificatore, che guida il cammino della storia, in attesa del giorno in cui, con il ritorno glorioso del
Signore, verranno inaugurati «nuovi cieli e una terra nuova», in cui abiteranno per sempre la
giustizia e la pace. Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto,
dovere di ogni persona. Ecco una sfida urgente da affrontare con rinnovato e corale impegno;
ecco una provvidenziale opportunità per consegnare alle nuove generazioni la prospettiva di
un futuro migliore per tutti. Ne siano consapevoli i responsabili delle nazioni e quanti, ad ogni
livello, hanno a cuore le sorti dell’umanità: la salvaguardia del creato e la realizzazione della
pace sono realtà tra loro intimamente connesse! Per questo, invito tutti i credenti ad elevare la
loro fervida preghiera a Dio, onnipotente Creatore e Padre misericordioso, affinché nel cuore di
ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressante appello: Se vuoi coltivare
la pace, custodisci il creato.
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UDIENZA AI RAPPRESENTANTI DEI MEDIA
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Aula Paolo VI - Sabato, 16 marzo 2013
Cari amici,
sono lieto, all’inizio del mio ministero nella Sede di Pietro, di incontrare voi, che avete lavorato
qui a Roma in questo periodo così intenso, iniziato con il sorprendente annuncio del mio venerato Predecessore Benedetto XVI, l’11 febbraio scorso. Saluto cordialmente ciascuno di voi.
Il ruolo dei mass-media è andato sempre crescendo in questi ultimi tempi, tanto che esso è
diventato indispensabile per narrare al mondo gli eventi della storia contemporanea. Un ringraziamento speciale rivolgo quindi a voi per il vostro qualificato servizio dei giorni scorsi – avete
lavorato, eh! avete lavorato! –, in cui gli occhi del mondo cattolico e non solo si sono rivolti alla
Città Eterna, in particolare a questo territorio che ha per “baricentro” la tomba di San Pietro.
In queste settimane avete avuto modo di parlare della Santa Sede, della Chiesa, dei suoi riti e
tradizioni, della sua fede e in particolare del ruolo del Papa e del suo ministero.
Un ringraziamento particolarmente sentito va a quanti hanno saputo osservare e presentare
questi eventi della storia della Chiesa tenendo conto della prospettiva più giusta in cui devono
essere letti, quella della fede. Gli avvenimenti della storia chiedono quasi sempre una lettura
complessa, che a volte può anche comprendere la dimensione della fede. Gli eventi ecclesiali
non sono certamente più complicati di quelli politici o economici! Essi però hanno una caratteristica di fondo particolare: rispondono a una logica che non è principalmente quella delle categorie, per così dire, mondane, e proprio per questo non è facile interpretarli e comunicarli ad
un pubblico vasto e variegato. La Chiesa, infatti, pur essendo certamente anche un’istituzione
umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente
spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù
Cristo. Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto
la Chiesa Cattolica opera.
Cristo è il Pastore della Chiesa, ma la sua presenza nella storia passa attraverso la libertà degli
uomini: tra di essi uno viene scelto per servire come suo Vicario, Successore dell’Apostolo
Pietro, ma Cristo è il centro, non il Successore di Pietro: Cristo. Cristo è il centro. Cristo è il
riferimento fondamentale, il cuore della Chiesa. Senza di Lui, Pietro e la Chiesa non esisterebbero né avrebbero ragion d’essere. Come ha ripetuto più volte Benedetto XVI, Cristo è presente
e guida la sua Chiesa. In tutto quanto è accaduto il protagonista è, in ultima analisi, lo Spirito
Santo. Egli ha ispirato la decisione di Benedetto XVI per il bene della Chiesa; Egli ha indirizzato nella preghiera e nell’elezione i Cardinali.
È importante, cari amici, tenere in debito conto questo orizzonte interpretativo, questa ermeneutica, per mettere a fuoco il cuore degli eventi di questi giorni.
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Da qui nasce anzitutto un rinnovato e sincero ringraziamento per le fatiche di questi giorni
particolarmente impegnativi, ma anche un invito a cercare di conoscere sempre di più la vera
natura della Chiesa e anche il suo cammino nel mondo, con le sue virtù e con i suoi peccati, e
conoscere e le motivazioni spirituali che la guidano e che sono le più autentiche per comprenderla. Siate certi che la Chiesa, da parte sua, riserva una grande attenzione alla vostra preziosa
opera; voi avete la capacità di raccogliere ed esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo,
di offrire gli elementi per una lettura della realtà. Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei
confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini,
perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza “in
persona”. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi,
ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza.
Alcuni non sapevano perché il Vescovo di Roma ha voluto chiamarsi Francesco. Alcuni pensavano a Francesco Saverio, a Francesco di Sales, anche a Francesco d’Assisi. Io vi racconterò la
storia. Nell’elezione, io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto
emerito della Congregazione per il Clero, il cardinale Claudio Hummes: un grande amico, un
grande amico! Quando la cosa diveniva un po’ pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti
sono saliti a due terzi, viene l’applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi abbracciò, mi baciò e mi disse: “Non dimenticarti dei poveri!”. E quella parola è entrata qui: i poveri,
i poveri. Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle
guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E
così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. E’ per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo
con il creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace,
l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! Dopo, alcuni hanno fatto
diverse battute. “Ma, tu dovresti chiamarti Adriano, perché Adriano VI è stato il riformatore,
bisogna riformare …”. E un altro mi ha detto: “No, no: il tuo nome dovrebbe essere Clemente”.
“Ma perché?”. “Clemente XV: così ti vendichi di Clemente XIV che ha soppresso la Compagnia
di Gesù!”. Sono battute … Vi voglio tanto bene, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto. E
penso al vostro lavoro: vi auguro di lavorare con serenità e con frutto, e di conoscere sempre
meglio il Vangelo di Gesù Cristo e la realtà della Chiesa. Vi affido all’intercessione della Beata
Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione. E auguro il meglio a voi e alle vostre famiglie, a
ciascuna delle vostre famiglie. E imparto di cuore a tutti voi la benedizione.
Grazie.
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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro - Martedì, 19 marzo 2013
Solennità di San Giuseppe
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella
solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una
coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore:
gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e
tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose.
Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti
Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio
affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è
una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II:
«San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine
Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con
una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio
con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con
premura e tutto l’amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in
quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio
al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il
mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è
quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera
una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio
stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”,
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perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più
sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento
a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si
risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il
centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli
altri, per custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che
precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza
del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire
la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi,
di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura
l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si
prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con
sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene.
In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti.
Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo
cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e
deturpano il volto dell’uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della
creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!
Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia,
la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro
cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono
e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà,
chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte,
coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del
debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione,
di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della
tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo
di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un
potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore,
segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che
il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in
quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, con71
creto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo
di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i
più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è
straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!
Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a
tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la
speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore,
è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare
il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe,
la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla
roccia che è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più
povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere,
ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore
ciò che Dio ci ha donato!
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san
Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate
per me!
Amen.
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PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro - Mercoledì, 5 giugno 2013
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dell’ambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche l’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa
dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la
distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al
Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e
custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo
sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha
per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione!
Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma
a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità,
trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato
più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica
della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere,
del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo
come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della
contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo?
Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i
suoi segni.
Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e
il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente
legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo,
la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave
perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di
economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono:
sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l’uomo,
è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire
la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece
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uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello
scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano,
per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono
bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere
così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di
freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di
alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di
dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita
umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se
è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari,
che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone
e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non
gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo
spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che
va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta
via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere
sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando
seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani:
Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17).
Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici
ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta
simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo
equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai
bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere
attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere
una cultura della solidarietà e dell’incontro.
Grazie.
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1 gennaio 2014
FRATERNITÀ, FONDAMENTO E VIA PER LA PACE
La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura
9. La famiglia umana ha ricevuto dal Creatore un dono in comune: la natura. La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi sulla natura per
trarne beneficio, a patto di agire responsabilmente, cioè riconoscendone quella “grammatica”
che è in essa inscritta ed usando saggiamente le risorse a vantaggio di tutti, rispettando la bellezza, la finalità e l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro funzione nell’ecosistema. Insomma,
la natura è a nostra disposizione, e noi siamo chiamati ad amministrarla responsabilmente.
Invece, siamo spesso guidati dall’avidità, dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non custodiamo la natura, non la rispettiamo, non la consideriamo
come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future.
In particolare, il settore agricolo è il settore produttivo primario con la vitale vocazione di
coltivare e custodire le risorse naturali per nutrire l’umanità. A tale riguardo, la persistente
vergogna della fame nel mondo mi incita a condividere con voi la domanda: in che modo
usiamo le risorse della terra? Le società odierne devono riflettere sulla gerarchia delle priorità a
cui si destina la produzione. Difatti, è un dovere cogente che si utilizzino le risorse della terra
in modo che tutti siano liberi dalla fame. Le iniziative e le soluzioni possibili sono tante e non
si limitano all’aumento della produzione. E’ risaputo che quella attuale è sufficiente, eppure
ci sono milioni di persone che soffrono e muoiono di fame e ciò costituisce un vero scandalo.
È necessario allora trovare i modi affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra, non
soltanto per evitare che si allarghi il divario tra chi più ha e chi deve accontentarsi delle briciole,
ma anche e soprattutto per un’esigenza di giustizia e di equità e di rispetto verso ogni essere
umano. In tal senso, vorrei richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni
che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa. Rispettare tale principio è la
condizione essenziale per consentire un fattivo ed equo accesso a quei beni essenziali e primari
di cui ogni uomo ha bisogno e diritto.
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DELL’ECCELLENTISSIMO CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE
Sala Regia - Lunedì, 13 gennaio 2014
[…] Infine, desidero menzionare un’altra ferita alla pace, che sorge dall’avido sfruttamento
delle risorse ambientali. Anche se «la natura è a nostra disposizione» (Messaggio per la XLVII
Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2013, 9), troppo spesso «non la rispettiamo e non la
consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future» (ibid.). Pure in questo caso va chiamata in causa la responsabilità di
ciascuno affinché, con spirito fraterno, si perseguano politiche rispettose di questa nostra terra,
che è la casa di ognuno di noi. Ricordo un detto popolare che dice: “Dio perdona sempre, noi
perdoniamo a volte, la natura – il creato – non perdona mai quando viene maltrattata!”. D’altra
parte, abbiamo avuto davanti ai nostri occhi gli effetti devastanti di alcune recenti catastrofi
naturali. In particolare, desidero ricordare ancora le numerose vittime e le gravi devastazioni
nelle Filippine e in altri Paesi del Sud-Est asiatico provocate dal tifone Haiyan. […]
76
PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro - Mercoledì, 21 maggio 2014
I doni dello Spirito Santo: 5. La Scienza
Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Oggi vorrei mettere in luce un altro dono dello Spirito Santo, il dono della scienza. Quando
si parla di scienza, il pensiero va immediatamente alla capacità dell’uomo di conoscere sempre
meglio la realtà che lo circonda e di scoprire le leggi che regolano la natura e l’universo. La
scienza che viene dallo Spirito Santo, però, non si limita alla conoscenza umana: è un dono
speciale, che ci porta a cogliere, attraverso il creato, la grandezza e l’amore di Dio e la sua relazione profonda con ogni creatura.
1. Quando i nostri occhi sono illuminati dallo Spirito, si aprono alla contemplazione di Dio,
nella bellezza della natura e nella grandiosità del cosmo, e ci portano a scoprire come ogni cosa
ci parla di Lui e del suo amore. Tutto questo suscita in noi grande stupore e un profondo senso
di gratitudine! È la sensazione che proviamo anche quando ammiriamo un’opera d’arte o qualsiasi meraviglia che sia frutto dell’ingegno e della creatività dell’uomo: di fronte a tutto questo,
lo Spirito ci porta a lodare il Signore dal profondo del nostro cuore e a riconoscere, in tutto ciò
che abbiamo e siamo, un dono inestimabile di Dio e un segno del suo infinito amore per noi.
2. Nel primo capitolo della Genesi, proprio all’inizio di tutta la Bibbia, si mette in evidenza
che Dio si compiace della sua creazione, sottolineando ripetutamente la bellezza e la bontà di
ogni cosa. Al termine di ogni giornata, è scritto: «Dio vide che era cosa buona» (1,12.18.21.25):
se Dio vede che il creato è una cosa buona, è una cosa bella, anche noi dobbiamo assumere
questo atteggiamento e vedere che il creato è cosa buona e bella. Ecco il dono della scienza
che ci fa vedere questa bellezza, pertanto lodiamo Dio, ringraziamolo per averci dato tanta
bellezza. E quando Dio finì di creare l’uomo non disse «vide che era cosa buona», ma disse che
era «molto buona» (v. 31). Agli occhi di Dio noi siamo la cosa più bella, più grande, più buona
della creazione: anche gli angeli sono sotto di noi, noi siamo più degli angeli, come abbiamo
sentito nel libro dei Salmi. Il Signore ci vuole bene! Dobbiamo ringraziarlo per questo. Il dono
della scienza ci pone in profonda sintonia con il Creatore e ci fa partecipare alla limpidezza del
suo sguardo e del suo giudizio. Ed è in questa prospettiva che riusciamo a cogliere nell’uomo e
nella donna il vertice della creazione, come compimento di un disegno d’amore che è impresso
in ognuno di noi e che ci fa riconoscere come fratelli e sorelle.
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3. Tutto questo è motivo di serenità e di pace e fa del cristiano un testimone gioioso di Dio, sulla scia di san Francesco d’Assisi e di tanti santi che hanno saputo lodare e cantare il suo amore
attraverso la contemplazione del creato. Allo stesso tempo, però, il dono della scienza ci aiuta
a non cadere in alcuni atteggiamenti eccessivi o sbagliati. Il primo è costituito dal rischio di
considerarci padroni del creato. Il creato non è una proprietà, di cui possiamo spadroneggiare
a nostro piacimento; né, tanto meno, è una proprietà solo di alcuni, di pochi: il creato è un
dono, è un dono meraviglioso che Dio ci ha dato, perché ne abbiamo cura e lo utilizziamo a
beneficio di tutti, sempre con grande rispetto e gratitudine. Il secondo atteggiamento sbagliato
è rappresentato dalla tentazione di fermarci alle creature, come se queste possano offrire la
risposta a tutte le nostre attese. Con il dono della scienza, lo Spirito ci aiuta a non cadere in
questo sbaglio.
Ma vorrei ritornare sulla prima via sbagliata: spadroneggiare sul creato invece di custodirlo.
Dobbiamo custodire il creato poiché è un dono che il Signore ci ha dato, è il regalo di Dio
a noi; noi siamo custodi del creato. Quando noi sfruttiamo il creato, distruggiamo il segno
dell’amore di Dio. Distruggere il creato è dire a Dio: “non mi piace”. E questo non è buono:
ecco il peccato.
La custodia del creato è proprio la custodia del dono di Dio ed è dire a Dio: “grazie, io sono
il custode del creato ma per farlo progredire, mai per distruggere il tuo dono”. Questo deve
essere il nostro atteggiamento nei confronti del creato: custodirlo perché se noi distruggiamo il
creato, il creato ci distruggerà! Non dimenticate questo. Una volta ero in campagna e ho sentito un detto da una persona semplice, alla quale piacevano tanto i fiori e li custodiva. Mi ha
detto: “Dobbiamo custodire queste cose belle che Dio ci ha dato; il creato è per noi affinché ne
profittiamo bene; non sfruttarlo, ma custodirlo, perché Dio perdona sempre, noi uomini perdoniamo alcune volte, ma il creato non perdona mai e se tu non lo custodisci lui ti distruggerà”.
Questo deve farci pensare e deve farci chiedere allo Spirito Santo il dono della scienza per capire bene che il creato è il più bel regalo di Dio. Egli ha fatto tante cose buone per la cosa più
buona che è la persona umana.
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INCONTRO CON IL MONDO DEL LAVORO E DELL’INDUSTRIA
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Aula Magna dell’Università degli Studi del Molise (Campobasso)
Sabato, 5 luglio 2014
Signor Rettore,
Autorità, studenti, personale dell’università, Professori,
fratelli e sorelle del mondo del lavoro,
vi ringrazio per la vostra accoglienza. Vi ringrazio soprattutto per aver condiviso con me la realtà che vivete, le fatiche e le speranze. Il Signor Rettore ha ripreso l’espressione che io ho detto
una volta: che il nostro Dio è il Dio delle sorprese. E’ vero, ogni giorno ce ne fa una. E’ così, il
nostro Padre. Ma ha detto un’altra cosa su Dio, che prendo adesso: Dio che rompe gli schemi.
E se noi non abbiamo il coraggio di rompere gli schemi, mai andremo avanti perché il nostro
Dio ci spinge a questo: a essere creativi sul futuro.
La mia visita in Molise comincia da questo incontro con il mondo del lavoro, ma il luogo in
cui ci troviamo è l’Università. E questo è significativo: esprime l’importanza della ricerca e della
formazione anche per rispondere alle nuove complesse domande che l’attuale crisi economica
pone, sul piano locale, nazionale e internazionale. Lo testimoniava poco fa il giovane agricoltore con la sua scelta di fare il corso di laurea in agraria e di lavorare la terra “per vocazione”.
Il restare del contadino sulla terra non è rimanere fisso, è fare un dialogo, un dialogo fecondo,
un dialogo creativo. E’ il dialogo dell’uomo con la sua terra che la fa fiorire, la fa diventare per
tutti noi feconda. Questo è importante. Un buon percorso formativo non offre facili soluzioni,
ma aiuta ad avere uno sguardo più aperto e più creativo per valorizzare meglio le risorse del
territorio.
Condivido pienamente ciò che è stato detto sul “custodire” la terra, perché dia frutto senza
essere “sfruttata”. Questa è una delle più grandi sfide della nostra epoca: convertirci ad uno
sviluppo che sappia rispettare il creato. Io vedo l’America – la mia patria, pure: tante foreste,
spogliate, che diventano terra che non si può coltivare, che non può dare vita. Questo è il peccato nostro: di sfruttare la terra e non lasciare che lei ci dia quello che ha dentro, con il nostro
aiuto della coltivazione.
Un’altra sfida è emersa dalla voce di questa brava mamma operaia, che ha parlato anche a nome
della sua famiglia: il marito, il bambino piccolo e il bambino in grembo. Il suo è un appello
per il lavoro e nello stesso tempo per la famiglia. Grazie di questa testimonianza! In effetti, si
tratta di cercare di conciliare i tempi del lavoro con i tempi della famiglia. Ma vi dirò una cosa:
quando vado al confessionale e confesso - adesso non tanto come lo facevo nell’altra diocesi
-, quando viene una mamma o un papà giovane, domando: “Quanti bambini hai?”, e mi dice.
E faccio un’altra domanda, sempre: “Dimmi: tu giochi con i tuoi bambini?” La maggioranza
79
risponde: “Come dice Padre?” – “Sì, sì: tu giochi? Perdi tempo con i tuoi bambini?”. Stiamo
perdendo questa capacità, questa saggezza di giocare con i nostri bambini. La situazione economica ci spinge a questo, a perdere questo. Per favore, perdere il tempo con i nostri bambini!
La domenica: lei [si rivolge alla lavoratrice] ha fatto riferimento a questa domenica di famiglia,
a perdere il tempo… Questo è un punto “critico”, un punto che ci permette di discernere, di
valutare la qualità umana del sistema economico in cui ci troviamo. E all’interno di questo ambito si colloca anche la questione della domenica lavorativa, che non interessa solo i credenti,
ma interessa tutti, come scelta etica. E’ questo spazio della gratuità che stiamo perdendo. La
domanda è: a che cosa vogliamo dare priorità? La domenica libera dal lavoro – eccettuati i servizi necessari – sta ad affermare che la priorità non è all’economico, ma all’umano, al gratuito,
alle relazioni non commerciali ma familiari, amicali, per i credenti alla relazione con Dio e con
la comunità. Forse è giunto il momento di domandarci se quella di lavorare alla domenica è
una vera libertà. Perché il Dio delle sorprese e il Dio che rompe gli schemi fa sorprese e rompe
gli schemi perché noi diventiamo più liberi: è il Dio della libertà.
Cari amici, oggi vorrei unire la mia voce a quella di tanti lavoratori e imprenditori di questo
territorio nel chiedere che possa attuarsi anche un “patto per il lavoro”. Ho visto che nel Molise
si sta cercando di rispondere al dramma della disoccupazione mettendo insieme le forze in
modo costruttivo. Tanti posti di lavoro potrebbero essere recuperati attraverso una strategia
concordata con le autorità nazionali, un “patto per il lavoro” che sappia cogliere le opportunità
offerte dalle normative nazionali ed europee. Vi incoraggio ad andare avanti su questa strada,
che può portare buoni frutti qui come anche in altre regioni.
Vorrei tornare su una parola che tu [si rivolge al lavoratore] hai detto: dignità. Non avere lavoro
non è soltanto non avere il necessario per vivere, no. Noi possiamo mangiare tutti i giorni:
andiamo alla Caritas, andiamo a questa associazione, andiamo al club, andiamo là e ci danno
da mangiare. Ma questo non è il problema. Il problema è non portare il pane a casa: questo è
grave, e questo toglie la dignità! Questo toglie la dignità. E il problema più grave non è la fame
– anche se il problema c’è. Il problema più grave è la dignità. Per questo dobbiamo lavorare e
difendere la nostra dignità, che dà il lavoro.
Infine, vorrei dirvi che mi ha colpito il fatto che mi abbiate donato un dipinto che rappresenta
proprio una “maternità”. Maternità comporta travaglio, ma il travaglio del parto è orientato alla
vita, è pieno di speranza. Allora non solo vi ringrazio per questo dono, ma vi ringrazio ancora
di più per la testimonianza che esso contiene: quella di un travaglio pieno di speranza. Grazie!
E vorrei aggiungere un fatto storico, che mi è successo. Quando io ero Provinciale dei Gesuiti,
c’era bisogno di inviare in Antartide, a vivere lì 10 mesi l’anno, un cappellano. Ho pensato, ed
è andato uno, padre Bonaventura De Filippis. Ma, sapete, era nato a Campobasso, era di qua!
Grazie!
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Capitolo II
10 ANNI DI NOSTRA MADRE TERRA
Elenco dei Convegni
Interventi dei Custodi del Sacro Convento
Contributi ai Convegni
Protocolli di intesa
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ELENCO DEI CONVEGNI
2005 Fratello Sole Madre Terra Ambiente e spiritualità
2006 Fratello Sole Madre Terra Educazione ambientale
2007 Fratello Sole Madre Terra Clima e solidarietà: cambiamenti interconnessi
2008 Fratello Sole Madre Terra Per una nuova cultura della complessità
2009 Fratello Sole Madre Terra Natura vivente: comprendere i cambiamenti
e le loro cause
Per una conversione ecologica: le chiese
si interrogano
2010 Fratello Sole Madre Terra Energie rinnovabili, ambiente e agrosistema
Se vuoi coltivare la pace custodisci il creato
2011 Nostra Madre Terra
Rispettare l’ambiente tra infrastrutture,
sviluppo sostenibile e cura dell’uomo
2012 Nostra Madre Terra
Mobilità sostenibile per la cura
e la salvaguardia del creato
2013 Nostra Madre Terra
Ambiente e piano energetico:
approvvigionamento, consumo e riuso
2014 Nostra Madre Terra
La fragile bellezza: ambiente e arte
fra umanesimo e scienza
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Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
padre Vincenzo Coli
LA RIPRESA DI UN SOGNO
Il nostro sogno di aiutare a riflettere, nello spirito del Santo di Assisi, sui gravi problemi
ambientali si sta realizzando, in modo molto tangibile, con la pubblicazione degli Atti della
Conferenza per il ripristino del Premio Internazionale per l’Ambiente “San Francesco – Cantico delle
Creature”, svoltasi il 14 settembre 2005.
Ne siamo profondamente grati al prof. Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, presidente
ed al Consiglio di Presidenza dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, al figlio
dell’indimenticabile Prof. G. B. Marini Bettolo, agli illustri relatori della suddetta Conferenza,
ed a tanti altri amici. Essi ci hanno costantemente sollecitato perché, con modalità diverse e
con diversi soggetti responsabili, riprendesse a vivere l’iniziativa del conferimento del Premio
internazionale, nata nell’anno 1989.
Ciò è avvenuto, prima con la firma di un “accordo” tra Sacro Convento e Accademia delle
Scienze, e poi con la suddetta Conferenza. La nostra rivista San Francesco Patrono d’Italia (settembre 2005 - n. 9) ne ha già parlato ampiamente con “Speciale ambiente. Assumersi le proprie
responsabilità”.
Una fruttuosa giornata per l’apporto specifico di studiosi, politici e amministratori, terminata con un concerto nel chiostro superiore di Sisto IV, con canti ricchi di contenuti richiamanti continuamente a quei valori e atteggiamenti che dovranno tornare ad essere patrimonio
condiviso se vogliamo salvare il nostro pianeta ed offrirlo come splendido dono alla generazioni future.
Noi, francescani conventuali della Basilica di San Francesco in Assisi, invitiamo gli amici
e tutti gli uomini di buona volontà a guardare con fiducia alla Fonte di tanto dono e come il
Poverello ad assumere atteggiamenti e comportamenti che rivelino rispetto e amore, sobrietà e
stupore.
A tutti un sentito ringraziamento e l’augurio di un fecondo impegno. Pace e bene.
85
EDUCAZIONE AMBIENTALE
fratello sole madre terra 2006
padre Vincenzo Coli
Amici e fratelli, Autorità e Studiosi,
siate i benvenuti in Assisi, presso la Tomba di San Francesco che ha avuto, come dono dallo
Spirito, un carisma ricchissimo di componenti, tra le quali, veramente caratteristica e singolare
spicca il sentimento di fraternità cosmica e l’atteggiamento esistenziale di lode e di ringraziamento a Dio per il dono della creazione e a nome di essa.
Nel nostro tempo, sia per fattori culturali (crisi ambientale e sensibilità ecologica, deterioramento della qualità della vita; via senza sbocco dell’approccio manipolatorio tecnico-scientifico alla realtà) e teologici (rivalutazione dell’uomo come immagine di Dio, senso più vivo
della sua responsabilità davanti al suo Creatore, ecc) hanno spinto noi francescani conventuali
(anche per ragioni costitutivamente carismatiche) ad essere presenti, da molti anni e in vari
modi, nei processi formativi per aiutare a riscoprire e a vivere:
• il creato come dono; il suo valore e la sua bellezza;
• l’esigenza di una libertà intrisa di responsabilità perché i beni della terra hanno un valore
intrinseco, sono limitati e perciò ci obbligano a guardare anche alle future generazioni.
Tutte le componenti del carisma francescano vanno comprese alla luce della radicale e
peculiare esperienza che Francesco ha fatto di Cristo, rivelatore dell’amore umile e ablativo di
Dio. Questa problematica, in particolare, richiede la rinuncia alla “voluptas o cupido dominandi”, uno sguardo nuovo, per educarci a servire la vita in tutte le sue manifestazioni attraverso
un amore umile e la non appropriazione di quanto ricevuto come amministratori!
Credo che solo in questa prospettiva è possibile educare, è possibile cioè quello che generazioni di educatori e fondatori chiamano la docibìlitas hominis. Dobbiamo tornare ad allietarci della presenza delle altre creature, a scoprirne la vera utilità e a godere del loro splendore.
Il Cantico di frate Francesco rivela la verità di una esperienza straordinaria, frutto dello Spirito
creatore. A Lui la gloria, a noi tutti il gioioso e amabile impegno di servire la vita.
Auguri di fecondo lavoro.
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NATURA VIVENTE: COMPRENDERE I CAMBIAMENTI E LE LORO CAUSE
fratello sole madre terra 2009
padre Giuseppe Piemontese
Laudato si’, mi Signore […] per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et omne tempo, per lo
quale, a le Tue creature dai sostentamento
Eccellenze reverendissime, Presidente Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, illustri relatori
e partecipanti tutti a questo Convegno Internazionale, a nome dei frati del Sacro Convento
rivolgo a ciascuno di voi il saluto di Francesco: il Signore vi dia la Pace!
Siamo lieti di ospitare quest’anno, al Sacro Convento, in una contemporaneità di luogo e
di tempi, il tradizionale convegno annuale dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL
e il convegno organizzato dalle Commissione CEI: Commissione per i problemi sociali e il lavoro,
la giustizia e la pace e la Commissione per l’Ecumenismo e il dialogo, in occasione della IV Giornata
per la salvaguardia del Creato.
È oltremodo significativo il desiderio di dar vita all’approfondimento di un tema vitale per
il bene dell’umanità e del pianeta, lasciandosi ispirare da San Francesco d’Assisi, nelle ricorrenze degli 800 anni dall’approvazione della Prima Regola da parte di Papa Innocenzo III, nel 70°
anniversario della proclamazione di San Francesco Patrono d’Italia e nel 30° anniversario della
proclamazione di San Francesco Patrono degli Ecologi.
La lode a Dio di Francesco d’Assisi… “per tutte le creature, specialmente per frate sole,
per frate vento e per aere et nubilo et sereno…” suona alle orecchie di molti come l’espressione
spontanea di un animo nobile e sensibile. La realtà è che Francesco è stato un uomo, che solo
nel suo percorso umano e spirituale di incontro con l’Onnipotente bon Signore , è giunto a
riconoscere in ogni cosa la significazione dell’Altissimo e a ricondurre a Lui, le “creature” alle
quali dà sostentamento.
Il fatto che abbiate scelto questo luogo, significativo per la presenza delle Spoglie mortali e
la memoria viva di San Francesco d’Assisi, può esservi di aiuto nel cercare risposte alle domande
sui “cambiamenti e le loro cause”, alcune delle quali già individuate dal Santo di Assisi.
Esprimo l’auspicio che Francesco d’Assisi con la sua storia e il suo vissuto, pienamente
rinnovato dall’incontro con Gesù Cristo, indichi a scienziati e a uomini di Chiesa il percorso
che porta alla riconciliazione tra gli uomini con la natura vivente e con tutto il Creato.
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ENERGIE RINNOVABILI, AMBIENTE E AGROSISTEMA
fratello sole madre terra 2010
padre Giuseppe Piemontese
Laudato si’, mi Signore, per sora nostra madre Terra, la quale ne sostenta e governa, e produce diversi
fructi con coloriti fiori ed erba (FF.263o
Eccellenze reverendissime, presidente Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, onorevole ministro dell’Ambiente on. Stefania Prestigiacomo, illustri relatori e partecipanti tutti a questo
Convegno Internazionale, a nome dei frati del Sacro Convento porgo a ciascuno di voi un
fraterno benvenuto e il saluto di S. Francesco: il Signore vi dia la Pace!
In occasione della V Giornata per la salvaguardia del Creato, che si celebra nel mese di settembre, siamo felici di ospitare presso il Sacro Convento e di dare inizio al Convegno dell’Accademia Nazionale delle Scienze, sul tema: “Energie rinnovabili, Ambiente e Agrosistema - Se vuoi
coltivare la pace, custodisci il creato”.
Scienziati, Politici, Vescovi e Alti Funzionari hanno qui, l’opportunità di comunicare e
scambiare le proprie considerazioni e prospettive in vista di un futuro, ma anche di un presente,
di pace e di benessere ecologico.
Nel “Cantico di Frate Sole”, Francesco d’Assisi esprime la lode a Dio per l’ambiente vitale
dell’uomo che egli chiama “Sorella nostra la madre Terra”. Sembra quasi che Egli voglia invitarci
a considerare la terra non solo come la nostra “casa”, che va comunque, tenuta in buon ordine,
ma che intenda soprattutto promuovere lodevolmente l’Ecologia (oikos = casa).
Francesco ci invita a pensare la nostra relazione con la Terra e l’ambiente come legame
vitale, fisico, di sangue, fatto non solo di contiguità, ma proprio di parentela. Quella che la
cultura antica ha definito con realismo esperienziale “madre Terra”, Francesco rinomina nella
sua logica di fede e di fratellanza universale “sorella madre Terra”.
Egli inoltre, sottolinea con incantevole prospettiva la relazione con l’ambiente, che lo
innalza, partendo dalle vette della esperienza estetica, alla contemplazione della bellezza di Dio
e della sua provvidenza nei diversi fructi con coloriti fiori ed erba.
Così dicono di lui le Fonti Francescane: “E quale estasi gli procurava la bellezza dei fiori
quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza! Subito ricordava la bellezza
di quell’altro Fiore il quale, spuntando luminoso nel cuore dell’inverno dalla radice di Iesse, col
suo profumo ritornò alla vita migliaia e migliaia di morti. Se vedeva distese di fiori, si fermava
a predicare loro e li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione, allo stesso
modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle campagne, le acque correnti e i giardini
verdeggianti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento con semplicità e purità di cuore invitava ad
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amare e a lodare il Signore.” (FF. 460)
Il tema del convegno di quest’anno certamente analizzerà scientificamente i vari aspetti
dell’Ambiente, delle Energie rinnovabili e dell’Agrosistema e ci farà dono di alcune risposte
praticabili in vista di una migliore qualità della vita.
Noi le aspettiamo con interesse, mentre facciamo presente che il benessere ambientale,
esteso a tutti e fruibile da tutti, oggi e nei tempi avvenire, dipende in gran parte dalla “custodia del creato” da parte degli uomini, chiamati a favorire lo sviluppo armonico della natura e
a impedire ogni sfruttamento sconsiderato dell’ambiente, causato generalmente dal profitto
smodato.
La condizione del successo è che si cambi mentalità e… cuore; si torni a parlare della Terra, come “madre e sorella”, in quella relazione di consanguineità, che ci porta a sentirla propria,
ad amarla e difenderla come la propria vita.
La vicinanza con la Tomba e le Spoglie mortali di san Francesco d’Assisi, patrono dei
Cultori dell’ecologia, ci illumini in questa giornata di lavoro e ci sostenga nelle nostre responsabilità verso “sorella Madre Terra”.
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RISPETTARE L’AMBIENTE TRA INFRASTRUTTURE,
SVILUPPO E CURA DELL’UOMO
nostra madre terra 2011
padre Giuseppe Piemontese
Eccellenze reverendissime, Prof.ssa Emilia Chiancone, Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, Onorevoli Ministri, Signor Sindaco, illustri relatori e partecipanti tutti a
questo Convegno Internazionale, a nome dei frati del Sacro Convento porgo a ciascuno di voi
un fraterno benvenuto e il saluto di S. Francesco: il Signore vi dia la Pace!
Rivolgo un pensiero grato e orante alla memoria del prof. Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, già presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, entusiasta animatore dei nostri
convegni e amico fraterno di tanti di noi. L’incontro con Sorella morte corporale gli ha aperto
le braccia di Dio.
Esprimo gratitudine a tutti voi per la presenza qualificata a questo Convegno internazionale, al quale date prestigio e impulso di proposte, di novità e di progetti.
La coincidenza del nostro Convegno internazionale con la celebrazione della VI Giornata
per la salvaguardia del Creato, che si celebra nel mese di settembre, consente di dare ulteriore
valore e significato ai due eventi. E noi frati del Sacro Convento siamo felici che le riflessioni
sull’ambiente abbiano come illuminazione e ispirazione la presenza di San Francesco e il suo
messaggio.
Il convegno di quest’anno si pone nel solco della preparazione immediata al pellegrinaggio, che papa Benedetto XVI insieme ai leader religiosi di tutto il mondo, farà in Assisi il
prossimo 27 ottobre, per pregare per la pace e parlare di dialogo, di verità e anche di ambiente,
temi vitali e molto cari agli uomini di buona volontà. Nel messaggio inviato al convegno internazionale “Uomini e religioni” di Monaco di Baviera dei giorni scorsi, il Santo Padre scriveva:
“Spesso non possiamo fare altro che preparare incessantemente e con tanti piccoli passi il terreno per la pace in noi e intorno a noi, anche pensando alle grandi sfide con cui si confronta non
il singolo, ma l’intera umanità, come le migrazioni, la globalizzazione, le crisi economiche e la
salvaguardia del creato”.
Propongo un riferimento alla Sacra Scrittura per fondare correttamente il tema di questa
giornata. Dio pose l’uomo nel giardino dell’Eden appena creato, quale dono in vista di una
vita da gustare e trascorrere nella gioia, nella bellezza e nella comunione. Dio affidò all’uomo
la creazione perché la curasse e ne completasse l’opera. L’Ambiente è dono di Dio per l’uomo,
consegnato per essere abbellito e arricchito con il genio dell’ingegno a beneficio dell’umanità.
La rottura della relazione con Dio, attraverso il peccato, purtroppo, accresce la fatica e la
responsabilità dell’uomo nel cercare il giusto equilibrio tra desiderio di possedere, di consu90
mare e sviluppo ragionevole, “sostenibile”, avendo come misura l’uomo nella sua dimensione
personale, di relazione con Dio e con l’umanità intera.
Il discorso del rapporto tra l’uomo e l’ambiente diventa produttivo e fruttuoso, responsabile ad alcune condizioni:
• l’uomo non si abbandoni allo spontaneismo dei suoi impulsi di conquista, di possesso
smodato, di interesse personale, ma si lasci guidare da una visione- filosofia “religiosa”
della bellezza, della condivisione, del servizio agli altri uomini, partendo dalla convivialità
universale in senso temporale orizzontale e verticale ( tutti gli uomini e tutti i tempi);
• la visione francescana della fraternità universale può contribuire ad una convivenza
pacifica, condita da bellezza, gioia-letizia, crescita e sviluppo di tutti e di ognuno;
• un ruolo fondamentale è giocato dall’azione educativa nella società nei confronti delle
giovani generazioni, e non solo, attraverso la ricerca della verità, le conoscenze, il buon
esempio, la proposta del valore “divino” del creato e dell’uomo stesso, immagine di Dio.
Noi proponiamo Francesco d’Assisi come modello di tale percorso:
• ha conosciuto e accettato il piano di Dio: gli uomini sono tutti fratelli e tutto ciò che Dio
ha creato, è affidato alla custodia vicendevole;
• il Cantico delle Creature è la magna charta di tale visione e dell’amore e rispetto che si deve
ad ogni creatura, che “dell’Altissimo porta significazione”. Per Francesco d’Assisi la creazione tutta è espressione della bontà e bellezza di Dio.
Fratello Sole, sorella Luna e sorella Madre Terra... Da tale visione relazionale, posta alla
base di ogni ricerca e uso, può scaturire un rapporto non di rapina o di sfruttamento, ma di
fraternità e di promozione del creato e dell’uomo. A Gloria di Dio!
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Mobilità sostenibile per la cura
e la salvaguardia del creato
nostra madre terra 2012
padre Giuseppe Piemontese
Eccellenze reverendissime, presidente la Prof.ssa Emilia Chiancone, Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, Onorevoli Ministri, Signor Sindaco, illustri relatori e partecipanti tutti a questo Convegno Internazionale, a nome dei frati del Sacro Convento porgo a
ciascuno di voi un fraterno benvenuto e il saluto di S. Francesco: il Signore vi dia la Pace!
Questo è l’ottavo appuntamento, nel quale si ritrovano studiosi, imprenditori, rappresentanti del Governo, amanti dell’ambiente, mezzi di informazione e cittadini comuni su invito
del Sacro Convento di Assisi e dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL per approfondire i temi dell’ambiente e della salvaguardia del creato. Quest’anno, con la collaborazione
delle Ferrovie dello Stato, viene trattato il tema: “Mobilità sostenibile per la cura e la salvaguardia del creato”. Intendiamo anche unirci alla Chiesa Italiana e agli uomini di buona volontà per
celebrare la VII Giornata per la salvaguardia del creato”.
Il tema di quest’anno vede a confronto due aspetti: La cura e la salvaguardia del creato,
promosse da una Mobilità sostenibile, due aspetti interdipendenti, che fanno appello all’ingegno e alla responsabilità di ciascuno e della società nelle sue varie componenti: Istituzioni
politiche, agenzie formative, imprese, enti, associazioni, Chiese.
San Francesco d’Assisi viveva con spontaneità il suo rapporto con il creato e non si poneva
il problema della sua salvaguardia perché per lui era del tutto naturale e spontaneo non solo il
rispetto, ma l’amore per tutto ciò che ci circonda: l’ambiente, il mondo circostante, la natura
con gli essere viventi, animati e inanimati. Tutto il mondo è visto come creatura di Dio e trattato come fratello e sorella.
L’insegnamento di san Francesco ha ispirato intere generazioni di uomini e donne a tessere un legame “fraterno” con la creazione: non da padroni, non da signori, non da dominatori,
non da consumatori, ma da fratelli, un rapporto di fraternità, che abbracciando gli uomini,
raggiunge ogni creatura, che è sulla faccia della terra.
È vero che san Francesco si era gradualmente liberato dalle scorie e dalle pesantezze
del peccato, vivendo quasi in una condizione di paradiso terrestre ritrovato in se stesso e
in relazione alle persone, agli esseri e all’ambiente. La pesantezza della condizione umana,
aggravata dal peccato e dalle cattive abitudini, ha portato all’attuale esigenza di un ripensamento degli stili di vita e della relazione umana con il creato per la sua salvaguardia a favore
delle generazioni future.
I vescovi italiani, nel messaggio per questa giornata, rifacendoci all’esperienza biblica
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dell’alleanza tra Dio e la sua creazione, affermano che oggi occorre stabilire una nuova alleanza
tra l’uomo e la creazione. “Ritessere l’alleanza tra l’uomo e il creato significa anche affrontare
con decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente delicati, che mostrano quanto ampie
e complesse siano le questioni legate all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana”
(messaggio per la VII giornata della Salvaguardia del creato).
L’aspetto della mobilità sostenibile è particolarmente urgente oggi, in un mondo che ha
fatto della accresciuta velocità senza limiti, in tutti i campi, un obiettivo e una sfida sempre
rinnovata e degli spostamenti rapidi e globali la normalità del vivere e dell’operare. Le conseguenze di tale stile di vita “in movimento e veloce” vanno modificando la filosofia della vita,
causando non poche conseguenze a livello ambientale, psicologico e di abitudini sociali. Questo convegno certamente tratterà alcuni aspetti di tale problema.
San Francesco durante la sua breve vita, alternava a viaggi in varie parti d’Italia e d’Europa, tempi di eremo, silenzio e meditazione, nei quali era fermo in un luogo. I biografi
ricordano viaggi nell’Umbria, in varie parti d’Italia, verso la Francia, la Spagna, la Schiavonia,
verso l’Egitto, verso la Palestina, i tentativi non riusciti di viaggi verso il Marocco e la Siria. I
suoi viaggi e quelli dei suoi compagni non avevano altre motivazioni che quelle dell’annuncio del Vangelo di Gesù e dal desiderio di portare il dono della pace del Signore a persone e
popolazioni, che incontrava.
Secondo le usanze del suo tempo, si serviva per gli spostamenti del cavallo, dell’asino,
delle imbarcazioni per mare o camminava a piedi. Preferiva andare a piedi a motivo della
povertà e ciò ordinò anche ai frati, a meno che non fossero infermi o avessero motivi gravi
per usare cavalcatura.
Tale modalità di muoversi certamente comportava disagi e svantaggi, ma consentiva anche di avere tutto il tempo per ammirare e contemplare la creazione e pregare e lodare il Creatore, meditare, dialogare con coloro che l’accompagnavano o con la gente che incontrava.
Certamente oggi non possiamo tornare al passato in questo come in altre abitudini. Ma
non si può neppure non pensare ad una mobilità che non sia sostenibile e che salvaguardi la
nostra vita e il creato.
Francesco d’Assisi, con la sua esistenza, costituisce un modello di vita e di educazione, che
aiuta a condire i progetti di mobilità con valori, che tengano conto non solo delle cambiate e
accresciute necessità di spostamento, ma anche della convivenza armoniosa, gioiosa ed estetica
tra uomini di oggi e di domani di ogni luogo e della conservazione della bontà e la bellezza
dell’ambiente, del creato, “dono di Dio e sua significazione”.
“Quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove l’acqua non venisse pestata con i piedi. E se gli toccava camminare sulle pietre, si moveva con delicatezza e riguardo, per amore di
Colui che è chiamato ‘Pietra’. Al frate che andava a tagliare la legna per il fuoco, raccomandava
di non troncare interamente l’albero, ma di lasciarne una parte. Diede quest’ordine anche a un
fratello del luogo dove egli soggiornava. Diceva al frate incaricato dell’orto, di non coltivare
erbaggi commestibili in tutto il terreno, ma di lasciare uno spiazzo libero di produrre erbe
verdeggianti, che alla stagione propizia producessero i fratelli fiori. Consigliava all’ortolano di
adattare a giardino una parte dell’orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe odorose e
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di piante che producono bei fiori, affinché nel tempo della fioritura invitino tutti quelli che le
guardano a lodare Dio, poiché ogni creatura sussurra e dice: «Dio mi ha fatta per te, o uomo».
Noi che siamo vissuti con lui, lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente
di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava con gioia, così che il suo spirito pareva muoversi
in cielo, non sulla terra. (FF. 1600) Questo è evidente e vero, che cioè Francesco ricevette molte
consolazioni dalle creature di Dio. Infatti, poco prima della morte, egli compose le Laudi del
Signore per le sue creature, allo scopo d’incitare il cuore degli ascoltatori alla lode di Dio, e
perché il Creatore sia esaltato nelle sue creature”. (FF. 1601)
Buon lavoro! Il Signore vi dia la Pace!
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AMBIENTE E PIANO ENERGETICO:
approvvigionamento, consumo e riuso
nostra madre terra 2013
padre Mauro Gambetti
Sono lieto di porgere il saluto a nome della fraternità del Sacro Convento di Assisi a tutti
voi convenuti in occasione dell’VIII edizione della Giornata per la salvaguardia del creato. In
particolare saluto Mons. Domenico Sorrentino, la Presidente della Regione Umbria Catiuscia
Marini, il Sindaco di Assisi ing. Claudio Ricci e la Presidente dell’Accademia Nazionale delle
Scienze prof.ssa Emilia Chiancone e ringrazio vivamente per la loro presenza e i loro interventi
i rappresentanti del mondo della scienza, dell’impresa, della politica e della Chiesa universale
nella persona del Card. Peter Turkson, che hanno accolto l’invito a condividere le rispettive
competenze, per cercare insieme le vie di sviluppo del rapporto tra ambiente ed energia, in
un’ottica di sostenibilità per la vita dell’uomo sul pianeta. Grazie.
Abbiamo bisogno di riflettere e dialogare, non solo per offrire ai nostri figli un futuro in
un ambiente dignitoso, ma anche per non noi stessi, per non agire da stolti. Il meeting mette
a tema un rapporto, ambiente e piano energetico, che da un lato richiama la natura stessa del
cosmo – energia in trasformazione, configurata su differenti stadi di organizzazione – e dall’altro il ruolo e il compito dell’uomo, impegnato nell’esercizio della razionalità, per pianificare
in modo intelligente... Mi permetto perciò di far riferimento all’esperienza e all’intelligenza di
Francesco d’Assisi, uomo simplex et idiota (semplice ed illetterato), come amava definire sé e i
suoi frati, tra i quali ho il dono di poter essere annoverato io stesso.
Nella Compilazione di Assisi (FF 1623) si legge: “Così pure, quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove poi l’acqua non venisse pestata con i piedi. E se gli toccava camminare sulle pietre, si moveva con delicatezza e riguardo, per amore di Colui che è chiamato «Pietra». […]
Al frate che andava a tagliare la legna per il fuoco raccomandava di non troncare interamente
l’albero, ma di lasciarne una parte.[…]” Francesco è un medievale. Come tale è immerso nella
natura e nella religiosità dell’epoca. L’uomo medievale si sente solidale con il creato, dal quale
dipende per la sopravvivenza e dal quale deve guardarsi per non soccombere; al tempo stesso,
in un certo senso egli ha una concezione mistica della realtà, come di chi intuisce il mistero che
la avvolge.
La genialità di Francesco sta nell’interrogare la realtà. Da dove vieni? Cosa sei? Francesco
ha uno sguardo penetrante, contemplativo. Da un lato coglie nel creato una scala per risalire al
Creatore, dall’altro riconosce nel creato qualcosa, “qualcuno” che gli sta di fronte, da rispettare,
custodire, ordinare. ... Chi sei tu acqua? Chi sei tu pietra? – sembra domandare Francesco. O,
in termini moderni, forse chiederebbe: Da dove viene l’energia che continuamente si trasfor95
ma? Che cosa sei tu energia? Declino brevemente il suo insegnamento. Vi è un principio di
realtà, che è assoluto: le cose che mi circondano, gli esseri inanimati e quelli viventi... non
li ho fatti io, non sono miei, non posso disporne come voglio. Giù le mani dal creato! Non
ti appartiene. Direbbe Francesco: la Terra è come una sorella. Rispettala, amala. Poi, vi è un
principio di sapienza che, stando alle etimologie di Isidoro di Siviglia («sapientia, sapor boni»),
consiste nella capacità, nel dono di gustare il bene. Francesco gusta il bene che la Terra mette
a disposizione, come una madre fa con i suoi figli. Nel Cantico delle Creature si legge: Laudato
si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta e governa, e produce diversi
frutti con coloriti flori et herba. La Terra è sora, perché essa, come noi, è creata da Dio (cf. Gn
1,1), è matre perché coopera con il Creatore (cf. Gn 1,11-24; 2,7) nel generare gli esseri viventi
e nell’alimentare gli uomini con i suoi frutti e gli animali con l’erba verde. Nessun uomo sano
di mente sfrutta la sorella o distrugge la madre: porta loro rispetto, ne riconosce la bellezza, ne
riceve i benefici con gratitudine, talora le serve, le aiuta...
Ci aiuti Francesco in questa riflessione a declinare correttamente il nostro rapporto con
l’ambiente, in una fruttuosa sinergia tra scienza, impresa e politica.
96
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza1
Introduzione2
Nella seconda metà del secolo XX cominciano insistentemente a circolare, negli ambienti
culturali e accademici e nei centri di pensiero di vari paesi e organismi internazionali, riflessioni
sulla necessità di un approccio globale ai complessi problemi che fronteggiano l’umanità: riflessioni e proposte sull’urgenza di comprendere l’intreccio tra le diverse preoccupanti questioni
della società.
Centrale, in queste riflessioni, dibattiti, rapporti, progetti e azioni, è la messa in relazione
dello sviluppo sociale ed economico con le conseguenze sull’ambiente.
Solo per ricordare alcune pietre miliari di questi indirizzi e percorsi di pensiero: il Club
di Roma (fondato nel 1968 dall’italiano Aurelio Peccei [† 1984], dall’inglese Alexander King
e dall’accademico sovietico Jermer Gvishiani); il rapporto del Club di Roma su « I limiti dello
Sviluppo » (1972) predisposto da Jay Forrester e Dennis Meadows, studio e analisi di un modello globale commissionato non dall’ONU ma da un organismo indipendente (il Club di Roma,
appunto). Ancora nel 1972: a Stoccolma la prima Conferenza ONU sull’ambiente umano; e la
istituzione a Vienna (per accordo tra USA, CEE e URSS) dell’Istituto Internazionale per l’Analisi Applicata dei Sistemi (IIASA). Si tratta, probabilmente, del primo esempio di un grande
centro di ricerca e di strategia realizzato per l’impegno e la lungimiranza di Aurelio Peccei, e
fondato sulla collaborazione – allora abbastanza inusuale precorritrice – tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Europa Occidentale. 1988: il Club Roma pubblica i rapporti: Africa facing its
priorities; Africa beyond the famine. E poi, via via: la Conferenza UNCED di Rio (1992) e le
Convenzioni sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici; Johannesburg ’96; il protocollo di
Kyoto, 1997, ecc. ecc.
Siamo davanti a grandi iniziative globali, ad approfondimenti sociali, economici, ambientali, politici di grande respiro, e proiezioni verso il futuro, grazie anche al crescente contributo
del progresso scientifico e tecnologico. Si cerca di determinare obiettivi e risultati e concertare
presumibili termini temporali, votando scadenze dichiarate improrogabili. Per esempio: l’As1. Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 135-139.
97
semblea generale a Roma dei 188 Paesi aderenti alla FAO nel 1996 si impegna in 20 anni a
ridurre della metà il numero gli oltre 800 milioni di persone affamate o gravemente denutrite.
E oggi siamo ancora a 800 milioni. Purtroppo, infatti, la marcia verso questi e altri obiettivi ha
proceduto a piccoli passi, con modesti avanzamenti e continui ritardi e differimenti.
Si deve tuttavia riconoscere che le difficoltà sono enormi, e che lo stato dell’ambiente del
pianeta soffre per le negative condizioni di base in tanta parte del mondo: povertà, fame, malattie, sottosviluppo, sovrappopolazione, ignoranza, egoismo, corruzione, intolleranza, violenza e
conflitti, vanificano le volontà, rallentano la marcia.
In questa situazione, nel 1989, tra Roma e Assisi, un gruppo di spiriti nobili e indipendenti, ritiene che la segnalazione di persone egregie ed esemplari ed un solenne riconoscimento attribuito e ad istituzioni distintesi con successo nell’analisi e nell’intervento nei rapporti
tra umanità, ambiente, natura, sviluppo sostenibile, possano indurre anzitutto gli uomini e
le donne delle società più avanzate e opulente a riflettere sul cammino da percorrere. Questo
gruppetto di spiriti nobili e altruisti ritiene non solo doveroso ma opportuno informarne la
pubblica opinione, così da far crescere la consapevolezza, nei vari strati della società, degli
ardui problemi che sfidano il consorzio umano, anche attraverso il riconoscimento e la gratitudine verso persone, gruppi, istituzioni, responsabilmente e generosamente impegnate nei
grandi problemi dello sviluppo sociale, eco-sostenibile, armonico ed equamente diffuso tra i
popoli della Terra.
In questo quadro, mentre emergono sempre più le dimensioni globali e interdisciplinari
dei problemi ambientali, della tutela della natura e delle sue risorse, e si vanno delineando,
prospettando e imponendo anche i concomitanti valori etici e spirituali, quale esempio più
armonico, più ispirato dei rapporti tra genere umano e natura poteva essere rappresentato dal
Cantico delle Creature di Frate Francesco di Assisi?
La fratellanza di Francesco d’Assisi con tutte le creature, la umiltà e povertà – ma non
l’ignoranza – che ne hanno ispirato la condotta, e la sua ininterrotta lode all’Altissimo per
gli inestimabili doni naturali, sono qualità che gli ambientalisti e gli scienziati hanno grandemente apprezzato come invito alla soluzione dei problemi ecologici. Il papa Giovanni Paolo
II lo ha giustamente proclamato patrono degli ecologisti e di quanti ne condividono la causa
e l’ispirazione.
Certamente, nelle culture delle civiltà mediterranee (minoica, egizia, giudaica, greco-romana, pensiamo alla « Naturalis Historia » di Plinio o al « De Rerum Natura » di Lucrezio Caro), o
nelle antiche civiltà della Cina, dell’India, della Mesopotamia o dell’America pre-colombiana, si
trovano pensieri e giudizi sul valore dell’ambiente, invocazioni alla spiritualità che lo domina,
dichiarazioni sulla fondamentalità dei beni dell’ambiente per l’uomo e per tutti i viventi.
Credo però che sia rara una sintesi così ispirata, e nel contempo riferita a tutti i coprotagonisti dell’ambiente, come nel Cantico di Francesco d’Assisi: gli astri, la luce e il calore, l’atmosfera e l’aria, la terra, il suolo e le sue ricchezze fino alle profondità geologiche, le acque, il
fuoco e le risorse energetiche, le piante e gli animali, cioè la vita e le risorse animali e vegetali,
o biodiversità come oggi diremmo; e l’uomo. L’universo, insomma, il creato e il Creatore.
L’essere umano, ma non inteso come padrone, sfruttatore e dilapidatore, bensì come con98
segnatario e custode, responsabile verso il Creatore, e verso i suoi simili e le generazioni future,
dei beni ambientali e delle risorse naturali, e tutore (in quanto dotato di intelligenza, coscienza,
senso morale, e parte egli stesso dei beni e delle ricchezze della natura, del diritto di godimento
di tanta ricchezza da parte delle generazioni a venire. Si tratta di un obbligo effettivo e di un
dovere morale. Si tratta di agire con scienza e coscienza: un detto semplice, comune, ma per
nulla banale.
Con questa filosofia, pertanto, nel 1989, il Presidente del Centro Francescano di Studio
Ambientali di Roma, Padre Bernard J. Przewozny (O.F.M. Conv.) e il Segretario Generale Padre
Julian M. Zambanini (O.F.M. Conv.), il Prof. Giovanni Battista Marini Bettolo, presidente
dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, il Padre Vincenzo Coli (O.F.M. Conv.)
Assistente del Ministro Generale dell’Ordine Conventuale O.F.M. Conv. e il Padre Nicola
Giandomenico (O.F.M. Conv.) del Sacro Convento di Assisi, convengono, avendo consultato
illustri scienziati ed esperti italiani e stranieri, di associarsi per istituire il Premio Internazionale
per l’Ambiente S. Francesco « Cantico delle Creature ». Premio, cito dallo statuto, « da attribuire a persone o istituzioni distintesi per il loro contributo di altissimo livello allo studio e al
progressivo miglioramento e soluzione dei problemi che danneggiano o alterano la protezione
e conservazione dei rapporti armonici degli esseri umani nel loro ambiente ».
E per rappresentare le irradiazioni, i campi operativi della valorizzazione dell’ambiente, il
Premio viene suddiviso in tre sezioni. Le tre sezioni del Premio rispecchiano – cioè – lo sforzo
multidisciplinare necessario per il superamento del carattere conflittuale del rapporto tra gli
esseri umani e il loro ambiente naturale.
La prima sezione del Premio « Educazione e comunicazione » riconosce e segnala i meriti
di quelle persone o istituzioni che si sono dedicate alla formazione di comportamenti rispettosi
dei processi dinamici del nostro pianeta, e abbiano offerto corrette e complete informazioni
intorno alla responsabilità umana nei confronti della natura.
La seconda sezione « Ricerca scientifica » riconosce e segnala persone, centri o istituti di
studi, che hanno contribuito ad una più esatta ed integrale comprensione del segreto funzionamento del pianeta, sollecitando il completo impegno alla sua protezione.
La terza sezione « Opere e azioni concrete » riconosce e segnala progetti personali o azioni
istituzionali che abbiano effettivamente migliorato la qualità dei rapporti umani con l’ambiente
o abbiano impedito la distruzione delle risorse necessarie alla vita del pianeta.
Infine, lo statuto dell’Associazione stabilisce che le candidature siano valutate da un Comitato scientifico internazionale, e che il Premio sia solennemente conferito, nella incomparabile sede del Sacro Convento di Assisi, a persone o istituzioni che, in spirito umile e semplice,
testimonino e promuovano l’amore per la natura e contribuiscano in modo notevole ai rapporti armonici degli esseri umani all’interno dell’ambiente, così favorendo una convivialità basata
sui valori etici e sulla responsabilità. E viene altresì stabilito che il conferimento del Premio
proceda senza distinzioni di razza, religione o nazionalità, tenendo conto del merito intrinseco
e dell’impatto attuale o potenziale di un’opera o di un progetto, e della sua conformità ai valori
e allo spirito di San Francesco, compendiati nel « Cantico delle Creature ».
La prima edizione, la prima serie del Premio, si svolge negli anni 1990-’91-’92-’93, grazie
99
anche ad una munifica elargizione dell’ENEL. Si interrompe purtroppo a causa della lunga
malattia e della scomparsa, nel 1996, del Prof. G.B. Marini Bettolo, incessante promotore del
Premio e presidente della Commissione Scientifica, già presidente dell’Accademia Nazionale
delle Scienze detta dei XL, e della Pontificia Accademia delle Scienze. Per i grandi meriti acquisiti anche nel campo delle Scienze Ambientali, al Prof. Marini Bettolo viene unanimamente nel
1993 conferito il « Premio Speciale San Francesco Cantico delle Creature ».
Il premio è ripristinato nel 1997, sotto la dinamica presidenza di Padre Bernardo Przewozny, e con una solenne cerimonia conferito il 26 ottobre, con la collaborazione del Comune di Roma, del Corpo Forestale dello Stato e di Eurogarden, nella Sala Borromini alla
Chiesa Nuova a Roma, sede prescelta in conseguenza delle devastazioni provocate ad Assisi dal
terremoto del 1997.
Ma il premio si interrompe nuovamente a causa della grave patologia che colpisce Padre
Bernardo Przewozny, che lo allontana definitivamente da Roma, costringendolo a trasferirsi in
Canada, dove è tuttora degente. A lui rivolgo, e rivolgiamo tutti un grato, memore pensiero ed
un caloroso, affettuoso augurio. Priva di Marini Bettolo e di Padre Bernardo, l’Associazione,
costituita nel 1989, di conseguenza si scioglie.
Ma permane, sia nel Sacro Convento che nell’Accademia delle Scienze il desiderio, l’impegno di non disperdere una tanto nobile forma di riconoscimento e di presentazione alla opinione generale, ed ai circoli competenti, delle personalità e degli enti meritevoli di un premio
internazionale di tanto significato.
Così, dopo lunghe ed estese consultazioni, il 23 giugno 2005 viene firmato, dal Custode
del Sacro Convento Padre Coli e dal Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, l’accordo che rilancia formalmente, ripristinando le più peculiari caratteristiche e modalità adottate
nella precedente edizione, il nuovo ciclo del Premio Internazionale per l’Ambiente San Francesco « Cantico delle Creature » nelle sue tre sezioni. Il Comitato scientifico internazionale è in
via di completamento, ed il bando verrà presto lanciato.
Con il ripristino e la continuità del Premio, noi vogliamo che la lezione di vita, l’esempio
di Francesco vada oltre i versi e i contenuti del Cantico, e che il riferimento ad Assisi ed a Francesco si allacci alle idealità, ai fini manifestati nella vita, nelle opere e nell’insegnamento, orale,
scritto e fattuale, di Francesco. In primo luogo: sensibilizzazione, pensiero costante, solidarietà
effettiva, condivisione delle condizioni degli umili, degli umiliati, dei miliardi di esseri privi di
diritti e privati di dignità. Si tratta di problemi ancora tra i più brucianti del mondo di oggi.
E per meglio rimarcare l’annuncio del ripristino del « Premio Ambiente: S. Francesco,
Cantico delle Creature » si è ritenuto appropriato affiancare tale annuncio con un ampio richiamo al Cantico delle Creature, rievocando ed illustrando, attraverso il pensiero di illustri
scienziati (riportato nelle pagine seguenti), il binomio « genere umano-natura »: la natura, le sue
risorse, l’ambiente terrestre e spaziale, la casa, l’oikos, in cui l’umanità presente e futura vive. E
deve vivere meglio in sostenibilità, equità e sviluppo ecocompatibile, nel rispetto della dignità
e dei diritti fondamentali, in primis la pace, la libertà, la liberazione dal bisogno per ciascuna
donna e ciascun uomo, nell’esercizio dei doveri e dei diritti, e nel rispetto e oculata salvaguardia
degli altri esseri, della Natura e dell’intero Orbe.
100
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Giancarlo Setti1
Il Cielo2
Rileggendo Il Cantico di Frate Sole, questo straordinario inno al «Altissimu, onnipotente, bon
Signore … con tutte le tue creature», mi sono soffermato sui due versi «Laudato si’, mi Signore, per
sora Luna e le Stelle. / In celu l’ai formate clarite e pretiose e belle», poiché essi si connettono immediatamente al tema di questo convegno.
Probabilmente San Francesco non potrebbe oggi godere di questa visione splendida e
ispiratrice di un cielo di stelle clarite e belle, poiché l’inquinamento luminoso e atmosferico ha
completamente alterato l’aspetto della volta celeste certamente osservabile nel 1200, quando le
stelle sembrava di poterle toccare con mano e, per così dire, il cielo faceva parte dell’ambiente
vicino. Credo vi siano bambini e adulti che vivono nelle città, non necessariamente solo nelle
grandi metropoli, che raramente hanno occasione di verificare come il cielo stellato non sia un
fenomeno passeggero legato alle vacanze in montagna (naturalmente per chi se le può permettere). La stragrande maggioranza della popolazione non ha modo di provare la profonda commozione che scaturisce dalla contemplazione di un cielo buio e terso o dal rimirare l’immagine
nitida della Luna che pare staccarsi dalla volta celeste, quel contatto diretto con la bellezza e
la grandezza dell’universo che probabilmente sono state alla radice dell’espressione di grandi
spiritualità.
È sufficiente guardare una fotografia notturna presa da un satellite artificiale per scoprire
che l’unica zona del nostro Paese ancora relativamente buia è quella del Monte Pollino in Calabria. Questa è anche la ragione, non la sola, per la quale gli astronomi sono andati alla scoperta
dei pochissimi siti sul nostro pianeta adatti ad ospitare le costose apparecchiature essenziali alla
ricerca astronomica moderna. Così il Telescopio Nazionale Galileo (TNG) di 3.5 m di diametro
è stato installato presso l’Osservatorio Internazionale del Roque de Los Muchachos a un’altitudine di 2400 m nell’isola di La Palma (Canarie), dove direttive legislative del governo locale e
di quello della Spagna garantiscono il mantenimento di un « buio » astronomico, nonostante
la contrapposizione evidente con i forti interessi economici presenti in questo paradiso delle
1. Uno dei XL. Dipartimento di Astronomia, Università di Bologna.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 143-148.
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vacanze di massa. Così il Very Large Telescope (VLT), complesso di quattro telescopi ciascuno
di 8 m di diametro dell’Osservatorio Europeo per l’Emisfero Australe (European Southern
Observatory ESO), di cui l’Italia è Stato membro, è stato insediato sul Cerro Paranal ad un’altitudine di circa 2600 m sulle Ande Cilene nel deserto di Atacama. Così pure, sempre per citare
i grandi telescopi che vedono coinvolto il nostro Paese, il Large Binocular Telescope (LBT), due
specchi di 8.4 m di diametro su un’unica montatura, è stato recentemente inaugurato presso
l’Osservatorio Internazionale di Mt. Graham (Arizona) ad un’altitudine di circa 3400 m, dove
già da vari anni opera il telescopio del Vaticano. Lasciatemi anche citare l’Antartide, dove è
stata costruita la base italofrancese Dome C che, per la percentuale bassissima di vapore d’acqua atmosferico, fornisce opportunità eccezionali (condizioni quasi spaziali) per l’osservazione
astronomica nell’infrarosso, anche se mi è stato riferito già vi si registrano segni d’inquinamento
atmosferico (pulviscolo).
Gli altri fattori che condizionano la scelta dei siti per i telescopi sono, ovviamente, la
percentuale annua di giorni e notti sereni e il cosiddetto seeing astronomico, cioè il grado di
turbolenza dell’atmosfera che condiziona il potere risolutore dei telescopi, e quindi limita la
possibilità di studi dettagliati delle strutture degli oggetti celesti. È questa stessa turbolenza che,
d’altronde, è responsabile dello scintillio delle stelle, contribuendo in tal modo a una delle immagini più poetiche del cielo. Tuttavia, il ben noto riscaldamento dell’atmosfera, e soprattutto
la rapidità con la quale questo avviene, possono portare (a detta degli esperti) a drastici cambiamenti nel clima del nostro pianeta ed a sconvolgimenti nell’assetto idrogeologico. Pertanto i
pochi siti ancora oggi eccellenti per l’osservazione con i telescopi, potrebbero non esserlo più in
un futuro non troppo lontano, con gravissimo danno per gli investimenti fatti e per la ricerca.
Poca cosa, è vero, a fronte di altri danni ambientali ed economici che potrebbero essere subiti
dalle popolazioni. Ma forse l’attento occhio astronomico, codificato negli archivi di decenni
di osservazioni, può tornare utile, assieme a tutti gli altri strumenti d’indagine della geofisica,
a registrare i cambiamenti in atto. Penso, ad esempio, agli osservatori delle Canarie, dove le
condizioni favorevoli all’osservazione sono determinate dal flusso laminare dei venti alisei,
oppure all’osservatorio di Paranal sulle Ande cilene dove le condizioni meteo sono strettamente correlate con il fenomeno del « El Niño », cioè la rottura del sistema oceano-atmosfera nel
Pacifico tropicale con conseguenze importanti sulla meteorologia e sul clima a livello globale.
Quindi gli osservatori astronomici, lasciatemi passare questa immagine, come sentinelle sparse
sul globo in grado di portare informazioni sullo stato di salute dell’atmosfera.
Un’altra disciplina astronomica, che ha avuto uno sviluppo straordinario dopo la seconda
guerra mondiale, è quella della radioastronomia. Questa disciplina ha completamente rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo. Fra le sue tante scoperte quella della radiazione
universale, vero pilastro della teoria del « big bang ». Se, con un volo della fantasia, ipotizzassimo l’esistenza di esseri intelligenti non vedenti, ma in grado di captare le onde radio, essi
avrebbero una visione completamente diversa del cielo, ma non per questo meno affascinante:
il Sole, data la sua vicinanza, risulterebbe ancora « abbagliante »; la Via Lattea risulterebbe ancora scolpita in cielo (non più per l’addensarsi delle stelle sul piano galattico, ma per l’emissione
della riga alla lunghezza d’onda di 21 cm dell’idrogeno interstellare); il centro della Galassia,
102
non più oscurato dalle polveri interstellari, apparirebbe come una sorgente intensa; fra le galassie risulterebbero prominenti quelle sedi di fenomeni violenti, come le radiogalassie e i quasar,
e così via.
Tuttavia, anche in questo caso ci si scontra con il crescente inquinamento dell’ambiente,
e precisamente quello che riguarda lo spazio elettromagnetico. In un primo tempo limitato
alle radio frequenze, dell’ordine del metro di lunghezze d’onda per intenderci, e che ora, per
la fame inarrestabile della società delle comunicazioni, si sta estendendo verso le microonde,
dell’ordine del centimetro per intenderci. La battaglia dei radioastronomi per la salvaguardia
di alcune bande di frequenza di vitale interesse per la ricerca, sia presso gli organismi internazionali per l’assegnazione delle frequenze sia nell’applicazione nazionale delle direttive, è
diventata estremamente ardua a fronte di interessi economici prevaricanti, e che non sempre
corrispondono all’interesse collettivo e alla crescita della qualità della vita. Per anni direttore
dell’Istituto di Radioastronomia CNR di Bologna potrei intrattenervi a lungo sull’argomento.
Vi basti sapere che l’Istituto ancora possiede una stazione mobile fra le più attrezzate in Italia
per l’individuazione di emittenti « corsare » che disturbano la ricezione dei propri radiotelescopi. Per far fronte a questa invasione progressiva dello spazio elettromagnetico (radio, TV,
telefonia mobile e quant’altro) i radioastronomi hanno inventato e sperimentato tecniche estremamente avanzate per la cancellazione dei segnali spuri prodotti dall’uomo, tecniche fra l’altro
adottate anche dai gestori della telefonia mobile per districare l’interferenza dei vari segnali da
essa stessa prodotti. Sta di fatto, comunque, che il rumore elettromagnetico di fondo limita
la ricezione dei segnali estremamente deboli che ci provengono dalle profondità dello spazio
(per dare un’idea, il radiotelescopio « Croce del Nord » ha una superficie d’antenna di circa tre
ettari). Pertanto anche i radioastronomi sono alla ricerca di vasti territori semideserti, e quindi
ancora poco disturbati, dove collocare i grandi radiotelescopi del futuro, come il progetto internazionale SKA (Square Km Array), la cui area collettrice di circa 100 ettari (e un costo stimato
intorno al miliardo di €) potrà permettere indagini essenziali per lo studio dell’evoluzione
dell’universo.
Centrale nel Cantico è Frate Sole, questa stella che ha consentito lo sviluppo della vita nel
sistema solare, o quantomeno sulla Terra. Di grande importanza per l’ambiente sono gli studi
sugli effetti dell’interazione Terra-Sole. Fra questi notoriamente, per la loro spettacolarità, quelli
dovuti alle tempeste magnetiche sul Sole con emissione di grandi quantità di particelle cariche
che in una decina di minuti raggiungono la Terra e possono determinare serie interruzioni nelle
comunicazioni e nel funzionamento delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Sappiamo
anche che le variazioni climatiche a lungo termine sono legate a variazioni degli elementi orbitali della Terra attorno al Sole, cosicché l’ammontare di radiazione solare che raggiunge zone
del pianeta in una data stagione può variare anche del 10%. Ma l’aspetto del quale tutti siamo
coscienti riguarda il Sole come fonte primaria di energia, e soprattutto, per quanto riguarda
i problemi ambientali che ci angustiano (cioè la rapidità con la quale cresce la temperatura
dell’atmosfera), come fonte primaria di energia « pulita ». In Italia l’utilizzo diretto dell’energia
solare è ancora molto limitato, una frazione dello 0.3% dell’attuale fabbisogno che, se non
vado errato, è quanto viene ora prodotto da fonti rinnovabili. Un esperto, nel quale ripongo
103
fiducia, mi dice che potremmo arrivare al 20% con un’adeguata politica per la diffusione del
fotovoltaico. Il decreto recentemente approvato dal legislatore rappresenta un primo passo in
questa direzione.
Gran parte delle fonti energetiche (sia quelle rinnovabili, come le biomasse, l’idroelettrico
e l’eolico, sia quelle fossili) sono comunque legate al Sole in modo diretto o indiretto, ad eccezione del nucleare che tuttavia utilizza gli elementi pesanti prodotti nell’esplosione di altre
stelle giunte al termine della loro evoluzione, cioè le supernove; questi elementi sono stati
disseminati nel gas interstellare a causa delle molteplici esplosioni di supernove, e quindi erano
presenti nella nube gassosa che contraendosi ha dato origine al sistema solare.
Il punto cruciale è che il Sole, così come le altre stelle, fornisce energia a bassa entropia,
cioè con un contenuto relativamente basso di calore; le piante, attraverso i processi di fotosintesi clorofilliana di separazione del carbonio dall’ossigeno, mantengono bassa l’entropia permettendo la sopravvivenza di esseri organizzati, quali l’uomo e gli animali, e hanno consentito
a suo tempo la formazione delle sacche di petrolio, la cui importanza non richiede certamente
qui ulteriori spiegazioni. Ed è dalla ricombinazione del carbonio con l’ossigeno nei processi di
combustione che viene prodotto il calore poi disperso nell’atmosfera. Potremmo considerare la
Terra con la sua atmosfera come una scatola: assorbe la radiazione solare centrata nella banda
del visibile e, attraverso tutte le attività che nella scatola avvengono, la espelle attraverso l’atmosfera come radiazione nella banda infrarossa. Siccome l’energia si conserva si ha un enorme
aumento di entropia; in altri termini ci sono molti più fotoni nella banda infrarossa che escono
dall’atmosfera nell’unità di tempo rispetto a quelli solari di maggior energia (banda ottica) che
nell’unità di tempo vi entrano. È quindi la qualità della radiazione solare che conta, naturalmente assieme all’effetto di relativo intrappolamento della radiazione prodotto dall’atmosfera
(effetto serra naturale), senza il quale la vita nelle forme a noi note non sarebbe possibile su
questo pianeta. È chiaro qui il riferimento al secondo principio della termodinamica e alla
freccia del tempo.
Ma qual è l’origine di tutto questo? La prima cosa su cui riflettere è che l’universo non è
in uno stato di equilibrio. Il Sole, così come le altre stelle naturalmente, presenta una temperatura molto maggiore della temperatura media dell’universo. La temperatura della radiazione
di fondo universale è di 2.7 gradi assoluti mentre la temperatura della fotosfera solare è di circa
6000 gradi, e questo è essenzialmente il risultato della liberazione di energia gravitazionale nella
contrazione della nube gassosa che ha originato il Sole insieme ai rimanenti corpi del sistema
planetario. Ciò vale anche, mutatis mutandis, per tutte le altre stelle della nostra e delle altre
galassie. Quindi è la gravitazione all’origine di questo disequilibrio termodinamico. Ma qual
è l’origine di questo gas diffuso fra le stelle e fra le galassie? L’evidenza osservativa accumulata
nel secolo scorso, ed in particolare nella seconda metà di esso, trova una descrizione coerente
nel modello del « big bang » caldo, propugnato in particolare dall’abate Lemaître negli anni
’30, il suo Atomo Primordiale. Per maggior chiarezza vale la pena di descrivere a grandi linee la
cosmogenesi nell’ambito del modello del « big bang ».
Nella sua fase infantile l’universo era composto di materia allo stato gassoso e ad altissima temperatura: una parte barionica (cioè quella di cui noi, il Sole, la terra, ecc. siamo fatti),
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costituita principalmente da protoni ed elettroni in stretto equilibrio termodinamico con la radiazione, e circa cinque volte tanto sotto forma di materia oscura (la cui natura è ancora altrettanto oscura!) che non interagisce con la materia barionica se non gravitazionalmente. A causa
dell’espansione dell’universo gas e radiazione si sono raffreddati e dopo circa 300.000 anni,
quando la temperatura era scesa a circa 4000 gradi, protoni ed elettroni si sono ricombinati a
formare l’idrogeno (l’elemento di gran lunga più abbondante), e il gas e la radiazione si sono
disaccoppiati: non più impedito dalla pressione della radiazione, il gas diffuso in tutto lo spazio
ha potuto contrarsi frantumandosi sotto l’azione della forza di gravità indotta dalle fluttuazioni
nella densità della materia oscura. Si formano così le galassie e le stelle che le compongono,
nonché i nuclei galattici (sedi di buchi neri più o meno massicci, che hanno dato luogo alle
radiogalassie e ai quasar con emissioni straordinarie di energia) e gli ammassi di galassie, cioè
tutta la pletora di strutture oggetto dell’indagine astrofisica attuale. L’universo è transitato da
un’era amorfa e buia a quella della luce prodotta dalle stelle; letteralmente s’è « illuminato » ed
è diventato sede di fenomeni evolutivi, spesso violenti, che noi possiamo esplorare e studiare
sfruttando la velocità finita di propagazione della luce (poiché registrare i segnali emessi da oggetti situati a grandi distanze significa cogliere il loro stato fisico in epoche antecedenti quella
attuale).
Dopo circa 10 miliardi di anni dal « big bang », una nube di gas interstellare in prossimità
di un braccio spirale della nostra Galassia si è contratta sotto l’azione della propria gravità
formando la proto-stella Sole, e attorno a questa un disco ruotante di gas che, a sua volta, si è
frantumato dando luogo al sistema planetario, e quindi alla Terra sulla quale si è accumulata
l’acqua trasportata dalle comete, essenziale alla vita, così come essenziale per l’evoluzione della
stessa vita sul nostro pianeta sono state e sono le mutazioni indotte dai raggi cosmici prodotti
nei fenomeni violenti ai quali ho prima accennato.
E questo non solo per le difficoltà legate al drammatico cambiamento delle condizioni
ambientali delle quali si è prima detto, ma perché secoli di sviluppo della ricerca scientifica
hanno condizionato la nostra percezione della volta celeste. È un insieme molto complesso
di grandi spazi riempiti di gas estremamente tenui e di oggetti non visibili se non attraverso il
prolungamento dei sensi fornitoci dalle nostre apparecchiature; gas e oggetti che possono presentare contorni di inquietante bellezza nelle immagini in falsi colori consentite dalle nostre
tecnologie che riproducono le forme rivelate nelle varie bande osservative (infrarosso, ottico,
ultravioletto, onde radio, raggi X e gamma). Ma ancora più sconvolgenti e inquietanti sono le
osservazioni che ci indicano che la materia di cui noi siamo fatti, e che riveliamo con i telescopi,
rappresenta solo il 4-5% di tutta la materia-energia presente nell’universo. La nostra visione del
cielo si è dilatata assumendo i contorni del « big bang », regolato dalle leggi fondamentali della
fisica, in un quadro unitario, quantunque non ancora compiutamente compreso, nel quale
sono impresse le nostre origini. Io credo che in questa avventura della mente umana, tesa verso
la conoscenza delle leggi fondamentali che regolano l’universo e della nostra posizione in esso,
stia un elevato senso di spiritualità.
105
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Giorgio Fiocco1
Problemi correnti relativi all’impatto ambientale
delle emissioni atmosferiche2
Agli esordi della letteratura italiana il Cantico fornisce una breve, poetica e separata descrizione di vari aspetti del Creato: tra questi l’atmosfera. I fenomeni che la riguardano occupano
attualmente una posizione di rilievo sia scientifico che politico per le temute conseguenze di
carattere ambientale.
I problemi correnti relativi all’aria interessano scale spaziali e temporali diverse: globale,
regionale, locale le prime e dal giorno al secolo le seconde. Di ormai consolidato interesse
sono i fenomeni attribuiti all’attività umana relativi ai cambiamenti globali che riguardano
in particolare lo strato di ozono, il clima, e quelli relativi alla qualità dell’aria, a scala locale e
regionale. L’interpretazione di questa varia fenomenologia richiede il contributo di discipline
diverse. Mentre la suddivisione in settori aria, acqua, terra, tradizionale nel passato, è rimasta
una regola negli insegnamenti, nella struttura dei dipartimenti universitari, nelle professioni e
nella responsabilità di vari enti preposti, sta tuttavia emergendo una visione sintetica e unificante data la crescente necessità di interpretare e possibilmente prevedere i fenomeni naturali e
ambientali, ben al di là della capacità di descriverli. Esiste ormai il settore « Scienza del Sistema
Terra ». Il Cantico in realtà è anche una sintesi.
I principali problemi possono essere riassunti come segue
L’assottigliamento dello strato di ozono è il primo episodio di dimensioni globali che si
è dovuto fronteggiare in anni recenti. I temuti effetti dei radicali liberi sulla catalisi dell’ozono
sono stati oggetto di studio e di preoccupazione fin dagli anni settanta, dapprima in relazione
alla possibile immissione in servizio di una flotta di aerei Concorde, le cui emissioni nella
bassa stratosfera avrebbero prodotto un aumento della concentrazione degli ossidi di azoto
con conseguenze sullo strato di ozono. Per questo ed altri motivi ambientali e, si disse, anche
concorrenziali, gli USA intervennero a vietare l’atterraggio e il sorvolo del territorio nazionale
1. Ordinario di Fisica terrestre, Dipartimento di Fisica, Università degli Studi di Roma.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 149-153.
106
di questi aerei, ma simultaneamente e con saggezza diedero avvio ad un grande e aperto programma internazionale di ricerche.
Dopo qualche tempo venne avanzata l’ipotesi che i clorofluorocarburi, commercialmente
noti come freon o CFC, avrebbero rappresentato un nuovo e simile pericolo, perché questi,
inattaccabili da altri composti nella troposfera, una volta penetrati nella stratosfera, per fotolisi
avrebbero costituito una sorgente di cloro; questo, a sua volta, sarebbe stato l’agente catalizzatore della conversione da ozono a ossigeno molecolare. Il problema sembrava di natura
più che altro accademica, dal momento che modelli basati su una chimica omogenea, cioè
in fase puramente gassosa, prospettavano rischi tollerabili. Una vera sorpresa fu rappresentata
dalla scoperta nel 1985 del cosiddetto buco nell’ozono la cui causa fu accertata ed attribuita a
reazioni eterogenee possibili alle basse temperature della stratosfera polare. In presenza delle
particelle solide costituenti le cosiddette Nubi Stratosferiche Polari, queste reazioni permettono
la trasformazione stagionale di composti innocui del cloro, come il nitrato di cloro, in acido nitrico, che a quelle temperature condensa, e di cloro, libero o sotto forma di ossido, disponibile
per l’attivazione dei cicli catalitici.
Attraverso varie conferenze e convenzioni si è gradualmente addivenuti al bando dei
CFC. È stato relativamente semplice raggiungere un accordo che impegnava le poche società
produttrici nella graduale sostituzione dei freon più aggressivi: le stesse aziende avevano contribuito con un ampio programma di ricerche.
Nonostante il blocco nelle emissioni, data la longevità dei CFC e la loro lentezza nel
diffondersi a quote stratosferiche, l’evoluzione del processo di assottigliamento dello strato di
ozono verso un ripristino delle condizioni iniziali procede lentamente e, secondo i modelli,
dovrebbe essere in questi anni nella fase di massima estensione: nel 2005 l’area occupata dalla
zona interessata alla riduzione è risultata essere di 25 milioni di km quadrati.
Il problema dell’evoluzione del clima dovuto alle emissioni di gas serra si presenta di assai
più complessa soluzione; la dipendenza dai combustibili fossili è universale con una estremamente ampia molteplicità di utilizzo. Per quanto riguarda l’opinione del mondo scientifico circa l’evidenza scientifica, particolarmente interessante e riassuntivo è lo statement al Senato degli
Stati Uniti dato dal professor Ralph Cicerone, presidente della National Academy of Science
degli USA, il 20 Luglio 20053. Questa dichiarazione riassume ed espande un documento sul
quale le Accademie dei paesi del gruppo G8 e della Cina, India e Brasile si sono recente mente e
unanimemente pronunciate, e può essere presa come base per una discussione. Esordisce così:
«The Earth is warming. Weather station records and ship-based observations indicate that global mean
surface air temperature increased about 0,7°F (0,4°C) since the early 1970’s. Although the magnitude
of warming varies locally, the warming trend is spatially consistent with an array of other evidence (e.g.,
melting glaciers and ice caps, sea level rise, extended growing seasons, and changes in the geographical
distributions of plant and animal species). The ocean, which represents the largest reservoir of heat in the
climate system, has warmed by about 0,12°F (0,06°C) averaged over the layer extending from the surface
3. R.J. Cicerone, Climate change science and research: recent and upcoming studies from the National Academies, Statement before the
Subcommittee on Global Climate Change and Impacts, Committee on Commerce, Science and Transportation, U.S. Senate,
July 20,2005.
107
down to 750 feet, since 1993». … Nearly all climate scientists today believe that much of Earth’s current
warming has been caused by increases in the amount of greenhouse gases in the atmosphere, mostly from
the burning of fossil fuels…»4
Una riduzione nelle emissioni di anidride carbonica non si può attuare senza incidere in
modo significativo sulle attività industriali, sui trasporti, sui consumi e quindi sulle abitudini,
in modo da rendere potenzialmente impopolare, oltre ad essere economicamente gravoso,
qualsiasi intervento politico. Il ricorso a sorgenti alternative nella misura necessaria a coprire
l’attuale fabbisogno appare di difficile e non rapida attuazione.
A questo proposito risulta evidente l’errore commesso nell’impedire ogni attività ed effettivamente distruggere la capacità nazionale nel settore nucleare, che si è risolto nella necessità
di acquistare energia dai paesi vicini, in un notevole aggravio della dipendenza economica del
Paese dall’estero, in costi più elevati dell’energia, nella crisi di un importante settore industriale
e non ha ridotto il rischio dal momento che le centrali dei paesi limitrofi dai quali acquistiamo
l’energia sono a ridosso delle nostre frontiere. Solo adesso si sono avviati accordi per la gestione di centrali all’estero, ma vi sono addirittura difficoltà nel reperimento di giovani ingegneri
dato l’assottigliamento, questa volta, del numero di docenti nelle università, e nella difficoltà
di ricostituire un ragionevole livello di competenze, viste le disposizioni ministeriali in materia
di assunzioni.
Ma per tornare alla scena internazionale, accordi sono stati presi circa un contenimento
delle emissioni a determinati livelli e nell’eventuale possibilità di acquistare diritti da nazioni
che siano al disotto del limite concordato, senza peraltro l’adesione degli USA. Ma, a qualche
anno dalla data dell’accordo, i consumi, in particolare quelli italiani, sono cresciuti ben al di là
di quanto concordato e si prospetta una notevole spesa per l’acquisto di quote, se non addirittura una ridiscussione generale di quanto aderito a Kyoto. Per uscire dalla impasse una ampia,
ma direi ingenua, campagna informatica è stata imbastita dal nostro Governo per mettere in
dubbio quanto accertato e la bontà delle previsioni, basata sulle opinioni controverse di un
limitato numero di scienziati. Inutile nascondere le presenti difficoltà economiche del Paese.
Peraltro l’acquisto di quote non produrrebbe una immediata riduzione dei consumi. Un serio
programma di ricerca e sviluppo potrebbe costituire una interessante alternativa.
Da ultimo consideriamo i problemi di qualità dell’aria a scala locale o regionale. A confronto con le città industriali dell’ottocento la situazione attuale è assai migliorata soprattutto
dopo l’adozione di provvedimenti come il Clean Air Act (UK, 1970 circa); ma l’attesa di vita
allora era largamente minore rispetto ad oggi e ben altre erano le insidie alla salute. I problemi
da risolvere riguardano come allora il controllo delle emissioni ma soprattutto la riduzione
del traffico automobilistico, limitandolo non a scadenze fisse ma specificamente nei casi di
4. I dati delle stazioni meteorologiche ed i rilevamenti delle navi oceanografiche indicano che la temperatura media della superficie terrestre è aumentata di circa 0,7°F (0,4° C) rispetto ai primi anni ’70. Benché il grado di surriscaldamento sia localmente
variabile, il suo andamento a livello atmosferico rimane abbastanza costante in rapporto a tutta una gamma di altri fattori (scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, innalzamento del livello del mare, allungamento delle stagioni, cambiamenti nella
distribuzione geografica delle specie vegetali ed animali). Dal 1993, lo strato dell’oceano, la più importante riserva di calore nel
sistema climatico, che si estende fino a 750 piedi dalla superficie, si è surriscaldato in media di circa 0,12°F (0,60 °C). Oggi, la
maggior parte degli scienziati ritiene che il surriscaldamento della superficie terrestre sia dovuto all’incremento delle emissioni di
gas serra nell’atmosfera, causate perlopiù dall’utilizzo di combustibili fossili.
108
prevedibile superamento dei limiti. Oltretutto tale limitazione, che è quasi automatica data
la saturazione della superficie stradale disponibile, ha riflessi non indifferenti sulla mobilità,
sul costo del lavoro e sul benessere degli abitanti. L’unica soluzione consiste nello sviluppo di
ferrovie metropolitane sotterranee: realizzate all’estero da tempo immemorabile nelle grandi
capitali, con ragionevole rapidità in tempi recenti anche in città di dimensioni intermedie, e
con ingiustificata lentezza e modestia di percorsi nella città di Roma.
In definitiva è chiaro che la soluzione dei problemi ambientali può comportare costi
ingenti, di cui occorre valutare l’impatto sia economico sia su aspetti che riguardano l’autonomia del Paese, e richiedere soluzioni di compromesso che incidono pesantemente sulle
decisioni politiche. È comprensibile che si tenda a minimizzare, nel timore della impopolarità
e del costo di eventuali provvedimenti. Tuttavia sarebbe opportuno evitare di far leva sulle
emozioni e sull’ignoranza, ma educare l’opinione pubblica alla franchezza e alla ragionevolezza e, quando necessario, spiegare i termini di un eventuale compromesso. Converrebbe
adottare un atteggiamento prudente ma realistico, e tenere nel giusto conto l’opinione degli
scienziati. Questi ultimi a loro volta dovrebbero evitare invasioni di campo facendosi essi stessi portatori di messaggi politici. I finanziamenti della ricerca dovrebbero essere assicurati sulla
base di competenze specifiche e accertate e non di schieramenti, come sembrano avvenire.
La moltiplicazione, alle varie scale, di autorità preposte all’ambiente non è necessariamente
un vantaggio. Un rapporto più stretto tra il mondo della ricerca e quello politico, nel rispetto
delle rispettive prerogative, sarebbe auspicabile al fine di ridurre la confusione e affrontare le
problematiche in modo sinergico.
Per concludere vorrei ricordare l’insegnamento di un francescano di rilievo, Guglielmo
di Occam, il quale ricorreva ad un canone metodico di semplificazione, noto come Rasoio di
Occam: Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. Circa la tendenza alla moltiplicazione
di spiegazioni, talvolta fittizie o puramente dilatorie, questo principio, noto anche come law of
parsimony, dovrebbe essere di guida; governare è scegliere ma anche e soprattutto decidere.
Compiti della Scienza (che include ricerca e servizi) sono fornire una descrizione precisa
dei fenomeni, sviluppare modelli interpretativi, valutare la attendibilità delle previsioni. Compiti della Politica sono prendere decisioni in grado di minimizzare i rischi ed assicurare le risorse
necessarie alla Scienza per svolgere i relativi compiti. Unicuique suum.
109
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Giuseppe Cognetti1
Aspetti moderni della visione francescana
dell’acqua e della natura2
Laudato si’ mi’ Signore per sora aqua la quale è molto utile et umile et pretiosa et casta
Nel Cantico delle Creature, San Francesco considera le componenti viventi e non viventi
della natura come testimonianza di Dio che le ha create e ne definisce simbolicamente le loro
caratteristiche e funzioni. Il Santo qualifica l’acqua « sorella », essendo come l’uomo una creatura di Dio, umile perché è a disposizione di tutti, preziosa perché indispensabile alla vita, casta
perché pura. Dobbiamo quindi leggere in queste definizioni un messaggio rivolto a mantenere
questo bene inalterato e usufruibile per tutti i viventi, un messaggio di grande attualità perché
la situazione dell’idrosfera non è più certamente quella dell’epoca di San Francesco. Sono sotto
gli occhi di tutti i gravi problemi relativi alla penuria di acqua potabile che affligge vasti strati
della popolazione umana agli inquinamenti di laghi, fiumi e mari, alla progressiva desertificazione di vaste aree.
Il consumo di acqua su tutto il pianeta si è triplicato negli ultimi 50 anni sotto la spinta
della crescita demografica e contemporaneamente la disponibilità è andata diminuendo per
il deterioramento delle risorse idriche. Centinaia di milioni di persone vivono in aree dove la
qualità dell’acqua disponibile non è sufficiente a soddisfare le esigenze minime delle popolazioni, per cui basta un periodo di siccità per produrre gravissime crisi. Anche nei paesi ricchi
d’acqua e nei paesi industrializzati possono esserci condizioni di penuria locale per un insieme
di circostanze che vanno dallo scarso controllo degli inquinamenti alla cattiva utilizzazione e
distribuzione.
In Italia, in base a una classificazione della qualità delle acque in 5 categorie effettuata
sui corsi d’acqua (OCSE, 2002), risulta che il 33% dei fiumi sotto osservazione rientra nella
4.a classe (scadente) e 5.a (cattiva) per quanto riguarda la qualità chimica, il 13% per la qualità
microbiologica e il 37% per la qualità ecologica, quando cioè la biocenosi del fondo risulta pra1. Professore emerito di Biologia marina.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 155-159.
110
ticamente assente. Anche le condizioni ecologiche dei laghi sono molto varie: ad esempio per
quanto riguarda alcuni grandi laghi, il Garda e il lago Maggiore sono classificati come soddisfacenti, mentre i laghi di Como e di Iseo sono insoddisfacenti per eccesso di nutrienti. Le acque
sotterranee che costituiscono la fonte di quasi l’85% di acqua potabile risentono delle perdite
delle reti fognarie, delle discariche e dei nutrienti di origine agricola. La situazione comunque
non è irreversibile e adeguati interventi possono riportare questi corpi idrici a condizioni di
normalità. Differentemente da quanto si possa pensare, in Italia nonostante le ricorrenti crisi
idriche, non vi è carenza di acqua: la media annuale della quantità di pioggia è sufficiente a
sopperire le esigenze idriche di tutta la penisola e delle isole. Il problema sta nell’arretratezza del
sistema organizzativo e infrastrutturale che causa perdite stimate del 25% dell’acqua addotta
prima di essere utilizzata e del 50% per l’inadeguatezza degli impianti domestici.
Alla preoccupazione per la carenza delle risorse idriche si aggiungono quelle non meno
gravi relative alle conseguenze che l’impatto delle attività umane comporta all’ambiente naturale. Le alterazioni di vario tipo (inquinamenti, cementificazione, opere idrauliche, introduzione
di specie estranee, ecc.) arrecano gravi danni alla fauna e alla flora degli habitat acquatici.
I rifiuti biodegradabili determinano in acque con scarsa ossigenazione, la degradazione
dell’area interessata (eutrofizzazione, distrofia). Gli scarichi cloacali riversano nelle acque, batteri, virus, miceti, larve e uova di parassiti. Gravi problemi di ordine sanitario si hanno per il
consumo dei molluschi filtratori (vongole, arselle, mitili ecc.) perché trattengono sulle branchie
le particelle in sospensione. L’inquinamento da petrolio ha effetti disastrosi quando, per il
lavaggio delle petroliere in navigazione o peggio ancora per il naufragio di qualcuna di esse, la
cosiddetta marea nera raggiunge le coste. Gli idrocarburi aromatici sono i più tossici e tendono
a concentrarsi nei grassi animali con effetto mutageno e cancerogeno.
Gli agenti inquinanti conservativi, che permangono cioè nelle acque senza subire degradazione, quali i composti organo alogenati (PCB, DDT, DDE), i metalli pesanti ecc., tendono
a concentrarsi negli organismi attraverso la catena alimentare, per cui in animali al vertice della
catena alimentare possono trovarsi alte concentrazioni di composti organo alogenati anche in
aree molto distanti dalle fonti di inquinamento. Negli uccelli e nei mammiferi questi composti
interferiscono nelle riproduzione perché, stimolando l’attività enzimatica del fegato, mantengono ad alti livelli le sue attività metaboliche con conseguente degradazione degli ormoni sessuali. Ciò ha causato il declino delle foche del Baltico che hanno tutte un’alta concentrazione
di questi composti nei tessuti. DDT e DDE interferiscono anche sul metabolismo del calcio:
negli uccelli inibiscono l’anidrasi carbonica che è essenziale per la deposizione del carbonato
di calcio e per il mantenimento dei gradienti di pH attraverso le membrane, per cui risulta una
diminuzione dell’indice di riproduzione per la deposizione di uova con gusci sottili e fragili.
Questo fenomeno è stato accertato in molti uccelli acquatici migratori che, dopo la loro permanenza nei paesi industrializzati, accumulano elevate concentrazioni di composti organo
alogenati nel fegato.
Gli organismi adottano tutta una serie di strategie fisiologiche e biochimiche per neutralizzare gli effetti tossici dovuti ad una presenza abnorme di inquinanti nelle acque, attivando ad
esempio meccanismi omeostatici che mantengono a livelli fisiologici le concentrazioni interne
111
di molti metalli. In zone soggette a scarichi di varia natura, la biodiversità è estremamente ridotta perché le comunità sono costituite da quelle poche specie in grado di realizzare in tempi
brevissimi meccanismi di adattamento grazie ad una drastica selezione di geni favorevoli. Si
sono così originate popolazioni da pochi individui con genotipo adatto che, isolandosi dalla
popolazione originaria e specializzandosi sempre più alle nuove situazioni, occupano le nicchie
ecologiche delle specie preesistenti, provocando – però – una accentuata perdita della variabilità genetica originaria.
Anche le opere idrauliche possono essere causa di perturbazione alle biocenosi acquatiche.
Molti biotopi lagunari del nostro paese sono andati sempre più deteriorandosi in questi ultimi
anni non solo per gli inquinamenti, ma anche per uno scarso ricambio delle acque causato talvolta da interventi idraulici irrazionali. Ad esempio, in un tratto del fiume Tennessee (U.S.A.),
caratterizzato da forti correnti, vivevano 68 specie di molluschi specializzati a questi particolari
habitat. Negli anni ’20 la costruzione di una grande diga determinò l’innalzamento delle acque
con drastica modifica quindi dell’habitat preesistente e conseguente scomparsa di 44 specie di
quella comunità. Il lago di Aral, a causa della deviazione dei suoi immissari, si sta progressivamente prosciugando con danni incalcolabili sia all’ambiente, sia alle attività economiche.
L’introduzione di specie da una regione biogeografica all’altra o da un biotopo all’altro
(specie aliene), causata direttamente ai fini della pesca e dell’acquacoltura, o indirettamente dai
trasporti marittimi e dall’apertura di canali attraverso barriere naturali (Suez, Panama), provoca
gravi squilibri agli ecosistemi acquatici e determina la scomparsa di specie. Il successo delle specie aliene, in gran parte di aree tropicali, è dovuto sia alla loro potenzialità genetica che consente un adattamento attraverso la selezione, sia a particolari caratteristiche fisiologiche. Ben noto
è il caso di Caulerpa taxifolia, un’alga tropicale comparsa negli anni 80 sulle coste provenzali
che si è estesa in molte zone del Mediterraneo sostituendosi ad altre alghe e alla posidonia. Un
recente esempio di alterazione degli equilibri biologici è quello avvenuto in alcuni bacini idrici
della Toscana che sono stati invasi da un gambero d’acqua dolce proveniente dall’area sudorientale degli Stati Uniti, Procambarus clarkii. Questa specie a differenza dei gamberi europei
del genere affine Astacus è a rapida crescita e si diffonde senza ostacoli anche in acque eutrofiche e inquinate entrando in competizione con altre specie e determinandone la scomparsa.
L’inquinamento dei corpi idrici influenza anche l’ambiente terrestre attraverso il trasporto
atmosferico di inquinanti. Le piogge acide dovute dall’immissione nell’atmosfera di SO4 e H2S
da industrie prive di impianti di depurazione ha determinato la distruzione di vaste aree boschive soprattutto nell’Europa centrale e orientale. Gli aerosol causati dall’azione dei venti sulla
superficie del mare possono trasportare sulla fascia costiera, inquinanti provenienti da scarichi
urbani e industriali come è il caso ad esempio dei detersivi ed erbicidi che causano danni gravissimi alle pinete litorali soprattutto in prossimità delle foci di corsi d’acqua inquinati e dei porti.
Come già fu evidenziato nel 1992 al Congresso di Rio de Janeiro, la riduzione della biodiversità nelle acque dolci e marine è altrettanto grave di quella delle terre emerse e, sebbene forse
di minore risonanza perché meno appariscente e meno accessibile ai mass media, rappresenta
uno dei principali problemi della politica internazionale sull’ambiente. Tale riduzione è la più
grave avvenuta nel nostro pianeta da 65 milioni di anni, vale a dire dalle estese estinzioni fra
112
la fine del Cretaceo e l’inizio del Terziario. Anche se non è possibile quantificare la portata
del fenomeno appare indiscutibile che la crisi della biodiversità, sia intesa come riduzione di
specie, sia come erosione genetica delle popolazioni di una singola specie, appare in tutta la sua
evidenza anche in territori fino a non molto tempo fa ancora indenni.
Nella manualistica dell’economia fino a 30 anni fa l’acqua, come l’aria, erano considerate
beni non economici perché abbondanti e inesauribili: oggi tutti vedono che hanno un « prezzo
di mercato » per di più in crescita veloce per cui il concetto che l’acqua sia una materia prima
con la caratteristica peculiare di essere abbondante e soprattutto a buon mercato, ai giorni
nostri non è più accettabile. Deve essere abbandonata quindi la convinzione che sia sufficiente
l’aumento del prelievo per soddisfare le sempre più crescenti necessità dell’uomo. Questa logica
è stata adottata nel passato quando la ricerca dell’acqua e l’applicazione ad essa della tecnologia a disposizione correvano parallele allo sviluppo delle attività umane. Questo equilibrio si
è rotto da tempo ed è prevalsa la logica del massimo profitto in base al quale alla tecnologia
va adeguato l’ambiente e il sistema sociale e non viceversa. In base a questa logica solo in un
secondo tempo si pensa ai limiti di disponibilità dell’acqua e alla eventuale sua depurazione,
aprendo così la via all’abusivismo per raggiungere il massimo profitto.
Lo stesso discorso vale anche per le attività umane che coinvolgono fiumi, laghi e mare: da
una parte l’utilizzazione dei corpi idrici per gli scarichi (industrie, agricoltura, insediamenti urbani, traffici ecc.) dall’altra lo sfruttamento eccessivo (sforzo di pesca, acquacoltura irrazionale,
turismo selvaggio). In Italia, anche se la situazione in questi ultimi anni è andata migliorando
per i drastici interventi di disinquinamento, di controllo degli scarichi inquinanti, per un migliore uso delle risorse e per la realizzazione di sempre più numerose aree protette, permangono
gravi preoccupazioni che inducono a incrementare le opere di prevenzione. Determinante è il
ruolo dell’informazione per orientare l’opinione pubblica sulle scelte necessarie per conservare
e valorizzare il patrimonio naturale, far conoscere le strategie da seguire e soprattutto infondere
nelle nuove generazioni una coscienza naturalistica. È necessario però il controllo delle fonti
d’informazione per stabilirne l’attendibilità scientifica ed evitare che una comunicazione distorta di certi fenomeni spesso dovuti a cause del tutto naturali, l’eccessivo allarmismo o al contrario la sottovalutazione di reali gravi problemi, sia causa a lungo andare di disorientamento e
sospetto nell’opinione pubblica con ricadute negative sia sulla coscienza ecologica dei cittadini
sia su una politica generale di prevenzione e protezione. Troppo spesso infatti viene dato credito ad impostazioni ecologiche fondamentaliste, prive di un sicuro supporto scientifico. Si deve
tenere presente che la conservazione ambientale è una scienza e come tale va esercitata sulla
base di precise regole che solo le istituzioni scientifiche competenti sono in grado di seguire.
La conservazione ambientale ha il compito essenziale di mantenere la situazione in equilibrio regolamentando le varie attività e rappresenta quindi il punto d’incontro fra i sistemi culturali e sociali da un lato e i sistemi naturali dall’altro. Essa rappresenta il collegamento razionale
dell’insieme dei due sistemi e richiede quindi la conoscenza di entrambi per la salvaguardia
della biodiversità, il ripristino delle aree degradate, il controllo delle attività che coinvolgono
l’ambiente naturale, la prevenzione e la lotta agli inquinamenti. Questa concezione riguarda in
particolare i paesi industrializzati dove lo sviluppo delle attività produttive che è in crescente
113
aumento si scontra con l’esigenza di mantenere inalterato il patrimonio naturale e di utilizzare
le risorse in maniera equilibrata senza pregiudicare le loro disponibilità per le generazioni future. Il problema quindi si risolve, non solo con il controllo degli scarichi inquinanti e facendo
pagare chi inquina, ma soprattutto con una politica di prevenzione equilibrando la produzione
ad un livello ottimale e regolando la crescita in funzione dei limiti del sistema territoriale. Si
evitano così scelte contrapposte fra il benessere sociale e la qualità dell’ambiente. La conservazione ha come obiettivo fondamentale l’uso razionale dell’ambiente in tutti i suoi aspetti per
provvedere a una migliore qualità di vita dell’umanità e implica perciò problemi sia di ordine
sociale ed economico, sia di ordine scientifico e culturale.
Rileggendo il Cantico delle Creature con la consapevolezza della situazione ecologica in cui
si trova il pianeta ai giorni nostri, si ha modo di rilevare la visione ecocentrica di San Francesco proprio perché considera la componente vivente e non vivente della natura sul medesimo
piano da amare e soprattutto da rispettare nello stesso modo in quanto creatura di Dio. Si può
quindi dire che San Francesco è un antesignano della scienza della conservazione della natura,
un punto di riferimento per l’uomo moderno che in questi ultimi decenni ha preso coscienza
della necessità di affrontare i rapporti con l’ambiente proprio su basi ecosistemiche. Il concetto
del valore di una natura creata da Dio superiore al valore della natura prodotta o economicizzata dall’uomo, va ripreso in termini moderni e scientifici nella consapevolezza che le regole
inventate dall’uomo anche quando migliorano le condizioni della vita umana non possono
mai violare le leggi della natura.
114
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Annibale Mottana1
San Francesco e la natura: Terra2
Riassunto
I documenti relativi a San Francesco dalla Regola sine bulla (1210-21) alla Legenda maior
(1263), che sono considerati gli unici scientificamente affidabili per ricostruire l’atteggiamento
del Santo nei confronti della natura, contengono due sole menzioni della Terra come corpo
reale. Queste due menzioni sono analizzate nel contesto sia della letteratura francescana sia
della scienza dell’epoca e portano a rivalutare l’attitudine culturale e la filosofia naturale del
Santo nei confronti del pianeta.
La figura umana di San Francesco è affascinante e lo è sempre stata. Come tutto ciò che
affascina, corre il rischio di essere vista non nella sua natura effettiva, ma nello specchio deformante della fervida immaginazione dell’appassionato, vale a dire: corre il rischio di essere
travisata. Ad esempio: il suo ideale era la povertà assoluta, che esibiva in tutte le cose, dall’abito
al modo di porgersi, ed inoltre sappiamo che negli ultimi anni della sua vita egli fu costantemente molto malato, emaciato, quasi cieco, ridotto veramente al lumicino anche dai medici
dell’epoca. Così, di fatto, ci appare nei più antichi ritratti, quelli di pochi anni posteriori alla
sua morte: un vero « povero Cristo »! Se però guardiamo un altro quadro, di due secoli posteriore, l’immagine che il pittore ci fornisce di lui cambia, probabilmente sotto l’influsso dell’idea
che egli si era fatto dei frati che vedeva attorno a sé. Egli rappresenta San Francesco in tutt’altro
modo: un florido giovanotto in un bel saio a pieghe ben stirate ed eleganti, con i nodi del cordone infiocchettato ben in vista, rilassato, che accetta di buon grado le lesioni corporali che gli
vengono inflitte, dato che sembrano non fargli alcun male. È un travisamento completo!
Eppure il quadro di Jan van Eyck affascina chi lo guarda con occhio di naturalista. Se travisa il
Francesco uomo, infatti, rappresenta in un modo ultrapreciso l’ambiente geologico e il paesaggio in cui il fatto sarebbe avvenuto: la Verna. Ecco la sequenza sedimentaria della Formazione
di Monte Penna con le sue alternanze di arenarie ed argilloscisti! Ecco il Casentino di sfondo,
1. Uno dei XL. Dipartimento di Scienze Geologiche, Università degli Studi Roma Tre.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 161-171.
115
con la sua vegetazione di mezza montagna e con uno strano castello, che non è quello austero
di Poppi, bensì un elaborato maniero dall’apparenza francese! Jan van Eyck era stato al seguito
del duca di Borgogna nel pellegrinaggio in Terrasanta (1426) e sulla via di Roma aveva visitato
la Verna. Probabilmente fu colpito dall’ambiente rupestre e dallo splendido panorama e li
schizzò nel suo taccuino per riprodurli poi a casa, anni dopo, quando ne ebbe l’occasione
(1428-32), e lo fece con la sua solita cura meticolosa nel dipingere i dettagli. Non era, però, un
pietista né conosceva bene la storia francescana e così si inventò un Francesco aitante e gioioso,
come certo egli fu per l’altissimo onore ricevuto, ma di cui egli non si permise mai di rivelare
l’onere doloroso. Le sue stimmate, infatti, furono scoperte solo nel lavarne il cadavere, almeno
secondo quanto fece sapere frate Elia pochi giorni dopo la morte, in una lettera indirizzata a
tutti i confratelli.
Il rappresentante di un’Accademia scientifica non può lasciarsi trascinare da creatività
artistica o da emozioni mistiche e fervori spirituali. Non può travisare.
Deve costruire la sua analisi su dati oggettivi sicuri per poi riferirne spassionatamente i
risultati. Questo compito, nel mio caso, è complicato dal fatto che ho ricevuto l’incarico di
trattare un argomento apparentemente arido come la Terra, il nostro mondo reale, ma ho subito percepito che essa era considerata dal Santo non tanto come oggetto fisico quanto come
destinataria di una missione: essere il supporto offerto da Dio all’umanità in travaglio, quella
umanità sofferente che fu l’oggetto delle cure di Francesco durante tutta la sua vita. Il suo pensiero deve, quindi, essere da me analizzato senza che il fascino che il Santo emana mi induca a
alterazioni pietistiche soggettive, ingiustificate ed ingiustificabili con i documenti. Così cercherò di fare, quindi, anche se i risultati della mia analisi dovessero deludervi.
Partiamo dunque dalle basi oggettive. La documentazione scientificamente accettabile che
abbiamo su San Francesco e sulla sua attività si articola in tre parti nettamente distinte:
1.autografi;
2.scritti contemporanei, suoi o da lui dettati, ispirati e direttamente seguiti;
3.testimonianze e scritti d’età immediatamente successiva relativi alla sua persona e alla sua
attività, che ne costruiscono la figura come appariva alle altre persone e che ne crearono,
ma solo in parte, la leggenda.
Gli autografi sono tre: la lettera a frate Leone, la benedizione allo stesso frate Leone e le lodi di
Dio altissimo. Tutti e tre sono in latino e brevi (Bartoli Langeli, 2000).
Nessuno di loro riguarda la natura, meno che meno la Terra, l’ambiente e il paesaggio. Tuttavia,
essi sono importanti perché ci permettono di porre Francesco in una luce diversa da quella
che vorrebbe la « pia tradizione » e perfino da quella di cui lui stesso amava circondarsi. Egli,
infatti, usava descriversi come un « illetterato …», ma non lo era per niente. Era un uomo ben
educato e piuttosto colto, che leggeva e scriveva il latino, che parlava e cantava in un discreto
francese, che suonava vari strumenti a corda e che, infine, aveva una vasta conoscenza della
Sacra Scrittura, soprattutto del Nuovo ma anche del Vecchio Testamento, e la poteva citare a
memoria senza troppi errori. Teniamone conto nel valutarlo per quanto segue: volutamente un
povero sì, ma solo nelle proprietà e certo non di spirito!
Gli scritti da lui dettati, ispirati e direttamente soprintesi si distribuiscono su un intervallo di
116
quasi 20 anni, cominciando già qualche tempo dopo la sua conversione (1205) fino a pochi
giorni prima della morte (1226).
Sono le due regole: la Regula sine bulla, impostata nel 1210, ma rielaborata fino al 1221,
senza mai ricevere nulla più di un’approvazione generica e verbale da parte del Papa (Innocenzo
III prima, e poi Onorio III); la Regula cosiddetta bullata, del 1223, molto attenuata rispetto alla
precedente e finalmente approvata da Onorio III; il Testamentum, del 1226, che rappresenta un
ritorno al rigore originario dopo i compromessi accettati per ottenere la bollatura della Regola
e che, per questo, fu annullato da Gregorio IX due anni dopo; e poi esortazioni, lettere, ammonizioni, laudi, preghiere, commenti a preghiere, vespri, ecc. Tra tutti i testi da lui composti, se
non scritti, e fatti cantare ai suoi frati, il più noto ed espressivo è il « Cantico delle creature »
(Laudes creaturarum o « Cantico di Frate Sole »: nelle fonti i nomi sono diversi) scritto tra il
1225 e il 1226, che è il sommo testimone dello spirito francescano verso il creato e che, con la
preghiera davanti al crocefisso (Oratio ante crucifixum, peraltro considerata incerta da molti) e
con l’esortazione (probabilmente apocrifa) « Audite, poverelle dal Signore vocate », costituisce
il testimone capitale della vena poetica di San Francesco, oltre che – naturalmente – un fondamentale punto di partenza per tutta la poesia religiosa italiana in volgare (Casella, 1943-50;
Branca, 1950; Baldelli, 1976; Esser, 1989).
Esiste infine una serie di testimonianze, scritte tutte rigorosamente in latino e composte
da persone che lo conobbero e gli furono vicine.
La prima e più importante è certamente la Vita prima scritta da Tommaso da Celano
tra il 1226 e il 1228, così che fosse pronta per la canonizzazione. L’ultima su cui ci si può
basare, per una valutazione che vuole essere improntata a rigore scientifico, è la Legenda
maior, compilata da Bonaventura da Bagnoregio tra il 1260 e 1263 (Esser, 1978; Petrocchi,
1983). Successivamente (1266), Bonaventura impose la distruzione di tutti gli scritti sparsi
composti fino al allora, così che non ne fosse modificata l’immagine che egli aveva dato del
Santo. Con questo atto di censura (decretato abusando dell’autorità conferitagli dal capitolo
generale di Pisa del 1263, ma poi confermato da quello di Parigi del 1266) egli si proponeva
di affermare l’inimitabilità della specifica esperienza personale di San Francesco e di pacificare così l’ordine, già diviso nell’interpretazione della volontà del suo fondatore e sul modo
di applicarla. Così facendo, però, compì un terribile misfatto dal punto di vista scientifico,
perché tolse per sempre ad altri (quindi anche a noi, studiosi moderni) la possibilità di porre
a confronto l’immagine (per vero dire piuttosto stereotipa) che egli stesso aveva costruita
di San Francesco con quella che ne avevano gli altri discepoli, e soprattutto quelli che gli
erano stati più vicini e che forse lo comprendevano meglio. A dire il vero, l’imposizione di
Bonaventura andò in gran parte fallita – ovviamente e per fortuna, sono portato a dire – perché provocò un proliferare incontrollato di reminiscenze e di scritti, nessuno dei quali può
però essere preso in seria considerazione per una valutazione scientifica perché sono tutti
viziati dalla visione soggettiva che di San Francesco voleva dare l’autore (il più delle volte
si trattava di un francescano aderente ad una qualsiasi delle diverse tendenze che si erano
andate formando nell’Ordine: quelle tendenze che riassumiamo nei due opposti termini di «
conventuali » e « spirituali », ma che erano di fatto molte di più). Tra questi scritti di dubbia
117
affidabilità vanno annoverati i « Fioretti » (anzi gli Actus beati Francisci, perché l’originale è
in latino), composti probabilmente da Ugolino di Monte Santa Maria tra il 1272 e il 1292,
che sono alla base della « pia leggenda » che circonda il santo e che incorporano informazioni tratte dalla Vita secunda e dal Tractatus de miraculis, scritti entrambi da Tommaso da
Celano (1246) e sensibilmente riveduti rispetto alla Vita prima. Purtroppo, è proprio sui
« Fioretti » che si basa attualmente la conoscenza popolare del Santo ed è veramente un
compito sgradevole, per un cultore dell’obiettività scientifica, porsi di traverso alla lectio communis e cercare di riportare l’idea del pensiero di Francesco alle sue fonti prime. Spogliata
però delle superfetazioni, la figura di San Francesco che ne risulta è altrettanto e forse più
splendida di quella tradizionale, anche se per molti può risultare meno affascinante sotto
l’aspetto emotivo.
Per presentare questa nota, sono andato a leggermi (o rileggermi in rari casi, ma dopo un
buon cinquantennio!) la maggior parte degli scritti che ho citato finora. Ho voluto procedere
metodicamente e con freddo criterio scientifico. Ho cominciato dai tre autografi, senza ricavarne nulla. Subito dopo ho letto la Legenda maior e i « Fioretti », perché la visione che tradizionalmente abbiamo del rapporto tra San Francesco e la natura in tutta la sua complessità è basata
sostanzialmente su di loro: era questa visione tradizionale che dovevo sottoporre ad analisi e
verificare nella sua consistenza scientifica, quindi dalla sua conoscenza dovevo incominciare.
Sono poi passato alla lettura dei resoconti più antichi (Petrocchi, 1983), dal primissimo (il Sacrum commercium beati Francisci cum domina Paupertate, che si ritiene scritto da Giovanni Parenti
nel 1227) e dalla Vita prima che, iniziata nel 1226, era completa nel 1228 e che lo stesso Tommaso da Celano sunteggiò nel 1230 nella Legenda ad usum chori (già un po’ abbellita rispetto alla
prima). Li ho fatti seguire con la Vita secunda (1246) dello stesso Tommaso da Celano, già sensibilmente idealizzata rispetto alla prima, e con la Legenda trium sociorum (1246), per quanto la
sua stesura attuale sia un po’ dubbia. Dopo di che sono passato alle laudi e agli scritti esortativi
dettati dal Santo per arrivare al « Cantico delle creature », cioè a quello che – soggettivamente,
ma tutto ciò che ho letto mi conforta nel mio giudizio – considero il suo culmine poetico e
spirituale. È solo proprio da ultimo, quasi per diligenza, che ho letto le lettere, e qui ho avuto
una grande, totalmente improvvisa sorpresa.
Ebbene, se in ogni momento sono rimasto spiritualmente confortato e profondamente
commosso dalla visione di San Francesco che esce dalla lettura dei documenti, come cultore
di Scienze della Terra sono rimasto profondamente deluso. Il termine TERRA in relazione alla
nostra realtà naturale compare due sole volte nei testi scientificamente affidabili, benché sia frequente in frasi stereotipe del tipo « Dio signore del cielo e della terra », che non contribuiscono
in nulla al fine di questa mia presentazione. Ma, come ho già detto, una di queste due menzioni
della Terra mi ha riserbato una sorpresa.
Comincerò con quella citazione della Terra che ronza nella mia mente fin da quando ero
bambino. Nelle Laudes creaturarum o « Cantico di Frate Sole », che voglio citare qui secondo il
testo « ufficiale » per i Frati Minori (E. Grau: pp. 122-129 in Esser, 1989) anche se diverge un
po’ da quello filologicamente più affidabile ricostruito sulla base delle ricerche di Mario Casella
(1943-50) e di Vittore Branca (1950), San Francesco canta:
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Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa,
e produce diversi fructi con coloriti fiori et herba
(secondo una pia tradizione che, però, non è entrata neppure nella Vita secunda di Tommaso
da Celano) sarebbe stata composta da San Francesco per prima, nel 1225: prima cioè dei versi
dedicati al perdono e alla pace (che sono ancora del 1225) e molto prima di quelli relativi alla
morte corporale (composti pochi giorni prima di morire). È su questi pochi versi che ho inizialmente dovuto basare questo mio intervento, che non vuole essere « pio », ma rigoroso (oppure,
se si preferisce, « scientifico »: scientificità e rigore per me vanno di pari passo!).
Passiamo, dunque, all’esegesi. Devo anzitutto far notare che un critico acuto come Giovanni Pozzi, che ha analizzato il cantico sotto tutti gli aspetti ecdotici, estetici e filologici, ha
definitivamente dimostrato (1985), senza disconoscere l’influsso dei salmi ed in particolare del
salmo 148, che San Francesco si è ispirato al canto di lode a Dio dei tre giovani Sidrac, Misac
e Abdenago, nella fornace dove li aveva gettati Nabucodonosor re di Babilonia. Il risultato che
ne ha ricavato è però molto diverso. Ecco qui questo canto (Daniele, 3, vv. 52-90), per la sola
parte che riguarda la Terra (vv. 74-78):
Benedica la terra il Signore,
lo lodi e lo esalti nei secoli. Benedite, monti e colline, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli. Benedite, creature tutte
che germinate sulla terra, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, sorgenti, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, mari e fiumi, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Notiamo anzitutto che il canto biblico è molto esteso: sono ben 150 versi contro i 33
dell’intero « Cantico di Frate Sole » (questo numero non è da trascurare: sono gli anni di Cristo); contro i 3 versi dedicati alla Terra da Francesco, sono ben 5 strofe e 11 versi, che inoltre
contengono tutte le specifiche ambientali che il Santo tralascia. L’ispirazione indubbiamente
c’è stata3, ma riguarda lo schema poetico e non è di carattere né ambientale né paesaggistico
né – tanto meno – geologico. La Terra, infatti, è vista da San Francesco non nella sua struttura
fisica d’insieme di monti mari fiumi colline ecc., ma come sorella e madre amorosa dell’uomo,
verso il quale essa svolge, per conto di Dio, una funzione attiva e positiva: lo sostiene coi suoi
prodotti agricoli e lo rallegra coi colori della sua vegetazione. Quest’ultimo accenno, anche se
breve, ci fa percepire tutta la sensibilità ambientale di San Francesco. Come osserva Tommaso
da Celano nella Vita prima: « la bellezza dei fiori suscitava in lui un’eccezionale ebbrezza di
mente » al punto da fargli chiedere al frate ortolano di lasciare tra i suoi coltivi alcuni pezzi di
3. Nel corso della sua brillante esposizione durante la giornata di Assisi (14 settembre 2005) il Prof. Vincenzo Cappelletti ha
ricordato un suo colloquio con Vittore Branca che rafforza ancora di più nella convinzione che Francesco abbia tratto ispirazione
dal libro di Daniele. Il grande filologo medievale gli accennò che considerava tra i risultati più validi di tutta la sua lunga vita di
studio l’aver dimostrato, tramite la recensio di oltre 100 codici coevi, che la preposizione « per » nel linguaggio di Francesco non
era complemento di causa, ma aveva la funzione di complemento d’agente: equivaleva cioè al « par » francese e all’attuale « da »
italiano. Nella Vulgata, i tre fanciulli fanno lodare Dio dalla Terra, non sono loro a lodarlo per la Terra e se il « per » di Francesco
vale un « da » l’affinità dei due cantici è ancora più stretta.
119
terra al naturale in modo che vi potessero crescere fiori spontanei a lode e gloria di Dio.
Francesco, dunque, concepisce la Terra come madre, vale a dire come fonte di benessere
per l’uomo. Vista però con occhio moderno, la Terra ci appare come madre sì, ma anche come
una madre severa e inflessibile, che fa di testa sua e secondo i suoi tempi, che non esita a tartassare l’uomo suo figlio, lasciandolo a domandarsi perché non corrisponda alle sue attese, ma
dispieghi talvolta tutta la sua energia in un modo quasi rabbioso. Non toccherebbe a me, quindi, continuare con questa esegesi: toccherebbe – meglio di ogni altro – a un terso ambientalista
come il collega Moroni.
Io posso solo richiamare alla vostra attenzione due dettagli che diversificano profondamente il testo francescano da quello biblico. Il primo è che San Francesco vede l’ambiente naturale come luogo ameno, distaccandosi così dalla communis opinio medievale che sia un luogo
orrido, tenebroso e pieno d’insidie: poteva pensarla così solo chi ha una totale fiducia nella
benevolenza di Dio verso gli uomini, chi crede in un Dio padre, non un Dio padrone e giustiziere. Il secondo conferma quanto sopra: San Francesco mostra verso l’Altissimu, onnipotente,
bon Signore un rapporto di confidenza filiale, e dell’universo da lui creato ha sempre una visione
positiva, fraterna. I tre giovani, invece, hanno con Dio un rapporto di fiducia incondizionata
sì, ma gli si rivolgono come a un lontano potere superiore cui si sottopongono completamente:
per questo gli chiedono anzitutto di benedire lui stesso quella Terra che, nelle sue varie parti,
dovrà poi ringraziarlo.
E qui vorrei lasciar la parola ad una dei più sensibili analisti della figura umana di San Francesco: Chiara Frugoni. Se fosse qui, potrebbe analizzare meglio di me il rapporto che egli ebbe
verso la Terra. Nella sua biografia del Santo (Frugoni, 2001), l’autrice sottolinea anzitutto come
Francesco organizzi il « Cantico » in modo da lasciare trasparire la sua cultura, pur celandola
dietro l’ispirazione poetica. L’inno, infatti, cita i quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra) che
sono i componenti essenziali di ogni forma di vita (anzi: di tutta la natura, secondo la filosofia
di Aristotele) e li cita nell’ordine di ponderabilità relativa, proprio come voleva Aristotele, che
nel suo universo finito ed eterno aveva disposto gli elementi a sfere il cui centro era proprio
nella Terra. Francesco, dunque, conosceva la filosofia di Aristotele e la adotta nel suo « Cantico
». Se era colto, però, Francesco era anche saggio. In quel tempo era in pieno svolgimento una
dura reazione contro l’inserimento di Aristotele nell’insegnamento superiore e gli oppositori
ad Aristotele erano spalleggiati da buona parte della gerarchia ecclesiastica: del 1210 e del 1215
sono le condanne del suo pensiero a Parigi, confermate da Innocenzo III, e queste condanne
saranno confermate nel 1231 da Gregorio IX (Grabmann, 1941), cioè proprio da quell’Ugolino
di Segni che da cardinale fu il difensore di Francesco in curia e che, da papa, lo santificherà il 4
ottobre 1228. Francesco, quindi, prende posizione nel suo « Cantico » a favore di Aristotele, ma
sommessamente com’era suo costume, per spontanea obbedienza alla gerarchia da un lato, ma
anche per non attirarne l’ostilità sul nascente Ordine minore. Occorrerà, poi, tutta la sapienza
di due frati domenicani (Alberto Magno e Tommaso d’Aquino) per fare trionfare la filosofia
aristotelica, dopo l’ultimo disperato attacco degli oppositori nel 1277, e per aprire il luminoso
periodo della Grande Scolastica che all’epoca – occorre ricordarlo, vista la nomea di ottusità
che si è guadagnata dopo la vicenda di Galileo – era quanto di più avanzato offrissero la scienza
120
e la filosofia. Francesco, per il momento, parla ben poco della Terra come corpo fisico nel suo
« Cantico », ma ha una chiara visione prospettica di ciò che essa rappresenterà nello sviluppo
culturale futuro e, velatamente, comunica questa idea a tutti i suoi seguaci.
Dicevo, però, che la lettura sistematica delle opere di San Francesco mi ha riservato una
sorpresa che mi ha sbalordito, quando mi è capitata sott’occhio, perché si tratta di un passo di
contenuto decisamente geologico che non mi sarei mai aspettato in un testo del Duecento. Una
delle lettere portate a testimonianza per farlo santo (Epistola civibus Bononiensibus scripta: p. 321
in Esser, 1978), tramandata in modo sommario, ma sicura, recita esattamente così:
Dixit etiam [scl. fr. Martinus de Bartona] quod frater quidam, qui stetit in oratione Brixiae in die
Natali Domini, in terrae motu, quem praedixerat sanctus Franciscus et per omnes scholas Bononiae per
fratres praedicari fecerat, per litteram, in qua fuit falsum Latinum, et ecclesia corruit, sub ruina lapidum
illaesus inventus est.
San Francesco, quindi, secondo questa affidabile testimonianza coeva, avrebbe previsto
un terremoto a Bologna e ne aveva fatto avvertire la popolazione dai suoi frati. Effettivamente,
il catalogo dei forti terremoti in Italia (Boschi et al., 1990 pp. 197-199) elenca alla data del 25
dicembre 1222 un terremoto d’intensità elevata (Imax = IX) con epicentro nel Basso Bresciano,
ma non a Bologna. Non accenna minimamente alla previsione fatta da San Francesco, né si
basa su fonti francescane, ma su oltre 100 rapporti di autorità varie, a cronache, ecc. cioè su
documenti laici ed oggettivi.
Il terremoto dunque c’è stato: che cosa ne dobbiamo pensare? Che San Francesco fosse
una specie di rabdomante? Oppure un millantatore che minacciava disastri per conseguire
migliore effetto con le sue prediche? Né l’una né l’altra cosa! Aveva previsto un terremoto
per Natale e l’aveva fatto annunciare prima che si verificasse, quindi non era un profeta ex post,
come tanti « maghi » che circolano ora. Certo aveva sbagliato il luogo, ma aveva comunque
previsto l’evento e ciò o per un’illuminazione o forse per un’esperienza che si era consolidata
in lui dall’infanzia. Nell’Italia centrale, tra il 1182 e il 1222, il catalogo lista solo un terremoto,
nel 1192, con epicentro ad Arezzo, ma questo poteva aver avuto contraccolpi fino ad Assisi e
in tutta l’Umbria. Oppure, Francesco poteva essersi fatto un’esperienza sui terremoti durante il
triennio precedente, che aveva trascorso in Egitto e in Siria, terra, quest’ultima, in cui avviene
in media un terremoto l’anno.
La perplessità in me è stata grande. L’uomo non è come le galline cinesi che avvertono i
precursori; non ha un suo modo di percepire l’imminenza di terremoti tramite i tremori. Come
poteva allora San Francesco avanzare previsioni? È un mistero: uno dei tanti fatti inesplicabili
che costellano la vita del Santo e che è tanto più inesplicabile perché riguarda la nostra Terra,
un oggetto fisico che l’uomo non può né controllare né dominare, come si è ben visto alla fine
dell’anno scorso, col terremoto di Sumatra e col relativo tsunami, o ancora due settimane fa in
Louisiana, dove è bastato un uragano per sfasciare un intero ecosistema.
Le scienze geologiche sono attualmente impotenti di fronte ai parossismi che a tempi
ricorrenti ma imprevedibili squassano il sistema Terra, anche quando essi non sono di intensità
121
catastrofica. Tutto ciò che possono fare è monitorare con metodi sempre più accurati e poi
studiare l’evoluzione statistica e temporale dei fenomeni. Non sono assolutamente in grado
di effettuare previsioni su quando e come evolve un fenomeno naturale, neppure ora, che si
conosce la struttura mineralogica della Terra fino al suo centro e che se ne può calcolare il comportamento tramite le proprietà fisiche dei materiali (pur se solo nelle grandi linee). Quanto
tempo occorrerà per passare dalla fase di monitoraggio degli eventi catastrofici a quella della
loro previsione? Dio lo sa, noi uomini no. Tuttavia, sappiamo – così afferma San Francesco –
che, nonostante tutto, la Terra, nostra sorella in quanto come noi creata da Dio, è anche nostra
madre amorosa: ci nutre, ci rallegra e non ci lascerà finir male.
La previsione di un terremoto da parte di Francesco è uno dei tanti eventi accertati della
sua vita che inducono il più arido scienziato a riflettere su di lui e sulla Natura, a ripensare
all’interiorità della sua azione e a domandarsi se non possa veramente esistere qualcuno che ha
un aggancio diretto ed immediato con la trascendenza così che questa lo illumini: un « sensitivo », direbbero gli scettici … un « santo » preferisco dire io, accantonando per un momento la
mia funzione scientifica!
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Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Enrico Alleva – Nadia Francia – Daniela Santucci1
Animali2
Alla scienza viene oggi spesso rimproverato di essere praticata in impraticabili (per il cittadino comune) torri d’avorio. Alla comunità scientifica viene costantemente rimproverato,
soprattutto dal sempre più ingombrante e potente mondo dei media di massa di essere promotoridi una stolta separatezza tra « esperti » e « società civile ». Questo iato, forse anche spiegabile
dalla invasività fastidiosa di impacciati cronisti nelle stanze asettiche dei laboratori, è oggi una
realtà: ma sono proprio convegni come questo di Assisi (che si svolge in un centro religioso
di fama planetaria per attività eticamente e moralmente di altissimo lignaggio culturale), la
sede adatta per un incontro tra il Ministro in carica dell’Ambiente, l’On. Altero Matteoli, gli
esponenti dei principali insiemi costituzionali denominati partiti ed esperti della prestigiosa
Accademia delle Scienze detta dei XL, tutti interessati a temi di protezione dell’ambiente e della
biodiversità.
Istituzione nazionale d’eccellenza, l’Accademia ha annoverato tra i propri Soci il mai abbastanza compianto Professore Domenico Marotta (fondatore di quell’Istituto Superiore di Sanità, dove dal 1979 operò con crescente soddisfazione). Marotta, eletto Socio nel 1939 dell’Accademia, ne fu Segretario dal 1942 al 1962, Presidente dal 1962 al 1974. Direttore dell’ISS fu
anche il Professor Giovanni Battista Marini Bettolo Marconi, Socio dell’Accademia dal 1961,
Segretario dal 1974 al 1981, e Presidente dal 1981 al 1989. È auspicabile che le attività in sinergia tra queste due istituzioni così centrali per lo sviluppo socio-sanitario e socio-economico del
Paese continuino a prosperare nel tempo.
Siamo così giunti al Terzo Millennio. La ricerca italiana si accorge finalmente di essere
oggi dolorosamente in Europa: i fondi nazionali scemano, ma crescono di qualità i ricercatori
e una ineluttabile selezione darwiniana permette solo ai migliori di sopravvivere grazie proprio
a finanziamenti sovranazionali.
Il settore « Scienza e Società » diviene trainante, anche perché sempre meglio finanziato
dalle agenzie di Bruxelles. Perché oggi la società non si fida della sua componente scientifica, e
1. Neuroscienze comportamentali, Dipartimento di Biologia cellulare e Neuroscienze.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 173-177.
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chiede a scienziati eccelsi (ma anche a mediocri ricercatori) di riflettere, finanziandoli, sul significato operativo ed etico della scienza di livello internazionale? A rischio è la rispettabilità stessa
della scienza, perché troppa mediocrità ha soffocato le linee più immediatamente percepibili
come ricerca scientifica da parte del cittadino comune.
Oggi la comunità degli scienziati comprende un numero crescente di donne e con esse
entrano nuove necessità, anche bioetiche. Ma la scienza ha bisogno ogni giorno di più di
convincere i comuni cittadini (l’etica anglosassone li definisce taxpaiers, coloro che con le tasse
finanziano attività di interesse comune) a credere non fideisticamente nella scienza praticata
dai ricercatori. Parlare di « natura e cultura » di fronte e assieme ai politici necessita di questa
irrisolta premessa.
Naturale/artificiale
Da esperto del settore socio-sanitario, sottolineo il dualistico binomio naturale/artificiale
ricordando innanzi tutto che i prodotti sintetici antropologicamente detti man-made oggi superano la produzione di 100.000/anno ricordando che non pochi di essi vengono prodotti,
immagazzinati e immessi, tecnicamente « dispersi » nell’ambiente.
L’attività scientifica del nostro gruppo di lavoro ha riguardato una classe di essi, gli endocrine-disrupting chemicals che si basano sul principio di mimare gli effetti di ormoni naturali
(per esempio gli estrogeni) e che hanno procurato vivo allarme nella società ricca del Nord del
mondo, essendo imputati di anticipare la comparsa del menarca nelle bambine, di abbassare
la fertilità (conte spermatiche nel maschio adulto) e di influenzare il normale sviluppo del
cervello degli animali e dell’uomo, arrivando a far estinguere alcune specie animali: ciò a causa
della presenza di EDC nelle lagune marine nelle quali erano insediati cantieri navali di ecologicamente delicate specie di molluschi: sarebbe stata anche o soprattutto la comparsa di uno
« pseudopene », o estroflessione del mantello carnoso di tali molluschi, a ostruire l’ovidotto
nelle femmine, proprio perché sostanze EDC ormono-simili creavano questo potente effetto
di teratogenesi tissutale.
Grande preoccupazione si è anche verificata per la presenza di EDC nei giocattoli mordicchiati dai bambini, nelle lenzuola intrise di PBDE, altri agenti sintetici ormono-simili utilizzati
come ritardanti di fiamma.
Ecologia ed etologia animali
L’Ecologia è una disciplina delicata. L’evoluzionista e paleontologo Steve J. Gould ricordava che spazia dal « raccogliere le cartacce » fino a una scienza che nel dopoguerra ha ricevuto
crescente rispettabilità scientifica.
La figura del genetista Giuseppe Montalenti, che presso il CNR tentò una commissione
per dare proprio una forma scientifica a questi argomenti, fu relativamente breve e molto
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travagliata. Riuscì comunque a dare una forma primordiale a questa attività, proseguita dal
naturalista Longino Contoli, ma nell’attuale assetto del CNR questa parte resta frammentaria,
a volte polverizzata, comunque lacunosa.
Natura umana e natura extra-umana
A chi studia il comportamento animale e la biodiversità viene spesso posto il quesito, solo
apparentemente politico (ma invece sottilmente tecnico) di definire la natura umana. Ovvero,
di stabilire limiti certi della differenza che corre tra la specie umana e l’insieme così biodiverso
dei viventi, soprattutto della moltitudine di specie animali che hanno popolato e popolano il
medesimo Pianeta e la Terra.
A questo abbiamo dedicato una lunga riflessione, con Daniela Santucci, tratteggiando l’ecologia della mente umana anche a partire dalle caratteristiche anatomiche del cervello dell’Homo sapiens. La polis, così come descritta nella Grecia dei filosofi e così come la viviamo noi a
Roma o i giapponesi nel loro « formicaio » di Tokyo (o come la animano i newyorkesi della
Grande Mela) non è un insieme di soggetti viventi comparabile a quello delle altre specie animali. Un termitaio, un alveare o un fiume di gru africani che migrano nelle pianure del Serengeti non può essere direttamente confrontato con le complesse vicissitudini di una città umana,
fatta di storie personali e collettive di esseri provvisti di una morale e di un libero arbitrio che
scatenano guerre (fenomeno doloroso che le altre specie animali si risparmiano, e felicemente);
nelle città troviamo biblioteche e chiese, custodi di un pensiero simbolico che da lungo tempo
ha trovato forma scritta e regole di convivenza che divengono leggi per sanzionare comportamenti individuali moralmente esecrati.
Il primo messaggio che viene dall’etologia, per i politici presenti e partecipi, è proprio
quello di evitare facili scorciatoie riduzioniste, e di saper discernere tra necessità fisiche e psichiche materiali degli esseri umani che governano, e quelle prettamente patrimonio della specie
umana: che hanno invece a che fare con la peculiarità della vita vissuta, e della storia attiva
dell’umanità pensante. Ricordando che scienza (sia la scienza curiosity-driven di base che quella applicativa) e la tecnologia restano risorse fondamentali per il benessere economico di un
paese. E che un paese reazionario lo sarà anche se non saprà essere scientificamente avanzato,
tecnologicamente competitivo; e che è compito non delegabile dei politici combattere le vene
antiscientifiche che percorrono la storia della cultura nazionale, pronte a ravvivarsi dietro incessanti stimoli e paura molto sovente di tipo irrazionalistico.
L’etologo ricorda che nulla vi è di distintivo nel comportamento umano, che alcuni pattern comportamentali (per esempio quelli che regolano il comportamento di un neonato) sono
regolati da programmi neurobiologici innati: ma che proprio gli etologi evoluzionisti hanno
condannato quei tentativi immorali di spiegare lo stupro come un fenomeno dettato da immutabili leggi di sopravvivenza, dove il maschio che feconda è discolpato da presunti istinti
bestiali: lo stupro è, e resta atto esecrabile immorale, sanzionato anche da leggi che uomini di
etnie, comunità e nazioni diverse e anche estinte si sono orgogliosamente dati.
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Diogene cercava l’uomo, Socrate invocava quel nosce te ipsum, Konrad Lorenz prima e
Jared Diamond dopo tentano da bioevoluzionisti di dare lezioni di buone maniere all’umanità
pensante, inclusi quei decision-makers politici che non sempre sono attenti a questi reiterati
messaggi.
La mente animale esiste
L’Etologia finalmente riconosce e crea consenso sul fenomeno mentale come fenomeno
distribuito anche in specie diverse da quella umana.
Donald Griffin, studioso di pipistrelli e castori e Marc Bekoff, studioso di lupi e di cani,
sono autori di riferimento per questa nuova presa di coscienza umana del fatto che anche altre
specie animali, principalmente mammiferi carnivori e primati siano provvisti di mente. Spiegano come e perché si verifichi quel fenomeno di mind-reading per il quale un cane e il suo partner
umano, sappiano scambiarsi concrete emozioni al di là di capacità linguistiche sviluppate.
Fanno riflettere sulla capacità che l’essere animale ha di capire lo stato mentale e i « sentimenti » del proprio partner umano sapendoli modificare per una comune felicità darwiniana.
Oggi cani e gatti, ma anche bovini maiali pecore e conigli suscitano sentimenti e interessi
legati al loro benessere psicofisico. Il dilemma, per il compassionevole e francescano consumatore europeo è quello di essere un carnivoro consumatore di animali da reddito e da piatto, ma
da porsi problemi etici financo per le pratiche di eutanasia in luoghi cruenti e sanguinosi come
i mattatoi.
Il messaggio francescano che promana da questa iniziativa è chiaro: e ogni giorno più
leggibile. Il Santo che seppe parlare all’amico lupo ha ispirato noi compassionevoli custodi dei
rapporti zooantropologici tra uomini e animali, spingendoci a produrre regole legificate per
impedirne il dolore o la sofferenza.
Il messaggio francescano di essere vicini alle tante e biodiverse specie del nostro mondo
umano ha trovato, insomma, nell’etologia una piena e convinta soddisfazione.
126
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Giordano Ervedo1
La situazione forestale mondiale
dopo il seminario di Assisi sulla povertà e l’ambiente2
L’insegnamento di S. Francesco presenta la particolarità di indicare la via più immediata
per dare pratica soluzione ai problemi che rendono così difficile la coesistenza pacifica tra i popoli. Se si considera il lungo periodo di tempo che separa l’epoca del « Cantico delle Creature »
ai nostri giorni appare evidente che il pensiero francescano ha mantenuta intatta la sua validità.
Ne è dimostrazione questo convegno che trae origine dal seminario internazionale sulla
povertà e l’ambiente che ha avuto luogo ad Assisi nell’ottobre 1991. Dopo 15 anni, può risultare utile qualche riflessione sui cambiamenti che si sono verificati per le foreste, uno degli ecosistemi più vasti della biosfera per varietà e complessità strutturale. Infatti, su 13 miliardi di ha
di terre emerse, i boschi si estendono su circa 3,8 miliardi, pari al 29,6% della superficie ed ogni
abitante dispone di 0,6 ha. Prevalgono nettamente le formazioni naturali, poiché le piantagioni
realizzate dall’uomo rappresentano soltanto il 5% cioè 187 milioni di ha.
I dati forniti dall’accurato inventario realizzato dalla FAO nel 2001 e recentemente aggiornato, indicano un sensibile miglioramento nella riduzione dei disboscamenti, soprattutto
nelle aree tropicali e subtropicali, poiché sono scesi dai 14-15 milioni degli anni 90, agli attuali
9,3 milioni di ha all’anno. La situazione non è omogenea ed esistono sensibili differenze di
tendenza tra i vari continenti. L’Europa presenta un coefficiente di boscosità del 46% che continua ad aumentare e l’espansione delle foreste ha superato 800.000 ha all’anno, in seguito al
sensibile contributo offerto dai paesi dell’Est quali Bulgaria, Estonia, Lituania, Bielorussia e Ungheria, dalla Federazione Russa, dalla Spagna e dal Portogallo; il fenomeno del disboscamento
è limitato praticamente all’Albania. L’Africa, nonostante un certo miglioramento mantiene
invece il primato della riduzione annuale della superficie forestale con oltre 5 milioni di ha
corrispondenti allo 0,8% di quella boscata pari a 649.866 milioni di ha. I paesi che denunciano
le maggiori perdite sono: Sudan, Zambia, Zimbabwe, la Repubblica Democratica del Congo,
con valori compresi tra 300.000 ed 1 milione di ha, seguiti da Nigeria e Camerun. In Asia, il
1. Ordinario di Ecologia forestale, Dipartimento di Scienze Forestali, Università degli Studi della Tuscia.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 179-186.
127
cui patrimonio forestale occupa 547.793 milioni di ha, la vigorosa azione di rimboschimento
intrapresa dall’India, dalla Cina, dal Giappone, dalla Malaysia, dal Vietnam e dalla Turchia ha
contenuto il fenomeno e la diminuzione della superficie boscata non supera 300.000 ha all’anno; i paesi più esposti rimangono l’Indonesia, la Birmania, la Malaysia, la Thailandia.
Nel continente americano, la situazione è profondamente diversa tra l’America centrosettentrionale, che possiede una superficie forestale di 549.304 milioni di ha e quella meridionale con 888.618 milioni di ha. Il disboscamento è sensibile nel Belize, Honduras, Guatemala,
Costa Rica, Panama ma soprattutto in Messico e Nicaragua, tuttavia non supera i 570.000
ha. Nell’America del sud, che è una delle regioni più boscate del mondo con un indice del
50%, l’eliminazione della foresta prosegue in alcuni paesi con notevole intensità e riguarda
annualmente circa 3,7 milioni di ha, concentrata soprattutto in Brasile per il 62,2% seguito da
Argentina, Perù, Venezuela, Colombia, Ecuador.
Da questa breve descrizione, necessariamente incompleta, appare evidente che le zone
critiche per la conservazione del patrimonio forestale, coincidono con i paesi che devono
affrontare notevoli difficoltà per assicurare la sopravvivenza delle popolazioni in seguito
all’esplosione demografica o che sono destabilizzati da eventi bellici o da una prolungata
attività di guerriglia.
Nei paesi che dispongono di agricoltura avanzata, le superfici forestali sono in espansione
sui terreni abbandonati soprattutto nelle zone una volta destinate al pascolo, e si assiste in Europa e nell’America settentrionale, al graduale aumento del coefficiente di boscosità. Si tratta di
una tendenza positiva che proseguirà nel terzo millennio e che si accompagna ad una maggiore
sensibilità delle popolazioni per il rispetto dell’ambiente.
In sede internazionale, le Nazioni Unite, ed in primo luogo la FAO e l’UNESCO, hanno svolto un’efficace opera di convincimento dei Governi affinché venissero stabiliti i principi fondamentali comuni per la difesa delle foreste, che dovrebbero assumere, nel tempo,
valore normativo.
È significativo il fatto che nella dichiarazione finale del seminario di Assisi del 1991 venisse individuata nella deforestazione, soprattutto nelle regioni pluviali tropicali, la causa del grave
squilibrio nel rapporto povertà-ambiente, che caratterizza ancora tanti paesi africani ed asiatici.
Infatti, le foreste forniscono oltre il legno numerosi beni essenziali, quali energia, alimenti ed
altri prodotti non legnosi, per circa 1,2 miliardi di persone di cui il 90% vive al di sotto della
soglia di povertà. Le indicazioni fornite dal convegno di Assisi non sono rimaste isolate e sono
state recepite in alcune iniziative internazionali che hanno portato, dopo la conferenza di Rio
del 1992, all’affermazione del concetto di gestione sostenibile delle foreste, che è stata fatta
propria da numerosi organismi governativi.
Ha così avuto inizio in Europa, in Africa, in Asia, in America il percorso che doveva portare, dopo alcuni anni, alla definizione delle linee guida e dei criteri per assicurare la perenne
funzionalità delle foreste senza effetti indesiderati sull’ambiente fisico e sociale. In Europa, un
notevole progresso è stato compiuto nelle conferenze ministeriali sulla protezione delle foreste
che si sono svolte a Strasburgo e ad Helsinki (1993). Ne è scaturito un impegno comune per
la sostenibilità che è stata cosi definita: « la gestione corretta e l’uso delle foreste e dei terreni
128
forestali nelle forme ed a un tasso di utilizzo che consentano di mantenere la loro biodiversità,
produttività, capacità di rinnovazione, vitalità ed una potenzialità che assicurino, ora e nel
futuro, rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello nazionale e globale e non
comporti danni ad altri ecosistemi ».
A distanza di cinque anni dal protocollo di Helsinki, a cui ha dato la sua adesione anche
il nostro Paese, venivano fissati nella Conferenza paneuropea di Lisbona, nel 1998, due importanti linee di politica forestale comune, riguardanti l’applicazione pratica del concetto di
sostenibilità e di conservazione della biodiversità forestale (risoluzioni H1 e H2). I sei criteri
adottati nei paesi dell’Unione riguardano in sintesi:
• mantenimento e miglioramento delle risorse forestali ed il loro contributo al ciclo globale
del Carbonio;
• mantenimento della salute e della vitalità degli ecosistemi;
• mantenimento ed incoraggiamento delle funzioni produttive nella gestione forestale;
• mantenimento, conservazione ed appropriato miglioramento della diversità biologica
negli ecosistemi forestali;
• mantenimento ed appropriato miglioramento delle funzioni produttive nella gestione
forestale (in particolare difesa del suolo e regimazione delle acque);
• mantenimento di altre funzioni socio economiche.
L’Europa ha quindi dato una risposta concreta alle raccomandazioni che erano state
espresse in occasione della riunione delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, svoltasi a
Rio de Janeiro nel 1992 (UNCED).
Tuttavia, rimaneva aperto il complesso problema riguardante i meccanismi di controllo
della gestione sostenibile a livello internazionale e nei singoli Paesi. Si trattava, infatti, di stabilire degli indicatori descrittivi che fossero universalmente riconosciuti dalle componenti della
filiera foresta-legno-ambiente e che non si limitassero, com’era avvenuto in passato, a prendere
in considerazione i sistemi, le tecniche colturali e i metodi di pianificazione soltanto in base
alla misura della produzione legnosa. Per indirizzare la gestione diventano strumenti indispensabili il monitoraggio e gli inventari anche al fine di predisporre il piano forestale nazionale,
come richiesto a tutti i paesi dall’ONU.
Se le attività forestali vengono condotte in maniera non corretta possono dar luogo alla
perdita di risorse naturali, compresa la biodiversità, a modifiche del paesaggio e al degrado
ambientale con risultati negativi per l’economia locale.
Uno strumento efficace per l’informazione del pubblico sugli standard di comportamento,
è rappresentato dalla « ecocertificazione ambientale », al fine di individuare e correggere la tendenza a prelevare dai soprassuoli forestali una massa di legname superiore al loro incremento.
La certificazione può riguardare le attività di gestione di cui sono responsabili i proprietari pubblici e privati, ma anche quelle di trasformazione e commercializzazione dei prodotti legnosi,
per garantire la loro rintracciabilità nelle varie fasi di lavorazione da parte delle industrie. Sono
così sorti vari enti indipendenti, privi di interessi economici diretti, che adottano schemi inter129
nazionali di certificazione della gestione dei boschi e di etichettatura dei prodotti legnosi. Tra
i più conosciuti vanno ricordati il Forest Stewardship Council (FSC), un’organizzazione non
governativa senza scopo di lucro che include tra i suoi membri i principali protagonisti della
filiera del legno, come: associazioni di consumatori, proprietari forestali, tecnici, enti di certificazione, industrie di lavorazione e commercializzazione del legno, associazioni ambientaliste.
L’obiettivo del FSC è ambizioso, poiché mira a promuovere a livello mondiale la gestione delle
foreste e delle piantagioni in modo da tutelare l’ambiente naturale.
Per la prima volta dal 1994, con la partecipazione equilibrata di tutte le parti interessate,
sono stati stabiliti i principi ed i criteri, basati su parametri ambientali e sociali validi in tutto il
mondo, per la buona gestione forestale. I boschi ed i loro prodotti vengono controllati e valutati in maniera indipendente da enti di certificazione accreditati presso l’FSC, che è responsabile
della loro competenza e credibilità; il gruppo FSC Italia è riconosciuto ufficialmente in sede
internazionale. L’area di foreste certificate dall’FSC, che mira a ridurre l’eccessivo sfruttamento
delle foreste soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali esposte alle pressioni delle grandi
compagnie che dominano il mercato ed i tagli illegali, ammonta nel 2004 ad oltre 40 milioni
di ettari in 59 paesi. In Italia, il gruppo FSC ha provveduto tra l’altro alla certificazione, per
quanto riguarda i prodotti legnosi, della Magnifica Comunità della Val di Fiemme e di oltre
settanta aziende.
In Europa, a partire dal 2003 è stato anche realizzato il « Programma di valutazione degli
schemi di certificazione forestale PEFC », che ha preso come riferimento i criteri formulati dalla
Conferenza Interministeriale Europea cui aderisce il Governo Italiano.
Su 90 indicatori di sostenibilità, adottati dal PEFC, la biodiversità ne annovera 20, di cui
11 con soglie minime da rispettare. Il PEFC Italia si rivolge in particolare agli Enti, alle amministrazioni forestali, ai singoli proprietari ed ai gruppi all’interno di una Regione, indipendentemente dalle dimensioni della superficie boscata o dell’industria di trasformazione.
Il sistema di certificazione consente sensibili economie di scala, ed è previsto che la sua
applicazione riguarderà circa 500.000 ettari di boschi distribuiti in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino ed Alto Adige.
A livello mondiale la superficie delle foreste certificate ha avuto un sensibile incremento dal 2000 al 2004 ed ha raggiunto 176 milioni di ettari, che però rappresentano solo il 4%
delle foreste mondiali. I processi di certificazione meritano, quindi, di essere sostenuti e diffusi poiché portano ad una migliore percezione da parte dell’opinione pubblica del problema
dell’abbandono dei boschi e della necessità di assicurare le cure colturali e consolidano la consapevolezza della conservazione di tutte le componenti degli ecosistemi, cioè la flora, la fauna
ma anche il suolo che regola la circolazione idrica e la stabilità dei versanti. Tuttavia, il sistema
di certificazione per quanto apprezzabile presenta la limitazione di essere applicato, finora,
soltanto su base volontaria.
Le Nazioni Unite hanno proseguito l’azione per favorire il dialogo tra i Paesi per giungere
ad un consenso generale sulla sostenibilità mediante l’istituzione di un gruppo (IPF) e di un Forum Intergovernativo sulle Foreste (IFF), avente l’obiettivo di estendere ed esaminare i progressi
realizzati nella gestione durevole, ma anche per dare seguito alle fondamentali convenzioni
130
sulla diversità biologica (CBD) e sui cambiamenti climatici (CCNUCC).
È ormai accettato a livello mondiale come soltanto mantenendo gli ecosistemi forestali ad elevata diversità si potranno conservare soddisfacenti livelli di produttività. Le azioni
dell’uomo hanno modificato durante i secoli gli ecosistemi naturali, creando catene trofiche
semplificate in parte con azioni dirette e mediante alterazioni ambientali, quali l’inquinamento
del suolo, delle acque e dell’aria.
D’altra parte, una bassa variabilità genetica riduce le capacità adattative delle specie, con
modifiche tanto più consistenti, quanto più alto è il loro controllo della funzionalità dell’ecosistema. La conoscenza del ruolo della biodiversità e delle possibili strategie per la sua conservazione devono venire tenute presenti nelle politiche di gestione delle risorse forestali, che
dovrebbero avere tra gli altri obiettivi il mantenimento e, possibilmente, l’aumento della diversità complessiva dell’ecosistema. Infatti, ai valori più alti di questa corrisponde una maggiore
disponibilità nella produzione, una più alta resilienza e resistenza alle avversità ed ai cambiamenti climatici ed un miglioramento del valore estetico.
Vi è necessità di conservare le foreste naturali, ma anche le piante senescenti o deperienti,
poiché hanno raggiunto la maturità biologica e svolgono un ruolo significativo nel trasferimento del materiale genetico.
La biodiversità viene generalmente considerata a livello di specie (variabilità entro e tra
le specie), di ecosistema, di paesaggio, ed è importante poter disporre per ciascun livello degli
indicatori di diversità, soprattutto se questi sono di facile determinazione. A questo scopo, le
linee guida per la pratica forestale danno la preferenza alla rinnovazione naturale, a condizione
che essa sia adeguata ad assicurare la quantità e la qualità delle risorse e che la provenienza del
materiale di propagazione sia adatta al sito. Le specie originarie devono essere preferite, così
come la loro mescolanza anche al fine di ripristinare la diversità paesaggistica. I biotopi significativi quali le zone umide, gli affioramenti rocciosi, le forre e le sorgenti d’acqua devono essere
protetti e recuperati.
La rete dei parchi, delle riserve naturali delle aree protette si è ampiamente diffusa e la
superficie raggiunge ormai 170 milioni di ettari a livello mondiale.
In Italia, la politica condotta dal Ministero dell’Ambiente e del Territorio, dalle Regioni,
dalle Province, dai Comuni, in risposta alle sollecitazioni dell’opinione pubblica e delle associazioni ambientaliste, ha portato negli ultimi decenni all’istituzione ed all’ampliamento dei
parchi e delle zone sottoposte a protezione per una superficie pari a 300.000 ha, corrispondente
al 10% del territorio nazionale. Vi è un adeguato margine per la conservazione della biodiversità ed il problema non riguarda tanto la sua ulteriore espansione, quanto piuttosto la possibilità
di garantire gli interventi necessari al mantenimento delle varie specie, soprattutto di quelle in
via di estinzione, poiché le trasformazioni che si verificano sul territorio possono avere sull’ambiente un impatto negativo molto rapido.
In realtà, sulla politica della conservazione della biodiversità incombe l’azione dei cambiamenti climatici, che possono modificare la distribuzione, la numerosità e la densità delle
specie vegetali ed animali. Le raccomandazioni espresse nel convegno di Assisi sull’impatto
dell’inquinamento dell’atmosfera hanno avuto un eco significativo a livello internazionale con
131
l’approvazione da parte di numerosi paesi, del protocollo di Kyoto, che è stato ratificato anche
dall’Italia nel giugno del 2002. Si tratta di un avvenimento di rilevante portata poiché affronta
il problema della stabilizzazione della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera a
livelli non pericolosi per gli equilibri climatici, così come stabilito dalla Convenzione sui cambiamenti del 1992.
Lo scenario per la stabilizzazione della CO2, e più in generale dei gas serra, è molto complesso, poiché prevede a partire dal 2025-2030 l’adozione di tecnologie e misure innovative
per ridurre drasticamente le emissioni globali fino al 60%. Anche le foreste saranno valutate
non solo per la loro capacità di fornire energia rinnovabile ma in relazione all’assorbimento
del Carbonio (carbon sink) e, fatto rilevante, saranno conteggiate le diminuzioni di Carbonio
ottenute in seguito ad attività di selvicoltura o alla variazione dell’utilizzo dei suoli. Per raggiungere gli obiettivi di riduzione e di limitazione delle emissioni dei gas serra, i Paesi potranno effettuare progetti di rimboschimento anche all’estero, purché vengano rispettati specifici
accordi e le regole stabilite dal protocollo. Nel primo periodo di adempimento le linee guida
fissano l‘ammontare massimo di Carbonio che può venire abbattuto tramite le attività di selvicoltura. Qualora si registri un assorbimento netto di emissioni, tale valore deve essere aggiunto
alla quota assegnata, ma se il risultato è una sorgente netta di emissione, tale valore deve essere
sottratto alla quota del Paese. Gli aspetti legati alle metodologie per il calcolo del bilancio del
Carbonio negli ecosistemi forestali, per il monitoraggio delle variazioni degli stock di Carbonio
e la durata dei cambiamenti, formano oggetto di accordi intergovernativi in corso.
Nel quindicennio che separa l’odierno incontro da quello precedente, dedicato a povertà
ed ambiente, vi è stata una più favorevole considerazione per il futuro delle foreste. La conferma è data dall’ormai diffusa presa di coscienza a livello internazionale che la più efficace difesa
contro la distruzione degli ecosistemi forestali dipende in larga misura dell’eliminazione della
fame e del sottosviluppo nel mondo. L’ultimo documento della FAO dedicato a « la Situazione
Forestale del Mondo 2005 » riflette in maniera evidente le decisioni adottate nell’ultima riunione svoltasi a Roma nello stesso anno dal Comitato delle Foreste, che ha sottolineato la necessità
di una maggiore attenzione al ruolo che i soprassuoli forestali svolgono per la sopravvivenza
alimentare di molte popolazioni, compresi gli abitanti delle isole minori che nei precedenti
inventari erano state trascurate.
Tuttavia, su questo quadro sostanzialmente positivo si proiettano alcune ombre che meriterebbero di venire allontanate. Si è venuto a creare, infatti, un sensibile distacco tra le azioni intraprese dai Governi e la partecipazione diretta delle popolazioni alla loro applicazione.
L’esempio più evidente è offerto dalla piaga degli incendi forestali che colpiscono ogni anno
superfici boscate sempre più vaste in tutti i continenti, pari a circa 300-400 milioni di ha, nonostante l’impiego di mezzi, di uomini e di attrezzature sofisticate.
Pur ammettendo che la recrudescenza degli incendi sia dovuta in larga parte all’alternarsi
di lunghi periodi di siccità con precipitazioni di intensità e durata eccezionali, rimane il fatto
che il Canada, l’Australia, gli Stati Uniti, la Federazione Russa hanno fatto registrare la perdita
di enormi superfici forestali, di centinaia di vite umane, di abitazioni e di beni. Nel 1997 gli
incendi hanno devastato quasi un milione di ha di foreste nel Borneo e a Sumatra, ed hanno
132
rilasciato nell’atmosfera 2,6 milioni di tonnellate di Carbonio, pari ad un valore compreso tra
il 13 ed il 40% delle emissioni globali di quel periodo. Nel 2005, il Portogallo ha sperimentato
un’altra estate di fuoco, poiché sono andati distrutti in circa 7 giorni 180.000 ha di foresta con
grave rischio per la città di Coimbra e la morte di una decina di Vigili del Fuoco. In questo
paese nei due anni precedenti la superficie forestale bruciata era quadruplicata, mentre in Francia ed in Spagna è più che raddoppiata. Anche in Italia la superficie percorsa dagli incendi ha
interessato mediamente negli ultimi dieci anni 117.000 ettari, dei quali il 45% boscati. Il fatto
nuovo è dato dal numero degli incendi, che continua a crescere nella stagione estiva ed in quella invernale, praticamente raddoppiato dal 2002, raggiungendo diecimila eventi.
La necessità di interrompere la spirale tra incendi e mezzi per contrastarli dimostra che
la coscienza ambientale delle nostre popolazioni non ha raggiunto un sufficiente livello di
responsabilità. Mentre è stato fatto molto per migliorare l’organizzazione, la pianificazione e le
tecnologie per la difesa diretta, non è ancora adeguata la prevenzione.
Eppure, la difesa civile, il volontariato, le associazioni ambientaliste, il Corpo Forestale
dello Stato, le Regioni, le Province svolgono un’opera di sensibilizzazione meritoria soprattutto
nei confronti dei giovani. Purtroppo, l’attitudine di vaste fasce della popolazione è indifferente
o al più disponibile ad un ecologismo di maniera, piuttosto che all’assunzione di responsabilità
nei confronti dell’ecosistema forestale, e quindi risulta prioritaria l’educazione civile che è purtroppo molto trascurata.
San Francesco ed i suoi confratelli si ritiravano nel folto dei boschi in solitudine per
stabilire il contatto con il Signore, e ne uscivano rinforzati nell’animo per affrontare con serenità le difficoltà della vita. Forse se gli uomini ripercorressero i sentieri dei boschi con spirito
francescano non vi sarebbero più incendi e l’ambiente forestale potrebbe continuare ad essere
espressione tangibile del Cantico delle Creature.
133
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Lucio Maiani1
I fuochi dell’Universo e la vita sul Pianeta2
Laudato sì, mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte
Un discorso sul tema del fuoco offre la possibilità di illustrare alcuni degli aspetti più
interessanti della fisica fondamentale di oggi, ma anche di fare qualche riflessione sul tema
dell’energia, un tema di importanza fondamentale per il futuro del nostro Paese e quello del
Pianeta Terra.
Vorrei ringraziare, quindi, l’amico Gian Tommaso Scarascia Mugnozza e l’Accademia dei
XL per questa occasione, in un quadro denso di emozioni e di significati come il Santuario di
Francesco di Assisi.
1. Il Big-Bang
Una delle scoperte più drammatiche del secolo appena passato è che il nostro Universo è
nato da un grande fuoco, il fuoco più grande di tutti i fuochi possibili: il Big Bang.
Il primo suggerimento è venuto dalla scoperta di E. Hubble (negli anni 1923-1929), che le
galassie si allontanano da noi, e l’una dall’altra, con velocità che cresce proporzionalmente alla
distanza: v=Hd. Se estrapoliamo all’indietro il moto delle galassie, esse dovrebbero provenire
dallo stesso punto nello spazio, da una grande esplosione. Il valore osservato della costante di
Hubble, H, colloca l’origine del nostro Universo a circa 12 Miliardi di anni fa (12By).
Nel 1948 George Gamow e i suoi collaboratori, Ralph Alpher e Robert Herman, analizzavano il Big-Bang alla luce delle conoscenze raggiunte dalla fisica atomica e nucleare ed
arrivavano ad una conclusione sorprendente: l’esistenza di una radiazione elettromagnetica
1. Socio dell’Accademia. Dipartimento di Fisica « G. Marconi », Università degli Studi di Roma « La Sapienza ».
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 187-194.
134
che riempie tutto il Cosmo, il residuo della grande esplosione. La radiazione era, quando si
è formata, ad una temperatura altissima, dell’ordine di alcune migliaia di gradi, ma oggi si è
raffreddata quasi allo zero assoluto a causa dell’espansione.
Nel 1964, R. Penzias ed A. Wilson scoprivano una radiazione diffusa nelle micro-onde
(Micro-Wave Cosmic Background Radiation) alla temperatura di circa 3 gradi assoluti ovvero
circa -270 0C. Era la brillante conferma delle idee di Gamow (a lui si deve il nome suggestivo
di Big-Bang) e l’inizio della Cosmologia moderna.
Da dove provengono i fotoni della radiazione cosmica? Ciascuno di essi ha viaggiato fino
a noi per 12 Miliardi di anni, quindi è nato da una superficie che possiamo immaginare nel
cielo alla distanza di 12 Miliardi di anni-luce. Questa superficie segna, nel passato, il momento
in cui elettroni e protoni del plasma primordiale si sono combinati per dare atomi di idrogeno
elettricamente neutri, cosa che ha reso l’Universo trasparente alla luce e che permette ai fotoni
allora presenti di giungere fino a noi.
Tuttavia la radiazione cosmica non può essere ad una temperatura completamente uniforme, come pensavano Gamow e collaboratori. Devono esserci fluttuazioni di temperatura che
segnalano le fluttuazioni di densità dell’Universo primordiale da cui sono nate le strutture che
osserviamo oggi: ammassi di galassie, galassie, sistemi solari, sistemi planetari… Nei decenni
scorsi, misure sempre più raffinate hanno cercato di mettere in evidenza queste fluttuazioni.
La prima osservazione delle fluttuazioni di temperatura della MCBR è dovuta all’esperimento su satellite COBE (1992). A COBE ha fatto seguito un esperimento su pallone effettuato
in Antartide, BOOMERANG (2002), con una significativa partecipazione di un gruppo della
Università di Roma La Sapienza. Il nostro Dipartimento ha una tradizione di lunga data in queste ricerche, iniziate da Francesco Melchiorri a Firenze, poi trasferite a Roma, in competizione
con i ricercatori più all’avanguardia nel mondo, e oggi portate avanti brillantemente dalla sua
scuola. BOOMERANG ha permesso di determinare la distribuzione angolare delle fluttuazioni, una misura di fondamentale importanza cosmologica.
Le misure più precise, sono dovute all’esperimento su satellite WMAP. Le variazioni di
temperatura nel CMBR sono piccolissime, circa qualche parte per milione, che spiega le difficoltà estreme che si sono incontrate per metterle in risalto… e pone un problema alle teorie
cosmologiche. Come ho detto, queste fluttuazioni sono i semi delle strutture di oggi: galassie,
ammassi di galassie, etc. Per sviluppare queste importanti strutture nel tempo a disposizione (i
12 By di cui sopra), i calcoli richiedono fluttuazioni dell’ordine di qualche parte per mille.
La soluzione più naturale sembra essere che quello che vediamo non sono le fluttuazioni
complete: ci dovrebbero essere fluttuazioni mille volte più importanti di una componente di
materia che non è sensibile alla radiazione elettromagnetica (la « materia oscura ») e che quindi
non si vede nel MCBR. Le fluttuazioni nella materia oscura avrebbero per così dire « aperto la
strada » alla materia normale nella formazione delle strutture nell’Universo.
Altre osservazioni astrofisiche confermano che la materia presente nell’Universo è costituita, in maniera predominate, da materia oscura: probabilmente particelle pesanti elettricamente
neutre, residuo dei tempi del Big-Bang quando la temperatura era talmente grande da permettere l’esistenza su grande scala di tutti i costituenti elementari. La materia « barionica », protoni,
135
neutroni e nuclei atomici, insomma i costituenti di cui noi stessi siamo fatti, rende conto solo
di circa 1/6 della materia esistente.
La conferma di questa interpretazione dei dati, naturalmente, richiede l’osservazione diretta della materia oscura, uno dei problemi centrali della Fisica delle Particelle di oggi.
L’Universo primordiale è passato attraverso fasi diverse nella sua storia, che sappiamo descrivere fino ad un certo punto. Guardare sempre più lontano nell’Universo equivale percorrere
un viaggio nel tempo verso il Big-Bang. Il viaggio presenta delle tappe importanti:
• 300.000 anni dal Big-Bang, si forma l’idrogeno, l’energia rilasciata è un fuoco chimico.
Se andiamo più indietro incontriamo un plasma di elettroni e nuclei leggeri, che si è formato a circa:
• 3 minuti dal Big-Bang. L’abbondanza nell’Universo dei nuclei leggeri (He, Li, Be) ci dà
informazioni sullo stato dell’Universo stesso a quei tempi. L’energia rilasciata nella nucleosintesi è un fuoco nucleare.
• 1 milionesimo di secondo dal Big-Bang: a questi tempi le condizioni erano tali da non
permettere nemmeno l’esistenza del protone, l’Universo era riempito da un plasma costituito da quark leggeri e gluoni, le particelle che legano i quark stessi all’interno del protone
e del neutrone. L’energia rilasciata per ricomporre le particelle subnucleari è l’energia
legata alle forze subnucleari, un fuoco adronico.
Poter descrivere le condizioni della materia alle temperature e densità del plasma di quark
e gluoni è conquista recente, resa possibile dal progresso delle conoscenze nella Fisica delle
Particelle Elementari. Con le conoscenze acquisite finora, possiamo spingerci fino ad 1/10 di
milardesimo di secondo dal Big Bang.
Cosa c’era prima? Possiamo cercare di rispondere spingendo ancora più in alto l’energia
delle macchina acceleratrici di particelle. Gli acceleratori di particelle sono vere e proprie
macchine del tempo che riproducono le condizioni dei primi istanti dell’Universo e ci permetteranno di comprendere le fluttuazioni primordiali da cui si è sviluppato l’Universo come lo
conosciamo oggi.
2. Il controllo in Laboratorio delle energie della Natura
L’uomo è riuscito a controllare in laboratorio i tre fuochi esistenti in Natura. L’impiego
dell’energia chimica, il fuoco, ha segnato l’inizio della civilizzazione.
L’uso su grande scala del combustibile fossile ha reso possibile la rivoluzione industriale
ed il mondo moderno. Non c’è bisogno di ricordare che si tratta di un fenomeno recente,
che si è sviluppato in un arco di tempo trascurabile rispetto alla lunga evoluzione della civilizzazione dell’Uomo.
136
Un grafico del consumo umano di energia da combustione in funzione del tempo si
trova in recente discorso di Carlo Rubbia3. La figura si commenta da sé. I combustibili fossili
non sono che un episodio della storia umana, destinati ad esaurirsi in una scala di tempo tutto
sommato trascurabile, anche rispetto alla scala dei tempi storici che ognuno di noi ha ben presente alla mente. Il grafico ci richiama al dovere di preparare sin da oggi i mezzi necessari per
la sopravvivenza dei nostri figli e nipoti.
Il secolo ventesimo ha visto la conquista del fuoco nucleare: l’energia sviluppata dalla
fissione nucleare dell’Uranio e del Plutonio, con il primo reattore nucleare realizzato a Chicago
da Enrico Fermi e collaboratori il 2 Dicembre 1942, nonché l’energia derivante dalla fusione
dell’idrogeno in nuclei leggeri. Senza dimenticare le circostanze drammatiche in cui il mondo
ha appreso dell’esistenza di questa energia nel 1945 (Hiroshima, Nagasaki, la bomba a idrogeno) il controllo delle forze nucleari ed il loro impiego per usi pacifici è una conquista straordinaria, che potenzialmente fornisce all’Umanità i mezzi per superare la barriera dell’esaurimento
del combustibili fossili. Ne parlerò più estesamente nel prossimo Capitolo.
La transizione da un gas di particelle subnucleari (protoni, neutroni, mesoni etc.) ad un
plasma di quark e gluoni (Quark-Gluon Plasma, QGP) è stata osservata solo di recente nelle
collisioni tra nuclei pesanti di alta energia.
La prima evidenza del QGP è stata ottenuta al CERN di Ginevra con la macchina acceleratrice SPS (nel Febbraio del 2001, ho avuto l’onore di presentare i risultati della campagna di
studi effettuati al CERN con la macchina SPS).
Nel 2003, la campagna di studi alla macchina RHIC (Relativistic Heavy Ion Collider, Brookhaven, USA) ha ottenuto risultati molto abbondanti sulla creazione del QGP, dando inizio
allo studio sistematico di questo nuovo stato della materia.
All’aumentare dell’energia disponibile, le condizioni del QGP che possiamo riprodurre in
Laboratorio si avvicinano sempre di più a quelle che esistevano nell’Universo, circa 1 milionesimo di secondo dopo il Big-Bang.
Il Large Hadron Collider del CERN (LHC) è un collisore protone-protone di nuova generazione, attualmente in fase di installazione, che entrerà in funzione nel 2007. LHC può
accelerare ioni pesanti, oltre che protoni, e ci porterà molto vicino alle condizioni del QGP
primordiale.
3. Il fossato dell’energia
Lo squilibrio tra paesi avanzati e paesi in via di sviluppo è eclatante. Nel mio recente mandato di Direttore del CERN ho avuto contatti diretti con molti paesi, in particolare in Asia, e
posso dire di avere visto di persona il significato della differenza tra il 25 degli USA, il 12 della
Unione Europea e del Giappone, e lo 0,8 dell’India o l’1.6 della Cina, in termini di sofferenza,
fatica, malattie, ignoranza.
3. Carlo Rubbia, The Future of Energy, Opening remarks, 18th IAEA Fusion Energy Conference, Sorrento, Italy, 4th October 2000.
137
Un fossato profondo, la barriera dell’energia, divide questi Paesi dai nostri. Siamo in molti
a pensare che questo squilibrio, prevalentemente Nord-Sud, sia una delle cause principali, se
non la causa principale, delle tensioni e dei conflitti che oggi affliggono il mondo.
Le quantità di energia che si devono rendere disponibili per colmare il fossato dell’energia tra noi e paesi come la Cina, l’India, il Brasile, sono enormi. Se vogliamo essere realisti e
sgombrare il campo da ideologie più o meno politically correct ma scientificamente e socialmente
infondate, dobbiamo riconoscere che non si potrà fare a meno dell’energia nucleare da fissione, almeno nel medio-termine finché non sarà disponibile l’energia da fusione. La scelta del nucleare,
in effetti, è già stata fatta in India, in Pakistan e sarà seguita da altri paesi in Asia e in America
Latina, che noi lo si voglia o no.
Un corollario di questo semplice fatto è che i paesi avanzati, Europa e Italia in particolare,
non possono restare fuori dal processo, ma anzi hanno il dovere di guidare la ricerca verso
forme più affidabili e meno proliferanti della produzione di energia da fissione, la prevenzione
degli incidenti, la gestione ed eliminazione delle scorie nucleari. L’alternativa è un mondo privo di regole in cui i paesi poveri rincorreranno opzioni nucleari « sporche », facendo ricorso a
tecnologie arretrate, disponibili sul mercato a basso costo.
L’umanità deve trovare il modo di controllare il fuoco nucleare. La sfida nucleare si può
vincere con un impegno dei Governi a lungo termine (oggi diremmo « bipartisan ») uno sforzo
coerente, che abbia presente la posta in gioco e che superi le, pur giuste, riserve che la popolazione nutre nei confronti del « nucleare ». È necessaria una nuova politica per:
•
•
•
investire in educazione e ricerca fondamentale;
accelerare la ricerca di nuove tecnologie per la produzione di energia nucleare e per il
condizionamento dei rifiuti (e.g. trasmutazione con acceleratori);
riguadagnare la fiducia del pubblico sulla serietà dei controlli di Stato per quanto riguarda
la sicurezza degli impianti e la protezione della popolazione.
Questi aspetti sono particolarmente importanti per il nostro Paese, che deve recuperare
gravi ritardi.
4. In conclusione
Le comunità che si riconoscono in Assisi stanno facendo molto per promuovere la comprensione tra i popoli e la pace nel mondo. Sono convinto che il riequilibrio delle condizioni
di vita, e per esse della disponibilità di energia, siano condizioni sine qua non per la pace ed il
benessere del Pianeta.
La sfida nucleare si può vincere, con maggior consapevolezza dei problemi, più ricerca,
e un impegno a lungo termine dei Governi. Politica energetica e riequilibrio delle condizioni
di vita sulla Terra sono questioni troppo serie per essere affidate esclusivamente alle forze del
mercato.
138
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Vincenzo Cappelletti1
Scienza dell’ambiente e messaggio francescano2
Rispetto all’odierna ecologia, Francesco d’Assisi è anzitutto l’autore del Cantico di Frate
Sole, del quale Vittore Branca ha determinato e pubblicato il testo critico nel 1950, che Giorgio
Petrocchi ha nuovamente edito e corredato di un commento nell’83. Rappresenta, il Cantico,
l’unico scritto volgare del Santo, e segna l’aurora della nostra lingua: sarebbe stato composto,
riferisce il Petrocchi, « nella chiesetta di San Damiano, presso Assisi, nel 1225, dopo una notte di tribolazioni al termine della quale una visione divina avrebbe promesso a Francesco la
beatitudine eterna. Altri hanno spostato la creazione della lauda a San Fabiano della Foresta
nella valle Reatina ». Il Poverello invoca Dio per lodarlo insieme all’intero creato, « cun tutte
le tue creature »: l’italiano incipiente si presta a fraintendimenti, ma il « cun » è inteso da tutti i
commentatori nel senso di un complemento di compagnia. Nel creato che si associa alla lode,
spicca l’ipostasi orante di « messer lo frate Sole »: l’unico fra le cose lodate, al quale Francesco
attribuisca questo titolo di « messere », signore.
Non sono invece unanimi i più recenti commentatori nell’interpretare la preposizione «
per »: « Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle », e analogamente « per sor Acqua », «
per frate Foco », per « sora nostra madre Terra » « per quelli che perdonano e sostengo infirmitate e tribolazione », per « sora nostra Morte corporale ». Il Branca vi ravvisa un complemento
d’agente e legge « da », e il Petrocchi cita al riguardo Dante, Inf. IV 79: « Invano voce fu per me
udita ». Altri commentatori si orientano verso un significato causale: « a causa di », o strumentale: « attraverso ». Senza dubbio l’interpretazione ablativa registra il significato più profondo, e
l’ermeneutica qui come sempre orienta il lavoro propriamente filologico. Era di questo avviso
anche il Santo, come si legge in un luminoso testo delle Admonitiones, pronunziate nel decennio tra il 1210 e il ’21, e qui citate nella traduzione del Mattesini: « Dice l’Apostolo: La lettera
uccide, lo spirito invece vivifica. Sono uccisi dalla lettera coloro che desiderano sapere soltanto
parole in modo da essere ritenuti più sapienti degli altri e possano acquistare grandi ricchezze
e darle ai parenti e agli amici ».
1. Presidente della Società Italiana di Storia della Scienza.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 195-198.
139
Nostro intento è quello di comprendere, e la comprensione del Cantico si avvalora leggendovi la lode che ogni creatura rende a Dio per il fatto di esistere e dunque di essere stata creata,
trasferita dal nulla nell’esistenza. Ma la scoperta del valore profondo inerente a ogni creatura
e alla totalità che le unifica, il mondo, passa per il pensiero dell’uomo, plasmato a immagine
del pensiero divino e come tale organo della verità. Quando Francesco loda Dio con tutte le
creature che hanno tratto origine da lui, compie un atto che nessuna singola entità avrebbe potuto assolvere: dal nesso associativo di trascendenza divina e immanenza mondana scaturisce,
tra le lodi assommate nel Cantico, quella stupenda, ma sottaciuta, dell’orazione che null’altro
chiede se non levare la propria lode a Dio. L’umana contemplazione della morte, che si fa lode
anch’essa, perché la morte può essere arrestata al confine tra il corpo e l’anima, soggettivizza il
Cantico perché v’imprime il suggello di un’asserzione sostanziale sul privilegio concesso all’uomo. Quest’ultimo dev’essere ricompreso nella lettura e nella comprensione dell’universo, così
come devono essere ricondotte in esso le creature che il Cantico non enumera.
Sublime umiltà e radicalità intellettiva si ritrovano congiunte in Francesco d’Assisi: la lode
orante è visione dell’essere universale e prassi vissuta nel rapporto a singole creature. Un compatto sistema di valori, non un’isolata testimonianza affiora nei documenti che possediamo,
dalle Regole ed esortazioni alle Lettere e alle Laudi e preghiere, dalle Vite – prima e seconda – di
Tommaso da Celano alla Leggenda maggiore di San Bonaventura da Bagnoregio. Supporre che
l’intuizione francescana del mondo abbia potuto offuscarsi e scomparire dopo la morte del
Poverello, pur consentendo sull’unicità inimitabile di Lui, è irrealistico.
Ma quel che lo storico del pensiero scientifico trova, va oltre e corrisponde a una congettura affatto improbabile. Dal secolo decimoterzo dobbiamo passare al decimottavo, dall’età di
mezzo nella sua maturità all’inizio dell’Illuminismo. Nel giugno 1713 usciva la seconda edizione dei Philosophiae naturalis principia matematica di Isaac Newton, e il 27 luglio successivo
l’Autore ne faceva omaggio alla Regina. La prima edizione dell’opera, pubblicata nel 1687, era
stata il monumento alla gravitazione universale, ma l’Autore avvertì presto l’esigenza di emendarla e integrarla. Per incarico di Newton, vi provvide il matematico Roger Cotes, che nella sua
introduzione ebbe poi a tessere l’elogio della « filosofia sperimentale » e di quanti, respingendo
qualsiasi rinvio a « qualità occulte », la praticavano. « Costoro – gli sperimentali – sono del
parere che le cause di tutte le cose debbano essere derivate dai principi più semplici, e non
assumono come principio alcunché non provato dai fenomeni ».
A moderare lo zelo del Cotes provvide peraltro Newton con l’aggiunta inattesa, sorprendente, di uno Scholium generale ai tre libri dell’opera. « Questa elegantissima compagine del Sole
– tocchiamo un punto di evidente analogia francescana –, dei pianeti e delle comete non poté
nascere senza il disegno e la potenza di un Ente intelligente e potente. E se le stelle fisse sono
centri di analoghi sistemi, tutti questi, essendo costruiti con un identico disegno, saranno soggetti alla potenza dell’Uno… Egli regge le cose non come anima del mondo, ma come signore
dell’universo. E a causa del suo dominio suole essere chiamato Signore-Dio, pantokrator.» Nel
1689 Newton e il filosofo della tolleranza, John Locke si erano incontrati a Londra: una data
simbolica dalla quale si fa cominciare la stagione dei Lumi. Nella quale riappariva Francesco
d’Assisi, con il suo bisogno di totalità, noi diremmo di assolutezza e di estasi. Le somme pro140
spettive del pensiero non si cancellano mai, anche se pagano un giusto prezzo – nel caso di
Francesco, l’oblazione della vita – per aprirsi un varco nella trama dell’umana ragione.
Potremmo proseguire, e dal diciottesimo passare al ventesimo secolo. Ha scritto Einstein,
nel “New York Times Magazine” del 9 novembre 1930: « I geni religiosi di tutte le età si sono
distinti per una religiosità che non conosce dogmi e neppure un Dio fatto a immagine dell’uomo… È tra gli eretici di ogni età che troviamo uomini dotati di questo altissimo senso della
religione… In questa luce Democrito, Francesco d’Assisi e Spinoza sono tra loro strettamente
affini ». Ancora Einstein, in Living philosophies del ’31: « L’esperienza più bella che possiamo
avere è il mistero. È l’emozione fondamentale che si prova accanto alla culla della vera arte
e della vera scienza. Chi non la conosce e non riesce più a stupirsi, a meravigliarsi, è come se
fosse morto o avesse gli occhi offuscati ». Nella transizione da Newton ad Einstein si è perduto
qualcosa di sostanziale: la trascendenza del Dio creatore sul mondo creato. Ma altro è rimasto:
l’estatica bellezza della totalità correlata che è l’universo, e la potenza intellettiva della mente
umana.
È seguito l’offuscamento di un’intuizione durata otto secoli: ci riferiamo ai decenni del
Novecento trascorsi sotto la prevalenza della quantistica e della probabilità. Ma le cose parrebbero essersi modificate tra gli anni Ottanta e oggi, attraverso la dialettica tra « teorie di grande
unificazione », che fondono in un solo schema le tre forze non gravitazionali, e le « teorie unificate », che riconducono tutte e quattro le forze fondamentali, e l’intera materia, entro un quadro onnicomprensivo. Mostrandosi capace di risalire dall’infinitesimo all’immenso, la scienza
celebra come non mai prima la razionalità che pervade la natura, e si traspone virtualmente nel
pensiero dell’uomo. Il Cantico di Francesco d’Assisi sembra riacquistare per intiero suggestione
e verità. È compito dell’ecologia, nata nell’Ottocento come termine e nel Novecento come
programma di ricerca, analizzare e definire ciò che unisce le parti nel tutto dei singoli ambienti
e sistemi, per il momento terrestri: ma fino a quando varrà questa limitazione? La dialettica
prima ricordata che si svolge all’interno della fisica suscita un profondo interesse, ma per altro verso ignora le virtualità conoscitive di un altro paradigma fisico, la biologia, che talvolta
sembra assumere il carattere di una premessa generale alla conoscenza dell’intera natura. Non
è stato forse un fisico, Erwin Schroedinger, a definire la vita come un “doing something”, un “fare
qualcosa”? Ammessa tale definizione tutto nella natura terrestre e extraterrestre vive, la biologia
subordina a sé l’intera fisica, e l’ecologia ne diventa la specializzazione sistemica. Il Cantico
acquista la suggestione di un manifesto concettuale, e la sua profonda religiosità è anch’essa
indicativa di una metafisica da ricostruire, come primario impegno della razionalità odierna.
141
Ambiente e spiritualità
fratello sole madre terra 2005
Antonio Moroni1
Seminare occhi nuovi sulla terra2
Il contributo dell’Educazione ambientale
1. L’Educazione ambientale, un’avventura del pensiero
Una riflessione sull’Educazione ambientale, quale oggi ci è richiesta, comporta una considerazione preliminare sull’ambiente naturale e culturale in cui ci si trova a vivere e a operare.
Agli inizi degli anni ’90 una rivista descriveva in modo efficace la situazione dei Paesi industrializzati, percorsi da un diffuso senso di disagio e di incertezza:
«Chissà se il bruco, quando sente che la veste ormai consueta non gli si addice più e che tutto ciò cui
aveva creduto fino a quel momento perde progressivamente di significato, è consapevole della rivoluzione
che lo aspetta: chissà, se quando si richiude temporaneamente su se stesso, nell’oscurità del suo bozzolo,
in preda alla confusione e forse anche alla disperazione, si accorge che il caos in cui è immerso è in realtà
una totale riorganizzazione a livello strutturale e funzionale della sua vecchia forma. Da qui riemergerà
con una nuova veste, una nuova vita, una nuova concezione del mondo».
È questo il momento che stiamo attraversando. Nel passaggio dagli apporti positivi e negativi della modernità al postmoderno, la società sta affrontando un processo di profonda trasformazione, in cui il vecchio non c’è più e si stanno individuando, con difficoltà, gli elementi
di un nuovo rapporto delle persone con l’ambiente naturale, le sue risorse e la città, tutte realtà
in rapido cambiamento.
In questa situazione ogni cittadino che vive ed opera in una città avverte di essere sollecitato a ripensare ogni giorno alla propria attività, non nell’ottica di un’esclusiva visione personale
(operando, cioè, in un sistema chiuso), ma riflettendo sui reali bisogni della società, decodificandoli in domande e su queste organizzare l’offerta (operando, cioè, in un sistema aperto).
Questo è il quadro nel quale agli intellettuali, ricercatori nelle scienze della natura e nelle
1. Uno dei XL. Emerito di Ecologia, Università di Parma.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 123° (2005), Vol. XXIX, t. I, pp. 199-204.
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scienze umane, docenti, filosofi, poeti che siano, è richiesto uno sforzo di fantasia per qualificare l’identità culturale, sociale, etica e formativa dell’Educazione ambientale che, come tutte
le nuove discipline riguardanti l’ambiente, rappresenta un’inedita avventura del pensiero.
Se ci si pone all’ascolto della nostra società si percepisce un crescendo di sollecitazioni
rivolte all’Educazione ambientale per la promozione di innovazione della formazione scolastica ed extrascolastica. Il quadro non sarebbe completo se non si riflettesse contestualmente
sugli indirizzi culturali che minacciano di coinvolgere i giovani verso tendenze inficiate di
indifferenza, di nichilismo e di una subcultura di morte che intacca la natura, la città e la stessa
identità umana.
Occorre certamente ribadire la convinzione che ogni progetto di Educazione ambientale
scolastica ed extrascolastica deve tenere conto degli apporti positivi che la ricerca scientifica e
tecnologica, lo sviluppo industriale ed economico hanno recato alla società: ma devono essere ugualmente chiarite le conseguenze funeste che un progresso pesantemente materiale non
supportato da un afflato etico, è destinato ad esercitare su tutti gli aspetti della società umana.
Basta prestare attenzione, tra l’altro:
• alla creazione di una percezione diffusa che tende a ritenere irrilevante o comunque a
svalutare la realtà viva dei sistemi ambientali e dei processi ecologici, a favore di una sperimentazione a tutto campo sugli stessi esseri umani sul presupposto della prevalenza delle
tecnoscienze e dei processi economici sull’etica;
• alla diafanizzazione del calendario e del ritmo delle stagioni;
• alla consapevolezza dell’affievolimento del valore della qualità dell’ambiente e della
bellezza in tutte le sue manifestazioni;
• all’irrompere di un terrorismo mondiale che, strumentalizzando società civile, tradizioni,
e la stessa religione, alimenta un fondamentalismo radicale;
• alla presenza di società multinazionali che sfruttano risorse vitali per i popoli più poveri
(acqua, aria, risorse energetiche, foreste, prodotti agricoli, biotecnologie, fino allo sfruttamento dello stesso corpo umano).
In una società in cui i padri hanno teorizzato, sul finire degli anni Sessanta, l’uccisione del
padre, i figli sono rimasti senza referente.
Parlando di contenuti di Educazione ambientale è possibile e doveroso proporre Francesco d’Assisi come uno dei più grandi profeti di una cultura alternativa all’attuale. Francesco ha
sperimentato nella sua persona i drammi e le incertezze pesanti che attraversavano la sua città e
la stessa Chiesa. Nei silenzi delle foreste umbre, Francesco ha organizzato una risposta delineando gli indirizzi di un progetto di uomo e di donna nuovi: caratterizzati dal recupero e dallo
sviluppo di una partecipazione consapevole e responsabile delle persone umane alla dinamica
dei sistemi naturali e culturali.
Alla cultura pagana della sacralità della natura, Francesco ha sostituito il rapporto di
fratelli e sorelle appartenenti a tutta la creazione, espressione poetica, ma che, a giudizio degli
studiosi dell’Ecologia, corrisponde ad una corretta espressione della catena alimentare, indi143
catore dell’unità della natura, dove realtà viventi e non viventi collaborano a parità, anche se
su diversi piani.
La promozione di rapporti di riconciliazione e di pace con Dio, con la natura e tra le singole
persone umane; la presenza di Dio, vissuta esistenzialmente e scoperta attraverso i «segni» che il
Creatore ha disseminato sulla terra, è significata dalla bellezza del Creato, dall’amore tra le persone, soprattutto dei « minori », e dalla comunità di uomini e donne.
Questi indirizzi che costituiscono oggi parte integrante dell’etica ambientale, devono costituire sempre più il fondamento essenziale per ogni nuova proposta di Educazione ambientale.
2. L’Educazione ambientale: un percorso accidentato con cinque tappe
Si è parlato per la prima volta in Italia di Educazione ambientale a cavaliere tra il finire degli anni
’50 e l’inizio degli anni ’60, nel quadro dell’attività di aggiornamento delle Scienze naturali nella
scuola media dell’obbligo, a cura del Centro nazionale per la didattica della scuola media. Naturalmente, obiettivi, contenuti e metodi dell’Educazione ambientale erano indirizzati all’apprendimento delle Scienze della terra, della Botanica, della Zoologia, alla conoscenza – in altre parole
– della natura e delle sue risorse.
Sul finire degli anni ’50 è stata avviata in Italia la ricerca in Ecologia, disciplina che in
quegli anni era limitata all’interesse verso i fattori chimici, fisici e biologici, analizzati in ottica
ecosistemica, seguendo un metodo ancora descrittivo. I ricercatori che si sono occupati di
questa nuova disciplina si sono chiesti: « E adesso a che cosa potranno servire le conoscenze
elaborate dall’Ecologia? Sono conoscenze socialmente utili? ».
La risposta non si è fatta attendere: due settori hanno formulato domanda:
• Le Pubbliche Amministrazioni, principalmente preoccupate per l’inquinamento dell’acqua,
dell’aria e del suolo, hanno chiesto l’intervento dell’Ecologia, una scienza ancora troppo
giovane per affrontare in modo esauriente la complessità di questi problemi ambientali.
In sostanza, dall’Ecologia è venuta una risposta limitata soprattutto alla componente fisica
o biologica, separatamente l’una dall’altra. Il Piano Nazionale di ricerca per l’Ambiente,
PNRA, (1976-1984) organizzato dal CNR, tra i vari capitoli nulla diceva dell’Educazione
ambientale, anche se, nel frattempo era comparsa nelle scuole medie come descrizione dei
vari fattori prevalentemente biologici. Due iniziative sono venute in soccorso, nel frattempo, all’Educazione ambientale: la fondazione nel 1976 della Società Italiana di Ecologia a
Parma. La SITE ha recato un suo contributo specifico all’Educazione ambientale e ne ha
seguita l’evoluzione concettuale e metodologica in ognuno dei Congressi della Società;
• Il Sistema scolastico, da parte sua, dovendo procedere alla ridefinizione dei programmi della
scuola media dell’obbligo, ha inserito l’Ecologia tra le conoscenze richieste dalle scienze
naturali. Nei programmi vi è un piccolo accenno all’Educazione ambientale.
Naturalmente, si trattava ancora di Ecologia descrittiva, ma chiaramente orientata su un concetto
144
di ecosistema che i ricercatori in Ecologia avevano diffuso, a rete, attraverso i testi e i corsi di formazione dei docenti del Sistema scolastico. Prevaleva, anche a questo livello, una metodologia
prevalentemente descrittiva.
Ma negli anni ’80, a fronte di una crescente numerosità e complessità dei problemi ambientali, le Pubbliche Amministrazioni, il Sistema scolastico e il mondo composito dell’extrascuola interessato all’ambiente, si sono posti il problema particolarmente arduo: « Come
tradurre questo obiettivo dell’Educazione ambientale nella formazione, nella scuola e nell’extrascuola di cittadini consapevoli e responsabili nella conoscenza e nella gestione di un sistema
ambientale complesso e delle sue risorse sia naturali che culturali (un quartiere, una città, un
paese)?». Fino ad ora la ricerca e l’applicazione all’Educazione ambientale era limitata allo sviluppo di conoscenze per l’ambiente. Inoltre, la ricerca in Educazione ambientale era sviluppata
da due aree disciplinari, le scienze dell’educazione e le scienze dell’ambiente naturale ed umano tra
di loro rigidamente separate. Questo problema di frammentazione si è riverberato in modo
del tutto negativo sui fruitori dell’Educazione ambientale, il Sistema scolastico e gli operatori
nell’extrascuola.
Ed eccoci agli anni ’90. Un gruppo di ricercatori della Società Italiana di Ecologia e il CIREA, Centro Italiano di Ricerca di Educazione Ambientale ha elaborato un modello per promuovere il sinergismo delle due aree disciplinari, le scienze ambientali e le scienze dell’educazione,
pedagogia, psicologia, didattica, scienza dell’informazione con un contributo qualificante delle
motivazioni contenute nell’Etica ambientale.
Dal punto di vista metodologico, ci si è riferiti alla metodologia di analisi sui sistemi complessi proposta da Kuhn, nel testo Struttura delle rivoluzioni scientifiche.
Il CIREA si è occupato, sempre nell’ambito della Società Italiana di Ecologia e con finanziamenti nel Ministero dell’Ambiente, di esperimentare con successo il metodo di Kuhn
in tutto l’arco della scuola, dalla scuola materna alle elementari, alla scuola media dell’obbligo,
alla scuola media superiore e nella stessa Università.
Il trasferimento dei prodotti della ricerca didattica in Educazione ambientale ha seguito
due canali tradizionali:
• prodotti immateriali: mediante l’analisi delle mappe concettuali, grazie alle trasformazioni
avvenute negli atteggiamenti, nei comportamenti di coloro che, all’interno della scuola e
dell’extrascuola, hanno operato in progetti di Educazione ambientale;
• prodotti materiali: trasferimento dei risultati della ricerca didattica ai fruitori e ai portatori
di interessi ambientale con la comunicazione, l’informazione, la divulgazione, ecc.
3. Alcuni rilievi metodologici
3.1. L’Educazione ambientale può essere considerata come punto di vista e come disciplina. L’Educazione ambientale, per quanto riguarda tutta l’area scolastica, deve essere considerata
un punto di vista trasversale a tutte le discipline che sono coinvolte in un dato progetto di
145
Educazione ambientale o alla soluzione di un dato problema ambientale.
L’Educazione ambientale come disciplina, invece, riguarda corsi istituzionali di Educazione ambientale indispensabili nelle formazione di educatori ed operatori in Educazione
ambientale.
3.2. Un altro tema merita una particolare attenzione ed esattamente quello della valutazione dei risultati di progetti di Educazione ambientale.
4. Ricerca e didattica in Educazione ambientale al bivio
L’obiettivo, i contenuti, il metodo elaborati nella ricerca teorica e applicati alla sperimentazione didattica sono ancora patrimonio soltanto di piccoli gruppi di ricercatori. Il nocciolo
duro della difficoltà sta in una mentalità disciplinare chiusa al sinergismo tra scienze dell’ambiente e scienze dell’educazione, vissute da ciascuna di queste due aree come una deprivazione
dell’identità della propria prospettiva disciplinare, quando, in realtà, questa interazione svela a
un’area disciplinare delle potenzialità che essa non avrebbe mai immaginato di possedere.
Alternativamente, purtroppo, l’Educazione ambientale scolastica ed extrascolastica non
fruendo del sinergismo dall’area dell’educazione all’area dell’ambiente, vedrà diminuito il potenziale
notevole che potrebbe avere ed esercitare sulla società.
Per favorire questo sinergismo, l’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL, ha messo
in programma un Piano nazionale di ricerca per l’educazione ambientale per affrontare e risolvere
quei blocchi, a cui si è accennato sopra, che sminuiscono l’efficacia dell’Educazione ambientale. Gli elaborati del Piano nazionale confluiranno in un convegno, esso pure a dimensione
nazionale, per favorire un confronto tra le varie scuole sulle idee elaborate. L’obiettivo è quello
di arrivare alla compilazione di un volume di cui dotare i professori che nelle scuole trattano di
Educazione ambientale, scuole in cui, per la maggior parte, come si è detto, ancora vige prevalentemente una concezione descrittiva della Educazione ambientale stessa. Occorre stimolare
sia coloro che operano nella scuola che quelli che lavorano nell’extrascuola a fare un salto da
questo piano iniziale all’obiettivo di un’educazione ambientale che aiuti e la scuola e i membri
dell’extrascuola ad assumere un comportamento consapevole e responsabile verso se stessi e
verso l’ambiente che li circonda. Si confida, ovviamente, per la realizzazione di questo obiettivo nel supporto del Ministero dell’Ambiente, del MIUR e della Conferenza Stato e Regioni.
5. Conclusione
A fronte di una crisi generalizzata di capacità (o di volontà) educativa della famiglia, il
raggiungimento dell’obiettivo, grazie al sinergismo delle due aree dell’ambiente e dell’educazione, alla formazione di una persona consapevole e responsabile, è affidato al sistema scolastico,
alle Accademie, alle Associazioni ambientaliste e a tutte le altre Agenzie educative (laiche e
religiose) capaci di sviluppare un progetto di Educazione Ambientale orientata a sollecitare le persone
146
e le comunità a sviluppare consapevolezza di che cosa siano la natura e la città, incrementa, anche grazie
all’apporto dell’etica ambientale, una responsabilità nuova verso il proprio progetto di persona libera e
verso il ripristino e la gestione della qualità e della bellezza del proprio quadro di vita attraverso la partecipazione a valide scelte culturali, sociali e politiche per l’ambiente.
Di qui il ruolo, potenzialmente sempre più alto, che in una società in transizione, riveste,
oggi, la funzione docente in ogni grado e ordine di scuola, il volontariato e ogni altra Agenzia
educativa per trasmettere gli obiettivi dell’Educazione ambientale verso una società di persone
nuove e libere.
Questo progetto è tenuto a battesimo oggi in questa sede prestigiosa, il Sacro Convento,
sotto lo stimolo di Francesco d’Assisi che, con il Cantico delle creature, ha avviato quell’avventura del pensiero che è stata l’amicizia delle creature, diventate fratelli e sorelle, un Cantico che
riflette quell’inno alla bellezza che Dostoevskij nell’Idiota ha espresso attraverso le parole del
giovane nobile Myskin, che morente, grida: « La bellezza salverà il mondo ».
Ed io percepisco, in una quotidiana lettura della realtà, come presenti, certamente senza
far chiasso, dei segni, quali il volontariato diffuso in tutti i settori, nuove famiglie che si uniscono nel segno del « per sempre » e di una gioiosa e responsabile acquisizione della paternità
e della maternità, segni che sembrano rappresentare altrettanti tenui bagliori dell’alba di una
nuova civiltà.
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Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza1
Introduzione al covegno2
L’odierno incontro è la prosecuzione nel 2006 del programma impostato dagli anni Novanta in Assisi, nella casa di Francesco, e dedicato, per convinta intesa fra il Sacro Convento di
Assisi e l’Accademia Nazionale delle Scienze, ai temi dell’ambiente, dalle risorse ai rischi ed ai
danni subiti.
Mi è gradito, quest’anno, a nome degli organizzatori, dei colleghi accademici e dei partecipanti, rivolgere un cordiale benvenuto al Ministro Alfonso Pecoraro Scanio, di cui è ben nota
la lunga e battagliera milizia ecologista a tutela e valorizzazione dell’ambiente, degli ambienti
naturali e sociali, territoriali e antropizzati.
Vorrei ritornare su uno degli argomenti accennati nel corso dell’incontro del 2005:
l’Educazione ambientale. Da più parti infatti ci giungono sollecitazioni affinché l’Accademia
richiami l’attenzione sul tema dell’educazione ambientale, uno dei settori di crescente importanza per il ripristino e la conservazione della qualità dell’ambiente. Il Comitato per l’Ambiente della nostra Accademia – convinto del valore strategico dell’educazione ambientale
– nel riflettere sulla attuale situazione ha osservato che, ancora oggi, si continua a pensare a
questa disciplina come puramente dedicata alle scuole primarie e secondarie di primo grado,
trascurando il vasto mondo delle scuole superiori di secondo grado, delle università e della
società nelle sue articolazioni.
Eppure, fatti di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, perdita di risorse naturali
quali la biodiversità, ben poco percepiti fino agli anni ’50, ma oggi sempre più acuti e preoccupanti, impongono al sistema di ricerca scientifica e tecnologica studi e metodologie per il
recupero della qualità delle risorse naturali. E se le scienze chimiche e chimico-fisiche sono
state le prime a rispondere, studiandone le cause e i processi, ed indicando come combattere ed
eliminare rischi e danni, è ancora aperto il grosso problema di ricercare e combattere gli atteggiamenti che, per umana insipienza o connivenza, consentono contaminazioni, inquinamenti
1. Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
63-65.
148
e crescente degrado. Ne deriva, conseguentemente, l’urgenza di elaborare principi, comportamenti, linee di condotta che blocchino le predette nocive attitudini.
Le riflessioni su questa situazione, inquadrate in una crescente domanda sociale, richiedono ormai che l’educazione ambientale superi il puro trasferimento di conoscenze sull’ambiente
naturale ed umano, necessarie ma insufficienti a rispondere a sempre più motivate domande.
Per una corretta e razionale educazione ambientale devono essere sollecitamente acquisite e
sviluppate conoscenze atte a favorire lo sviluppo di condivisi atteggiamenti e di comportamenti
indispensabili per la salvaguardia dei naturali, e vitali, processi ambientali.
Operativamente, diviene necessario il sinergismo delle due aree disciplinari che compongono il termine “educazione ambientale”: educazione, cioè il contributo di discipline quali la pedagogia, la didattica, la psicologia, l’etica, ecc.; ambiente, cioè il contributo dell’area scientifica
ed il trasferimento e la diffusione, nell’opinione generale, di conoscenze scientifico-tecniche,
elementari ma comprensibili e chiarificatrici. E scienze naturali, tecnologie e scienze umane
devono – in sinergia – arrivare a formulare un modello di educazione ambientale in grado di
sollecitare i cittadini a diventare gestori consapevoli e responsabili del proprio ambiente di vita.
La lunga e maturata esperienza nell’Università e nel territorio parmense del nostro consocio Antonio Moroni, professore emerito di Ecologia, e dei suoi colleghi e collaboratori sparsi
nel mondo accademico, da Ireneo Ferrari a giovani ricercatori, ha dimostrato che il maggior
limite all’applicazione del suddetto modello per l’educazione della società è che esso esige una
formazione specifica dei docenti di ogni ordine e grado. E la Commissione per l’Ambiente
dell’Accademia delle Scienze è convinta che, per formare i docenti e gli esperti in educazione
ambientale, affinché possano rispondere in modo innovativo e puntuale alle domande dei singoli e della società, oltre a documenti, dichiarazioni, analisi, incontri di studio, ecc., sia soprattutto necessaria un’opera organica, un testo, un trattato che valga come strumento di studio, di
riflessione e di suggerimento su come svolgere il dovuto compito.
L’Accademia ha già presentato al Ministero dell’Ambiente, Direzione generale per la
ricerca ambientale e lo sviluppo, un piano nazionale di ricerca per l’educazione ambientale,
centrato sulla realizzazione di un’opera che sia culturalmente e metodologicamente rispondente all’obiettivo. Le principali linee del piano prevedono: la costituzione di un gruppo
di esperti (docenti, ricercatori in scienze ambientali, membri di associazioni ambientaliste,
componenti di accademie nazionali, esperti di situazioni regionali o della Conferenza statoregioni, operatori nel sistema scolastico designati dai Ministeri dell’Ambiente, dell’Università e della Pubblica Istruzione) che favorisca il confronto fra le varie scuole di pensiero, ne
ricavi line guida, e individui ed esponga gli argomenti delle varie sezioni che comporranno il
trattato. Questo, in prima versione, dovrebbe essere discusso e perfezionato in un convegno
nazionale che, attraverso seminari specifici, gruppi di lavoro, ecc., porti alla impostazione e
alla redazione definitiva dell’opera.
Opera che dovrebbe essere disponibile anche attraverso sistemi multimediali e digitali
on-line, e che dovrebbe essere periodicamente sottoposta a revisione e aggiornamento, assumendo – quindi – la dimensione di un ipertesto on-line in continuo divenire, e perciò capace
di assolvere alle funzioni di materiale di base per i docenti di educazione ambientale, e di fonte
149
di informazione per i fruitori, dagli studiosi ai responsabili delle politiche ambientali, ai cultori,
ai cittadini convinti dell’esigenza di ripristinare e di gestire la qualità dell’ambiente. Bisogna
formare – insomma – una pubblica opinione consapevole dei suoi doveri verso l’interesse generale, presente e futuro.
Ma è tempo di dar corso al programma del Convegno e, anche a nome del Custode
del Sacro Convento, ringrazio nuovamente il Ministro Pecoraro Scanio, rivolgo un deferente
saluto alla On. Laura Marchetti Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, del Territorio del
Mare, al Sindaco di Assisi, al Direttore Generale del Corpo Forestale, ai Relatori, ai Colleghi
dell’Accademia delle Scienze ed a tutti i partecipanti. Grazie.
150
Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Claudio Ricci1
Indirizzo di saluto2
I temi dell’ambiente, e della sua tutela, sono stati, negli ultimi quindici anni, un punto di
riferimento per molte riflessioni culturali e per l’approvazione di accordi, purtroppo per gran
parte disattesi.
Si avverte oggi la necessità di continuare sulla strada della sensibilizzazione culturale,
all’interno delle scuole e nelle diverse componenti della società, ma ancora più cogente è l’urgenza che sull’ambiente si imbocchi la strada della concretezza applicativa. Questo a partire dalla
così dette energie alternative: non si può continuare a dire che tutte sono buone e applicabili. Occorre un maggiore discernimento promuovendo solo quelle che garantiscono il fondamento di ogni
applicazione: la possibilità, con gli utili che se ne conseguono, di recuperare i costi in 4-5 anni.
Anche sul tema dell’architettura occorre non creare mode, spesso prive di risultati apprezzabili,
che portano a osannare la bio-architettura, o proposte simili, come la nuova pietra filosofale. Bisogna tornare alla semplicità dell’approccio, del buon modo di costruire, magari senza proclami,
in grado di contenere consumi, impatto ambientale ed evitando che l’architettura sia più un
monumento ai progettisti che una osmosi fra ambiente e costruito. In ultimo, ma fondamentale,
lo smaltimento dei rifiuti, che per certi versi si lega con le tecniche di produzione dell’energia,
e le nuove tecnologie, anche di comunicazione, senza la quali nulla esiste.
Per questi motivi Assisi, terra francescana ove il connubio fra uomo, ambiente e cultura
ha avuto copiose sublimazioni spirituali, potrebbe ospitare un centro di ricerca con annesso master
in modo che si possano studiare, e definire, modelli applicativi di sviluppo sostenibile per famiglie,
imprese, città e territori.
Le convenzioni, anche internazionali, saranno rispettate solo se, nei prossimi anni, il concetto di cultura ambientale si sposerà con la convenienza applicativa, e con la concretezza che
l’uomo pretende. Altre strade produrrebbero solo teoria, buona per tenere la coscienza a posto ma
non per assicurare un futuro all’umanità.
1. Sindaco del Comune di Assisi.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
69-70.
151
Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Cesare Patrone1
Indirizzo di saluto2
Scorrendo l’elenco dei partecipanti all’incontro – colgo l’occasione per salutare Padre
Vincenzo Coli, Custode del Sacro Convento, il Ministro dell’Ambiente Pecorario Scanio e
la Sottosegretario Laura Marchetti; il Senatore Follini e il Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati Realacci; il Sindaco di Assisi Ricci – vedo che nella scelta dei
relatori e degli interventi si è prediletto un approccio a più dimensioni, in piena coerenza con
la trasversalità che impone l’educazione all’ambiente, che richiede la strutturazione di nuove
forme di rapporti tra individui, società e fenomenologia naturale, nuove conoscenze e nuovi saperi, per agire in modo efficace e per frenare i danni che con grave costanza vengono compiuti
contro gli spazi in cui viviamo e dai quali dipendiamo così strettamente.
Ringrazio per l’invito rivolto al Corpo Forestale dello Stato a partecipare all’incontro e a
portare il suo contributo e la sua esperienza come forza di polizia specializzata nella prevenzione e nel contrasto dei crimini ambientali.
Chi ancora associa l’azione di polizia con lo scatto delle manette, leggerà come una forzatura la nostra presenza in un convegno dedicato all’educazione. Ma così non è, anzi.
Non lo è perché, lo ripeto, il Corpo Forestale è una forza di polizia specializzata nella
tutela del territorio e del paesaggio. Questo vuol dire che conosce in modo approfondito i
punti di rottura dell’equilibrio uomo-ambiente, che sono alla base della nostra discussione, e
che rendono necessaria la promozione dell’educazione ambientale, per correggere azioni e stili
di vita incompatibili con la complessità e la fragilità dei nostri ecosistemi.
Il secondo aspetto, quello su cui mi voglio soffermare maggiormente, è che l’associazione
“corpo di polizia-azione repressiva”, ha fatto il suo tempo: prevenire i reati è quanto si richiede
oggi ai moderni tutori dell’ordine.
Intervenire sulla scena di un crimine, nel nostro caso ambientale, e individuare i colpevoli,
è solo una parte della nostra missione. Il successo pieno è “leggere” le tendenze dei fenomeni
1. Capo del corpo Forestale dello Stato. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
71-73.
152
delittuosi e mettere in atto tutte le strategie per impedire che vengano compiuti.
Ma si può fare ancora di più e mirare gli interventi non solo alla prevenzione diretta dei
reati, ma anche a quella indiretta, con la costruzione e la promozione di modelli che sostengano comportamenti più responsabili e motivati nei confronti della società e dell’ambiente.
È questo il caso dell’educazione ambientale, che rappresenta un eccellente strumento per
rendere concreto il concetto di “polizia di prossimità”, e uno dei mezzi che abbiamo a disposizione per produrre quel profondo cambiamento culturale, dei modi di vivere e di pensare,
in grado di ripristinare l’alleanza con l’ambiente. Comportamenti, azioni e pensieri, che oggi,
purtroppo non sono ancora patrimonio diffuso e condiviso, soprattutto in occidente.
Lo sforzo richiesto per raggiungere un simile obiettivo è decisamente gravoso anche perché prevede il superamento dell’antropocentrismo – dove l’uomo è visto come il padrone della
terra e il dominatore dell’ambiente – e il passaggio a una visione biocentrica dove l’uomo è
saldamente legato alla natura ed è parte della stessa.
Insomma, un passaggio epocale che richiede di guardare alla terra come a un organismo
armonico, in sospeso tra continuità e trasformazione, integralmente interconnesso; un sistema
dominato dal principio di complessità, con aspetti fisici e biotici che lottano per raggiungere
equilibri spesso conflittuali. Un sistema che necessita di modelli di cultura e di sviluppo più
consapevoli e ecologicamente più compatibili di quello consumistico.
In questa grande complessità, il compito di un corpo di polizia, che si trovi a dover tutelare l’ambiente unicamente con i mezzi e gli strumenti consueti, senza poter affiancare alle attività di controllo iniziative di partecipazione ed educazione dei cittadini per renderli partecipi
e responsabili della sicurezza dello spazio in cui vivono e dell’aria che respirano, ha il sapore di
una sfida difficile da portare a termine.
Per questo il Corpo Forestale già dal 1982 si è aperto educazione e alla divulgazione
ambientale costituendo una struttura ad hoc, l’Agenzia Ecologica e Forestale, per avvicinare
sempre più cittadini all’utilizzo sostenibile delle risorse.
L’Agenzia Ecologica è una struttura centrale attiva nel campo della formazione e della divulgazione naturalistica che da poco tempo è stata potenziata con l’inserimento nella rete degli
Uffici per la Biodiversità, un network strategico per la conservazione dell’ambiente, presente su
tutto il territorio nazionale, che sovrintende al controllo e alla gestione di 130 Riserve Naturali
dello Stato, la spina dorsale verde d’Italia.
1.Presenza capillare sul territorio;
2.Ricchezza di ambienti biodiversi – quindi rappresentativi della complessità dell’ambiente;
3.Personale profondo conoscitore delle realtà in cui opera e fortemente motivato e sensibile
alla divulgazione,
sono alcuni tra gli elementi che hanno concorso alla costituzione della nuova entità per la
didattica e la formazione.
Nel solo anno scolastico 2004-2005 oltre 150.000 alunni, cittadini di domani, sono stati
coinvolti nelle attività educative del Corpo Forestale. Per circa il 10% si è trattato allievi della
scuola d’infanzia; per il 41% delle elementari; per il 34% delle scuole medie; per il 15% delle
superiori.
153
Nel complesso sono stati interessati oltre 3.000 istituti, tra i quali anche alcune università.
Da una recente indagine conoscitiva sono emersi anche i temi di educazione ambientale che
sono stati richiesti e/o proposti, e in ogni caso trattati con maggior frequenza dal personale del
Corpo Forestale nello scorso anno scolastico. Conservazione della biodiversità vegetale e lotta
agli incendi boschivi, hanno riscosso entrambi il 21% delle preferenze. Seguono protezione
della fauna (12%), conservazione della biodiversità animale (14%), lotta all’inquinamento e
sicurezza nei boschi (11%), sicurezza in montagna (6%).
Il piano formativo della Forestale, già molto ricco di proposte, grazie al recente potenziamento della struttura si arricchirà ulteriormente, e le attività didattiche, avviate in molte
parti della penisola diventeranno capillari e fortemente contestualizzate grazie alla vocazione
territoriale degli Uffici per la Biodiversità. Saranno proposti a breve degli ambiti divulgativi
e didattico-educativi dedicati a progetti di conservazione che fino a oggi hanno interessato
soprattutto il mondo scientifico, come quelli dedicati all’orso marsicano (a Castel di Sangro in
Abruzzo); agli insetti del legno morto (Bosco Fontana in Veneto); alle zone umide del Parco
del Circeo nel Lazio.
Questi ambiti specialistici, in apparenza distanti dai grandi temi dello sviluppo sostenibile, rappresentano importanti occasioni per avvicinare sempre più persone ad aspetti specifici
dei territori in cui vivono, e alle azioni positive e propositive che enti come la Forestale promuovono per sostenere l’ambiente.
Continueranno ad essere trattate le tematiche trasversali che costituiscono tanta parte
dell’attività della Forestale, pensiamo al contrasto degli incendi boschivi, la sicurezza nei boschi, il monitoraggio ambientale, la sicurezza in montagna.
Se per millenni il rapporto uomo-ambiente è stato un rapporto naturale e senza filtri, uno
scambio osmotico e diretto, oggi, non possiamo più dire lo stesso. Il nuovo cordone ombelicale, il nuovo tramite di mediazione tra uomo e territorio, è rappresentato oggi dalla cultura, da
un approccio alto e consapevole, quello stesso proposto dall’educazione ambientale.
Vi ringrazio per l’attenzione.
154
Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Mauro Moretti1
Il ruolo delle Ferrovie dello Stato per la tutela
e la salvaguardia dell’ecosistema della Terra2
Wolfgang Schivelbusch, autore del noto e fortunato libro “Storia dei viaggi in ferrovia”, sosteneva che, con la sua nascita e la rapida e straordinaria affermazione nel secolo XIX, “la ferrovia
creò il paesaggio”. Più che altro, lo storico e scrittore tedesco voleva sottolineare che il treno aprì
straordinari orizzonti all’esplorazione e alla possibilità di fruire di nuovi e incontaminati ambienti, facendo iniziare anche quel processo che ha poi portato l’uomo a dominare completamente
l’ambiente, diventandone quasi l’arbitro assoluto.
Il filosofo Umberto Galimberti sostiene che “l’uomo, inebriato dai propri dispositivi tecnici,
ha dimenticato la sovranità della natura”, e che sono completamente cambiate le categorie che
nel passato regolavano il rapporto tra l’uomo e la natura. Se tutto ciò è vero, la responsabilità
dell’essere umano aumenta, non diminuisce. La sensibilità verso le tematiche ambientali è oggi un
dovere che deve guidare non solo le scelte degli esseri umani, ma anche dei governi e – nei limiti
delle loro azioni – delle aziende e dei principali attori economici.
Il rapporto delle ferrovie con l’ambiente oggi non è più quello individuato da Schivelbusch.
Il treno ha dato un contributo fondamentale allo svolgimento di un’inarrestabile corsa che – in
poco più di due secoli – ha determinato un incredibile progresso, di tale portata che mai l’umanità ne ha conosciuti eguali. Oggi il “paesaggio” costituisce uno dei principali elementi di tutela e
di salvaguardia, e la preservazione dell’ambiente naturale costituisce uno dei principali valori cui
si ispira l’umanità.
Tutto ciò non significa certo interrompere il cammino verso il progresso, né rinunciare alle
principali conquiste nel campo della tecnica e delle realizzazioni industriali. Essenziale è riuscire
a coniugare le ragioni del progresso e dell’avanzamento tecnico e tecnologico con le necessità di
salvaguardia del complessivo ecosistema ambientale del nostro pianeta, orientando e guidando le
scelte in favore delle soluzioni maggiormente ecocompatibili.
1. Amministratore Delegato Ferrovie dello Stato.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
75-78.
155
Il mezzo su rotaia vanta un indiscutibile primato in termini ecologici tra tutte le modalità
di trasporto. I suoi livelli di inquinamento ambientale sono incomparabilmente più bassi rispetto
ad altre modalità concorrenti, come testimoniato da accreditate analisi e ricerche. Spesso, il treno
è un elemento che “crea il paesaggio” (anche se in un senso diverso da quello di Schivelbusch),
inserendo elementi di poeticità e di armonia ambientale: molte “domeniche ecologiche” hanno
per tema un viaggio in ferrovia, semmai su una vecchia locomotiva a vapore. Ma non è certo il
caso di insistere su un panorama esclusivamente idilliaco: spesso le polemiche ambientali coinvolgono anche le scelte di necessario ammodernamento delle infrastrutture ferroviarie, innescando un dibattito che – alla fine – deve riuscire a trovare una soluzione positiva, perché i benefici
all’ambiente vengono anche da una maggiore funzionalità dei sistemi di trasporto per ferrovia.
Queste brevi note servono solo ad introdurre – e a stimolare una riflessione – sulla complessità di un rapporto tra ferrovie e ambiente, ma non vogliono certo esaurire il tema. Più importante
– anche per esaminare il contributo che un’azienda come le Ferrovie dello Stato possono dare
ad un convegno come quello odierno – è analizzare tutte le iniziative e le azioni che il Gruppo
Ferrovie dello Stato ha intrapreso per la salvaguardia e la tutela dell’ambiente.
Anche in questo campo, il Gruppo Ferrovie dello Stato può vantare tutta una serie di primati. Oramai da diversi anni, il Gruppo Ferrovie dello Stato opera dedicando sempre maggiore
attenzione a valori fondamentali quale quello della tutela dell’ambiente, in un’ottica più vasta di
sostenibilità ambientale e sociale. L’obiettivo è di realizzare un “sistema di gestione ambientale”,
e il risultato di tutti questi sforzi viene ogni anno riassunto nel “Rapporto di Sostenibilità”, che il
Gruppo Ferrovie dello Stato – come molte altre aziende di grandi dimensioni – pubblica e distribuisce a tutti gli organismi interessati, in uno sforzo di comunicazione e di trasparenza riguardo i
propri obiettivi e le proprie linee di indirizzo.
Tra gli obiettivi cardini della “missione e valori del Gruppo” un elemento centrale è costituito da “Lo sviluppo dell’impresa nel rispetto dell’ambiente e del territorio”: l’impegno sottolineato
nella carta valoriale di Gruppo recita che “l’uso sostenibile delle risorse naturali in un’ottica di
sviluppo delle comunità in cui operiamo testimoniano la nostra assunzione di responsabilità nei
confronti delle generazioni attuali e future”.
Nel “Rapporto”, vengono evidenziati tutti gli impegni di medio e lungo termine che il
Gruppo Ferrovie dello Stato ha assunto sulle tematiche rilevanti per lo sviluppo della mobilità sostenibile e della sostenibilità d’impresa delle Ferrovie dello Stato. Vengono – inoltre – evidenziate
tutte le specifiche azioni e iniziative intraprese dal Gruppo Ferrovie dello Stato per proteggere
l’ambiente e il territorio e valorizzare l’eco-compatibilità della ferrovia. Tra gli obiettivi principali
indicati nel “Rapporto” ci sono quelli di “investire responsabilmente e creare valore economico”.
Il bilancio del 2005 si presenta ampiamente positivo per quanto riguarda le azioni intraprese per
potenziare l’infrastruttura ferroviaria per incrementare la capacità di trasporto, migliorare i servizi
offerti, garantire la sicurezza della circolazione e del lavoro.
Tra le principali realizzazioni, va ricordata l’introduzione – sulle nuove linee Alta Capacità/
Alta Velocità Roma-Napoli e Novara-Torino – di sistemi di gestione e controllo della circolazione (ERTMS-ETCS livello 2), di assoluta avanguardia a livello mondiale e in grado di assicurare
livelli di prestazioni e di sicurezza ai massimi livelli oggi possibili, con vantaggi anche in termini
156
di ecompatibilità ambientale.
Particolare rilievo – sotto questo aspetto – assume l’obiettivo del contenimento dei consumi
energetici, che è l’oggetto dell’iniziativa e del progetto denominato “Railenergy”, cui la società
di trasporto del Gruppo Ferrovie dello Stato TRENITALIA partecipa in collaborazione con le
principali imprese ferroviarie europee e i maggiori fornitori di materiale rotabile. Obiettivo del
progetto è sperimentare e rendere operative le migliori tecnologie disponibili per ottenere un
risparmio energetico per la trazione dell’ordine del 10-15%, un livello elevatissimo che migliora
ulteriormente le già soddisfacenti – in termini ecocompatibili – performances del treno.
Il Gruppo Ferrovie dello Stato continua a perseguire tutte le azioni – strutturali ed organizzative – per realizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti – in particolare CO2
–, lavorando in un’ottica di implementazione degli obiettivi indicati dal protocollo di Kyoto.
Particolare rilievo – in questo ambito – assumono le sperimentazioni riguardanti l’utilizzo di un
nuovo combustibile – maggiormente ecocompatibile – denominato “gasolio bianco” e la valutazione dei progetti per la produzione e l’impiego di energia da fonti rinnovabili, in particolare
solare termico e fotovoltaico.
Come indicato nel “Rapporto”, un particolare rilievo – in termini di sostenibilità ambientale
– hanno le azioni intraprese dal Gruppo Ferrovie dello Stato per la gestione sempre più razionale
ed ecocompatibile della gestione del ciclo dei rifiuti, soprattutto in considerazione del sempre
aumentato volume delle realizzazioni e delle costruzioni necessarie per realizzare l’indispensabile
potenziamento infrastrutturale. Particolare rilievo assume il risultato – ottenuto attraverso processi di ottimizzazione e di ammodernamento delle procedure anche tecnologico – che oltre il 72%
dei rifiuti prodotti (una percentuale di assoluto valore) è stato successivamente avviato a centri e
processi in grado di gestirne il recupero.
Per quanto riguarda le azioni intraprese per la mitigazione del rumore, il Gruppo Ferrovie
dello Stato rientra tra le società e gli enti gestori di servizi pubblici (trasporto e infrastrutture)
che hanno definito – in base alla Legge Quadro sull’Inquinamento Acustico n. 447/1995 – un
articolato programma di risanamento acustico: a partire dal 2004, sono stati individuati 428 interventi da realizzare (realizzazione di barriere fonoassorbenti, valutazione dell’impatto acustico
nelle caratteristiche di progettazione e realizzazione di nuovi impianti, etc.), che si stanno via via
portando a termine con la collaborazione degli Enti interessati.
Infine, forse l’operazione più importante in termini di ecostenibilità (con un preciso valore
ecologico e ambientale, ma con un valore ancora maggiore in termini più ampi culturali e sociali), che il Gruppo Ferrovie dello Stato ha intrapreso in questi ultimi anni – caratterizzati da una
attività mai così fervida sul piano della realizzazione di opere infrastrutturali – è il recupero e la
valorizzazione del territorio e dei beni culturali e archeologici. Il Gruppo Ferrovie dello Stato in
tutti questi anni si è attivato e continua ad attivarsi per lo sviluppo delle cosiddette “greenways”,
ovvero la conversione di linee ferroviarie non più utilizzate in percorsi verdi, in collaborazione
con enti locali, università ed associazioni volontarie, con specifiche attività di trasformazione dei
percorsi per un utilizzo con mezzi naturalistici come bici o altro. E, infine, le importanti azioni
intraprese per valorizzare i siti archeologici e i materiali ritrovati durante le operazioni di rimozione e di scavo per la realizzazione di nuove infrastrutture.
157
Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Michele Caputo1
Che tipo di valore è l’ambiente?2
Vi porto il saluto e l’augurio di buon lavoro da parte Professor Giovanni Conso Presidente
dell’Accademia Nazionale dei Lincei e dei soci. Vi ricordo che l’Accademia, ogni anno, per
celebrare la Giornata Internazionale dell’Acqua e la Giornata Internazionale dell’Ambiente organizza due convegni che sono tenuti rispettivamente il 22 marzo ed il 5 giugno, per rispettare
un impegno preso dal Governo Italiano in sede internazionale.
Veniamo la mio contributo a questo convegno che apparentemente ed a prima vista,
dato che andrò indietro nel tempo di circa 35 anni, sembrerà un po’ fuori dal tema nel nostro
convegno ma, ad un esame più approfondito apparirà rilevante per gli interventi a sostegno
della difesa e della valorizzazione del nostro patrimonio ambientale in quanto uno sguardo al
passato suggerisce sempre elementi strategici per gli interventi futuri.
Vediamo come si fa con i patrimoni importanti. Nello studio dell’affidabilità delle banche
occorrono certi indicatori che le caratterizzano ad esempio l’ammontare dei depositi in conti
correnti, l’ammontare dei crediti a rischio e, molto importante, il valore del patrimonio totale della banca. Passando alla finanza esistono equazioni che dovrebbero regolare l’equilibrio
dell’economia di un sistema. Queste equazioni contengono variabili come l’aliquota fiscale, il
tasso di interesse fissato dalla banca centrale, i consumi, varie reattività e, quella che sembra la
più importante, il prodotto interno lordo. Tuttavia nelle equazioni che regolano l’economia ed
il bilancio del paese ne manca una che figura fra gli indicatori della banche e che riguarderebbe
il valore dei beni posseduti dal sistema economico che dovrebbe comprendere il valore dell’ambiente. Perché l’ambiente ha un valore che può crescere o decrescere secondo la cura che ne
abbiamo ed è una risorsa di reddito immediato; strategicamente costituisce una componente
importante, essenziale, per l’avvenire del nostro modo di vivere (Caputo 2006). La protezioni
di questo patrimonio dalle calamità ma anche la sua difesa dagli attacchi sconsiderati da parte
dell’uomo, costituiscono una parte rilevante del lavoro che dobbiamo fare per la sua valorizza1. Dipartimento di Fisica, Università di Roma « La Sapienza ».
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
79-81.
158
zione in termini di salute pubblica e di fonte di reddito. Suggerirei di quantificare questo valore
e monitorarne lo sviluppo. È un utopia? Vediamo subito che non lo è.
L’inizio per questa quantificazione è l’opera: “Prima relazione sulla Situazione Ambientale
nel Paese” del 1973 chiamata anche “Ambiente 73” preparato a cura della Tecneco, una società
dell’ENI, sotto gli auspici del Consiglio dei Ministri ed il coordinamento del Ministro per
la ricerca Scientifica e Tecnologica; allora non mi pare ci fosse il Ministero dell’Ambiente.
L’opera è in 3 grossi volumi per un totale di più di 1300 pagine formato in quarto con moltissime tabelle esplicative e riassuntive. Contiene caratteristiche e fattori di alterazione e stato
dei principali sistemi ambientali italiani: aree ad uso estensivo, acque interne, fasce costiere,
agricoltura intensiva, aree metropolitane, patrimonio dei beni culturali ed ambienti di lavoro.
Seguono le attività ed interventi per la difesa dell’Ambiente in Italia negli anni 1971-72 con
cenni su quanto è stato fatto in 8 dei paesi più industrializzati nonché le attività ed iniziative
delle Organizzazioni Internazionali.
Tenendo conto dello sviluppo tecnologico è chiaro che il rapporto “Ambiente ’73” può essere migliorato in molti aspetti. Ad esempio vi manca un capitolo sull’educazione civica, che
implica il rispetto dell’ambiente, tanto necessaria non solo in Italia e che è il tema del nostro
convegno. Tuttavia al di là degli inevitabili limiti e lacune “Ambiente 73” è una pietra miliare per
chi intenda affrontare i problemi dell’ambiente in modo sistematico sia politico che finanziario.
Da allora, dal lontano 1973, molti provvedimenti sono stati presi come ad esempio l’istituzione del Ministero dell’Ambiente, dell’ENEA (Ente per le Nuove Tecnologie e l’Ambiente),
l’APAT (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), le Agenzia Regionali
per la Protezione dell’Ambiente, la formazione dei Gruppi di lavoro del CNR dei quali voglio
citare il “Gruppo Nazionale per la Difesa dai Rischi Chimico-Industriali ed Ecologici”.
Prima e dopo la pubblicazione di “Ambiente 73” ho passato molti, molti anni in Università Americane e Canadesi, direi buona parte della mia vita, e molti avvenimenti italiani di quel
periodo possono essermi sfuggiti tuttavia ho l’impressione che il rapporto “Ambiente 73” sullo
stato dell’ambiente in Italia non sia stato ripetuto nella sua vastità.
Nel 2008, fra due anni, saranno passati 35 anni da quella fotografia dell’ambiente italiano.
Lo dico in presenza delle massime autorità istituzionali che si occupano delle conservazione
e valorizzazione dell’ambiente perché se ne tenga conto, per ricordare che c’è già una pietra
miliare, una fotografia, anche se sfumata, dello stato dell’ambiente in Italia.
Per sapere come, da allora, si siano comportati gli italiani, nonché le amministrazioni
pubbliche e statali, ed anche i governi, nonché per sapere quali misure prioritarie si debbano intraprendere ora per la tutela e la valorizzazione dall’ambiente, è necessario ripetere l’operazione
fatta con il rapporto “Ambiente 73”. Procedendo senza un nuovo rapporto e senza il confronto
col precedente ho l’impressione che, nonostante gli scrupolosi programmi, rischiamo un po’ di
navigare a vista senza rendercene conto. Così è purtroppo stato per troppo tempo nella politica
nazionale di buona parte del secolo scorso e non poteva essere che così per motivi strutturali
del sistema di allora e, forse, anche per altri motivi, i governi sono durati in media circa un
anno rendendo poco remunerativa qualsiasi iniziativa strategica come sono molte e, forse le più
importanti, di quelle che riguardano il paese ed il suo ambiente.
159
Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Ireneo Ferrari1
Basi concettuali e implicazioni etiche
di una scienza per la sostenibilità2
Abstract – (Towards a science for sustainability: basic conceptual framework and ethical implications). Many research fields, from ecological economics to adaptive ecosystem management to
conservation biology, contributed to found the conceptual bases of a science for sustainability
which can integrate nature studies with human and society studies. Such an integration is essential to understand the intertwining relationship between the physical and biological processes
of the natural systems and the economical and cultural dynamics. This integration is also fundamental to build proactive and adaptive strategies towards a fair and sustainable future for the
whole humankind. This perspective shows significant ethical and political consequences, such
as the overcoming of development models which – both on the world and on the regional and
local scale – cause environmental degradation, exclusion and poverty, thus stimulating dangerous economical and social conflicts. The success of a science for sustainability will depend
on the research innovation and qualification, but also on the training systems adaptation and
on the expansion of the democratic involvement concerning crucial environmental and social
issues. In this context, new environmental educational projects addressed to schools and to the
citizenry become relevant to generate awareness and a responsible and sympathetic behaviour.
Key words: anthropic impact, environmental degradation, sustainability, education, environmental ethics.
Sommario – Diversi campi di ricerca, dall’ecological economics all’adaptive ecosystem management alla biologia della conservazione, hanno contribuito a fondare le basi concettuali di
una scienza per la sostenibilità che sia in grado di integrare gli studi di ambito naturalistico
con quelli delle scienze dell’uomo e della società. Questa integrazione è indispensabile per
capire l’intreccio di relazioni tra i processi fisici e biologici dei sistemi naturali e le dinamiche
1. Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Parma.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
83-93.
160
dell’economia e della cultura e per costruire strategie proattive e adattative per un futuro equo
e sostenibile per tutta l’umanità. Tale prospettiva ha risvolti etici e politici rilevanti: essa implica
il superamento di modelli di sviluppo che, a scala del pianeta e di tante realtà regionali e locali,
producono contestualmente degrado ambientale e povertà ed esclusione per grandi masse di
uomini, alimentando pericolosi conflitti economici e sociali. L’avanzamento di una scienza
per la sostenibilità dipenderà dalla capacità di innovazione e qualificazione della ricerca, ma
anche dall’adeguamento dei sistemi formativi e dall’espansione della partecipazione democratica alle decisioni su materie di particolare rilievo ambientale e sociale. In tale contesto possono
assumere un ruolo importante nuovi progetti di educazione ambientale rivolti alla scuola e alla
cittadinanza e orientati su percorsi formativi che generino consapevolezza e comportamenti
responsabili e solidali.
Parole chiave: impatti antropici, degrado ambientale, sostenibilità, formazione, educazione ed etica ambientale.
Premessa
Sulla conservazione e valorizzazione delle risorse ambientali si è assistito, negli ultimi
anni, all’affiorare di una maggiore attenzione, di una più viva sensibilità e preoccupazione. E
tuttavia si deve riconoscere che è ancora del tutto insoddisfacente il quadro dei progressi realizzati rispetto all’ambizione di costruire prospettive e percorsi di uno sviluppo in cui la tutela
della natura e dell’ambiente sia concepita come condizione e strumento per il miglioramento
di qualità della vita delle comunità umane. È avvertita l’esigenza di contributi rigorosi di affinamento concettuale e teorico e, nel contempo, di un impegno serio di innovazione nelle
metodologie di ricerca e monitoraggio; serve il dispiegamento di idee ed energie fresche su progetti di formazione e di educazione per l’ambiente; deve accrescersi e qualificarsi la capacità di
gestire processi complicati di decisione e partecipazione in materia di progettazione ambientale
e pianificazione del territorio. Siamo ben lontani dall’adesione al modello del triangolo (icona
di una biosfera sostenibile ideata dalla Società Americana di Ecologia alla vigilia della conferenza di Rio de Janeiro) di interazioni virtuose tra i progressi della ricerca, la qualificazione delle
attività formative e la trasparenza e il coraggio delle scelte dei decisori (Lubchenco et al., 1991).
Verso una scienza della sostenibilità
Sono universalmente note le questioni, tra loro fortemente intrecciate, che sono state al
centro del dibattito alle ultime conferenze internazionali sull’ambiente, da Rio (1992) a Johannesburg (2002): il cambiamento climatico globale, la conservazione della biodiversità, la sfida
di uno sviluppo socio-economico ancorato alla tutela delle risorse ambientali. In questa nota
tenterò di rappresentare schematicamente il quadro di luci ed ombre sullo stato delle conoscenze su questi grandi campi tematici. Riprenderò i contenuti di mie recenti comunicazioni a
161
seminari e convegni, in particolare di una lezione tenuta a un corso su « Problemi del futuro tra
scienza, politica ed economia » organizzato dal Centro Studi Aziendali e Amministrativi che
ha sede a Cremona (Ferrari, 2003). Ma mi concentrerò soprattutto sulla definizione dei caratteri
che dovrà assumere una scienza per la sostenibilità capace di affrontare i problemi di studio e
gestione di sistemi il cui funzionamento regge su dinamiche complesse, su processi non lineari e largamente imprevedibili. Si pensa ad una scienza capace, in altre parole, di incorporare
l’incertezza intrinsecamente associata ai sistemi e ai processi (della natura, dell’economia, della
società, delle culture) di cui deve occuparsi e di predisporre strategie e percorsi decisionali che
garantiscano pratiche gestionali conservative.
Questa prospettiva è efficacemente illustrata in un libro di Bologna (2005). L’autore esprime il parere che una scienza per la sostenibilità potrà nascere dalla convergenza di ricerche
di discipline diverse che rendano perseguibile la comprensione delle interazioni tra sistemi
naturali, sociali ed economici. L’integrazione e l’armonizzazione delle scienze della natura e
dell’ambiente con le scienze dell’uomo e della società potranno rendere praticabile l’obiettivo
di riuscire a « valutare, mitigare e minimizzare », a livello locale e regionale e a livello mondiale,
« le conseguenze degli impatti umani sul sistema planetario e sulle società ». Cambiamenti
climatici e perdita della biodiversità, in particolare, sono nodi di un circuito di retroazioni
indotte dal prevalere di politiche di sviluppo insostenibile che innescano dinamiche di degrado
ambientale, spreco di risorse naturali e, nel contempo, pesanti squilibri sociali ed economici ed
inammissibili condizioni di povertà per tanta parte degli abitanti del pianeta.
La sfida per rispondere all’urgenza di bloccare e invertire queste tendenze è altissima.
Serve l’impegno responsabile dei governi e delle organizzazioni internazionali (non solo, ovviamente, di quelle deputate alla tutela ambientale); alla comunità scientifica spetta l’impegno di
esprimere competenze specialistiche di primo ordine in campi fondamentali della ricerca (dalla
climatologia alla biologia, dall’economia alle scienze sociali), ma anche quello di produrre
un’aggregazione inedita dei saperi, che susciti la sperimentazione di nuove classi di indicatori di
integrità degli ecosistemi e di qualità della vita umana e sostenga un impiego sempre più diffuso
di tecnologie proattive. Si richiamano alcune esperienze di pensiero e di ricerca che hanno contribuito significativamente a costruire le basi concettuali e metodologiche di una scienza della
sostenibilità: l’analisi del capitale naturale e dei servizi resi dalle funzioni ecologiche (Costanza
et al., 1997), la suggestione di una visione integrata della biologia della conservazione capace
di sostenere approcci adattativi all’analisi e alla gestione degli ecosistemi (Holling, 1998), le
prefigurazioni di una nuova economia per un futuro equo e sostenibile (Brown, 2002; Sachs
e Santarius, 2007). Ma sono da ricordare anche contributi inportanti di autori italiani. Qui mi
limito a citare due colleghi che si sono cimentati con successo nella scrittura di testi di taglio
divulgativo: Galassi (2006), partendo da un’analisi rigorosa dei nodi più evidenti di criticità
ambientale e sociale del pianeta, ha evidenziato l’agibilità di percorsi culturali e di opzioni
tecnologiche che possono aiutarci a costruire un mondo migliore, « in cui a dettare le regole
del mercato sia la qualità della vita piuttosto che la quantità dei consumi »; Boero (2007) si è
prodotto in una ricca documentazione sulla bellezza della vita e dei viventi e sulla violenza e
stupidità delle azioni umane che la deturpano.
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L’accelerazione dei cambiamenti climatici
Studi sui cambiamenti climatici e sulle ripercussioni ambientali rilevabili, dalla scala della
biosfera a quella degli ambiti locale e regionale, sono stati condotti da panel internazionali
di esperti (in particolare dal prestigioso IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change), da
società e istituzioni scientifiche e da gruppi di ricerca tra i più accreditati. Amplissima è la documentazione bibliografica e pubblicistica accessibile. Mi limito a citare due articoli di buon
taglio divulgativo di ricercatori italiani autorevoli di campo ecologico (Cotrufo e Peressotti,
2001) e climatologico (Mercalli, 2003). Vi sono richiamati i risultati di lavori fondamentali,
come quello di Jouzel et al. (1993) sull’analisi di carote di ghiaccio di una stazione antartica, che
hanno consentito di ricostruire l’evoluzione della composizione gassosa dell’atmosfera nelle
ultime migliaia di anni evidenziando l’andamento parallelo della temperatura e delle concentrazioni dei gas serra, CO2 e metano in particolare. La concentrazione di CO2, attualmente su
valori intorno a 370 parti per milione, non è mai stata così alta negli ultimi 400 mila anni. Ampiamente documentata è la consistenza (8 miliardi di tonnellate per anno) dell’apporto delle
emissioni antropogeniche di CO2, dovute alla combustione dei combustibili fossili, ma anche
ai cambiamenti di destinazione d’uso del territorio, alla massiccia deforestazione in grandi aree
del pianeta in primo luogo: ne consegue una situazione di sbilancio sempre più accentuato dei
flussi di carbonio tra atmosfera, oceani e terre emerse. Cotrufo e Peressotti (2001) segnalano
l’interesse dell’effetto fertilizzante della CO2 che può essere particolarmente significativo per
le colture agricole e forestali; sottolineano l’importanza di strategie di mitigazione basate su
politiche di gestione del territorio che favoriscano il sequestro di carbonio; ma aggiungono che
solo tempi lunghi (parecchie decine di anni) di residenza del carbonio nella biomassa e nella
sostanza organica del suolo possono contribuire a tamponare, se pure parzialmente, l’aumento
di CO2 in atmosfera. Gli autori giungono alla conclusione che la risposta risolutiva può venire
solo da una riduzione delle emissioni antropogeniche attraverso l’adozione di politiche energetiche alternative e la diffusione di nuove tecnologie mirate al risparmio energetico. Uno studio
di De Leo et al. (2001), riferito al nostro sistema energetico nazionale, mostra con nettezza il
quadro dei benefici ambientali, ma insieme anche sociali ed economici, acquisibili in tempi
relativamente brevi attraverso il ricorso a fonti di energia che permettano di ridurre significativamente le emissioni di gas serra.
Il tema cruciale resta quello del riscaldamento globale e di altri impressionanti cambiamenti climatici, come le brusche alterazioni del regime delle precipitazioni in aree consistenti
del globo e i sempre più frequenti disastri dovuti ad eventi meteorologici estremi di cui tiene
il conto l’Organizzazione Meteorologica Mondiale. L’ipotesi che questi cambiamenti siano
indotti dall’incremento delle emissioni antropogeniche di CO2 sembra avvalorata da evidenze
schiaccianti (ad esempio, la temperatura superficiale globale è aumentata di 0.6°C nell’ultimo
secolo), ma non è accolta unanimemente da tutta la comunità scientifica; riserve argomentate
sono espresse da astrofisici e fisici dell’atmosfera. È da dire, come riconoscono i più recenti
rapporti annuali dell’IPCC, che non si è ancora in grado di fornire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, una valutazione completa e integrata dei cambiamenti climatici globali.
163
Alle dinamiche dei fenomeni e dell’evoluzione del sistema climatico è inerentemente associato
un elevato grado di incertezza e imprevedibilità. Ma proprio per questo servono, in questa
materia, politiche e azioni ispirate a prudenza e precauzione. Mercalli (2003) ricorda la definizione del principio di prudenza formulata dalla Conferenza di Rio. «… Dove ci siano pericoli
di danni gravi o irreversibili, la mancanza di una piena certezza scientifica non va usata come
ragione per posporre la messa in atto di misure efficaci volte a prevenire il danno ambientale ».
Osservo soltanto l’inappropriatezza del concetto di « piena certezza scientifica » applicato al
campo degli studi sui sistemi ambientali. Ma devo aggiungere una riflessione minima sulla
pervicace e sconfortante inosservanza del principio di prudenza. Ne abbiamo percepito tutta la
validità e pregnanza nei giorni seguiti alla devastazione inflitta dall’uragano Katrina alla città di
New Orleans (e ancora prima, a fine 2004, dopo lo spaventoso tsunami, i cui effetti distruttivi
sono stati moltiplicati dal degrado ambientale e sociale di aree costiere estesissime dell’Oceano
Indiano). Di questi eventi, e delle sensazioni e dei pensieri che ci hanno accompagnato in quei
giorni, la memoria, a distanza di così poco tempo, trattiene tracce già labilissime.
Il Protocollo di Kyoto del 1997, com’è noto, impegna i paesi industrializzati e quelli ad
economia di transizione a ridurre gradualmente le emissioni di gas serra. Nel febbraio 2005 il
protocollo è entrato finalmente in vigore, nonostante la mancata ratifica da parte di stati che al
volume globale delle emissioni contribuiscono in modo determinante. A questo appuntamento
il nostro paese si è presentato impreparato e del tutto inadempiente. Negli ultimi anni, a fronte
di un calo sensibile delle emissioni a scala europea, in Italia si è registrato un aumento ulteriore,
che ci penalizza pesantemente, anche in termini economico-finanziari, sul mercato internazionale dell’emissions trading previsto dallo stesso Protocollo di Kyoto. Questo mercato, per altro,
funziona in base a regole a dir poco bislacche. Sono premiati gli afforestatori e i riforestatori,
ma non è concesso alcun incentivo finanziario ai governi o alle imprese che si impegnano per
la conservazione del patrimonio forestale esistente. Ne consegue che nelle aree tropicali, dove si
estendono sistemi forestali imponenti con un ruolo primario nella mitigazione dei cambiamenti climatici globali (e dove si registrano densità elevatissime degli insediamenti umani associate
a condizioni di diffusa povertà), continuerà la pratica devastante della deforestazione: in breve
tempo saranno vanificati i risultati positivi della riduzione di emissioni di gas serra ottenuti nei
paesi virtuosamente allineati con gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto. C’è di più: nelle
foreste tropicali si hanno le più alte concentrazioni (hotspots) di biodiversità di tutto il pianeta
(Myers et al., 2000); la distruzione di questi ecosistemi innesca circuiti di retroazione esplosivi
tra perdita di biodiversità e cambiamenti climatici sempre più preoccupanti.
L’impatto dei cambiamenti globali sulla biodiversità
L’evoluzione di approcci allo studio ecologico della biodiversità è stata sostenuta negli
ultimi decenni da contributi scientifici importanti. Si è passati dall’idea della biodiversità come
espressione macroscopica dell’organizzazione delle comunità di viventi ad una sempre maggiore attenzione all’analisi dei fattori, dei processi e dei meccanismi che determinano i gradienti
164
spaziali e i trend temporali prevalenti della biodiversità. Le ricerche attualmente sono per lo
più focalizzate sullo studio delle relazioni che intercorrono tra le dinamiche del disturbo (naturale o antropico) e le risposte al disturbo rilevate a livello sia delle funzioni ecologiche sia
della biodiversità a scala di popolazioni, di comunità, di paesaggi: queste ricerche, soprattutto
se condotte su serie di dati ecologici di lungo termine, possono giungere a valutare la resilienza
degli ecosistemi, in altri termini la loro capacità di recupero o ripristino dei livelli originari di
organizzazione e funzionalità; possono permettere dunque di stimare la soglia oltre la quale le
diverse forme di impatto, in particolare di impatto umano, devono considerarsi insostenibili.
Nel frattempo, sul drammatico problema dell’erosione della biodiversità, è stata raccolta una
massa imponente di informazioni che consentono di valutare l’effettiva consistenza dei tassi
di estinzione di specie e di popolazioni e di individuare le principali cause di questo processo.
Oltre ai cambiamenti climatici e alla deforestazione, di cui si è già detto, alla perdita di biodiversità concorrono altre forme di impatto, che sono largamente diffuse anche nel nostro territorio: pratiche agricole e industriali non ecocompatibili, erosione dei suoli naturali ed agricoli
associata all’espansione incontrollata di un’edilizia speculativa, inquinamento dell’aria e delle
acque, frammentazione indotta dalle grandi opere viarie, invasione di specie aliene, rilascio
nell’ambiente di organismi geneticamente modificati… Sui rischi per l’integrità degli ecosistemi dell’introduzione nell’ambiente di organismi transgenici esiste una vasta letteratura: ci si
limita qui a raccomandare la lettura di una accurata review di Danovaro (2001).
Il tema dell’influenza dell’impatto umano sulla biodiversità a scala globale è stato trattato
con molta efficacia, in una relazione presentata al congresso di Como della Società Italiana
di Ecologia, da Ehrlich (2004), uno scienziato di spicco internazionale nel campo degli studi
ambientali, che attraverso la sua esperienza di ricerca ha sviluppato una capacità rara di dar
voce alle istanze culturalmente più espressive dell’ecologismo militante. Ho pensato di potermi
affidare al pensiero di questo autore, riassumendo i passaggi della sua relazione che mi sono
parsi più incisivi.
Ehrlich esordisce con un richiamo alla dimensione impressionante dei cambiamenti globali indotti dalle attività antropiche. Negli ultimi due secoli si è avuta un’accelerazione incredibile della pressione esercitata dalla popolazione umana che si è accresciuta di almeno sei volte
determinando un aumento di 30-40 volte delle attività industriali e del relativo impatto ambientale. La specie Homo sapiens è diventata una forza geologica globale giungendo a sfruttare
direttamente o indirettamente metà della produzione primaria netta della biosfera e utilizzando
le risorse energetiche contenute nei combustibili fossili per la gestione, sempre più dispendiosa,
dei sistemi umani. L’umanità è diventata il motore del cambiamento globale. La perdita di
biodiversità, che rappresenta un patrimonio ambientale insostituibile e dunque la risorsa più
preziosa del capitale naturale, è la più cruciale delle modificazioni indotte dal cambiamento
globale: la conservazione delle altre forme di vita è la condizione per poter garantire all’uomo
il rifornimento continuativo di servizi e prodotti indispensabili che sono resi disponibili dagli
ecosistemi. Ehrlich insiste su questo punto: le società umane non potrebbero esistere senza la
continuità di erogazione dei servizi della natura. È dalla presenza dei viventi e dalle loro attività
e funzioni che dipendono la stabilità della composizione dell’atmosfera, la regolazione del
165
ciclo dell’acqua e dei cicli degli elementi biogeni, la conservazione e la rigenerazione dei suoli,
la detossificazione e depurazione degli effluenti urbani e industriali… per non parlare del controllo dei parassiti e dei vettori di malattie dell’uomo e dell’utilizzo di piante ed animali come
fonte di cibo e per la produzione di nuovi farmaci.
L’entità della perdita di biodiversità, documentata da Ehrlich soprattutto per le grandi
foreste pluviali che si estendono dall’America Centrale e Meridionale alla Malesia, all’Indonesia e alla Nuova Guinea, è impressionante; l’analisi storica evidenzia inoltre come agli effetti
ambientali devastanti dello sfruttamento delle risorse di queste regioni, attuato da imprese e
governi dei paesi ricchi del mondo, si siano accompagnati processi di grave impoverimento e
di degrado sociale e culturale delle popolazioni native. L’autore sostiene che una delle cause
più importanti della disastrosa tendenza alla perdita di biodiversità è da ricondurre al pessimo
funzionamento del mercato (dal conto economico continuano a restare escluse le cosiddette
esternalità, cioè i costi ed i benefici associati al capitale naturale). Individua le tre forzanti decisive dell’impatto antropico globale nella dimensione totale della popolazione umana, nella
media (ma soprattutto nell’enorme varianza) dei consumi individuali, nell’incidenza dello spreco di energia e risorse naturali associato alle tecnologie utilizzate nella produzione di beni di
consumo. Conclude quindi con un richiamo vigoroso sulla necessità di risposte energiche sul
piano etico-politico. « Ci sono due cose da fare se vogliamo prevenire la distruzione della biodiversità ed evitare il collasso della civilizzazione che è stata possibile grazie alla disponibilità
delle risorse naturali: la prima è bloccare la crescita demografica ed avviare un trend decrescente
che porti la popolazione umana ad una dimensione sostenibile; la seconda è la riduzione dei
consumi nei paesi ricchi e l’avvio di un processo di attenuazione progressiva del gap tra ricchi
e poveri. Questi obiettivi sono da perseguire fin d’ora, partendo dalla consapevolezza che il
maggiore ostacolo è rappresentato dall’iniqua distribuzione del potere (e dunque dell’accesso
alle risorse)». Alla scala del pianeta, ma anche delle diverse realtà regionali e nazionali.
Ricerca e formazione per un’etica della sostenibilità
È mia sensazione che le idee e le pratiche della sostenibilità siano ancora patrimonio di
una minoranza che stenta a trovare canali di comunicazione efficace con il grande pubblico e
ad essere riconosciuta come interlocutore affidabile dal mondo delle attività produttive, dalla
politica e dall’economia. La discussione a una Tavola Rotonda sull’etica di impresa al già citato
congresso della Società Italiana di Ecologia (Como, settembre 2003) è stata certamente interessante, ma ciò che è emerso nettamente è che tra gli imprenditori, anche tra quelli più impegnati
nella sperimentazione di processi produttivi ecocompatibili, l’etica ambientale è percepita ancora come un lusso, un fardello che per adesso non fornisce alcun reale vantaggio competitivo:
il rispetto dell’integrità ambientale è avvertito come vincolo, come necessità per stare al passo
coi tempi e non come libera scelta di innovazione, come opzione strategica e opportunità di
mercato (Ferrari, 2004).
Un dibattito aperto sulle pagine del quotidiano La Repubblica tra ottobre e novembre 2003
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è rimasto sospeso tra l’accorato appello di Giuliano Amato a ricostruire un rapporto vitale tra
etica ed economia e un intervento di Umberto Galimberti sull’inefficacia e inapplicabilità, in
un tempo come il nostro pervaso dal dominio schiacciante della tecnica e dall’economia globale, delle etiche finora conosciute e praticate in Occidente… I temi di quel dibattito sono ancora
di piena attualità. È evidente che l’elaborazione di fondamenti e la costruzione di esperienze
per un’etica della responsabilità (delle persone, delle istituzioni, delle imprese) sono obiettivi
tanto più rilevanti, e tanto più impegnativi, in un mondo che è dominato dall’incertezza e
dalla percezione del futuro come insidia e minaccia, nella « modernità liquida » in cui secondo
Bauman (2002) siamo immersi, privi di certezze solide, di riferimenti stabili per la formazione
della nostra capacità di orientarci e di progettare… Ma voglio credere che quegli obiettivi si
possano perseguire.
Mi chiedo se dallo sviluppo della conoscenza scientifica e dall’educazione al metodo
e allo spirito critico della ricerca (che, a sua volta, si sa bene, è a rischio di pericolose derive
tecniciste e mercantiliste) non possa venire un contributo importante per andare in questa
direzione. La domanda che mi faccio è se la ricerca può aiutare a costruire più conoscenza e
più capacità di gestire responsabilmente le risorse dell’ambiente e, nel contempo, a sostenere
processi virtuosi di consapevolezza, di impegno sociale, di partecipazione; in sostanza, a creare
le condizioni per battere, in primo luogo sul piano culturale, l’egemonia di una visione grettamente antropocentrica che alimenta pratiche di rapina e distruzione delle risorse della vita e
della natura. Sono propenso a dare una risposta positiva. Sono del parere che molte esperienze
di educazione ambientale rivolte alla scuola (e non solo alla scuola) si arricchirebbero significativamente se fossero centrate sul recupero e la valorizzazione di contenuti e metodi della ricerca
rapportabili ad obiettivi di crescita civile e culturale dei giovani. L’educazione ambientale potrebbe in questo modo svolgere a sua volta un importante ruolo di stimolo allo sviluppo della
ricerca: non solo nell’ambito delle scienze fisiche e naturali, ma anche in quello delle scienze
dell’uomo, della società e dell’economia, per non dire della ricerca sugli approcci e sui metodi
della didattica e della pedagogia.
A questo campo di riflessioni ho dedicato vari articoli (Ferrari, 2001 e 2003) e l’esperienza
di coordinamento scientifico di un centro di educazione ambientale, il CIDIEP, che ha sede
a Colorno ed opera nel territorio di tre province, Parma, Piacenza e Cremona, del bacino
padano (Ferrari e Vianello, 2003; Ferrari e Mussini, 2005). Contributi certamente più stimolanti, sulle questioni di interfaccia tra ricerca ed educazione alla sostenibilità, sono stati espressi
negli ultimi tempi da vari autori a partire da angolazioni ed esperienze culturali ampiamente
differenziate, dalla bioetica (Battaglia, 2002) alla sociologia della conoscenza (Manghi, 2004) al
pensiero religioso (Zini, 2005), dal campo delle strategie e politiche per uno sviluppo ecocompatibile (Ganapini, 2004; Tampieri, 2005) a quello della realizzazione di progetti ambiziosi di
educazione ambientale (Bertolini, 2005; Stoltenberg et al., 2005). Suggestioni di ampio respiro
etico, politico e religioso sono venute da riflessioni e da pratiche educative che si sono ispirate
ai principi della Carta della Terra (Ferrero e Holland, 2003; Bartoli, 2006).
Concludo con una citazione tratta dal libro di Manghi (2004), uno studioso che ci propone una lettura aggiornata del pensiero dell’antropologo inglese Bateson. « La meditazione è
167
azione. Su se stessi. Sulla relazione tra sé e gli altri con i quali condividiamo il mondo in cui viviamo. Dove la posta in gioco non è mai soltanto la conoscenza del mondo, ma sempre anche,
riflessivamente, la conoscenza della nostra conoscenza… In questo nostro passaggio d’epoca,
che chiamiamo era globale, era planetaria, postmodernità e in altri modi ancora, quell’esercizio è sempre più una necessità di sopravvivenza per tutti noi. Una necessità alla quale non
sappiamo come e se sapremo corrispondere, perché a quel passaggio ci stiamo affacciando…
con presupposti di pensiero in larga misura obsoleti ». In questo orizzonte inquietante, che è
quello della modernità liquida, magmatica e spiazzante descritta da Bauman (2002), mi piace
pensare a una capacità di futuro costruita sulle risorse della conoscenza e di una tensione etica
che riattivi, alla luce e alla scala delle sfide del nuovo millennio, le idee e i valori di libertà, responsabilità, inclusione e solidarietà. Mi sembra che non ci siano altre strade che ci consentano
di continuare a credere in un mondo più giusto per chi verrà dopo di noi.
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Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Enver Bardulla1
L’educazione ambientale nell’evoluzione
di un movimento della gioventù: lo scautismo2
Premessa
La scelta dello scautismo come ‘caso’ da indagare per far luce sui molti e complessi problemi nei quali si dibatte l’educazione ambientale può indubbiamente apparire una forzatura. E,
in effetti, il carattere del tutto peculiare di questa proposta educativa e l’aura di esoterismo, che,
fin dalle origini, ha accompagnato il movimento ideato da Baden Powell, parrebbero scoraggiare qualsiasi tentativo di attribuire ad esso una valenza seppur parzialmente paradigmatica. La
trasposizione ad altri contesti formativi delle esperienze di successo eventualmente realizzate al
suo interno risulterebbe, per tutta una serie di ragioni, oltremodo difficile. Per non considerare,
poi, che l’abbinamento scautismo-educazione ambientale potrebbe addirittura rivelarsi controproducente per quest’ultima, proiettando su di essa gli stereotipi e le rappresentazioni caricaturali notoriamente evocati dalla figura del boy-scout: etichettandola cioè come impresa velleitaria
e moralistica, come aspirazione tipicamente adolescenziale, come occupazione tollerabile, per
non dire meritoria, solo se relegata nella dimensione ludica.
Eppure, il ‘caso’ scautismo merita di essere esaminato con molta attenzione proprio per
le condizioni di assoluto privilegio nelle quali questo movimento per la gioventù (ma lo stesso
può dirsi per lo scautismo inteso come metodo educativo) sembra trovarsi, se paragonato ad
altre agenzie e contesti di formazione, nell’affrontare l’impegno educativo in favore dell’ambiente.
Considerata la rilevanza di tale motivazione ai fini del discorso che si intende sviluppare
e non potendosi ipotizzare una conoscenza approfondita dello scautismo da parte del lettore,
è senz’altro opportuno richiamare brevemente i punti di forza di questa proposta educativa
per quanto concerne l’educazione ambientale, rinviando, per eventuali approfondimenti, alle
1. Dipartimento di Scienze della Formazione e del Territorio, Università di Parma.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
95-117.
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opere citate in bibliografia.
Una proposta educativa con potenzialità straordinarie
In primo luogo, va ricordata la posizione di indiscussa centralità che il rapporto con la
natura e la vita all’aperto occupano nel metodo ideato da Baden Powell, al punto da costituirne,
a giudizio del fondatore, il vero tratto distintivo. Sotto questo profilo, lo scautismo può esserer
fatto rientrare a pieno titolo nel movimento della nature education, ossia in quel movimento,
sviluppatosi tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, inteso a favorire il recupero e lo sviluppo delle virtù morali e civili, minacciate dai processi di urbanizzazione e massificazione della
società, attraverso il contatto con la natura selvaggia3.
In questa prospettiva l’ambiente naturale è soprattutto mezzo, piuttosto che scopo o
contenuto dell’azione educativa. Ed è questo un aspetto che merita di essere rimarcato, dal
momento che, come si avrà modo di vedere, esso può rivelarsi di grande utilità nel leggere gli
sviluppi più recenti.
Come segnalato in uno studio pubblicato da chi scrive ormai una ventina d’anni or sono4,
non mancano tuttavia negli scritti di Baden Powell brani, che, non solo testimoniano una marcata sensibilità per le istanze della conservazione e preservazione della natura (dalla riduzione
delle porzioni di natura incontaminata in Asia, Africa ed America, al rischio di estinzione di
specie animali e vegetali), ma denotano anche un’adesione entusiastica alla teoria darwiniana e
la propensione per una concezione della natura di tipo sistemico.
Non va d’altro canto dimenticato il rilievo attribuito dalla proposta educativa scout al
rispetto per la natura ed all’amore per gli animali mediante la consacrazione ad essi di un
apposito articolo della legge, il sesto, che, nella versione originaria, recita “a scout is a friend to
animals” e le cui riformulazioni ad opera delle singole associazioni nazionali non fanno altro
che confermare la centralità di cui si è detto.
Ciò vale in particolare per le formule adottate, al momento della loro costituzione, dalle
associazioni di matrice cattolica, costrette a superare la profonda diffidenza dei vertici della
Chiesa nei confronti di un movimento, che, alle colpe derivanti dalla provenienza dal mondo
protestante, dall’eccessiva autonomia concessa al laicato e dai legami con la massoneria, univa
una mitizzazione della natura (umana e non), che rischiava talvolta di sfociare in un panteismo
neppure troppo mascherato. Illuminnanti sono, in proposito, gli studi compiuti sulle origini
dello scautismo francese e di quello italiano5. Ma di grande interesse si rivela anche la ricostru3. Il movimento per la nature education con quello della conservation education, sviluppatosi negli Stati Uniti nel periodo tra le
due guerre mondiali e volto soprattutto alla diffusione di pratiche agricole e forestali meno devastanti per l’assetto del territorio,
viene annoverato tra i precursori del movimento per l’educazione ambientale. In proposito, si veda: W.B. Stapp, Historical setting
of environmental education, in: J. A. Swan, W.B. Stapp (Eds), Environmental education: Strategies toward a more livable future, New York,
John Wiley & Sons, 1974, pp. 42-49.
4. E. Bardulla, Scautismo e educazione ambientale (L’ambiente naturale strumento e obiettivo della formazione scout), Milano, CireaAngeli, 1985.
5. Nel volume Scautismo: Aspetto morale e religioso dello scouting for boys (Roma, Edizioni Paoline, 1951), Tolmino Zelli faceva notare
che, mentre lo scautismo cattolico francese aveva dato del sesto articolo della legge scout “una delle più corrette interpretazioni”
170
zione compiuta da Eric Baratay6 delle fasi che hanno scandito la trasformazione dell’atteggiamento assunto nei confronti degli animali – e, più in generale, della realtà naturale – da parte
della Chiesa francese negli ultimi quattro secoli; in particolare per la sottolineatura, operata da
questo autore, dei legami tra scautismo e francescanesimo (un ulteriore motivo di sospetti da
parte degli ambienti cattolici più tradizionalisti).
Baratay considera l’introduzione in Francia dello scautismo, tra il 1911 ed il 1914, uno
degli esiti prodotti dalla diffusione, seppur tardiva, anche in questo Paese, del movimento romantico europeo; una diffusione preceduta, a partire dagli anni quaranta dell’Ottocento, dalla
riabilitazione di Francesco d’Assisi e dal crescente favore dimostrato, sul finire del secolo, nei
confronti del Cantico delle creature. Si tratta però dello scautismo non confessionale (Eclaireurs
de France) e di quello protestante (Eclaireurs unionistes), perché, per la nascita di quello cattolico
(Scouts de France), bisognerà attendere il 19207. Sette anni dopo, l’infatuazione per la natura avrà
modo di esprimersi anche con la creazione dei Compagnons de Saint François, un’associazione di
giovani studenti, operai ed impiegati amanti della vita all’aria aperta e dediti a gite, pellegrinaggi
e marce fisiche e spirituali. Sempre in Francia, i legami tra scautismo e francescanesimo avranno
modo di manifestarsi nella presenza di esponenti di spicco degli Scouts de France e dei Compagnons de Saint François tra i promotori della creazione di una lega cattolica della protezione,
anche al fine di lottare contro le tendenze materialiste imperanti in materia di zoofilia8.
Va pure ricordato che tanto lo scautismo francese quanto quello italiano hanno proclamato San Francesco loro protettore e che il rapporto tra scautismo e natura, in epoca più recente,
è stato letto in chiave positiva dalla stessa gerarchia cattolica, come dimostra un documento
pastorale diffuso dalla Conferenza Episcopale Lombarda sul finire degli anni ottanta, nel quale
si valorizza il contributo che lo scautismo può recare alla soluzione del ‘problema ecologico’,
educando i giovani al rispetto ed alla salvaguradia della realtà naturale9. Il che, almeno impli(“l’esploratore vede nella natura l’opera di Dio ed ama le piante e gli animali”), quello italiano non aveva ancora trovato una
formulazione soddisfacente e compatibile con la dottrina della Chiesa. La formula “lo scout è buono anche con gli animali”,
proposta dall’ASCI nel 1928, risultava infatti troppo vaga e non richiamava il sentimento religioso di ammirazione verso il creatore suscitato dallo studio della natura. Del tutto insoddisfacenti erano ritenute dallo Zelli anche le formule adottate nel 1943
(“L’esploratore vede Dio nella natura e protegge gli animali e le piante”, considerata poco felice in quanto l’azione protettrice
doveva indirizzarsi agli uomini mentre nei confronti del resto della natura si doveva rispetto) e nel 1946 (“L’esploratore protegge
gli animali creature di Dio”). I testi del sesto articolo della legge adottati attualmente dalle associazioni scautistiche più rappresentative del nostro Paese sono i seguenti: “La guida e lo scout amano e rispettano la natura”, per l’AGE- SCI; “L’esploratore rispetta
e protegge i luoghi, gli animali, le piante”, per il CNGEI; “Lo Scout vede nella natura l’opera di Dio: ama le piante e gli animali”,
per l’Associazione Guide e Scouts d’Europa Cattolici (FSE). A proposito della formula adottata dall’AGESCI, Mario Sica osserva
che essa “vuole rispondere non tanto alle vecchie accuse di naturalismo fatte al testo di Baden-Powell, quanto alle nuove esigenze
ambientaliste. Si tratta però di sfumature. In linea generale, la scelta fatta dalle associazioni italiane è stata di lasciare sostanzialmente immutato il teso, esplicitandolo e attualizzandolo, specie a livello adulto, con documenti di tipo diverso…” (M. Sica, Gli
scout. Storia di una grande avventura iniziata con 22 ragazzi su un’isola, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 33).
6. Cfr. E. Baratay, L’Église et l’animal (France, XVIIe-XXe siècle), Paris, Les Éditions du Cerf, 1996.
7. Anche in Italia, la nascita dello scautismo non confessionale, nel 1912-13, ha preceduto di qualche anno quella dello scautismo
cattolico, avvenuta nel 1916.
8. E. Baratay, op.cit., p. 213.
9. “Un’opera preziosa e insostituibile poi le comunità cristiane possono compiere nell’educazione delle giovani generazioni,
attraverso gli oratori, che stanno conoscendo una stagione di rifioritura nelle nostre diocesi lombarde e attraverso associazioni
pedagogicamente legate alla natura, come ad esempio quella scoutistica. Più di tante parole, lo stile stesso di vita di queste comunità giovanili deve costituire il modo più concreto di educare al rispetto, alla cura e alla salvaguardia dei beni creati”. [Conferenza
Episcopale Lombarda, La questione ambientale (Aspetti etico-religiosi), Milano, Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi
religiosi, 1988, p. 28].
171
citamente, significa riconoscere la funzione in certo senso precorritrice svolta dal movimento
anche all’interno della comunità ecclesiale.
Ancor più che per le ragioni appena esposte, la condizione di privilegio di cui gode lo
scautismo nell’affrontare le sfide dell’educazione ambientale è determinata: per un verso, dal
suo essere un movimento con finalità precipuamente educative, non un movimento ambientalista o conservazionista; per l’altro, dall’evidenza con la quale, nel dispositivo della formazione
scout, viene esaltato il ruolo dell’ambiente come fattore, piuttosto che come semplice sfondo,
dell’azione educativa.
Questa, infatti, consiste nel partecipare ad un gioco, che ha per tema la vita avventurosa
dell’esploratore e dell’uomo dei boschi, e che richiede appunto la progressiva acquisizione
delle competenze e abilità necessarie per prendervi parte. Così, anche l’azione educativa entra
a far parte del gioco, trova in esso una sua rappresentazione ed un significato concretamente ed
immediatamente percepibile, perché funzionale allo svolgimento del complesso consolidato di
attività in cui il gioco consiste. Le norme, le conoscenze, le tecniche, i rituali, i simboli, i ruoli,
le strutture organizzative in cui si articola questa esperienza ludica rappresentano il patrimonio
culturale di cui la comunità degli scout si serve per poter vivere nell’ambiente prescelto: la
natura, ossia un ambiente totale, un ambiente di vita a tutti gli effetti, interagendo col quale e
modificando il quale (materialmente e simbolicamente), si esercitano tutte le funzioni necessarie per vivere. Non un ambiente parziale, per adattarsi al quale viene richiesto l’esercizio di
alcune soltanto di queste funzioni.
Il che significa che la valenza ambientale tanto della cultura quanto dell’educazione tramite la quale questa cultura viene trasmessa ed acquisita (esempio, ‘trapasso delle nozioni’,
esercizio pratico, allenamento fisico, giochi di osservazione e di memorizzazione, ecc.) può
essere colta senza difficoltà. Così come può essere colto senza difficoltà il significato unitario
dei gesti che si compiono e delle competenze che si possiedono. A differenza di quanto avviene
spesso nella scuola, riesce così più difficile che le diverse tecniche ed i diversi settori di attività
finiscano per risultare un’acquisizione fine a se stessa.
Il presupposto, si potrebbe dire la scommessa, su cui si regge l’intero impianto è che gli
apprendimenti realizzati nel corso di questa simulazione siano trasferibili all’esperienza ordinaria, alla vita adulta10. Ciò vale, ovviamente, anche per le conoscenze, gli atteggiamenti ed i
comportamenti ambientali, che, per essere acquisiti in modo durevole, debbono entrare a far
parte, strutturalmente, di questo grande gioco di simulazione.
Un ulteriore vantaggio che l’educazione ambientale attuata dallo scautismo presenta rispetto ad altre esperienze formative, in particolare rispetto a quelle attuate nella scuola, consiste
nella possibilità di trovare il proprio fondamento in un sistema di valori sostanzialmente condiviso. Il che consente di non limitare l’ambito d’azione all’educazione sull’ambiente o all’educazione attraverso l’ambiente e di estenderlo, al contrario, anche all’educazione per l’ambiente,
10. In un primo momento, Baden Powell aveva pensato che il tipo di formazione sperimentato in prima persona, sia da ragazzo
che come ufficiale dell’esercito, ed utilizzato per l’addestramento degli esploratori militari e della polizia sudafricana, potesse
rivelarsi adatto anche a quanti avrebbero operato in contesti analoghi (guardie forestali, personale delle compagnie che operavano
nei territori più selvaggi dell’impero britannico, ecc.). Solo in un secondo tempo si è reso conto della possibilità di applicare lo
stesso modello alla formazione del carattere dei futuri cittadini.
172
nel senso più forte dell’espressione.
Il riconoscimento della condizione di indubbio privilegio in cui lo scautismo si trova, in
linea di principio, rispetto alle potenzialità di educazione ambientale proprie degli stessi movimenti e gruppi ambientalisti, non deve, tuttavia, indurre ad atteggiamenti trionfalistici. Occorre
al contrario verificare fino a che punto le potenzialità di cui si è detto permangono anche nelle
applicazioni che del metodo educativo scout vengono effettuate ai nostri giorni, a distanza di
poco meno di un secolo dalla sua ideazione ed in un contesto profondamente mutato, per
quanto concerne sia lo stato dell’ambiente ed il rilievo assunto dalle problematiche ambientali
sia il significato, gli ambiti, le modalità, le risorse e la coerenza dell’azione educativa.
Un impegno confermato e riconosciuto
La peculiare idoneità dello scautismo a suscitare nei propri aderenti il rispetto e l’amore
per la natura e l’impegno attivo per la sua salvaguardia, come portato della genesi e della struttura di questo metodo di educazione, è, del resto, motivo ricorrente negli interventi su questo
tema degli organismi nazionali ed internazionali del movimento. Ne sono una prova, tra le
tante, le affermazioni contenute nel preambolo del Memorandum of understanding siglato a
Nairobi, nel luglio 2004, tra l’Organizzazione Mondiale dello Scautismo (World Organisation
of the Scout Movement: WOSM) ed il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (United
Nations Environment Porgramme: UNEP) e nei documenti degli organismi internazionali dello scautismo maschile (WOSM) e femminile (World Association of Girl Guides and Girl Scouts:
WAGGGS).
In un pregevole volume dal titolo Scouting and the Environment, pubblicato nel 2002 dal
World Scout Bureau di Ginevra ed al quale avremo faremo di nuovo riferimento nel prosieguo
del presente contributo, si legge:
“The entire history of the Scout Movement is one of dedicated and still largely
unrecognized work on conservation. It is only in the beginning of the seventies,
with the emergence of conservation and the concern for the environment as a vital
world issue, that the importance of Scouting’s role in this field began to become
apparent to a larger public. Scouting has been called ‘a revolution in education’
since it represents a pioneer effort in the field of ‘non-formal’ or ‘out-of school’
education. However, the same can be said also about the pioneer role that Scouting
has played in environmental education. By instilling love and respect for nature
among millions of children and young people that have passed through its ranks,
Scouting has made an extremely significant contribution to the present momentum
of the environmental cause throughout the world”11.
11. P. 7; si tratta della seconda edizione rivista ed ampliata di un volume pubblicato dieci anni prima dal Centre for Prospective
Studies and Documentaion dello stesso World Scout Bureau. La seconda parte della citazione riprende un passo della prefazione
di Jacques Moreillon, allora segretario generale del WOSM, al volume di Frank Opie, The Global Scout: Scouting for Nature and the
173
Per quanto concerne invece il nostro Paese, nel presentare la convenzione stipulata tra il
Ministero dell’ambiente e le associazioni scautistiche AGESCI (Associazione Guide e Scout
Cattolici Italiani), CNGEI (Corpo Nazionale Giovani Esploratori/Esploratrici Italiani), FSE
(Associazione Italiana Guide e Scout d’Europa Cattolici) e MASCI (Movimento Adulti Scout
Cattolici Italiani), per consentire a dette associazioni lo svolgimento delle proprie attività nei
parchi nazionali, il sito web dell’Agesci sottolineava come, all’art. 1, si prendesse “ufficialmente
atto della sensibilità educativa ambientale che le associazioni scout hanno sempre dimostrato e
praticato”.
L’articolo recita: “Il Ministero dell’ambiente consapevole della funzione educativa svolta
dallo scautismo, in particolare dell’uso dell’attività all’aperto e in ambienti naturali ai fini della
formazione del carattere dei giovani, rileva l’importanza, nel perseguimento degli obiettivi e degli scopi previsti dalla legge quadro sulle aree naturali protette, di offrire alle Associazioni scautistiche italiane la possibilità di svolgere le loro attività all’interno dei parchi nazionali, nonché
di agevolare i rapporti reciproci tra gli enti parco e le suddette associazioni”. Da parte loro, le
associazioni scautistiche si impegnano a non costruire impianti fissi non autorizzati nelle aree
loro assegnate, a raccogliere i rifiuti prodotti durante i campeggi, effettuando il compostaggio
di quelli organici, e ad assicurare una gestione eco-compatibile degli spazi a loro disposizione.
Nella premessa al protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’AGESCI sottoscritto nell’aprile 2004, il Ministero “riconosce che la sensibilizzazione e
il coinvolgimento dei giovani nelle attività scoutistiche costituiscono un laboratorio formativo
idoneo a sviluppare senso civico e cultura dei valori umani e ambientali”.
Anche ammettendo, sulla scorta dei documenti appena richiamati, che l’insistenza con
la quale i responsabili dello scautismo rivendicano un diritto di primo-genitura in materia di
educazione ambientale sia dettata in larga misura da ragioni strumentali, si deve ad ogni modo
riconoscere che la ribadita fedeltà all’impostazione originaria in un contesto ambientale ed educativo profondamente mutato ha pur sempre una grande rilevanza ai fini della nostra analisi.
Prima di esaminare in modo più approfondito fino a che punto detta fedeltà non si limiti
alle dichiarazioni di principio, conviene tuttavia precisare come, anche nello scautismo delle
origini, ferme restando le considerazioni fatte sopra, il ruolo delle attività di scoperta e conoscenza della natura risulti tutto sommato marginale, come si evince peraltro dalla trattazione
che ne viene fatta in Scautismo per ragazzi, il primo e più riuscito manuale di metodologia scout
scritto dal fondatore.
Tra impegno e ricerca di strategie
Questo aspetto è stato approfondito da chi scrive nel volume Scautismo e educazione
ambientale, citato in precedenza, nell’ambito del rapporto di collaborazione pluriennalte tra
l’AGESCI ed il Centro Italiano di Ricerca ed Educazione Ambientale (CIREA) dell’Università
Environment (Cape Town, Maskew Miller Longman, 1993).
174
di Parma, allora diretto dal prof. Antonio Moroni. In esso, vengono riportati anche i risultati di
un sondaggio, realizzato su un campione di partecipanti a campi di formazione per gli educatori delle diverse branche di quella associazione (Lupetti/Coccinelle, per la fascia 8-11/12 anni,
Esploratori/Guide, per quella tra gli 11/12 ed i 15, Rover/Scolte per quella tra i 16 ed i 20/21),
che confermano, nella sostanza, il giudizio formulato sulla scorta di una lettura approfondita
degli scritti di Baden Powell.
La collocazione marginale delle attività di osservazione e studio della natura risulta infatti
confermata dalla bassa percentuale di coloro che dichiarano di possedere in questo ambito
competenze sufficienti per organizzare e condurre attività specifiche con i ragazzi, oltre che
dal giudizio sul livello di conoscenza della natura posseduto da questi ultimi. Di gran lunga
più interessante è tuttavia il dato che evidenzia l’andamento inverso del livello di competenza
dichiarato in ambito naturalistico rispetto a quello relativo alle tecniche più consolidate dello
scautismo, pionieristica e topografia, ossia per le tecniche il cui possesso risulta più funzionale
alla vita all’aperto.
Muovendo appunto da questa constatazione, la Pattuglia Nazionale Ambiente costituita dall’AGESCI per individuare, in collaborazione col CIREA, strategie di potenziamento
dell’impegno dell’associazione in campo ambientale, si è proposta di rendere l’attenzione alla
natura ed all’ambiente una componente strutturale del ‘gioco scout’, anziché un elemento
posticcio ed estrinseco a questa esperienza, mediante la messa a punto di una procedura molto
semplificata di valutazione di impatto ambientale, da utilizzare in modo sistematico (in particolare da parte delle unità della branca Esploratori/Guide), in occasione della scelta dei terreni
in cui effetturare il campo estivo e le uscite, durante la conduzione di queste attività ed al termine delle stesse, oltre che trascorsi alcuni mesi dalla loro conclusione.
In via sperimentale ed a scopo dimostrativo, detta procedura è stata utilizzata in occasione
del campo nazionale della branca Esploratori/Guide, che ha visto, nel 1983 una decina migliaia
di ragazzi e ragazze campeggiare in tre località, in Umbria e nel Parco Nazionale d’Abruzzo;
e della ‘route’ (campo mobile) nazionale della branca Rover/Scolte, svoltasi nell’estate 1986,
nella cui fase conclusiva circa diecimila giovani hanno campeggiato per alcuni giorni in località
Piani di Pezza (L’Aquila), un’area di grande pregio naturalistico, nel cuore del territorio divenuto, dopo breve tempo, il Parco naturale regionale Sirente-Velino.
Il tentativo di trasformare in routine le pratiche di previsione, controllo e riduzione
dell’impatto esercitato sull’ambiente naturale dalle attività scout non è però riuscito. La Pattuglia Nazionale Ambiente dell’AGESCI ha di fatto interrotto le proprie attività e lo stesso è
avvenuto per le Pattuglie create nelle singole regioni12.
Ciò non significa, ovviamente, che l’interesse per la dimensione ambientale si sia totalmente esaurito. La già citata convenzione con il Ministero dell’ambiente prevede che gli scout
collaborino “alla diffusione della conoscenza dei parchi nazionali, a partecipare all’opera di
conservazione e sviluppo degli stessi, anche mediante la prestazione di servizi adeguati alle
diverse età dei propri iscritti”. Quella con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
12. Nel n. 4 del 2004 della NewsLetter dell’AGESCI della Lombardia si legge che la Pattuglia Regionale Ambiente di quella
regione “si è finalmente ricostituita”.
175
Ricerca impegna l’AGESCI a consentire la partecipazione di studenti non iscritti all’associazione ai campi scuola organizzati nelle proprie ‘basi’ su temi riguardanti, tra l’altro, “la tutela
dell’ambiente e del territorio (attività di guida, geologo, topografo…)”.
Ma è anche bene precisare che molte unità delle diverse associazioni in cui si articola lo
scautismo italiano si sono impegnate, nel corso di questi anni, su tutto il territorio nazionale, in
progetti di tutela dei boschi, pulizia di litorali e di fiumi, campagne di sensibilizzazione rivolte
alla cittadinanza, ecc. Il CNGEI ha organizzato alcuni anni fa un convegno sul tema dell’educazione ambientale ed ha sottoscritto, nel maggio 2005, un protocollo di collaborazione con
Legambiente per “attività di protezione civile e di educazione ambientale, di formazione e
informazione alla cittadinanza attiva, nonché alla valorizzazione e alla salvaguardia del territorio”, che prevede la partecipazione congiunta ad una serie di iniziative promosse da Legambiente a livello nazionale, quali l’Operazione Fiumi e le campagne ‘Non scherzate col Fuoco’ e ‘Puliamo
il mondo’. Infine, uno dei cinque percorsi tematici del Rover Way, svoltosi nell’agosto 2006 con
la partecipazione di cinquemila giovani tra i 16 e i 22 anni provenienti da tutti i Paesi europei,
aveva per titolo Ambiente e natura13.
Una dimensione marginale?
Sono questi alcuni soltanto degli indizi del perdurare nello scautismo italiano di un certo
grado di attenzione per i problemi dell’ambiente. Qualcuno di essi potrebbe addirittura far
pensare, se non proprio ad una maggiore sensibilità per questo tema, quanto meno ad un interesse più diffuso. E non vi è dubbio che la stessa necessità, per i gruppi scout, di rispettarele norme, di gran lunga più restrittive rispetto al passato, in materia di fruizione degli spazi naturali
(basti pensare a quelle riguardanti il campeggio libero, l’accensione di fuochi, lo smaltimento di
rifiuti o il taglio di piante) ha comportato un adeguamento delle modalità di programmazione e
conduzione delle attività, il cui impatto educativo non può essere certo sottovalutato, proprio
per il discorso fatto sopra sul trasferimento alla vita quotidiana, e soprattutto alla vita adulta,
delle abitudini e delle competenze acquisite partecipando al grande gioco di simulazione costitutito dallo scautismo.
Nel complesso, tuttavia, l’impressione che si ricava anche dalla lettura dei documenti
ufficiali e della stampa interna o dalla consultazione delle pagine web delle associazioni scautistiche del nostro Paese è che siano altre le questioni da privilegiare nell’azione educativa. Ed è
questa un’impressione che trova conferma, seppure indiretta, anche in alcune indagini realizzate sugli appartenenti alla più diffusa associazione scautistica italiana, l’AGESCI.
13. I restanti percorsi tematici riguardavano: storia e tradizioni; arte e cultura; politica e società; scienza e tecnologia. Promosso
dalla sezione europea delle associazioni mondiali dello scautismo e del guidismo, il Roverway, organizzato congiuntamente da
AGESCI e CNGEI, si è articolato in due fasi. La prima ha visto la realizzazione di un centinaio di routes con una cin- quantina
di partecipanti, distribuite sull’intero territorio nazionale per scoprire le realtà più significative delle diverse regioni italiane. Nel
corso della seconda, i giovani sono confluiti a Loppiano, nei pressi di Firenze, distribuendosi nei dieci ‘villaggi’ di un campo
fisso, nel corso del quale hanno affrontato, con l’aiuto di testimoni significativi, le principali questioni con le quali è chia- mata a
misurarsi nel prossimo futuro la comunità umana, ed hanno avuto modo di mettere alla prova le loro competenze partecipando
ad un centinaio di workshop.
176
A natura ed ambiente viene riservato uno spazio assolutamente marginale nel centinaio di domande che compongono il questionario somministrato ai rover ed alle scolte partecipanti, nel
1986, alla Route nazionale della branca R/S conclusasi ai Piani di Pezza, cui già si è accennato.
Non vi si fa alcun riferimento nell’elencare i motivi dell’adesione allo scautismo, gli ambiti del
servizio eventualmente prestato al di fuori dell’associazione (o nei quali ci si vorrebbe impegnare una volta terminato il percorso formativo), i comportamenti trasgressivi sui quali viene
richiesto di esprimere un giudizio.
L’amore per la natura figura invece tra le undici voci proposte dalla domanda su ciò che
caratterizza lo scautismo rispetto ad altri gruppi, movimenti ed associazioni cattoliche, per
ciascuna delle quali viene chiesto di scegliere tra le opzioni: ‘molto’, ‘abbastanza’, ‘poco’, ‘per
nulla’. L’opzione ‘molto’viene indicata dal 54%, preceduta da: ‘il camminare insieme’ (81%), ‘il
servizio’ (74%), ‘il gioco e l’avventura’ (70%), il ‘forte senso di comunità’ (66,7%). Se invece si
sommano le opzioni ‘molto’ e ‘abbastanza’, l’amore per la natura si colloca in seconda posizione, a pari merito con il senso di comunità, preceduto soltanto dal camminare insieme. È però
doveroso osservare che, in assenza di una voce relativa alla vita all’aperto, non è da escludere
che con ‘amore per la natura’ si sia inteso far riferimento anche, o soprattutto, a questo tratto
distintivo dell’esperienza scout. Così come va fatta notare la scarsa plausibilità di gran parte
delle voci restanti (scelta evangelica, presenza nella società con una chiara identità cristiana,
metodo di studio e ricerca dei problemi, impegno in politica).
Due delle domande relative a quelle che gli estensori del questionario hanno classificato
come ‘opzioni di civiltà degli scout’ riguardavano, rispettivamente, l’atteggiamento prevalente
tra i coetanei dopo del disastro di Chernobyl (avvenuto nell’aprile di quell’anno) ed il tipo
di impegno personale che, come scout, ci si proponeva di assumere sui problemi di difesa
dell’ambiente dopo una simile catastrofe. Quanto al primo aspetto, stando alla lettura dei dati
operata da Achille Ardigò, emerge “uno stato di ambivalenza tra atteggiamenti fortemente reattivi, polemici e di speranza…, ed atteggiamenti di paura impotente e di sfiducia”14. Per quanto
concerne invece le ripercussioni sul piano dell’iniziativa personale del disastro nucleare, prevale
l’esigenza di approfondire la questione energetica. Meno della metà di quanti hanno risposto
a questa domanda, ad ogni modo, dichiara l’intenzione di votare per la chiusura delle centrali
nucleari partecipando al referendum indetto su questa materia.
Ancora più interessanti, e non solo perché riferite a dati più recenti, sono le indicazioni fornite dall’indagine effettuata dall’Istituto IARD su un campione di Esploratori e Guide
dell’AGESCI partecipanti al campo nazionale del 200315. Se ne ricava anzitutto che solo una
percentuale assolutamente trascurabile del campione (4,8%) indica il rispetto per la natura al
primo posto tra le caratteristiche più importanti per uno scout. Il che colloca questa scelta in
settima posizione sulle dieci suggerite (anche tenendo conto delle voci oggetto della seconda e
della terza scelta, la graduatoria non subisce variazioni di rilievo).
14. A. Ardigò, Le opzioni di civiltà degli scouts (Servizio militare ed obiezione di coscienza, volontariato femminile, scelte politiche, che pensare
del successo, dopo Chernobyl, che fare), in A. Ardigò, C. Cipolla, S. Martelli, Scouts oggi (Diecimila rovers/scolte dell’Agesci rispondono),
Roma, Borla, 1989, p. 196.
15. Cfr. AGESCI, a cura di Rosa Calò, 80 voglia di… Bisogni, valori e sogni di adolescenti scout, Rapporto Istituto IARD Franco Brambilla su esploratori e guide partecipanti al Campo Nazionale Agesci 2003, Roma, Nuova Fiordaliso, 2004.
177
Stanti le molte opportunità di cui gli adolescenti di oggi dispongono a questo riguardo,
non assume grande rilevanza, ai fini del discorso che andiamo facendo, l’undicesima posizione
in cui si colloca, tra le tredici motivazioni principali di adesione allo scautismo (nelle prime
posizioni si collocano il mettersi alla prova, lo stare con gli amici, il divertirsi, l’imparare cose
nuove ed il fare cose avventurose), la possibilità di stare all’aria aperta (1,2%). Rivelatore è invece il fatto che, anche in questa indagine, tra i possibili comportamenti devianti suggeriti dalla
domanda relativa a senso civico e trasgressione, non ve ne sia alcuno che abbia a che fare con il
rispetto dell’ambiente naturale. Ma stesso discorso va fatto per l’assenza di qualsiasi riferimento
a natura ed ambiente nell’elenco delle ben ventuno ‘cose’ importanti proposte dalla domanda
relativa ai valori (amicizia, famiglia, pace, libertà, rispetto, sincerità, amore, lealtà, divertimento,
fedeltà, giustizia, aiutare gli altri, solidarietà, studio, sport, coerenza, religione, piacere agli altri,
lavoro, diventare una persona importante, ricchezza).
Una conferma della marginalità della dimensione naturalistico-ambientale viene anche
dal dato relativo alle competenze acquisite facendo scautismo. La capacità di riconoscere piante ed animali viene dichiarata ad un livello elevato (‘molto bene’) dal 7,6% del campione (la
percentuale più bassa, dopo ‘suonare la chitarra’, tra le diciotto competenze suggerite dal questionario) e ad un livello discreto (‘abbastanza bene’) dal 25,7%: un dato che colloca questa
voce al terzultimo posto della graduatoria e che risulta ancor più significativo, se si considera
che il 16,5% dei soggetti dichiara di non avere acquisito alcuna competenza in materia. Il che,
unitamente alle percentuali altrettanto basse ottenute per le attività di orientamento, induce gli
autori del rapporto ad affermare che lo “stereotipo del ragazzo scout che con lo zaino in spalla,
la cartina e la bussola va all’avventura, immergendosi in qualche ambiente naturale che conosce bene, sembrerebbe, dunque, essere soppiantato dall’immagine di un ragazzo che, prima di
tutto, nelle riunioni incontra gli amici e con essi si diverte, vive in profondità la dimensione del
gruppo e della comunità, imparando con loro a lavorare insieme, ad ascoltarsi reciprocamente
e a cercare di cogliere le esigenze dell’altro”16.
Nel proprio commento ai risultati dell’indagine, inserito nella parte finale del rapporto
unitamente all’interpretazione del pedagogista Ferdinando Montuschi17, lo psicologo Augusto
Palmonari si chiede, molto opportunamente, in che misura la scarsa importanza attributa alle
competenze manuali, al sapersi orientare con bussola e carta ed al riconoscimento di piante ed
animali possa dipendere dal modo in cui sono state formulate le domande o dalla mancanza
di competenze in questi ambiti da parte degli adulti impegnati nell’associazione in qualità
di educatori. Ai fini del nostro discorso, tuttavia, la sostanza non muta. Tanto l’ipotesi della
16. Ivi, p. 60.
17. L’evidente squilibrio generato dal rilievo attribuito in misura pressoché esclusiva alla socialità, a scapito dell’esplorazione
dell’ambiente naturale e dello sviluppo delle abilità manuali, deve essere colmato, per Montuschi da un intervento educativo
volto a recuperare queste dimensioni. “Proprio nel tempo in cui i ragazzi vengono esclusi dai cortili, dai prati, dalle piazze e
dalle strade, diventa necessario riconquistare i luoghi dell’incontro con la natura e quelle abilità che tradizionalmente venivano
apprese naturalmente e spontaneamente all’interno delle famiglie. … Esplorazione, contatto con la natura, capacità manuale
hanno un valore formativo che garantisce alla persona non solo la sopravvivenza o la soluzione di problemi in autonomia ma
anche una modalità di ‘divertimento’ essenziale, appagante e arricchente, capace di tenere lontano sia la noia sia anche il bisogno
di emozioni forti, fuori da ogni ‘dipendenza’ (rischio, velocità, giochi estremi, sfida con il pericolo, scommesse sulla propria vita,
esibizioni ossessive…)” (Ivi, pp. 143-144 passim).
178
marginalità di interessi e competenze naturalistiche quanto quella di un uso in certo senso
parassitario dell’ambiente naturale sembrano infatti trovare, anche in questi dati, una piena e
pesante conferma.
L’azione delle organizzazioni internazionali
Il quadro non muta, nella sostanza se si estende lo sguardo al livello internazionale. Di
particolare utilità si rivela, a tal fine, la già citata pubblicazione dell’Organizzazione mondiale
dello scautismo, nella quale vengono ripercorse le tappe dell’impegno del movimento scout
per la conservazione della natura e la salvaguardia dell’ambiente, con lo scopo dichiarato di
incrementare in tal modo l’attrattiva che lo scautismo può esercitare sul mondo giovanile.
Precisato che l’intero approccio pedagogico di Baden Powell è nature-based e nature-oriented, si ricorda che, a partire dal suo primo numero, nel 1921, con il titolo Jamboree, il mensile del
World Scout Bureau, World Scouting, ha pubblicato molti articoli su questi temi, dedicandovi
una rubrica fissa fin dal 1956. Viene poi richiamata la pubblicazione, nel 1958, da parte del Boy
Scout International Bureau, del libro, di Jack Cox, Serve by Conserving, con il sottotitolo The
World Problem of Conservation, with special reference to ways and means in which Scouts can help, and
are helping, to conserve the Wildlife and Natural Resources of their own countries.
Nel periodo tra il 1967 ed il 1988, a prevalere sono: le iniziative di informazione-sensibilizzazione; l’istituzione di riconoscimenti (conservation badge), la partecipazione ad eventi
ed incontri promossi dagli organismi internazionali (Anno Europeo della Conservazione e
Conferenza Europea sulla Conservazione della Natura organizzata dal Consiglio d’Europa nel
1970)18; la creazione di un World Scout Conservation Committee; la firma di una dichiarazione
d’intenti con il WWF nel 1973; la pubblicazione di un opuscolo, Camping and conservation, per
ridurre l’impatto ambientale dei campi scout.
Dal 1989, tramite soprattutto il suo Comitato per la ricerca e lo sviluppo (anche questo un
indizio rivelatore), l’Organizzazione Mondiale dello Scautismo si è impegnata per rafforzare la
dimensione ambientale del movimento. Così, oltre a potenziare la collaborazione con il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) e con il WWF: si è proclamato il World
Scout Environment Year, dall’aprile 1990 all’agosto 1991, anche al fine di pubblicizzare l’interesse del movimento per la problematica ambientale; si è varato un progetto di ricognizione della
letteratura e di esame delle iniziative in atto, i cui risultati sono stati presentati nel corso di un
seminario svoltosi a Schloss Marbach, in Germania, nel gennaio 199119; si è varato, alla fine del
1991, il Nature and Environment Programme, con l’intento di realizzare appieno le potenzialità
18. La traduzione, a cura di Mario Sica, del testo del rapporto presentato alla Conferenza Europea sulla Conservazione della
Natura del febbraio 1970 dal Bureau Mondiale dello Scautismo è stata pubblicata sul numero 149, del novembre 1970, di Estote
Parati, la rivista dei capi dello scautismo cattolico maschile, Asci (Associazione Scout Cattolici Italiani), unificatasi nel 1974 con
la corrispondente associazione femminile, AGI (Associazione Guide Italiane) per dar vita all’AGESCI.
19. Dall’incontro è emersa la necessità di una spinta decisa per rafforzare la dimensione ecologica e ambientale dello scautismo,
è stato riaffermato il ruolo fondamentale svolto dalla natura nel metodo scout e sottolineato che lo spirito ambientale deve permeare tutti gli aspetti del movimento, anziché concentrarsi in progetti ambientali specifici.
179
insite nella dimensione ambientale dello scautismo per accrescere la visibilità e la capacità di
attrazione del movimento.
L’aspetto più innovativo del progetto, di durata triennale, è consistito nella creazione del
World Scout Environment Network (WSEN)20, una rete elettronica, coordinata da un giovane
volontario, per collegare gli appartenenti al movimento a livello planetario, incoraggiarne le
iniziative in favore dell’ambiente, stimolarne l’impegno nelle comunità locali ed intensificare
lo scambio delle idee. Ma lo scopo è anche quello di “refocus the traditional educational methodology of Scouting, orienting it towards a holistic approach to Scout activities, building a healty human
environment for young people, and the notion of a learning community of adults and young people”.
Il messaggio che si vuole veicolare, tramite la rete e l’allestimento del Global Development
Village nei raduni mondiali (Jamboree) svoltisi a partire dal 1991, è quello dell’interdipendenza
tra lo sviluppo dell’individuo e quello della comunità, e della necessità di considerare lo sviluppo ad una scala globale e secondo la prospettiva della sostenibilità.
L’ambito nel quale ci si muove è, ancora una volta, quello della sensibilizzazione, della
presa di coscienza dei problemi ambientali con i quali l’umanità è chiamata a misurarsi a livello
planetario, anche se, ovviamente, la scelta dei temi ed il linguaggio impiegato sono in linea con
gli sviluppi che la problematica ambientale ha fatto registrare, a partire da fine anni ottanta, in
seguito alla pubblicazione del rapporto Our Common Future, stilato dalla Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo presieduta dal primo ministro norvegese del tempo, signora
Bruntland. Come in precedenza si era potuta rilevare la sostituzione, nella pubblicistica scout,
di termini quali ‘conservazione’, ‘conservazione della natura’, ‘preservazione della natura’, ‘attività di preservazione’ con il termine ‘ambiente’, così ora si deve registrare il ricorso sempre più
frequente ai termini ‘sostenibilità’ e ‘globalizzazione’ ed ai loro derivati.
Vengono anche pubblicati nuovi manuali (il volume di Opie citato in precedenza e Journey
to Heart of Nature, scritto dal naturalista Joseph Cornell in collaborazione con il pedagogista californiano Michael Deranja) e nuovi opuscoli (tra i quali Scouting … Naturally, distribuito ai partecipanti alla 33a Conferenza Mondiale dello Scautismo svoltasi in Tailandia, nel luglio 1993).
In una delle sue risoluzioni (11/93), questa Conferenza, oltre a precisare cosa deve intendersi per educazione ambientale attuata dallo scautismo21, fa proprio il programma triennale Scouting for Nature and Environment, promosso dal WOSM per mobilitare il movimento sulla questione ambientale. In esso vengono anche fissati i principi cui deve ispirarsi tale mobilitazione.
In primo luogo, essendo lo scautismo un movimento educativo per la gioventù, occorre
potenziare al massimo il ruolo delle idee, dei progetti e delle iniziative elaborate dalla base giovanile, ridimensionando quello dei programmi predisposti dai vertici associativi. La dimensione ambientale, poi, non va intesa come un nuovo settore di attività bensì come una forza guida
su cui basarsi per proteggere l’ambiente, contribuire allo sviluppo sostenibile e migliorare la
20. Nel 1994, il nome della rete è stato mutato in READY, termine dotato di grande potere evocativo per gli scout. Quattro anni
dopo, però, il venir meno delle risorse finanziarie ha determinato l’abbandono del progetto, in parte recuperato nell’ambito
dello ‘spazio attivo’ di informazione denominato Global Development Village creato nei Jamboree organizzati a livello mondiale e
continentale.
21. “Environmental Education in Scouting is the development, through the Scout method, of knowledge, skills and attitudes leading to action to
improve and sustain the quality of all life on earth”.
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qualità dello scautismo, riconsiderandone tutti gli aspetti (attività, metodo, scopo). Ma la presa
in carico della dimensione ambientale deve pure coinvolgere la stessa organizzazione del movimento (stile, sistemi, strutture, capacità e personale); un richiamo, quest’ultimo, che recepisce
una delle acquisizioni più significative della riflessione più recente in materia di educazione
ambientale, ossia il riconoscimento del ruolo decisivo svolto dai messaggi veicolati, seppure
implicitamente, dall’assetto organizzativo e dalle modalità di funzionamento delle istituzioni
educative22.
Oltre alla creazione della rete mondiale cui già si è fatto cenno, altro punto di forza del
programma Scouting for Nature and Environment è stato il varo, nel 1996, di alcuni Scout Centres
of Excellence for Nature and Environment (SCENES)23, dove educatori scout, unità o singoli scout
possono scoprire l’ampiezza di opportunità offerte dalla natura e dall’ambiente. Scopi di questa rete di centri disseminati in vari Paesi (Australia, Austria, Danimarca, Islanda, Sudafrica,
Svizzera, Stati Uniti) sono: potenziare le tre dimensioni della formazione scout in rapporto
all’ambiente ed alla natura (educazione attraverso, su e per l’ambiente e la natura); rendere lo
scautismo più divertente, attraente e significativo per i giovani di oggi, appartenenti o meno al
movimento; creare reti informali tra educatori scout; ma anche migliorare considerevolemente
l’immagine dello scautismo e la comunicazione con l’interno e l’esterno del movimento, creando così nuove occasioni per attirare contributi finanziari.
Tra le iniziative più recenti del WOSM, merita poi di essere segnalata l’istituzione dello
Scouts of the World Award, un riconoscimento concesso ai giovani tra i diciassette ed i ventisei
anni, appartenenti o meno al movimento, che, dopo aver seguito un apposito corso di formazione, abbiano effettuato un servizio volontario di almeno due settimane nei settori ambientale, della cooperazione e della pace24. A persone esterne al movimento che si siano prodigate
per la costruzione di un mondo migliore, rappresentando così un modello per i giovani in
ambiti quali la pace, l’ambiente, l’educazione, la salute, la lotta alla fame e la conservazione
del patrimonio culturale è destinato invece il World Citizen Award istituito dall’organizzazione
mondiale dello scautismo femminile.
Meritevole di segnalazione è anche il documento di base predisposto per il Simposio Arabo, Africano ed Europeo su Scouting and the Humanisation of globalisation, che avrebbe dovuto
22. La risoluzione 12/93 della Conferenza “calls on National Scout Organizations, the World Committee and the World Bureau to examine their methods of operation and management to reduce their use of consumable materials, increase the use of recyclable materials and avoid
using materials harmful to the environment”.
23. Scouting and the Environment, cit., p. 37. I centri SCENES, istituiti dalle associazioni nazionali secondo i criteri fissati dall’Organizzazione Mondiale, aderiscono ad una SCENES Charter, il cui testo recita:
“It is time for young people to play a more active role in creating tomorrow’s world. As a SCENES Centre, open to all without distinction, we
encourage:
• the nurturing of the natural environment, by caring for soil, air, water, plants and animals given as precious gifts from the Creator;
• the promotion of quality of life for all human beings by a wise use of natural resources;
• the education of young people, by providing useful opportunities to learn and to take an active part in activities that touch the earth and our
culture;
• the communication of good ideas, by sharing our best with others and by hearing what others have done in the worldwide SCENES network,
and in organisations otuside Scouting”.
24. “The Scout of the World will be the guardians and protectors of the environment. They will strive to reveal to others the splendours of nature
and the spiritual dimension that it expresses. They will take action in their communities in order to make people more aware of the need to live in
sym- biosis with the environment and use its resources responsably”.
181
svolgersi ad Algeri nel dicembre 2003 e che non ha invece avuto luogo in seguito al terremoto
che ha colpito l’Algeria in quell’anno. In esso, per quanto concerne l’educazione ambientale
(gli altri temi del simposio erano: l’educazione allo sviluppo, l’educazione alla pace e la solidarietà), viene prospettata l’esigenza, per lo scautismo, di intensificare gli sforzi in questo ambito,
soprattutto introducendo nei propri programmi l’educazione per lo sviluppo sostenibile e non
solo quella per la conservazione.
Non è ovviamente possibile, in questa sede, anche solo accennare alle attività realizzate
nei singoli Paesi. Oltre all’elenco riportato, a titolo d’esempio, in una delle appendici di Scout
and the Environment, si rimanda per questo alle informazioni facilmente reperibili nei siti web
sia del WOSM e del WAGGGS che delle associazioni nazionali. Può essere sufficiente presentare un quadro delle diverse tipologie cui tali attività sono riconducibili. Queste vanno dall’organizzazione di incontri, dibattiti, campagne di sensibilizzazione rivolte sia all’interno che
all’esterno del movimento, alla partecipazione a programmi ed eventi promossi da organismi
ed agenzie internazionali, istituzioni nazionali e locali, organizzazioni non governative ed associazioni ambientaliste; alla promozione ed attuazione di progetti di riforestazione, recupero
ambientale, tutela di ambienti e specie a rischio di estinzione, pulizia di litorali, fiumi, boschi
e aree urbane; alla organizzazione di seminari e workshop, campagne di sensibilizzazione dei
cittadini e delle scolaresche; alla pubblicazione di manuali e linee guida per la fruizione degli
ambienti naturali; alla organizzazione di mostre e concorsi di vario genere; alla riattivazione di
sentieri ed all’allestimento di percorsi naturalistici; ai servizi resi in occasione di manifestazioni
di rilevanza internazionale, nazionale e locale; alla introduzione di accorgimenti per la riduzione dell’impatto ambientale, lo smaltimento dei rifiuti, il risparmio energetico, la riduzione
degli sprechi durante lo svolgimento di raduni scout a vario livello; alla creazione di brevetti
di competenza e di specialità in ambito naturalistico-ambientale, per citare quelli di gran lunga
più ricorrenti.
Una funzione soprattutto strumentale
Nel complesso, dalle prese di posizione degli organismi internazionali e dalla descrizione
dei progetti e delle attività cui si è appena fatto cenno, risulta confermata l’impressione che ambiente e natura siano vissuti come qualcosa di estrinseco: un repertorio di temi su cui dibattere
ed acquisire informazioni, uno spunto per la realizzazione di imprese e di servizi alla comunità
o l’apprendimento di competenze specialistiche. L’impressione di un rapporto in prevalenza
estrinseco con le problematiche ambientali sembrerebbe d’altro canto confermata dalla stessa
sistematicità con la quale, nelle risoluzioni e rapporti degli organismi internazionali, viene
costantemente ribadita l’esigenza, per il movimento, di compiere ulteriori sforzi su questo
versante.
Vale, del resto, anche a livello internazionale, il discorso fatto in precedenza su quanto
emerso da alcune delle indagini realizzate nel nostro Paese. Il riferimento è, in particolare, alla
ricerca sugli effetti educativi dello scautismo, commissionata dal Comitato per la Ricerca e lo
182
Sviluppo del WOSM a Mai Tra Bach, Laurie Huberman e Françoise Sulser. Attraverso lo studio approfondito di tre unità scout (una belga, una francese ed una scozzese), apprezzate per il
successo nell’applicazione del metodo25, i ricercatori si sono proposti di accertare in che misura
gli adulti impegnati come educatori riuscivano a proporsi come modello per i ragazzi (tra i 14
ed i 17 anni), ed in che modo le attività svolte consentivano a questi ultimi di assumere ruoli e
sviluppare competenze ritenuti significativi, da loro stessi e dagli altri, ai fini dell’inserimento a
pieno titolo nella società.
Tanto nella parte della pubblicazione dedicata alla descrizione delle attività svolte dai tre
gruppi ed alla presentazione delle linee pedagogiche adottate dai rispettivi educatori quanto
nelle parti riservate all’apprezzamento delle attività ed alla percezione che educatori e ragazzi
hanno delle relazioni interne al gruppo, di alcuni elementi della metodologia scout, nonché
dell’influenza esercitata dallo scautismo sulla formazione dei giovani, lo spazio riservato alla
componente naturalistico-ambientale è quasi inesistente.
Risulta, è vero, che il campo scout è l’attività di gran lunga più apprezzata dai ragazzi,
indipendentemente dall’età, e che essi considerano il vivere a contatto con la natura sotto
una tenda una componente irrinunciabile dell’esperienza scout. Di sfuggita, si accenna anche
all’impegno profuso dagli educatori per trasformare in abitudine il rispetto per l’ambiente ed al
fatto che l’esperienza del campo favorisce l’acquisizione consolidata di questo atteggiamento
da parte dei ragazzi man mano che la scoperta delle bellezze della natura li porta a sentirsi in
comunione con l’ambiente naturale e sviluppa in loro una maggiore consapevolezza della necessità di tutelare l’ambiente. Oppure si segnala che la scoperta della natura, unitamente ad alcune pratiche sportive di tipo avventuroso, rientra tra le attività all’aperto preferite dai ragazzi26.
Resta il fatto, però, che a rendere il campo il momento dell’esperienza scout più apprezzato ed atteso dai ragazzi è soprattutto il suo essere un’occasione, per molti aspetti unica,
di evadere dalla routine quotidiana, trascorrendo un periodo di tempo relativamente lungo
lontano dalla famiglia con il gruppo dei pari. Il che consente loro di sentirsi più autonomi, di
mettere alla prova le loro capacità, di esercitare il loro spirito di iniziativa, di assumersi delle
responsabilità, di diventare più tolleranti, di aiutarsi l’un l’altro, di riflettere. In altri termini, di
vivere in un mondo che è soltanto il loro, non quello degli adulti.
Di natura ed ambiente non si trova poi traccia tra i principali ambiti nei quali lo scautismo, a giudizio dei ragazzi e dei genitori intervistati, produce i propri effetti educativi. Questi
consistono piuttosto: nella capacità di vivere e lavorare in gruppo; nell’acquisizione di abilità
pratiche; nella maturazione di valori; nel saper superare le difficoltà; nell’essere premurosi
verso gli altri; nel senso di responsabilità; nella fiducia in se stessi; nella capacità di esprimersi
e di comunicare; nelle abilità di leadership; nella tolleranza e nella condivisione; nel senso
di appartenenza al gruppo; nello sviluppo fisico. Ma stesso discorso può essere fatto per le
abilità tecniche e pratiche acquisite nel corso delle attività. Per l’unità scozzese, di più recente
25. Cfr. Research & Development Committee of the World Organization of the Scout Movement, A Research Report – The Educational Impact of Scouting: Three case studies on Adolescence, Geneva, World Scout Bureau, 1995. L’indagine è stata realizzata mediante
interviste in profondità ad educatori, ragazzi e genitori ed osservazioni condotte durante lo svolgimento delle attività dei tre
gruppi scout.
26. Ivi, pp. 68, 66.
183
istituzione, le competenze elencate si riferiscono in prevalenza alle tecniche scout tradizionali
(orientamento, nodi, pronto soccorso) ed agli sport finalizzati alla promozione della forma fisica, dell’agilità mentale, del coordinamento psicomotorio e del lavoro in gruppo. Per la francese
e la belga, a prevalere sono invece le abilità di carattere attitudinale (meccanica, contabilità,
lavori in muratura, falegnameria, giornalismo, fotografia, drammaturgia, ecc.)27.
Meritevole di segnalazione è infine il dato relativo al ruolo che, a giudizio dei ragazzi più
grandi, la vita a contatto con la natura, unitamente alle esperienze significative realizzate ed ai
rapporti intensi stabiliti, ha svolto nell’aiutarli ad interrogarsi sul loro sistema di valori, sui loro
rapporti col mondo, sull’ambiente in cui vivono e sul senso della loro esistenza.
“Many comments – riferiscono i ricercatori – indicate that their reflection has led them to question
their own attitudes and behaviour and to modify, or attempt to modify, certain attitudes or aspects of their
behaviour which did not seem to be coherent with the values that they find important”28.
Un risultato non sempre garantito
Quest’ultimo dato offre lo spunto per rilevare come, anche per quanto concerne la valutazione degli esiti formativi dell’appartenenza al movimento, vita all’aperto e contatto con
la natura assumano una valenza più che altro strumentale29, operante, per di più, in chiave
prevalentemente negativa. Ciò che importa, in altri termini, non sono tanto i tratti peculiari di
questo tipo d’ambiente e delle interazioni che con esso si possono instaurare. Lo è molto di più
l’opportunità che esso offre di effettuare una rottura con lo stile di vita abituale, di aumentare
la coesione del gruppo, di cavarsi d’impaccio in circostanze inusuali, di riflettere senza fretta su
questioni importanti, di provare sensazioni nuove, di vivere in un mondo altro. Così intesa e
vissuta, la natura è, più che altro, non-città.
Delle tre dimensioni dell’educazione ambientale sopra ricordate, educazione su, attraveso
ed in favore dell’ambiente, a prevalere è decisamente la seconda. Sotto questo profilo, non si
può certo negare che lo scautismo attuale sia rimasto fedele all’impostazione originaria. Ed è
questa la ragione per cui le differenze, anche profonde, facilmente rilevabili tra la condizione
giovanile odierna e quella degli inizi del Novecento, a ben considerare, non incidono in termini sostazianziali sulla validità ed attualità della proposta. Ciò vale per le maggiori opportunità
che oggi si offrono agli adolescenti di praticare gli sport, di viaggiare, di conoscere ambienti
nuovi, di disporre di ampi margini di libertà nell’occupazione del tempo libero, di comunicare
27. Ivi, pp. 217-218.
28. Ivi, p. 196.
29. “La vita all’aperto, però, si giustifica nello scautismo sempre in funzione della formazione del carattere. Essa rimane un
mezzo, non un fine. L’ambiente naturale fa da supporto al primo e più importante dei quattro punti di Baden-Powell, ossia la
formazione del carattere. … L’ambiente naturale, con le sue difficoltà – il freddo, il caldo, la pioggia, la fatica – ma anche con
la sua bellezza, forma la personalità, in modo forse insostituibile, sui tre piani dell’educazione: fisico, con l’irrobustimento
progressivo del corpo alle prese con le forze della natura; intellettuale, per le meraviglie che si ha la possibilità di apprezzare e
al tempo stesso per la necessità di trovare soluzioni agli ostacoli da affrontare; spirituale, poiché la natura e la sua conoscenza
rappresentano un modo per avvicinarsi a Dio; lo scautismo ritrova in questo concetto una tradizione filosofica millenaria” (M.
Sica, Gli scout …, cit., pp. 53-54).
184
tra loro, di trascorrere periodi di tempo anche prolungati lontano dalla famiglia, di accedere alle
informazioni, di discutere, di frequentare luoghi di divertimento. Il che comporta ovviamente
l’impossibilità, per lo scautismo, di continuare ad essere per molti ragazzi il solo o principale
mezzo per soddisfare questi bisogni e quindi anche di assorbire in misura massiccia il loro tempo e le loro energie; ed è questo un aspetto le cui ripercussioni sul tempo e le energie dedicate
all’apprendimento delle tecniche scout e sul raggiungimento di elevati livelli di competenza
sono del tutto evidenti.
La forza motivante della natura, un tempo individuata nelle possibilità di avventura, di
isolamento e di esplorazione offerte dall’ambientazione del gioco scout in questo contesto,
viene oggi ricercata nel richiamo esercitato sui giovani dall’impegno per la causa ambientale.
Unitamente alla riconfermata fedeltà all’impostazione metodologica delle origini (una
fedeltà messa in discussione nel periodo della contestazione giovanile di fine anni sessanta
del secolo scorso), ed al conseguente riconoscimento della funzione metaforica dell’ambiente
educativo, ciò testimonia una trasformazione tutt’altro che irrilevante nel modo di porsi della
questione ambientale. Nel senso che, anche per effetto della valenza politica sempre maggiore e
sempre più esplicita assunta dall’impegno per la tutela dell’ambiente, il rischio di una contrapposizione tra valorizzazione dell’ambiente naturale ed impegno sociale pare definitivamente
scongiurato, a differenza di quanto era accaduto, appunto, subito dopo il sessantotto30.
Lo ‘sfruttamento’ dell’attenzione alle problematiche ambientali come ‘richiamo’ per i giovani del nostro tempo e come fattore di promozione dell’immagine del movimento presso i
pubblici poteri e la pubblica opinione o, addirittura, per ottenere finanziamenti da istituzioni
pubbliche e private non deve scandalizzare più di tanto; e non solo perché si tratta di intenzioni dichiarate in modo esplicito. Lo stesso Baden Powell, d’altro canto, non disdegnava il
ricorso a simili espedienti per rendere il ‘gioco scout’ più attraente per i ragazzi e per favorirne
la diffusione in tutti i continenti. Per non considerare, poi, che gli esiti perseguiti dalla formazione scout, in termini di servizio al prossimo, impegno civile, senso di responsabilità, lavoro
d’équipe, assunzione di leadership, apertura al nuovo, partecipazione, fiducia nella possibilità
di contribuire al miglioramento della società, spirito critico, essenzialità, gusto del lavoro finito,
attenzione alle piccole cose, ecc., assumono una considerevole rilevanza anche ai fini dell’educazione ambientale31.
30. La contrapposizione tra fedeltà all’impostazione originaria, quanto a centralità della vita all’aperto e del contatto con la
natura, ed impegno politico-sociale, oltre che nello scautismo cattolico italiano, si è manifestata in modo particolarmente acceso,
tra la fine degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta del secolo scorso, anche in quello francese, come osserva Baratay.
Questi rileva peraltro come, più in generale, per il mondo cattolico d’oltralpe, l’attenzione prestata ai problemi del terzo mondo
si traducesse nell’adesione al modello di dominio della natura per favorire lo sviluppo. Ed individua nella riscoperta della natura
da parte degli Scouts de France, negli anni ottanta, dopo l’oblio del decennio precedente, un indizio del mutato atteggiamente
della Chiesa francese nei confronti della protezione (E. Baratay, op.cit., p. 298). Per quanto riguarda lo scautismo cattolico italiano, Mario Sica, riferendosi al dibattito avvenuto nell’AGI e nell’ASCI sul finire degli anni sessanta, afferma: “Si parla anche di
‘demitizzare la natura’, volendosi con questo criticare la contrapposizione tra la natura e il mondo degli uomini e la concezione
dello scout-uomo-del-bosco, appartenente alla prima e ritornante al secondo con una specie di benevolenza paternalistica e non
senza nostalgia della vita del bosco. Di qui l’insistenza sulla città e sul quartiere come campo d’azione e di servizio, specie in età
rover/scolta.” (M. Sica, Storia…, cit., p. 340).
31. Viene spontaneo il riferimento al progetto Esip (Environmental School Initiatives Project) del Ceri/Ocse, nel quale però il rapporto tra focalizzazione dell’attività sulle problematiche ambientali e sviluppo di ‘qualità dinamiche’, quali la propensione ad
assumere iniziative, a fare affidamento sulle proprie capacità e a comportarsi coerentemente con un determinato sistema di valori,
viene ribaltato. L’indagine realizzata su un campione di scuole europee intendeva infatti evidenziare il contributo che l’attuazione
185
Si deve tuttavia riconoscere che, in tal modo, lo scautismo si pone in certo senso a
rimorchio di tendenze maturate al suo esterno, per cui riesce senza dubbio più difficile considerarlo alla stregua di un’avanguardia, come invece si sostiene in chiusura di Scouting and
the Environment:
“Scouts by origin, by vocation, have always had the ambition of being ‘éclaireurs’,
pathfinders, those who walk ahead and discover new roads. Scouting has been a
pioneer in the field of the environment, even before the term reached its popularity
thoughout the world. Today, more than ever, Scouting must contribute to the future
of the Earth its most valuable resource: a generation of young people full of vision
and determination who are and will be the stewards of the planet!”32
Ai fini del nostro discorso questo aspetto potrebbe non rivestire una particolare rilevanza.
Importa se mai evidenziare il rischio di attribuire allo scautismo, a prescindere dal ruolo profetico o meno assunto da questo movimento in campo ambientale, una specifica efficacia formativa in questo ambito33. Di ritenere, cioè, che l’ambientazione del ‘gioco scout’ in un contesto
naturale, quale che sia la cultura da cui sono regolate le interazioni concrete e simboliche con
questo tipo d’ambiente, sviluppi, di per sé, una certa sensibilità ed un certo modo di pensare e
favorisca l’adozione di atteggiamenti e comportamenti responsabili nei confronti dell’ambiente
naturale. L’ipotesi che, in uno scautismo vissuto per forza di cose come esperienza sporadica
e, di conseguenza, sempre più intellettualizzata (per non dire scolasticizzata), la natura e la vita
all’aperto non riescano più ad essere ambiente, fattore di educazione, ma si riducano a semplice
sfondo o a spazio fisico del tutto ininfluente sullo svolgimento delle attività, risulta, a ben considerare, tutt’altro che peregrina34. Quanto meno, gli elementi forniti nel presente contributo
dovrebbero suggerire un’estrema prudenza a questo riguardo. Per riprendere lo slogan col quale, sul finire degli anni settanta, Antonio Moroni, intervenendo alla route delle comunità capi
di Bedonia (PR), invitava l’AGESCI a recepire il messaggio della nascente ecologia, passando
‘dalla natura all’ambiente’, qualora l’ipotesi di cui sopra venisser confermata, si tratterebbe oggi
di progetti di educazione ambientale didatticamente innovativi reca allo sviluppo negli allievi di dette qualità. Si vedano in proposito: Ceri, Environment, école et pédagogie active, Paris, OCDE, 1991 e M. Mayer (a cura di), Una scuola per l’ambiente (Risultati di
una ricerca promossa dall’Ocse), Frascati, Centro Europeo dell’Educazione, 1989.
32. Scouting and the Environment, cit. p. 50.
33. Non sembra sottrarsi a questo rischio Mario Sica quando scrive: “Va notato che la natura è molto più che uno scenario per
certe attività dello scautismo: è un aspetto intimo di noi stessi, un simbolo universale del nostro inconscio personale che ci
rimette in contatto con un’origine comune a tutti gli uomini e risalente ai primordi della presenza umana sulla terra. Per questo
essa esercita sulla psiche del ragazzo – e di moltissimi adulti – un richiamo enorme, che ha anch’esso un valore non transeunte
ed è forse ancora più forte oggi che non ai tempi di Baden-Powell, perché si lega alle preoccupazioni ecologiche e di tutela di un
ambiente naturale sentito ormai come a rischio. In linea con queste preoccupazioni, lo stile di vita all’aperto degli scout è oggi
divenuto maggiormente ‘ecologico’: ossia, più conscio della fragilità dell’ambiente e dell’eccessiva utilizzazione economica delle
sue risorse, più attento all’uso di forme altenative di energia e in genere maggiormente sensibile alle tematiche ambientaliste, anche se si è forse perso qualcosa della concretezza delle nozioni e delle tecniche tradizionali.” (M. Sica, Gli scout, cit., p. 54).
34. Lo stesso Mario Sica, nel passare in rassegna gli aspetti più problematici dell’attuale utilizzazione del metodo ideato da Baden
Powell, per quanto concerne il rischio di ‘attenuazione dello spefico scout’, riferendosi ai gruppi in cui si fa uno ‘scautismo da
salotto’, osserva che, se lo scautismo rinuncia, tra l’altro, alla “atmosfera dell’uomo di frontiera” e “se si insegna una tecnica scout
appprossimativa e si tralascia il ‘trapasso delle nozioni’, si perdono altrettanti aspetti qualificanti del metodo scout” (M. Sica,
Storia…, cit., p. 371).
186
di compiere il percorso inverso e cioè di ‘riscoprire’ la natura, affinché essa possa essere davvero
vissuta come ambiente. Detto in altri termini, si tratterebbe di riequilibrare l’accento posto
rispettivamente sull’educazione su, attraverso ed in favore dell’ambiente, pur nella consapevolezza che integrare la dimensione naturalistico-ambientale nel grande gioco dello scautismo in
modo sufficientemente ‘naturale’ riesce oggi di gran lunga più difficile di quanto non lo fosse
in passato.
Per riprendere il discorso da dove è iniziato, è però proprio questo che fa dello scautismo
un caso esemplare per lo studio dell’educazione ambientale. Pur trattandosi di una proposta
formativa del tutto peculiare e pur essendo il suo approccio difficilmente trasferibile ad altre
esperienze e contesti educativi, le difficoltà riscontrate nel recepire pienamente le istanze della
tutela dell’ambiente, facendone un elemento intrinseco della simulazione educativa, nonostante le condizioni di favore godute fin dalle origini, rendono questo metodo/movimento
educativo un oggetto di studio particolarmente interessante. Si tratta soltanto di ribaltare la
prospettiva che ha ispirato fino ad ora la ricerca sull’educazione ambientale e, anziché analizzare le esperienze di successo per svelarne i segreti, interrogarsi sul perché le cose non funzionano
anche quando, in linea di principio, ciò avrebbe dovuto accadere senza grandi difficoltà.
L’impresa, è persino superfluo precisarlo, non è certo delle più facili e richiede il coinvolgimento di una molteplicità di saperi. Un confronto tra le idee, le competenze e gli atteggiamenti in materia ambientale di chi ha vissuto per un certo arco di tempo e con una certa
intensità l’esperienza scout e chi ha avuto tutt’altra formazione, come pure di chi ha vissuto
questa esperienza qualche decennio fa e chi la vive attualmente o tra il diverso modo di fare
scautismo nelle singole associazioni in cui si articola il movimento (per non parlare delle differenze tra scautismo maschile e femminile) potrebbe indubbiamente costituire un buon punto
di partenza.
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Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Michele Mastrobuono1
la responsabilità delle imprese
come valore per il futuro dell’ambiente2
Una delle notizie che sempre più sale alla ribalta delle cronache è la sopravvivenza del Pianeta Terra al cosiddetto “impatto antropico”.
Qualche giorno fa ho letto su un giornale di uno studio svolto da un ricercatore inglese.
Sostiene che già fra vent’anni vedremo i primi segni del declino del nostro pianeta. Già oggi
assistiamo a disastri ambientali come la progressiva sparizione della Foresta Amazzonica. E
l’elenco potrebbe essere lungo, purtroppo.
È chiaro che non possiamo perdere tempo. Ma è ancora più evidente che la tutela del nostro futuro è affidata all’investimento che noi possiamo fare oggi su chi verrà dopo di noi. Proprio
per questo motivo è fondamentale dedicare tempo e risorse alle attività di sensibilizzazione
ambientale rivolte soprattutto ai più giovani.
L’educazione ambientale è uno strumento per formare le scelte e i comportamenti del
cittadino-consumatore di domani ed è in grado di influenzare gesti e azioni sostenibili, dalla
raccolta differenziata al risparmio energetico, e portare a scelte d’acquisto responsabili e consapevoli, ad esempio la scelta di alimenti in imballaggi interamente riciclabili.
Proprio su questi temi il contributo delle aziende è importante: la loro comunicazione
ambientale può “far cultura” sia all’interno dell’azienda stessa che all’esterno. In che modo le
aziende possono “far cultura ambientale”?
• Implementando in azienda programmi di sostenibilità. Ad esempio: per la riduzione del
consumo energetico, la riduzione degli scarti, per la raccolta differenziata. Le “buone
pratiche” sviluppate al lavoro diventano “buone partiche” anche tra le mura domestiche.
• Certificando in maniera volontaria i propri processi di produzione secondo gli standard
della qualità e dell’ambiente, per garantire ai cittadini il rispetto dell’ambiente in tutte le
1. Tetra Pak Italiana SpA.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXX, P. II, t. I, pp.
119-121.
188
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fasi di lavorazione del prodotto.
Implementando la cultura del “gesto responsabile”: la raccolta differenziata e il riciclo. Il
piccolo gesto di ogni cittadino porta ad importanti risultati ambientali e risparmi economici.
Diffondendo la cultura della “prevenzione” attraverso l’ultilizzo di risorse rinnovabili che,
al contrario di quelle presenti sulla Terra in quantità “finita”, non si esauriscono nel tempo
ma, grazie ad uno sfruttamento responsabile, si sviluppano e crescono.
Introducendo un “modo nuovo” e più ampio di “fare valutazioni di ecocompatibilità”
diffondendo la cultura dell’Life Cycle Assessment (LCA) come strumento di valutazione
dell’impatto ambientale dei prodotti. Ovvero valutando tutte le fasi del ciclo di vita dei
prodotti e pesando con metodo puntuale e scientifico l’impatto ambientale in ciascuno
di esse.
Diffondendo informazioni e fornendo strumenti di valutazione che permettano al
consumatore di fare scelte sostenibili, responsabili ma soprattutto consapevoli.
Fornendo strumenti, materiali, argomenti al mondo della scuola per approfondire il tema
della sostenibilità ambientale in classe sviluppando anche un approccio concreto ed economico (l’83% dei ragazzi tra gli 8 e i 15 anni parla di ambiente principalmente a scuola
- fonte TNS Abacus 2003).
Agendo in questo modo, le aziende possono dare un contributo importante e concreto,
sia sul fronte della tutela dell’ambiente sia su quello dell’educazione ambientale.
In questo contesto, l’esperienza di Tetra Pak è un buon esempio da citare:
• Le foreste scandinave, dalle quali anche Tetra Pak trae la carta – risorsa rinnovabile – per i
propri contenitori, negli ultimi 40 anni hanno aumentato la superficie boschiva del 30%.
• Per Tetra Pak assumersi la responsabilità dei propri prodotti significa averne cura anche
dopo che questi hanno assolto la loro funzione primaria e fare informazione su come
raccoglierli e riciclarli. A questo scopo Tetra Pak ha siglato un Protocollo di Intesa con
Comieco e ha lanciato una campagna sociale su 12 milioni di cittadini italiani per promuovere la raccolta e il riciclo dei cartoni per bevande.
• Tetra Pak ha già condotto 2 analisi LCA con l’Università di Padova e cerca di diffondere
tale approccio presso tutti i propri stakeholders (clienti, GDO, scuole, media).
• Gli studi LCA e le campagne sulla protezione dalla luce o sulla raccolta differenziata
hanno lo scopo di fornire strumenti di valutazione ai consumatori. Ma anche le campagne
informative “nutrizionali”: “School Milk Programmes” che diffondono il consumo del
latte presso i più piccoli, le campagne in collaborazione con lo IOF - International Osteoporosis Foundation, Food for Development… nei quali Tetra Pak a livello mondiale ha
coinvolto milioni di persone.
• In Italia collaboriamo con i nostri clienti per la creazione di kit didattici sull’educazione
alimentare e ambientale, con strutture dedicate alle scuole e ai bambini quali l’Acquario
di Genova o il Museo dei Bambini di Roma, o ancora organizzando seminari e incontri
189
•
•
•
nelle classi (circa 1 milione di bambini coinvolti dal 2002 ad oggi).
Lo stabilimento Tetra Pak in Italia è certificato ormai da molti anni sia per la Qualità che
per l’Ambiente. Inoltre, in un’ottica di azione proattiva, è stata anche ottenuta la certificazione secondo lo standard inglese BRC-IOP per l’igiene sul posto di lavoro.
Dal 2002 al 2005 lo stabilimento Tetra Pak ha implementato dei piani di ottimizzazione
dei consumi energetici che hanno portato ad una riduzione degli stessi pari al 32%.
Tetra Pak inoltre ha varato, nel 2005, una sperimentazione per ridurre le emissioni di CO2.
L’obiettivo del progetto è ambizioso: ridurre del 10% le emissioni di gas climalteranti
entro il 2010.
In conclusione, è importante incoraggiare ed agevolare le imprese affinché investano nello
sviluppo e nell’educazione ambientale: è l’unica strada percorribile oggi.
Il nostro impegno in questo senso potrà far nascere domani una società responsabile e
consapevole.
È tempo di agire.
190
Educazione Ambientale
fratello sole madre terra 2006
Mirilia Bonnes - Paola Passafaro - Marino Bonaiuto1
Giuseppe Carrus2 - Ferdinando Fornaro3
Psicologia ambientale della sostenibilità
e educazione ambientale4
Riassunto – Viene presentata la prospettiva della Psicologia Ambientale, quale nuovo
ambito della Psicologia volta alla comprensione del rapporto delle persone con i propri ambienti fisici – o luoghi – di vita, evidenziando per questa, (i) da un lato la vocazione alla collaborazione multi-disciplinare, con i diversi ambiti scientifici e tecnici, impegnati nell’analisi e
modificazione degli ambienti per la vita umana (architettura, ingegneria, urbanistica, ecologia,
economia, agronomia, scienze forestali, ecc.) e (ii) dall’altro lato il progressivo ampliamento
nel tempo di tale collaborazione, dai versanti tecnico-scientifici impegnati nella progettazione
e gestione degli ambienti fisici costruiti (edifici, abitazioni, quartieri urbani, città, ecc.) a quelli
relativi agli ambienti più naturali (aree naturali, parchi, foreste, ecc.). Particolare attenzione
viene quindi data ai più recenti sviluppi in questa direzione, di quella che si definisce Psicologia
Ambientale della Sostenibilità, specificamente finalizzata alla comprensione e possibile modificazione di quei comportamenti, definiti ecologici, in quanto particolarmente rilevanti ai fini di usi
più sostenibili delle risorse naturali presenti negli ambienti di vita, quali ad esempio: i consumi
di acqua e di altre fonti energetiche, il riciclaggio di rifiuti, la scelta di mezzi di trasporto per la
mobilità, ecc. (Bonnes, Carrus, Passafaro, 2006).
Viene richiamata l’esperienza particolare del presente Gruppo di ricerca, che ha potuto,
non solo seguire, ma anche precorrere tale evoluzione internazionale della disciplina, sotto lo
stimolo delle lunga collaborazione con il Programma di Scienze Ecologiche dell’UNESCO,
avviato fin dai primi anni ’70 con la denominazione MAB (Man and Biosphere), proprio con
l’intento di sollecitare lo sviluppo di quell’ ecologia comprensiva anche delle scienze umane e
1. Centro Inter-Universitario di Ricerca in Psicologia Ambientale dell’Università degli Studi di Roma « La Sapienza ».
2. Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università degli Studi Roma Tre.
3. Dipartimento di Psicologia, Università di Cagliari.
4. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp.
123-139.
191
sociali (o piena ecologia: full ecology), attraverso la centralità assegnata allo studio della dimensione di percezione ambientale degli ecosistemi (F. di Castri et al., 1984). Questo per le relative
implicazioni di tale dimensione anche sul versante più specificamente educativo-pedagogico,
per l’allora altrettanto emergente educazione ambientale (Moroni, Ravera, 1984).
Viene quindi evidenziata la specificità del contributo della Psicologia Ambientale in proposito, sia per la necessità di riconoscere la varietà e relativa articolazione dei vari processi, e
relativi costrutti psicologico-ambientali – cognitivi, affettivi e comportamentali – generalmente
sottesi nei più generali concetti, sia di percezione ambientale che di educazione ambientale,
sia per l’intento di comprendere come tali processi si interconnettano e cambino, a livello individuale e di gruppo, in relazione alle esperienze e ai contesti socio- fisici e socio-culturali di
riferimento.
Ci si sofferma infine ad illustrare il recente lavoro di ricerca, avviato più direttamente dal
Gruppo in tema di educazione ambientale, con lo scopo di sviluppare metodologie e strumenti
appropriati per lo studio e monitoraggio di interventi di educazione ambientale in bambini
e giovani in età scolare, prendendo in esame alcuni interventi educativi extrascolastici svolti
all’interno di aree naturali protette sia urbane che extraurbane in collaborazione con l’Agenzia
Regionale per i Parchi del Lazio (ARP-Lazio).
1. Introduzione
La Psicologia Ambientale è quella branca della Psicologia che si è sviluppata a partire dagli
anni ’50 con lo scopo di studiare i processi psicologici, il comportamento umano e il benessere
delle persone in relazione alle caratteristiche fisiche o socio-fisiche degli ambienti o luoghi di vita
quotidiana (per es. abitazioni, uffici, scuole, ospedali, quartieri urbani, parchi, foreste; Bonnes,
Carrus, 2004).
L’unità di analisi privilegiata dalla Psicologia Ambientale è quindi non tanto la persona
con i suoi processi intrapsichici, quanto piuttosto la persona-nei-luoghi, attraverso la centralità
assegnata al costrutto di luogo5, e al relativo postulato fondante circa la tendenziale “specificità
di luogo” del comportamento umano (Bonnes e Secchiaroli, 1992).
Attraverso questa “svolta ambientale”, definita anche ecologica, della Psicologia, l’odierna Psicologia Ambientale cerca da un lato di restituire una nuova specificità di contenuti
a quei “processi psicologici” spesso indagati in modo troppo delocalizzato dalla Psicologia
tradizionale (Bonnes e Bonaiuto, 2002). Dall’altro lato, proponendosi di gettare le basi per
un’analisi, anche psicologicamente fondata, degli ambienti di vita, essa mira ad interagire
con prospettive di analisi diverse provenienti anche da discipline extra-psicologiche, che
dello studio di questi stessi ambienti si occupano in vario modo: per es. architettura, scienze
5. Il luogo identifica una porzione spazialmente definita e psicologicamente rilevante del- l’ambiente socio-fisico in cui si svolge
la vita delle persone; esso viene concepito come un sistema interdipendente composto da una dimensione fisica (spazio-temporalmente definita) e da una dimensione umana, questa costituita dalle persone e dai relativi processi socio-psicologici riguardanti
il luogo stesso: percezioni, cognizioni, affetti, valutazioni, atteggiamenti, intenzioni, attività, condotte, comportamenti ecc.
192
ingegneristiche, scienze naturali, ecc.
In particolare, la collaborazione sistematica tra Psicologia e Scienze della Progettazione
architettonico-ingegneristica, in corso in alcuni Paesi (Inghilterra, USA, ecc.) fin dagli anni ’50,
ha portato allo sviluppo della cosiddetta Psicologia architettonica, la quale si è concentrata soprattutto sullo studio delle modalità attraverso cui particolari caratteristiche dell’ambiente costruito
possono orientare e influenzare il comportamento e il benessere dei relativi utenti (Bonaiuto,
Bilotta, Fornara, 2004).
Su di un altro versante invece, l’interesse per la cosiddetta dimensione umana (Human Dimension) dei processi o cambiamenti ambientali della biosfera, sempre più emergente all’interno
delle varie scienze naturali ambientali (quali l’ecologia, le scienze forestali ed agronomiche,
la climatologia, la chimica ambientale, ecc.), ha stimolato gli psicologi ambientali a dedicarsi
allo studio del rapporto tra persone e ambienti in questo caso definiti naturali (per es. aree
verdi, parchi, foreste, ecc.) e a concentrarsi in modo specifico sulla comprensione dei fattori
psicologico-sociali implicati nei fenomeni e cambiamenti biosferici e dei relativi ecosistemi. Ciò
ha dato avvio a quel settore di studi che viene anche definito come Nuova Psicologia Ecologica
o Psicologia Ambientale dello Sviluppo Sostenibile o della Sostenibilità (Bonnes, Bonaiuto, 2002;
Bonnes, Carrus, Passafaro, 2006).
Anche in Italia la Psicologia Ambientale nel suo complesso risulta ormai notevolmente
sviluppata (cfr. Carrus, Fornara, Scopelliti, 2002), tanto che abbiamo anche potuto recentemente costituire un Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale (CIRPA), che
raggruppa i principali gruppi di ricerca Italiani esistenti al momento al riguardo, con l’obiettivo
di promuovere un maggiore sviluppo e una maggiore visibilità di questo campo di studi della
Psicologia, tuttora abbastanza nuovo per il nostro Paese.
Nel corso dei prossimi paragrafi ci soffermeremo a descrivere l’approccio della Psicologia
Ambientale della Sostenibilità allo studio delle cosiddette questioni ecologiche e all’educazione
ambientale. Ciò verrà fatto presentando anche alcune esperienze concrete svolte in questo
campo dal nostro gruppo di ricerca di Roma, in riferimento sia al Progetto MAB (Man and
Biosphere) dell’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization),
al quale il nostro gruppo collabora da lungo tempo, sia al Programma di educazione ambientale
denominato GENS che l’Agenzia Regionale per i Parchi del Lazio (ARP Lazio), sta portando
avanti da alcuni anni nelle aree naturali protette della Regione.
2. La Psicologia Ambientale della sostenibilità
e il programma MAB 11 dell’UNESCO
Come altrove più dettagliatamente illustrato (Bonnes et al., 2006), nel corso degli ultimi vent’anni la Psicologia Ambientale è venuta sempre più recependo le istanze provenienti
dall’ambito delle scienze naturali e biologiche in particolare, con riferimento soprattutto al
campo dell’ecologia e al relativo approccio definito per ecosistemi (o ecosystem approach, secondo
la terminologia anglosassone; Odum, 1953; di Castri, 1981; Giacomini, 1983; di Castri, Bar193
ker, Hadley, 1984). Proprio l’ecologia, definita come “la scienza che studia la vita, nelle sue
varie forme, in relazione al suo ambiente” (Giacomini, 1983), ha iniziato ad evidenziare, fin
dagli anni ’60, l’esistenza e la pericolosità dei cosiddetti cambiamenti biosferici globali, o più semplicemente cambiamenti globali (Global Changes; Carson, 1962; Meadows, Meadows, Randers,
Behrens, 1972; Malone, Roederer, 1985), riguardanti fenomeni quali: la perdita di biodiversità;
la riduzione e il progressivo inquinamento delle risorse naturali (acqua, aria, suolo, fonti energetiche, ecc.); l’assottigliamento della fascia di ozono; l’effetto serra con i relativi cambiamenti
climatici; le desertificazioni; le piogge acide; il sovrapopolamento umano, e così via. Questi
cambiamenti globali costituiscono in effetti processi fisico-biologici che coinvolgono l’intera
biosfera, ma nascono da ciò che avviene, e soprattutto da ciò che le persone fanno, a livello
locale, ossia nei singoli luoghi di vita e di attività umana quotidiana. È cioè difficile, come sostiene Vlek (2000), parlare di processi globali e globalizzazione senza tenere a mente che questi
si configurano come un unico processo, con continuità spaziale e temporale che va dal locale
al globale: dal “qui ed ora” all’“altrove ed in un domani più o meno remoto”.
Ciò ha condotto, già nel corso degli anni ’70, ad un progressivo mutamento di paradigma
all’interno dell’ecologia – un mutamento considerato, dai grandi ecologi Italiani ora purtroppo scomparsi, come Valerio Giacomini († 1981) e Francesco di Castri († 2005), al pari di una
“rivoluzione tolemaica” in seno alla stessa ecologia (di Castri, 1981; Giacomini, 1983) – che
ha visto il passaggio da quella che può essere definita come un’ecologia parziale (partial ecology),
centrata esclusivamente sui processi biologici e fisico-chimico degli ecosistemi, a quella che ci
piace definire come una ecologia piena (full ecology), in quanto invece interessata a studiare, attraverso il medesimo approccio scientifico e sistemico, anche i processi e le azioni umane, che
ugualmente regolano l’equilibrio/squilibrio e la continuità/discontinuità nel tempo degli ecosistemi (Bonnes, Bonaiuto, 2002). Si tratta di processi e azioni che vanno dunque considerati sia
in relazione ai vari ambiti, o dimensioni, delle attività umane (per es., dimensione economica,
giuridica, culturale, politica, ecc.), sia in relazione ai diversi possibili livelli di analisi di questi:
da quelli più collettivi a quelli più individuali. Per il livello più collettivo, la comprensione dei
processi umani diventa di pertinenza delle nuove – e per molti versi ancora emergent – Scienze
Sociali Ambientali, quali l’Economia Ambientale o Ecologica (per es. Costanza, 1991; Musu,
2003), il Diritto Ambientale (Nash, 1989; Opotow e Clayton, 1994), la Sociologia Ambientale
(per es. Dunlap, 2002; Beato, 2003), ecc. La comprensione dei livelli più individuali di questi
processi diventa invece di pertinenza della Psicologia, come scienza dei processi psicologici e
dei comportamenti umani individuali, con particolare riferimento in questo caso alla Psicologia
Ambientale. Quest’ultima si configura in ogni caso sempre come una Psicologia Sociale, in
quanto specificamente volta a comprendere i nessi tra livelli individuali e livelli collettivi, più o
meno condivisi, dei comportamenti e processi psicologici umani (Bonnes, Secchiaroli, 1992).
Si è così progressivamente passati dall’approccio più monodisciplinare dell’ecologia tradizionale, centrata prioritariamente, o esclusivamente, sulla Biologia (vegetale e animale), a
quello più multidisciplinare ed interdisciplinare delle cosid- dette Scienze Ecologiche, necessarie
invece per realizzare proprio quell’approccio della piena ecologia agli ecosistemi, cui si è accennato in precedenza. Tra le scienze ecologiche sono quindi da comprendere anche le varie
194
scienze sociali e tra queste anche la stessa Psicologia Ambientale, come proprio il Programma
MAB dell’UNESCO ha iniziato, fin dai primi anni ’70, a proporre (di Castri, Baker, Hadley,
1984; Bonnes, 1984).
Con la Conferenza di Rio de Janeiro su “Ambiente e Sviluppo” (United Nations Conference on Environment and Development; UNCED, 1992) le Nazioni Unite hanno specificamente
formalizzato questa duplice caratterizzazione dei problemi ecologici, assumendo come proprio
obiettivo principale per il nuovo millennio il programma del cosiddetto Sviluppo Sostenibile (in
inglese, Sustainable Development o in francese, Développement Durable).
Tale obiettivo è stato continuamente riaffermato negli anni successivi attraverso programmi e iniziative delle stesse NU e dei diversi Organismi ad esse collegati, e recepisce la
definizione di sviluppo sostenibile già proposta dalla Commissione Mondiale su Ambiente e
Sviluppo (World Commission for Environment and Development, WCED) nel cosiddetto Rapporto
Brundtland (WCED, 1987): “… sviluppo che viene incontro ai bisogni presenti senza pregiudicare la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro propri bisogni” (WCED, 1987, p.
43). Tale definizione mira a prefigurare una visione molto ampia e dinamica nel tempo dello
sviluppo, sia umano che degli ecosistemi, basata innanzitutto su valori e principi di equità,
non solo intra-generazionale, ma anche inter-generazionale, in quanto comprendente anche le
generazioni future. A proposito del concetto di sviluppo sostenibile – successivamente variamente
discusso e anche criticato (di Castri, 1995) – lo stesso Rapporto precisa infatti come non si tratti
“di uno stato predeterminato di armonia, ma piuttosto di un processo di cambiamento in cui
l’utilizzazione delle risorse sia naturali che umane è resa consistente con i bisogni futuri, oltre
che con quelli presenti” (WCED, 1987). Non si tratta quindi di un programma che mira a
proporre una semplice conservazione della natura e delle sue varie forme di vita (animali e vegetali) in contrapposizione e quindi anche a scapito dello sviluppo umano (sociale, economico,
culturale). Al contrario, si tratta di un ampio progetto politico-culturale che intende innanzitutto cercare di conciliare, o rendere il più possibile compatibili, queste due istanze, che vengono infatti considerate altrettanto importanti, anche se tendenzialmente divergenti, secondo
la prospettiva appunto della piena ecologia. Ciò configura quindi da un lato la consapevolezza
dello stato di continuo cambiamento che caratterizza sia il mondo della natura e dei suoi processi, sia il mondo umano, nei suoi vari ambiti e livelli. Al tempo stesso, vi è la consapevolezza
del tendenziale contrasto o conflitto su cui tali processi di cambiamento sono sempre fondati.
Questo aspetto si articola dal livello degli aggregati – umani e della natura – più o meno vasti,
fino al livello più puntuale dei singoli organismi e individui, e quindi, nel caso delle persone e
dei gruppi umani implicati, fino al livello psicologico e psicologico-sociale di questi (Bonnes,
Bonaiuto, 2002).
L’impiego del termine sostenibile, all’interno delle varie scienze ecologiche o ambientali,
sembra prevedere varie implicazioni per i versanti sia gestionali che scientifici, relativamente ai
processi sia biosferici che umano-sociali degli ecosistemi considerati.
Da un lato emerge la necessità di una conoscenza il più possibile approfondita e dettagliata delle proprietà delle risorse – sia naturali che umane – e dei loro dinamismi nel tempo,
con particolare attenzione in questo caso ai possibili processi non solo di impatto (o di rela195
tivo stress), ma anche di cosiddetta resilienza (resiliency) e rigenerazione (restoration) relativi alla
stessa risorsa utilizzata. Dall’altro lato emerge la necessità di chiarire le modalità con cui
l’attività di uso umano si deve realizzare, per assicurare la sopravvivenza e la continuità di
uso nel tempo della risorsa stessa. Di qui l’importanza di sviluppare sia la ricerca applicata
o applicabile in questo senso, sia la collaborazione multi-disciplinare ed inter-disciplinare
all’interno delle varie scienze ecologiche, considerando queste quale sistema di supporto scientifico (scientific support system) alle decisioni (decision making) in tema di gestione ambientale.
Si delineano così implicitamente, attraverso l’impiego del termine sostenibile, le modalità con
cui gli stessi processi di gestione e decisione riguardanti l’uso delle risorse ambientali possano
concorrere a sviluppare, sia quella “politica basata in senso scientifico” (science-based policy),
sia quella “scienza rilevante per la politica” (policy related or policy oriented science) ugualmente
auspicate dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile. Su tali aspetti ci
siamo recentemente soffermati altrove (Bonnes, Carrus, Fornara, Passafaro, Bonaiuto, 2005;
Bonnes et al., 2006).
I concetti di sostenibile e di sostenibilità sono entrati – in realtà già da molto tempo – nei più
importanti programmi ambientali o ecologici delle Nazioni Unite. Tra questi il Programma
di Scienze Ecologiche MAB (Man and Biosphere) dell’UNESCO, già agli inizi degli anni ’70,
si definiva, non a caso, come “programma di ricerca applicata sulle interazioni tra l’uomo ed il suo
ambiente”, il cui scopo rimane, ancora oggi, quello di “fornire conoscenza scientifica e persone capaci
di gestire le risorse naturali in modo razionale e sostenibile”.
I punti fondamentali della filosofia soggiacente il Programma MAB riguardano proprio la
necessità dell’approccio sistemico (ecosystem approach) o ecologico della piena ecologia ai processi
della biosfera. A questo proposito rimangono emblematiche e tuttora valide le considerazioni
espresse fin dagli anni ’80 da autori come Francesco di Castri, principale fondatore dello stesso
Programma MAB, nel sottolineare come proprio questo tipo di ecologia abbia “un ruolo da
giocare nel dare forma all’ambiente socioculturale di un paese e nel promuovere l’innovazione. Per sua
natura l’ecologia è la scienza dell’interazione, dell’interfaccia e della partecipazione. Per questo essa deve
preferire l’azione alla predicazione e deve imparare attraverso l’azione. Soprattutto essa deve smettere di
essere una scienza in negativo (no all’inquinamento, no alla deforestazione, no all’agricoltura intensiva,
no allo sviluppo industriale) e deve diventare una scienza che fornisca soluzioni alternative, realistiche e
specifiche ai problemi dello sviluppo” (di Castri et al., 1984).
All’interno di questo tipo di approccio lo stesso Programma MAB ha fin dai suoi inizi
assegnato un ruolo centrale alla “dimensione umana” (human dimension) di “percezione ambientale” degli ecosistemi in genere, da quelli più naturali – ove cioè più appaiono predominare i
processi della natura – a quelli più umanizzati (o antropizzati) come le città, in cui predominano
invece i processi umani nelle loro varie forme ed usi, tanto da definire le stesse città quali (eco)
sistemi urbani (di Castri et al., 1984). A questo proposito vengono inoltre sottolineate le possibili e talvolta necessarie articolazioni e differenziazioni, o diversità, esistenti per i vari sistemi
di percezioni-usi ambientali dei vari attori umani degli eco-sistemi in genere e di quelli urbani
in particolare. Vengono infatti richiamate ed evidenziate le principali diverse categorie di attori
ambientali, individuabili all’interno di ogni ecosistema (Bonnes, 1984):
196
a)i decisori ambientali (decision makers), ovvero autorità locali, nazionali e sovranazionali,
istituzionalmente preposti a prendere decisioni circa l’assetto del sistema ambientale in
oggetto;
b)gli esperti ambientali (experts and scientists), ovvero esperti e ricercatori (progettisti, urbanisti,
ingegneri, ecologi e studiosi delle scienze ambientali), i quali, per le loro competenze
ambientali specialistiche, sono chiamati (o dovrebbero esserlo) dai decisori istituzionali a
fornire conoscenze e proposte atte ad orientare le scelte gestionali in materia ambientale;
c)gli utilizzatori o utenti (users) dell’ambiente in oggetto, ovvero coloro che da un lato
occupano, utilizzano, praticano ed esperiscono (spesso quotidianamente) tale ambiente,
utilizzando le opportunità che questo offre come risorsa per soddisfare specifici bisogni
(residenziali, ricreativi, produttivi, ecc.) e, dall’altro lato, rappresentano (o dovrebbero
rappresentare) i destinatari delle scelte dei decisori ambientali e delle analisi degli esperti
ambientali.
La distinzione tra queste tre categorie di attori ambientali risulta particolarmente utile se
si vogliono prendere in considerazione le similarità e le differenze esistenti nelle concezioni/
rappresentazioni di tali diverse categorie in merito agli ecosistemi, o all’ambiente socio-fisico,
in oggetto. In particolare, può rivestire particolare importanza il confronto tra le valutazioni
degli esperti ambientali, solitamente basate su procedimenti analitico-sistematici e quelle degli utilizzatori, che si formano invece tramite processi che la Psicologia Ambientale definisce
“transattivi contestuali” o di natura molare, in cui si integrano aspetti sia cognitivi sia affettivi e
sia di azione (cfr. Bonnes, Uzzell, Carrus, Kelay, 2007).
In questo quadro generale sono infatti nati e si sono sviluppati vari Progetti MAB
UNESCO sui vari ecosistemi di maggiore fragilità all’interno della biosfera (per es. ecosistemi
montani, zone umide, piccole isole) inclusi quelli urbani (denominati Progetti MAB 11). Tra
questi ultimi quello in particolare sulla città di Roma è stato avviato alla fine degli anni ’70
dall’ecologo vegetale Valerio Giacomini in similarità con altri progetti analoghi sviluppati in
altre varie città del mondo (di Castri et al., 1984; Bonnes, 1984).
A questo Progetto MAB ROMA il nostro gruppo di ricerca in Psicologia Ambientale ha
lungamente e variamente contribuito, sviluppando in vario modo lo studio degli aspetti inizialmente definiti di “percezione ambientale”, su cui si è già ampiamente riferito, in sede sia internazionale che nazionale. Vedasi in proposito la recente rassegna nel volume dell’Accademia
dei Lincei dedicata all’“Ecosistema Roma” (Bonnes et al., 2005).
Analogamente agli altri concomitanti Progetti MAB n. 11 avviati nelle varie altre città del
mondo, l’intento principale del Progetto MAB sulla città di Roma è stato quello di applicare
l’anzidetto “approccio ecosistemico o ecologico agli insediamenti urbani”, alla città di Roma in
particolare. Tale approccio mira innanzitutto a promuovere e sostenere l’approccio scientifico e
integrato, in senso sia multidisciplinare che interdisciplinare, ai problemi della gestione ambientale sostenibile, e quindi in primo luogo ai problemi relativi alla trasformazione, pianificazione
e sviluppo in senso sostenibile delle città in generale e di Roma in particolare (cfr. Bonnes,
1987, 1991, 2000). Sull’importanza di tale approccio ci siamo già in vario modo ripetutamente
197
soffermati, come anche più di recente al convegno organizzato a Parigi dall’UNESCO e dal
governo francese su “Biodiversity Science and Governance”, nel gennaio scorso (Bonnes, Carrus, Bonaiuto, Fornara, Passafaro, 2006).
3. Psicologia Ambientale della sostenibilità e educazione ambientale
Uno dei temi su cui la Psicologia Ambientale della Sostenibilità si sta sempre più focalizzando riguarda la comprensione delle modalità con cui le persone sviluppano quella maggiore
consapevolezza ambientale (environmental awareness) o sensibilità ecologica (environmental sensitivity) capaci di orientare i relativi comportamenti ecologici, in senso più o meno pro-ecologico
o pro-ambientale (pro-environmental behavior) (Bonnes et al., 2006). A questo fine essa è venuta
individuando una serie di costrutti, anche ai fini di meglio precisare il concetto più generale di
“percezione ambientale”, spesso utilizzato all’interno di tali studi. A questo proposito, come
abbiamo già evidenziato altrove (Bonnes et al., 2006), un punto importante di partenza per la
Psicologia Ambientale in genere, e ancora di più per quella della sostenibilità, è costituito dalla
constatazione della tendenziale “inconsapevolezza ambientale” che le persone sembrano avere
nei confronti dei propri ambienti fisici o luoghi di vita. Gli individui appaiono infatti spesso tendenzialmente inconsapevoli non solo dei luoghi che li circondano, e della relativa influenza che
questi hanno sul proprio benessere quotidiano, ma ancora di più delle possibili conseguenze
che le proprie azioni hanno su tali luoghi. Infatti, quanto più i luoghi entrano a far parte della
nostre esperienze e routine quotidiane e sono quindi più permanentemente luoghi stabili di vita
quotidiana (come nel caso della propria città, del proprio quartiere, della propria casa, ecc.),
tanto più la loro salienza a livello di processi psicologico-ambientali diventa non consapevole,
ma non per questo meno rilevante. Come già Proshanky, Ittelson e Rivlin (1970) sostenevano
più di trenta anni fa, i setting fisici o luoghi tendono a presentarsi come uno ‘sfondo neutro’ degli
eventi e delle decisioni umane, anche quando queste risultano avere un impatto più o meno
diretto su questi stessi luoghi. Accade così spesso che solo in occasione di eventi specifici o
cambiamenti ambientali inattesi e improvvisi nei luoghi in cui le azioni umane avvengono (ad
esempio, trasformazioni rapide o eventi naturali catastrofici, come crolli, allagamenti, morie vegetali o animali, ecc.), oppure eventi o cambiamenti nelle persone che vi abitano (ad esempio,
trasferimenti di abitazione o residenza, “esperienze formative” specifiche, ecc.), questi stessi
luoghi riescano a diventare maggiormente salienti nella consapevolezza delle persone che li
praticano e li usano. Per questo motivo, la Psicologia Ambientale della sostenibilità preferisce
distinguere, relativamente ai cosiddetti comportamenti ambientali o ecologici, tra comportamenti
ecologicamente (o ambientalmente) rilevanti da un lato e comportamenti ecologicamente significativi (ossia consapevoli ed intenzionali) dall’altro lato. È infatti ben noto, in Psicologia
Ambientale della Sostenibilità, come i nostri comportamenti possano risultare più o meno
ecologicamente rilevanti (quando osservati sotto il profilo dell’impatto e delle conseguenze che
possono avere sui luoghi e relativi ecosistemi), ma anche come più o meno ecologicamente consapevoli (quando osservati sotto il profilo delle intenzioni o delle motivazioni delle persone che
198
li mettono in atto). L’inconsapevolezza di luogo (o ecologica) dei comportamenti umani e delle
loro conseguenze costituisce ad ogni modo solo uno dei molteplici aspetti che caratterizzano
i nostri comportamenti nell’ambiente ecologicamente inteso. D’altra parte, questo aspetto è
sicuramente rimasto fino ad ora poco noto al di fuori della ricerca psicologico ambientale.
Diventa quindi compito proprio di questo campo della Psicologia evidenziare e capire queste
possibili ed eventualmente anche diverse salienze che gli ambienti fisici, o ecologici, di vita quotidiana possono assumere, per poter entrare a far parte delle relative intenzionalità, più o meno
attente in senso ecologico o ambientale (environmentaly concerned), delle persone implicate. Solo
quando tale attenzione ambientale (environmental concern) risulti anche opportunamente poggiata
su adeguate consapevolezze e sensibilità ambientali (environmental awarness) possiamo infatti prevedere la messa in atto di quei comportamenti ambientalmente responsabili o impegnati in senso
pro-ambientale o ecologico (environmentally committed), a cui sembrerebbe dover essere sempre
più affidata la sostenibilità ambientale presente e futura degli ecosistemi.
Il rapporto che le persone hanno con i propri ambienti fisici, o socio-fisici, di vita, siano
essi luoghi o ecosistemi, quando analizzato nella prospettiva della Psicologia Ambientale, si
configura come regolato da molteplici processi psicologici e da varie dimensionalità di questi.
La Psicologia Ambientale tende quindi ad assumere in proposito una prospettiva sia multidimensionale che multi-processuale, proponendo diversi costrutti psicologico-ambientali, con i
quali identifica, da un lato alcuni processi psicologico-ambientali più fondati sulle dimensioni
cognitive/consapevoli, implicate nei relativi comportamenti ecologici osservati: si parla in questo caso di cognizioni o conoscenze ambientali (environmental cognitions) o anche di consapevolezza ambientale (environmental awareness); nel caso in cui si vuole evidenziare la natura più
o meno condivisa a livello collettivo di tali cognizioni si parla invece di “credenze ambientali” (environmental believes). Dall’altro lato si identificano costrutti/processi più fondati sulle
dimensioni affettive, ugualmente implicate nei conseguenti comportamenti ecologici: si parla
così di valutazioni/percezioni di qualità ambientale (perceived environmental quality), sensibilità/
attenzione ambientale (environmental sensitivity/concern), etica o valori ambientali (environmental
ethics/values), attaccamento/identità di luogo (place attachment/identity).
La pluralità di tali processi tende inoltre a concorrere nella formazione di quei sistemi cognitivo-affettivi ed intenzionali che si denominano atteggiamenti ambientali o ecologici e, tramite
questi, ad indirizzare quelle decisioni comportamentali concrete, più o meno orientate in senso
pro-ambientale, e quindi ecologicamente attente (concerned) o impegnate (committed), le quali,
a differenza dei precedenti processi psicologici, risultano direttamente osservabili dall’esterno:
parliamo in questo caso di comportamenti, o condotte, pro-ambientali o ecologiche.
La varietà di tali processi/costrutti psicologici risulta in genere spesso implici tamente compresa anche all’interno della generale denominazione di Educazione Ambientale (E. A.), da tempo
ampiamente utilizzata anche in Italia, specie in ambito scolastico e educativo (cfr. ad esempio
Moroni, Ravera, 1984; Semeraro, 1988; Falchetti, Caravita, 2005; Bardulla, 2006).
Per la Psicologia Ambientale è importante seguitare a mantenere una visione il più possibile articolata in senso multi-processuale e multi-dimensionale, sia in merito alla definizione
di EA, e ancora di più in merito a quella che, oggi sempre più, si preferisce definire educazione
199
allo sviluppo sostenibile, seguendo in questo le più recenti sollecitazioni ed indicazioni fornite
dalle stesse Nazioni Unite in proposito (www.unesco.org). La preferenza verso questa seconda
definizione – al posto di quella di ‘educazione ambientale’, ritenuta in questi casi troppo generica – mira, infatti a portare in primo piano proprio l’attenzione per gli aspetti dei comportamenti
concreti e direttamente osservabili praticati anche quotidianamente, in senso ambientalmente
sia rilevante che significativo (ad esempio, le varie scelte di usi e consumi quotidiani, gli stili di
vita, l’adesione ad iniziative pro-ambientali, la partecipazione alle governance ambientali locali,
ecc.). Tali comportamenti concreti vengono infatti in questo caso considerati come differenziati – e talvolta anche contrapposti – rispetto al livello più implicito e tendenzialmente immateriale delle semplici conoscenze apprese al riguardo. In vari versanti disciplinari si tende al contrario
spesso ad assumere – in modo un po’ troppo semplicistico sotto il profilo psicologico-sociale
– che queste conoscenze siano destinate a determinare necessariamente i nostri comportamenti
concreti, sia in generale sia per quelli “ambientalmente rilevanti”.
4. Il programma di Educazione Ambientale GENS
dell’Agenzia Regionale per I Parchi del Lazio
A partire dal 2003 l’Agenzia Regionale per i Parchi della Regione Lazio (ARP- Lazio) ha
affidato al nostro Gruppo di Ricerca in Psicologia Ambientale il compito di studiare gli effetti
della partecipazione ad alcuni suoi programmi di promozione di sensibilità, consapevolezza ed
impegno ambientali proposti dall’Agenzia stessa, all’interno delle aree protette della Regione
Lazio6.
La nostra attività di ricerca ha in particolare riguardato il Programma GENS-Progetto Piccole Guide, che mira al coinvolgimento di bambini di scuola elementare e media, e dei loro
genitori, in attività di conoscenza, non tanto generica quanto di scoperta e di appropriazione in
senso sia cognitivo che affettivo, dei parchi naturali situati nella propria zona di residenza. Gli
obiettivi educativi di partenza del programma sono infatti finalizzati non tanto alla semplice
trasmissione di conoscenze naturalistiche ed ecologiche proposte in senso generico, e quindi
spesso tendenzialmente in modo a-contestuale o de-localizzato, quanto piuttosto allo sviluppo
di esperienze ambientali concrete – quindi anche affettivamente orientate – tramite la proposta di
attività e comportamenti ambientali specifici ben localizzati nelle aree in questione (e quindi
luogo-specifici) e primariamente finalizzati allo sviluppo di sentimenti di appropriazione anche affettiva con i luoghi in oggetto. L’obiettivo con il quale il programma viene proposto ai
bambini e insegnanti partecipanti è infatti quello di “diventare guida esperta”: diventare cioè
capaci non solo di avere una conoscenza approfondita e dettagliata in senso ecologico dell’area
protetta in questione, ma diventare capaci di utilizzare tale conoscenza per poter opportunamente “guidare” la visita, e quindi anche la relativa conoscenza ed esperienza concreta, di altri
ipotetici membri della famiglia, relativamente alla medesima area protetta (cfr. Bonnes, Bona6. Tali attività di ricerca sono state ovviate presso l’ARP su iniziativa del Presidente, Dott. Maurilio Cipparone, e sono poi continuate negli anni grazie al fattivo contributo del Dott. Vito Consoli e della Dott.ssa Anna Maria Cervoni.
200
iuto, Passafaro, Carrus, 2006).
La collaborazione tra il nostro gruppo di ricerca e l’ARP è partita innanzitutto dal presupposto che lo svolgimento di programmi di educazione ambientale possa trarre vantaggio da un
più stretto impiego delle competenze e dei metodi propri della Psicologia Ambientale e quindi di
strumenti di indagine volti a meglio identificare, comprendere e monitorare i mutamenti eventualmente prodotti da tali interventi sui relativi processi psicologici dei partecipanti implicati.
In particolare la nostra attività di ricerca in proposito è stata svolta nell’arco di due anni
scolastici (2002-2003 e 2003-2004) ed è stata opportunamente articolata secondo i seguenti
obiettivi:
1.identificare i principali processi psicologico-ambientali da assumere come implicati
nell’intervento educativo in oggetto;
2.costruire strumenti adeguati per procedere all’osservazione il più possibile sistematica di
tali processi e della loro eventuale modificazione nel tempo, al variare sia delle persone
considerate sia delle condizioni di realizzazione di tali programmi;
3.utilizzare in maniera sistematica e pianificata questi strumenti per rilevare gli eventuali
cambiamenti avvenuti nelle persone variamente coinvolte nei programmi stessi, e quindi
gli effetti conseguenti alla partecipazione al programma di E.A. Si è trattato in particolare
di identificare il “disegno di ricerca” più appropriato alla realizzazione di un programma
di monitoraggio degli effetti prodotti dagli interventi effettuati;
4.analizzare ed interpretare i dati di osservazione raccolti in relazione agli obiettivi
conoscitivi inizialmente prefigurati.
In relazione a questi obiettivi il programma si è svolto con un percorso articolato in due
principali fasi.
Nel corso della prima fase (anno scolastico 2002-2003) sono stati condotti vari studi (rassegne della letteratura e ricerche sul campo) volti, da un lato, ad individuare le dimensioni
psicologiche potenzialmente coinvolte dagli interventi di Educazione Ambientale previsti dal
programma GENS-Progetto Piccole Guide e, dall’altro lato, a selezionare, costruire e adattare gli
opportuni strumenti psicometrici capaci di consentire l’indagine sistematica degli eventuali
mutamenti prodottisi sui processi psicologici considerati, in concomitanza, o per effetto, della
partecipazione al programma GENS-Progetto Piccole Guide da parte dei bambini coinvolti. Tra
i numerosi strumenti individuati sono stati in primo luogo selezionati quelli ritenuti maggiormente adattabili al contesto e agli scopi del progetto di ricerca; successivamente è iniziato il
lavoro di affinamento, costruzione e quindi anche validazione di tali strumenti attraverso la
proposta di un questionario da somministrare in concomitanza con l’esperienza di Educazione
Ambientale in oggetto. Quest’ultimo è risultato costituito da misure multi-affermazione volte
a consentire l’indagine finale dei seguenti costrutti: 1) atteggiamento pro-ambientale, 2) etica
ambientale e visione ambientale del mondo, 3) attaccamento ai luoghi di vita, 4) attaccamento
alle relative aree verdi.
Il questionario ha inoltre compreso una sezione volta a rilevare una serie di caratteristiche
201
socio-demografiche e residenziali nei bambini, ritenute potenzialmente rilevanti in proposito:
scuola e classe frequentate, età, luogo di residenza, genere.
Il processo di validazione degli strumenti utilizzati è stato realizzato mediante un primo
studio empirico condotto su un campione di 497 bambini (243 maschi e 251 femmine), di età
compresa tra gli 8 e i 12 anni frequentanti le classi 3a, 4a e 5a elementare in 7 scuole di varie
città del Lazio (Roma, Formia, Fondi e Itri).
Sono stati in particolare considerati tre gruppi diversi di bambini: un primo gruppo composto da bambini che hanno partecipato a GENS-Progetto Piccole Guide; un secondo gruppo
composto da bambini che NON hanno partecipato a GENS-Progetto Piccole Guide; un terzo
gruppo composto da bambini che NON hanno partecipato a GENS-Progetto Piccole Guide ma i
cui insegnanti avrebbero voluto parteciparvi.
Sui dati raccolti sono state condotte varie analisi statistiche (Analisi delle Componenti Principali, ACP, calcolo dell’indice α di Cronbach, ANOVA, MANOVA e MANCOVA). I risultati
(descritti nel dettaglio in un report disponibile presso l’ARP e consultabile sul sito web http://
www.parchilazio.it) mostrano nel complesso come gli strumenti utilizzati presentino tutti buone caratteristiche psicometriche tanto da potersi considerare adeguati per la rilevazione dei
corrispondenti aspetti psicologici.
In particolare gli strumenti si sono mostrati in grado di rilevare differenze statisticamente
significative tra i gruppi di bambini che differivano in merito alle esperienze di educazione ambientale effettuate e al luogo di residenza. I bambini partecipanti a GENS-Progetto Piccole Guide
hanno infatti mostrato in generale atteggiamenti e percezioni più orientate in senso ecologico
o pro-ambientale. Questo effetto è apparso inoltre particolarmente evidente tra i bambini di
Roma rispetto ai bambini di Formia, Fondi e Itri.
Nel corso della seconda fase dell’indagine (anno scolastico 2003-2004), gli strumenti di
misura messi a punto durante la prima fase sono stati utilizzati per rilevare gli effetti della
partecipazione al programma GENS-Progetto Piccole Guide, attra verso un secondo studio empirico condotto su un altro campione di bambini (N = 248) di scuole elementari del Lazio ed
indagato sia prima che dopo aver effettuato l’esperienza del Progetto GENS. In questa seconda
fase sono stati inoltre coinvolti anche i genitori dei bambini partecipanti al progetto, al fine di
verificare eventuali effetti indiretti della partecipazione al programma sugli adulti.
I risultati complessivi del nostro lavoro evidenziano innanzitutto come la partecipazione
a questo tipo di programmi si dimostri capace di esercitare un’influenza positiva e diffusa sui
ragazzi partecipanti, per i diversi processi e relative dimensioni psicologiche considerate. Tale
effetto viene infatti riscontrato dal livello più specificamente cognitivo delle conoscenze ambientali a quello più affettivo-valutativo dell’attaccamento al proprio luogo di vita, fino al livello
più attitudinale e comportamentale delle condotte pro-ambientali. Limitati sono invece apparsi
gli effetti su fattori quali l’‘etica ambientale’ e le “visioni del mondo pro-ambientali”.
Tali risultati, pur indicando una buona efficacia complessiva del programma di E.A. in
questione, tendono anche ad evidenziare come lo stesso programma sia capace di avere maggiori effetti su alcuni processi psicologici anziché su altri, gettando quindi anche luce su possibili direzioni e prospettive con cui il programma stesso potrebbe essere ulteriormente poten202
ziato e migliorato, ai fini di una sua efficacia complessiva futura.
La nostra indagine ha anche mostrato come gli effetti di programmi come GENS-Progetto
Piccole Guide possano essere diversificati in relazione ai contesti o luoghi in cui vengono realizzati, confermando per tale via il postulato fondante della Psicologia Ambientale circa la “specificità di luogo” dei processi psicologici considerati. Infatti GENS-Progetto Piccole Guide, pur
mostrandosi un’esperienza educativa efficace anche per i bambini dei centri urbani più piccoli
della regione Lazio, è apparso in grado di coinvolgere e sensibilizzare in modo speciale i bambini del grande centro urbano considerato, in questo caso della città di Roma. I dati raccolti
sembrano infatti indicare come gli effetti di tali programmi risultino maggiormente pronunciati
tra gli alunni di scuole dell’area romana, rispetto agli alunni di scuole situate in altre zone del
Lazio.
Da un lato, ciò sembra indicare che i medesimi programmi di educazione ambientale
possono avere effetti diversificati per residenti di contesti socio-fisici o luoghi diversi. Ossia uno
stesso programma può essere più efficace in certi contesti anziché in altri.
Dall’altro lato, tali risultati sembrano evidenziare il ruolo cruciale che le aree naturali protette situate in ambiente urbano possono avere proprio ai fini dell’efficacia dei programmi volti a
promuovere consapevolezza, sensibilità e impegno ambientali nelle nuove generazioni, ed in
particolare in quelle che risiedono nello stesso ambiente urbano.
Tenendo conto di come la condizione di residenza urbana sia ormai da considerarsi quella
più diffusa a livello mondiale, le implicazioni di tali risultati appaiono molteplici e particolarmente in linea con le principali direzioni di politica ambientale degli Organismi internazionali
(cfr. UNESCO-MAB; IUCN – International Union for Conservation of Nature, ecc.) le quali sempre più individuano nella protezione, e conseguente opportuna gestione delle aree naturali situate in aree urbane e periurbane, un aspetto chiave per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile
delle generazioni sia presenti che future. Questa è infatti la direzione più recente indicata dallo
stesso Programma MAB-UNESCO, che proprio allo scorso Consiglio Internazionale di Coordinamento di Parigi (MAB ICC, Parigi, Ottobre, 2006) ha definitivamente lanciato l’istituzione
di nuove Riserve della Biosfera MAB specificamente localizzate in aree urbane o peri-urbane,
quali Riserve MAB della Biosfera Urbana (MAB Urban Biosphere Reserves), recependo così la proposta formulata dal MAB Urban Group Internazionale, che ha lavorato in questo senso nel
corso degli ultimi cinque anni (cfr. Bonnes, 2003; UNESCO-MAB Urban Group, 2000-2006,
www.unesco.org).
203
I sessione
Natura vivente: comprendere
i cambiamenti e le loro cause
fratello sole madre terra 2009
Roberto Olla1
Introduzione al Convegno2
Nell’introdurre le relazioni di questo volume voglio ringraziare, come già ebbi modo di
fare il 15 settembre del 2009 ad Assisi, la CEI, Conferenza Episcopale Italiana, l’Accademia
Nazionale delle Scienze, Trenitalia e il Sacro Convento di Assisi, per aver organizzato un
convegno così ricco di contributi scientifici e per la costante, forte attenzione ai temi dell’ambiente e della salvaguardia della natura, con particolare riguardo oggi all’aria che respiriamo. Un
sincero grazie anche per la fiducia che mi è stata accordata affidandomi l’incarico di moderare
il dibattito e di presentare i relatori. Non è un caso, non può essere un caso, che un convegno
intitolato « Natura vivente: comprendere i cambiamenti e le loro cause » si tenga proprio nel
mese di settembre. Nella mia terra, la Sardegna, settembre è chiamato « cabidanni », pare per
antichissima tradizione legata al calendario bizantino che faceva iniziare il nuovo anno il primo
del mese di settembre. « Cabidanni », dal latino « Caput Anni » forse, però, ci rimanda ancora
più indietro nel tempo, ad un uomo che si sente legato intimamente al suo ambiente, che
vuole vivere in armonia materiale e spirituale con la natura, che sa quanto ogni sua giornata
dipenda dal rapporto con la madre terra. « Cabidanni », l’inizio dell’anno, è diventato il nome
di un intero mese, quello appunto che noi oggi chiamiamo settembre, tempo a disposizione
per rinnovare se stessi e per aiutare la natura a rinnovarsi, per riflettere, per ringraziare dell’annata appena conclusa, di quanto è stato raccolto, tempo propizio per iniziare nuove cose, per
prepararsi a nuove stagioni. Era « cabidanni » il tempo anche per rinnovare i patti: « prinzipales
», i più ricchi, e « massaios », piccoli piccolissimi proprietari di qualche mucca, di qualche pecora, si mettevano d’accordo per l’anno che veniva. Se andando in vacanza passate da Mores
fermatevi un attimo e fatevi mostrare « Sa Cabude », il pane tradizionale dell’inizio dell’anno,
schiacciato e con quattro lembi rivoltati, simbolicamente uno per ogni stagione. C’è una
1. Rai Radio Televisione Italiana.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
109-2.
204
verità in quel pane simbolico che vi apparirà con grande evidenza e vi spingerà a capire.
Non è un caso che « cabidanni settembre » sia ancora oggi, nel terzo millennio, il tempo
delle sagre, delle feste campestri, dalla Festa de « Sas Marias » a Nulvi, a Santa Reparata a
Buddusò, a San Pasquale, protettore dei pastori, alla « Corsa degli Scalzi » a Cabras quando
il primo sabato di settembre gli uomini del paese corrono scalzi per i campi portando a spalla
la statua di San Salvatore (Il Redentore). Corrono davvero, corrono tanto, il percorso è lungo,
corrono veloci, ogni anno in un tempo inferiore al precedente, come per un voto propiziatorio,
per chiedere aiuto alla madre terra, all’aria, al vento, all’acqua degli stagni. Corrono incontro
al sole dell’alba, verso un villaggio di case basse che ricordano quelle che i monaci basiliani nel
VI secolo DC costruivano con mattoni di fango su pavimenti in terra battuta. Tornano poi di
nuovo correndo, la domenica sera, incontro al tramonto. Hanno sempre la luce del sole sui
loro volti, all’andata e al ritorno. La leggenda dice che le donne del paese corsero per salvare la
statua del Santo da un attacco dei pirati e da allora la corsa si è ripetuta come un rito. La realtà
è che, da secoli e secoli, l’intera comunità in quella corsa si raccoglie per riflettere sulla terra in
cui vive, sui pesci che vengono pescati, sull’aria che si respira, sull’acqua dei pozzi, sul fuoco,
sugli animali, sulle case, sulle barche, sui rapporti che legano una persona all’altra. Li chiamano
anche la « gente bianca » perché tutti corrono indossando una camicia bianca, formando così
una lunga scia illuminata dai raggi del sole. Questo fa pensare ad altri esseri viventi che ogni
anno li osservano silenziosi.
Li chiamano « sa zente arrubia », « la gente rossa », sono i fenicotteri rosa che, splendidi,
eleganti, vivono dall’altra parte degli stagni. Chiamarli « sa zente arrubia », « la gente rossa
», significa rispettarli, significa dare loro il massimo della dignità, il diritto ad esistere come
un altro popolo che convive con noi nel creato. Credo che sia pienamente nello spirito francescano riconoscere questa dignità e questo rispetto agli animali che vivono con noi e con
noi condividono l’acqua e l’aria. Il mio obiettivo nell’aprire i lavori non è dimostrare quanto
questo convegno sia importante, perché a questo scopo bastano da soli i nomi degli illustri
relatori a partire dal professor Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, Presidente dell’Accademia
Nazionale delle Scienze, che terrà la relazione iniziale. È mia intenzione sottolineare quanto sia importante che questo incontro di studio e di riflessione avvenga proprio nel mese di
« cabidanni-settembre », quanto questo sia nel solco di una millenaria tradizione, quanto si
leghi ai bisogni e ai sentimenti di chi vive a contatto diretto con la natura perché dalla natura
dipende il suo vivere. Volevo segnalarvi come sia necessario che questa giornata di studio e di
riflessione avvenga nel momento più giusto, quello in cui da sempre ci si prepara ad affrontare
il nuovo ciclo delle stagioni. Mi auguro che questo appuntamento sia rinnovato ogni anno e
proprio in questi giorni, i più adatti a preparare una difesa della nostra integrità materiale e
spirituale, dell’aria della nostra vita, dagli attacchi che arrivano da più parti.
205
I sessione
Natura vivente: comprendere
i cambiamenti e le loro cause
fratello sole madre terra 2009
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza1
Analisi, rilievi e considerazioni2
Il nostro ormai ventennale Convegno in Assisi su temi di cultura scientifica, periodicamente connesso al Premio internazionale « S. Francesco – Cantico delle Creature »,
quest’anno 2009 è più nettamente orientato sui rapporti, sui comportamenti dell’Uomo con
la Natura vivente. Si vuole in sostanza, anche nel richiamo ai temi dell’educazione e formazione ambientale entusiasticamente trattati – negli ultimi convegni assisiati – dal socio Moroni e dalla sua Scuola, rivolgere particolare attenzione ai progressi cognitivi sulle relazioni
tra natura, ambiente e creature. Come ha detto Ilya Prigogine « la Scienza è un dialogo con
la Natura », la scienza deve studiare la natura, per conoscerla, per esaltarne i valori e quindi
meglio difenderla e proteggerla. Dialogare cioè conoscerla affinché le nuove progettualità di
sviluppo della società siano conformi, immuni da rischi, scevre da apocalittiche previsioni,
da speculazioni p.e. per intenti economici, da egoismi e protezionismi, da elucubrazioni
falso-filosofiche. Conoscere sempre meglio la Natura per corroborare e confermare, anche
mediante nuovi e più ecosostenibili stili di vita prudentemente modellati sulle condizioni
socio-economiche-culturali delle diverse collettività, i principi bioetici dei rapporti di solidarietà tra gli uomini e tra Uomo e Natura.
Natura vivente: Francesco parla al lupo e – come lui – scienziati, amatori e domatori si intendono con animali. C’è un intendimento « intelligente »? Parole, suoni, gesti, sguardi, carezze, fischi, canti, moti del corpo, cibi, guaiti, ruggiti: sono modi di esprimersi, di comprendersi,
di comunicare, di « parlare » tra gli animali, tra alcuni animali (allo stato dei fatti) e l’uomo.
Sono manifestazioni di « intelligenza naturale »?
Insomma: gli animali (ed attenzione va rivolta anche agli animali acquatici) come si esprimono per poter comunicare, dialogare, intendersi? Come e quali sono le loro capacità di apprendimento e di memoria? quali i sistemi genetici e le conseguenti istruzioni comportamentali
1. Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
115-117.
206
e le risposte adattative all’ambiente?
Io mi permetto di pensare che una simile impostazione delle riflessioni che saranno di
seguito svolte possano molto interessare le Autorità Ecclesiastiche presenti.
Come è noto, Jane Goodall che per tanti anni a Gombe (Tanzania) ha studiato gli animali,
di recente in un convegno ha salutato il pubblico col linguaggio degli scimpanzé, imitandone il
verso; e raccontava che dalla sua ricerca aveva ricavato il senso di un legame in comune tra gli
esseri umani, gli animali e l’ambiente. E il socio Danilo Mainardi ci parlerà – tra l’altro – delle
sue tante e originali esperienze in campo etologico. Studi che possono portare a nuovi saperi
sull’ambiente naturale, ed a progetti e investigazioni sulle attività comportamentali fra i membri della Natura vivente. Occorrono studi – anche di valore e di significato trascendentale – e
modelli circa i fenomeni comportamentali di convivenza, di comportamenti intelligenti, di
adattabilità all’ambiente.
Ed è ovvio che nell’obbligo dell’Uomo di custodire, di proteggere l’ambiente, le risorse
naturali, l’Uomo deve valutare e custodire anche la flora, le piante, gli organismi vegetali, che
sono componenti della natura vivente; a cominciare dalle agroalimentari di cui ci parlerà il
socio Enrico Porceddu.
Ma l’Uomo è giunto a considerare le piante al proprio servizio, uso e consumo (anche
estetico), a sfruttarle per corrispondere alle sue esigenze, oggi crescenti in conseguenza dei
ritardi nella lotta alla fame e all’indigenza e alle malattie, della rarefazione della biodiversità,
della deforestazione, dell’incremento demografico, delle richieste del mercato agroalimentare,
ecc. Eppure, tante e chiarificatrici sono le esperienze e le conoscenze scientifiche accumulate
p.e. grazie al ruolo della fotosintesi nel trasferimento di CO2 nell’atmosfera, nell’emissione di
Ossigeno e nella fissazione del Carbonio; così come sono cospicui i progressi nella produttività
agricola e sicurezza alimentare favoriti dalle applicazioni scientifico-tecniche note col nome di
« rivoluzione verde » ed oggi di « rivoluzione sempreverde ».
Non posso pensare che non ci siano forme di comunicazione fra vegetali e il loro «custode», ma anche addomesticatore e, purtroppo sfruttatore spesso egoisticamente interessato
ad incrementare redditi personali e nazionali. E così pure non posso pensare che non ci siano
modi di comunicazione, di intese, di reazioni nei rapporti delle cellule tra piante e animali. Nei
rapporti, cioè, della pianta con gli insetti buoni e cattivi (impollinatori o diffusori di malattie) o
con le fitopatie e le capacità di resistenza o tolleranza ad esse; ovvero nei rapporti tra le cellule
dell’apparato radicale ed i microrganismi del suolo, attraverso, per esempio, proteine (terpeni, ecc.), molecole, enzimi, piccole mutazioni, meccanismi nano-tecnologici; ed ancora, per
esempio, nei processi metabolici della pianta per difendersi da aridità, per valorizzare le risorse
idriche e le condizioni climatiche, per crescere, fruttificare, dare discendenza. E sull’atmosfera
e il clima un aggiornamento molto attuale ci sarà dato da Franco Prodi, mentre sulle emissioni
inquinanti da mezzi di tra sporto, anche nel confronto tra mezzi stradali e ferroviari, farà il
punto l’ing. Mario Moretti, Amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato.
E non dimentichiamo che anche per la sua fisiologia e le sue patologie, l’uomo si avvia e
celermente procede nello scoprire, sempre più e meglio, il legame, i filamenti proteici cellulari,
il sistema enzimatico, le modalità di penetrazione p.e. di un parassita – o di una sostanza tossica
207
– attraverso la membrana delle cellule sane, il sistema di silenziare geni dannosi, silenziamento
che è anche noto ed evidente in piante e in animali.
Credo che l’Uomo sempre più imparerà a conoscere la « natura vivente » a comunicare
con essa, a comprenderne la millenaria evoluzione [eco e co-evoluzione], ad adeguare i reciproci comportamenti; ma anche a rispettarla e sempre meglio custodirla, p.e. leggendo meglio i
messaggi iscritti nelle molecole con le lettere (le vocali) degli acidi nucleici RNA e DNA. Oggi
infatti si sa che i sistemi viventi sono basati appunto su alcune molecole fondamentali, gli acidi
nucleici, per trasmettere di generazione in generazione il patrimonio genetico, le proteine che
assolvono alle funzioni cellulari, per esempio quelle enzimatiche.
E allora? Non avrà così l’uomo « comunicato, interagito » con la Natura vivente? E non
dovrà continuare, con coscienza critica ed un afflato di trascendalità secondo Francesco, ad
osservare e studiare le espressioni dei « linguaggi » delle specie, e ad approfondire – con nuove
idee e progetti – le relazioni « intelligenti » ed i reciprocamente vantaggiosi comportamenti tra
gli esseri umani e le tante altre entità della « natura vivente »?
Gli esseri umani, creature intelligenti, poste dal Creatore a salvaguardia dei beni naturali,
della natura vivente, della complessità degli ecosistemi, devono dunque garantirne l’ecobiosostenibilità e i processi selettivi e evolutivi, con una gestione cosciente solidale responsabile, e
con compatibili tecnologie fondate su studi severi e su valide ricerche scientifiche.
208
I sessione
Natura vivente: comprendere
i cambiamenti e le loro cause
fratello sole madre terra 2009
Danilo Mainardi1
Intelligenze naturali: una lettura etoecologica2
Il comportamento è l’espressione fenotipica maggiormente coinvolta nei rapporti tra gli
individui. Interessa pertanto il fenomeno della coevoluzione, il meccanismo che determina gli
equilibri tra le specie, forgiandone nel contempo la diversità. Ogni specie che partecipa di una
ben definita biodiversità infatti ricopre simultaneamente la parte dell’oggetto e del soggetto
della selezione naturale. È su questo reticolo di interazioni e interdipendenze che si fondano
gli equilibri naturali.
L’etologia può pertanto offrire un’utile chiave di lettura degli equilibri ambientali proprio
perché ne evidenzia i meccanismi primari che ne consentono, nel tempo, il mantenimento.
Considerando inoltre che la nostra specie si caratterizza per l’importanza dei fenomeni culturali, causa remota d’ogni attuale impatto ambientale, è di notevole rilievo anche il contributo
offerto dall’etologia umana.
Pare opportuno sottolineare, fin da subito, come il concetto di comportamento intelligente cui fa riferimento il titolo di questo scritto vada riportato alla definizione comunemente
accettata dagli studiosi di intelligenza artificiale, in particolar modo da quelli che si occupano
robotica evolutiva. Per questi ricercatori, infatti, la qualità « intelligente » dei robot autonomi
che vengono usati nei loro esperimenti corrisponde alle qualità adattative dei comportamenti
da essi espressi, in un’ottica essenzialmente darwiniana. Dirò brevemente, a titolo esplicativo,
che le popolazioni sperimentali di robot interagenti con ambienti ad hoc preparati, vengono in
questi esperimenti testate a risolvere problemi che ne decretano o meno la sopravvivenza, ciò
con esplicito riferimento, seppure per analogia, ai processi della selezione naturale.
Ebbene, questa definizione di intelligenza strettamente dipendente dal concetto di adattatività, che sarebbe decisamente riduttiva se si prendesse come modello quella umana, che esige
ben più complesse valutazioni e descrizione, ben si confà, invece, se si tratta di affrontare il
1. Uno dei XL. Professore emerito di Ecologia comportamentale, Università Ca’ Foscari di Venezia.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
119-123.
209
problema della qualità dei comportamenti espressi dalle specie più diverse, siano esse animali
o vegetali, ed in particolare quando tali comportamenti devono trovare un equilibrio con quelli delle altre specie che convivono nel medesimo ambiente determinandone la biodiversità.
Perché è appunto da questo equilibrio, basato su sapienti calibrature collaudate generazione
per generazione dall’opera della selezione naturale, che essenzialmente si fondano gli equilibri
naturali e pertanto il mantenimento della biodiversità.
Fatta questa indispensabile premessa, è ora opportuno occuparci della nostra specie, caratterizzata in modo forte dalla sua notevole capacità di produrre e trasmettere cultura. Ed è proprio tale specifico che ha consentito il rapido evolversi dei nostri stili di vita, con conseguenze
spesso di grande impatto negativo sulla sopravvivenza delle altre specie, animali e vegetali, e
sugli equilibri generali.
Utile è pertanto analizzare l’evolversi dei nostri stili di vita nel corso del tempo. Per la gran
parte della sua storia l’umanità è vissuta di caccia e di raccolta. Ciò implicava la necessità di
una conoscenza approfondita della natura. A riprova di ciò è il fatto che non esista cultura di
cacciatori-raccoglitori che non includa una sistematica capace di riconoscere le principali specie
animali e vegetali dell’ambiente frequentato. Ma ovviamente questo non era sufficiente, perché
ai cacciatori-raccoglitori era anche indispensabile prevedere il comportamento degli animali
con cui avevano a che fare, la commestibilità dei vegetali, il loro possibile uso terapeutico,
tant’altro ancora. Le primitive culture umane, pertanto, erano caratterizzate dalla centralità
della conoscenza naturalistica.
I cacciatori-raccoglitori avevano uno stile di vita che consentiva di prelevare risorse
dall’ambiente senza depauperarlo. Si mantenevano, cioè, in equilibrio con la natura. Ciò si
realizzava attraverso una strategia, denominata K, analoga a quella di molte specie animali,
quali l’aquila, la lince, il lupo, per citare le più note. Specie distribuite in modo calibrato
all’interno di territori, detti trofico-riproduttivi, dimensionati in modo da consentire un corretto prelievo delle risorse. Le specie Kstrateghe proporzionano infatti a priori le dimensioni
delle loro popolazioni. Ciò consente a queste specie « inconsapevolmente previdenti » di
mantenersi in equilibrio con il proprio ambiente. Anche gli uomini (che tra l’altro biologicamente sono una specie K-stratega) finché hanno vissuto con questo stile, hanno rispettato
queste regole. È affascinante scoprire come i cacciatori-raccoglitori siano in grado di calibrare
la dimensione dei loro gruppi allo spazio occupato in vario modo sviluppando culture limitanti le nascite e il prelievo delle risorse.
Essendo però gli uomini sono animali culturali, la strategia K non l’avevano scritta nei
geni, ma nella cultura. È stato così loro possibile, a seguito d’una acquisizione culturale, cambiare radicalmente stile di vita. All’incirca diecimila anni fa è iniziato l’addomesticamento di
animali e vegetali, ovvero le pratiche della pastorizia e dell’agricoltura. Ciò ha determinato un
progressivo incremento delle risorse e, in definitiva, lo scollamento tra presenza umana e territorialità di tipo trofico-riproduttivo. È comparsa la sedentarietà e con essa i primi agglomerati
abitativi stabili di dimensione sempre maggiore, il possesso di beni in quantità crescente. È iniziato, soprattutto, l’incremento demografico che, sia quantitativamente che qualitativamente,
ha da subito determinato un impatto sugli equilibri naturali.
210
Per continuare l’analogia con altre specie, in natura esiste anche la strategia r, che trova
la sua estrema esemplificazione nelle « specie fuggitive », come i lemming, come le locuste.
Specie opportunistiche che si riproducono in modo esplosivo per poi rapidamente declinare, e
che, spostandosi da una zona all’altra, sfruttano le risorse fino ad esaurirle. Le specie fuggitive,
comunque, stanno all’interno di un sistema naturale che il loro « distruggi e fuggi » lo contempla. Ebbene, seppure diversamente, anche i più primitivi agricoltori, a causa della carente
tecnologia, erano, incapaci com’erano di sfruttare a lungo i loro coltivi, « fuggitivi », giacché
si spostavano continuamente verso nuove aree fertili. Oggi però, se in quest’ottica analogica
vogliamo descrivere lo stato della nostra specie, possiamo affermare di essere divenuti dei «
fuggitivi » che, proprio per il continuo e spropositato incremento demografico e il conseguente
abnorme prelievo, non sappiamo più dove fuggire.
L’impatto dell’uomo sulla natura, però, non è solo quantitativo. Mentre in origine ogni
uomo era cacciatore, ogni donna raccoglitrice, con l’agricoltura, con la pastorizia, l’aumento
della produttività determinò anche il fiorire di differenti specializzazioni culturali. Già nei primi villaggi, ma poi nelle città, si sviluppò un ventaglio di « professionalità » sempre più esteso.
Si instaurò così quella gerarchia delle gerarchie per cui il parere di un sacerdote o di un guerriero pesava indubbiamente di più di quello di un pastore o di un contadino. È all’interno di
questa nuova diversità culturale che prese consistenza, perché propria delle culture dominanti,
l’illusoria idea dell’uomo estraneo alla natura ma che può impunemente dominarla. Si dissolse
pertanto la primigenia centralità della cultura naturalistica mentre si consolidò la convinzione
di un mondo animale e vegetale sempre e comunque capace di rigenerarsi e da cui era possibile
prelevare all’infinito.
Solo assai recentemente problemi come l’aumento della desertificazione, la diminuita
pescosità dei mari, la riduzione della biodiversità si sono fatti sentire. A causa però dell’incrostazione di idee errate culturalmente presenti è risultato arduo assimilare la ormai fastidiosa
idea che anche noi siamo parte nella natura e che dal mantenimento dei sui equilibri e della
sua diversità dipendiamo per la nostra sopravvivenza.
Un aspetto fondamentale è che, perché si mantenga l’equilibrio dei singoli sistemi ecologici, è necessario che sopravviva ogni specie che li caratterizza. Il nucleo del ragionamento sta
nella parola « biodiversità », che significa ben più dell’adusata conta del numero di specie che
caratterizzano e differenziano i singoli sistemi. Perché biodiversità significa « coevoluzione »,
significa cioè che le specie, oltre che adattarsi all’ambiente fisico-chimico, si sono anche evolute
reciprocamente influenzandosi. I predatori, per esempio, sono modellati sulle caratteristiche
delle prede così come queste sono modellate su quelle dei predatori. Nasce da ciò l’equilibrato
rapporto essenziale alle une e agli altri.
Perciò ogni specie è indispensabile per il mantenimento dell’equilibrio, e ambiente in
equilibrio significa ambiente sano, anche per la qualità della nostra vita. La rottura degli equilibri può infatti provocare conseguenze lontane, spesso difficilmente prevedibili.
Un’importante differenza tra l’evoluzione biologica e quella culturale risiede nelle loro
diverse velocità: lenta la prima, assai veloce, sempre più veloce, la seconda. Usando ancora
del caso ben comprensibile del rapporto tra preda e predatore è facile comprendere come
211
la sostituzione di un predatore naturale con uno culturale (un cacciatore, un pescatore) impedisca il fenomeno della coevoluzione, che mantiene attraverso l’evoluzione biologica «
intelligentemente » calibrati i rapporti tra le specie. Il cambiamento di origine culturale è
infatti troppo rapido perché la natura possa tenerne il passo. Perciò l’evoluzione culturale,
se è scarsamente consapevole dei meccanismi adattativi naturali, può avere un forte impatto
negativo sulla biodiversità.
Il concetto, però, può essere ampliato. Vale cioè non solo nell’interazione tra le specie, ma
anche nel rapporto adattativo tra gli organismi e il loro ambiente fisico-chimico.
L’esplorazione del pianeta ci insegna che non esistono zone totalmente inospitali per la
vita. È stata la scoperta delle specie estremofile a regalarci la migliore esemplificazione della
possibilità di generalizzare il concetto che è la differente velocità del cambiamento a produrre
il disadattamento, non la qualità ambientale in senso stretto.
Il caso più affascinante è quello delle fumarole nere, scoperte nel 1977 al largo delle coste
dell’Ecuador, alla profondità di circa 2500 metri. Si tratta di geiger sottomarini che espellono
acqua bollente mista a minerali da camini vulcanici situati sul fondo dell’oceano. L’acqua è
emessa a 350°C e, non appena entra in contato con quella fredda oceanica, forma volute nere
contenenti una miscela di composti di zolfo e di altri minerali espulsi dal camino. Ebbene,
quest’ambiente decisamente estremo risulta essere popolato. Il fondamento di questi ecosistemi estremi è rappresentato da organismi chemiosintetici. Su questa base prosperano attinie e
meduse. anellidi, molluschi, crostacei, perfino pesci.
Potrei continuare l’esemplificazione raccontando di esseri viventi intelligentemente (la
sapienza delle specie) adattati ad ambienti altrettanto estremi. Il concetto, comunque, rimane
questo, concedetele il tempo che le serve e la vita s’adatterà.
È pertanto illuminante rilevare come il comportamento spesso disastrosamente inquinante
proprio della nostra specie risulti tale in quanto il cambiamento indotto, sia esso fisico o
chimico, è troppo repentino. Ed è così perché è culturale in modo maladattativo.
Purtroppo forte è la tendenza, nella nostra specie, a badare massimamente alle cause
prossime trascurando le remote. L’ecologia applicata si è andata sviluppando proprio a seguito della percezione dei cosiddetti campanelli d’allarme e il principale esercizio è stato quello
di inseguire, di volta in volta, l’emergenza. Occorre invece comprendere che la causa remota
di ogni dissesto ecologico risiede, senza eccezione, in una cultura sbagliata, il che vuol dire
maladattativa. Pertanto questo è il livello a cui soprattutto, o almeno in ugual misura, si dovrebbe operare.
È suggestivo pensare che, dopo diecimila anni, l’uomo sia nuovamente obbligato, per
ritornare a comportarsi in modo intelligente, almeno nel senso « riduttivo » usato in questo
scritto, a ricuperare, seppure in un’ottica diversa, l’antica centralità della cultura naturalistica.
Abstract – The remote cause of every natural imbalance and of the majority of extinctions
of species is the impact between the maladaptive cultural behaviour of the human species and
the world of biologically evolving living organisms. There are analogies between biological and
cultural evolution, concerning: a) the mechanisms through which evolutionary developments
212
occur (mutations on the one hand and new ideas, new behaviours, solutions of problems etc.
on the other), b) chance (genetic and cultural drift), c) migrations (dissemination of genes and
of culture) and d) natural selection (a maladaptive habit will be penalised irrespective of whether it is transmitted genetically of through social learning). One important difference between
biological and cultural evolution mast be stressed: biological transmission is slow, conservative
and « vertical », because the evolutionary development is passed down exclusively from the
parents to the young; the mechanism of cultural transmission is rapid, innovative and largely
« horizontal ». One crucial important point is that when the two processes interfere with each
other, biological evolution does not occur at the same pace as cultural evolution, hence the
imbalances caused by culturally-based human evolution. In fact biological adaptive counterstrategies evolve too slowly to be able to keep up with the rapidity of the changes wrought by
human cultural evolution. In other words, the speed of change of human culture evolution
makes coevolution impossible.
Parole chiave: Biodiversità, coevoluzione, evoluzione biologica, evoluzione culturale,
intelligenza, robotica evolutiva.
213
I sessione
Natura vivente: comprendere
i cambiamenti e le loro cause
fratello sole madre terra 2009
Franco Prodi1
Cambiamenti climatici: cause naturali e cause antropiche2
Grande emozione essere qui nei luoghi di Francesco a parlare di madre Terra e delle
variazioni del suo clima. Il prof. Mainardi ha parlato di variazioni dei viventi, homo sapiens
incluso, e di evoluzioni biologiche e culturali. A me spetta di parlare della Terra, il pianeta
che ospita la biosfera, e dei suoi propri cambiamenti. Ed è oggi anche, come è stato ricordato,
giornata dell’aria, della sua qualità, ma anche della sua essenzialità, per molti viventi. Dunque
ci focalizzeremo sull’atmosfera, che è proprio questo involucro d’aria che avvolge il pianeta e
nella quale la realtà del clima principalmente si compie.
Se facciamo una carrellata veloce nel passato, dell’ordine delle centinaia d’anni, vediamo le variazioni della temperatura dell’aria al suolo, rispetto ad un valore medio del trentennio1960-1990, derivata da misure fisiche, in tante stazioni meteorologiche su tutto il globo.
L’andamento mostra, per gli ultimi due secoli, un aumento di circa sette decimi di grado per
secolo di questo parametro, con accentuazione negli ultimi decenni. Andando a ritroso nel
tempo ci troviamo subito privi delle misure fisiche (il termometro è nato con Galileo e con
la scienza) e bisogna ricorrere a tanti indizi diversi: i documenti storici, gli anelli degli alberi,
i sedimenti marini e lacustri, i carotaggi dei ghiacci antartici, ed a tutto l’armamentario della
paleoclimatologia, ottenendone indicazioni sempre più incerte, come è ovvio, ma sulle quali
c’è una certa concordanza fra gli scienziati specialisti. Così nell’ordine delle migliaia di anni
troviamo le piccole glaciazioni del 1400-1700, l’optimum (caldo) medioevale. Nell’ordine delle
decine di migliaia di anni, oscillazioni sempre più ampie della temperatura dell’aria, con massimo nell’olocene, mentre nell’ordine delle centinaia di migliaia di anni, aiutati principalmente
dai carotaggi di ghiaccio antartico, individuiamo periodi dell’ordine di quattrocentomila anni
e sottoperiodi di circa centoventimila anni. Passando poi ai milioni e miliardi di anni possiamo mettere in relazione questo parametro con la disposizione delle terre emerse, la deriva dei
1. Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR ed Università di Ferrara.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 1127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
125-131.
214
continenti e la stessa storia del pianeta, anche prima che in questo avesse origine la vita. Ancora
più ampie si rivelano le oscillazioni con due grandi glaciazioni e lunghi periodi di temperature
elevate.
È naturale dare una causa o più cause a queste oscillazioni naturali. Le individuiamo
descrivendo innanzitutto il sistema nei suoi due attori principali: Il sole e la terra, la « lampada »
e « la palla » da biliardo. Nel vuoto i due si scambiano radiazione elettromagnetica. La lampada
emette radiazione elettromagnetica centrata nel visibile, la palla emette radiazione infrarossa;
radiazione che non vediamo ma che è altrettanto reale, come lo è il calore che sentiamo se
avviciniamo la mano ad un ferro da stiro acceso.
Ci attendiamo che la temperatura di equilibrio della « palla », che riceve calore intercettando la luce visibile con la sua sezione come in disco e lo cede irraggiando infrarosso tutto intorno, si assesti su un valore che diminuisce se aumenta la distanza dalla « lampada », ovvero se la
lampada perde di intensità. L’opposto ci aspettiamo se la distanza diminuisce e se la lampada
aumenta l’intensità. La variazione della distanza palla-lampada viene chiamata « causa astronomica della variazione climatica », la variazione dell’intensità della lampada « causa astrofisica ».
Entrambe sono quindi cause naturali.
Il problema però si complica assai perché la palla è avvolta da un involucro gassoso,
l’atmosfera appunto, che si comporta in modo selettivo per la radiazione che l’attraversa, assai
benevola per la luce solare visibile che lascia passare quasi tutta, ma molto fiscale per quella
infrarossa che dalla terra va verso lo spazio esterno, trattenendola con un « va e vieni » che ha
come effetto il riscaldamento dell’atmosfera stessa (effetto serra). L’atmosfera infatti è composta
anche da gas le cui molecole sono composte da tre o più atomi, che hanno bande di vibrazione
e rotazione che assorbono ed emettono radiazione infrarossa: principalmente l’anidride carbonica, ma anche ozono, metano e lo stesso vapore d’acqua.
Se la terra fosse una sfera omogenea priva di atmosfera, tenendo costanti i dati esterni
(energia in arrivo dal sole, distanza terra-sole), il problema sarebbe altamente semplificato: basterebbe eguagliare il flusso dell’energia solare intercettato dalla sfera (come un disco) a quello
emesso dalla stessa verso lo spazio esterno in tutte le direzioni per ricavare la temperatura di
equilibrio della sfera stessa. Ciò che impedisce di semplificare così il problema è appunto la
presenza dell’atmosfera e delle nubi e dell’aerosol in essa presenti.
Infatti sono sospese nell’atmosfera anche particelle solide molto piccole (aerosol atmosferico) ed una gran varietà di nubi che svolgono un ruolo importante nel bilancio di radiazione
dell’atmosfera. È proprio su queste componenti che l’effetto dell’uomo, l’uomo industriale, si
fa sentire e può interferire sul clima del pianeta. Le nubi sono infatti il prodotto della dinamica
alle scale più varie: dal cumulo di bel tempo, prodotto del diverso riscaldamento della superficie terrestre, alla nube orografica, legata alla circolazione di valle, al grande sistema nuvoloso
del ciclone extratropicale, risultato di un sistema grande migliaia di chilometri). Non appena
formate, tuttavia, le nubi hanno un effetto sugli scambi di radiazione elettromagnetica e conseguentemente cambiano le regole che presiedono a questi scambi. Scambi che, come abbiamo
detto, sono cruciali nella definizione del clima.
La variazione della composizione dell’atmosfera è quindi altra grande causa di variazioni
215
climatiche, poiché la sua composizione può variare sia per cause naturali che antropiche. Sono
cause naturali gli scambi atmosfera-oceano, atmosfera-biosfera, le eruzioni vulcaniche, il ciclo
dell’acqua, mentre l’uomo ci mette di suo l’uso dei combustibili fossili, gli allevamenti animali
su grande scala, immettendo in atmosfera sia gas serra che particelle. Inoltre l’uomo varia l’albedo superficiale con la deforestazione e la distruzione del suolo agricolo.
Va poi ricordato che il clima è definito da cinque grandi comparti: l’atmosfera, l’idrosfera,
la criosfera, la litosfera e la biosfera. L’oceano e l’atmosfera interagiscono tra loro attraverso i
flussi di calore e vapore, il ciclo evaporazione-precipitazione. La circolazione oceanica è descrivibile ai fini climatici come una grande nastro che partendo dalla « corrente del golfo » giunge
ai mari marginali ove cede calore all’atmosfera e sprofonda nell’oceano, con una scala temporale tipica di mille anni. L’interazione atmosfera-biosfera ed il ciclo del carbonio svolgono pure
un importante compito.
Le nubi, in particolare, svolgono il delicato ruolo di ripartire cause naturali ed antropiche,
trovandosi esse al centro del sistema clima e soggette ad entrambe le influenze.
Nell’atmosfera priva di nubi la radiazione solare viene riflessa come tale verso lo spazio
esterno dalle molecole di gas e dalle particelle di aerosol presenti. Una volta raggiunta la superficie terrestre questa riemette verso lo spazio esterno la radiazione come un corpo nero a 300 K.
Se invece vi sono nubi la parte di radiazione solare che viene subito riflessa dalla sommità
della nube verso lo spazio esterno aumenta, ed inoltre si determina un assorbimento sia all’interno della nube che una diffusione (scattering), che può avere effetti molto importanti e difficili da trattare (scattering singolo e scattering multiplo). Inoltre, molto dipenderà dall’altezza
alla quale si trova la nube e la composizione della stessa, se – cioè – di goccioline d’acqua o di
cristalli di ghiaccio.
Le distribuzioni dimensionali delle goccioline di nube presentano concentrazioni predominanti nell’intervallo di raggio da 2 a 30 µm, ed i cristalli da 5 a 200 µm circa; in particolare,
una popolazione di goccioline di nube può produrre una forte estinzione sia della radiazione
solare che della radiazione infrarossa. In sintesi gli effetti delle nubi sul clima possono perciò
consistere in assorbimento e riflessione della radiazione solare, con conseguente, per la variazione di spessore ottico, variazione dell’albedo. Infatti l’albedo aumenta al crescere dello
spessore ottico, e quindi del suo spessore geometrico, e al crescere della concentrazione delle
goccioline e della loro dimensione. L’assorbanza, d’altra parte, è strettamente legata all’indice
di rifrazione delle goccioline ed alle proprietà ottiche della nube. Pertanto, considerevoli variazioni delle caratteristiche ottiche di una nube possono essere causate non solo dalle particelle
di aerosol catturate dalle goccioline di nube, ma anche dalle particelle cosiddette interstiziali
(libere nello spazio tra le goccioline). In particolare, le particelle di aerosol prodotte dall’uomo
possono provocare notevoli variazioni dell’assorbanza e della riflettanza delle nubi.
Per quanto riguarda gli effetti dovuti alla emissione della radiazione infrarossa da parte
delle nubi, si deve tener presente che ogni strato di nube emette radiazione termica verso l’alto
e verso il basso, comportandosi in maniera molto simile ad un corpo nero avente la stessa temperatura dello strato. Poiché le nubi si trovano a temperatura compresa tra 250 e 300K circa, la
curva di distribuzione spettrale dell’irradianza emessa da uno strato di nube può presentare il
216
suo valore massimo ad una lunghezza d’onda compresa tra 9.6 e 11.6 um circa (legge di Wien).
Per la legge di Stefan Boltzmann l’irradianza emessa dalla nube è proporzionale alla quarta potenza della temperatura. Quindi, in generale, una nube emette più radiazione termica verso il
basso che non verso l’alto (essendo la parte inferiore più calda di quella superiore). Ne consegue
che considerando i soli termini della radiazione infrarossa, questa contribuisce maggiormente
a rafforzare l’effetto serra dell’atmosfera che non i processi di raffreddamento del sistema terraatmosfera. Si deve tenere presente inoltre che, fatta eccezione per i cirri sottili, lo spessore ottico
delle nubi nell’infrarosso è solitamente abbastanza grande perché la radiazione termica emessa
dalla superficie terrestre e dagli strati atmosferici sottostanti la nube sia quasi integralmente attenuata dalla nube stessa. Quindi, quando si valutano gli effetti delle nubi sul flusso di radiazione
infrarossa uscente dal sistema Terra-Atmosfera, è importante tenere conto soprattutto della
temperatura delle strato superiore della nube, poiché da essa dipende principalmente il valore
dell’irradianza emessa dall’atmosfera verso lo spazio esterno.
Diversi altri fenomeni vanno tenuti presenti, fra i quali: a) gli effetti dovuti all’attenuazione della radiazione infrarossa, che da parte delle nubi avviene per scattering ad assorbimento, il cui ammontare dipende dallo spessore ottico delle nubi, a sua volta dipendendo
dallo spessore geometrico, dalla concentrazione delle goccioline e dalle loro caratteristiche
chimiche e fisiche; b) gli effetti dovuti alla variazione dell’indice di nuvolosità, per cui, le
immagini della terra ottenute dal satellite negli intervalli di lunghezza d’onda del visibile e
dell’infrarosso mostrano che circa la metà parte della superficie è coperta da nubi, con valori
di albedo più alti nelle aree prive di nubi. Al riguardo è evidente che variazioni dell’indice
di nuvolosità (percentuale della superficie terrestre coperta da nubi) comporterebbero una
variazione dell’albedo complessiva del pianeta.
Un puro aumento di nuvolosità, non accompagnato da una variazione delle proprietà
ottiche porterebbe ad un pronunciato effetto di raffreddamento. Ma se l’aumento dell’indice
di nuvolosità fosse accompagnato da una diminuzione dell’albedo caratteristica della nubi (per
esempio per immissione da parte dell’Uomo di particelle carboniose più assorbenti) l’effetto
complessivo sarebbe di raffreddamento.
Con ciò si conferma la veridicità dell’affermazione che il cambiamento del clima passa
quindi attraverso l’accertamento dei cambiamenti della nuvolosità, in estensione, natura e
composizione.
Si pone quindi il problema di costituire una climatologia delle nubi e della loro variazione. E nel 1982 è stato impostato un Progetto « International Cloud Climatology Project »,
come parte del « World Climate Research Program », con lo scopo di raccogliere misure di
radianza proveniente dai satelliti meteorologici per dedurre la distribuzione globale delle nubi,
le loro proprietà, le loro caratteristiche diurne, stagionali ed interannuali. Dal luglio 1983 ad
oggi sono stati organizzati archivi di dati di radianza a risoluzione ridotta su 30 X 30 km ogni
tre ore, per singoli satelliti e sensori, ed altri prodotti a livello di pixel singolo, con una sintesi
da usarsi a fini climatologici, mensile, su griglia di 280 km e su tutto il globo. Tale sezione
dell’archivio include la frazione di copertura delle nubi, la pressione alla sommità della nube, la
temperatura, sempre alla sommità della nube e la sua variabilità alla mesoscala. Inoltre vengono
217
archiviati dati relativi al quantitativo di acqua di nube, la dimensione media delle idrometeore,
lo spessore ottico, il tipo di nubi e la pressione e temperatura della loro base. Come risultato
viene prodotta la deviazione dal valore medio dello spessore ottico (che si mantiene normalmente fra +-0.5 per un valore medio di 3.8) e vengono prodotte mappe globali estratte dalle
medie annuali. Si nota una diminuzione della copertura del 2% dal 1992 ad oggi, mentre si era
osservato un aumento dal 1983 al ’91.
È anche necessario calcolare gli effetti dell’uomo sul clima attraverso le nubi. Fra le cause
che possono portare ad una variazione dell’indice di nuvolosità, e delle caratteristiche ottiche
delle nubi, vi è certamente l’alterazione del processo di formazione delle nubi stesse procurata
dall’uomo attraverso la immissione di particelle di aerosol, diverse da quelle naturali sia per
numero che per caratteristiche chimico-fisiche.
Poiché in atmosfera la nucleazione è per lo più eterogenea, cioè avviene su particelle di
aerosol che fungono da nuclei di condensazione, il tasso di formazione di goccioline non
dipende quindi dalla statistica delle fluttuazioni eterofase ma dal numero di questi nuclei. La
condensazione su ioni, su particelle solubili o insolubili, modifica la variazione di energia libera
che interviene nel cambiamento di stato. Per particelle igroscopiche, ad esempio, l’effetto netto
è quello di diminuire la tensione di vapore di un termine cosiddetto di soluzione.
Si tenga anche presente che una popolazione di aerosol è caratterizzata da uno spettro
di attivazione, che rappresenta il numero di particelle per unità di volume che sono attivate
per diventare goccioline (i cosiddetti CCN), ad una fissata supersaturazione. Una volta noto
lo spettro di attivazione di una popolazione di aerosol, la concentrazione di goccioline che si
verrà a formare nei primi stadi di evoluzione di una nube sarà funzione della supersaturazione
e quindi tipicamente della velocità della corrente ascendente Le goccioline ai primi stadi di
sviluppo sono così piccole che tipicamente i processi di sedimentazione e di coalescenza non
sono ancora importanti: è invece la condensazione il processo che domina l’accrescimento. Le
goccioline che si sono formate sui diversi CCN (caratterizzati da un particolare spettro di massa) crescono nei primi metri della nube grazie all’aumento della supersaturazione. L’aumento
della supersaturazione inoltre porta ad attivare sempre più goccioline, di modo che aumenta
anche la loro concentrazione. Questa raggiunge un massimo poche decine di metri al di sopra
della base della nube, dove sarà massima anche la soprassaturazione, che poi comincia a calare,
mentre la concentrazione di goccioline rimane pressoché costante: solo le particelle più grosse
continuano a crescere, mentre per quelle più piccole il processo di crescita per condensazione
non è energeticamente favorito e le goccioline tendono ad evaporare.
Quando nella nube incominciano a comparire goccioline con raggi di 20 micron diventano rilevanti i processi di collisione/coalescenza. L’evoluzione della popolazione viene tipicamente rappresentata con un modello di crescita stocastica. Si noti che una goccia della dimensione di 1 mm (se risulta dalla cattura di altre e non dalla fusione di un fiocco) è il risultato di 10
5+10 6 eventi di cattura. Di conseguenza la comparsa della pioggia richiede che, subito dopo
la fase di crescita per condensazione almeno una gocciolina ogni centomila abbia un raggio
superiore ai 20 micron, un raggio cioè sufficiente a innescare collisione-coalescenza. Questa
condizione è certamente connessa a fenomeni di larga scala (che vanno ad impattare la velocità
218
della corrente ascendente e l’apporto di umidità) ma in maniera determinante anche dal tipo di
aerosol che ha generato la nube. Un aerosol marittimo – per esempio – sarà in generale più efficiente nell’innescare processi di precipitazione visto che produce goccioline iniziali con raggi
più grandi. La immissione di particelle di aerosol da parte dell’uomo per vari processi (incendi
di biomasse a grande scala nelle foreste amazzoniche, processi di combustione di tutti i tipi,
frammentazione di solidi e liquidi etc.) è in grado di alterare la catena di processi microfisici sopra descritta portando a nubi diverse ed a diverse modalità di formazione delle precipitazioni.
Finché non si sarà compreso appieno il ruolo delle nubi nel sistema climatico e non si sarà
in grado di modellarlo accuratamente negli effetti suesposti, i grandi modelli di clima saranno
affetti da errori considerevoli.
Da quanto sopra esposto, è evidente: a) il clima cambia passa per il fatto che le nubi
cambiano, in estensione, natura e composizione; b) è ancora poco nota, ma tuttavia complessa e importante, l’azione indiretta dell’aerosol antropico attraverso la modifica della microfisica delle nubi.
In sintesi, e limitandosi alle cause di variazioni climatiche operanti su tempi paragonabili a quelli dell’industrializzazione, si può oggi affermare che: a) vi sono cause note e
quantificate (gas serra), cause meno note e da approfondire (aerosol e nubi). Consapevoli
del rischio che si corre nel restare inattivi, anche in carenza di conoscenza di alcuni aspetti, i
politici intendono procedere in base al principio di precauzione autolimitando con accordi
internazionali (protocollo di Kyoto) la immissione della anidride carbonica (di effetto certo
di riscaldamento) in atmosfera.
Ovviamente, essendo questa la natura della questione, non stupisce che vi siano scienziati
che sostengono questo principio di precauzione e scienziati che vi si oppongono sulla base
della considerazione che la scarsa conoscenza di alcuni addendi rende la somma incerta.
Io ritengo che, continuando nel medesimo comportamento (crescita esponenziale dell’energia, uso di tecnologie inquinanti ecc.) sia serio il pericolo di cambiamento globale e di degrado
ambientale, quest’ultimo già ampiamente verificato e sotto gli occhi di tutti. In conclusione, vi
sarebbero fin d’ora buoni motivi per procedere a cambiamenti di stili di vita in base a questa ultima constatazione. Si rende pertanto necessario ed urgente cambiare il passo col quale la ricerca
affronta il problema « clima », sia negli aspetti relativi ai singoli processi, sia nella messa a punto
di un modello globale realmente affidabile. È urgente, insomma, adeguare, anche in termini di
personale scientifico finanziamenti e strutture, e accelerare i troppo lenti tempi della scienza, a
quelli urgenti dettati dalla preoccupazione dell’intera umanità per i destini del pianeta.
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I sessione
Natura vivente: comprendere
i cambiamenti e le loro cause
fratello sole madre terra 2009
Enrico Porceddu1
Problemi della produttività agro-alimentare:
cause naturali ed antropiche2
Introduzione
La produzione alimentare mondiale è cresciuta del 170%, negli ultimi 50 anni, e, malgrado la popolazione umana sia aumentata del 100% nello stesso periodo, la produzione alimentare pro capite è cresciuta del 40% ed i prezzi degli alimenti sono complessivamente diminuiti
del 60%. Nello stesso periodo l’economia mondiale è cresciuta di 6 volte.
Verrebbe quindi da chiedersi quali siano e se veramente esistano problemi di produttività
agroalimentare, come fa intendere il titolo della presentazione.
La letteratura sull’argomento è molto ricca e fa riferimento ad una serie di punti, fra i quali
possono essere ricordati i seguenti:
• il numero degli affamati, che era diminuito a 850 milioni nel 2000-2002, supera ormai un
miliardo di persone e a poco serve osservare che la percentuale di questi diseredati continua a diminuire;
• cambiano le abitudini alimentari con l’aumento del reddito nelle economie a rapida
crescita e con l’inurbamento, diminuisce il consumo di derrate formate da radici, tuberi,
legumi e anche cereali, specie quelli meno fini, ed aumenta il consumo di carne, olio
vegetale, ortaggi e frutta;
• il ritmo di crescita della produzione agro-alimentare complessiva è in diminuzione e quello
della produzione dei tre cereali più importanti – frumento, riso e mais – che costituiscono
la dieta base di oltre 60% della popolazione umana, ha assunto valori inferiori a quelli
della domanda, anche nelle aree più importanti di produzione;
1. Uno dei XL. Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica, Università degli Studi della Tuscia.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
133-143.
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• le pratiche di estensivazione ed intensificazione dell’agricoltura stanno degradando la
capacità produttiva delle terre ove la pressione della popolazione è in crescita sostenuta e
non vengono adottate risorse e tecnologie appropriate;
• cresce la divergenza in capacità economica, scientifica e tecnologica tra nazioni ricche e
nazioni povere, spesso mascherando l’impegno di molte di queste ultime per promuovere
lo sviluppo di un’agricoltura economicamente ed ecologicamente sostenibile;
• tutte le forme di coltivazione comportano la diminuzione ed in alcuni casi la rinuncia ad
una serie di servizi che gli ecosistemi naturali possono offrire;
• il cambiamento climatico potrebbe ridurre ulteriormente la capacità produttiva delle
colture, esporle ad avversità biotiche ed abiotiche e far diminuire ulteriormente il ritmo
di crescita della produzione;
• le derrate agro-alimentari stanno trovando destinazioni lontane da quelle tradizionali,
come l’impiego della granella di frumento per la produzione di mangimi o di quella di
mais per la produzione di biocarburanti.
Un rapido cenno all’evoluzione dell’agricoltura ed alla situazione attuale dei sistemi agricoli consente di mettere in evidenza alcuni di questi problemi, senza avere la pretesa di analizzarli in modo dettagliato. L’attenzione verrà posta in modo particolare sugli aspetti biofisici, la
cui complessità è spesso trascurata con la conseguenza di adottare priorità e/o strategie poco
opportune.
Sviluppo agricolo recente
Da circa 10 mila anni gli esseri umani si sostentano principalmente con i prodotti agricoli.
Alla fine del primo millennio AC la maggior parte delle piante oggi coltivate era stata domesticata e molte tecniche agronomiche messe a punto; tali sono rimaste per circa due millenni,
salvo piccoli aggiustamenti. Dopo la metà del passato millennio la situazione è cambiata in
modo progressivamente più rapido. Nel 1700 la coltivazione era fondamentalmente confinata
al vecchio mondo, che iniziava a ideare e adottare nuove tecnologie di coltivazione e di trasformazione delle derrate, fornendo sostentamento ad una più elevata densità di popolazione
umana. Dal 1700 la superficie coltivata è aumentata di quasi cinque volte, interessando diverse
aree del pianeta. Il massimo della espansione si è avuto nel trentennio 1950-1980, quando è
stata messa in coltivazione una superficie superiore a quella che aveva sperimentato analoga
vicenda tra il 1700 ed il 1850.
A metà del secolo scorso prende l’avvio, in modo planetario, anche l’intensificazione
dell’agricoltura nei paesi non europei, con la produzione di una maggior quantità di derrate per
unità di superficie e di tempo, grazie al progresso tecnologico: irrigazione, meccanizzazione,
adozione di fertilizzanti di sintesi e fitofarmaci fanno da contorno, supporto e/o difesa della
produttività delle varietà migliorate. Analoga intensificazione ha sperimentato l’allevamento
animale, per cui si stima che complessivamente l’aumento di produzione verificatasi tra il 1961
221
ed il 1999 sia attribuibile per 71% all’intensificazione dell’agricoltura nelle terre già coltivate,
23% all’espansione dell’agricoltura in nuove terre e per 6% all’intensificazione agricola in queste ultime. La situazione è tuttavia diversa nelle diverse aree del mondo e se in Asia meridionale
l’aumento di produzione è ascritto per 80%, all’intensificazione, nell’Africa sub-sahariana lo è
solo per 34%, mentre in Europa e Nord America non vengono più coltivate vaste aree, destinandole a parchi naturali e/o ad aree ricreative.
Sistemi Agricoli
Si stima che attualmente vengono coltivati 36,6 milioni di km2, pari a 27% delle terre
disponibili, articolati in oltre 40 sistemi agricoli, raggruppabili in alcuni principali a cui far
riferimento.
Agricoltura itinerante
Il sistema più diffuso, che desta notevole preoccupazione, è l’agricoltura itinerante, la
forma più antica di agricoltura, consistente nell’eliminazione della vegetazione naturale e
nella coltivazione di un appezzamento di terra per un periodo limitato di anni, mettendolo
poi a riposo per lunghi periodi di tempo, durante i quali ne viene ripristinata la fertilità.
Praticata su oltre un miliardo di ettari, pari a 84% della superficie a cereali, circa 22% della
superficie agricola delle regioni tropicali umide e sub-umide del SE asiatico, dell’Africa e del
Bacino amazzonico, essa assicura alimenti ad appena 1,3% della popolazione umana, mentre
ha un notevole impatto potenziale sugli ecosistemi ed i servizi che essi forniscono. Praticato
su terreni poveri, questo sistema è sostenibile quando la densità della popolazione umana è
limitata; ma non appena l’aumento di quest’ultima determina una crescita della domanda,
la risposta è quella di prolungare gli anni di coltivazione, riducendo quelli di riposo, con
conseguente grave depauperamento della fertilità del terreno. È da ricordare a questo proposito che, in questi ambienti, la maggior parte della materia organica del terreno, fonte della
sua fertilità, è presente sotto forma vivente e che la rimozione della vegetazione e successiva
areazione con la coltivazione determinano una sua rapida distruzione, dato che gli elevati
valori di temperatura e umidità ottimizzano l’attività enzimatica degradativa. Alla fine di
un prolungato periodo di coltivazione, il terreno non è più in grado di sostenere la vegetazione originaria, e le comunità animali che ospitava in precedenza, e proliferano le specie
invasive, impossibili da controllare agronomicamente. La conseguente messa in coltivazione
di ulteriori appezzamenti a foresta e/o a prateria, oltre a distruggere un’importante sede di
assorbimento del carbonio e la diversità biologica di cui questi ecosistemi sono ricchi, allarga
il rischio di degrado, limita la capacità di reddito degli agricoltori, determina insicurezza
economica, malnutrizione e suscettibilità a malattie.
Sistemi irrigui
Al contrario i sistemi irrigui rappresentano la base del rifornimento alimentare delle po222
polazioni asiatiche nelle pianure dell’Indo e del Gange in India, Pakistan, Nepal, Bangladesh,
nella Cina meridionale, in Egitto e Perù. Su un totale di 275 milioni di ettari, pari a circa 18%
della superficie coltivata a cereali nei PVS, i sistemi irrigui a riso o a frumento e riso consentono
due-tre raccolti l’anno nello stesso appezzamento, forniscono 40% della produzione agricola
dei PVS, assicurano derrate alimentari ad un terzo della popolazione mondiale, stabilizzano la
produzione e i prezzi delle derrate alimentari.
Ovviamente l’irrigazione richiede la disponibilità di acqua e l’agricoltura impegna circa
70% dell’acqua annualmente utilizzata dall’uomo, con oscillazioni tra 85% dei PVS e 30%
di quelli industrializzati. Queste percentuali già di per se denunciano la competizione per
l’uso dell’acqua man mano che aumentano gli usi industriali e civili. Le prospettive non sono
brillanti. Molti paesi stanno sperimentando serie difficoltà di approvvigionamento idrico e
la scarsità di acqua si sta facendo sempre più severa. In molti bacini fluviali, il rifornimento
idrico è interamente utilizzato e gli usi non agricoli richiedono sempre maggiori quantità di
acqua; nelle aree occidentali del Nord e Sud America, del Nord Africa e vaste aree dell’Asia,
dalla Siria alla Cina, ove vivono complessivamente oltre 1,4 miliardi di persone, l’utilizzazione dell’acqua non è sostenibile neanche per il solo uso agricolo. Si stima che 15-35% dell’acqua prelevata per l’irrigazione ecceda la ricarica dei bacini imbriferi. Come risultato l’acqua di
alcuni grandi fiumi, come Gange, Fiume Giallo, Colorado, Rio Grande, non raggiunge il mare
durante alcuni periodi dell’anno. In altre zone le acque sono così sfruttate che la falda è scesa
tanto che è diventato difficile utilizzarla. Nel solo sub continente indiano il prelievo di acqua
è superiore a 250 Km3.
Il massiccio prelievo d’acqua e la conseguente diminuzione della portata dei fiumi determinano la mancata o insufficiente diluizione delle sostanze che vi vengono versate. Così al
carico di particelle di terreno e di sedimenti organici, che naturalmente vanno a finire nei fiumi,
si aggiungono i composti chimici derivanti da fertilizzanti e fitofarmaci, che vengono somministrati a supporto e a difesa delle colture, rendendo l’acqua di difficile uso anche nell’agricoltura
a valle delle aree di prelievo più massiccio, oltre che per gli usi civili.
La grande quantità d’acqua distribuita, associata ad una sua gestione poco evoluta e ad
un non adeguato drenaggio determina salinità e ristagni idrici. Si stima che 20% delle terre che
fanno parte dei sistemi irrigui abbiano problemi di salinità o di ristagno idrico e che circa 1,5
milioni di ha di essi diventino ogni anno non più coltivabili. Una volta che il terreno è danneggiato, la bonifica è difficile, costosa e richiede tempi lunghi, spingendo ad estendere l’irrigazione a terre non coltivate, con grande impegno economico e compromissione della biodiversità.
Inoltre, nel sistema irriguo Indo-gangetico dell’India e del Pakistan la coltivazione continua di riso d’estate e frumento d’inverno sta determinando seri problemi di degrado della materia organica e impoverimento dei nutrienti del terreno, inquinamento delle falde e resistenza
ai fitofarmaci da parte di insetti nocivi e malerbe, tanto da annullare i guadagni conseguiti con
l’introduzione delle varietà migliorate. In alcune zone del Punjab l’uso di fertilizzanti e fitofarmaci sta determinando la presenza di residui dannosi negli alimenti e nei mangimi oltre il
limite di tolleranza.
La coltivazione con uso intensivo di mezzi tecnici ha anche ridotto la biodiversità nel
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territorio e la diversità genetica nelle colture. Molte varietà moderne hanno le stesse fonti di
resistenza agli stress biotici e si deve ricorrere ad un più rapido avvicendamento varietale per
controllare le situazioni difficili e mantenere stabili le produzioni. In queste situazioni così
dinamiche gli agricoltori hanno bisogno di assistenza per sintonizzare adeguatamente i loro
sistemi colturali con la pratica gestione dei campi. Sistemi più diversificati potrebbero ridurre la
necessità di fertilizzanti chimici e fitofarmaci, ma la crescente domanda di derrate non sembra
facilitare il cambiamento verso sistemi sostenibili, alternativi.
Sistemi asciutti
Molto diversificata è la situazione dei sistemi agricoli asciutti, che fanno affidamento
sull’acqua delle precipitazioni. Presenti in oltre 80% delle terre coltivate, i sistemi asciutti sono
diffusi, sotto forma di diversi sottosistemi, compresa la già ricordata agricoltura itinerante, in
tutte le regioni del pianeta ed interessano specie coltivate molto diverse, adottano mezzi tecnici
diversi e forniscono derrate con diversa destinazione d’uso. Così mentre nelle aree tropicali più
fertili e ad elevato uso di mezzi tecnici dell’India, Pakistan e Nepal, ove interessano circa 67%
delle aree coltivate, sono importanti riso e frumento, nel Corno d’Africa e nello Sri Lanka sono
diffusi te e caffè, nelle aree temperate del Nord e Sud America (USA e Argentina) dominano
mais e soia, i cereali a paglia e le oleaginose (frumento, orzo, colza, girasole) abbinati agli allevamenti animali, in un sottosistema diffuso anche in Europa; in Asia centrale, Canada, Australia
e USA, sono diffusi sistemi misti frumento-maggese, le cui derrate sono in gran parte destinate
all’esportazione. Nelle zone tropicali meno fertili, come quelle dell’Africa sub-sahariana, prevalgono specie che forniscono radici, tuberi e diverse specie di banano, nelle zone andine sono
diffusi cereali e le specie che producono tuberi, tutti essenzialmente per auto sostentamento,
mentre i sistemi misti – coltivazione e allevamento – sono più diffusi in Europa, nel Mediterraneo e immediatamente a Sud del Sahel.
La pressione su questi sistemi sta aumentando in seguito all’aumento della domanda di
alimenti, ai cambiamenti nelle abitudini alimentari e alle difficoltà ed al decrescente aumento
di produttività nei sistemi irrigui. Il problema principale riguarda la conservazione della fertilità
del terreno, perché le derrate, asportando una parte dei nutrienti del terreno, lo impoveriscono
per cui si rende necessario il loro ripristino, sotto forma di fertilizzanti si sintesi, letame o, per
quanto riguarda l’azoto, con la fissazione biologica. La perdita di nutrienti avviene anche con
l’erosione del terreno e con la percolazione dei composti solubili negli strati del terreno sottostanti quelli interessati dalle radici, o, per quanto riguarda l’azoto, con la volatilizzazione.
Nelle zone fertili e con adeguate precipitazioni, che comprendono le aree fonti del rifornimento alimentare mondiale, le elevate produzioni sono sostenute dall’uso massiccio dei fitofarmaci, spesso distribuiti in modo indiscriminato, e di fertilizzanti di sintesi, frequentemente
somministrati in un’unica soluzione, senza tener conto della temporale capacità di assorbimento delle radici, con conseguenti perdite del 50-70% di macroelementi. In molti di questi sistemi
asciutti più produttivi, la fertilizzazione azotata e fosforica è cresciuta enormemente negli ultimi 100 anni, quasi al pari di quella dei sistemi irrigui, e mentre nei paesi industrializzati l’ulteriore aumento è limitato, nei paesi in via di sviluppo continua ad essere sostenuto, accelerando
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i cicli biogeochimici e degradando l’ambiente, attraverso il deterioramento della qualità delle
acque e l’impoverimento della fertilità del terreno. Purtroppo questa intensificazione nell’uso
dei mezzi tecnici sta avvenendo senza un pari aumento nella produzione di derrate, il cui ritmo
di crescita è inferiore a quello di somministrazione dei mezzi tecnici; solo la ristrutturazione
dell’intero sistema potrà consentire un’inversione di tendenza. È noto, a questo proposito, che
la produzione del mais negli USA, negli anni ’60, non cresceva più all’aumentare delle dosi
di azoto. Agli inizi degli anni ’70, l’epidemia di elmintosporiosi, che colpì la fascia del mais, e
la crisi petrolifera obbligarono a ristrutturare l’intero sistema di coltivazione, e le produzioni
tornarono a rispondere all’incremento delle dosi di fertilizzanti. Si tratta di approcci di ricerca e di adozione da parte degli agricoltori che richiedono investimenti a lungo termine, che
purtroppo non sembrano nelle priorità dell’agenda politica di molti paesi industrializzati e
in via di sviluppo. Interessante a questo proposito è l’aumento di consumo di frutta (+3,6%
per anno) e di ortaggi (+5,5% per anno) su scala mondiale a partire dal 1980: uno sviluppo
avvenuto essenzialmente in Cina (58%) e nei PVS (38%) e solo per il 4% nei PI. L’aumento
offre l’opportunità di ristrutturare il sistema produttivo, diversificare la produzione e l’uso dei
mezzi tecnici con grande beneficio per il terreno e le acque. Inoltre queste colture forniscono
un reddito superiore di 10 volte quello dei cereali e stimolano l’occupazione, non solo nei
campi, in cui è comunque necessaria una forza lavoro doppia di quella richiesta dai cereali, ma
anche fuori azienda, per attività di trasformazione, impacchettamento e commercio. In zone
densamente popolate questa evoluzione può avere risultati positivi. Anche in quest’attività
non mancano i rischi, perché si tratta di attività a gestione intensa, con molteplicità di specie
e quindi di esigenze colturali diverse e comunque uso massiccio di mezzi tecnici, compresi
fertilizzanti e fitofarmaci; quest’ultimi sono tuttavia diversi da quelli utilizzati per i cereali, per
cui l’avvicendamento colturale può consentire di controllare agronomicamente malerbe, insetti
nocivi e agenti patogeni e comunque di diminuire le dosi dei composti chimici e di risanare
situazioni di inquinamento.
Particolarmente interessanti sono a questo proposito alcune leguminose da granella da
consumo fresco e per la preparazione di conserve. Oltre a fissare biologicamente l’azoto, le loro
radici sono in grado di mobilizzare il fosforo adsorbito al terreno rendendolo disponibile anche
per le colture successive. Un metabolismo il cui studio andrebbe approfondito dalla ricerca e,
se del caso, potenziato e diffuso.
Tradizionalmente, un’importante fonte di azoto era rappresentata dalle leguminose da
sovescio, come prevedono anche le forme di agricoltura contraddistinte in Italia dal termine
« biologico », ma queste fonti non sembrano appropriate ai sistemi cerealicoli ad elevato potenziale produttivo dei paesi in via di sviluppo, in cui la densità della popolazione è elevata
e la disponibilità di terre è limitata, per cui i terreni non possono essere lasciati improduttivi
per un anno senza gravi perdite di profitto. La fonte biologica dell’azoto e l’intera agricoltura
biologica viene molto reclamizzata, anche se fornisce appena 2% della produzione, in Europa,
Italia compresa, e negli USA, le aree del mondo ove la popolazione può permettersi di pagare
prezzi elevati per gli alimenti e ove vaste superfici non sono più coltivate e sono quindi disponibili per le rotazioni colturali. L’adozione su larga scala di queste strategie in molti paesi
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in via di sviluppo significherebbe compromettere ulteriormente la già difficile situazione agroalimentare. Inoltre non è ben chiaro quali possano essere i benefici ambientali dell’agricoltura
biologica se questa dovesse produrre la stessa quantità di derrate attualmente prodotte, perché
assorbimento radicale e percolazione con le acque non fanno distinzione tra le fonti di azoto
siano esse organiche o di sintesi.
Ma la situazione non dovrebbe essere quella di contrapposizione, quanto piuttosto
l’una e l’altra integrate in funzione della convenienza economica, considerando che le leguminose da granella per conserve, oltre a ridurre la necessità di fertilizzanti possono anche
fornire un buon reddito.
D’altra parte l’uso del letame, che a livello mondiale si stima contenga 34 milioni di t
(tonnellate) di azoto, 9 miliardi di t di fosforo e 23 milioni di t di potassio, risulta difficile
perché la gran massa degli animali è in Africa e in America latina, ove vive al pascolo, e la raccolta del letame è pressoché impossibile. Diversa è la situazione in alcuni paesi industrializzati,
come l’Olanda, ove esiste una forte densità di allevamenti zootecnici in ambienti confinati e
viene prodotto letame che contiene una quantità di azoto pari a quella somministrata con i
fertilizzanti di sintesi ed una quantità di fosforo anche superiore, una situazione che desta serie
preoccupazioni di inquinamento ambientale.
Sistemi senza terra
Analoga preoccupazione destano i sistemi di allevamento intensivo senza terra, ormai
sistemi agricoli a se stanti e diffusi in tutte le parti del mondo compresi i PVS, nelle vicinanze
dei grandi agglomerati urbani, essendo economicamente più vantaggioso portare la granella agli
animali che trasportare derrate deperibili, come latte, uova e anche carne, da lunghe distanze.
I maggiori pericoli in questi sistemi sono l’inquinamento dell’acqua e del terreno con i rifiuti
animali. specie azoto e fosforo, ed i metalli pesanti tossici, come cadmio, rame e zinco. Gli
allevamenti intensivi possono anche determinare il pericolo di diffondere malattie animali con
gravi perdite economiche. Alcune di queste malattie possono anche passare all’uomo, specie
nelle aree ove animali ed esseri umani vivono a stretto contatto. Uno dei problemi più urgenti
è quello di identificare le aree che possono assorbire queste densità animali, o di stabilire limiti
alle dimensioni degli allevamenti, limitandone la densità, o introdurre distanze minime tra gli
allevamenti e tra questi e i corsi d’acqua o anche tassare pesantemente gli allevamenti vicini ai
centri urbani, come adottato in diversi paesi.
Un aspetto importante è che l’aumento di importazione di semi amidacei e proteici
verso i paesi in via di sviluppo è dovuto proprio all’alimentazione degli animali in questi allevamenti industriali, che spesso competono con successo con la destinazione agroalimentare
umana; non sono pochi i paesi ove la materia prima per la preparazione dei mangimi sconta
prezzi superiori a quelli della stessa materia prima destinata alla preparazione di alimenti per
gli esseri umani.
Non diversa è la situazione che si prospetta se veramente grandi quantità di granella di
cereali e di oleaginose dovessero essere destinate alla produzione di energia. È stato sufficiente
accennare a questa possibilità e destinare a questo scopo relativamente piccole quantità di gra226
nella per far lievitare i prezzi delle derrate e degli alimenti, creando il panico nelle famiglie.
Sistemi asciutti aridi
Infine sono da considerare i sistemi asciutti con limitato potenziale agricolo a causa del
clima aleatorio, dei terreni poveri e dell’accentuata topografia. Spesso si tratta di aree molto disperse, che risentono di costi di trasporto e della mancanza di servizi pubblici, che costringono
le popolazioni a fare affidamento su produzioni di sostentamento. Oltre 16% della popolazione rurale dei PVS, pari a 440 milioni di persone, vive in aree con limitato accesso al mercato
e impiega cinque o più ore per raggiungere un centro di cinque mila abitanti. Nell’Africa subsahariana e in quella del nord e in Medio Oriente la percentuale di popolazione che vive in
queste condizioni supera 30%.
Presenti in India, SE asiatico, Medio Oriente, Africa del nord e sub-sahariana, America latina, questi sistemi interessano 54% della superficie agricola, 45% di quella coltivata, e
assicurano solo 30% della produzione agro-alimentare. Molte di queste aree sono collinari e
montuose, aride e semiaride, caratterizzate da agricoltura estensiva che sperimenta un intenso
degrado delle risorse e condanna le popolazioni alla povertà. In realtà si tratta di un insieme di
sottosistemi che vanno dall’allevamento migratorio nelle zone più aride, all’agro-pastoralismo
fino all’integrazione di colture erbacee ed arboree con l’allevamento animale.
Fino ad alcuni decenni addietro le risorse naturali erano relativamente abbondanti e la
pressione della popolazione limitata, le terre più fragili non erano coltivate o erano pascolate
dalle mandrie o dalle greggi nomadi, a seconda delle regioni. Oggi l’aumento della popolazione
sta costringendo a mettere in coltivazione sempre nuove terre, per la maggior parte poco fertili
e degradate, o aggiungere animali nelle aree pastorali già sovra-sfruttate; e la terra deve continuare a fornire alimenti, vestiti, legna da ardere, acqua e abitazioni a popolazioni che sperimentano il più elevato tasso di crescita numerica. Così al degrado naturale, dovuto all’erosione
idrica e/o eolica, già di per sé molto severe – in regioni come quelle delle colline dell’Himalaya,
le pendici delle Ande, il sud della Cina, il sud est, centro e ovest asiatico, i pascoli dell’Africa
e le terre aride del Sahel – si aggiunge quello dovuto alla mancanza di fertilizzanti, al limitato
uso del maggese, al sovra-pascolamento. In alcune aree la perdita annua di produttività si aggira
intorno a 1%, ma nel Corno d’Africa, in cui fra l’altro sono presenti terreni fertili, la perdita è
anche superiore. Alla scarsa fertilità del terreno, oltre che all’aleatorietà delle precipitazioni, viene imputata, anche nelle zone meno svantaggiate, la modesta produzione di sorgo e di diverse
specie di miglio, tipiche delle zone del Sahel, mentre le mandrie sono costrette a modificare gli
itinerari del nomadismo esponendo gli animali e le popolazioni umane che con esse vivono a
malattie a cui non erano abituati.
Conclusioni
Per ritornare al tema iniziale e tentare una conclusione si può anzitutto notare che la
presentazione ha privilegiato gli aspetti tecnici rispetto a quelli di altra natura. Infatti è con227
vinzione di chi scrive che una delle ragioni del non interamente soddisfacente, anche se non
modesto, successo del sistema agroalimentare mondiale vada ricercato anzitutto nella mancata
piena comprensione delle difficoltà che i sistemi agricoli, che dovrebbero sfamare il mondo nei
decenni futuri, stanno sperimentando. Le pressioni che agiscono su questi sistemi sono note:
crescita della popolazione, urbanizzazione, cambiamento delle abitudini alimentari, competizione per la terra e per l’acqua, ma le azioni scientifiche, tecniche e politiche, che da esse
traggono spunto, non hanno recepito la complessità dei sistemi agricoli e le implicazioni che
una ulteriore pressione su di essi può comportare.
Recenti indagini hanno identificato nelle diverse regioni del mondo aree che possono
essere messe in coltivazione. Fortunatamente nessuna di esse è nei tropici umidi, ove è diffusa
l’agricoltura itinerante, che, come si è accennato, non può sopportare né un’intensificazione né
un’estensione senza danni irreparabili.
Sembra parimenti poco percorribile la via di un ulteriore innalzamento della capacità produttiva nei sistemi irrigui; piuttosto sarebbe preferibile un serio impegno per la stabilizzazione
delle elevate produzioni vegetali già raggiunte, adottando tecnologie che assicurino resistenza
a fitopatie senza dover ricorrere a fitofarmaci, fissazione biologica dell’azoto con gli avvicendamenti di frumento o riso con specie azoto-fissatrici, l’ottimizzazione dell’uso dell’acqua di
irrigazione, ed integrando le coltivazioni con gli allevamenti, che dovrebbero essere meglio
organizzati.
Contributi significativi al rifornimento alimentare potrebbero derivare dai sistemi misti
nei paesi in via di sviluppo, ove la pressione sulla terra non è ancora forte e la produttività è
lontana dall’ottimo. Per esempio le già ricordate specie di miglio, orzo, ecc., che forniscono
una granella con caratteristiche nutritive non lontane da quella del frumento, e di leguminose
da granella, tutte capaci di fornire produzioni in ambienti difficili, dovrebbero essere oggetto
di una più intensa attività di ricerca, perché con opportuni interventi genetici ed agronomici
potrebbe essere innalzata la loro capacità produttiva, migliorata l’efficienza d’uso dell’acqua
non abbondante ed evitati gli impatti negativi dovuti ad agenti patogeni ed insetti. Non è difficile pensare che la qualità di derrate prodotte da queste specie ed altre simili potrebbe essere
facilmente moltiplicata per due o più volte, come indica l’esperienza acquisita in frumento, riso
e mais negli ultimi 50 anni. Ovviamente un’azione di questo tipo richiede un cambiamento
non indifferente nelle strategie di investimento, e questo non solo nella ricerca agricola ma
anche in quella delle infrastrutture e dei servizi, nell’associare gli agricoltori ad altri settori della
società in un impegno che riconosca l’agricoltura come il motore di sviluppo delle popolazioni
interessate, che sono ancora per la maggior parte rurali e vivono di agricoltura.
Purtroppo si è assistito ad una crescente disattenzione nei Paesi industrializzati verso l’agricoltura e la ricerca che la sostiene e la fa avanzare, erroneamente ritenuta tecnologicamente
matura. La situazione è resa più preoccupante dai rischi derivanti dai cambiamenti climatici in
atto che potrebbero cambiare le specie e le aree coltivate. Il documento della Banca mondiale
« World Development Report 2008 » è un esame concreto degli errori compiuti, degli impegni
assunti ma non mantenuti, delle opportunità esistenti e pone finalmente l’agricoltura come
elemento strategico per lo sviluppo delle popolazioni più povere.
228
Nella stessa ottica il vertice FAO del 2008 aveva proposto di stabilire un’intesa di partenariato politico-scientifico internazionale per elaborare e guidare, con la partecipazione dei
Governi dei Paesi interessati, l’avanzamento delle scienze agrobiologiche, la messa a punto e la
diffusione di innovazioni, per elaborare programmi di compartecipazione, funzionanti in loco,
tra comunità agricole ed esperti dei Paesi avanzati, con l’obiettivo di mettere a punto soluzioni
per una migliore e più diffusa produttività agro-alimentare e valorizzazione delle risorse locali.
La crisi economica e finanziaria ha spazzato via questi propositi, quasi che non fossero elementi da valorizzare per superare la crisi, preferendo atteggiamenti protezionistici, separazione tra
paesi industrializzati e PVS, ponendo ostacoli alla competitività, ecc.
Il G8 tenutosi a L’Aquila ha riportato all’attenzione dei governi e del pubblico il tema
ed ha riaffermato la volontà di appoggiare e contribuire alla sicurezza alimentare globale e
sostenibile attraverso un partenariato globale per l’agricoltura e la sicurezza alimentare. Un
impegno non facile da perseguire, perché nei prossimi anni dovrà essere raddoppiata la produzione alimentare mondiale per far fronte all’aumento della popolazione e del reddito pro capite
con conseguente cambiamento delle preferenze alimentari. Un incremento che deve essere
ottenuto quasi interamente con il miglioramento delle produzioni per unità di superficie e solo
in minima parte per aumento delle superfici utilizzate. Un partenariato da costruire sui fatti,
definendo obiettivi, strutture, funzioni e fasi dei programmi e stabilendo collaborazioni che
valorizzino le risorse naturali ed umane delle diverse aree del pianeta ed i sistemi agricoli che in
esse insistono.
L’auspicio a cui tutti devono sentirsi legati e a cui tutti devono collaborare è che, dopo
anni di disattenzione, si riesca ad innescare un durevole processo virtuoso, adeguato a risanare
il pianeta dalla piaga della fame che lo affligge.
229
I sessione
Natura vivente: comprendere
i cambiamenti e le loro cause
fratello sole madre terra 2009
Mauro Moretti1
Energia, emissioni e territorio: l’impegno del gruppo
Ferrovie dello Stato per l’ambiente2
Patto per l’ambiente, completamento della rete Alta Velocità/Alta Capacità e investimenti
per nuovi treni del trasporto regionale. Sono queste le azioni principali realizzate nel 2009 dal
Gruppo Ferrovie dello Stato, a vantaggio di uno sviluppo sempre più sostenibile del sistema dei
trasporti in Italia.
Al Convegno Internazionale di Assisi « Natura vivente: comprendere i cambiamenti e le
loro cause per una conversione ecologica », le FS presentano il bilancio degli interventi a favore
dell’ambiente, perché il treno abbia un ruolo primario nel trasporto di persone e merci contribuendo a migliorare la qualità del clima e della vita.
Con il Patto per l’ambiente, firmato il 7 luglio con il Governo e altre dieci grandi imprese,
il Gruppo FS si è impegnato a contenere, entro il 2012, le emissioni di anidride carbonica per
oltre 600 tonnellate l’anno e ad adottare, nei propri impianti ed edifici, sistemi di produzione
energetica alimentati con fonti rinnovabili. Un impegno al contenimento dei consumi energetici e alla riduzione dei fattori inquinanti che negli ultimi anni aveva già consentito di raggiungere risultati significativi, in netto anticipo rispetto ai traguardi previsti dal protocollo di Kyoto.
E che si associa a politiche di riduzione dei consumi e di ottimizzazione del ciclo dei rifiuti,
oltre che a progetti specifici nelle fasi di progettazione e realizzazione di nuove opere.
Con gli investimenti nel trasporto regionale, il Gruppo avvia la fase di sviluppo, dopo
averne ricostruito le condizioni attraverso il risanamento dei conti e l’azzeramento di un
deficit che, solo due anni fa, risultava superiore a due miliardi di euro. Si tratta del piano di
interventi più consistente mai avviato dalla società di trasporto Trenitalia: oltre due miliardi
di investimento, dei quali 1,5 in autofinanziamento grazie alla ritrovata solidità finanziaria
del Gruppo. Alla base di questo importante intervento gli incrementi di produttività, la
1. Direttore Centrale del Gruppo Ferrovie dello Stato.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
145-146.
230
riduzione dei costi e l’aumento dei ricavi. Oltre alla garanzia di contratti pluriennali con le
Regioni in linea con i provvedimenti emanati dal Governo, i cosiddetti decreti « Anticrisi »
e « Incentivi », che hanno introdotto la possibilità di sottoscrivere nuovi accordi della durata
di sei anni rinnovabili per altri sei.
L’inquinamento cittadino e i danni derivanti dalla congestione da traffico danneggiano
la qualità dell’ambiente e della vita. Per uno sviluppo maggiormente ecosostenibile del sistema
della mobilità in Italia, è determinante aumentare la capacità di trasporto della modalità ferroviaria attraverso la nuova rete Alta Velocità/Alta Capacità. Mille chilometri di binari da Torino a
Salerno al servizio di un territorio in cui vive e lavora oltre il 65% della popolazione. Un progetto tutto italiano nell’infrastruttura, nei treni e nel know how, che esalta il « policentrismo » degli
insediamenti storici e urbanistici delle nostre città. E anche un investimento per l’ambiente:
attraverso la crescita dei trasporti su ferro in ambito regionale e metropolitano e il trasferimento
di consistenti quote di mercato al mezzo su rotaia (salite dal 32 al 50% sulla direttrice RomaMilano dopo l’avvio del sistema AV/AC), si realizzano le condizioni perché, a partire dal 2010,
diminuiscano di 2,5 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra nell’atmosfera.
Il treno amico del clima: ogni passeggero che viaggia sui binari produce il 76% di gas serra
in meno rispetto a chi usa l’aereo e il 66% di chi si sposta in auto. Il risparmio energetico è di
un terzo se paragonato alla strada e di un undicesimo rispetto all’aereo. E pari ad un terzo è
anche l’anidride carbonica rilasciata in confronto agli altri mezzi di trasporto. In Italia, il settore
influisce per circa il 30% sulle emissioni totali di gas serra, con una incidenza di appena il 2%
imputabile al treno, cioè 15 volte in meno rispetto a qualunque altra modalità. E i vantaggi
del treno dal punto di vista ambientale diventano ancora più evidenti se si considerano i costi
esterni: danni da congestione, da inquinamento acustico e dovuti al rilascio di polveri sottili;
ma anche costi da incidentalità o collegati alla crescita esponenziale dei rischi per la sicurezza.
Il trasporto su rotaia è la modalità di trasporto più sicura, grazie a una tecnologia di
segnalamento all’avanguardia, l’ERTMS-ETCS livello 2, scelta come standard di riferimento
per la rete AV europea e premiata nel 2006 della comunità ferroviaria internazionale con il
Best Paper Award.
231
II sessione
Per una conversione ecologica:
le chiese si interrogano
fratello sole madre terra 2009
Simone Morandini1
Il Messaggio per la Giornata del Creato 20092
Il Messaggio per la IV giornata per il creato che i Vescovi Italiani – nello specifico i Presidenti delle Commissioni Justitia et Pax e Ecumenismo e Dialogo mons. Miglio e mons. Paglia
– hanno indirizzato alle comunità italiane è il segno di un’attenzione ormai costante per i temi
ambientali all’interno della Dottrina Sociale della Chiesa. Penso all’ampio spazio dedicato ad
essi dalla Caritas in veritate (nn. 48-51) ed al tema della prossima Giornata per la Pace, ma anche
agli interventi sempre più frequenti di papa Benedetto sul tema; penso ancora al capitolo X del
Compendio della DSC, penso al magistero di tanti vescovi e di tante Conferenze episcopali.
Ma la stessa attenzione è condivisa dall’intera comunità ecumenica; mentre preparavo
quest’intervento ho potuto apprezzare la forza della Lettera Enciclica del Patriarca Bartolomeos I, come l’efficacia dei materiali preparati dalla rete Globalizzazione ed Ambiente della
Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane per il tempo del creato di quest’anno. Il mio
pensiero è pure tornato alla testimonianza congiunta offerta dalle tre confessioni cristiane sui
temi ambientali dalla III Assemblea Economica Europea di Sibiu, dopo quelle di Graz e di Basilea. La sollecitudine per il destino della terra che abitiamo è davvero una passione evangelica
che le comunità cristiane sanno condividere, quasi a ricordare la radice comune di ecumene ed
ecologia: l’attenzione per l’oikos, la casa comune donata dal Creatore perché potessimo abitarla
secondo giustizia.
1. Ma veniamo al Messaggio: il primo riferimento che esso evoca è certamente – fin dal titolo – quello a Francesco, il grande santo che qui ad Assisi è così bello ricordare, in questo anno
anniversario della presentazione della Regola a papa Innocenzo III. È l’invito a far memoria di
un grande testimone del vangelo ed in particolare del suo forte amore per il creato. Esso muove
anche quella lode che egli rivolge al Signore nel suo Cantico delle Creature, da cui è tratto il
versetto che da il titolo al Messaggio stesso.
1. Fondazione Lanza (Centro Studi in Etica).
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
149-152.
232
2. Proprio il tema della lode e della gratitudine per il creato tutto – ed in particolare per
l’aria che respiriamo – costituisce uno dei motivi qualificanti del Messaggio. Una lode che
riprende l’invito evangelico a guardare « alle realtà del creato con quella purezza del cuore, indicata da Gesù nelle beatitudini, che giunge a vedere i doni di Dio in ogni luogo, anche nei gigli
del campo e negli uccelli dell’aria (Lc. 12, 22-31)». Nella luce della fede, dono di Dio appare
anche l’aria, così strettamente collegata con la vita, ed anzi condizione necessaria per essa: solo
chi respira è vivente. Non a caso, nota il Messaggio, il Signore si manifesta ad Elia nel vento
leggero vivificante (e non nel terremoto, nel fuoco o nella tempesta che tutto distrugge) (I Re
19, 11-12).
3. In questo senso la dinamica del testo ci orienta a cogliere Dio stesso come il Vivente e
il creatore della vita, a leggere nello Spirito la fonte di ogni vita (Gen. 1, 2), a ricordare come sia
il soffio dello stesso Spirito a rendere vivente l’uomo (Gen. 2, 7). A far memoria che lo stesso
Spirito si manifesta come vento che trasforma i cuori a Pentecoste (At. 2), donando la forza per
camminare in novità di vita; che ancora lo stesso Spirito è strettamente legato a quel gemito,
che dice la sofferenza del creato tutto, in attesa della partecipazione alla gloria che Dio donerà
a suoi figli (Rom. 8, 19ss).
4. Lo sguardo della fede coglie, dunque, un mondo in cui la contraddizione presente –
di cui è parte anche la crisi ecologica – è illuminata dall’attesa della gloria futura. Proprio per
questo esso è particolarmente attento nel cogliere quegli elementi che costituiscono e rendono
più lacerante tale contraddizione: « è conseguenza del peccato se la rete delle relazioni con il
creato appare lacerata e se gli effetti sul cambiamento climatico sono innegabili, se proprio
l’aria – così necessaria per la vita è inquinata da varie emissioni ». È conseguenza del peccato se
l’aria, elemento di vita, viene ad intrecciarsi ad una dinamica dalla conseguenze letali per tanti
poveri della terra. D’altra parte, per il linguaggio della fede il riferimento a quel peccato, che
si esprime anche in un « rapporto sbagliato con il creato », si traduce sempre immediatamente
nell’invito alla conversione – a quella « conversione ecologica » cui già faceva riferimento Giovanni Paolo II. E la riflessione sociale della chiesa – delle chiese – sa anche che quello stesso
termine conversione che evoca certo in primo luogo la trasformazione del cuore di ognuno
(ad assecondare il movimento dello Spirito), domanda anche la trasformazione di quelle forme
della vita sociale che risultino toccate dal peccato.
5. Tale esigenza di conversione viene particolarmente messa a fuoco dal Messaggio dei
Vescovi per questo 2009 in relazione al tema del mutamento climatico, giacché « il clima è un
bene che va protetto » ed « una tempestiva riduzione delle emissioni [di gas serra] è (…) una
precauzione necessaria a tutela delle generazioni future, ma anche di quei poveri della terra, che
già ora patiscono gli effetti dei mutamenti climatici ». È chiaro il riferimento, sotteso al Messaggio, a quell’interpretazione ampiamente condivisa nella comunità scientifica che vede nel
riscaldamento globale un fenomeno antropogenico, determinato cioè in misura significativa
dai comportamenti umani, Non è certo casuale il riferimento presente nello stesso Messaggio al
principio di precauzione, citato anche nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: anche laddove la certezza scientifica non fosse totale, « l’ampiezza e la gravità delle conseguenze –
molte delle quali peraltro si stanno in effetti già manifestando – richiedono un’azione incisiva ».
233
6. Diversi i livelli sui quali si richiede un intervento:
a. In primo luogo, « un profondo rinnovamento del nostro modo di vivere e dell’economia »,
attento al risparmio energetico ed alla sobrietà nei consumi: « uno stile di vita più essenziale » secondo il richiamo fatto dal santo padre Benedetto XVI in occasione dell’incontro
con il clero di Bressanone nell’estate 2008. È un livello che coinvolge anche una forte
dimensione etica ed educativa, alla quale la Chiesa ha da sempre un’attenzione forte;
interessante, in questo senso, l’esperienza della Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita,
giunta ormai a coinvolgere oltre venti diocesi. Esso richiede, però, anche una forte azione
da parte del mondo della ricerca, dell’imprenditoria e della politica, per la promozione di
tecnologie a basso consumo energetico.
b.Occorre anche, d’alta parte, un’incisiva azione politica nel contesto internazionale: è in
gioco una questione che coinvolge l’intera famiglia umana ed anche il 26 agosto 2009 il
Santo Padre Benedetto XVI ha ricordato che « la protezione dell’ambiente, la tutela delle
risorse e del clima richiedono che i responsabili internazionali agiscano congiuntamente,
nel rispetto della legge e della solidarietà, soprattutto nei confronti delle regioni meno
sviluppate della terra ». Ancora pochi giorni dopo, proprio in riferimento al tema dell’aria
scelto dalla CEI per questa Giornata del creato, egli ha incoraggiato « i Paesi industrializzati a cooperare responsabilmente per il futuro del pianeta », evitando che i poveri paghino
il prezzo dei mutamenti climatici.
c.Ecco, dunque l’esigenza di una pratica della responsabilità ambientale in primo luogo
da parte dei paesi più industrializzati. Il documento richiama, in particolare, l’orizzonte
della Conferenza delle Parti di Copenhagen come luogo in cui la comunità politica è chiamata dare espressione alla corresponsabilità per la stabilità climatica. È l’invito ad impegni
concreti ed incisivi da parte della UE e del nostro paese per garantire un’efficace azione di
contrasto al mutamento climatico.
d.Da parte mia voglio ricordare la campagna Target 2015 per un « Clima di giustizia »
promossa da Caritas Internationalis e Focsiv col supporto di numerose organizzazioni
cattoliche e dell’Ufficio Nazionale PSL: l’attenzione per il grido dei poveri della terra si
traduce nella richiesta di una riduzione di almeno il 30%-40% delle emissioni entro il
2020; di uno stanziamento di risorse finanziarie per lo sviluppo sostenibile dei poveri;
della promulgazione di regolamenti per le imprese che esigano l’adozione di tecnologie
rispettose dell’ambiente.
È, dunque, come un unico grande movimento quello che attraversa questo testo: quello
che dalla lode per l’aria, dono prezioso del Signore, passa alla scoperta della necessità di una
prassi – personale e politica – per prenderci cura (per quanto ci compete) della stabilità climatica.
È un movimento che è ben espresso anche nella Preghiera presente nei materiali della Rete
Globalizzazione e Ambiente della Federazione delle Chiese Evangeliche, con la quale mi piace
concludere quest’intervento, in uno spirito di fraternità ecumenica: “Spirito di Dio, tu sei nel
respiro di ogni essere vivente. Fa’ che ci lasciamo coinvolgere nella lotta per la giustizia, per i beni
essenziali che rendono possibile e dignitosa la vita. Fa’ che possiamo trovare le vie per convertire le
nostre economie e riconoscere il tuo soffio vitale in ogni essere che abita con noi questo pianeta”.
234
II sessione
Per una conversione ecologica:
le chiese si interrogano
fratello sole madre terra 2009
Letizia Tomassone1
Fare la pace con il Creato:
ambiente e dialogo ecumenico2
Da vent’anni le chiese in Europa si sono impegnate a dedicare tutto il mese dal 1° settembre al 4 ottobre alla preghiera e all’azione per il creato.
La Fcei ha aderito con convinzione a questo indirizzo venuto dalla II Assemblea Ecumenica Europea di Graz e ha una sua commissione nazionale, la GLAM « Globalizzazione e
ambiente », che fa parte della Rete ecumenica europea per l’ambiente, ECEN.
Vent’anni, il tempo che ci separa dalla I Assemblea Ecumenica Europea, Basilea 1989,
comincia ad essere un tempo adeguato per valutare le trasformazioni negli stili di vita e nella
predicazione delle chiese.
Mi sembra che si possano individuare alcuni nodi che sono stati compresi e assimilati
dalle chiese in questi anni.
Il primo è il legame tra ecologia e giustizia. È molto chiara la situazione di squilibrio
nell’accesso alle risorse. Ancora di più è chiara la realtà contraddittoria di un consumo come
« status symbol » di benessere, che si fonda su un impoverimento sempre più crudele e sulla
devastazione ambientale. Farò solo l’esempio del coltan, un minerale scavato in miniere a
cielo aperto nelle foreste del Congo. I cellulari, personal computer e tutta la tecnologia satellitare ed elettronica ha bisogno di questo minerale per accelerare i collegamenti. Ma per
estrarlo si stanno devastando le foreste di Parchi naturali, portando all’estinzione i gorilla e
rendendo schiavi gli operai.
Il nostro piacere comunicativo distrugge il pianeta. Ci sono responsabilità che non possono essere ripagate semplicemente in denaro. Sono debiti ecologici che possono essere saldati
solo con trasformazioni degli stili di vita.
Se, parlando di eco-teologia, facciamo emergere le interconnessioni e le interdipendenze posi1. Pastora valdese. Vice-presidente della Federazione Chiese Evangeliche in Italia (Fcei).
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
153-156.
235
tive di cui siamo tessuti, questo nostro legame complice con le potenti strutture economiche
di ingiustizia ci mette di fronte alla nostra piccolezza e impotenza. La violenza delle strutture
economiche devasta le vite umane e minaccia la vita stessa del pianeta. Siamo catturati da reti
ambigue di complicità, in tutti i nostri atti quotidiani in cui esercitiamo il consumo che ci è
messo a disposizione.
Le chiese hanno però le risorse di interconnessioni positive che attraversano i confini tra
mondi sociali ed economici. Ci muoviamo su una terra che è di tutti gli esseri umani e di tutte
le specie animate e inanimate. Sperimentiamo insieme a tutto il creato lo stesso Dio generoso
che sostiene la vita. Non solo sentiamo di far parte del creato, di essere fatti della stessa materia
vivente che costituisce la biologia e la chimica del cosmo. Ci possiamo anche riconoscere sorelle e fratelli attraverso il mondo.
In vent’anni le chiese hanno cominciato ad analizzare il proprio impatto ambientale; a
prendere decisioni in proposito; a fare della riflessione su Dio che è nella creazione oggetto
di preghiera e di predicazione. In quest’ultimo contesto si inserisce la proposta di una teologa
come Sally Mc Fague3 di comprendere il mondo come corpo di Dio, fragile e minacciato dal
nostro agire distruttivo nei confronti dell’ambiente. Un richiamo forte alla necessità di conversione e di un cammino di santificazione capace di mostrare i segni della grazia di Dio che ci è
donata in Gesù Cristo, e di cui dobbiamo render conto con la nostra pratica di vita.
Stiamo imparando a non rassegnarci all’ambiguo potere della violenza e al degrado ambientale. La crisi del cibo, la scarsità d’acqua, i cambiamenti climatici, tutte le forze che la
nostra società industriale ha scatenato, tutto può essere fermato attraverso una rete di azioni
individuali che creino insieme una controtendenza.
Prendendoci cura della Terra, ci prendiamo cura di noi stessi. « Nessuno può essere integro
in un mondo frammentato » recita il documento preparatorio in vista dell’assemblea mondiale
di Kingston4. Il documento preparatorio di Kingston dice ancora: « siamo nati per appartenere.
La Terra è la nostra casa »; « la Terra ha bisogno di cristiani che facciano la pace con il creato »5.
Il Consiglio ecumenico delle chiese parla in questo testo di una « economia di vita » basata
su una ritrovata pace economica, giusta e ecologica. Oggi sappiamo che nulla può essere fatto
senza la partecipazione personale. Riconoscere l’acqua, l’aria, la biosfera, come beni comuni
non è una pura affermazione di principio. È invece l’inizio di un uso più misurato e sobrio, è
l’inizio di una responsabilità da assumere pienamente.
Il tema dell’atmosfera proposto dalla CEI per la riflessione di quest’anno è stato accolto dalla Fcei nel quadro di una attenzione più ampia al tema dei cambiamenti climatici.
Infatti l’atmosfera sta in un equilibrio complesso e fragile e ci permette di ragionare insieme
su più livelli.
A livello simbolico l’atmosfera ci rimanda allo « spirito di vita » soffiato da Dio nella creatura
di terra per darle vita e conoscenza. L’aria, il vento, il soffio sottile dell’atmosfera percepito dal
3. Sally Mc Fague, Modelli di Dio, Claudiana, Torino 1998.
4. Consiglio ecumenico delle Chiese, Gloria a Dio e pace sulla terra. Convocazione internazionale ecumenica sulla pace, ed.
Qualevita, Cipax, Roma 2009, p. 43.
5. Consiglio ecumenico delle Chiese, op. cit., p. 46.
236
profeta Elia, ci rimandano a una presenza di Dio che è tutto intorno a noi e ci permette di
vivere. Come afferma l’apostolo Paolo « in lui viviamo, ci muoviamo e siamo » (Atti 17:28). Si
tratta dunque di un elemento che condividiamo con tutte le creature, di cui materialmente siamo debitori alle piante di questo pianeta. Identificando l’aria come espressione della presenza
di Dio noi offriamo un’immagine che riguarda tutta l’umanità.
L’aria ci rimanda però in seconda battuta al movimento dello Spirito che muove i credenti. La Ruah, nome femminile di Dio, è identificata per la sua dinamicità. Essa mette in relazione
e muove gli esseri umani gli uni verso gli altri: è la forza dell’amore che li unisce, è la forza della
memoria che aiuta a costruire progetti condivisi e speranza. I discorsi di Gesù sul dono dello
Spirito Santo rafforzano tutto questo aspetto di una energia che crea vincoli positivi e mette
in movimento la comunità dei credenti. Una teologa americana che ha lavorato su questi temi
identifica questa forza come la dinamica dell’eros, che appassiona e lega, che suscita empatia e
compassione, che cancella ogni indifferenza di fronte all’altro essere umano6.
Da queste poche considerazioni traiamo il quadro nel quale si può sviluppare una riflessione « teologica » sull’aria: fonte di vita che ci sostiene, vincolo che ci unisce, respiro che ci
rimanda alla nostra dipendenza dall’amore di Dio. L’aria è espressione della grazia.
Sul piano fisico e biologico constatiamo come l’atmosfera sia una dimensione da considerare
con attenzione. L’atmosfera costituisce un sistema dinamico molto complesso: i movimenti
dell’atmosfera sono responsabili dei diversi climi, delle perturbazioni e dei venti, dei vari eventi
meteorologici. La sua particolare composizione ha permesso lo sviluppo della vita su questo
pianeta. È importante che ne impariamo a conoscere le dinamiche e le interconnessioni, e che
rispondiamo con attenzione ai tentativi di appropriazione di fasce di atmosfera. Se c’è un bene
comune su questo pianeta, essa è l’aria che, insieme all’acqua, non può essere in alcun modo
privatizzata né diventare proprietà di nazioni o imprese. È per l’aria che viviamo.
E tuttavia ci si appropria dell’aria in molti modi: gestendo in negativo le risorse boschive
del mondo, abbattendo le foreste per far spazio a colture intensive o ad altrettanto intensivi
allevamenti di animali. Ci si appropria dell’aria facendo commercio di quote di inquinamento,
fra paesi del Nord e del Sud del mondo, come prevede una parte del protocollo di Kyoto.
Come chiese, abbiamo la responsabilità di riaffermare la gratuità dell’aria, il suo status di
« bene comune » dell’umanità. L’aumento del riscaldamento globale del pianeta, provocato in
larga misura dalle economie industriali umane che condizionano allevamento e agricoltura,
mette a rischio la vivibilità del nostro pianeta.
In positivo proprio il tema dell’aria ci mostra quanto forti sono le radici del nostro vivere
nella sussistenza della vita degli altri esseri viventi, in questo caso delle piante e delle foreste
come organismo complesso, ma anche del fenomeno del permafrost che, mantenendo congelate le immense tundre del Nord euroasiatico, impedisce al metano di diffondersi nell’aria
causando la morte dei viventi come li conosciamo oggi.
La salvaguardia del creato ci rimanda a una attenzione viva per la sopravvivenza della
specie umana nelle prossime generazioni. È la nostra responsabilità comune, e come chiese
6. Carter Heyward, «Al principio è la relazione, pp. 115-126 in Luce Irigaray ed., Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1997.
237
possiamo passare dalla lode a Dio per il creato e dalla gioiosa meraviglia per la complessità
dei fenomeni che permettono la vita, all’agire perché non sia ferito a morte questo incredibile
equilibrio della biosfera.
In conclusione vorrei richiamare gli impegni espressi all’interno della Charta Ecumenica
(2001), perché non dimentichiamo che siamo già impegnati ad alcune azioni comuni:
« Ci impegniamo
– a sviluppare ulteriormente uno stile di vita nel quale, in contrapposizione al dominio
della logica economica ed alla costrizione al consumo, accordiamo valore ad una qualità
di vita responsabile e sostenibile;
– a sostenere le organizzazioni ambientali delle Chiese e le reti ecumeniche che si assumono
una responsabilità per la salvaguardia della creazione ».
238
II sessione
Per una conversione ecologica:
le chiese si interrogano
fratello sole madre terra 2009
Vincenzo Paglia1
Dio e l’armonia tra l’uomo e il Creato2
Il nostro pianeta, nasce 4 miliardi e mezzo di anni fa praticamente privo di atmosfera.
Da allora inizia un lungo cammino di straordinaria creatività che vede l’acqua evaporare dalle
rocce e colmare gli oceani, la vita sorgere nell’acqua ed iniziare a produrre un’atmosfera che
rende abitabile tutta la Terra. La vita non è prerogativa della materia ma è un « valore aggiunto
»; nel libro della Genesi si legge che Dio fece l’uomo di creta, ma egli ebbe la vita solo quando
il Creatore alitò su di lui. Ed è sorprendente come sia la vita stessa a produrre le condizioni per
la sua espansione ed il suo perfezionamento, producendo una atmosfera che rende abitabile la
Terra, collaborando allo sviluppo del meraviglioso disegno del Creatore. Dio non crea la vita
per lasciarla a sé stessa e restare ad osservarla. Dio, fin dall’inizio, chiede a tutte le creature di
collaborare al suo disegno, per portarlo a compimento; un disegno che non si esaurisce nel passato, ma che continua ancora oggi, rivolto al futuro. E così che la Terra, da pianeta inospitale
e privo di vita, oggi possiamo ammirarlo pieno, in ogni sua parte infinitesima, di esseri viventi,
tutti impegnati a moltiplicare e perfezionare la vita. E ancora oggi la vita dell’uomo si forma
nell’acqua, nel seno materno e il bambino nasce nel momento in cui col primo vagito riempie
i suoi polmoni di aria.
400 milioni di anni fa l’atmosfera terrestre raggiunge la sua composizione attuale, che
garantisce una temperatura ed un clima adatto alla vita così come oggi la ammiriamo; l’aria è
davvero ciò che ci accomuna ad ogni essere vivente, è la stessa che respira ogni uomo ed ogni
altro essere vivente, e che le piante ci restituiscono sempre rinnovata e pura. È proprio vero che
il Signore da cose piccole e semplici fa cose grandi e straordinarie! Le piante, gli alberi, sono la
porta della vita sulla Terra; dal sole, dall’aria e dall’acqua, producono gli alimenti per il mondo
animale e quindi anche per l’uomo. Prendono dall’aria quell’anidride carbonica che noi emettiamo col respiro e vi immettono quell’ossigeno di cui abbiamo bisogno per vivere.
1. Vescovo di Terni, Narni, Amelia.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
157-160.
239
Altro fatto per noi straordinario è che la biosfera, nel suo perenne lavoro di costruzione
della vita, di produzione di ordine dal disordine, di organizzazione dalla dispersione, di perfezionamento creativo di sé stessa, non consuma nulla, né materia né energia: non produce
rifiuti. Essa infatti è stata creata per durare fino alla fine del tempo, all’esaurimento del sole
che la alimenta. Non distrugge l’energia che riceve dal sole, non la consuma, ma la irradia di
nuovo nello spazio trasformata; così come tutta la materia che utilizza la disperde per poterla
utilizzare nuovamente.
Ma l’uomo che partecipava all’armonia dell’Eden decide di assaggiare il frutto dell’albero
della conoscenza. L’uomo che « assapora la conoscenza del bene e del male » è un uomo che
definisce da sé le sue leggi, che esce dalle regole della biosfera; egli si pone di fatto fuori dall’Eden e quindi si assume anche il rischio dell’errore, del « peccato », che provoca sofferenza per
sé e per le altre creature. E con le sue leggi l’uomo si fa creatore di un suo mondo artificiale, di
una sua econosfera, distinta e spesso in contrasto con la biosfera. L’uomo non riconosce più la
sua appartenenza alla biosfera, cessa di vivere nell’armonia dell’Eden, anche se l’Eden, benché
oggi violentata e minacciata nei suoi equilibri vitali, il clima, l’acqua, l’aria, non cessa di esistere
e sviluppare il disegno del suo Creatore.
Il senso di onnipotenza che deriva dal sentirsi creatore del proprio mondo, produce
nell’uomo una frenesia produttivistica che lo ha portato a porre nell’accumulo di beni e di ricchezze il fine della sua vita. L’uomo diventa in tal modo consumatore di natura ed anche della
sua stessa vita. Il suo obiettivo non è più cooperare con Dio, farsi suo strumento per il perfezionamento del creato, per la realizzazione del disegno divino, ma l’arricchimento individuale.
Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se
stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che,
in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai
danni che ne derivano [122]. [Benedetto XVI, Caritas in veritate, 51].
Mentre nella biosfera domina una competizione cooperativa, nell’econosfera domina una
competizione aggressiva. Un mondo orientato all’accumulo di ricchezze ed al possesso e al
consumo di sempre più cose, finisce con l’essere un mondo guidato dall’egoismo, dall’individualismo. Dalla competizione fra uomo e uomo, nasce l’aggressività; dalla competizione per
il controllo delle risorse naturali nascono i conflitti fra i popoli. Assistiamo in questi anni alle
guerre per il controllo delle risorse petrolifere, si prevede nel prossimo futuro la crescita dei
conflitti per l’acqua, e di fatto, possiamo dire che sia in corso, se non proprio un conflitto, un
contenzioso fra paesi ricchi e paesi poveri per la difesa del clima minacciato dalle emissioni
prodotte dall’eccesso di consumo che i paesi ricchi fanno delle risorse energetiche. Senza l’atmosfera che lo avvolge il nostro sarebbe un pianeta di ghiaccio e privo di vita. Ma noi, facendo
massiccio uso di combustibili fossili, stiamo cambiando la composizione dell’atmosfera che ha
consentito la diffusione fuori dall’acqua e l’evoluzione della vita. Nel 2006 vi abbiamo scaricato oltre 30 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, facendo dell’atmosfera la più grande
discarica della Terra. E così, l’economia che dovrebbe essere deputata a produrre e diffondere
benessere, guidata solo dal « tecnicamente fattibile », ponendo in secondo piano l’uomo e la
natura, si sente svincolata da principi etici e diviene produttrice di danni, e prospetta all’uma240
nità un futuro incerto.
Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso
tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal
prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare
povertà. [Benedetto XVI, Caritas in veritate, 21].
Nel suo IV Rapporto, l’International Panel on Climate Change (IPCC) fornisce prove
scientifiche del fatto che l’aumento del rischio di catastrofi naturali, come siccità, alluvioni,
cicloni, sia una conseguenza dei cambiamenti climatici causati dall’uomo. Dal 31 agosto al
4 settembre scorso, 1.500 scienziati ed esperti, si sono riuniti a Ginevra per la 3a Conferenza
Mondiale sul Clima organizzata dalla World Meteorological Organization, nella quale sono
state presentate oltre 200 relazioni sui vari aspetti della grande sfida dei cambiamenti climatici
che l’umanità del 21° secolo si trova ad affrontare. Lo scopo della conferenza è stata la costituzione di un sistema di informazione scientifica affidabile per i governi e per i responsabili della
sicurezza e dell’economia. Si cerca di creare una struttura coordinata su scala mondiale per far
fronte alle emergenze prodotte dai cambiamenti climatici.
L’economia che ha posto al suo centro la produzione di capitale, il cosiddetto prodotto
interno lordo, il PIL, concentrata quasi esclusivamente sul funzionamento dei mercati finanziari, ha perso di vista l’uomo, e non prendendosi cura del mantenimento delle risorse naturali che trasforma in capitale, sembra sempre più un sistema autofagico, che divora uomini
e natura, minando in tal modo le sue stesse basi di esistenza. La maggior parte delle risorse
su cui si basa l’economia di oggi non sono rinnovabili e si esauriranno entro questo secolo.
E l’uomo, sempre più umiliato e svuotato della sua stessa umanità, ridotto al semplice ruolo
utilitaristico di produttore e consumatore, appare disorientato di fronte a un presente difficile
e ad un futuro incerto.
L’inquinamento dell’aria mette a rischio la disponibilità di acqua per almeno un terzo
dell’umanità e mette sempre più a rischio la sicurezza alimentare facendo aumentare il numero
di affamati, che oggi già tocca il drammatico numero di 930 milioni. Il riscaldamento globale
dell’atmosfera causa lo scioglimento dei ghiacciai provocando l’innalzamento dei mari che
mette a rischio le aree costiere. I biologi prospettano per i prossimi decenni una estinzione di
massa di specie, simile a quella che 65 milioni di anni fa segnò la scomparsa dei dinosauri e
della maggior parte delle specie esistenti. Saremo più soli sulla Terra e questo renderà anche
l’umanità più vulnerabile ai cambiamenti della natura.
Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura
alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di
istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e
anche nelle periferie di grandi metropoli. [Benedetto XVI, Caritas in veritate, 43].
Per garantire il presunto diritto al superfluo del quinto più ricco dell’umanità di oggi, si
lascia in crescenti difficoltà la parte più povera di essa, e ci si prepara a lasciare all’umanità futura un pianeta devastato. Già oggi utilizziamo ogni anno il 35% di risorse in più di quanto la
Terra riesce a rigenerare per mantenere inalterati gli equilibri che garantiscono la vita: un clima
stabile, acqua ed aria pulite, ecc. L’ideologia dell’accaparramento egoistico è sancita dramma241
ticamente dalla cinica freddezza con cui oggi si tratta il dramma dell’immigrazione di persone
in fuga da persecuzioni, ma anche e soprattutto dalla povertà prodotta dal degrado ambientale;
un degrado spesso causato proprio per produrre il superfluo per gli abitanti dei paesi ricchi.
Ecco che oltre all’ecologia della natura c’è bisogno di una « ecologia umana » su cui fondare un nuovo umanesimo.
Se l’umanità vuole continuare ad abitare il pianeta in condizioni di benessere, deve tornare ad organizzare le sue attività nel rispetto delle regole della biosfera: in altri termini deve
tornare nell’Eden, nel paradiso perduto. Tornarvi certamente non nella nudità di conoscenza
come all’origine, ma mettendo il bagaglio di conoscenze acquisito al servizio dell’incessante
opera di creazione di ordine che guida l’evoluzione della biosfera, esattamente come fanno
incessantemente tutte le altre specie, passando dall’opportunismo competitivo alla cooperazione adattativa.
Bisogna rimettere al centro del processo economico l’uomo nella sua integrità materiale
e spirituale, riconoscendo la sua appartenenza alla natura, unica fonte materiale per alimentare un processo di costruzione del benessere durevole ed estendibile all’intera umanità presente e futura.
La Bibbia ci dice che noi, siamo un frutto speciale della creazione, fatti a immagine e
somiglianza del Creatore. La somiglianza a Dio non rende l’uomo padrone e sfruttatore perché
Dio è creatore che ama e ascolta con compassione e misericordia le sue creature. Non lo rende
nemmeno semplicemente custode, in quanto Dio non ha creato l’universo in un tempo passato
per poi osservarlo come spettatore esterno; Dio ha avviato una creazione che continua ancor
oggi, alla quale partecipa al punto di averne voluto condividere la finitudine, mandando il suo
Figlio a testimoniare concretamente il suo amore fino alla morte in croce. Proprio il suo Figlio
ci ha mostrato il nostro compito nel creato; indicandoci il cammino verso la Resurrezione ci ha
resi ponte fra la finitudine del mondo e la sua eternità, cioè sacerdoti del creato, con il compito
santo di ricondurlo all’eternità del Creatore, partecipando attivamente e responsabilmente al
suo disegno creativo. Questa collocazione privilegiata ci pone anche un vincolo ben superiore
al rispetto della natura: amare tutte le Sue creature come Lui creandole le ha amate e le ama.
242
II sessione
Per una conversione ecologica:
le chiese si interrogano
fratello sole madre terra 2009
Domenico Sorrentino1
Emergenza ambiente: quale conversione?2
Porto il saluto dell’intera comunità diocesana a questo Convegno così qualificato. Trattandosi del saluto conclusivo, mi si consenta di offrire anche un breve contributo, a partire
da una « icona » da cui, come Vescovo di Assisi, sono particolarmente affascinato. Mi riferisco allo spogliamento di Francesco stupendamente affrescato da Giotto nel ciclo pittorico
della Basilica superiore.
Di fronte all’emergenza ambientale, si è parlato di « conversione » ecologica. Che cosa c’è,
dentro questa espressione? Che cosa dice, a tal proposito, Francesco, patrono degli ecologi?
È spontaneo accostare il suo atteggiamento di fronte alla natura partendo dal Cantico delle
creature: Laudato si’ mi’ Signore cum tucte le tue creature. È il suo « manifesto ». Ma credo che
già nel gesto dello spogliamento davanti al Vescovo Guido emergano alcune dimensioni, che
ci fanno cogliere il senso della « conversione ecologica » come la risultante di almeno quattro
« conversioni ».
1. Una conversione « culturale ». Pietro di Bernardone e Francesco rappresentano due
modi di vedere il mondo. Bernardone tende a rapportarsi alle cose in termini di possesso. Se
il figlio gli ha sottratto del denaro, quel denaro deve tornare nelle sue mani: è il « suo » denaro. Esercita legittimamente il diritto di proprietà, ma dimenticando che tutto è dono. Francesco incarna la cultura della gratuità. Il suo denudarsi lo riporta al movimento originario della
natura: la natura si comprende solo nella logica del dono. Non sei tu a farla: semplicemente
la ricevi. Proprio nella misura in cui è lasciata libera di esprimersi con il suo linguaggio, offre
anche i suoi frutti. La conversione ecologica non può avvenire senza questa « conversione »
alla cultura della gratuità.
2. Una conversione « estetica ». Francesco è capace di stupirsi. Il mondo che gli sta intorno lo incanta. Il suo sguardo ha la pacatezza della fruizione. Bernardone al contrario non
1. Vescovo di Assisi, Nocera Umbra, Gualdo Tadino.
2. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 127° (2009), Vol. XXXIII, P. II, t. I, pp.
161-162.
243
ha il tempo di « riposare », è l’uomo degli affari. Il suo andare ha come traguardo il profitto,
l’andare di Francesco ha il sapore della bellezza. Non bisogna certo radicalizzare tale atteggiamento fino a dimenticare che l’intelligenza, come ricorda la prima pagina della Scrittura, è data
all’uomo non solo per « ammirare » la terra, ma anche per « assoggettarla ». Ma si tratta di un
assoggettamento che non è tirannia, piuttosto « coltivazione », donde il termine « cultura ». Da
un atteggiamento « ammirativo » nasce una cultura alleata della natura, e non sua nemica. La
natura bistrattata e tradita non può che ribellarsi, con gli esiti drammatici che stanno sotto i
nostri occhi.
3. Una conversione « etica ». Si interpreterebbe male Francesco se il suo atteggiamento
fosse compreso come un pigro abbandonarsi ai ritmi della natura. Francesco ama il lavoro. La
« questua » francescana non sostituisce il lavoro, viene dopo, quando ce ne fosse bisogno per
il sostentamento. L’itinerario di conversione vide il giovane Francesco impegnato a ricostruire
Chiese. Egli conosce la necessità di trasformare, riparare, coltivare la realtà. A questa consapevolezza si agganciò anche il mandato del Crocifisso: « Va’, ripara la mia casa ». Non si può dunque interpretare il suo spogliamento come una contestazione dell’operosità, o della tecnologia,
tanto meno della scienza. Il suo atteggiamento è positivo e valorizzante, ma con uno spirito che
è l’opposto di una scienza e di una tecnologia che presumano l’onnipotenza. La conversione
ecologica suppone un’etica della responsabilità.
4. Conversione « contemplativa ». È quella che emerge dal Cantico, ma si ritrova già nell’icona giottesca dello spogliamento, lì dove le mani si levano in alto, librate nell’azzurro, verso
la mano del Padre celeste. Francesco porta uno sguardo religioso sulle cose. Le vede e le gusta
nei loro propri lineamenti: di qui gli attributi con cui le descrive, dalle stelle « clarite, pretiose
e belle », all’acqua « umile, utile, pretiosa e casta », al fuoco « robustoso e forte ». Le cose sono
belle per ciò che sono. E tuttavia, proprio in questa loro identità « naturale », non sono solo
cose, ma creature, che rinviano al Creatore. Esse ispirano la lode di Dio, e la lode di Dio non
le supera, ma le accoglie e valorizza alla radice. È qui la garanzia suprema che esse possano
essere rispettate. È qui il segreto ultimo di un’ecologia integrale. Anche e soprattutto in questo
Francesco è maestro.
244
Rispettare l’Ambiente. Tra Infrastrutture,
sviluppo sostenibile e cura dell’uomo
nostra madre terra 2011
Alessandro Minelli1
La biodiversità. Un tesoro da condividere
con rispetto e lungimirante responsabilità
1. Riassunto
Fondamentale, perché l’umanità diventasse consapevole della straordinaria ricchezza di
forme in cui la vita si manifesta sulla faccia della Terra, è stata la Conferenza delle Nazioni
Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo del 1992. Da essa è infatti uscito per la prima volta un impegno collettivo per una gestione responsabile e condivisa della biodiversità: la Convenzione di
Rio, sottoscritta dalla maggior parte dei Paesi. La diversità dei viventi si manifesta a più livelli:
all’interno di ogni specie come diversità genetica, che nel caso dell’uomo si arricchisce delle
molteplici forme della diversità culturale; a livello globale come diversità di ecosistemi; ma
anzitutto, nelle acque e sulla terra, come diversità di specie. L’inventario di questa biodiversità,
nel quale sono già stati registrati due milioni di specie animali e vegetali, è ancora largamente
incompleto. Nell’ambito dei paesi europei, l’Italia è fra tutti il paese più ricco di biodiversità e
questo rappresenta, oltre che una preziosa ricchezza, anche una delicata responsabilità da gestire. La biodiversità, infatti, non è semplicemente un valore da riconoscere e difendere, ma è una
ricchezza la cui fruizione si intreccia in modo inestricabile con la realtà economica e sociale, sia
in rapporto alle nostre scelte sulla gestione del territorio, sia in rapporto allo specifico interesse
che l’uomo può manifestare nei confronti delle singole specie. Nella politica di salvaguardia
della biodiversità, il rispetto della distribuzione naturale della diversità sulla faccia della Terra è
un valore primario, del quale l’umanità può e deve essere direttamente partecipe. Questa sensibilità per i valori della biodiversità, infine, non può essere limitata a poche specie carismatiche,
ma deve essere tendenzialmente estesa, in autentico spirito francescano, verso tutti i viventi,
che con noi condividono una lunghissima storia evolutiva e sono compartecipi di una rete di
relazioni che di necessità viene a modificarsi quando anche una sola specie viene a mancare.
1. Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Biologia.
245
2. La biodiversità. Un tesoro da condividere con rispetto
e lungimirante responsabilità
La terra del Santo che parlava agli uccelli e rivolgeva la sua ferma parola al lupo di Gubbio
è un luogo ideale per parlare di biodiversità, per soffermarsi un momento a considerare questo
straordinario tesoro del quale l’Umanità, nei secoli, ha troppo abusato, con conseguenze drammatiche anche a danno, e danno gravissimo, per la nostra stessa specie.
Di biodiversità si è cominciato a parlare, fuori del ristretto ambito accademico della ricerca, a
partire dai primi anni ’90, in particolare a seguito di quel grande evento che fu la Conferenza di
Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo, promossa dalle Nazioni Unite. Da quella conferenza hanno
preso inizio le più importanti azioni, a livello nazionale e, soprattutto, globale per la salvaguardia e la gestione responsabile degli ambienti naturali e delle forme viventi che vi abitano.
I princìpi fondamentali attorno ai quali la maggior parte dei paesi della Terra, Italia compresa,
trovarono un accordo furono codificati in un documento noto come la Convenzione di Rio
sulla Biodiversità.
Già da queste premesse si può ben comprendere come la biodiversità rappresenti, allo stesso tempo, un importante concetto scientifico, il cui fondamento è radicato nella sua misurabilità, ma anche un’idea dalle forti connotazioni e implicazioni sociali e politiche. Soffermiamoci
brevemente, innanzitutto, sulla biodiversità come concetto.
Un’ottima definizione ne è data dall’articolo 2 della Convenzione di Rio, che recita:
For the purposes of this Convention: “Biological diversity” means the variability
among living organisms from all sources including, inter alia, terrestrial, marine
and other aquatic ecosystems and the ecological complexes of which they are part:
this includes diversity within species, between species and of ecosystems.
Tre livelli, dunque, di biodiversità, il primo dei quali fissa l’attenzione sul prezioso valore
della diversità che esiste all’interno di ogni specie e di ogni popolazione, una diversità che nella
specie umana è soprattutto di natura culturale, ma che in tutte le specie, compresa la nostra, è
comunque, almeno, una diversità genetica. Nell’attenzione prestata a questa dimensione della diversità biologica c’è la memoria delle drammatiche conseguenze che ha avuto, in molte
occasioni, la pratica agraria di utilizzare, in vaste aree a monocoltura, un unico ceppo, se non
addirittura un unico clone di piante praticamente identiche, pronte da un lato a fornire un prodotto omogeneo, ovviamente vantaggioso sia durante le fasi colturali che in quelle successive
della raccolta e della messa sul mercato, ma facile preda, dall’altro lato, di attacchi parassitari
devastanti, pronti a diffondersi con velocità incontrollabile su vastissime aree.
Di questi problemi, e quindi della necessità di conservare, almeno a livello di campioni di riferimento, il maggior numero possibile di varianti genetiche delle piante coltivate fu
perfettamente consapevole, tra i primi al mondo, il compianto Presidente dell’Accademia dei
XL, Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, che si fece perciò promotore di preziose ‘banche di
germoplasma’, riserve di biodiversità agraria da trasmettere alle future generazioni.
246
All’opposto della microdiversità che esiste all’interno della specie, particolarmente facile,
anche per il comune cittadino, è cogliere quella che la Convenzione di Rio menzionava come
‘diversità fra gli ecosistemi’. Una palude, un fiume, un bosco di latifoglie, una foresta di conifere non sono diversi solo per la loro fisionomia d’insieme o per le condizioni climatiche che
vi regnano; lo sono, ed è questo che ci interessa qui, anche dal punto di vista della flora e della
fauna che vi abitano, così diverse da avere spesso poche o nessuna specie in comune, anche su
piccole distanze geografiche.
Ma la nozione di biodiversità, così come viene intesa di regola, sia nell’ambito della ricerca che nelle sue pratiche applicazioni, non fa riferimento alla varietà interna ad ogni specie,
né alla molteplicità degli ecosistemi, bensì alle specie viventi, prese proprio come unità della
biodiversità — una scelta, questa, che rende la biodiversità effettivamente misurabile, a dispetto
delle incertezze che spesso devono confessare gli stessi specialisti, che fanno fatica talora a riconoscere se due forme diverse di piante o di animali rappresentano davvero due specie diverse o
sono, invece, solo delle varianti differenti di una stessa specie.
Quante specie, dunque? Se la nostra attenzione rimanesse circoscritta agli animali più noti
e popolari, i mammiferi e gli uccelli, il conto sarebbe piuttosto facile. A tutt’oggi, le specie note
di Mammiferi, a livello globale, sono 5491, mentre gli uccelli assommano a 10.027. Per questi
gruppi zoologici (gli uccelli soprattutto) l’inventario della diversità esistente sull’intera faccia
della Terra può dirsi quasi completo. Ma la situazione è ben diversa per molti altri gruppi di
animali, e anche per le piante. Ma lo stato ancora lacunoso delle nostre conoscenze, a dispetto
di una secolare opera di indagine sul campo e di successiva puntigliosa opera classificatoria,
non può esimerci dal prendere in considerazione, quanto meno, i grandi gruppi la cui diversità
è incomparabilmente superiore a quella degli uccelli o dei mammiferi. A fare la parte del leone
sono gli insetti, che da soli rappresentano più della metà del numero totale di specie viventi
fino ad oggi descritte, e all’interno degli insetti va riconosciuta l’eccezionale diversità dei coleotteri, le cui quasi 400.000 specie descritte rappresentano da sole poco meno di un quarto
dell’intera biodiversità finora registrata sulla Terra.
Venendo al nostro Paese, non credo susciti meraviglia il fatto che l’Italia — grazie alla
straordinaria varietà dei suoi luoghi e dei suoi ambienti — ospiti una biodiversità più elevata
rispetto a quella di tutti gli altri paesi europei. Al momento attuale è accertata la presenza, sul
nostro territorio nazionale, di circa 60.000 specie animali e 6.700 specie di piante vascolari,
numeri ai quali vanno aggiunte migliaia di specie di funghi e di minuscole forme unicellulari.
Altrove, tuttavia, cioè fuori dall’Europa, si trovano i veri “punti caldi” della biodiversità,
che assume i valori più alti nei lembi sopravvissuti delle foreste della fascia intertropicale. Più
precisamente, si potrebbe affermare che una buona conoscenza dei soli insetti che vivono tra le
chiome degli alberi di quelle foreste potrebbe dare da sola una stima attendibile dell’intera biodiversità esistente sul nostro pianeta. Questo rimane vero anche se studi recenti hanno rivelato
che altri ambienti, dai quali non ci si sarebbe atteso un significativo contributo alla biodiversità
totale, ospitano invece anch’essi popolamenti assai ricchi di specie. Le sorprese più notevoli
sono venute dalle grandi profondità oceaniche dove, almeno in condizioni particolari, come in
presenza di grandi carcasse di cetacei o in corrispondenza di fessure dei fondali dai quali escono
247
acque calde sulfuree, la fauna è davvero molto ricca di specie.
Il problema, per arrivare ad una buona determinazione della ricchezza totale della biodiversità sul nostro pianeta, è che il censimento delle specie richiede sforzi ben più seri di quanti
la comunità internazionale sia stata capace di fornire fino ad oggi. Nelle università di molti
paesi, compreso il nostro, questo tipo di ricerca è stato spesso emarginato se non cancellato,
e solo in pochi luoghi privilegiati le condizioni sono state migliori per quelle altre istituzioni
presso le quali gli studi sulla biodiversità sono progrediti nel corso degli ultimi duecento anni,
cioè i musei di storia naturale. Ma un museo di storia naturale può seriamente contribuire a
questa impresa se le sue dimensioni sono sufficientemente grandi da poter dedicare alla ricerca
un numero adeguato di persone, fornendo a queste, oltre al posto di lavoro, le collezioni di
studio ed i mezzi per studiarle al livello richiesto dagli standard correnti della ricerca zoologica
o botanica. L’Italia, purtroppo, ha perduto in passato un’occasione importante, quella cioè di
istituire un museo nazionale di storia naturale, come è stato possibile invece ad altri paesi come
la Francia, l’Inghilterra, la Svezia, la Spagna. All’epoca in cui sono sorti i grandi musei di Parigi,
Londra, Stoccolma e Madrid, quegli stati godevano già di un’unità nazionale che mancava invece all’Italia, e così pure alla Germania, dove pure un museo nazionale di storia naturale non è
mai sorto. Quest’anno, a 150 anni dall’Unità d’Italia, potrebbe essere il momento per ripensare
a questa situazione e vedere se ad essa possa essere posto rimedio, permettendo così all’Italia
di dare un contributo più incisivo agli sforzi della comunità scientifica internazionale per una
migliore conoscenza della biodiversità.
Ma è ora di spostare l’attenzione da questi pur fondamentali aspetti scientifici verso le
relazioni dell’Uomo nei confronti della biodiversità. Quanto l’umanità dipenda da essa lo
possiamo vedere ogni volta che ci avviciniamo ai banchi del fruttivendolo, del macellaio, del
pescivendolo. Sono i luoghi in cui viene messo quotidianamente in vendita un campionario,
spesso ricco e diversificato, della biodiversità, in cui non di rado, soprattutto nel caso dei prodotti ittici, i frutti delle catture in ambiente naturale si mescolano ai prodotti degli allevamenti
e delle colture. Questo campionario si fa ancora più vario in molti mercati poveri del Terzo
Mondo, dove una moltitudine di specie animali e vegetali contribuisce con un po’ di calorie a
ridurre i problemi alimentari di quelle popolazioni.
Popolazioni che vivono spesso al margine di foreste dove un mondo vegetale lussureggiante fornisce, o ha fornito, anche una diversità di principi attivi utilizzati nella medicina
tradizionale, e poi spesso ripresi da quella occidentale, salvo poi spesso essere sostituiti dai corrispondenti prodotti di sintesi. Ma queste stesse foreste sono anche il teatro di quei drammatici
episodi di deforestazione che cambiano una volta per sempre il volto di una regione, portando
all’estinzione numeri imprecisati di specie vegetali e animali, per lasciare il posto a forme di copertura vegetale secondaria, molto spesso banale e stentata, soprattutto là dove il dilavamento
feroce sottrae presto al terreno tutta la sua parte fertile, o dove l’implacabilità del clima rende
irreversibile il passaggio, inaugurato dall’uomo, dalla foresta al deserto.
I mezzi di comunicazione non mancano di trasmetterci di tempo in tempo qualche impressionante dato sulla drammatica riduzione numerica delle popolazioni di animali carismatici come la tigre o le balene, ma è difficile, senza un’adeguata confidenza con la letteratura
248
specialistica o la regolare frequentazione degli addetti ai lavori, rendersi conto dell’effettiva
portata del fenomeno.
Di certo, non tutte le estinzioni avvenute negli ultimi millenni sono state causate dall’uomo e non tutte le variazioni più clamorose nelle dimensioni delle popolazioni naturali, o
nell’estensione del loro areale geografico, sono imputabili all’azione umana. Ci sono sempre
state, nei secoli, fluttuazioni climatiche con le quali anche l’uomo ha dovuto fare i conti, e
gli effetti di queste si stanno indubbiamente sommando, ai nostri giorni, nel determinare il
cambiamento climatico globale, alle modifiche indotte dall’azione umana. In molti casi, in
effetti, è difficile disgiungere gli effetti dell’intervento antropico da quelli dovuti a fatti naturali.
Si pensi, ad esempio, al leone, che in età storica era presente anche in Europa, in Grecia ad
esempio almeno fino ai tempi di Erodoto, e che in tempi a noi molto vicini popolava buona
parte dell’Africa (esclusi solo il Sahara e le foreste congolesi), spingendosi poi lungo le coste
dell’Arabia e oltre, fino a quasi tutta l’India. Oggi, invece, il suo areale è limitato ad una sorta di
arcipelago di aree isolate, spesso di modesta estensione, nell’Africa centrale e meridionale, più
una popolazione isolata in India. D’altro canto, è opportuno ricordare che l’azione dell’uomo
sulla natura non ha portato sempre e solo a una riduzione della biodiversità. Fin da quando
sono iniziati l’allevamento e l’agricoltura, l’uomo è venuto plasmando nuove forme di piante
e di animali. Certo, queste rientrano quasi per intero nell’ambito della diversità intraspecifica,
con il differenziamento di razze o di cultivar dalle caratteristiche ben definite, ma in qualche
caso le innovazioni introdotte dall’uomo hanno varcato i limiti delle specie, con i tentativi,
più o meno riusciti e più o meno duraturi, di creare ibridi fra specie perfettamente isolate tra
loro in natura. Più difficile è inquadrare negli schemi tradizionali le relazioni fra gli organismi
transgenici e le forme di partenza, ma è indubbio che anche queste pratiche — a prescindere da
ogni valutazione sul loro merito o sulla loro pericolosità — rappresentino forme di accrescimento della diversità biologica dovute proprio alla mano dell’Uomo.
Più ovvie, peraltro, sono le azioni messe in atto per arginare la perdita della biodiversità
e addirittura per favorirne il recupero, almeno su scala locale. Rientrano fra queste misure le
banche di germoplasma, alle quali già ho fatto cenno, così come vi rientrano i centri in cui
si attende alla moltiplicazione degli ultimi individui sopravvissuti di alcune specie animali o
vegetali. Tutti questi sforzi, certamente lodevoli, manifestano comunque un limite: sono, per
usare un termine tecnico, degli interventi ex situ, nei quali cioè le popolazioni animali o vegetali
vengono seguite e aiutate a conservarsi in luoghi e in contesti ambientali ben diversi da quelli
di origine. E questa circostanza può lasciare qualche dubbio circa il possibile successo di una
futura reintroduzione in ambiente naturale degli individui nati in cattività. Il rapporto che le
singole popolazioni possono evolvere nel corso delle generazioni con il loro ambiente naturale
è spesso così specifico, che già il ‘semplice’ rimpiazzo di una popolazione locale con individui
provenienti da altre parti dell’areale complessivo di una specie deve essere considerato, ed eventualmente monitorato, con grande attenzione.
Portati fuori dalla loro patria d’origine, molti animali e molte piante sono incapaci di
sopravvivere, ma a volte l’effetto di un’occasionale o intenzionale introduzione di una specie
in un’area nuova può portare proprio al risultato opposto, cioè ad una sua rapida esplosione
249
numerica, che può essere il preludio di un insediamento duraturo. Faune e flore delle isole
più remote sono particolarmente vulnerabili da questo punto di vista. Nella lista delle specie
estinte in tempi storici (soprattutto uccelli, ma anche mammiferi, piante etc.) abbondano infatti
i rappresentanti delle faune e delle flore insulari. Tributi molto pesanti hanno pagato, ad esempio, le Hawaii, Mauritius, la Réunion. Nel contempo, l’Uomo ha favorito l’espansione oltre
Oceano di molte specie adattabili e invasive, non necessariamente domestiche (come il cane,
inselvatichito come dingo in Australia) o commensali (come i ratti e le blatte, diventati oggi
pressoché cosmopoliti). Un caso estremo, ancora una volta riguardante un arcipelago, è fornito
dalla Nuova Zelanda, la cui fauna conta oggi, fra gli uccelli, il merlo, il cardellino, il fringuello
e molte altre specie europee.
Queste introduzioni bilanciano solo numericamente, ma non qualitativamente, le numerose estinzioni subite dalle faune e dalle flore, come nel caso dello scoiattolo grigio nordamericano che ha quasi cancellato dai parchi e dai boschi dell’Inghilterra lo scoiattolo rosso
autoctono. La biodiversità, non va dimenticato, ha una sua precisa distribuzione sulla faccia
della Terra, una distribuzione che è frutto della storia dei mari e dei continenti nel corso delle
ere geologiche non meno che della storia evolutiva dei viventi. Questa dimensione geografica
della diversità è ben visibile anche all’interno della nostra specie, soprattutto nei suoi aspetti
culturali, come dimostrano gli atlanti della distribuzione geografica delle lingue, soprattutto di
quelle oggi parlate da poche centinaia o addirittura poche decine di persone, e perciò a rischio
di estinzione: estinzione della lingua e con essa, spesso, di un’intera cultura in equilibrio con i
luoghi e con l’ambiente in cui si è venuta sviluppando. Anche questa, in un certo senso, è una
forma di biodiversità — una diversità da riconoscere, rispettare e conservare.
Ma qui sorge, alla fine, un drammatico interrogativo: in fondo, che cosa vale la pena di
conservare?
Forse la tigre, a dispetto delle vittime umane cadute nei secoli sotto le sue unghie e i suoi
denti? Forse i serpenti, le zanzare, le piante velenose? Credo che a questa domanda si debba
rispondere affermando che il nostro compito, di fronte alla natura nella ricchezza tutta delle
sue manifestazioni, non è quello di improvvisare un’arca sulla quale tentare il salvataggio di
un piccolo numero di specie privilegiate, ma piuttosto quello di contenere i danni agli interi
ecosistemi, all’interno dei quali centinaia o migliaia di specie possano continuare a vivere e ad
interagire tra loro, modificandosi in modo lento ma incessante, e magari localmente estinguendosi, perché così è sempre stato, da quando c’è vita sulla Terra. In vero spirito Francescano,
cerchiamo di continuare il nostro cammino su questa Terra cum tucte le sue creature o, quanto
meno, senza accelerarne indebitamente la scomparsa.
250
Mobilità sostenibile per la cura
e la salvaguardia del creato
nostra madre terra 2012
Domenico Sorrentino1
Indirizzo di Saluto
Sono lieto di portarvi il saluto mio personale e della diocesi e soprattutto di invocare
la benedizione del Signore su questo convegno che torna, come appuntamento annuale, a
farci riflettere sulla problematica della salvaguardia del creato, a partire da uno dei problemi,
la mobilità, che costituisce una delle caratteristiche tipiche del nostro tempo, e va senz’altro
governata con grande senso di responsabilità, per consentire l’incontro tra le esigenze tipiche
della convivenza, del lavoro, della produzione e della integrazione sociale universale, e quelle
non meno importanti, e da un certo punto di vista ancor più fondamentali, di un sano equilibrio ambientale.
Si intrecciano, in questo rapporto mobilità - equilibrio ambientale, due costellazioni valoriali, che devono dialogare.
Ambedue gli orizzonti valoriali hanno a che fare con la nostra vita.
L’equilibrio ambientale porta già in sé un elemento di mobilità, perché la natura stessa,
nelle sue infinite componenti, non è certo inerte: è vita che evolve, nel suoi grandi processi di
trasformazione dell’energia, delle masse geologiche in movimento, dei cicli morte-vita in cui
si sviluppa il ritmo della natura. Si tratta anche qui di una mobilità, ma di una mobilità dai
tempi lunghi e tranquilli, che ispirano, come nelle civiltà agricole del passato, un ritmo di vita
umana intonato a una sana attività compatibile con la contemplazione, la vita di famiglia e di
comunità, una cultura di tipo meditativo.
La mobilità che costituisce oggi la nostra esperienza quotidiana ha il ritmo di una tecnologia enormemente accelerata, che risponde a nuovi equilibri sociali e al tempo stesso li favorisce
e li suscita, obbedendo a leggi di produzione, di competizione, di concorrenza, di informazione, e anche di integrazione tra persone e popoli, che non hanno l’uguale nell’esperienza
storica. Anche in questo orizzonte ci sono sicuramente dei valori importanti: non fosse altro,
la capacità di conoscenza e di incontro tra le persone.
È chiaro tuttavia che questi due orizzonti hanno caratteristiche ed accenti che li pongo1. Vescovo di Assisi, Nocera Umbra, Gualdo Tadino.
251
no in naturale tensione. Occorre, usando un’espressione filosofica, una “fusione di orizzonti”, che non è facile. L’impressione è che, nel confronto tra questi due orizzonti, finora ad
aver la peggio, con indubbi rischi per l’uomo, è l’orizzonte valoriale dell’equilibrio ambientale. Ma è anche vero che, a partire da questa problematica, non si deve cadere nell’eccesso
opposto di un ambientalismo fissista e “arrabbiato” che a priori nega ogni dialogo con l’assetto ambientale per operarvi trasformazioni ragionevoli in funzione dell’equilibrio cosmoantropologico complessivo.
Credo nessuno abbia, in questo, la formula magica. Un convegno come questo può essere
uno di quei luoghi di riflessione in cui può emergere qualche indirizzo e linea di sintesi.
Compiuta in questo luogo una tale riflessione non può che trarre vantaggio dalla meditazione di Francesco, dalla sua lode all’Altissimo onnipotente bon Signore.
Essa ovviamente non ci dà criteri morali e tecnici per affrontare il problema di una mobilità sostenibile. Ma ci offre quell’orizzonte spirituale, in cui sia l’orizzonte ambientale che quello
tecnologico fanno bene ad affondare le radici, se non vogliono affondare fragorosamente con
disastri per la natura e per l’uomo.
Venga dunque Francesco a farci gustare, anche in queste ore, il senso della lode e insieme
quello della fruizione della bellezza e dei valori che sono nel mondo, “in sora nostra Madre
terra, la quale ne sustenta et governa, e produce diversi frutti, con coloriti flori et erba”.
Buon lavoro!
252
Ambiente e piano energetico:
approvvigionamento, consumo e riuso
nostra madre terra 2013
Catiuscia Marini1
Indirizzo di Saluto
L’Umbria è una terra molto particolare, dove la testimonianza del messaggio di San Francesco è presente in ogni suo luogo. Qui il rapporto di equilibrio e di interdipendenza tra uomo,
natura ed ambiente continua, ancora oggi, a trasmettere questo messaggio e richiede anche
un’assunzione di responsabilità. L’Umbria è oramai universalmente identificata come simbolo
del corretto connubio uomo-ambiente, e ciò impone a chi ha la responsabilità del Governo
di questa terra un onere in più. Nella nostra azione di governo siamo, infatti, impegnati per
concretizzare l’interazione tra ambiente e sviluppo, paesaggio e impresa. Ciò rappresenta una
grande sfida per il nostro futuro.
I temi che verranno affrontati oggi, ci riguardano non solo nella visione strategica delle
politiche di dimensione europea o nazionale, ma anche per le azioni di livello territoriale regionale e locale, questa è una terra nella quale coesistono industrie e scenari naturali di grande
suggestione, com’è il caso delle cascate delle Marmore, nelle cui vicinanze si sono sviluppate
l’industria dell’acciaio e della chimica che traendo la forza dall’energia idrica si sono sviluppate dalla fine del XIX. Questa è anche la terra nella quale una rete di piccole e medie imprese
hanno investito grandi risorse per una innovazione tecnologica che rendesse sempre più ecocompatibile l’attività industriale e produttiva. Oppure eccellenze come la Novamont che tra
le prime al mondo ha saputo riconvertire la chimica di base in chimica “verde” attraverso una
ricerca scientifica di eccellenza.
Sviluppare il settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, così come la cultura
del risparmio energetico, resta per la Regione Umbria una priorità strategica, attraverso un suo
pacchetto di misure necessarie al perseguimento dell’obbiettivo “20-20-20” che ci impone l’Europa di raggiungerlo entro il 2020:
• riduzione delle emissioni di gas serra del 20% ;
• portare il risparmio energetico nei consumi individuali, familiari, delle imprese e dei
1. Presidente Regione Umbria.
253
grandi energivori al 20%;
• aumentare la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili al 20%.
Al tempo stesso offrire al sistema delle imprese opportunità di investimenti e condizioni
di sviluppo attraverso un’economia più “green”, e dunque di nuova occupazione, sempre nel rispetto della compatibilità ambientale. Sono sfide nazionali ed europee dove l’Umbria, attraverso le sue imprese e le sue attività economiche ha un ruolo da protagonista, con la responsabilità
di salvaguardare l’ambiente ed il paesaggio naturalistico, agricolo e dei centri storici di piccoli
e grandi borghi medievali, 19 di questi comuni sono stati interessati dal progetto sviluppato
insieme ad ENEL per la realizzazione di stazioni di ricarica per le auto elettriche, per ridurre le
emissioni e per migliorare la qualità dell’aria, è una sfida che guarda al futuro, che si pone una
visione, ma che prova anche a salvaguardare il nostro patrimonio ambientale e paesaggistico,
perché ciò rappresenta una testimonianza straordinaria della storia spirituale e culturale della
nostra terra.
Grazie buon lavoro a tutti.
254
Ambiente e piano energetico:
approvvigionamento, consumo e riuso
nostra madre terra 2013
Cardinale Peter Turkson1
Il creato è ferito dall’inconsapevolezza
La custodia del Creato è un tema ricorrente nel Magistero della Chiesa; papa Francesco ne
parlò già nei suoi primi interventi come Pontefice e ne parla anche nella sua prima Enciclica,
Lumen Fidei. “La fede […], nel rivelarci l’amore di Dio Creatore, ci fa rispettare maggiormente
la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo
sull’utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come dono, di cui tutti siamo debitori;
ci insegna a individuare forme giuste di governo, riconoscendo che l’autorità viene da Dio per
essere al servizio del bene comune.” (Lumen Fidei, n. 55).
Non dimentichiamo però, che papa Francesco si colloca nella scia dei suoi predecessori:
Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, scia che si richiama anche alla Gaudium et Spes del Concilio
Vaticano II. Possiamo inoltre risalire, ancora più indietro nel tempo, fino a san Francesco d’
Assisi, o ai Padri della Chiesa e, soprattutto, alla Sacra Scrittura. Quello che voglio evidenziare
è quanto la custodia del Creato non sia una moda odierna della Chiesa, bensì una componente
importante della sua missione.
Cosa intendiamo dunque per custodia del Creato? Come cristiani, crediamo che Dio Creatore abbia affidato agli uomini la speciale responsabilità di prendersi cura della natura ricevuta
come dono. E che dono! Sappiamo come dice san Francesco nel Cantico delle Creature: un dono
prezioso, bello, utile, robusto, che ci sostenta.
In che modo averne cura? L’intera umanità, con le sue varie istituzioni, e ogni singolo individuo, devono averne cura agendo in qualità di amministratori e custodi del Creato donatoci.
Il libro della Genesi e i Vangeli ci invitano ad amministrare il Creato come lo farebbe Dio stesso, ossia con il suo stesso amore. Dio volle che la natura fosse rigogliosa, che portasse frutto.
Anche questo, allora, deve essere il nostro obiettivo: portare frutto! Questo “portare frutto”,
penso, è un concetto ambizioso sul quale occorre riflettere di più, a costo di svincolarsi dalla
mera mentalità di “sostenibilità” e di sfruttamento per il profitto.
1. Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
255
Cosa andrebbe fatto perché la natura porti frutto, sia bella, sfami tutti, e le future generazioni possano trarne beneficio? Ritengo che scegliere il termine “creato” aiuti a capire meglio il
senso della trascendenza, e a non dimenticare la nostra condizione di creature. Riflettere, invece, esclusivamente sul termine “ambiente” o sul termine inglese “environment” può contribuire
a distanziarsi dal resto del creato, in quanto si sottolinea più una natura in cui siamo inseriti,
che ci circonda, ma che tutto sommato non ci appartiene e quindi non ne siamo responsabili.
L’attività della Chiesa è ampia, a livello internazionale la diplomazia della Santa Sede presenta
riflessioni e interventi volti a tutelare il creato, in particolare insistendo sul bisogno di creare
una buona volontà politica per una gestione corretta e una divisione più equa delle risorse
naturali comuni. Talvolta, la Santa Sede aderisce esplicitamente a trattati e/o a convenzioni
internazionali in questo settore. La Curia Romana lavora anche su questioni ecologiche; con
modalità e approcci diversi come, ad esempio, la Pontificia Accademia delle Scienze e il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che rappresento. Negli ultimi tempi abbiamo pubblicato un Documento sull’acqua e stiamo lavorando sulle questioni riguardanti l’uso della terra,
dello sviluppo agricolo, e su le questioni complesse delle miniere (il Dicastero ha organizzato
da poco un importante Seminario di riflessione e confronto sulle miniere con la partecipazione
di “CEO’s” delle più importanti Compagnie minerarie del mondo). Uno dei compiti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è proprio la diffusione della Dottrina Sociale della
Chiesa di cui queste questioni, ambiente e risorse naturali che vi ho accennato, fanno parte,
essa ci offre fondamentali principi etici in merito.
Non vanno dimenticate, poi, le innumerevoli azioni intraprese dalla Chiesa a livello locale destinate a tutelare il creato e a contribuire al beneficio delle popolazioni. Quante Congregazioni religiose, Diocesi, Parrocchie, ONG cattoliche o strutture Caritas sono attive in
questo settore! Con progetti di riforestazione, di trattamento e riciclo dell’acqua, di tutela delle
popolazioni autoctone. Quanto è importante e tuttavia sconosciuto il ruolo dei monasteri di
vita contemplativa! C’è un amore per la terra e per le sue risorse, tanti religiosi hanno sviluppato una cura tutta particolare, armoniosa, per i campi, gli animali, le piante… Basta ricordare la
nuova Patrona d’Europa (proclamata da Benedetto XVI): Santa Ildegarda di Bingen (contemporanea di san Francesco). Tale contributo non è sempre conosciuto ed evidente: ci sono monasteri ad esempio, che oggi lottano per difendere dallo sfruttamento industriale massiccio una
piccola sorgente di acqua che serve a produrre birra. Altri, a causa dell’inquinamento ambientale non riescono più a produrre miele. Vorrei anche sottolineare come monaci e monache, oltre
a gestire efficacemente i loro appezzamenti, siano anche frequentemente in comunione spirituale attraverso la natura. Se avete l’occasione di visitare alcuni giardini o chiostri di conventi,
chiedete se i loro alberi, fiori o piante siano piantati a caso, vi risponderanno che ogni pianta
ha una ragion d’essere e un significato importante. Ecco, io non so, ad esempio, cosa produce
il Convento di Assisi, e non conosco il vostro giardino ma, sono convinto che anche voi come
san Francesco curate e custodite “fratello fiore e sorella pianta”con amore!
Un’altra attività importante svolta dalla Chiesa è quella educativa che deve tendere ad
accompagnare l’uomo a valorizzare, ripristinare e rinsaldare il rapporto con Dio suo Creatore,
con la natura, con gli altri esseri umani e con se stesso.
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Capita spesso di vedere che il creato viene ferito per inconsapevolezza, ignoranza, ma di
sicuro non sono queste le cause che maggiormente lo danneggiano. La natura creata da Dio è
danneggiata spesso dall’indifferenza e dal cinismo: quanti scarti, detriti, residui vengono buttati
ovunque, malamente nascosti dietro a un cespuglio o inabissati negli oceani! Quanti scarichi
inquinanti poi, nel suolo e nei corsi d’acqua! Tutto questo accade, di solito, perché “costerebbe
troppo fare altrimenti” e “chi te lo fa fare” prendertene cura? Ciò compromette le risorse primarie quali l’acqua, l’aria, il suolo, e causa l’avvelenamento degli animali, la perdita di fertilità
della terra da coltivare e non di rado, un danno anche alla salute umana. Inoltre, le risorse del
creato sono troppo spesso sperperate irresponsabilmente: “perché usare poche risorse se sono
in grado di procurarmene in sovrabbondanza?” tutto ciò a scapito degli altri! Tale è la mentalità liberista che consuma immense quantità di acqua, o risorse energetiche, a danno del resto
dell’umanità e del più povero, che non è in grado di competere economicamente, ma anche a
danno delle future generazioni che riceveranno in eredità un creato malato. Serve una forte e
decisa volontà politica, da parte di tutte le istituzioni pertinenti e competenti, a livello locale
e globale, che le leggi vengano concepite e applicate efficacemente da tutti gli attori coinvolti
nella gestione dell’ambiente. Abbandoniamo logiche a breve termine, del tempo di un mandato elettorale o quello di far fruttare un investimento o, peggio ancora, della collusione con la
corruzione e con la criminalità. Con il creato, di fatto, non possiamo scherzare “ciò che si semina si raccoglie” serve l’impegno di tutti a lungo termine con una visione multi-generazionale
e solidale, e servono “indicatori” per valutare il cammino buono o cattivo che stiamo facendo.
“Indicatori” che non tengano in considerazione solo parametri ecologici, ma anche lo stato delle comunità umane e delle stesse persone. Serve, inoltre, una nuova e migliore visione di quello
che chiamiamo “sviluppo”. Rinunciamo al consumo superfluo, sperperando risorse riservate
solo a una piccola e abbiente frazione di popolazione mondiale. Questa non è vera crescita!
E non può essere l’unico criterio su cui basare un’economia. Sono in gioco e in causa i nostri
stili di vita, di consumo e di produzione. Siamo consapevoli di quanto consumiamo, anche in
termini di energia e di acqua? Vogliamo dare una sana e giusta scala di priorità ai possibili usi
delle risorse naturali? Come usiamo e a cosa destiniamo le risorse naturali? In questo, ognuno
di noi è responsabile e consapevole. Ognuno può e deve fare la sua parte.
Verremo giudicati anche su questo, dice il Vangelo!
257
Sacro Convento di Assisi
20 settembre 2012
Il Ministro dell’Ambiente,
della Tutela del Territorio e del Mare
Prof. Corrado Clini
Amministratore Delegato
Ferrovie dello Stato Italiane
Ing. Mauro Moretti
In occasione del meeting internazionale sull’ambiente “Nostra Madre Terra”
SI IMPEGNANO A
• Aumentare la percentuale della circolazione delle merci su rotaia e a
sostenere una politica di mobilità sostenibile per la cura e la salvaguardia
del creato.
• Trasportare più merci per ridurre sensibilmente l’impatto negativo che
la massiccia circolazione su strada di tir, camion e veicoli privati ha in
primo luogo sull’ambiente, sulla qualità della vita nelle città e nel Paese.
I dati indicano che in Italia circa il 10% delle merci viene trasportato su
rotaia, la metà della media europea.
• Sensibilizzare le persone ad utilizzare trasporti alternativi al fine di salvaguardare l’ambiente. I problemi causati da questo eccessivo ricorso al
trasporto su gomma sono noti e ogni giorno si aggravano sempre di più:
l’inquinamento atmosferico prodotto dai gas di scarico, quello acustico,
i quotidiani e insopportabili ingorghi stradali urbani ed extraurbani, la
corsa a costruire nuove strade che non basteranno comunque mai.
• Sviluppare, incrementare il trasporto merci su rotaia costituirebbe un
passaggio decisivo per una più diffusa mobilità sostenibile e per una
maggiore competitività del sistema produttivo italiano. Sarà necessario,
inoltre, rafforzare il sistema di trasporto pubblico delle persone su rotaia
anche nella dimensione locale in modo da disincentivare l’utilizzo dei
mezzi più inquinanti e trasformando il fenomeno del pendolarismo da
condanna a opportunità.
Alla luce di questo ne risentirebbero positivamente anche i costi, sempre
crescenti, che ogni famiglia è chiamata a sostenere, giorno dopo giorno.
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Lettera d’intenti per la ratificazione
del protocollo d’Intesa
Comune di Assisi e Novamont SpA
19 settembre 2013
Comune di Assisi
Novamont SpA
Con la presente, il Comune di Assisi e Novamont SpA si assumono l’impegno
di ratificare entro il 4 ottobre 2013, data in cui il Santo Padre Francesco sarà presente in Assisi, un protocollo d’intesa denominato “Assisi Nostra Madre Terra”
in cui le parti si impegneranno a portare avanti progetti condivisi per la valorizzazione del patrimonio culturale, ambientale, artistico e spirituale di Assisi, città
patrimonio Unesco e custode del messaggio universale di cura e salvaguardia del
Creato di San Francesco.
Considerato infatti che il messaggio di San Francesco, quale patrono d’Italia e
patrono dei cultori dell’ecologia, è strettamente legato alla città di Assisi e congiuntamente ad essa si può erigere a modello di armonia ambiente-cultura-uomo
da esportare nel mondo; le parti intendono condividere gli obiettivi già espressi
nel manifesto della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro “Giovani custodi del creato - Il Futuro a misura d’uomo che vogliamo”, in cui San Francesco
d’Assisi è considerato il modello per una cultura di custodia della natura.
E le finalità di salvaguardia e sviluppo già contemplate nella strategia Europa
2020 che punta a rilanciare un’economia intelligente, sostenibile e solidale, includendo quindi i valori della sostenibilità ambientale e della solidarietà tra individui quali elementi fondanti del nuovo sviluppo Europeo.
In questo contesto, le parti attiveranno azioni volte ad estendere e rilanciale
la raccolta differenziata dei rifiuti così come definito nella legge 152/2006, gli
acquisti verdi della Pubblica Amministrazione al fine di modificare i modelli
di consumo dei cittadini verso beni e servizi con minore impatto ambientale
compresa la gestione sostenibili degli eventi che si svolgono nel territorio del
Comune di Assisi, che accoglie ogni anno circa 6 milioni di pellegrini.
259
Capitolo III
STUDI DI ECOLOGIA FRANCESCANA
Francescanesimo e ambiente
Contributi Sorella Natura
261
Mauro Gambetti
Cercare la gioia per promuovere lo sviluppo sostenibile
e combattere la miseria
La sapienza di Francesco d’Assisi
Introduzione
“Francesco d’Assisi […] quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove poi l’acqua non
venisse pestata con i piedi. E se gli toccava camminare sulle pietre, si moveva con delicatezza e
riguardo, per amore di Colui che è chiamato “Pietra”. Al frate che andava a tagliare la legna per
il fuoco raccomandava di non troncare interamente l’albero, ma di lasciarne una parte. Diceva
al frate incaricato dell’orto di non coltivare erbaggi commestibili in tutto il terreno, ma di lasciare uno spazio libero di produrre erbe verdeggianti, che alla stagione propizia producessero
i fratelli fiori. Anzi diceva che il frate ortolano doveva fare un bel giardinetto da qualche parte
dell’orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe odorose e di piante che producono bei
fiori, affinché nel tempo della fioritura invitino tutti quelli che le guardano a lodare Dio,poiché
ogni creatura dice e grida: “Dio mi ha fatta per te, o uomo”. Noi che siamo stati con lui, lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava,
le guardava con gioia […]” (Compilatio Assisiensis, 88: FF 1623).
Sicuramente siamo di fronte ad un uomo medievale, abituato ad una lettura simbolica
della natura, dalla quale dipende per vivere e dalla quale, allo stesso tempo, si deve difendere.
Sembra anche, però, che egli non sia preoccupato di ottenere il massimo possibile da ciò che lo
circonda, pur non dovendo temere la fine delle risorse. Sentendolo dire che ogni creatura grida
Dio mi ha fatta per te, o uomo, ci si aspetterebbe persino la legittimazione di un arbitrario dominio umano sul creato, invece Francesco assume un atteggiamento rispettoso, delicato, tanto da
rasentare lo spreco: nel tagliare la legna bisogna lasciare parte dell’albero, nel fare l’orto bisogna
trovare tempo e spazio per far crescere fiori invece che prodotti commestibili, nel camminare
sulle pietre bisogna essere delicati come se si potessero sciupare.
Perché si comporta così?
263
L’intelligenza della realtà
Certamente per Francesco la realtà non è semplicemente e ingenuamente quello che appare, ma è segno di un mistero che l’avvolge: le pietre rimandano a Colui che è chiamato “Pietra”,
mentre i fiori portano il cuore a lodare Dio.
Al di là delle credenze di ciascuno, anche per noi la realtà non è solo ciò che appare, tanto
che la sottoponiamo ad analisi sempre più approfondite; tuttavia, ciò che differenzia l’atteggiamento di Francesco da quello oggi prevalente sembra essere la finalità dell’impresa conoscitiva.
Tutto il cammino del Poverello di Assisi aveva preso le mosse da una ricerca autentica di felicità,
che non trovava risposta nelle soddisfazioni ricavate dall’abile esercizio della mercatura, dalle
allegre feste che lo vedevano protagonista, dal riconoscimento sociale o dalla realizzazione di
un nobile ideale come quello personificato nei cavalieri. Lo stesso desiderio anima Francesco
nel rapporto con la realtà. Egli, infatti, non si accontenta di conoscere la natura per imparare
a trarne il maggiore vantaggio possibile, ma la interroga; pone in modo tipicamente umano
domande di intelligenza e di senso sulla realtà, per comprendere che cosa essa sia veramente
(senza fermarsi solo al livello della materia) e da dove venga (qual è il suo fondamento e quindi
il significato del suo esserci?). La rispetta come qualcosa/qualcuno che è altro da sé, mentre
la guarda con stupore, come qualcosa/qualcuno cui è profondamente legato. Così, Francesco
comprende che non esiste nulla che non sia dato, poiché gli esseri umani non producono il
reale né se stessi, e allo stesso tempo riconosce un rapporto di mutua appartenenza con il reale
che gli è donato.
Francesco inoltre mostra di aver raggiunto una conoscenza mistica, ovvero piena, del
mondo:accoglie infatti la realtà nel suo significato più profondo, quale espressione d’amore.
Egli conosce il nome e il volto di Colui che dona ogni bene: sono le creature stesse così a
testimoniargli di essere state fatte da Dio per noi, donate perché viviamo e ci scopriamo infinitamente amati.
Ora, se si può accogliere ciò che ci circonda come un dono, il rapporto con il mondo
prende una connotazione precisa. Non posso comportarmi come se fosse insignificante e quindi semplicemente a disposizione per qualunque cosa io ne voglia fare. Non posso nemmeno
violarlo: lo utilizzerò piuttosto secondo la sua natura di dono buono dato per la vita, rispettandolo e custodendolo come memoria di quanto sono amato. Allora non solo non taglierò tutto
l’albero se mi basta un po’ di legna per il fuoco, ma addirittura, senza alcun reale beneficio,
camminerò con delicatezza sopra le pietre per non dimenticare la profonda stabilità dell’esistenza, che posso solo ricevere.
Vivere responsabilmente
Tale atteggiamento di Francesco è il principio di quello che oggi chiamiamo “sviluppo
sostenibile”, perché tiene insieme il significato del dono (ovvero il fatto che gli esseri umani
vivano felicemente: lo sviluppo) con la realtà del dono (ovvero il fatto che gli esseri umani
264
possano solo ricevere la vita da ciò che li circonda e quindi sono condannati a morire se non
rispettano ciò che li sostiene: sviluppo sostenibile).
L’unica alternativa allo sviluppo sostenibile è l’agire irrazionale di chi ritiene di essere
padrone e sfruttatore della natura. Gli esempi a questo proposito, purtroppo, si sprecano: dalla
sistematica distruzione dei paesaggi determinata dal disboscamento e dalla cementificazione
incontrollata, alla manipolazione genetica selvaggia degli organismi, fino all’avvelenamento
dell’ambiente che ovviamente si ritorce contro di noi; senza dimenticare la violenza sull’uomo
perpetrata per arricchire pochi sfruttando l’ignoranza e la miseria di molti. Come salvarsi da
questa distruzione, se l’uomo, nonostante sia intelligente, non si comporta secondo ragione?
Nello stile di Francesco possiamo trovare una via percorribile. Egli infatti,avendo riconosciuto che tutto è dono,sceglie coerentemente di assumere l’atteggiamento di chi costantemente
riceve questo dono, di chi continuamente ha bisogno: sceglie di farsi povero. Seguendo Cristo,
sceglie la povertà come condizione di libertà per vivere senza accaparrare, usando dei beni
senza appropriarsene, godendo della bellezza di ciò che esiste senza cedere all’istinto di impadronirsene. D’altra parte, o si domina tale istinto o da esso si è dominati.
Chi ne è dominato agisce con la convinzione che ciò che esiste non abbia altro valore che
essere sfruttato per la propria soddisfazione; perciò non si ferma neanche di fronte al rischio
della distruzione: può anche distruggere tutto piuttosto che rinunciare a trarre da tutto il massimo possibile per sé ora. Da tale bisogno insaziabile sgorga ovviamente anche la violenza sugli
altri, concepiti come potenziali ostacoli nell’accaparramento dei beni.
Chi invece è libero dall’istinto di impadronirsi di ciò che lo circonda, valorizza i beni, ne
usa senza usurpare, è capace di condividere e di evitare la violenza, perché è ben consapevole
che non esista niente che non gli sia stato donato e che non spetti anche all’altro. Si costruisce
così, tramite la povertà, un’autentica fraternità e si arriva alla gioia.
Francesco si dilettava intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava
con gioia. Nessuna ansia, nessuna violenza, nessuno sfruttamento, invece un godimento sereno
e un lavoro operoso capace di far fruttare ciò che esiste e di custodirlo, riconoscendo nella
bellezza del mondo l’impronta della Bellezza.
Conclusione: come percorrere la via della piena umanizzazione?
Solo chi vive autenticamente, ascoltando il desiderio profondo di felicità che porta nel
cuore, può assecondare il dinamismo che lo spinge a prestare attenzione a ciò che lo circonda,
a porre domande intelligenti, a riconoscere ciò che è vero e a porre in atto scelte responsabili
che, sulla base di quanto riconosciuto come vero, tendano al bene. Ed è l’amore ad innescare
e sostenere questo dinamismo, permettendoci di costruire un mondo dove lo sviluppo si coniughi con un utilizzo sostenibile delle risorse e dove nessuno ritenga di avere maggior diritto
a vivere degli altri.
Occorrono però scelte impegnative orientate alla condivisione dei beni e all’educazione, che tutelino i più deboli per evitare che i più forti diventino i potenti che sfruttano, che
265
sappiano ridimensionare gli sprechi perché niente vada indiscriminatamente distrutto. Scelte
coraggiose che rinnovino lo sguardo sulla realtà e modifichino gli stili di vita, con immancabili
sacrifici e difficoltà, ma con la certezza che verremo ripagati dalla gioia, perché, come Francesco
d’Assisi, potremo concretamente imparare, dal rispetto del creato e dalla condivisione fraterna
dei beni, a dilettarci di ogni creatura, toccandola e guardandola con quella gioia che certamente
non sorge mai dall’accaparramento e dalla violenza, ma nemmeno dal consumo e dalla sazietà.
266
Giuseppe Viriglio
È necessaria una valutazione globale
Negli ultimi 100 anni la terra ha visto una serie di problemi
che non aveva avuto precedentemente
Quando parlai con Armstrong dopo il suo ritorno dalla luna, mi confessò che mettendo
la mano in alto, con la punta del pollice era riuscito a nascondere la terra. Questo sta a dire che
benché noi l’abbiamo considerata da sempre il centro dell’universo, questa è solo una parte di
un di cui. Questo di cui ha avuto le sue influenze sulla terra, pianeta estremamente giovane
con i suoi soli cinque miliardi di anni, mentre l’universo ne ha 15 miliardi. L’uomo è apparso
sulla terra centomila anni fa, se lo mettessimo su una scala temporale è come se in una notte io
accendessi un fiammifero. La durata del fiammifero è il periodo in cui l’uomo ha influito sulla
terra, praticamente niente. La terra, senza la presenza dell’uomo si adattava a quelle che erano
le condizioni esterne ed è andata avanti abbastanza bene per 5 miliardi di anni.
Negli ultimi 100 anni la terra ha visto una serie di problemi che non aveva avuto precedentemente. L’uomo ha aumentato la produzione di azotati, di idrogeni, di fosforo dal 70%
al 90% a seconda dei casi, tagliando più del 30% della vita vegetale. Senza parlare delle specie
animali che ha estinto. La popolazione sta aumentando vertiginosamente. Nel 2050 noi vivremo gomito a gomito e la terra sarà un’enorme lampadina di energia. È chiaro che se si continua
così non arriveremo oltre questa data e non si tratta di allarmismo. I ghiacciai si sono ridotti del
30 - 40%, la corrente del Golfo potrebbe sparire cambiando gli ecosistemi. Noi studiamo con
i satelliti tutte le forme di degrado e alterazione, l’effetto diretto è semplice da comprendere,
ma l’effetto integrato è difficilmente prevedibile. Ad esempio il sole ha la sua interferenza sulla
terra, poiché gli scoppi sulla corona generano onde elettromagnetiche che durano undici anni.
Le onde elettromagnetiche sono state l’anno scorso la causa di morte del 70% delle api, questo
ha portato alla mancata impollinazione di circa 22.000 specie vegetali, per questo non possiamo valutare esclusivamente i singoli elementi, ma è necessario fare una valutazione globale di
quello che accade sulla terra.
267
Stefano Brufani
Francesco canta Dio e il creato
La poetica semplice e solenne del ‘Cantico’
Francesco cantò con la poetica semplice e solenne del Cantico delle creature gli elementi
del creato a causa dei quali o per mezzo dei quali si dovevano innalzare lodi al Signore creatore
dell’Universo. Questo scritto di Francesco, in lingua volgare assisana, ha tutto il fascino e il
sapore di una composizione antica e nuova nel contempo: antica per l’eco letterale del Salmo
148 (Lodate il Signore dai cieli) e più in generale del gioioso invito rivolto agli elementi cosmici
a lodare il Signore. Nel contempo si avverte tutta la novità nel Cantico della freschezza della
lingua nuova, di una nuova civiltà, di un modo radicalmente nuovo di riscoprire le radici della
tradizione biblica, dell’Antico e del Nuovo Testamento, alla luce di una rinnovata sequela
evangelica di Gesù Cristo, che rompeva con la tradizione del disprezzo del mondo tipico della
spiritualità monastica.
Nel percorso biografico di Francesco il Cantico segue di poco più di un anno un altro
testo, le Lodi del Dio Altissimo che – come ricorda frate Leone con una rubrica aggiunta all’autografo di Francesco – furono composte sul monte de La Verna dopo l’apparizione a Francesco
del serafino e l’impressione delle stimmate. In questa preghiera di lode una ininterrotta sequela
di “Tu sei, …” rivolta a Dio, gli attribuisce ogni bene e ogni benedizione. Nelle Laudi Francesco
afferma e dichiara ciò che è proprio di Dio con una serie di predicati nominali. L’affermazione
“Tu sei l’Altissimo” è preceduta e seguita da una lunga serie di predicati nominali che dovevano giustificare e sostanziare quell’affermazione. Nel Cantico tutto questo sembra divenuto
superfluo, quantomeno come già detto nella precedente lauda a Dio, e per questo Francesco
può solennemente iniziare con la lassa “Altissimo onnipotente bon Signore, / tue so’ le laude
la gloria e l’onore et omne benedizione”, un inno apocalittico al Cristo trionfatore.
268
Maria Pia Alberzoni
Francesco e il creato
Papa Francesco fin dall’omelia della messa di inizio del ministero petrino (19 marzo 2013)
ha individuato un nesso profondo tra il compito affidato da Dio a san Giuseppe – custodire il
Bambino e Maria – e la custodia del creato: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire
gli altri, per custodire il creato. [...] È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come
ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere
rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver
cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che
sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore».
Papa Francesco è tornato su questo tema ancora nell’enciclica Lumen fidei, ricordando
che“La fede [...] nel rivelarci l’amore di Dio Creatore, ci fa rispettare maggiormente la natura,
facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché
sia coltivata e custodita” (n. 55).
Anche per san Francesco il custodire è un tema centrale nell’accostarsi al creato: nei suoi
scritti il custodire è inteso sia come il guardarsi dal cedere al Maligno (Adm X, 3) sia come il
mantenersi fedeli all’insegnamento ricevuto (UltVol 3) sia, infine, come l’avere cura gli uni degli
altri (RegNB V, 1 e RegEr 8). Un segno eloquente di questa tensione alla custodia reciproca è
nel modo con cui Francesco designa i superiori all’interno dell’Ordine: i guardiani e i custodi.
L’amore per il Creatore conduce Francesco ad amare le creature e l’intera opera della creazione,
un motivo che egli espresse in modo insuperato nel Cantico di frate Sole.
L’amore di Francesco per il creato scaturisce dalla sua fede nel Dio amante della vita. Una
conferma di ciò viene dal fatto che per cantare le lodi del creato Francesco usa espressioni della
Scrittura. È infatti la preghiera dei salmi e l’ascolto dei testi liturgici a fornirgli il modello e la
struttura delle lodi al Creatore per il creato.
Ed è proprio la sua immedesimazione con quanto ascoltava e pregava a consentirgli una
originale personalizzazione del mistero che contempla: il suo canto al creatore attraverso il
creato (Laudato si’ mi’ Signore per sora Luna e le stelle, per frate Vento, ecc.) è profondamente
269
tradizionale e, per questo, assolutamente originale.
Si coglie un movimento circolare dal Creatore alle creature e da queste al Creatore. Questo dovette essere un tema ben presente non solo a Francesco, ma anche al gruppo dei suoi
primi seguaci, in particolare a Chiara, la quale, alle suore serviziali che uscivano dal monastero
per svolgere le loro mansioni raccomandava di lodare Dio per gli “arbori belli, fioriti et fronduti
[...]. Et similmente, quando vedessero li homini et le altre creature, sempre de tucte et in tucte
cose laudassero Idio” (Processo di canonizzazione, 14, 37-38).
È l’amore per il Creatore a suscitare lo stupore di fronte al creato e il desiderio di custodirlo.
270
Franco Cardini
Francesco e la natura
Francesco sta al crocevia fra modi diversi se non opposti d’intendere la natura: che – non
dimentichiamolo – è anzitutto ed essenzialmente il creato, cioè l’esito di un atto d’amore e di
volontà.
Avete presente il “tormentone” del bravissimo, compianto Massimo Troisi, il quale mimava magistralmente la noia degli uccellini all’arrivo di Francesco che si appresta ad amorevolmente ammaestrarli? Non era per nulla irriverente nei confronti del Povero di Assisi: era una
satira azzeccatissima dell’immagine dolciastra, convenzionale, intollerabile di un Francesco
che ama gli animali, i fiori e la natura con il trasporto ingenuo e al tempo stesso stereotipo di
una zitella inglese (sia detto con tutto il rispetto per le anziane signorine britanniche, spesso
intelligenti e argute persone).
Il Francesco animalista, ecologista, naturista, pacifista, ovviamente vegetariano anzi “vegano”, a cavallo tra il Pannella old fashion, la caricatura di Greenpeace (che invece, quella vera,
è una cosa piuttosto seria) e il New Age vissuto alla maniera dei libri di Paulo Coelho (e lì, sul
serio, libera nos, Domine) è una delle peggiori jatture che ci siano capitate addosso negli ultimi
decenni: e, purtroppo, è uno degli schemi stereotipi e conformisti più diffusi e più difficili da
battere: e alla luce di ciò si usa troppo spesso interpretare – estrapolandoli dal loro contesto e
trattandoli con la più allegra afilologia – gli episodi della predica agli uccelli, del lupo di Gubbio
e dell’incontro col sultano.
D’altronde, è un fatto che con il Duecento (e quindi, se non proprio da Francesco, comunque con lui) è cominciato un modo diverso per la cultura cristiana occidentale di guardare
agli animali e al creato. Giovanni Gentile faceva notare come da e con Francesco si comincia
nell’arte a fare attenzione al paesaggio e prende l’avvio il Rinascimento: è visione criticamente
“datata” anche quella, ma non trascurabile.
Quel che tuttavia va sottolineato è che Francesco sta al crocevia fra modi diversi se non
opposti d’intendere la natura: che – non dimentichiamolo – è anzitutto ed essenzialmente il
Creato, cioè l’esito di un atto d’amore e di volontà.
Il Cosmo dei greci, sistematizzato da Aristotele, è increato ed eterno: al suo interno, esi271
ste una gerarchia di stati dell’essere e di forme di vita. Al tempo di Francesco, quando ancora
Tommaso d’Aquino non aveva adattato l’aristotelismo al cristianesimo, sulla natura come Hyle,
come Silva (la “Selva oscura” di Dante), le cose più belle e profonde le avevano dette i filosofi
platonici della “scuola di Chartres”, i teorizzatori dell’Anima Mundi tanto splendidamente studiati alcuni decenni fa da Tullio Gregory in uno dei più bei libri di storia della filosofia.
Ma il Creato della Bibbia è un’altra cosa. Dio lo trae dal nulla e, alla fine della Creazione,
lo mette a disposizione dell’uomo. Ma l’uomo, tradendo la fiducia divina con il peccato originale, fa sì che esso gli si ribelli contro. Da qui il dramma della lotta aspra per la sopravvivenza,
il labor, la fatica diurna che nasce dalla labes, dalla colpa, dalla caduta. Da qui il dovere e la
necessità per l’uomo di recuperare questa sua signoria che Dio gratuitamente gli aveva concessa
attraverso lo sforzo e il pericolo.
Ma Francesco non è un “Orfeo cristiano”. Francesco è alter Christus. E il Cristo è l’Adam
Kadmon, l’Uomo Perfetto quale avrebbe dovuto essere se non fosse caduto in peccato: per questo la natura gli è, al tempo stesso, del tutto sottomessa e del tutto amica.
D’altronde, Francesco sente intensamente e profondamente la distanza incommensurabile che separa qualunque creatura dal Creatore: anche quella creatura privilegiata che è l’uomo.
Da qui il senso profondo di fratellanza con tutte le cose e al tempo stesso il rapporto fatto di
amore e di timore che tutto quel che è “creato”, l’uomo anzitutto, deve instaurare con Lui. È lo
spirito del Cantico delle Creature, che con estrema finezza quel grande filologo che fu Antonino
Pagliaro definiva “feudale”.
L’uomo non può rinunziare alla sua primogenitura fondendosi e confondendosi panteisticamente con tutte le creature; sa bene che Dio lo ama d’un amore tutto speciale, al punto
di aver scelto di farsi uomo e di soffrire e morire per riscattare il suo peccato. Al tempo stesso,
sa bene che la distanza incommensurabile che separa l’uomo fatto a immagine e somiglianza
di Dio dalla più umile creatura dell’universo non è nulla rispetto a quella che separa lo stesso
Adamo prima del Peccato da Dio. Che è “Altissimo”, “Onnipotente” e “Buono” al tempo stesso. I tre aggettivi-chiave della teologia di Francesco. Quelli che qualificano incommensurabilità
e fratellanza al tempo stesso. È evidente che l’Asse che regge questa struttura è il Cristo, Che
tutto rende intelligibile e senza il Quale nulla lo è.
272
Edoardo Scognamiglio
Papa Francesco, il Poverello
e la vocazione del custodire
«Altissimu, onnipotente, bon Signore, / tue so’ le laude, la gloria e l’honore et
onne benedictione. / Ad te solo, Altissimo, se konfàno / et nullu homo ène dignu
te mentovare. / Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, / spetialmente
messor lo frate sole, / lo qual è iorno, et allumini noi per lui. / Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, / de te, Altissimo, porta significatione. / Laudato si’,
mi’ Signore, per sora luna e le stelle, / in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
/ Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento / et per aere et nubilo et sereno et onne
tempo, / per lo quale a le tue creature dai sustentamento. / Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, / la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. / Laudato
si’, mi’ Signore, per frate focu, / per lo quale ennallumini la nocte, / et ello è bello
et iocundo et robustoso et forte. / Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre
terra, / la quale ne sustenta et governa, / et produce diversi fructi con coloriti flori
et herba. / Laudato si’, mi’ Signore, / per quelli ke perdonano per lo tuo amore, /
et sostengo infirmitate et tribulatione. / Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, / ka da
te, Altissimo, sirano incoronati. / Laudato si’ mi’ Signore / per sora nostra morte
corporale, / da la quale nullu homo vivente pò skappare: / guai a quelli ke morrano
ne le peccata mortali; / beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, / ka la
morte secunda no ‘l farrà male. / Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate /
et serviateli cum grande humilitate».
Al buon Signore, Altissimo e Onnipotente, frate Francesco innalza la lode – forse due
anni prima della sua morte – attraverso la bellezza e lo splendore del creato. Nel suo rapimento mistico, si lascia coinvolgere dalla luce irradiante del sole e dalla luminosità e lucentezza
degli astri celesti, in special modo della luna e delle stelle. Così il vento, l’aria, l’acqua e il
fuoco che illumina la notte… Così la Terra, madre perché feconda e ricca di fiori, frutti ed
erba. Come creatura tra le creatura, come elemento forgiato dal Creatore, Francesco ritrova
273
nella bellezza penultima i segni della Bellezza ultima, di quell’Altissimo che dona senso
al suo agire, pensare ed essere. La creazione è, per Francesco, come un’immensa icona che
esercita un certo fascino contemplativo su di noi e che, per essere ammirata, ha bisogno di
due chiavi di lettura fondamentali: l’incarnazione del Verbo e la parusìa, ossia l’inizio della
Redenzione nella storia di Gesù e il compimento del mondo nella manifestazione della luce
divina, lo Spirito Santo.
Come quando si contempla l’icona il punto di fuga – la prospettiva – diventiamo noi stessi, così nell’ammirare le meraviglie del creato, tutte le creature proiettandosi su di noi rivelano il
volto dell’Invisibile, di quel Tutto rivelativo che ci è da sempre donato nello sguardo di Cristo e
che lo stesso mondo riflette continuamente per i segni e lo splendore della grazia divina o dello
Spirito Santo che esso contiene.
Questo fascino del creato e questa attenzione alla bellezza degli elementi della terra e del
cielo, dei fondali marini e di ogni abisso creato, emergono anche nel pensiero e nel magistero
di papa Francesco che, fin dal suo primo pronunciamento, dichiarò di aver scelto il nome del
Poverello anche per amore del creato, per dare un contributo al tema dell’ambiente e della
salvaguardia del creato. Più volte, poi, Papa Bergoglio ha fatto riferimento alla vocazione del
custodire. «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san
Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È
il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini,
dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È
l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come
genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il
vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto
e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci
riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!» (papa Francesco, Omelia per l’inizio del suo ministero petrino [19-3-2013]).
È sufficiente rileggere questo stralcio di omelia di papa Francesco per riconoscere in lui i
segni del carisma francescano: la “vocazione del custodire”. Nel gioco drammatico della salvezza – avvenuta con la morte e risurrezione del Verbo fatto carne, figlio di Dio e dell’uomo – c’è
spazio pure per i corpi e il mondo. Il francescanesimo non professa, come d’altronde non lo fa
il cristianesimo, la semplice e riduttiva salvezza delle anime. No. Noi crediamo nella risurrezione della carne. È la fede della Chiesa!
Papa Francesco, nel suo riferimento alla “vocazione del custodire”, ci invita a riscoprire il
tema dell’ecologia e della salvaguardia del creato. Il mondo che noi abitiamo, le città che noi
viviamo, sono destinati alla salvezza, all’incontro con Dio.
La materia che ci circonda – che porta le vistigia Trinitatis di bonaventuriana memoria – è
chiamata a ricevere pure essa lo Spirito Santo, ad essere cioè divinizzata, e a divenire, quindi,
diafanica, ossia portatrice di luce. L’aver poi cura l’uno nell’altro nella famiglia è un segno di
grande reciprocità che richiama il segno della lavanda dei piedi e l’amore che il Serafico Padre
274
san Francesco ebbe per i suoi fratelli che considerò, anche nel tempo della crisi e dell’incomprensione, “dono del Signore”.
Possiamo ritenere per vero, senza sbagliare, che la “vocazione del custodire” tocca i nostri
rapporti con Dio, il mondo e i fratelli. D’altronde, questi sono i tre ambiti della fede e dello
stesso annuncio del Vangelo che riguardano non solo noi francescani, bensì ogni battezzato!
275
Ermete Realacci
L’invito di Francesco
Per un’economia a misura d’uomo, senza lasciare indietro nessuno,
e per salvaguardare uno dei nostri beni più preziosi: l’ambiente
Nella sua prima omelia papa Francesco ha fatto un lucido e lungimirante invito per tutti a
lavorare per una società più equa e solidale, per un’economia a misura d’uomo, senza lasciare
indietro nessuno, e per salvaguardare uno dei nostri beni più preziosi: l’ambiente. Parole che
ho molto apprezzato, che condivido e che cerco di tradurre fattivamente nel mio agire politico.
Papa Francesco ha indicato un percorso per la politica, affinché lavori con serietà e sobrietà al
servizio del Paese. Nella crisi poi dobbiamo evitare che qualcuno rimanga indietro e cambiare,
per costruire un’economia a misura d’uomo. In tutti campi dall’agricoltura all’high-tech.
Anche l’Italia deve affrontare le sfide del futuro: un mondo che cambia, grandi paesi
che emergono, le questioni legate all’ambiente e ai mutamenti climatici. Ma può farlo solo se
punta sulla parte migliore della propria identità. Deve partire da un forte investimento sulla
conoscenza, sulla ricerca, sulla cultura ma incrociarlo con la coesione sociale, con i territori,
con la qualità. È questa la scelta della green economy, che può essere una straordinaria occasione per attivare da subito un’economia più giusta e competitiva. La difesa dell’ambiente
significa infatti, oggi più che mai, non solo contrastare la febbre del pianeta, le varie forme
di inquinamento che aggrediscono la nostra salute e l’ambiente, l’illegalità e le ecomafie che
avvelenano interi territori e l’economia, o combattere scelte che rendono più fragile il nostro
territorio, aggravando il prezzo che paghiamo in vite umane alle catastrofi naturali, ma raccogliere la sfida della green economy. Un’economia diversa che migliora la qualità della vita di
oggi e non compromette il futuro.
E proprio quella della green Italy è un’Italia in cui coesione sociale e diritti, comunità,
territori e sussidiarietà non sono un peso rappresentano anzi un formidabile fattore produttivo. Pensiamo al successo dell’eco-incentivo del 65% in edilizia, esteso per la prima volta agli
interventi di consolidamento antisismico con il decreto Ecobonus poi convertito in legge. Gli
incentivi per le ristrutturazioni e l’Ecobonus edilizio hanno prodotto nel 2013, secondo dati
del Cresme e del Servizio studi della Camera, 19 miliardi di investimenti, qualificando il siste276
ma imprenditoriale del settore, riducendo i consumi energetici, l’inquinamento e le bollette
delle famiglie e garantendo oltre 280 mila posti di lavoro tra diretti e indotto. La misura di gran
lunga più efficace adottata dal governo per rilanciare la nostra economia pensando al futuro,
che va stabilizzata per garantire sicurezza e qualità alle nostre case.
È un’Italia che c’è, che spesso la politica fatica a leggere, ma che ha bisogno di essere messa
in rete, di riconoscersi in un progetto comune. Per essere più forte e tornare a sperare.
277
Chiara Frugoni
L’uomo è parte della Terra
Francesco chiede sempre che si lasci di ogni albero una parte
in modo che a primavera dal tronco spuntino nuovi germogli
Sui giornali fotografie e articoli parlano di lupi barbaramente uccisi e decapitati. I lupi
sono sentiti nuovamente una minaccia per gli allevatori, ma anche per cacciatori e bracconieri
che hanno meno bestie da potere mirare.
Anche al tempo di san Francesco i lupi costituivano un serio rischio e addirittura si facevano processi che finivano regolarmente con la condanna e l’impiccagione dell’animale. Quale
fu la risposta di san Francesco, secondo il bellissimo e famoso Fioretto del lupo di Gubbio?
(E qui non importa stabilire l’autenticità o meno dell’episodio, perché importa lo spirito del
racconto che in tutto rispecchia l’atteggiamento del Santo). Francesco chiede agli abitanti un
compromesso perché sa che il lupo non è malvagio di per sé ma è carnivoro e dunque perché
non nuoccia deve essere sfamato, in che modo lo decideranno gli abitanti. Francesco rispetta
l’indole della bestia e rispetta i problemi degli abitanti. Si comporta allo stesso modo quando
si devono tagliare gli alberi nel bosco. Anche i frati hanno diritto a costruirsi le capanne a cucinare e a scaldarsi. Ma Francesco chiede sempre che si lasci di ogni albero una parte in modo
che a primavera dal tronco spuntino nuovi germogli.
Francesco da giovane è stato a lungo un mercante di stoffe assai bravo e ha imparato l’arte
di sapere ascoltare, di capire cosa volesse il cliente cercando di andare incontro ai suoi desideri.
Non imponeva certo i suoi gusti e le sue preferenze. Questa lunga abitudine a porsi di fronte
all’altro, mutata di segno, è stata applicata dal Santo anche verso il creato, verso gli uomini tutti
ma anche verso la fauna e la flora.
Rispettare il paesaggio significa non rovinarlo selvaggiamente per il nostro tornaconto ma
salvaguardare il tesoro di bellezza che esso porta con sé riducendo al minimo ogni alterazione
perché l’uomo è parte della Terra e non ha alcun diritto di distruggerla.
278
V. M. Canuto
Il futuro sostenibile che vogliamo
Non abbiamo paura di essere buoni
Manifesto JMJ - Rio de Janeiro 2013
La comunità scientifica ha compreso che, per la prima volta nella storia, le attività umane
stanno trasformando la terra: capire il profondo significato di un simile fenomeno è sentito
dalla quasi maggioranza come la sfida più urgente, viste le sue implicazioni scientifiche, sociali
e politiche. E vorrei sottolineare che nel problema è implicito un aspetto etico fondamentale.
Sebbene gli uomini, già otto mila anni fa, fin dalla nascita dell’agricoltura, abbiano modificato l’ambiente, non è mai avvenuto un cambiamento nella composizione chimica dell’atmosfera terrestre, questo almeno fino all’avvento della rivoluzione industriale (200 anni fa) che ha
posto fine al tempo della agricoltura come predominate.
Da allora, l’umanità sta eseguendo una di esperimento globale: la combustione di carburante fossile (una grande riserva di energia solare proveniente dal passato) per produrre abbondante energia, la cui disponibilità è una della cause dell’incremento della popolazione umana.
Il risultato dell’esperimento globale è stato di immettere nell’atmosfera della terra gas come il
diossido di carbonio che tende a surriscaldare il pianeta.
Per avere un’idea concreta della dimensione del fenomeno, è sufficiente dire che oggi la
quantità di questi gas è maggiore di quella degli ultimi tre milioni di anni. Fra le conseguenze
di questo atropogenico incremento riscaldamento globale, studiato dalla comunità scientifica i
cui risultati sono reperibili in una serie di documenti ONU, ricordiamo l’innalzamento dei livelli del mare, l’acidificazione dell’oceano, lo scioglimento dei ghiacci e la siccità. Ci sono stati,
ad esempio 56 miliardi di anni fa, episodi di un naturale riscaldamento della terra (mai artificiale); ci sono voluti tuttavia 20 mila anni per raggiungere un livello di surriscaldamento delle
dimensioni che temiamo potremmo raggiungere nei prossimi 100 anni, con un processo venti
volte più veloce. Poiché circa 600 milioni di persone vivono in zone costiere meno di un metro
al di sopra del livello del mare, un innalzamento può colpire decine di milioni di persone. Le
nazioni più povere sono le più vulnerabili a causa della mancanza di strumenti tecnici e mezzi
finanziari per far fronte ad eventi di dimensioni senza precedenti nella storia dell’umanità.
279
Questo ulteriore effetto serra artificiale è irreversibile nel tempo, accade su scala planetaria,
transnazionale e transgenerazionale. Ciò significa che le azioni delle precedenti generazioni
hanno già compromesso il futuro delle nuove generazioni, in violazione del principio della
“equità intergenerazionale”: abbiamo ricevuto il nostro pianeta perché ne fossimo custodi responsabili. L’ambiente che abbiamo ricevuto dovrebbe essere trasmesso alla future generazioni, se
non migliorato, almeno non deteriorato e ora abbiamo tutte le evidenze che ciò non accadrà.
Disperdere nell’atmosfera i fumi delle miniere di carbone e dei pozzi petroliferi non è il modo
migliore per soddisfare la nostra giusta sete di energia. Un uso incontrollato delle risorse naturali può spingere la civiltà ad avvelenarsi con carburanti fossili.
Ma poiché una tendenza non è un destino, sta a noi smettere di bruciare carburanti fossili,
sta a noi sviluppare conoscenze per agire come custodi responsabili; rischiamo di diventare
giganti tecnologici ma nani dal punto di vista morale, perché in effetti stiamo affrontando
un problema con un profondo contenuto etico, opportunamente descritto come un “perfetta
tempesta morale”. Non agendo potremmo creare una sindrome disincentivante; le future generazioni poterebbero non sentirsi obbligate a comportarsi con moderazione se le precedenti
non lo hanno fatto, rischiando una allarmante serie di ripercussioni destinate ad aggravare
seriamente il problema. Se falliamo nel limitare il problema, non solo lasciamo il problema
alla future generazioni, ma incrementiamo considerevolmente il futuro costo per fronteggiare
il cambiamento climatico, un peso ingiusto addossato alle future generazioni. Crediamo che
dovremmo appellarci al nostro senso della moralità, a qualcosa di universalmente condiviso, al
di sopra ma coerente con tutti i credo religiosi e di cui ogni essere umano, ad ogni latitudine,
ha una scorta inesauribile. Così facendo, poteremmo forse risvegliare il senso sopito di un necessario comportamento etico.
Come papa Bendetto XVI ci ha ricordato, sono i giovani che hanno compreso che “nella
nostra relazioni con la natura c’è qualcosa che non va; che la natura non è solo una questione
che riguarda la nostra disposizione verso di essa, ma che essa ha una sua dignità e che dobbiamo
seguire i suoi consigli”.
Alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, verrà lanciato l’appello
alle nazioni del mondo, ai loro governanti e all’opinione pubblica, nella speranza che la nostra
implorazione sia finalmente ascoltata e che siano intraprese azioni concrete per evitare di raggiungere un punto di non ritorno, oltre il quale la terra potrebbe diventare fondamentalmente
inospitale per gli uomini. In effetti, la Crezione ci ricorda il suo Creatore che ha investito l’uomo della responsabilità di Custode e papa Francesco ha invitato tutti gli uomini e le donne ad
alimentare “la vocazione ad essere custodi”.
San Francesco di Assisi ci ha invitato a rispettare tutte le creature di Dio e l’ambiente nel
quale esse vivono; già molti indicatori associati ai cambiamenti della biodiversità negli anni
1970-2010 non nostrano una riduzione nel tasso della stessa, come si nota ad esempio nelle
barriere coralline, nell’estensione delle foreste, nella popolazione dei vertebrati.
Se Dio ha donato all’uomo la libera volontà, bisogna comprendere che, nella sua accezione più ampia, la libertà implica una responsabilità che si concretizza nel dovere di rispettare
ogni creatura del pianeta. Solo facendo questo, la “libertà” è compiuta. Accanto a sorella libertà
280
è necessaria sorella responsabilità.
All’incirca nel 1870 l’Abate A. Stoppani ha coniato il termine “Antropozoico” per caratterizzare l’era attuale, termine che ora è diventato Antropocene, una vivida espressione che intende
definire la fine di un’era geologica (l’Olocene, gli ultimi diecimila anni) e l’inizio di una nuova
era nella quale l’umanità è divenuta una parte attiva capace di controllare alcune delle forze che
un tempo governavano il funzionamento del sistema terra. Gli esseri umani sono diventati una
forza geologica globale con dei diritti propri e l’Homo Sapiens è diventato un Homo Sapiens Faber
che ci costringe ad una domanda cruciale: gli umani si comportano come parte della natura,
come san Francesco pensava, o ci siamo separati dalla natura?
Noi i giovani abbiamo un appello e una promessa da fare. L’appello è di non vedere i possibili rimedi come una specie di oneroso costo, ma come un saggio, lungimirante investimento
per un pianeta migliore per le generazioni che verranno. La promessa è di cambiare il nostro stile
di vita e di diffondere il contenuto di questo messaggio al numero massimo di persone.
A tutti i decision makers nel mondo dell’economia, ai politici, a tutti gli uomini e donne
di buona volontà chiediamo di essere custodi responsabili della creazione, del disegno di Dio,
dell’ambiente che ci circonda e di non permettere distruzioni e devastazioni di bellezze e risorse naturali incontaminate. La terra vorremmo che per tutti fosse madre come ci ricorda san
Francesco nel celebre Cantico della Creature: “Sorella Madre Terra”.
Ma queste azioni devono essere collocate su un solido e non cedevole fondamento: dobbiamo prima prenderci cura l’uno dell’altro, perché in caso contrario l’odio e l’invidia corromperanno e oscureranno le nostre vite. Dobbiamo essere custodi dei nostri sentimenti e dei
nostri cuori da cui tutte le nostre azioni, buone e cattive, in definitiva, nascono. Come papa
Francesco ha recentemente sottolineato: “Non abbiate paura di essere buoni”.
In conclusione, vogliamo sottolineare che l’umanità non è semplicemente la somma delle
sua genti, ma la somma delle sue necessità. Soluzioni a breve scadenza non sono reali soluzioni,
perché escludono le future generazioni che costituiscono il nocciolo della tempesta morale che
stiamo affrontando.
281
Marco Iuffrida
San Francesco, gli agnelli, le mosche
Il simbolismo della natura per il Santo di Assisi
Un episodio narrato da Tommaso da Celano racconta che un giorno Francesco e un suo
compagno si imbatterono in un uomo che portava due agnellini sulle spalle, per venderli al
mercato. Francesco, preso da pietà, sapendo che gli animali sarebbero stati venduti e mangiati,
diede all’uomo il suo mantello barattandolo con i due agnellini (Vita Prima). Il centro di questa
storia sta nel simbolismo che è alla base del rapporto di Francesco con il mondo degli animali.
L’intenzione dell’uomo di vendere degli agnelli innocenti al mercato è la vera colpa ad essere
criticata. La redenzione avviene attraverso un baratto che presuppone la carità piuttosto che
l’attaccamento al denaro ed il gesto degli agnelli salvati dalla vendita è una delle manifestazioni
del rifiuto francescano delle normali pratiche di una società improntata sul commercio.
Francesco ha amato tutti gli animali. Forse sarebbe più corretto dire che li ha amati quasi
tutti. L’unica creatura non amata dal Santo sembra essere stata la mosca. In molti episodi francescani il denaro è vincolato simbolicamente a questo insetto, tanto che un fratello che non riusciva a staccarsi completamente dai suoi beni venne appellato da Francesco come «frate mosca»
ed espulso dall’Ordine (Vita Seconda). Ancora, in un altro caso, le mosche vengono associate al
denaro. Alcuni cavalieri che accompagnavano Francesco, ormai malato e prossimo a morire,
non erano riusciti a trovare alcun cibo da comprare nella «poverissima borgata di Satriano». I
cavalieri furono allora rimproverati dal Santo: «Per questo motivo voi non trovate, […] perché
confidate più nelle vostre mosche che in Dio» (Vita Seconda).
Rispetto alle prime vite dei santi, dove la natura e gli animali sono ostili all’uomo, Francesco ama realmente nella sua totalità ogni essere vivente e se alcune creature sono presentate
negativamente avviene esclusivamente attraverso l’associazione simbolica al denaro.
Concentrarsi solo sul semplice dato letterario del salvataggio degli agnelli vorrebbe dire
limitarsi a considerare Francesco come una sorta di vegetariano radicale, un sentimentale, incapace di sopportare l’uccisione di un animale.
I miracoli francescani sono invece contrassegnati da una consapevolezza rivoluzionaria
non solo della natura in quanto Creato ma di tutta la società: anche se la natura può indurre
282
sofferenza, essa in pochi casi è realmente scabrosa, sporca, infida. La natura ha per Francesco
solo la delicata “ricchezza” di un amore materno.
La raccolta differenziata
secondo San Francesco: getta e usa
L’urgenza di tutelare, di proteggere l’ambiente,
stabilendo un rapporto simpatetico con tutto ciò che è vita
Tra il tardo XII secolo e l’inizio del XIII, gran parte dell’Italia aveva un’economia basata
sull’usa e getta. Nonostante l’agricoltura, in questo periodo del Medioevo, rimanesse l’attività
più diffusa e l’occupazione principale della maggioranza della popolazione, il consumismo
commerciale delle città raggiunse di gran lunga un valore assoluto. Francesco d’Assisi, figlio di
una società di cui non si sente più parte, riconosce il richiamo di una nuova etica: getta e usa.
Gettare l’inutile e, usando una nuova luce, renderlo utile. Sì, Francesco stravolge il significato
e il senso della presenza dell’uomo nella vita quotidiana, cittadina, sia in relazione al prossimo
che nei confronti di tutto il Creato, dell’ecologia.
Per contrastare l’inquinamento, fatto anche di sfiducia, di relativismo tra gli individui
e per le istituzioni, Francesco non aveva un piano di azione, ma semplicemente ricorda (da
recordari, riportare al cuore) la preziosità delle qualità umane come forza per cambiare il corso
dell’esistenza propria e altrui. Si fa piccolo, o meglio piccolino, Francesco, di fronte alla meraviglia della natura e allo stesso tempo si pone come corresponsabile della sua stessa grandezza
nella Storia. Percepisce l’urgenza di tutelare, di proteggere l’ambiente, stabilendo un rapporto
simpatetico con tutto ciò che è vita.
Oltre a restituire dignità a quello che dalla società veniva ritenuto “rifiuto”, umano o non
umano che fosse, stabilisce un dialogo, un linguaggio ecologico, lontano da qualsivoglia militanza e fatto di sola salvezza. Una salvezza non immaginaria, utopica, ma pratica e tangibile
come il potere salvifico di una carezza accorta. La gentilezza, la cura, la meraviglia e la gratitudine per la natura diventano un esercizio alla consapevolezza della presenza dell’uomo inserito
nella vita cittadina, e non una egoistica fuga dalla “spazzatura” urbana. La responsabilità sociale
verso l’ambiente, che il suo esempio promuove, coincide con una provocazione esistenziale,
urgente, realistica, nella quale all’armonia del cittadino con lo spazio in cui vive corrisponde
l’impatto, la presenza, di Dio nella vita comunitaria.
Con la natura Francesco ha necessità fisica di contatto, la tocca, la contempla, l’accarezza,
ne ama l’odore, l’abbraccia in preghiera. E così sora nostra matre Terra diventa il suo ultimo giaciglio, per poter finalmente con lei confondersi.
283
Giuliana Martirani
Si deve ripristinare una visione del futuro
Dobbiamo porre come con-creatori,
cioè coloro che possono procrastinare la creazione
Vorrei gettare uno sguardo umanistico sul tema ambiente, sono un’erede della Magna
Grecia perché la mia cultura è una cultura meridiana del sud Italia e sono anche una persona
che ha fatto un percorso cristiano e qui voglio dare un duplice sguardo. Il tempo è un dittatore
e per sua natura vuole essere il padrone assoluto ed esprime la sua dittatura proprio come noi
l’abbiamo espressa sulla terra, dominando, mettendo paletti, delimitando le proprietà, come
fanno tutti i dittatori.
Kronos stupra la madre Gea e da questo stupro nascono dei figli. Ma in realtà lui rifiuta
una discendenza in quanto vuole governare lui solo, in modo assoluto. Questi figli vengono
quindi puntualmente divorati negando il futuro, che è quello che noi facciamo oggi, cioè neghiamo il futuro ai nostri figli. Sarà Gaia ad interviene facendosi aiutare da un’altra donna, in
un rapporto di cooperazione e non competizione. Questa piccola dea, che si scriveva addirittura con l’iniziale minuscola era Metis, la dea serpente dell’eterno rinnovarsi, del ciclo della vita
e del tempo intelligente.
Metis come Kronos è legata allo spazio, ma lo spazio di quest’ultimo è fortemente lineare.
Metis e Gea invece ragionano in termini di spazio circolare, adatto alla natura. Le due con
un’astuzia danno in pasto a Kronos una pietra facendogli credere fosse l’ennesimo ultimo nato.
Kronos, preso da malore finirà per vomitare l’ultimo figlio ingurgitato, che prederà il nome di
Zeus. Si ripristinerà così il tempo infinito e quindi una visione del futuro.
Il modello di sviluppo nel quale abbiamo vissuto negli ultimi 40 anni è il modello della
“crescita e dello sgocciolamento”, cioè, il benessere dei quadri dirigenti e dell’industrializzazione sono gli elementi portanti dello sviluppo di un paese. Tale benessere arriva alle masse per
sgocciolamento. Si tratta di un modello di sviluppo che appartiene al passato, che ha avuto già
un’infinità di critiche a partire da quelle legate alla sostenibilità.
Questo modello economico ha esaurito la sua efficacia, perché ha creato dei grossi valori
negativi che sono inquinamento, impoverimento, esaurimento della biodiversità. È un model284
lo che non è all’altezza della situazione.
Ora non siamo più in una fase adolescenziale e le priorità sono di ripensare alla creazione.
Noi ci dobbiamo porre come con-creatori, cioè coloro che possono procrastinare la creazione.
Ripensare al creato in questi termini significa pensare ad una nuova organizzazione culturale.
Quando nella Genesi si dice “Dio vide che aveva fatto la luce, e vide era cosa buona”, quelle cose
buone gli scienziati le hanno chiamate il giusto equilibrio che noi dobbiamo preservare.
285
decalogo della saggia ecologia
sorella natura 1993
287
carta deontologica dello sviluppo sostenibile
sorella natura 1996
288
la tutela dell’ambiente
sorella natura 1998
289
Pontificia Accademia delle Scienze - 29 novembre 2012
Carlo Rubbia
La scienza al servizio dell’Uomo
Uno dei risultati più importanti della conoscenza scientifica è l’evidenza dell’esistenza
di un inizio dello spazio e del tempo. Né spazio né tempo avevano un significato precedente
a questo momento, avvenuto “circa 13.4 miliardi di anni fa. Nulla esisteva prima di esso. La
creazione dell’Universo tutto intero e nella sua integrità avvenne in un brevissimo istante, in
un tempo incredibilmente breve. A partire da una struttura inizialmente informe, materia ed
energia crearono successivamente complesse ed immense strutture, galassie, stelle, pianeti e
molti altri oggetti straordinari, in una progressiva evoluzione, al fine di arrivare alla vita ed a
tutta la straordinaria ricchezza dell’universo di oggi.
La scienza moderna non può quindi non riconoscere la straordinariamente precisa ed
obbiettiva osservazione sperimentale di una creazione iniziale dell’universo. L’uomo di scienza
non può non associare queste osservazioni alla lettura dei primi versi della Genesi, delle Origini
del Mondo e dell’Umanità, in cui si dice, ancorché con spirito poetico, ma incredibilmente
preciso, “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu”.
Al momento del big-bang la luce emessa sotto forma di onde elettromagnetiche, liberata
dalla materia appena da essa separata, riempì lo spazio cosmico, viaggiando inalterata fino ai
nostri giorni. Essa è oggi ancora direttamente osservabile sotto forma di onde radio, la loro
frequenza enormemente dilatata dalla successiva espansione dell’universo.
Straordinariamente uniforme in tutte le direzioni, essa permette di ricostruire all’indietro
l’immagine tracciata in partenza e «vedere» l’immagine iniziale dell’universo al momento della
creazione. Scopriamo allora che era una piccolissima e intensissima sfera straordinariamente
uniforme, ma con vibrazioni coerenti dovute al moto dell’ordine di alcune parti per diecimila.
Lo studio di queste vibrazioni ha un’importanza straordinaria per determinare il valore della
massa totale dell’universo. Il valore sperimentale così osservato della massa dell’universo — o
meglio un suo parametro adimensionale chiamato Ωo, — è un parametro essenziale per determinare la forza gravitazionale attrattiva che lo lega.
Qualora Ωo <1, l’attrazione gravitazionale sarebbe insufficiente e l’universo procederebbe
290
verso una graduale espansione a volumi progressivamente sempre maggiori, perdendosi gradualmente nel cosmo. Se invece Ωo >1, e cioè un universo di grande massa, il legame dovuto
alla gravitazione sarebbe sufficientemente forte per rovesciare un giorno l’espansione, raggiunto un valore massimo, sotto l’azione della molla dell’attrazione gravitazionale: l’espansione diverrebbe compressione, e marciando all’indietro, il cosmo, si restringerebbe fino a raggiungere
all’indietro, di ritorno, il “big-bang”, creando quello che si identifica come il “big-crunch”. In
realtà abbiamo appreso che il futuro non ci riserva né l’uno né l’altro. Con alta precisione, oggi
vediamo che il cosmo è straordinariamente unico, caratterizzato dal valore Ωo = 1. La natura
dell’universo non è dunque casuale, essa è il risultato di un evento unico e straordinario, possibile solamente per questo valore.
Riguardando indietro nel tempo, le osservazioni astronomiche della luce prodotta possono raggiungere tempi fino a dell’ordine di 300.000 anni dopo il big bang. A tempi più brevi
materia e radiazione (luce) non sono ancora sufficientemente distinte. Tuttavia grazie all’estrema uniformità dell’universo di allora è possibile simulare oggi nel laboratorio densità di energia
ben più grandi e studiare anche i tempi cosmici anteriori a tale data. Grazie a potentissimi anelli
di collisione tra fasci di altissima energia, il più grande di essi arrivando a ben 27 chilometri di
circonferenza (il CERN di Ginevra) è possibile ripetere nel laboratorio le fasi iniziali dell’evoluzione della materia cosmica, con la creazione nel laboratorio di tutta un serie di straordinari
fenomeni che ci permettono di esplorare le condizioni dell’Universo fino a qualche miliardesimo di secondo dopo il big-bang. Anche a questi incredibili istanti, la creazione iniziale era già
un fatto compiuto. L’uomo di scienza non può non sentirsi umile, commosso ed affascinato
di fronte a questo immenso atto creativo, così perfetto e così immenso e generato nella sua
integralità a tempi così brevi clan’ inizio dello spazio e del tempo.
Vanno ricordate le fasi successive di questa immensa trasformazione a partire dalla creazione fino al giorno d’oggi. L’universo si è evoluto in maniera unitaria e coerente, come se fosse
un unico tutto. Ricordiamo a questo proposito le parole della Genesi, dove si dice: “Dio pose
le costellazioni nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e
per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona”.
Un altro successivo immenso evento fu la creazione della vita, l’immensa piramide dagli
organismi uni-cellulari fino all’uomo, basata sulla presenza del DNA, che permette le due
funzioni fondamentali della materia cosiddetta “vivente” e cioè (1) la capacità a riprodursi e (2)
l’evoluzione della specie, attraverso mutazioni. La base di questa separazione non è del tutto
evidente. Ad esempio un cristallo si può moltiplicare in tanti altri cristalli, ma non evolve; i
prioni, la causa del morbo della mucca folle, sono proteine ma non posseggono il DNA.
Esistono circa da uno a dieci miliardi di galassie visibile ai nostri telescopi, ciascuna con da
10^10 a 10^12 stelle. Una stima approssimativa del numero totale di stelle si avvicina all’incredibile numero 700,000,000,000,000,000,000,000, e cioè sette seguito da ventitre zeri, circa pari
al numero di atomi in una grammo-molecola.
La scoperta di una eventuale vita extra-terrestre, con tutte le somiglianze e le diversità
rispetto alla nostra, avrebbe delle conseguenze enormi per il pensiero umano, dalla scienza,
all’etica e alla religione e sarebbe la più incredibile rivoluzione per il genere umano.
291
Una delle più importanti conquiste della scienza moderna è quella che le leggi della fisica
e conseguentemente il comportamento della materia sono invarianti nello spazio e nel tempo.
Esse sono dimostrabilmente le stesse a miliardi di anni luce da noi e miliardi di anni fa.
Ciò è facilmente comprensibile se si pensa che oggi sappiamo che le leggi fondamentali
della fisica sono state per così dire inscritte nelle proprietà “geometriche” dello spazio, ancorché
vuoto e quindi prescindono dalla materia fisica in esso eventualmente contenuta. La materia
che costituisce l’Universo quindi esprime per così dire il suo “libero arbitrio”, all’interno di
strette regole definite apriori, che pre-esistono alla sua creazione e successiva evoluzione.
In particolare le forze che reggono il comportamento e l’evoluzione della materia sono
universali nel tempo e nello spazio. Lo sono egualmente le proprietà della materia. Ad esempio
un protone prodotto dal big-bang, circa 15 miliardi di anni orsono, è esattamente indistinguibile da un protone “fresco” prodotto artificialmente come avviene oggi, ad esempio, al CERN
con un acceleratore di particelle. Le righe di emissione luminosa di una stella infinitamente
lontana, una volta corrette per gli effetti dovuti alle velocità relative, appaiono assolutamente
identiche a quelle prodotte dal Sole o in laboratorio, ecc.
L’invarianza di principio delle leggi fisiche fondamentali che reggono le forze, implica
quindi l’invarianza nello spazio e nel tempo della chimica e della biologia. Qualora si realizzassero altrove condizioni strettamente analoghe a quelle che furono su terra all’inizio della vita,
sussisterebbe quindi una probabilità per uno sviluppo analogo altrove che su terra?
Evidentemente oggi possiamo parlare solo di probabilità di un tale straordinario evento.
Quale è questa probabilità, da confrontarsi con il numero estremamente grande di pianeti candidati presumibilmente presenti intorno a quasi tutte le stelle presenti nel cosmo?
Va tuttavia sfatata un’ impressione, e cioè il fatto che essendo senza dubbio la Terra solamente un pianeta su tanti possibili in cui condizioni idonee per la vita si sono realizzate, la
probabilità di un tale evento sia necessariamente elevata: in realtà questo ragionamento non è
valido. Anche se questo fosse un fenomeno unico nell’universo, per definizione esso è avvenuto sulla nostra terra: noi siamo “la vita” e quindi il fatto che si realizzi su terra non ci dice nulla
sulla probabilità che essa si sia sviluppata anche altrove.
Bisogna tuttavia osservare che il nostro sistema solare ha circa 4,5 miliardi di anni e che la
prima forma di vita si sviluppò su terra circa 2 miliardi di anni fa, quasi immediatamente non
appena le condizioni fisiche divennero accettabili. Per circa 1 miliardo di anni la terra fu coperta da microorganismi che, a partire dal CO2, crearono l’ossigeno, inesistente nella formazione
planetaria iniziale e premessa necessaria per le forme più avanzate di vita, che incominciarono
ad acquisire impulso a partire da circa l miliardo di anni orsono.
Si noti quindi che l’osservazione di un pianeta lontano con un’atmosfera ricca di ossigeno, rivelabile a partire da misure spettrali della luce ri-emessa dall’atmosfera del pianeta
sarebbe un enorme progresso, come premessa alla ricerca di vita extra-terrestre. La presenza di
ossigeno è anche deducibile dalla presenza di Ozono, il ben noto prodotto nella parte superiore dall’atmosfera dalla radiazione ultravioletta. Purtroppo l’osservazione di tali pianeti è oggi
generalmente indiretta e limitata ad un centinaio di casi specifici, dedotta a partire dalle piccole
perturbazioni nel movimento del loro Sole, che, per la sua forte luminosità, rende difficile l’os292
servazione ottica diretta del pianeta vicino. Telescopi con una maggiore risoluzione e in corso
di realizzazione permetteranno di risolvere questo problema.
Al fine di elucidare scientificamente il meccanismo dell’inizio della vita su terra, va
ricordato che, grazie al numero enorme di minutissime particelle di polvere che pervadono
lo spazio, da miliardi di anni è in funzione un laboratorio assolutamente gigantesco per la
creazione di prodotti organici di partenza. Tali minutissimi grani di polvere, di dimensioni
micrometriche, sono sede di continue collisioni con varie molecole, gassose e non, con la
conseguente formazione, casuale e per urti ripetuti, di oggetti chimici più complessi. Sono
così visibili nella nostra galassia importanti quantità di prodotti organici, tra i più noti su terra, come ad esempio il benzene, l’alcool etilico, ecc. Guardando con radio-telescopi segnali
provenienti dallo spazio lontano, si osservano sovrapposti a tale spettro, altrimenti continuo,
rimarchevoli righe di assorbimento dovuto alla presenza di un’enorme numero di composti
chimici organici tra i più complessi.
Si è anche dimostrato che tali granelli di polvere e più generalmente delle micro-meteoriti potrebbero facilmente rientrare senza troppo danno attraverso l’atmosfera della terra,
nonostante il forte attrito e il loro conseguente riscaldamento. Resi coscienti dell’immensità
dell’officina chimica in funzione nello spazio, non è sorprendente che il mondo scientifico,
nella sua stragrande maggioranza, sia dell’opinione che lo spazio cosmico è stato cruciale nella
formazione iniziale della vita. In altre parole, questa sembra un’ipotesi dotata di buon senso, e
francamente, difficile da scartare.
Le domande che si pongono a questo punto sono almeno due: Come, e quanto probabile
sia l’inizio della vita su un dato pianeta con le condizioni ambientali adeguate.
Sul come: Ho già menzionato che le leggi della chimica e della biologia sono pre-esistenti
al processo evolutivo della materia e sono universalmente ed eguali nello spazio e nel tempo.
Quindi apriori, sotto l’azione del caso, è perfettamente concepibile che si costruisca pian piano,
come del resto comprovato per gli elementi più semplici, da qualche parte nelle immensità
dell’Universo anche la struttura chimica della prima cellula vivente.
Va ricordato che nelle sue forme più elementari, tuttavia capaci di riprodursi, la vita abbisogna di un numero relativamente limitato, da alcune decine ad alcune centinaia di migliaia
di atomi. Va inoltre ricordato che grazie alla presenza della forte affinità chimica, questo non
è puramente una roulette, in quanto elementi più complessi (proteine) sono costruibili a partire da componenti, da “mattoni” più semplici, già pre-costituiti. Stime qualitative in cui si
tiene conto da una parte della frequenza di collisioni nelle polveri galattiche e dall’altra della
complessità dell’oggetto da realizzare, ci danno una probabilità accettabile per un tale evento
in tempi cosmici. In altre parole, essa sembra un’ipotesi dotata di buon senso, e francamente,
difficile da scartare.
Sul quanto sovente: Il numero di cellule viventi oggi su terra, dotate individualmente di
DNA è straordinariamente elevato, un 5 seguito da ben 30 zeri. Il DNA è caratterizzato, essendo una spirale, da due alternative, analoghe a quella di una vite, e cioè rotante in senso destrogiro o levo-giro, corrispondente a opposte “chiralità”. Le leggi della chimica e della biologia
sono invarianti rispetto alla trasformazione speculare destra-sinistra, che cambia la chiralità. Ad
293
esempio la molecola di zucchero esiste nelle due forme destro-giro e levo-giro, perfettamente
speculari tra di loro e altrettanto “dolci”! Tuttavia, il DNA nella riproduzione conserva la chiralità: quindi ad esempio una cellula con il DNA destro-giro si riprodurrà solamente in cellule
con DNA destro-giri.
Tutto il DNA oggi conosciuto su terra, è esclusivamente destro-giro. Ma secondo quanto sopra, anche un ipotetico DNA levo-giro sarebbe perfettamente funzionante, e quindi, se
generato, capace di riprodursi. Evidentemente se tutta la vita su terra fosse iniziata a partire da
un singolo DNA, la scelta destro-giro o levo-giro farebbe parte del caso e quindi non ci sarebbe
problema. Se si tira una sola volta una moneta o è testa o è croce!
Se invece la vita fosse iniziata da diversi ceppi indipendenti, nel caso che fosse avvenuta
molte volte e indipendentemente, ci si aspetterebbe di trovare oggi cellule dotate di ambedue le
chiralità, e cioè sia levo-gire che destro-gire, il che evidentemente non è il caso. Se si tira molte
volta la moneta, qualche volta si ha croce, altre testa!
Questo rimarchevole identità di tutti i DNA deporrebbe in favore di un unico “padre”
dell’insieme della vita su terra e della conseguente relativa rarità dell’evento, in quanto, durante
due miliardi di anni durante quali un inizio della vita è stato possibile su terra, c’è stata apparentemente che una sola “partenza”, a meno che ulteriori “ceppi” non siano stati totalmente
eliminati dall’evoluzione biologica più avanzata del primo ceppo — peraltro difficile a credere.
In ogni caso, l’evoluzione della specie — a partire dal primo organismo unicellulare alle complessità della vita che ne è seguita — è certamente l’elemento più determinante nelle forme
specifiche di vita oggi su terra. Tale straordinaria evoluzione è stata a sua volta fortemente
influenzata dalle condizioni specifiche al nostro pianeta. Ad esempio le transizioni tra grandi
periodi geologici, caratterizzati da forme profondamente diverse di vita, come ad esempio il
Giurassico, il Cambriano ecc. sembrano essere state determinate da eventi catastrofici e dalle
immense estinzioni delle specie prodotte. La fine dei dinosauri e il passaggio ai mammiferi fu
un passo evolutivo importante, per cui fu determinante il cambiamento climatico, probabilmente conseguente all’impatto di una meteorite sulla penisola dello Yucatan e del conseguente
temporaneo periodo di oscurità e di freddo durato alcuni anni con conseguente estinzione
delle specie meno preparate a subire questo straordinario shock climatico, che apparentemente
eliminò tutte le specie di dimensioni più grandi di alcuni centimetri e specialmente quelle al
momento più evolute e quindi più fragili.
È quindi evidente che su di un altro ipotetico pianeta, pur assumendo una simile
“partenza” probabilistica, è completamente improbabile che la forma di vita risultante sia, per
così dire, la copia-carbone di quella su terra.
Tutto ciò depone a favore a due fatti importanti: (1) che l’evoluzione della vita segue una
linea precisa a partire molto probabilmente da un unico e singolo fatto iniziale, il primo DNA
da cui ha conseguita tutta l’evoluzione delle specie animali e vegetali. (2) Che la specificità
dell’evoluzione, motivata da tutta una serie di eventi esterni fa si che essa abbia una grandissima
specificità che rende probabilmente unica la vita su terra, come noi la intendiamo.
Oggi sappiamo che l’uomo rappresenta uno degli ultimi anelli della vita. Ciononostante
la struttura dettagliata del DNA umano è solo leggermente diversa da quella degli altri esseri
294
viventi. È questa una differenza morfologicamente piccola in sé, ma enormemente diversa
per quanto riguarda le sue conseguenze. L’uomo è quindi strutturalmente fondamentalmente
diverso dalle altre specie animali conosciute. Ha caratteristiche che lo contraddistinguono profondamente e in maniera unica.
Vorrei sognare e spero che la scienza nei prossimi decenni porterà risposte concrete a
questa fondamentale esigenza di sapere se la vita esiste in altre forme anche in qualche angolo del nostro immenso universo. Personalmente io spero che la risposta sarà positiva, e che
esista qualcosa al di là delle colonne di Ercole del cosmo, ancorché profondamente diversa
dalla nostra.
Ma la scoperta di una eventuale vita extra-terrestre, con tutte le somiglianze e diversità
rispetto alla nostra, arricchiranno ancora di più l’unicità dell’uomo in tutti i suoi aspetti e ci
aiuteranno a meglio percepire e apprezzare gli immensi patrimoni di umanità e di saggezza che
abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo fare il più prezioso utilizzo, così ben ricordato in quella
meravigliosa immagine dell’uomo con il dito puntato verso il Creatore nel fantastico affresco
di Michelangelo nella Cappella Sistina.
295
SIMPOSIO INTERNAZIONALE
ECONOMIA SOLIDALE E SVILUPPO SOSTENIBILE PER L’AFRICA
Città del Vaticano - 29 novembre 2013
Cardinal Laurent Monsengwo Pasinya
SVILUPPO INTEGRALE, SOLIDALE E DUREVOLE
Lectio Magistralis
Introduzione
Spesso esaminando ciò che accade nel mondo capita di interrogarsi sulle cause e sui processi che sono alla base dello sviluppo umano.
Notiamo cambiamenti, notiamo variazioni, modifiche e metamorfosi negli stili di vita.
A volte sono innovazioni, a volte invece sono solo correzioni o evoluzioni di processi che
sembrano assumere significati che non sappiamo comprendere solo perché non abbiamo conoscenza della loro origine. Cerchiamo allora di rispondere insieme a questi interrogativi che
divengono sempre più pressanti:
1.Che cos’è il concetto di sviluppo umano;
2.Che cosa è che distingue lo sviluppo umano dagli altri approcci allo sviluppo.
Ovviamente a questi interrogativi per dare loro una risposta coerente occorre anche fornire un riscontro concreto in termini di misurazione.
Fin dai tempi di Aristotele sappiamo che “la ricchezza non rappresenta il bene supremo
più ambito dall’uomo, semplicemente perché essa è utile ad altri fini e non per se stessa” ciò
che conta dunque non è il mezzo ma la finalità che l’uomo si pone.
1 Che cos’è lo sviluppo umano?
E allora che cosa è lo sviluppo umano? Una teoria ed un approccio che associa le tre
grandi progettualità esistenti nell’uomo: la progettualità sociale,politica ed economica. Una
296
progettualità che potremmo rappresentare con un triangolo in cui i due angoli alla base sono la
progettualità sociale e politica e l’angolo al vertice è la progettualità economica che rappresenta
il punto di incontro e di forza delle altre due.
1.1 Aspetti dello sviluppo umano
C’è però anche un altro approccio che è importante considerare ed è quello degli economisti come Amartya Sen, Premio Nobel per l’economia, che insiste su due aspetti dello
sviluppo:la formazione delle capacità umane e l’utilizzazione delle capacità acquisite vale a dire
del loro funzionamento. Lo sviluppo dunque va concepito secondo la sua visione a volte come
obiettivo ed a volte come processo di aumento delle capacità, delle libertà e delle scelte degli
individui che permettono:
• Una vita lunga e sana (speranza di vita);
• Un accesso alle conoscenze ed alla capacità di utilizzarle (istruzione e formazione);
• Un livello di vita decoroso;
• Una partecipazione attiva alla vita comunitaria ed una autonomia nelle decisioni
individuali.
Alla luce di tale visione si capisce subito che cosa è lo sviluppo umano per A. Sen. È qualcosa di differente dall’idea diffusa di riferire lo sviluppo alla povertà come semplice mancanza
di reddito, come abbiamo notato lo sviluppo invece si fonda su quattro elementi fondamentali
quali: l’eguaglianza, la produttività, la partecipazione e la sostenibilità.
Pertanto ciò che distingue lo sviluppo umano dagli altri concetti di sviluppo viene riassunto in tre caratteri. Il primo come ipotesi principale che vede come elemento fondativo dello
sviluppo umano l’aumento delle scelte individuali; il secondo è che il concetto di sviluppo attiene tanto ai paesi ricchi che ai paesi poveri; infine che esso è rivolto all’azione perché implica
cambiamenti pratici.
1.2 Crescita economica
Da notare che molto spesso si confonde il concetto di sviluppo umano con sviluppo economico che determina l’uscita dalla soglia di povertà, o con il concetto di crescita economica.
Certamente la crescita economica è importante perché contribuisce ad aumentare la ricchezza
complessiva di una nazione e certamente ne migliora anche la capacita potenziale di riduzione
della povertà e la soluzione di altri problemi sociali. In tale prospettiva si tende ad introdurre la
convinzione che la crescita economica aiuti a migliorare lo sviluppo umano, questo può essere
anche vero, ma dipende dalla maniera con cui questa crescita economica viene generata.
La seguente riflessione è esplicativa perché ci mette di fronte ad una realtà che ben comprendiamo. Infatti la crescita economica può essere realizzata in molti modi e tra l’atro anche
in presenza di
• Forte diseguaglianza e sperequazione (è si una crescita ma senza solidarietà);
• Aumento della disoccupazione (crescita senza occupazione quella che si chiama
jobless growth);
• Indebolimento delle strutture democratiche (crescita senza voce);
297
• Perdita di identità culturale (crescita senza radici);
• Forte sfruttamento delle risorse necessarie alle generazioni future (crescita senza futuro).
1.3 Diritti umani
Ci sono poi ulteriori legami anche con la sfera dei diritti umani e dei bisogni essenziali. Per
quanto concerne i diritti umani occorre rilevare che ci sono molti legami di complementarità
come la promozione della libertà, del benessere e della dignità, ma i diritti umani sono da non
confondere con lo sviluppo umano perché ne rappresentano solo una parte anche se integrante; i diritti umani sostengono lo sviluppo umano per mezzo del rispetto della giustizia sociale
e della responsabilità dei governi; infine si sottolinea che solo la visione vera dello sviluppo
umano permette di realizzare e salvaguardare l’insieme dei diritti umani.
1.4 Bisogni essenziali
Per quanto riguarda invece la differenza con i bisogni essenziali deve essere sottolineato
che anche se entrambe riguardano la povertà e l’azione pubblica, i bisogni essenziali contemplano soprattutto i seguenti elementi:
1.La nutrizione, l’educazione, la sanità, la casa ed altri bisogni essenziali senza
contemplare invece la gamma delle scelte che attengono allo sviluppo umano;
2.La libertà umana riveste un ruolo meno importante in questi bisogni;
3.Essi sono più rivolti verso il benessere con particolare riferimento alla prestazione
di beni e servizi piuttosto che su ciò che essi permettono di fare alle persone;
4.In questo ambito gli individui sono considerati come beneficiari dello sviluppo,
ma non come attori del cambiamento.
2. Visione della Dottrina sociale della Chiesa
Esiste comunque un’altra visione che vorrei proporre e che ritengo essere molto più coerente e sfidante di quanto abbiamo finora esaminato.
Questa visione è lo sviluppo umano visto dalla DSC. Sviluppo umano che non resta
concetto astratto ma che viene invece fortemente connotato da un aggettivo che lo qualifica in
maniera inequivocabile: integrale.
Ecco allora che tutta la struttura di pensiero della DSC prende forma concreta in una
visione dello sviluppo che non appartiene a concezioni umane bensì alla sfera esistenziale
dell’uomo. Per capire ciò basta seguire la voce del Magistero sociale che ci indica la via dello
sviluppo umano integrale in maniera inequivocabile nella Populorum Progressio dove al punto
14 viene messo in evidenza la visione cristiana dello sviluppo che oltre a differenziarsi dalla
crescita economica per essere autentico deve essere integrale e rivolto quindi “alla promozione
di ogni uomo e di tutto l’uomo”. Ciò permette di capire dunque che lo sviluppo integrale considera l’uomo nella sua essenza di essere umano, riguarda l’uomo come persona, l’uomo come
inserito in un gruppo di persone, l’uomo come umanità intera. Ciò sta a significare che lo sviluppo inteso dalla DSC considera l’uomo non come appartenente ad una razza o ad una etnia,
298
perché non esistono razze umane, come qualcuno vorrebbe far credere, ma esistono soltanto
uomini con differenti caratteristiche. Il perché queste caratteristiche sono diverse per ciascun
uomo viene spiegato nel punto immediatamente successivo, punto 15, dove la Populorum Progressio mette in evidenza che ogni vita è vocazione e poiché ciascun “uomo è chiamato a uno
sviluppo [...] Fin dalla nascita è dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far
fruttificare: il loro pieno svolgimento frutto a un tempo dell’educazione ricevuta dall’ambiente
e dallo sforzo personale, permetterà a ciascuno di orientarsi verso il destino propostogli dal suo
Creatore”. Allora ecco come si spiegano le differenti caratteristiche: ciascuno le ha ricevute per
completare il progetto che Dio gli ha affidato nella propria vita! Ma tale affermazione ci conduce anche ad un’altra spiegazione di cosa è lo sviluppo per la DSC: l’uso dei doni ricevuti, non
per se stessi bensì per il raggiungimento del bene comune. Bene comune da non confondere
con benessere perché la sua definizione data dal punto 26 della Costituzione Pastorale Gaudium
et Spes è chiara: “cioè quell’insieme di condizioni sociali che permettono tanto ai gruppi quanto
a ciascuno dei loro membri di raggiungere quanto più speditamente possibile la propria piena
perfezione”, definizione ribadita poi anche al punto 74.
2.1 Principi fondamentali dello sviluppo umano
Dopo aver chiarito questa visione corre anche l’obbligo di evidenziare i principi di riferimento dello sviluppo integrale dell’uomo dettati dalla DSC.
lnnanzitutto partiamo dalla costituzione della personalità dell’uomo che è la sede della
sua dignità. La dignità dell’uomo viene spiegata al punto 16 della Gaudim et Spes dove si parla
della dignità della coscienza morale. Attraverso quelle parole possiamo comprendere che la
personalità è innanzitutto unica ed irripetibile, è la sede della dignità, agisce attraverso la libertà
che misura questa dignità e attraverso la razionalità che si serve dell’intelligenza per osservare
l’oggetto del proprio discernimento ed arrivare ad avere una coscienza che permette di esprimere un giudizio che facendo uso della volontà esprime una decisione e si determina all’azione.
Ogni azione crea delle conseguenze, tali conseguenze vengono misurate dalla responsabilità.
Solo l’uomo è una creatura passibile di responsabilità. Animali e cose non ne hanno.
Delineata la personalità dobbiamo definire i principi che la determinano in termini di
sviluppo integrale dell’uomo e questi sono appunto:
1.Il rispetto della dignità di ciascun uomo a prescindere da qualsiasi differenza,
sotto ogni aspetto;
2.La promozione del bene comune propriamente inteso.
Questi due principi di base vengono completati da altri tre principi che indichiamo in:
1.Principio di responsabilità;
2.Principio di solidarietà;
3.Principio di sussidiarietà.
La responsabilità è il livello dell’etica applicata che ne indica le caratteristiche e può essere fatta risalire come principio al punto 38 della Sollicitudo Rei Sociali, unitamente al principio
di solidarietà. In tale punto infatti si fa corrispondere il principio di solidarietà al principio di
responsabilità infatti la solidarietà “è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi
299
per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente
responsabili di tutti.
Infine il principio di sussidiarietà che possiamo collegare al punto 80 della Quadragesimo
Anno. Infine deve essere chiaro che questi principi vengono completati da una visione totalmente diversa da quella sopra presentata dell’economista A.Sen. infatti mentre questi dice e
teorizza che lo sviluppo è libertà, la dottrina sociale della Chiesa afferma al punto 76 che “lo
sviluppo è il nuovo nome della pace”.
2.2 Lo Sviluppo secondo la ‘Caritas in Veritate’
Tali principi vengono ripresi in maniera totalizzante dall’ultima enciclica di Benedetto
XVI il quale guarda allo sviluppo in maniera lungimirante e ne parla con parole veramente
profetiche destinate a cambiare la struttura e la visione economica attualmente in essere.
2.2.1 Triplice natura della DSC
Egli infatti parla dello sviluppo in funzione di quattro importanti aspetti della vita
dell’uomo e dell’uomo contemporaneo riaffermando in questo esame la manifestazione della
triplice natura della Dottrina Sociale della Chiesa che vorrei ricordare è teorica, perché annuncia sempre la medesima Parola; è storica, perché parla sempre e comunque in maniera rinnovata agli uomini del periodo storico in cui si esprime il Magistero ed è infine pratica perché
prende in considerazione l’uomo nel proprio periodo storico in termini di realtà pratica e che
può essere pertanto ben compresa da tutti perché tocca la realtà oggettiva calandosi nella vita
di ciascun uomo all’interno delle sue problematiche non solo esistenziali e morali, ma anche
fisiche e concrete.
2.3 Tre aspetti dello sviluppo umano, economico, dei popoli
Tornando agli aspetti dello sviluppo considerati dalla CV osserviamo che Benedetto XVI li
tratta in maniera direi quasi sistematica in un quadro di riferimento che coinvolgendo sempre
più l’uomo nella sua realtà di essere umano e quindi provvisto di dignità, libertà e intelletto
raccoglie le sfide del proprio tempo, per inserirsi nell’ambito della propria realtà sociale. Egli
quindi non può prescindere dalla fraternità che si esprime in termini di società civile e all’interno della quale esistono diritti e doveri in funzione delle relazioni umane; ma non solo, perché
l’uomo per vivere e svilupparsi ha bisogno di un ambiente, che sia esso sociale o fisico, l’uomo
necessita sempre di una ecologia sia umana che ambientale. Termina infine con la considerazione che l’evoluzione dell’uomo ha bisogno di esprimersi in termini di progresso della propria
conoscenza applicata ai metodi ed ai processi evolutivi delle proprie attività ed in primis quella
economica rappresentata dalla tecnica.
2.3.1 Sviluppo umano
Gli aspetti dello sviluppo in termini umani toccati nel secondo capitolo riguardano il rapporto tra lo sviluppo umano e il tempo in cui viviamo. In tale ambito si pone il problema del
sistema di sviluppo che mira al profitto e soprattutto all’uso che se ne fa. Tale uso purtroppo si
300
collega in maniera inevitabile alla crisi che il nostro tempo sta vivendo sicché l’enciclica sottolinea al punto 21: “Va tuttavia riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua
ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall’attuale
situazione di crisi. Essa ci pone improrogabilmente di fronte a scelte che riguardano sempre più
il destino stesso dell’uomo, il quale peraltro non può prescindere dalla sua natura”. Auspicando
perciò una sintesi umanistica ed uno sviluppo policentrico mirati ad una nuova progettualità.
2.3.2 Sviluppo economico e fraternità
Nel terzo capitolo l’enciclica esprime tutta la sua forza profetica con l’espressione al punto 32: “La carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La
gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una
visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. L’essere umano è fatto per il dono, che
ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza”. Considera pertanto lo sviluppo economico
in rapporto innanzitutto al concetto di fraternità vista come “rapporti autenticamente umani,
di amicizia e di socialità di solidarietà e di reciprocità anche all’interno dell’attività economica
e non soltanto fuori di essa o «dopo» di essa” (36) e poi in rapporto al concetto di società civile
per “dare forma e organizzazione a quelle iniziative economiche che, pur senza negare il profitto, intendono andare oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso” (38). Così auspica un mercato dove ci sia spazio per la gratuità e soprattutto per la giustizia
sociale visto sotto l’aspetto commutativo. Ribadisce infine al punto 40 come debba avvenire
il cambiamento in termini economici riferito all’impresa, concepita come bene d’ordine “Le
attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni,
richiedono profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l’impresa. Vecchie modalità
della vita imprenditoriale vengono meno, ma altre promettenti si profilano all’orizzonte”.
2.3.3 Sviluppo dei popoli, diritti, doveri, ambiente
Il terzo aspetto viene evidenziato nel quarto capitolo e riguarda lo sviluppo dei popoli di
fronte alle sfide derivanti dal rispetto dei diritti e dei doveri nonché dalla salvaguardia dell’ambiente. Mette in evidenza infatti al punto 43 che “La condivisione dei doveri reciproci mobilita
assai più della sola rivendicazione di diritti”. Perché “L’apertura moralmente responsabile alla
vita è una ricchezza sociale ed economica” (44) e che l’economia ha bisogno di etica per funzionare bene, ma non di un’etica qualsiasi bensì di “un’etica amica della persona” (45) e infine che
“Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto
dell’uomo con l’ambiente naturale” (48) affinché l’uomo faccia buon uso delle risorse a sua
disposizione in un clima di responsabilità percepita anche verso le generazioni future.
2.3.4 Sviluppo e tecnica
Il quarto aspetto, su cui stiamo brevemente riflettendo e che non poteva mancare essendo
un elemento determinante della vita dell’uomo e della sua capacità di sviluppo è il rapporto
dello sviluppo con la tecnica, con questa conoscenza cioè che rende l’uomo capace di affrancarsi dalla fatica per dedicare il tempo risparmiato all’approfondimento della propria umanità per
301
ottemperare al disegno divino nella propria esistenza. Anche qui l’enciclica pone forti richiami
alla creaturalità dell’uomo, alla sua necessità di sentirsi sempre legata al suo creatore senza
pretese di satanica autonomia dice infatti al punto 68 “Lo sviluppo della persona si degrada, se
essa pretende di essere l’unica produttrice di se stessa. Analogamente, lo sviluppo dei popoli
degenera se l’umanità ritiene di potersi ri-creare avvalendosi dei ‘prodigi’ della tecnologia. Così
come lo sviluppo economico si rivela fittizio e dannoso se si affida ai ‘prodigi’ della finanza
per sostenere crescite innaturali e consumistiche”. Ecco dunque il problema dell’influenza del
progresso tecnologico sullo sviluppo: essa è elemento di riscatto dell’uomo nei confronti della
materia perché rappresenta l’evoluzione del proprio lavoro e delle proprie attività secondo il
mandato ricevuto di custodire il creato, ma nel contempo dice l’enciclica al punto 70 “Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo,
interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per
questo che la tecnica assume un volto ambiguo”. Tale atteggiamento infatti distoglie l’uomo
dalla verità facendogli credere che tutto è fattibile in un ambito di efficienza e che ciò che conta
è primariamente di fare. La conclusione a cui giunge su questo punto il pensiero del Magistero
è che “Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il
senso pienamente umano del fare dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona presa nella
globalità del suo essere. Anche quando opera mediante un satellite o un impulso elettronico
a distanza, il suo agire rimane sempre umano, espressione di libertà responsabile. La tecnica
attrae fortemente l’uomo, perché lo sottrae alle limitazioni fisiche e ne allarga l’orizzonte. Ma
la libertà umana è propriamente se stessa, solo quando risponde al fascino della tecnica con
decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l’urgenza di una formazione alla
responsabilità etica nell’uso della tecnica”. Possiamo concludere questo punto sottolineando la
richiesta del Magistero a promuovere un “pensiero pensante” come già auspicato da Paolo VI e
non soltanto un “pensiero calcolante” come il progredire della tecnica sembra imporre.
3. Motivi del cambiamento nel concetto di economia dello sviluppo
Dopo aver delineato i punti della nuova visione dell’economia dello sviluppo che hanno
dato impulso ad una nuova scuola di pensiero che sta muovendo i primi passi presso l’Università Cattolica del Congo di Kinshasa, passerei ad indicare brevemente le linee di azione per
attuare questa visione:
3.1 Rifiuto delle Teorie della Scuola di Chicago
La certezza che scaturisce dalla convinzione che nel mondo di oggi, la mancanza di sviluppo, la povertà e la povertà cronica restano ancora dopo lungo tempo un tragico aspetto della
vita umana porta al convincimento che le teorie del neoliberismo promosse e veicolate dalla
Scuola di Chicago nonché tutte le teorie dello sviluppo basate sulla visione capitalista e libérista
hanno fallito e pertanto dobbiamo avere il coraggio di revisionarle radicalmente e superarle in
quanto non hanno creato altro che illusioni di sviluppo nella maggior parte dei Paesi e generato
302
invece migliaia di problemi, economici nella loro vita sociale, politica e finanziaria, culturale,
ambientale.
È vero che qualcuno potrebbe obiettare che in virtù del libero mercato e della libera iniziativa molte persone hanno migliorato la loro condizione di vita.
3.1.1 Economia sociale di mercato
Addirittura c’è chi ha teorizzato come in Germania, nel secolo scorso, l’economia sociale
di mercato. Nella teoria con l’espressione “economia sociale di mercato” si vuole caratterizzare
una economia di mercato che soddisfi anche le esigenze di giustizia. In definitiva, W. Röpke
considerava l’economia di mercato una condizione necessaria per lo sviluppo di una società
che fosse degna dell’uomo, che in forza della libera iniziativa sviluppasse le attitudini proprie
di ciascuna persona, che rendesse possibile lo sviluppo economico integrale, di un uomo a
tutto tondo. In breve, un sistema economico che necessariamente deve fare i conti con alcuni
“indispensabili meccanismi”, che rappresentano nel contempo gli “attributi” e le “ragioni” dell’“economia di mercato”.
Si tratta della personale aspirazione al profitto; del perseguimento dei propri fini, un’attitudine che richiede la promozione della libertà; della concorrenza tra differenti ed alternative
idee e strategie imprenditoriali; del diritto alla proprietà privata; della funzione imprenditoriale
come processo creativo; del reddito derivante dall’uso imprenditoriale dei capitali; della speculazione, intesa come processo di scoperta esposto al rischio di un futuro incerto. Per Röpke chi
opera per una società libera non può non sostenere l’economia di mercato e, di conseguenza,
non può non accettare tali strumenti. Si capisce bene comunque che la finalità di questa teoria
non ha niente a che vedere con lo sviluppo, bensì di mirare alla libertà del mercato dall’intervento pubblico. E gli strumenti sono sempre quelli proposti dalla Scuola di Chicago.
3.2 La sfida dello sviluppo integrale
Queste idee poi, nell’attuale analisi si sono rivelate nel mondo come strumento di economisti che erano al servizio di alcuni poteri politici e di qualche multinazionale.
Il liberismo, non crea sviluppo e a tutt’oggi non si è ancor a trovato un modello di sviluppo sostenibile, equo e durevole che sia in grado di dare una soluzione anche se non definitiva,
almeno efficace al problema.
Lo sviluppo umano quindi è una sfida molto più grande della semplice povertà, è una
sfida globale da affrontare nell’interesse di tutti. E la mancanza di sviluppo integrale si rivela
ostacolo ancora maggiore per la crescita economica mondiale capace quindi di mettere in pericolo la costituzione o il consolidamento della pace che rappresenta l’altro nome dello sviluppo.
In questo senso, il perseguimento di uno sviluppo integrale e l’eliminazione della povertà
devono essere visti come condizioni essenziali per la pace, la sicurezza nel mondo e il rispetto
della dignità umana.
L’attributo integrale dato alla parola sviluppo, deve rivestire un triplice significato il cui
senso deve essere preciso e chiaro per tutti, e cioè:
1.Integrale come piena integrazione delle differenze esistenti tra gli uomini, vale a dire che
303
non dovrebbe più esistere un rapporto di esclusione a causa della diversità e che queste
diversità devono essere considerate ricchezza da aggregare come bene comune;
2.Integrale come pienamente trasparente vale a dire, cristallino, chiaro, comprensibile a tutti
gli uomini che devono avere accesso a una vita dignitosa e i cui diritti siano rispettati.
3.Integrale come completo, cioè di ogni uomo e tutti gli uomini senza alcuna distinzione di
razza, sesso, religione, scelte politiche, situazioni sociali, o di ricchezza.
3.3 Discontinuità delle teorie
Un tale obiettivo può essere raggiunto, naturalmente, solo se si è convinti che le idee camminano sulle gambe degli uomini e che queste idee sono la base del cambiamento se l’uomo
saprà difenderle e promuoverle. Tuttavia, queste idee devono essere ben fondate su principi
sempre validi come quelli della dottrina sociale della Chiesa, vale a dire: la salvaguardia della
dignità umana in tutte le sue forme e la promozione del bene comune.
Il disaccordo con le idee di A. Sen nasce dal fatto nella visione di questo economista lo
sviluppo si intende imposto dall’esterno, viene cioè dato e concesso da colui che ha il potere
e la capacità di imporre le proprie scelte e le proprie condizioni, questa è esattamente la teoria
che emerge dalla scuola di neoliberismo di Chicago. Per i principi della Dottrina Sociale della
Chiesa, la libertà e la pace interiore possono venire solo da noi stessi e non ci possono essere
date dal di fuori.
Ecco perché il nuovo concetto di economia dello sviluppo va preso dalla Dottrina Sociale
della Chiesa, riteniamo infatti che questo tipo di economia debba manifestare discontinuità
dalle teorie e dalle visioni del secolo scorso. Questa nuova visione non può più accettare il
capitalismo-liberista come unica base per la crescita economica e come vettore dello sviluppo
promosso dall’investimento più opportuno mirato al profitto, al risparmio ed alla produttività
industriale come fine ultimo. Questa nuova idea mira principalmente alla dignità dell’uomo ed
al suo sviluppo integrale. Essa deve affrontare le determinanti della povertà e del sottosviluppo
nonché delineare le politiche da attuare per ottenere che i paesi in via di sviluppo escano non
solo dal loro sottosviluppo, ma anche soprattutto dall’ignoranza. Siamo infatti convinti che il
sottosviluppo e la povertà dipendano dal grado attuale di ignoranza esistente nella gente dei
paesi che chiamiamo poveri. La mancanza di conoscenza, soprattutto in campo socio-economico consente lo sfruttamento non solo delle loro risorse materiali, ma anche delle loro risorse
umane che sono spesso prive di protezione e di rispetto per la loro dignità a causa di abuso di
poteri colonialisti da parte delle multinazionali. Restiamo persuasi perciò che lo sviluppo non
può venire solo dal trasferimento di ricchezza, ma dall’efficace trasferimento di conoscenze ai
poveri che si confrontano con i problemi del sotto-sviluppo. Solo così, le barriere sistemiche
saranno superate al fine di raggiungere un equilibrio tra le esigenze di sviluppo integrale ( sostenibile, durevole, equo) e quelle delle forme dominanti del capitalismo sottrazione.
La conoscenza è sempre stata una risorsa importante per la produzione (che è differente dalla produzione naturale o animale perché è caratterizzata dall’uso nell’opera di capacità
intellettuali), ma oggi è diventata forza produttiva fondamentale che si basa sulla conoscenza
scientifica e le sue opportunità di sviluppo come conoscenza indipendente e non più fondata
304
sul potere religioso o politico.
Così come l’acqua è fonte di vita la conoscenza è la fonte primaria dello sviluppo integrale. Infatti, come l’acqua permette la nascita della vegetazione nel deserto, la conoscenza
crea ricchezza reale per l’uomo e cioè il suo sviluppo. Tuttavia, questa conoscenza deve essere
ben guidata affinché possa davvero dare risultati positivi per la comunità degli uomini nella
prospettiva dello sviluppo integrale. Per questo è molto importante identificare gruppi sociali e
attori capaci di costituire la base socio-politica di supporto per strategie di sviluppo sostenibile
nei vari livelli della collettività. L’economia di mercato senza la partecipazione attiva di uomini
di buona volontà, non permetterebbe uno sviluppo sostenibile, perché tenderebbe a sfruttare
la conoscenza per i gruppi che hanno il potere e che praticano il capitalismo sottrazione. Ciò
che si deve è una nuova concezione di capitalismo definito “Neo-capitalismo etico” e che – in
discontinuità con il neoliberismo – si caratterizza per il trasferimento della conoscenza alle persone povere dei paesi in via di sviluppo sul loro territorio principalmente attraverso la formazione della classe dirigente la quale dopo aver appreso la conoscenza delle tecniche di ricerca e
i diversi modelli di sviluppo possa applicarli tenendo conto dell’ambito culturale in cui vivono
e nel rispetto delle tradizioni e la storia del loro popolo.
4. Obiettivi dell’economia dello sviluppo
Rispetto allo sviluppo questa nuova visione inizialmente si farà la tradizionale distinzione
tra tre tipi di paesi:
1.paesi sviluppati,
2.paesi emergenti (in via di sviluppo),
3.paesi sottosviluppati,
per giungere poi a cambiare questa classificazione in una sola idea di sviluppo umano integrale
condiviso e analizzato in un triplice concetto così configurato:
1. sviluppo sostenibile,
2.sviluppo durevole,
3.sviluppo equo.
La nozione di sostenibilità nello sviluppo attiene alla rinnovabilità delle risorse impiegate
e possiamo riferirla nello stesso tempo sia alla rinnovabilità economica di un sistema rivolto
alla fuga in avanti, sia al mantenimento di equilibri sociali e di relazioni pacifiche che ne discendono, sia alle possibilità di riproduzione dell’ambiente naturale e della bio-sfera, sia infine alla
possibilità stessa di una organizzazione politica della comunità degli uomini se il suo modello
di sviluppo si presenta danneggiato da eventuali effetti negativi e da eventuali contraddizioni.
La nozione di durevole che significa duraturo e quindi non congiunturale è secondo il
rapporto Brundtland del 1987 “Uno sviluppo che risponde ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro”.
La nozione di equo vale a dire onesto ed equanime si riferisce ad uno sviluppo che usa
mezzi adeguati per ottenere i risultati attesi in termini di impiego delle potenzialità esistenti,
305
adeguatamente dosate nel rispetto dell’ecologia umana e ambientale.
Mentre alcuni sostengono che lo sviluppo sostenibile e la crescita sostenibile si ottengono
gestendo con parsimonia tutto ciò che riguarda le risorse naturali, alcune delle quali potrebbero
seccare o deteriorarsi, siamo convinti che ciò che conta per lo sviluppo non è il risparmio di
risorse o il loro salvataggio, quanto più il loro uso efficiente e rispettoso delle finalità e degli
obiettivi dello sviluppo umano integrale. Vale a dire che invece di risparmiare risorse si dovrebbe usarle senza distruggerle, dosandone l’ uso e il funzionamento per il giusto necessario,
considerando le esigenze delle generazioni future.
5. Decisione e prospettive
Fino ad oggi per aiutare i paesi “sottosviluppati “ sono stati proposti programmi di aiuto,
partendo dalle conoscenze tecniche fornite in particolare dagli Stati Uniti e da altri paesi sviluppati. Ciò implicitamente assumeva che lo stile di vita degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali
poteva ispirare lo sviluppo del resto del mondo, come modello affidabile e risolutivo. Questi
presupposti hanno assicurato il trionfo di un approccio econometrico allo sviluppo in cui il
livello di progresso degli stati poteva essere misurato con un unico indicatore, il PIL pro capite.
Purtroppo ci si è resi conto che non era vero e che il modello di crescita economica misurata
dal PIL, mascherava l’impatto ambientale dei paesi più “sviluppati” (Nord America, Giappone,
Europa) misurato dall’impronta ecologica che era molto superiore alla capacità di rigenerazione
biologica del pianeta, e pertanto passibile di minacciare la distruzione della vita umana sulla
terra. Per questo motivo,il tipo di sviluppo occidentale non può essere generalizzato per l’intero
pianeta. Sostenere che questo tipo di sviluppo fornisca un modello sarebbe presuntuoso, perché ogni generazione è obbligata a scegliere la propria libertà morale e quindi non è possibile
stabilire a priori un modello definitivo da seguire. Si può scegliere solo nel proprio momento
storico il modello più umano per ottenere uno sviluppo realmente integrale dell’uomo nel
rispetto dei beni destinati alle generazioni che si succederanno nei secoli futuri. L’obiettivo dei
fautori di questa visione è di essere pragmatici per l’attuazione di accesso alle strutture della
conoscenza e di rispetto per la dignità dell’uomo e del suo ambiente.
Ciò che propongono è quindi un nuovo modello di sviluppo chiamato “Neo-capitalismo
etico” fondato sulla individuazione delle potenzialità esistenti in ciascun paese in termini di
ricchezza come il potenziale umano, animale sociale. Queste potenzialità devono essere individuate e misurate in ogni paese come ricchezza materiale e cioè come capitale: materiale,
umano, sociale e animale. L’indice da impiegare perciò dovrà trasformare il Prodotto Nazionale
Lordo (PNL) in Indice di Potenzialità lnutilizzata (IPI). Dopo questo inventario devono essere
considerate le strategie di sviluppo integrale cioè, sostenibile, equo e durevole misurate da un
nuovo strumento: l’indicatore di impatto finanziario. Vale a dire che ogni progetto di sviluppo
deve essere misurato attraverso il risultato sociale rispetto agli uomini, alla società, agli animali
e, infine, all’ambiente tenendo ben presente che tale indicatore non è per sé o per misurare il
proprio profitto, ma per il bene della comunità in cui si vive nel rispetto non solo dell’ambiente
306
ma anche del territorio dei bisogni delle generazioni future in tutto il mondo. In questo modo
lo sviluppo diverrebbe sostenibile perché tiene conto, nello sfruttamento delle risorse, dei bisogni umani e ambientali del presente e del futuro. Questo sviluppo diverrebbe durevole, perché
il fattore tempo diventa la variabile chiave dell’impiego che deve essere rinnovabile durante i
diversi periodi storici. Alla fine possiamo dire che si tratterebbe di uno sviluppo equo in quanto
tiene conto dei diritti di tutti nel mondo, presenti e futuri in una realtà in cui lo sfruttamento
delle materie prime, lascerebbe il posto ad un partenariato dedito ad altro innovativo sfruttamento: quelle della cosiddetta materia grigia.
6. La natura del pensiero scientifico
Il carattere scientifico di questa visione di nuova economia, deriva dal metodo di ricerca
della verità e della conoscenza dell’uomo attraverso un’indagine basata su tre momenti dello
sviluppo: vedere, giudicare, agire che fondano l’attività umana a partire da tre conversioni intellettuale, morale e religiosa che sono alla base della conoscenza universale dell’essere umano.
Lo studio e l’approfondimento seguono il filo conduttore delle realtà concrete della vita umana
che scaturiscono dalla prassi e dal percorso della sua storia come uno sviluppo dialettico di tesi,
antitesi e sintesi.
7. Quadro di riferimento delle attività
Le linee di azione che si svilupperanno da pensiero pensante come verranno indirizzate su
tre aspetti: l’aspetto sociale, con l’obiettivo di stabilire la strategia evolutiva della società e dei suoi
gruppi sociali; l’aspetto politico, mirato al bene comune attraverso le strutture istituzionali quale
supporto delle strategie sociali e infine l’aspetto economico rivolto alle strategie più appropriate
per l’impiego della ricchezza disponibile per realizzare i progetti sociali e politici.
8. Conclusione
Vorrei terminare questa mia riflessione con le parole del punto 79 della Caritas in veritate
che esprime pienamente come deve essere la realtà dell’uomo in rapporto allo sviluppo: “Lo
sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani
mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato. Perciò anche nei momenti più difficili
e complessi, oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattutto riferirei al suo amore. Lo
sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in
Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine,
di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace”.
307
Cardinal Giovanni Battista Re
ECONOMIA SOLIDALE, SVILUPPO SOSTENIBILE,
CUSTODIA DEL CREATO
Un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite, in un recente studio in vista dell’Assemblea
Generale, inizia l’esposizione del proprio punto di vista sulla presente situazione, affermando:
“Il nostro mondo e il nostro pianeta terra stanno vivendo al presente il migliore dei tempi e,
contemporaneamente, il peggiore dei tempi”.
E precisa che il migliore dei tempi, per l’alto grado di prosperità e di benessere che il mondo ha raggiunto, i meravigliosi progressi in tanti campi avvenuti in questi anni hanno reso la
vita più confortevole.
In pari tempo, il presente momento storico è definito anche uno dei peggiori per
•
•
•
•
la fame che c’è nel mondo: un miliardo di persone non ha il nutrimento sufficiente;
la disuguaglianza fra ricchi e poveri è in aumento;
è in atto una crisi economica che dura da 4 anni;
il rapporto tra l’uomo e il creato si è rotto: e m atto uno sfruttamento selvaggio, che incide
sull’ambiente danneggiandolo con conseguenze gravi, se continua con questo ritmo.
In realtà ci troviamo di fronte ad un contesto mondiale nuovo. Stiamo tutti dentro un
sistema globale nel quale, nonostante le evidentissime sperequazioni, tutto è interdipendente, per cui o ci si impegna realmente a salvaguardare il bene comune, o si affonda tutti, ricchi
e poveri.
C’è realmente bisogno di un modo nuovo di pensare e di agire – un modo nuovo ispirato
dal bene comune ed aperto ad un orizzonte vasto come il mondo – altrimenti andiamo incontro ad una situazione che peggiorerà sempre più e diventerà insostenibile.
Nel presente momento di crisi economica, il mondo del lavoro sta incontrando difficoltà
che preoccupano: vi sono aziende che vacillano, braccia che non trovano lavoro, paura di perdere il lavoro. Le incertezze per il futuro colpiscono soprattutto i giovani. L’ingresso dei giovani
nel mercato del lavoro è diventato più difficile. Le statistiche documentano che in tutta Europa
308
si alza sempre più l’età in cui i giovani riescono a trovare lavoro.
Si avverte sempre più la necessità che il mondo economico e finanziario tenga nel debito
conto i principi etici ed i valori morali e metta al centro la persona umana, puntando ad una
economia solidale. In breve, possiamo dire che sono quattro i principi da tenere presente: dignità della persona, bene comune, solidarietà, sussidiarietà.
C’è grande bisogno di sviluppo, ma deve essere uno sviluppo sostenibile. Per ottenere dei
risultati concreti, c’è bisogno di un impegno globale, coordinato e sistematico che coinvolga la
politica, la società civile, la comunità scientifica, gli imprenditori, gli industriali e anche l’opinione pubblica.
Il presente simposio è promosso da tre istituzioni che hanno campi di competenza diversi,
ma che mirano al medesimo bene di ogni uomo e di tutti gli uomini:
Sorella natura, che promuove una sana ecologia e la custodia del creato.
L’Accademia delle Scienze, che pone la sua fiducia nella scienza e nella ragione umana, e mira
a favorire lo sviluppo.
La Pontificia Accademia Teologica, che proietta la luce della fede sulle varie realtà umane,
economia e ecologia comprese ed aiuta a capire il disegno di Dio sul creato.
Saranno così toccati tre aspetti: economia solidale, sviluppo sostenibile, custodia del creato.
Da parte mia vorrei limitarmi ad una parola sulla sana ecologia e la difesa del creato. La
storia ci dice che lungo i secoli ed i millenni il rapporto con l’ambiente degli esseri umani,
operanti individualmente o in gruppo, è stato spesso – oltre che di un sano uso – anche di
sfruttamento del pianeta terra, a proprio interesse e vantaggio immediato. Tuttavia, questo sfruttamento in epoche passate non ha avuto gravi conseguenze, perché era piuttosto contenuto.
Con l’avvento dell’era industriale, invece, il modo di comportarsi delle singole persone,
dei gruppi sociali, delle aziende e dei popoli nei confronti della natura ha assunto forme e dimensioni che suscitano allarme. I progressi scientifici e le applicazioni tecniche hanno messo a
disposizione degli esseri umani nuovi e potenti mezzi che incidono più a fondo sulla natura ed
estendono il dominio dell’uomo, per cui nel nostro tempo lo sfruttamento della natura si attua
in proporzioni molto maggiori e con ritmi enormemente più rapidi che nelle epoche anteriori.
In qualche caso si tratta di uno sfruttamento selvaggio.
Gli scienziati dicono che nel corso degli ultimi 80 anni le attività dell’uomo hanno modificato l’ambiente e la natura più di quanto sia stato trasformato in tutti i secoli precedenti.
Per uscire dalla crisi ecologica nella quale l’intera famiglia umana si dibatte e che ha assunto forme e dimensioni che possono diventare drammatiche, bisogna incominciare a vedere nel
creato qualche cosa di più di una fonte di ricchezza e di sfruttamento nelle mani dell’uomo.
Nell’Enciclica Caritas in veritate il Papa afferma che “la natura è espressione di un disegno d’amore e di verità” che ci precede e che Dio ci ha donato come ambiente di vita (n.48).
E non si deve dimenticare soprattutto che Dio ha destinato la terra e quanto essa contiene
o la circonda all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli: del presente e del futuro.
Dio, nella creazione, ha dato all’uomo le chiavi della terra e si attende che l’uomo e la
donna sappiano usare e godere questo dono facendolo fruttificare in modo responsabile e
sostenibile. L’uomo – dice la Caritas in veritate – deve “esercitare un governo responsabile sulla
309
natura per custodirla, metterla a profitto e coltivarla anche in forme nuove e con tecnologie
avanzate” perché produca il necessario per le popolazioni che l’abitano (n.50).
L’ecologia è innanzi tutto una questione etica. Bisogna convincersi che tutto ciò che è
tecnicamente e scientificamente possibile non è anche eticamente praticabile, non è per ciò
stesso consentito.
La scienza e la tecnica non possono avere l’ultima parola su ciò che si può fare e non si
può fare. La ragione umana deve guidare e determinare le decisioni, così da fare soltanto ciò
che è giusto e conveniente. È chiamata in causa la responsabilità. La scienza e la tecnica hanno bisogno di una dimensione etica e di una visione umana. La scienza e la tecnica hanno il
compito di cercare le strade possibili, ma in sede attuativa è la ragione, è la coscienza, è il senso
di responsabilità che devono prevalere e decidere: si tratta infatti di un problema morale. Fra
l’altro non vanno mai dimenticate né minimizzate le ineludibili responsabilità della nostra generazione nei confronti di quelle future: degli uomini di oggi nei riguardi di quelli di domani.
Bisogna prendere coscienza che uno sfruttamento sconsiderato della natura è in contrasto
con i compiti assegnati dal Creatore all’uomo e che quando questo avviene, la natura sembra
ribellarsi, perché si sente violentata: l’ambiente diventa una minaccia con gli inquinamenti e i
rifiuti che porta con sé. Può creare problemi sociali vasti, può dare inizio ad un ambiente che
in futuro può diventare intollerabile, rendendone l’uomo vittima.
Non c’è poi bisogno di sottolineare, perché l’esperienza lo documenta ogni giorno, che
l’inquinamento di una zona si ripercuote su altre zone. Bisogna rispettare gli equilibri naturali
in modo che l’ecosistema possa essere mantenuto nel suo insieme.
L’uomo deve lealmente interrogarsi sull’avvenire terrestre dell’umanità (cf. Paolo VI, discorso all’Accademia delle Scienze del 19 aprile 1975) e concorrere a preservarlo, a eliminare i
rischi ed a prepararlo.
I credenti debbono essere in prima linea sul fronte della salvaguardia dell’ambiente naturale anche perché sanno che il mondo è stato creato da Dio. E la Chiesa si sente impegnata ad
aiutare a trovare il giusto atteggiamento nei riguardi della natura e delle sue risorse.
La religione ha voce in capitolo al riguardo.
La crisi ecologica ha molti aspetti e richiede una risposta globale, coordinata e sistematica
che coinvolge lo Stato, la politica, gli imprenditori e gli industriali. Anzi, il problema della
custodia e del rispetto del creato riguarda non solo chi ha responsabilità nella società, ma tutti.
La necessità di un’educazione al rispetto della natura e di prevenzione di ciò che ne turba gli
equilibri, rimane un impegno di tutti e deve essere ispirato in particolare da due elementi:
• un senso di sobrietà che ci fa cercare un progresso e uno sviluppo sostenibili; e un senso
di responsabilità che ci porti a cambiare certi stili di vita. Parlando un grande gruppo di
giovani studente il 28 novembre dell’anno scorso, il Santo Padre ha detto che non ci sarà
un “futuro buono per l’umanità sulla terra se non ci educhiamo tutti ad uno stile di vita
più responsabile nei confronti del creato”;
• e soprattutto uno spirito di solidarietà, cioè da uno stile di vita diverso da quello tipico della
società dei consumi.
310
L’umanità ha bisogno, nei riguardi del creato, di un profondo rinnovamento culturale.
Occorre creare una nuova mentalità e una nuova sensibilizzazione che vede l’ambiente e là natura come un bene che è, in pari tempo, individuale e collettivo: destinato a ciascuno e insieme
a tutti.
Per educare ad una crescente sensibilità ambientale dobbiamo fare leva non soltanto sul
fatto che le risorse hanno un limite e che un giorno finiranno, ma puntare a formare una coscienza sociale e umana che custodisca e coltivi il creato, facendo presente che tutto quanto esiste ha un senso e un valore. Dietro quanto esiste sta una grande Intelligenza. Nulla va sprecato
e nulla va deturpato. In altri termini, più che essere mossi dalla paura che le risorse finiranno,
dobbiamo educare all’apprezzamento delle bellezze e delle armonie del creato. Nostro compito
è di rispettare le meraviglie del creato e lavorare col Creatore per assicurare questo dono anche
alle future generazioni.
Papa Paolo VI, parlando agli scienziati della Pontificia Accademia delle Scienze (19 aprile
1975), ha affermato: “lo scienziato deve essere animato dalla fiducia che la natura nasconde
delle possibilità segrete, che spetta all’intelligenza scoprire e mettere in atto, per giungere allo
sviluppo che è nel disegno del Creatore”. Secondo questa visione, si deve salvaguardare la natura e, in pari tempo, l’intelligenza umana deve promuovere lo sviluppo, ma uno sviluppo che
sia sostenibile, cioè che rispetta le possibilità profonde della natura e le sviluppa e perfeziona
con la guida della ragione rispettosa del disegno del Creatore.
L’umanità ha un futuro soltanto se il creato ha anch’esso un futuro. L’uomo e la natura
sono legati a vicenda e costretti a condividere la comune sorte terrena. Per la qualità del futuro
della civiltà dobbiamo salvaguardare la natura, salvaguardare il creato e promuovere uno sviluppo sostenibile.
311
Roma - 18 giugno 2012
Anna Maria Tarantola
Tempo di crisi? Economia solidale e sviluppo sostenibile
La situazione di crisi in cui ci troviamo, la sua durata, l’estensione, l’ampiezza, impegnano
organismi internazionali, Governi e istituzioni nella definizione di azioni idonee ad uscire dalla
recessione e ritornare a crescere. Ma sarebbe un errore se la drammaticità della crisi mettesse
in secondo ordine il tema della sostenibilità. La crisi deve essere un’occasione per interrogarci
su quale tipo di crescita vogliamo riattivare: una crescita non bilanciata, che guardi al breve
periodo, non inclusiva, dannosa per l’ambiente o una crescita socialmente, economicamente e
ambientalmente sostenibile?
Negli ultimi due decenni l’economia mondiale ha registrato un’espansione sostenuta,
cui è seguita una riduzione consistente della povertà. Tra il 1990 e il 2008, ultimo anno per
il quale sono disponibili i dati, il numero di persone che vivevano con meno di 1,25 dollari
al giorno, la soglia di povertà estrema, è diminuito da 1,9 miliardi a meno di 1,3. Secondo
stime preliminari della Banca Mondiale, il primo obiettivo stabilito nella Dichiarazione del
Millennio – il dimezzamento dell’incidenza della povertà estrema – sarebbe raggiunto prima
della scadenza del 2015.
Nonostante questi progressi, oltre 2,5 miliardi di persone vivono ancora con meno di 2
dollari al giorno; 900 milioni non hanno accesso a fonti di acqua potabile, 1,3 miliardi non
hanno accesso all’energia elettrica, 2,6 miliardi vivono in abitazioni prive di sistemi fognari. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 100 milioni di bambini di età inferiore ai 5
anni sono malnutriti, con effetti permanenti sulla salute e sulle loro capacità (cognitive e non).
Ampi sono i divari nell’aspettativa di vita: prossima agli 80 anni nelle economie avanzate,
poco più di 70 nei paesi in via di sviluppo dell’Europa e Asia Centrale, 65 in Asia Meridionale
e solo 54,3 anni nell’Africa Sub-sahariana1.
La crescita economica è condizione necessaria per migliorare le condizioni di vita, il livello di benessere e le opportunità degli individui, ma non sufficiente. I miglioramenti dipendono
dalla natura del processo di espansione dell’economia e dalle politiche pubbliche, soprattutto
1. Banca Mondiale, World Development Indicators, data.worldbank.org.
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nel campo della salute, dell’istruzione e dell’accesso ai fattori produttivi.
La crescita per essere equilibrata deve essere inclusiva, ossia produrre frutti destinati anche a
migliorare il benessere delle categorie più deboli o marginali. Se lo sviluppo economico non è
inclusivo, se all’espansione dell’economia non segue un ampliamento delle opportunità per un
crescente numero di persone, aumenteranno i rischi di tensioni sociali e di instabilità. Inoltre,
molti individui non potranno investire in capitale umano e produttivo a causa delle difficoltà
nell’accesso al credito, all’istruzione e, soprattutto nella prima infanzia, a un livello adeguato di
nutrizione e di servizi sanitari2.
La sostenibilità economica e sociale va perseguita insieme a quella ambientale. Finora
la crescita economica ha avuto un impatto negativo sull’ambiente3. Nell’ultimo decennio la
destinazione di nuovi terreni all’agricoltura ha determinato una riduzione di 5,2 milioni di
ettari di foreste all’anno4. Secondo alcune valutazioni, circa un quarto della superficie terrestre
è degradata da fenomeni di erosione e desertificazione dei terreni. La pressione generata da
un uso eccessivo delle risorse idriche si accentuerà ulteriormente, soprattutto nei paesi meno
sviluppati. Si stima che l’utilizzo delle acque non superficiali, più che triplicato negli ultimi 50
anni, continuerà ad aumentare a un ritmo tra l’1 e il 2 per cento all’anno5. La rapida crescita
della domanda di materie prime (in particolare energetiche) intacca le risorse disponibili e ne
rende progressivamente più costosa l’estrazione. La profonda trasformazione dell’habitat naturale incide sull’equilibrio degli ecosistemi rendendoli meno resilienti e accelerando il ritmo di
estinzione di alcune specie.
Vi è da tempo consenso nella comunità scientifica sulle conseguenze che le emissioni dei
“gas serra” possono avere in termini di aumento della temperatura superficiale e sui conseguenti
effetti negativi sull’ambiente. È già possibile riscontrare come i mutamenti climatici, accrescendo l’acidificazione degli oceani, stiano influenzando la produttività della pesca e quindi il
sostentamento delle popolazioni che da essa dipendono. Proseguire sul trend attuale avrebbe
conseguenze la cui gravità è difficile da valutare appieno6.
In questo scenario occorre che la necessaria ripresa dell’economia mondiale sia contemperata dal con contenimento degli effetti delle attività di consumo e produzione sull’ambiente
sia riducendo l’uso delle risorse naturali sia limitando gli effetti negativi che queste attività
producono sull’atmosfera, la litosfera e l’idrosfera. Per molto tempo si è ritenuto che il degrado
dell’ambiente fosse una conseguenza inevitabile della crescita e che i paesi emergenti possano
affrontare questo problema solo dopo aver raggiunto un livello di reddito sufficiente (la cosiddetta ipotesi delle curve di Kuznets ambientali). In quest’ottica sarebbe compito esclusivo dei
2. F. Ferreira, M. Ravallion, Poverty and Inequality: The Global Context in W. Salverda, B. Nolan, T. Smeeding (eds.), The Oxford
Handbook of Economic Inequality, Oxford University Press. M. Ravallion, Why don’t we see poverty convergence?, American Economic
Review 102(1): pp. 504–23, 2012.
3. Millennium Ecosystem Assessment, Living Beyond Our Means: Natural Assets and Human Well-being (Statement of the MA Board),
2005. Ecosystems and Human Well-being: General Synthesis, 2005.
4. FAO, Global Forest Resources Assessment 2010, 2010.
5. Nazioni Unite, World Water Assessment Program, World Water Development Report, 2012.
6. Ad esempio, Banca Mondiale, World Development Report on Development and Climate Change, 2010; Stern Review on The Economics
of Climate Change, 2006.
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paesi economicamente avanzati ridurre le emissioni di gas serra poiché sono i maggiori responsabili del livello attuale. Per questo nella conferenza di Rio nel 1992 si è affermato il principio
che tutti i paesi devono partecipare al processo di riduzione dei gas serra in proporzione alle
rispettive responsabilità. In realtà è innegabile che alcuni paesi emergenti già contribuiscano
all’aumento delle emissioni nei prossimi anni, sia per il più rapido ritmo di crescita sia per il
loro peso in termini di popolazione: basti pensare che nel 2009 le emissioni annue di CO2 in
Italia sono risultate pari a quelle registrate in Cina in 20 giorni.
Penso che vi siano almeno due ragioni perché l’argomentazione che i paesi più poveri debbano trascurare la compatibilità dei loro processi di crescita con la conservazione dell’ambiente
non sia da sottoscrivere. La prima è che una gestione efficiente delle risorse naturali è essenziale
per garantire in questi paesi, in cui la popolazione cresce a ritmi elevati, una disponibilità di tali
risorse anche in futuro. Si pensi ad esempio all’acqua e all’energia da fonte fossile: un eccessivo
utilizzo di queste risorse va ad eroderne la disponibilità futura accrescendo il livello e la volatilità dei prezzi e ne quindi precludendo l’accesso a strati crescenti della popolazione7. Infatti,
anche se la tecnologia ha migliorato straordinariamente la produttività nell’utilizzo delle risorse
naturali, non vi potrà mai comunque essere piena sostituibilità tra capitale naturale e altre forme di capitale.
La seconda ragione è che la sostenibilità ambientale è di fatto connessa a quella economica. La scelta di aumentare i benefici privati oggi a spese di elevati costi sociali domani è spesso
non vantaggiosa. In molti paesi si continuano a seguire strategie di sviluppo miopi che possono
avere effetti disastrosi. Ad esempio, l’adozione di tecniche di allevamento incompatibili con gli
ecosistemi costieri e la deforestazione ha nel tempo amplificato il processo di erosione e accresciuto il rischio di inondazioni. Le spese per ripristinare le condizioni iniziali si sono rivelate
molto elevate e spesso superiori ai benefici dell’inazione.
Per i paesi in via di sviluppo, soprattutto i più poveri, le conseguenze dirette del cambiamento climatico sarebbero più gravi perché la loro economia dipende in misura maggiore dalle
attività connesse con lo sfruttamento delle risorse naturali (come ad es. agricoltura e pesca) che
in questi paesi rappresentano complessivamente una quota rilevante, tra il 25 e il 30 per cento,
della ricchezza8.
Inoltre una crescita sostenibile dal punto di vista dell’ambiente ha effetti diretti positivi
sulle condizioni di vita dei più poveri, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli emergenti
ed avanzati, perché i poveri sono più esposti alle conseguenze del degrado ambientale quali la
pressione esercitata da un eccessivo utilizzo delle risorse (come l’acqua e la terra), i disastri naturali (come inondazioni e siccità), l’inquinamento (come sistemi inadeguati di smaltimento dei
rifiuti e di gestione delle acque reflue). In questo senso la sostenibilità ambientale interagisce
con l’obiettivo di una crescita inclusiva: è necessario riconoscere che le politiche e gli interventi
a sostegno dell’ambiente comportano costi più elevati per alcuni gruppi ed effetti redistributivi
all’interno della collettività. Occorre tenerne conto.
7. Banca Mondiale, Global Monitoring Report 2012.
8. Banca Mondiale, The Changing Wealth of Nations, 2010.
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Green Growth
Numerose istituzioni sono impegnate nell’elaborazione di strategie per tradurre in concreto il concetto di sviluppo sostenibile; gli sforzi si sono intensificati in vista dell’ormai prossima
Conferenza di Rio+20. È sempre più evidente che il prossimo decennio sarà cruciale per invertire le tendenze attuali e contemporaneamente sostenere lo sviluppo. Con diverse sfumature,
sta emergendo un consenso sulla formula della Green Growth, o crescita verde, e in particolare
sulla Inclusive Green Growth, per sottolineare una strategia di crescita ambientale sostenibile
coerente con l’obiettivo di riduzione della povertà9.
La crescita verde è una strategia mirata a stimolare la crescita economica sfruttando il
potenziale di questi settori che aiutano un utilizzo sostenibile delle risorse naturali. Un esempio risponde alla necessità di utilizzare metodi di produzione e consumo a bassa intensità di
emissioni di gas serra (low-carbon)10. Questa crescita promuove una visione positiva, incentrata
sull’esplorazione di nuovi percorsi per generare innovazione, lavoro, migliori condizioni di vita
per tutti, inclusi i più poveri, anziché sui limiti alla crescita. Nei paesi avanzati può rientrare tra
le politiche che stimolano la domanda e la competitività delle imprese.
Elementi costitutivi della crescita verde sono l’utilizzo di tecnologie avanzate per un utilizzo più efficiente delle risorse naturali, la creazione di mercati e di politiche per la conservazione dell’ambiente, l’innovazione e l’adozione di comportamenti più consapevoli.
In particolare la strategia principale è quella di dare un valore economico all’utilizzo delle
risorse naturali o al danno ambientale, ossia, come spesso appare nei documenti OCSE, “getting the price right”. Questa strategia implica di dare un prezzo al carbonio che viene emesso in
atmosfera (con un sistema di cap-and-trade oppure con una carbon tax), di dare il giusto valore
sociale al prelievo di risorse naturali scarse da parte dei singoli (ad es. l’acqua, il territorio, le
risorse ittiche), di sostenere la R&S nei settori energetici e ambientali.
È compito dei governi introdurre politiche e regole che facilitino gli investimenti e i comportamenti virtuosi ma anche il settore privato dovrà avere un ruolo centrale, sarà necessario
sviluppare forme di collaborazione pubblico-privato e con la società civile. La combinazione di
interventi in diversi settori dell’economia dovrà riflettere le esigenze e le condizioni specifiche
di ciascun paese.
Nelle economie avanzate è prioritario rivedere i processi produttivi e di consumo adottando tecnologie, spesso già disponibili, che possono ridurre il consumo energetico e gli sprechi
senza rallentare la crescita, investendo in innovazione, ricerca e sviluppo di fonti di energia a
basso impatto ambientale.
Nei paesi in via di sviluppo adottare sin da ora strategie di crescita verde è cruciale poiché
molte delle infrastrutture necessarie saranno costruite nei prossimi anni. In Africa, ad esempio,
solo il 25 per cento della popolazione ha accesso all’energia elettrica. La crescita del consumo di
9. Ad esempio l’UNEP, l’OCSE, il Gruppo Banca Mondiale, il Global Green Growth Institute, la BEI e la BERS, oltre che numerose agenzie di sviluppo nazionali e istituzioni di ricerca.
10. Banca Mondiale, Inclusive Green Growth, 2012; OCSE, Green Growth and Development Report, 2012.
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energia dovrà essere supportata da tecnologie a basso costo e a impatto ambientale contenuto11.
La rapida urbanizzazione in molti paesi è un’occasione per progettare sin dall’inizio città più efficienti dal punto di vista dell’ambiente e del consumo energetico. Oltre a evitare la
formazione di ghetti caratterizzati da degrado sociale e ambientale, la pianificazione urbana
può tener conto delle implicazioni sui costi di trasporto di modelli alternativi e ridurre le
emissioni di gas serra.
È necessaria anche una gestione più efficiente delle risorse idriche, sia in agricoltura sia
negli altri settori, e l’adozione di metodi sostenibili per lo smaltimento dei rifiuti e la depurazione delle acque. Nei paesi più poveri migliorare l’accesso all’acqua potabile non solo beneficia
la salute, ma ha positivi effetti indiretti sullo sviluppo complessivo: ad esempio, in Yemen,
Marocco, Pakistan e Nepal il miglioramento dell’accesso all’acqua per uso domestico ha comportato un aumento nel tasso di frequenza scolastica delle bambine12.
In tutti i paesi è necessario preservare la biodiversità. Gli ecosistemi sono un patrimonio
di tutta l’umanità e una risorsa economica per le comunità locali e forniscono servizi che, pur
avendo un valore fondamentale, vengono spesso sottovalutati. La loro gestione deve migliorare
cercando di dare un segnale del loro effettivo valore così evitando un utilizzo eccessivo che ne
potrebbe compromettere gli equilibri.
Come spostarsi su di un sentiero di crescita verde?
Per muovere verso un sentiero di crescita verde è necessario che le azioni di politica economica si ispirino a tre linee guida fondamentali: riconoscere e misurare il valore delle risorse
naturali e dell’ambiente, minimizzare i costi della transizione, tenere in considerazione che le
conseguenze delle nostre azioni sono in alcuni casi irreversibili.
Misurare il valore delle risorse naturali
Oggi per valutare l’andamento dell’economia ci si concentra sul concetto di reddito trascurando quello di ricchezza. Questo tipo di misura non fornisce indicazioni sulla possibilità
per le generazioni future di ricevere una quantità di ricchezza tale da mantenere un livello di
benessere almeno pari a quello di cui godono le generazioni attuali. Per valutare se la crescita è
sostenibile occorre dunque valutare l’andamento della ricchezza complessiva, soprattutto quella che si fonda sugli asset naturali, le cui componenti possono non essere sostituibili. Ignorare
la dinamica della ricchezza è come gestire il bilancio di un’azienda prestando attenzione al solo
conto economico trascurando lo stato patrimoniale.
La ricchezza di una collettività non include solo il capitale fisico ma anche il capitale
naturale, il capitale umano e le infrastrutture immateriali. Il capitale naturale comprende le ri11. Le Nazioni Unite hanno lanciato l’iniziativa Sustainable Energy for All, mirata a garantire l’accesso all’energia elettrica entro
il 2030 in partnership con il settore privato.
12. G. Koolwal, D. van de Walle, Better Access to Water Raises Welfare, But Not Women’s Off-Farm Work, Economic Premise N. 67,
Ottobre 2011, Banca Mondiale.
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sorse minerarie ed energetiche, le foreste, i terreni coltivabili, l’acqua e le risorse ittiche. Include
anche gli ecosistemi che producono servizi poco visibili (ad esempio l’accesso ad aria e acqua
pulita, la ricostituzione delle riserve idriche sotterranee, la protezione dalle inondazioni, l’assorbimento di gas serra, il processo di impollinazione e la biodiversità), il cui valore economico
non è facile da misurare.
Tuttavia è uno sforzo da compiere perché attribuire un valore esplicito agli ecosistemi
permette di valutare le conseguenze di diverse strategie di crescita, dando indicazioni ai governi
sulle conseguenze del modello di sviluppo adottato.
L’analisi delle caratteristiche e dell’uso del capitale naturale è una fase importante per la
valutazione della sostenibilità economica. Un paese che estrae risorse minerarie per finanziare
i consumi ma non investe in altre forme di capitale lascerà le generazioni future più povere.
Le Nazioni Unite hanno raggiunto un consenso sui criteri per un sistema integrato di
contabilità economica e ambientale che però ancora pochi paesi stanno adottando.
Minimizzare i costi della transizione
La seconda linea guida richiede di minimizzare i costi della transizione, scegliendo interventi che generino benefici tangibili e vicini nel tempo. Per esempio si possono adottare politiche volte a conseguire una maggiore efficienza energetica, con effetti positivi sulla riduzione
delle emissioni ma anche sulla spesa di famiglie e imprese, sulla resistenza ai disastri ambientali
e sulla gestione dell’acqua in agricoltura, a beneficio delle comunità locali. Queste politiche, di
norma, creano consenso da parte delle collettività interessate.
Attenzione all’irreversibilità
È infine necessario evitare di intraprendere azioni che possano avere conseguenze irreversibili. Le risorse per le strategie di crescita verde sono limitate e i problemi complessi.
Occorre pertanto che le iniziative si concentrino dove è più urgente intervenire per prevenire
danni irreversibili, ad esempio nel mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2
gradi centigradi, nella gestione sostenibile della pesca e delle foreste, o nella pianificazione
urbana e dei trasporti.
Uno degli aspetti più dibattuti riguarda il costo, in termini di minor crescita, della sostenibilità ambientale che viene considerato da alcuni commentatori troppo elevato, sia per i paesi
in via di sviluppo sia per i paesi economicamente avanzati soprattutto in una fase di consolidamento delle finanze pubbliche. Una valutazione rigorosa necessiterebbe di dati probabilmente
non disponibili e di un confronto tra i costi e i benefici delle strategie verdi rispetto ad altri modelli. Analisi riferite a circa 40 paesi mostrano che i costi del degrado ambientale sono in media
valutabili in circa l’8 per cento del PIL13 e quindi non solo riducono il benessere delle persone
ma vanno a sottrarre importanti risorse alla crescita. Inoltre, in tutte le economie, politiche di
sussidio che hanno effetti negativi sull’ambiente (ad esempio quelle a sostegno dei combustibili
fossili valutate nell’ordine dei 600 miliardi di dollari nel 2010) assorbono risorse considerevoli,
13. V. Banca Mondiale , Inclusive Green Growth, 2012; L. Croitoru, M. Sarraf eds., The Cost of Environmental Degradation: Case
Studies from the Middle East and North Africa, Banca Mondiale, 2010.
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che non solo danno un segnale di prezzo scorretto ma sottraggono un importante volume di
risorse che potrebbero essere reindirizzati verso l’economia verde.
L’attenzione all’ambiente non sembra quindi implicare un rallentamento della crescita
economica ma potrebbe costituire un’irripetibile opportunità. Secondo alcuni osservatori la
crescita verde avrebbe un impatto positivo non solo sul capitale naturale ma anche sugli altri
fattori della produzione e sul grado di innovazione tecnologica14. Pur con la prudenza richiesta da un così significativo cambio di paradigma15, una crescita più verde potrebbe stimolare
cambiamenti di ampia portata, oggi non prevedibili. Come è stato nelle precedenti rivoluzioni
tecnologiche e produttive, i benefici potrebbero superare di gran lunga i costi iniziali.
Evidenze non sistematiche mostrano che in diversi paesi interventi di “re-greening” hanno
migliorato la produttività in agricoltura e reso le coltivazioni più resistenti alla siccità. In Niger
e in Cina, ad esempio, interventi mirati ad arrestare la desertificazione e ritrasformare terreni
degradati da un eccessivo sfruttamento hanno comportato un aumento della produttività, della
resilienza dei terreni ai fenomeni di erosione, del reddito delle popolazioni interessate. In Brasile e Zambia l’applicazione di tecniche di agricoltura conservativa ha migliorato i rendimenti
e ripristinato la qualità del suolo in diverse aree, mentre in Etiopia la riforestazione di ampie
aree ha contribuito ad accrescere il benessere delle famiglie e creato le premesse per il recupero
dell’habitat di molte specie locali16. Strategie ad ampio raggio, ad esempio, quella adottata dal
Botswana, permettono di utilizzare i ricavi dell’estrazione delle risorse minerarie per incrementare il capitale fisico e umano e contribuire a una strategia di sviluppo sostenibile.
Uno dei problemi principali che si incontrano risiede nella difficoltà di predisporre strumenti idonei a finanziare la costruzione di infrastrutture con minore impatto ambientale i
cui costi iniziali, a fronte di benefici diluiti nel tempo, possono apparire elevati. Le istituzioni
internazionali hanno avviato iniziative per venire incontro alle esigenze finanziarie dei paesi in
via di sviluppo e coinvolgere il settore privato, ma occorrono ulteriori sforzi.
Anche la difficoltà di modificare i comportamenti costituisce un importante limite allo
sviluppo dell’economia verde. Incidere sui comportamenti, sull’inerzia di cittadini e istituzioni
non è facile, si devono attivare azioni articolate e incisive utilizzando l’informazione, il sistema
dei prezzi e, dove necessario, regole e standard ambientali. La diffusione dell’informazione in
particolare attraverso l’uso delle tecnologie informatiche, può favorire la partecipazione dei
cittadini al dibattito pubblico e far sì che i consumatori stessi promuovano l’adozione di tecnologie e comportamenti più sostenibili da parte di cittadini, imprese e settore pubblico.
Conclusioni
La sostenibilità ambientale, promossa da una crescita verde ed inclusiva, va perseguita
14. Per una discussione dei canali si veda ad esempio S. Hallegatte, S. G. Heal, M. Fay, D. Treguer, From Growth to Green
Growth: A Framework, World Bank, Policy Research Working Paper 5872, Novembre 2011.
15. M. Toman, Green Growth: An Exploratory Review, World Bank, Policy Research Working Paper 6067, Maggio 2012.
16. Banca Mondiale, Inclusive Green Growth, 2012.
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congiuntamente alla sostenibilità economica e sociale. L’obiettivo ultimo è il miglioramento
delle condizioni di vita, definite in modo ampio, dell’umanità presente e futura. La scienza
economica dimostra l’importanza di investire, oltre che nelle tradizionali forme di ricchezza,
in capitale naturale, salute e istruzione e di attivare le politiche necessarie a questo scopo.
L’ecologia permette di comprendere le implicazioni delle azioni umane sull’ambiente e sulla
sostenibilità degli ecosistemi.
Analisi basate su entrambe queste discipline suggeriscono che le risorse di cui l’umanità
dispone debbano essere utilizzate secondo criteri di efficienza e di equilibrio in un’ottica di
lungo periodo. Tuttavia, non è in queste discipline che va ricercato il fondamento del principio
secondo cui tali risorse debbano essere utilizzate per migliorare le condizioni di vita di tutti,
tenendo presente l’equità sia tra individui della generazione presente sia tra diverse generazioni.
Il tema dell’equità richiama il primato dell’etica, la centralità della persona umana.
La crisi economica, ambientale e sociale rappresenta un’occasione per una riflessione più
ampia sui concetti di sviluppo e di benessere. Ad esempio, i paesi del G20 hanno recentemente
introdotto nella cornice di crescita “robusta, sostenibile e bilanciata” una nozione di crescita
verde che esplicita l’aspetto di inclusione tra le priorità per lo sviluppo. L’OCSE si interroga
sulla qualità della vita, con un’iniziativa su “Better Life”.
Nel concetto di sviluppo vengono sempre più considerate dimensioni come il benessere
e la qualità della vita degli individui17. Assume rilevanza anche l’aspetto distributivo, della
ricchezza, del prodotto, ma soprattutto delle capacità degli individui – capabilities nella definizione di Amartya Sen – di affermarsi come persone18.
Il perseguimento della sostenibilità ambientale, attraverso la crescita verde, può contribuire a sua volta a rafforzare il pilastro della sostenibilità sociale. Una maggiore attenzione per
l’ambiente tende infatti ad accrescere il senso di appartenenza degli individui alla comunità, a
coinvolgere la società civile e il settore privato nel perseguimento di obiettivi comuni, a stimolare la collaborazione tra paesi, promuovendo un modello di economia maggiormente solidale.
17. Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress, Settembre 2009.
18. Questa concezione più ampia di benessere è in parte riflessa nella nozione di Human development suggerita dal premio Nobel
per l’economia Amartya Sen e adottata dalle Nazioni Unite.
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