IPSAA “U. Patrizi” – Città di Castello (PG)
Classe 5A Tecnico Agrario
Lezione di mar. 13 Ottobre 2015 (1° ora) – Disciplina: STORIA
L’Italia dopo il ‘48
Percorso compositivo
1) Gli Stati italiani dopo il fallimento dei moti del 1848 e la funzione del Regno di Sardegna,
punto di riferimento del movimento risorgimentale.
2) La strategia politica di Cavour.
3) La guerra di Crimea e gli accordi di Plombières.
4) La spedizione dei Mille e la proclamazione del Regno d’Italia.
Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del 1848, gli Stati regionali italiani attuarono una rapida
cancellazione di tutto quanto avesse un pur vago rapporto con le ideologie democratiche e liberali
chiudendosi, spesso, in uno sterile immobilismo economico. Unica eccezione fu il Regno di Sardegna
che, seppur cautamente, mantenne le libertà costituzionali precedentemente conquistate e attuò
alcune riforme sociali ed economiche, per la promozione delle quali risultò determinante l’intelligenza
politica di Cavour. Il Piemonte diventò in tal modo il punto di riferimento del movimento
risorgimentale e legittimò la monarchia sabauda nella sua aspirazione a dare un’impronta monarchica
al nascente Stato italiano. In un primo momento sembrava che le forze conservatrici, tornate al potere
dopo il 1848, sarebbero riuscite a impedire ogni processo di unificazione, anche perché la borghesia,
spaventata dal corso rivoluzionario che poteva assumere il movimento risorgimentale, preferiva
stabilire compromessi anche con le forze assolutiste, sicura di poter svolgere gradualmente una reale
supremazia. Su tutto, poi, incombeva la presenza vigile e la forza repressiva dell’Austria, per la quale
ogni mutamento internazionale avrebbe potuto irrimediabilmente mettere in crisi il suo impero
multinazionale. A rendere ancora più immobile la situazione contribuiva il Papato, che condannava
apertamente ogni soluzione diversa dalla tradizionale alleanza tra trono e altare.
La società italiana del decennio preunitario ebbe uno sviluppo economico non egualmente distribuito
nella penisola e comunque meno intenso rispetto ai Paesi europei più evoluti. In Lombardia, ad
esempio, si attivò un articolato sistema economico e bancario, pur frenato dalla politica fiscale
austriaca; ma fu soprattutto il Regno di Sardegna a presentare una situazione economica e politica ben
più favorevole che nel resto d’Italia.In Piemonte, infatti, restarono in vigore le libertà costituzionali e si
creò un clima di tolleranza, tanto che vi trovarono asilo alcuni grandi patrioti risorgimentali come
Francesco de Sanctis e Bertrando Spaventa, costretti a fuggire dal repressivo regime borbonico. Qui
vennero anche attuate riforme sociali ed economiche che portarono alla costruzione di una
significativa rete di infrastrutture e alla modernizzazione della produzione agricola. Protagonista della
vita politica piemontese di questi anni fu Camillo Benso, conte di Cavour, esponente di quella corrente
liberal-moderata interessata a contrastare tanto le forze conservatrici quanto i gruppi democratici e
repub-blicani. Imprenditore agricolo, con grandi esperienze internazionali, per i suoi frequenti viaggi
di studio giovanili, attento alle problematiche dell’innovazione tecnologica e dell’organizzazione
produttiva, Cavour aderì alle concezioni economiche del libero scambio e perseguì la politica del
«giusto mezzo», ossia la strada di un mutamento graduale e non traumatico della situazione italiana.
Entrato nel Parlamento sabaudo nel 1849, si mise subito in luce per il so-stegno dato all’approvazione
delle leggi Siccardi, le quali eliminavano alcuni privilegi ecclesiastici, come il diritto del clero a un
proprio tribunale o la possi-bilità di colpire coloro i quali non osservavano le feste religiose. Fece poi
parte del governo D’Azeglio del 1850, quale ministro dell’agricoltura e delle finanze, riuscendo a
stringere accordi commerciali con Francia e Inghil terra, quindi assunse direttamente la guida del
governo piemontese nel 1852, in seguito ad una spregiudicata alleanza con Rattazzi, leader delle forze
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di centro-sinistra. La partecipazione alla guerra di Crimea, nel 1855, gli valse la possibilità di
partecipare al congresso di Parigi nel ’56 e in quel contesto cercò di sensibilizzare le potenze europee
liberali alla questione italiana. Era chiaro fin d’allora che lo statista piemontese pensava ad una
unificazione italiana guidata dalla monarchia sabauda e sostenuta dalla Francia.In tal modo Cavour,
che già nel 1847 aveva fondato con Cesare Balbo il quotidiano liberale «Il Risorgimento», sul quale
sostenne la necessità dello Statuto e della guerra contro l’Austria (’48), diventò sempre più il punto di
riferimento del movimento patriottico nazionale, soprattutto dopo gli insuccessi dei tentativi
insurrezionali organizzati da democratici e repubblicani tra il 1852 e il 1857.
Proprio in quest’ultimo anno, infatti, nacque la Società Nazionale, alla quale aderirono non solo i
liberal-monarchici, ma anche ex repubblicani come Garibaldi e Manin. Gli accordi segreti di Plombières
suggellavano l’alleanza franco-piemontese che, nonostante le incertezze di Napoleone III, dette i primi
frutti con la sconfitta austriaca durante la II guerra d’indipendenza. La Lombardia prima, le regioni
dell’Italia centra le poi, venivano annesse al Regno di Sardegna e Cavour poteva così raccogliere i primi
successi della sua lungimirante politica. L’incapacità del Piemonte di rimuovere gli ostacoli che ancora
permanevano sulla strada dell’unificazione consentì la ripresa dell’iniziativa repubblicana, che si
concretizzò con l’insurrezione di Palermo dell’aprile 1860 e con la «spedizione dei Mille» del mese
successivo. Il successo di Garibaldi, che nel settembre del 1860 giungeva a Napoli e si apprestava a
marciare su Roma, allarmò la monarchia piemontese. Cavour comprese che erano in gioco i futuri
assetti politici dell’Italia unitaria e temeva la reazione internazionale in caso di attacco allo Stato
Pontificio. Così, mentre Vittorio Emanuele incontrava Garibaldi a Teano, egli conquistava le simpatie
della borghesia italiana puntando ad una immediata annessione anche del Mezzogiorno al Regno
Sabaudo. In questo modo spuntava le armi dei repubblicani, che chiedevano a gran voce un’assemblea
costituente, e rassicurava la diplomazia internazionale. Nel marzo del 1861, il primo Parlamento
italiano proclamava il Regno d’Italia guidato da Vittorio Emanuele II. Il programma di Cavour, di una
nazione indipendente, monarchica e basata su un cauto liberalismo, trovava piena attuazione e con
esso si realizzavano le aspirazioni dei Savoia.
Massimo d'Azeglio
Massimo d'Azeglio, nacque a Torino il 24 ottobre 1798 dal marchese Tapparelli d'Azeglio e da Cristina
Morozzo di Bianzè, dopo i fratelli Roberto, Prospero, Luigi ed Enrico che si spense giovanissimo.
Bambino, visse esule con la famiglia a Firenze, durante l'occupazione francese del Piemonte e, dopo la
caduta di Napoleone, frequentò giovanissimo l'Università di Torino. Era stato sottoposto ad
educazione severa e, nell'acquistata libertà, reagì, vivendo in modo disordinato. Tornò a Torino e fu
sottotenente di cavalleria nel reggimento Piemonte Reale. Sentì ben presto vocazione alla pittura e per
educarsi all'arte, tornò a Roma per studiare pittura sotto il Verstappen. Non contento di esercitarsi con
il pennello, tesseva poemi cavallereschi, tragedie e commedie.
Intanto si andava formando in lui l'uomo d'ordine, di disciplina, nemico di ogni furberia e d'ogni
violenza, l'uomo della legalità, tanto che né le notizie dei moti di Napoli né quelle dei moti del
Piemonte lo commossero troppo.
Educato dal contatto di uomini d'ogni classe sociale e specialmente dalla conoscenza di popolani, egli,
che già da bambino si era a Firenze "spiemontizzato", finì col farsi veramente italiano. La passione
politica nacque in lui tra il 1843 e il 1844in seguito alla freuqentazione del cugino Cesare Balbo, che
incoraggiò a scrivere le "Speranze d'Italia". Alla fine del 1844 Massimo d'Azeglio è a Roma, chiamatovi
da un amico; per un'ironia della sorte, colui che sarebbe diventato nemico delle sette e delle società
segrete si trovò ad avere convegni segreti con alcuni patrioti che l'invitavano a capeggiare, nientemeno
che il movimento liberale, il quale, dopo le ultime fallite insurrezioni, era disunito e sbandato. Massimo
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accettò e in un avventuroso viaggio di esplorazione, con l'apparenza di un divertimento turistico per
scopi d'arte, visitò la Romagna, le Marche, la Toscana, e conobbe così l'Italia carbonara e mazziniana;
ad essa predicò però la distruzione delle sette, la necessità della silenziosa disciplina, la fiducia in Carlo
Alberto, la pazienza dell'attesa.
Il moto scoppiato a Rimini nel settembre del 1845 diede occasione a d'Azeglio di entrare arditamente e
apertamente nella lotta: il suo opuscolo "Gli Ultimi casi di Romagna" (stampato a Torino nel 1846)
scoppiò come una bomba: disapprovazione delle congiure segrete ed esortazione agli Italiani a
confidare, appunto, in Carlo Alberto, il solo principe disposto a combattere contro l'Austria. Inoltre,
con questo strumento, d'Azeglio cercava di dimostrare la necessità di un nuovo metodo di lotta per la
liberazione nazionale, fondato non più sulle società segrete, ma su una specie di "cospirazione alla luce
del sole".
Alla morte di Gregorio XVI, d'Azeglio corse nuovamente a Roma, dove fu testimone degli entusiasmi
per Pio IX e partecipò alle speranze di tutti: era il momento giusto per l'idea liberale, moderata,
legalitaria. Egli invocava i principi a cooperare strettamente uniti, con politica moderata, per il bene
della nazione, su basi di verità e giustizia, promovendo l'educazione morale degli Italiani, ma l'inazione
di Carlo Alberto, sul quale egli contava molto, lo deluse fortemente.
Gli fu offerta la presidenza del Ministero toscano, ma dopo la pubblicazione di una delle sue opere fu
allontanato da Firenze. Successivamente, a Torino, nella discussione che si faceva tra chi voleva
riprendere la guerra e chi voleva la pace, egli fu per la pace, e per questo motivo non accettò l'offerta
fattagli dal re di formare il ministero. Solo dopo Novara accolse l'invito di re Vittorio Emanuele e il 7
maggio 1849 fu nominato presidente del consiglio. Avrebbe governato dal 1849 al 1852, proponendosi
come obiettivi primari la pace con l'Austria, l'intesa con la Francia e l'Inghilterra, la difesa della
costituzione, riforme interne. Quando la nuova camera eletta nel '49 si dimostrò ostile alla pace e non
approvò il trattato di pace egli ne ottenne lo scioglimento dal re. Pochi mesi dopo lo Statuto fu salvo;
tuttavia con l'elezione del Rattazzi alla presidenza della Camera, d'Azeglio presentò le dimissioni. Egli
lasciò così la vita politica rattristato un po' dai cambiamenti nella situazione e nell'opinione pubblica:
poteva però dirsi soddisfatto d'aver conservato lo Statuto.
Successivamente partecipò ancora attivamente alla vita politica ma ben presto si rese conto di essere
troppo lontano dalle correnti dominanti: era un solitario, trascurato ed incompreso. Si dedicò così
all'educazione degli Italiani attraverso le sue opere letterarie.
Camillo Benso Conte di Cavour
Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, nobile dei Marchesi di Cavour, di Isolabella e di Leri, Fu, piu’ di
chiunque altro, l’artefice dell’Italia Unita. Ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, Capo del
governo dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Lo stesso 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia,
divenne il primo Presidente del Consiglio del nuovo Stato e con tale carica morì.. Contrastò
apertamente le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e spesso si trovò in urto con Giuseppe Garibaldi
della cui azione temeva il potenziale rivoluzionario. In politica estera coltivò con abilità l’amicizia con
la Francia grazie alla quale ottenne l’espansione territoriale del Piemonte in Italia settentrionale e in
Toscana.
Benché non avesse un disegno di unità nazionale preordinato riuscì con successo a gestire gli eventi
che portarono alla formazione del Regno d’Italia.
La famiglia e la giovinezza
Camillo nacque il 10 agosto 1810, in una famiglia della nobilta’ piemontese. Sua madre, Adele de
Sellon, apparteneva ad una ricca famiglia di Ginevra.
Il giovane si dedicò ben presto, per interessi personali e per educazione familiare, alla causa del
progresso europeo. Fra i suoi ispiratori fu il filosofo inglese Jeremy Bentham ed il suo Traité de
législation civile et pénale, in cui si enunciava il principio politico.
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La sua formazione internazionale si perfeziono’ dal 1834, quando prese a viaggiare all'estero
studiando lo sviluppo economico di paesi largamente industrializzati come Francia e Gran Bretagna.
Durante questo periodo il giovane conte sviluppò quella propensione conservatrice che lo
accompagnerà per tutta la vita, ma al tempo stesso sentì fortemente crescere l’interesse e l’entusiasmo
per il progresso dell’industria e per il libero scambio.
Gli esordi in politica
Fra il ritorno dai viaggi all’estero nel giugno del 1843 e l’ingresso al governo nell’ottobre del 1850,
Cavour si dedicò ad una nutrita serie di iniziative nel campo dell’agricoltura, dell’industria, della
finanza e della politica.
Importante possidente terriero, Cavour, contribuì alla costituzione dell’Associazione agraria che si
proponeva di promuovere le migliori tecniche e politiche agrarie, per mezzo anche di una Gazzetta che
fin dall’agosto 1843 pubblicava i suoi articoli. Le sue idee vennero applicate, con successo, nella sua
tenuta di Leri.
Contemporaneamene, mette a fuoco il suo progetto politico, incentrato sull’idea che, senza alcun
bisogno di una rivoluzione, il progresso della civilta’ cristiana e l’eredtaa’ dell’Illuminismo sarebbero
sfociati, secondo il conte, in una crisi politica di cui l’Italia era chiamata a profittarne.
Scrive in questi anni: «La storia di tutti i tempi prova che nessun popolo può raggiungere un alto grado
di intelligenza e di moralità senza che il sentimento della sua nazionalità sia fortemente sviluppato: in
un popolo che non può essere fiero della sua nazionalità il sentimento della dignità personale esisterà
solo eccezionalmente in alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni più
umili della sfera sociale hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale per acquistare la
coscienza della propria dignità».
Nel 1848, allo scoppiare della crisi dei moti di Vienna e Milano, Cavour sostenne la necessità di
dichiarare guerra all’Austria come soluzione al pericolo rivoluzionario che minacciava il Piemonte. Ma
gia’ nel 1847 aveva fatto la sua comparsa ufficiale sulla scena politica come fondatore, assieme al
cattolico liberale Cesare Balbo, del periodico Risorgimento, di cui assunse la direzione. Il giornale,
costituitosi grazie ad un ammorbidimento della censura di Re Carlo Alberto, si schierò a favore di una
costituzione. Lo Statuto Albertino, promulgato successivamente, non lo soddisfaceva pienamente,
nonostante la longevita’ di questa carta ottriata.
Il 23 marzo1848 Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria, ma gli insuccessi militari lo spingono ad
impegnarsi in prima persona nel Parlamento e nel governo. Tre mesi dopo l’ingresso in guerra, si
candida ala Camera dei Deputati, dove si schiera a destra contro il governo di Balbo. L’armistizio di
Salasco apre una fase in cui la sua linea trattati vista con l’Austria lo mette in contrasto con Gioberti,
leader degli intransigenti che volevano continuare le ostilita’ ad ogni costo. E’ in questa fase che si
convince come la via del rafforzamento del Piemonte passasse attraverso le grandi capitali europee, a
cominciare da Londra e Parigi. E, quando riprendono le ostilita’ contro l’Austria, si schiera con quanti
appoggiano l’intervento.
Capo della maggioranza anticlericale
Dopo Novara Carlo Alberto abdica, per ritirasi in Portogallo. Gli succede il figlio Vittorio Emanuele, con
cui Cavour instaurera’ un rapporto politico e personale tanto fruttuoso quanto contrastato. Il Conte si
espone in favore di un rapido raggiungimento della pace con l’Austria, mentre viene riconfermato nel
suo seggio parlamentare.
Contemporaneamente si mette in evidenza anche per le sue doti di abile operatore finanziario. Egli
ebbe infatti una parte di primo piano nella fusione della Banca di Genova e della nascente Banca di
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Torino nella Banca Nazionale degli Stati Sardi. La sua posizione in politica aumenta
considerevolmente, e lui la gioca per staccare il Piemonte dall’asse moderati-cattolici che regola la
politica negli stati italiani. E’ il periodo delle cosiddette Leggi Siccardi, che abolivano molti privilegi del
clero e suscitarono un aspro scontro con la stessa Roma papalina. In questo clima si arrivera’
all’arresto dell’arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni.
A Cavour si aprono le porte del governo.
Ministro del Regno di Sardegna
Fra i primi incarichi affidatigli il dicastero del commercio e dell’agricoltura. Conclude un accordo per il
libero scambio commerciale con la Francia, apre negoziati con Gran Bretagna e Belgio. Il regno di
Sardegna diviene una potenza liberista.
Nello stesso periodo a Cavour viene affidato anche l’incarico di Ministro della Marina. Introduce la
navigazione a vapore e plasma la marina militare piemontese sul modello della piu’ avanzata marina
italiana dell’epoca, quella del Regno delle Due Sicilie.
Nel 1851 un ulteriore salto: diviene ministro delle finanze al posto di Giovanni Nigra. Con il Piemonte
pressato dai debiti di guerra e dalle riparazioni da pagare all’Austria, Cavour ottenne un importante
prestito dalla Bank of Hambro, primo passo per migliorare il bilancio statale grazie anche ad un’unica
imposta sul reddito su tutti gli enti morali.
Il rigore viene conougato con lo sviluppo e la spesa pubblica per la realizzazione di infrastrutture quali
i collegamenti ferroviari e marittimi. L’evoluzione economica del Regno di Sardegna marcia di pari
passo con un’altrettanto interessante evoluzione politica, che passerà alla storia come “Connubio”. Si
tratta dell’abbandono dell’alleanza con la destra di Massimo D’Azeglio per avviare l’alleanza con la
sinistra di Urbano Rattazzi. Sulle prime pero’ il progetto politico sembra non funzionare, e lo stesso
Cavour lascia la poltrona ministeriale per partire per unviaggio in Europa.
Il ritorno non si fa attendere. Non finisce l’anno, il 1852, che Cavour e’ Presidente del Consiglio. Nel
frattempo la sua presenza a Parigi e Londra ne ha rafforzato i contatti internazionali.
Il primo governo Cavour (1852-1855)
Dopo pochi giorni dal ritorno di Cavour a Torino, il 22 ottobre 1852, D'Azeglio, a capo di un debole
esecutivo che aveva scelto di continuare una politica anticlericale, diede le dimissioni.
Vittorio Emanuele II chiese a Cavour di formare un nuovo governo, a condizione che il conte
negoziasse con lo Stato Pontificio le questioni rimaste aperte, prima fra tutte quella dell’introduzione
in Piemonte del matrimonio civile. Cavour rispose che non avrebbe potuto cedere di fronte al papa e
indicò in Cesare Balbo il successore di D’Azeglio. Balbo non trovò l’accordo con l’esponente di destra
Revel e il re fu costretto a tornare da Cavour. Costui accettò allora di formare il nuovo governo il 2
novembre 1852, promettendo di far seguire alla legge del matrimonio civile il suo normale decorso
$$parlamentare (senza porre cioè la fiducia).
Costituito due giorni dopo il suo primo governo, Cavour si adoperò con passione a favore del
matrimonio civile che però fu respinto al Senato costringendo il conte a rinunciarvi.
Intanto il movimento repubblicano che faceva capo a Giuseppe Mazzini non smetteva di preoccupare
Cavour: il 6 febbraio 1853 una sommossa scoppiò contro gli austriaci a Milano e il conte, temendo
l’allargarsi del fenomeno al Piemonte, fece arrestare diversi mazziniani (fra cui Francesco Crispi). Tale
decisione gli attirò l’ostilità della Sinistra, specie quando gli austriaci lo ringraziarono per gli arresti.
Quando però, il 13 febbraio, il governo di Vienna stabilì la confisca delle proprietà dei rifugiati
lombardi in Piemonte, Cavour protestò energicamente richiamando l’ambasciatore sardo.
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Le riforme della finanza e del codice penale
Obiettivo principale del primo governo Cavour fu la restaurazione finanziaria del Paese. Per tentare di
raggiungere il pareggio il conte prese varie iniziative: innanzi tutto fu costretto a ricorrere
nuovamente ai banchieri Rothschild poi, richiamandosi al sistema francese, sostituì alla dichiarazione
dei redditi l’accertamento giudiziario, fece massicci interventi nel settore delle concessioni demaniali e
dei servizi pubblici, e riprese la politica dello sviluppo degli istituti di credito.
D'altro canto il governo effettuò grandi investimenti nel settore delle ferrovie, proprio quando, grazie
alla riforma doganale, le esportazioni stavano avendo un aumento considerevole. Nonostante ciò ci
furono notevoli resistenze ad introdurre nuove imposte fondiarie e, in generale, nuove tasse che
colpissero il ceto di cui era composto il Parlamento.
Cavour, in effetti, non riuscì mai a realizzare le condizioni politiche che gli consentissero una base
finanziaria adeguata alle sue iniziative.
Il 19 dicembre 1853, si parlò di “quasi restaurate finanze”, benché la situazione fosse più seria di
quanto annunciato, anche per la crisi internazionale che precedette la Guerra di Crimea. Cavour di
conseguenza si accordò ancora con i Rothschild per un prestito, ma riuscì anche a collocare presso il
pubblico dei risparmiatori, con un netto successo politico e finanziario, una buona parte del debito
contratto.
Il consenso politico non gli mancava. Alle elezioni dell’8 dicembre 1853 furono eletti 130 candidati
dell'area governativa, 52 della sinistra e 22 della destra. Nonostante ciò, per replicare all’elezione di
importanti politici avversari il conte sviluppò un’offensiva politica sull’ordinamento giudiziario che la
crisi economica non gli permetteva di concentrare altrove. Fu deciso, anche per recuperare parte della
Sinistra, di riprendere la politica anticlericale.
A tale riguardo il Ministro della Giustizia Urbano Rattazzi, all’apertura della V legislatura presentò una
proposta di legge sulla modifica del codice penale. il nucleo della proposta consisteva in nuove pene
previste per i sacerdoti che, abusando del loro ministero, avessero censurato le leggi e le istituzioni
dello Stato. La norma fu approvata alla Camera a larga maggioranza (raccogliendo molti voti a Sinistra)
e, con maggiore difficoltà, anche al Senato.
Furono successivamente adottate modifiche anche al codice di procedura penale e fu ultimato il
percorso per l’approvazione del codice di procedura civile.
L'intervento nella Guerra di Crimea
Cavour accolse l’invito di Gran Bretagna e Francia a partecipare alla Guerra di Crimea. Il corpo di
spedizione piemontese si distinse nella Battaglia della Cernaia (nel dipinto), consentendo di porre la
Questione italiana a livello europeo.
Nel 1853 si sviluppò una crisi europea scaturita da una disputa religiosa fra l’Impero ottomano, già in
declino, e la Russia che aspirava alla protezione dei cristiani fra le popolazioni turche dei Balcani.
Queste aspirazioni provocarono l’ostilità del governo inglese che sospettava che la Russia volesse
conquistare Costantinopoli e interrompere la via terrestre per l’India britannica. La Francia a sua volta,
desiderosa di interrompere il suo isolamento, si schierò con la Gran Bretagna.
Il 1º novembre 1853 la Russia dichiarò guerra all’Impero ottomano e il 28 marzo 1854 la Gran
Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Russia. La questione, per le opportunità politiche che
potevano presentarsi, cominciò ad interessare Cavour. Costui, nell’aprile 1854, rispose alle richieste
dell’ambasciatore inglese, Sir James Hudson, affermando che il Regno di Sardegna sarebbe intervenuto
nella guerra se anche l’Austria avesse attaccato la Russia, di modo da non esporre il Piemonte
all’esercito asburgico.
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La soddisfazione degli inglesi fu evidente, ma per tutta l’estate del 1854 l’Austria rimase neutrale.
Infine, il 29 novembre 1854, il Ministro degli Esteri britannico Clarendon scrisse ad Hudson
chiedendogli di fare di tutto per assicurarsi un corpo di spedizione piemontese. Un incitamento
superfluo, poiché Cavour era già arrivato alla conclusione che le richieste inglesi e quelle francesi,
queste ultime fatte all’inizio della crisi a Vittorio Emanuele II, dovevano essere soddisfatte. Decise
pertanto di optare per l’intervento sollevando le perplessità del Ministro della Guerra La Marmora e
del Ministro degli Esteri Giuseppe Dabormida (1799-1869) che si dimise.
Assumendo anche la carica di Ministro degli Esteri, il conte, il 26 gennaio 1855, firmò l’adesione finale
del Regno di Sardegna al trattato anglo-francese. Il Piemonte avrebbe fornito 15.000 uomini e le
potenze alleate avrebbero garantito l’integrità del Regno di Sardegna da un eventuale attacco
austriaco. Il 4 marzo 1855 Cavour dichiarò guerra alla Russia e il 25 aprile il contingente piemontese
salpò da La Spezia per la Crimea dove arrivò ai primi di maggio. Il Piemonte avrebbe raccolto i benefici
della spedizione con la Seconda guerra di indipendenza, quattro anni dopo.
La legge sui conventi: la Crisi Calabiana
Papa Pio IX, che scomunicò Cavour dopo l'approvazione della Legge sui conventi.
Con l’intento di avvicinarsi alla Sinistra e ostacolare la Destra conservatrice che andava guadagnando
terreno a causa della crisi economica, il governo Cavour, il 28 novembre 1854 presentò alla Camera la
Legge sui conventi. La norma, nell’ottica del liberalismo anticlericale, prevedeva la soppressione degli
ordini religiosi non dediti all'insegnamento o all'assistenza dei malati. Durante il dibattito
parlamentare vennero attaccati, anche da Cavour, soprattutto gli ordini mendicanti come nocivi alla
moralità del Paese e contrari alla moderna etica del lavoro.
La forte maggioranza alla Camera del conte dovette affrontare l'opposizione del clero, del re e
soprattutto del Senato che in prima istanza bocciò la legge. Cavour allora si dimise (27 aprile 1855)
aprendo una crisi costituzionale chiamata crisi Calabiana dal nome del vescovo di Casale Luigi di
Calabiana, senatore e avversario del progetto di legge.
Il secondo governo Cavour (1855-1859)
La legge sui conventi: l’approvazione
Dopo qualche giorno dalle dimissioni, vista l’impossibilità a formare un nuovo esecutivo, il 4 maggio
1855, Cavour fu reintegrato dal re nella carica di Presidente del Consiglio. Al termine di giorni di
discussioni nei quali Cavour ribadì «la società attuale ha per base economica il lavoro», la legge fu
approvata con un emendamento che lasciava i religiosi nei conventi fino all'estinzione naturale delle
loro comunità. A seguito dell'approvazione della Legge sui conventi, il 26 luglio 1855 Papa Pio IX
emanò la scomunica contro coloro che avevano proposto, approvato e ratificato il provvedimento,
Cavour e Vittorio Emanuele compresi.
Al Congresso di Parigi e la politica estera successiva
Il Congresso di Parigi. Il primo delegato a sinistra è Cavour, il terzo Buol. Fra i personaggi al di qua del
tavolo il terzo seduto è Clarendon.
La Guerra di Crimea, vittoriosa per gli alleati, ebbe fine nel 1856 con il Congresso di Parigi al quale
partecipò
anche
l'Austria.
Cavour non ottenne compensi territoriali per la partecipazione al conflitto, ma una seduta fu dedicata
espressamente a discutere il problema italiano. In questa occasione, l’8 aprile, il Ministro degli Esteri
britannico Clarendon attaccò pesantemente la politica illiberale sia dello Stato Pontificio, sia del Regno
delle due Sicilie, sollevando le proteste del ministro austriaco Buol.
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Ben più moderato, lo stesso giorno, fu il successivo intervento di Cavour, incentrato sulla denuncia
della permanenza delle truppe austriache nella Romagna pontificia.
Fatto sta che per la prima volta la questione italiana venne considerata a livello europeo come una
situazione che richiedeva modifiche a fronte di legittime rimostranze della popolazione.
Fra Gran Bretagna, Francia e Piemonte i rapporti risultavano ottimi. Tornato a Torino, per l’esito
ottenuto a Parigi, Cavour, il 29 aprile 1856, ottenne la più alta onorificenza concessa da Casa Savoia: il
Collare dell’Annunziata. Quello stesso Congresso, tuttavia, avrebbe portato il conte a prendere
importanti decisioni, tali da dover fare una scelta: con la Francia o con la Gran Bretagna.
Si aprì, infatti, a seguito delle decisioni di Parigi, la questione dei due Principati danubiani. La Moldavia
e la Valacchia secondo Gran Bretagna, Austria e Turchia avrebbero dovuto rimanere divise e sotto il
controllo ottomano. Per Francia, Prussia e Russia, invece, si sarebbero dovute unire (nella futura
Romania) e costituirsi come Stato indipendente. Quest’ultimo particolare richiamò l’attenzione di
Cavour e il Regno di Sardegna si schierò per l’unificazione.
La reazione della Gran Bretagna contro la posizione assunta dal Piemonte fu molto aspra. Ma Cavour
aveva già deciso: fra il dinamismo della politica francese e il conservatorismo di quella britannica, il
conte aveva scelto la Francia.
D’altra parte l’Austria andava sempre più isolandosi e a consolidare il fenomeno contribuì un episodio
che il conte seppe sfruttare. Il 10 febbraio 1857 il governo di Vienna accusò la stampa piemontese di
fomentare la rivolta contro l’Austria e il governo Cavour di correità. Il conte respinse ogni accusa e il
22 marzo Buol richiamò il suo ambasciatore, seguito il giorno dopo da un’analoga misura del
Piemonte. Accadde così che l’Austria elevò una questione di stampa a motivo della rottura delle
relazioni con il piccolo Regno di Sardegna, esponendosi ai giudizi negativi di tutta la diplomazia
europea, compresa quella inglese, mentre in Italia si animavano maggiormente le simpatie per il
Piemonte.
Il miglioramento dell’economia e il calo dei consensi
A partire dal 1855 si registrò, d’altronde, un miglioramento delle condizioni economiche del Piemonte,
grazie al buon raccolto cerealicolo e alla riduzione del deficit della bilancia commerciale. Incoraggiato
da questi risultati, Cavour rilanciò la politica ferroviaria dando il via, tra l’altro, nel 1857 ai lavori del
traforo del Fréjus.
Il 16 luglio 1857 venne dichiarata anticipatamente la chiusura della V Legislatura, in una situazione
che, nonostante il miglioramento dell’economia, si presentava sfavorevole a Cavour. Si era diffuso,
infatti, un malcontento generato dall’accresciuto carico fiscale, dai sacrifici fatti per la Guerra di Crimea
e dalla mobilitazione antigovernativa del mondo cattolico. Il risultato fu che alle elezioni del 15
novembre 1857 il centro liberale di Cavour conquistò 90 seggi (rispetto ai 130 della precedente
legislatura), la destra 75 (rispetto ai 22) e la sinistra 21 (rispetto ai 52).
Il successo clericale superò le più pessimistiche previsioni di area governativa. Cavour decise di
rimanere al suo posto e la stampa liberale si scagliò contro la destra denunciando pressioni improprie
del clero sugli elettori. Ci fu una verifica parlamentare e per alcuni seggi assegnati vennero ripetute le
elezioni, che invertirono la tendenza: il centro liberale passò a 105 seggi e la destra a 60.
Lo scossone politico provocò comunque il sacrificio di Rattazzi, in precedenza passato agli Interni.
Costui, soprattutto, era inviso alla Francia per non essere riuscito ad arrestare Mazzini, giudicato
pericoloso per la vita Napoleone III. Rattazzi il 13 gennaio 1858 si dimise e Cavour assunse l’interim
dell’Interno.
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La strategia contro l'Austria e l'annessione della Lombardia
L’Imperatore Napoleone III di Francia e Cavour fomentarono l'Austria riuscendo a far scoppiare la
guerra nel 1859.
Suscitata l'attenzione delle potenze con il Congresso di Parigi sulla questione italiana, per affrontarla
era necessario l'appoggio della Francia di Napoleone III, conservatore all'interno, ma sostenitore di
una politica estera di grandezza.
Dopo una lunga serie di trattative, funestate dall’attentato di Felice Orsini a Napoleone III, si arrivò
finalmente, nel luglio 1858, agli accordi segreti di Plombières fra Cavour e l'imperatore francese ai
danni dell'Impero austriaco.
Tale intesa verbale prevedeva che, dopo una guerra che si auspicava vittoriosa contro l'Austria, la
penisola italiana sarebbe stata divisa in quattro stati principali legati in una Confederazione presieduta
dal papa: il Regno dell’Alta Italia sotto la guida di Vittorio Emanuele, il Regno dell’Italia centrale, lo
Stato Pontificio limitato a Roma e al territorio circostante e il Regno delle Due Sicilie. Firenze e Napoli,
avvenimenti locali permettendo, sarebbero passate nella sfera d’influenza francese.
Gli accordi di Plombières furono ratificati l'anno successivo dall'Alleanza sardo-francese, secondo la
quale in caso di attacco militare provocato da Vienna, la Francia sarebbe intervenuta in difesa del
Regno di Sardegna con il compito di liberare dal dominio austriaco il Lombardo-Veneto per cederlo al
Piemonte. In compenso la Francia avrebbe ricevuto i territori di Nizza e della Savoia, quest'ultima culla
della dinastia sabauda e, come tale, cara a Vittorio Emanuele II.
Dopo la firma dell'alleanza, Cavour escogitò una serie di provocazioni militari al confine con l’Austria
che, allarmata, gli lanciò un ultimatum chiedendogli di smobilitare l’esercito. Il conte rifiutò e l'Austria
aprì le ostilità contro il Piemonte il 26 aprile 1859, facendo scattare le condizioni dell'Alleanza sardofrancese.
Tuttavia i movimenti minacciosi dell’esercito prussiano convinsero Napoleone III, quasi con un atto
unilaterale, a firmare un armistizio con l'Austria a Villafranca l'11 luglio 1859, poi ratificato dalla Pace
di Zurigo, stipulata l'11 novembre. Le clausole del trattato prevedevano che a Vittorio Emanuele II
sarebbe andata la sola Lombardia e che per il resto tutto sarebbe tornato come prima.
Cavour, deluso e amareggiato dalle condizioni dell'armistizio, dopo accese discussioni con Napoleone
III e Vittorio Emanuele, decise di dare le dimissioni da Presidente del Consiglio, provocando la caduta
del governo da lui guidato il 12 luglio 1859.
Il terzo governo Cavour (1860-1861)
Nizza e Savoia per Modena, Parma, Romagna e Toscana
Già durante la guerra i governi e le forze dei piccoli Stati italiani dell’Italia centro-settentrionale e della
Romagna pontificia abbandonarono i loro posti e dovunque si installarono autorità provvisorie filosabaude.
Dopo la Pace di Zurigo, però, si giunse ad una fase di stallo, poiché i governi provvisori si rifiutavano di
restituire il potere ai vecchi regnanti, né il governo di La Marmora aveva il coraggio di proclamare le
annessioni dei territori al Regno di Sardegna. Il 22 dicembre 1859 Vittorio Emanuele II si rassegnò,
così, a richiamare Cavour che nel frattempo aveva ispirato la creazione del partito di Unione Liberale.
Il conte, rientrato alla presidenza del Consiglio dei Ministri il 21 gennaio 1860, si trovò in breve di
fronte ad una proposta francese di soluzione della questione dei territori liberati: annessione al
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Piemonte dei ducati di Parma e Modena, controllo sabaudo della Romagna pontificia, regno separato in
Toscana sotto la guida di un esponente di Casa Savoia e cessione di Nizza e Savoia alla Francia.
In caso di rifiuto della proposta il Piemonte avrebbe dovuto affrontare da solo la situazione di fronte
all’Austria, “a suo rischio e pericolo”.
Rispetto agli accordi dell’alleanza sardo-francese questa proposta di soluzione sostituiva per il
Piemonte l’annessione del Veneto che non si era potuto liberare dall’occupazione austriaca.
Stabilita, di fatto, l’annessione di Parma, Modena e Romagna, Cavour, forte dell’appoggio della Gran
Bretagna, sfidò la Francia sulla Toscana, organizzando delle votazioni locali sull’alternativa fra l’unione
al Piemonte e la formazione di un nuovo Stato. Il referendum si tenne l’11 e il 12 marzo 1860, con
risultati che legittimarono l’annessione della Toscana al Regno di Sardegna.
Il governo francese reagì con grande irritazione sollecitando la cessione della Savoia e di Nizza che
avvenne con la firma del relativo trattato il 24 marzo 1860. In cambio di queste due province il Regno
di Sardegna si trasformò in una nazione assai più omogenea del vecchio Piemonte, acquisendo oltre
alla Lombardia, anche l’attuale Emilia-Romagna e la Toscana.
Di fronte all'Impresa dei Mille
Cavour diffidò dell'Impresa dei Mille che considerava foriera di rivoluzione e dannosa per i rapporti
con la Francia.
Cavour era al corrente che la Sinistra non aveva abbandonato l’idea di una spedizione in Italia
meridionale e che Garibaldi, circondato da personaggi repubblicani e rivoluzionari, era in contatto a
tale scopo con Vittorio Emanuele II. Il conte considerava rischiosa l’iniziativa alla quale si sarebbe
decisamente opposto, ma il suo prestigio era stato scosso dalla cessione di Nizza e Savoia e non si
sentiva abbastanza forte.
Cavour riuscì, comunque, attraverso Giuseppe La Farina a seguire le fasi preparatorie dell’Impresa dei
Mille, la cui partenza da Quarto fu meticolosamente sorvegliata dalle autorità piemontesi. Ad alcune
voci sulle intenzioni di Garibaldi di sbarcare nello Stato Pontificio, il conte, preoccupatissimo per la
eventuale reazione della Francia, alleata del papa, dispose il 10 maggio 1860 l’invio di una nave nelle
acque della Toscana “per arrestarvi Garibaldi”.
Il generale invece aveva puntato a Sud e dopo il suo sbarco a Marsala (11 maggio 1860) Cavour inviò
in Sicilia La Farina allo scopo di mantenere i contatti con Garibaldi e controllare, per quanto si poteva,
la situazione.
In campo internazionale, intanto, le potenze straniere, intuendo la complicità del Regno di Sardegna
nell’impresa, protestarono con il governo di Torino che potette affrontare con una certa tranquillità la
situazione data la grave crisi finanziaria dell’Austria, in cui era anche ripresa la rivoluzione ungherese.
Napoleone III, d’altra parte, si attivò subito nel ruolo di mediatore e, per la pace, propose a Cavour la
separazione della Sicilia dal regno, la promulgazione della costituzione a Napoli e a Palermo e
l’alleanza fra Regno di Sardegna e Regno delle due Sicilie.
Immediatamente il regime borbonico si adeguò alla proposta francese instaurando un governo liberale
e proclamando la costituzione. Tale situazione mise in grave difficoltà Cavour per il quale l’alleanza era
irrealizzabile. Nello stesso tempo non poteva scontentare Francia e Gran Bretagna che premevano
almeno per una tregua.
Il governo piemontese decise allora che il re avrebbe mandato una lettera a Garibaldi intimandolo di
non attraversare lo Stretto di Messina. Il 22 luglio 1860 Vittorio Emanuele inviò la lettera voluta da
Cavour, facendola però seguire da un messaggio personale nel quale smentiva la lettera ufficiale.
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Garibaldi a Napoli
L’arrivo di Giuseppe Garibaldi a Napoli (7 settembre 1860). Evento che Cavour tentò di prevenire
organizzando una sommossa filopiemontese che fallì.
Il 6 agosto 1860 Cavour informò i delegati del Regno delle due Sicilie del rifiuto di Garibaldi di
concedere la tregua dichiarando esauriti i mezzi di conciliazione e rinviando ad un futuro incerto i
negoziati per l’alleanza.
Negli stessi giorni il conte, nel timore di far precipitare i rapporti con la Francia, sventò una spedizione
militare di Mazzini che dalla Toscana doveva muovere contro lo Stato Pontificio. A seguito di questi
avvenimenti Cavour si dispose a fare tutti i suoi sforzi per impedire che il movimento per l’unità
d’Italia diventasse rivoluzionario. In questa ottica cercò, inutilmente, di prevenire il generale a Napoli
organizzando una spedizione clandestina di armi per una rivolta filopiemontese, che non ci fu.
Viceversa Garibaldi entrò trionfalmente nella capitale borbonica il 7 settembre 1860 fugando, per
l’amicizia che serbava al re, i timori di Cavour.
L’annessione di Marche, Umbria e Regno delle due Sicilie
Fallito il progetto di un successo moderato a Napoli il conte, con l’obiettivo di ridare a Casa Savoia una
parte attiva nel movimento nazionale, decise l’invasione delle Marche e dell’Umbria pontificie. Ciò
avrebbe anche impedito l’avanzata di Garibaldi su Roma e uno scontro fatale con la Francia. Bisognava
però preparare Napoleone III agli avvenimenti e convincerlo che l’invasione piemontese dello Stato
Pontificio fosse il male minore. Per la delicata missione il conte scelse Farini e Cialdini.
Il timore di un attacco austriaco al Piemonte, tuttavia, fece precipitare gli eventi e Cavour inviò un
ultimatum allo Stato Pontificio intimandogli di licenziare i militari stranieri, seguito, l’11 settembre
1860, dalla violazione dei confini. La Francia reagì duramente in difesa del Papa, ma senza effetti
pratici. Intanto la crisi con Garibaldi si era improvvisamente aggravata, poiché il generale aveva
proclamato il 10 che avrebbe consegnato al re i territori da lui conquistati solo dopo aver occupato
Roma. L'annuncio aveva anche ottenuto il plauso di Mazzini
La vittoria nella Battaglia di Castelfidardo e il conferimento al governo di un prestito di 150 milioni per
le spese militari e il trionfo dell’indipendenza italiana, ridiedero però forza e fiducia a Cavour, mentre
Garibaldi, pur vittorioso nella Battaglia del Volturno, esauriva la sua spinta verso Roma.
A questo punto, il “prodittatore” Giorgio Pallavicino Trivulzio, venendo incontro ai desideri del conte,
indisse a Napoli il plebiscito per l’annessione immediata al Regno sabaudo, seguito a Palermo dal suo
omologo Antonio Mordini. Le votazioni si tennero il 21 ottobre 1860, sancendo l’unione del Regno
delle due Sicilie a quello di Vittorio Emanuele II.
Il 4 e il 5 novembre 1860 anche in Umbria e nelle Marche si votava e si decideva per l’unione all’Italia.
I rapporti fra Stato e Chiesa
Fermati i disegni di Garibaldi su Roma, a Cavour restava ora il problema di decidere su cosa fare di ciò
che rimaneva dello Stato Pontificio (approssimativamente il Lazio attuale), tenendo conto che un
attacco a Roma sarebbe stato fatale per le relazioni con la Francia.
Il progetto del conte, avviato dal novembre 1860 e perseguito fino alla sua morte, fu quello di proporre
al papa la rinuncia al potere temporale in cambio della rinuncia da parte dello Stato al corrispettivo, il
Giurisdizionalismo. Si sarebbe perciò adottato il principio di “Libera Chiesa in libero Stato”, ma le
trattative naufragarono sulla fondamentale intransigenza di Pio IX.
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Il governo Cavour del Regno d’Italia (1861)
Cavour fu il primo Presidente del Consiglio del Regno d'Italia.
Dal 27 gennaio al 3 febbraio 1861 si tennero le elezioni per il primo Parlamento italiano unitario. Oltre
300 dei 443 seggi della nuova Camera andarono alla maggioranza governativa. L’opposizione ne
conquistò un centinaio, ma fra loro non comparivano rappresentanti della Destra poiché i clericali
avevano aderito all’invito di non eleggere e di non farsi eleggere in un Parlamento che aveva leso i
diritti del pontefice.
Il 18 febbraio venne inaugurata la nuova sessione nella quale sedettero per la prima volta
rappresentanti piemontesi, lombardi, siciliani, toscani, emiliani e napoletani insieme. Il 17 marzo il
Parlamento proclamò il Regno d'Italia e Vittorio Emanuele suo re.
Cavour, il 22 marzo veniva confermato alla guida del governo, dopo che il re aveva dovuto rinunciare a
Ricasoli. Il conte, che tenne per se anche gli Esteri e la Marina, il 25 affermò in parlamento che Roma
sarebbe dovuta diventare capitale d’Italia.
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Classe 5A Tecnico Agrario Lezione di mar. 13 Ottobre 2015 (1° ora)