Storia E, Rivista della Sovrintendenza Scolastica di Bolzano
Anno 7 n.1,2,3 -2009
Brevi riflessioni sul reato di negazionismo
La storia che passa in
giudicato?
Emanuela Fronza
Il diritto come custode
della memoria:
le lois memorièlles
e il reato
di negazionismo
Negli ultimi anni le occasioni
di incontro e sovrapposizione
tra diritto, processo penale e
storia sono sempre più frequenti e talvolta problematiche. Il diritto, infatti, a fronte
di una ripresa allarmante
dei fenomeni razzisti, viene
individuato come strumento
per rispondere al timore che
la memoria su fatti criminosi
di portata storica che hanno
avuto un grande peso politico,
come quelli che hanno caratterizzato la seconda guerra
mondiale, possa subire un
progressivo ed inesorabile
affievolimento. Tale dinamica
è stata definita da taluni autori
come malattia della memoria
(“malaise de la mémoire” - Henry Rousso -) o
“ossessione commemorativa” (Enzo Traverso).
Infatti, per difendere il rispetto per un passato
che non deve essere dimenticato si invocano il
processo penale e la pena che tramite esso può
essere inflitta. Cosí al diritto, e in particolare a
quello penale, si chiede il riconoscimento dell’importanza di certi eventi o sequenze di eventi,
specialmente connotati da gravi violazioni di
diritti umani, la precisa codificazione della memoria di quei fatti.
Nascono cosí numerose intersezioni tra diritto e
storia. Tra le tipologie principali va segnalata in
primo luogo l’adozione di legislazioni che istituiscono giornate per invitare le popolazioni a
ricordare: senza ricorrere allo strumento penale si
stabilisce una «giornata della memoria1» o si fissa
una ricostruzione storica dei fatti (le cosiddette
6. Il monumento, realizzato dall’artista Ariela Böhm nel 2004, è
stato eretto nel cimitero di Bolzano per volontà della popolazione dell’Alto Adige e della Comunità ebraica di Merano.
Vi si legge: “che la memoria di ciò che è stato si fonda con la
materia che ospita il nostro pensiero”.
8 storiae
6
lois memorièlles2). Tali provvedimenti vanno
distinti dalle norme che introducono il reato di negazionismo in cui dal binomio diritto e memoria
si passa al trinomio diritto, memoria e pena e in
cui il diritto e il processo penale diventano spazio
di ricomposizione di un ordine mnemonico dei
fatti del passato attraverso la confutazione delle
condotte di negazione di memoria. La pena, inflitta per contrastare i fenomeni di negazionismo, è
posta come retribuzione della «memoria violata».
Questo breve contributo è dedicato all’analisi di
questi reati. Riteniamo infatti che lo studio della
repressione del negazionismo possa rappresentare un terreno privilegiato per riflettere non soltanto sulla difficile interazione tra diritto e storia,
ma anche sulle attuali vocazioni espansionistiche
del diritto e del processo penale come strumenti
di ri-costruzione degli eventi storici. Decidere di
punire il negazionismo pone numerose difficoltà
sia con riferimento all’individuazione dell’oggetto tutelato (la memoria storica?), sia, infine,
in relazione al diritto alla libera manifestazione
del pensiero3.
Il fenomeno negazionista:
il concetto
Prima di esaminare il negazionismo come reato
è opportuno chiarire il concetto e la geografia di
questo fenomeno4.
Esso va innanzi tutto distinto dal revisionismo,
termine che indica la tendenza storiografica a rivedere le opinioni storiche consolidate alla luce
di nuovi dati e di nuove conoscenze, permettendo
una re-interpretazione e una ri-scrittura della storia. Ogni storico dunque ed ogni scienziato non
può che essere revisionista in questa accezione,
poiché la sua attività comporta naturalmente un
succedersi di modelli e paradigmi teorici differenti. Ritornare sulle ricostruzioni storiografiche
già proposte è dunque inevitabile nel lavoro
storiografico.
Ora, nell’ambito degli studi sulla seconda guerra
mondiale, occorre tenere distinti il filone revisionista, che mira, partendo dal dato inconfutabile
della Shoah a ridistribuire le colpe e ad attribuire
ad Hitler responsabilità limitate, relativizzando
il problema dello sterminio, dal filone negazionista, che a differenza del primo nega la stessa
esistenza della Shoah, prescindendo da qualsiasi
regola storiografica prestabilita e aggirando il
problema del rapporto dello sterminio con la
realtà storica.
Il concetto di negazionismo ricomprende pertanto
quelle dottrine radicali secondo cui il genocidio
praticato dalla Germania nazista nei confronti degli ebrei, degli zingari e di altre categorie
«subumane» non è esistito e appartiene al mito,
alla menzogna, alla truffa5. Il punto centrale della
produzione negazionista, simbolo e strumento
dello sterminio, è la negazione delle camere a gas.
Compare alla fine degli anni ‘70, sullo sfondo del
revisionismo storico e trae alimento dallo stesso
retroterra politico-culturale, ma portandolo agli
estremi, combattendo una battaglia ideologica:
non ci sono più fatti certi, tutto è costruito e
mistificato6. Le origini geografiche del negazionismo sono principalmente in Germania e negli
Stati Uniti con l’Institute for Historical Review,
importante centro di attrazione per tutti questi
autori e di elaborazione ed organizzazione delle
loro strategie. Il negazionismo ha avuto rilevanti
sviluppi anche in Francia, in Austria, Belgio e
in Svizzera (e solo marginalmente in Italia). Gli
„assassini della memoria“ (secondo la definizione
di Piérre Vidal Naquet7) sono riusciti a ricavarsi
uno spazio nel mercato attraverso volantini, libri,
opuscoli ciclostilati, riviste, videocassette8; la rete
di diffusione è ormai internazionale e agevolata
dalle nuove tecnologie. La provenienza degli
autori è spesso di estrema destra o di estrema
sinistra. L’elemento comune è la piattaforma
ideologica, l’antisemitismo9. Non esiste dunque
un unico paradigma storiografico degli ideologi
7. Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
della negazione; i metodi negazionisti possono
essere ricondotti alle seguenti strategie: la minimizzazione, la giustificazione e la negazione
dei crimini. L’oggetto principale rimane la negazione della Shoah, anche se queste affermazioni
riguardano talvolta altri genocidi (per esempio
il genocidio armeno o - rispetto a fenomeni più
recenti - il genocidio ruandese10) o altri gravi
crimini contro l’umanità.
Il negazionismo come reato
a) Le legislazioni nazionali
Il fenomeno negazionista è presente in numerosi
paesi europei, suscitando un notevole allarme
nella coscienza collettiva.
La prova della forza perturbativa del negazionismo è data non solo da questo allarme sociale,
ma anche dalla quantità e dal tipo di risposte
normative (anche penali), che si registrano sul
piano sovranazionale e nazionale11. Da un lato,
infatti, la condanna del fenomeno negazionista
si traduce in iniziative delle istituzioni sovranazionali ed europee con l’adozione di strumenti
giuridici che disegnano linee di politica criminale
per gli Stati e che domandano di reprimere questi
comportamenti (si veda da ultimo la recentissima
decisione quadro dell’Unione europea riguardante proprio il negazionismo12). Dall’altro, sul piano
nazionale, la maggior parte degli ordinamenti eu-
7
storiae
9
8
ropei ha creato norme ad hoc per criminalizzare
questo tipo di manifestazioni (l’Italia è fra i pochi
paesi a non avere introdotto un reato ad hoc di
negazionismo13). Le norme introdotte dai diversi
legislatori nazionali individuano come punibili
le condotte già menzionate di minimizzazione,
giustificazione e negazione.
Non è possibile svolgere un’analisi comparata
delle fattispecie14; ci limiteremo pertanto ad individuare gli elementi comuni che caratterizzano
queste figure delittuose.
Il negazionismo è punito espressamente in Germania15, in Francia16, in Austria17, in Belgio18, in
Spagna19, in Portogallo20 e in Svizzera21. L’Italia,
come detto, è fra i pochissimi paesi che ha deciso
di non creare una fattispecie apposita.
Nonostante questa comune scelta punitiva a livello nazionale si registrano alcune differenze nella
costruzione di questo reato.
Per quanto riguarda il luogo normativo, alcuni
paesi hanno inserito questa disposizione nel
codice penale (è questo il caso della Germania,
della Spagna, del Portogallo o della Svizzera),
altri, invece, in una legge extra codicem adottata
appositamente (Belgio) o già esistente (Francia,
Austria). Possono variare anche i singoli comportamenti punibili: in Belgio, per esempio, la
minimizzazione per essere punibile deve essere
grossolana. O ancora: si prevede la punibilità
di comportamenti qualificabili come revisione
anziché come negazione dei fatti: è punibile
l’“approvare” o il “giustificare” nel codice tedesco o il “contestare” in base alle norme francesi.
Può mutare l’oggetto della negazione, minimizzazione e giustificazione, individuato esclusivamente nella Shoah - Francia, Germania, Belgio
-, o ad altri genocidi e crimini contro l’umanità
- Spagna, Svizzera, Portogallo -. Differenze si
riscontrano anche in relazione al bene giuridico
8. Donne e bambini appena arrivati al campo. Molti di loro saranno mandati alle camere a gas perché gracili, malati o inadatti
al lavoro.
9. Anziana donna ebrea deportata ad Auschwitz.
10 storiae
protetto: esso viene individuato, per esempio,
nella pace pubblica (Germania) o, ancora, nell’ordine pubblico o nella dignità umana (Francia).
Elemento costitutivo comune a queste fattispecie
è che la condotta deve essere realizzata pubblicamente. Va infine segnalato che alcuni ordinamenti
hanno scelto di delimitare l’ambito di applicazione della norma - ai fini di un equilibrato bilanciamento con il diritto alla libera manifestazione di
pensiero - introducendo il requisito dell’idoneità
della condotta a turbare la pace pubblica (Germania) o stabilendo che tali opinioni abbiano ad
oggetto i crimini contro l’umanità, come definiti
dallo Statuto del Tribunale di Norimberga e se
giudicati da un tribunale nazionale o internazionale (Francia). La stessa strada, come si vedrà, è
stata scelta dall’Unione Europea.
b) La legislazione comunitaria
A livello sopranazionale esiste un apparato normativo molto elaborato contro i fenomeni razzisti22. In questa sede ci limiteremo ad accennare
ad alcune iniziative comunitarie, che - in linea
con la tendenza piú generale - confermano la
scelta di punire i fenomeni negazionisti. L’Unione
Europea influenza i diritti penali nazionali e può
chiedere agli Stati di introdurre una fattispecie
incriminatrice.
Per quanto riguarda specificatamente il negazionismo oltre all’Azione Comune del 199623, va
segnalata la decisione quadro contro il razzismo
e la xenofobia che chiede espressamente agli
Stati di adottare le misure necessarie per punire
«l’apologia, la negazione o la minimizzazione
grossolana» sia dei crimini di genocidio, dei
crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra
quali definiti sia agli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto
della Corte penale internazionale (art. 1, comma
1, lett. c)), sia dei crimini definiti all’art. 6 dello
Statuto del tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945
(art. 1, co. 1°, lett. d), «dirette pubblicamente
contro un gruppo di persone o un membro di tale
gruppo, definito rispetto alla razza, al colore, alla
religione, all’ascendenza o all’origine nazionale
o etnica, quando i comportamenti siano posti in
essere in modo atto ad istigare alla violenza o
all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo
membro».
Solo due osservazioni su questo provvedimento.
Il legislatore europeo, come taluni legislatori
nazionali, preoccupato dell’intervento limitativo
rispetto al diritto fondamentale costituito dalla
libertà di espressione ha inserito - come elemento
di bilanciamento - una clausola di pericolo, per
cui gli Stati membri possono decidere di rendere
punibili soltanto i comportamenti “atti a turbare
la quiete pubblica (“public order”) o che sono
minacciosi, vessatori o insultanti”. Pertanto da
una parte si richiede una soglia di offensività
che deve realizzare il comportamento punibile
e dall’altra, si lascia agli Stati un margine di autonomia, ammettendo una geometria normativa
variabile. Verrebbe tuttavia da aggiungere: quale
libertà di pensiero è quella che non turba la quiete
pubblica? La libertà di pensiero non è in sé stessa
anche “libertà di pericolo”?
E ancora: il progetto di decisione quadro richiede
che si tratti di crimini definiti dallo Statuto della
Corte penale permanente o da quello del Tribunale militare internazionale di Norimberga. Ma chi
decide che un determinato evento storico ricade
sotto la definizione degli artt. 6, 7, 8 dello Statuto
della Corte penale internazionale? Il legislatore
o il giudice? Se si è verificato un genocidio che
non è stato definito come tale giuridicamente o
che non è stato oggetto di processo e dunque non
è stato qualificato come crimine internazionale
per questo solo non potrà essere oggetto di un
reato di negazionismo? A nostro avviso, questa
norma così formulata potrebbe fomentare una
criminalizzazione selettiva dei genocidi, perché
prende in considerazione solo quelli che riguardano eventi storici definiti come tali da organi
giurisdizionali o da un legislatore. Tale scelta
sembra inoltre poco funzionale a costruire una
“memoria condivisa” visto che sia attraverso la
definizione degli eventi storici, sia attraverso una
definizione (legislativa o giurisprudenziale) ci
sono spazi per una memoria differenziata.
Anche il Consiglio d’Europa, tramite l’operato
della Corte Europea dei diritti umani, ammette
la compressione della libera manifestazione del
pensiero (tutelata dall’art. 10 della Convenzione
europea) per reprimere episodi di negazionismo.
9
I negazionisti in Tribunale
I numerosi episodi di negazionismo sono stati
oggetto negli ultimi anni di alcuni processi dinanzi a Tribunali nazionali, a Corti Costituzionali e
infine, alla Corte Europea dei diritti umani.
L’esame della giurisprudenza rivela la problematicità dell’intervento penale, non solo per il
bilanciamento con il diritto alla libera manifestazione del pensiero, ma anche perché con tale
reato si perviene alla tutela una determinata ricostruzione storica.
Fra le tante decisioni abbiamo scelto di analizzare
la sentenza della Corte Europea sul caso Garaudy
c. Francia, una sentenza del Tribunale di Lione
e, infine, la sentenza del Tribunale costituzionale
spagnolo, che - in controtendenza - dichiara incostituzionale la norma che punisce la negazione
della Shoah e di altri genocidi.
La Storia passa in giudicato:
l’Olocausto come
«fatto storicamente stabilito».
Il caso Garaudy c. Francia.
La giurisprudenza della Corte europea dei diritti
umani è molto interessante per esaminare alcuni
profili cruciali nella riflessione sul negazionismo.
Una sentenza, in particolare, merita di essere
analizzata, anche perché è diventata precedente
molto significativo: il caso Garaudy c. Francia24,
in cui la Corte Europea ha dichiarato irricevibile
la richiesta del ricorrente, ritenendo ammissibile
una limitazione della libera manifestazione del
pensiero.
Roger Garaudy era stato condannato in Francia
per „Contestation des crimes contre l’humanité,
diffamation publique raciale e provocation à la
haine raciale“ per aver pubblicato un libro su «I
miti fondatori della politica israeliana».
Non è possibile sintetizzare, né analizzare tutti
gli aspetti toccati della decisione. Ciò che preme
evidenziare non è tanto la soluzione della Corte
di Strasburgo, quanto taluni elementi del percorso
argomentativo di questa pronuncia riguardanti
il rapporto tra diritto e storia, tra tutela penale e
tutela di una determinata memoria.
La Corte Europea di fronte alle affermazioni rispetto a cui i ricorrenti lamentano una violazione
della libertà di pensiero effettua una distinzione
tra la categoria di “fatti storici chiaramente stabiliti, come l’Olocausto”25 e la categoria di fatti
rispetto a cui «è tuttora in corso un dibattito tra
gli storici circa come sono avvenuti e come possono essere interpretati»26. Viene poi esaminata
la questione dei limiti al dibattito storico sugli
avvenimenti della seconda guerra mondiale e,
pur considerando necessario per qualsiasi paese
il dibattito aperto e sereno sulla propria storia27, i
giudici stabiliscono che l’art. 10 della Convenziostoriae
11
10
introdotto il reato di negazionismo all’interno
della Legge sulla libertà di stampa del 1881: l’art.
24 bis, intitolato Contestation des crimes contre
l’humanité, dispone:
«Seront punis (...) ceux qui auront contesté l’existence d’un ou plusieurs crimes contre l’humanité
tels qu’ils sont définis par l’article 6 du statut du
Tribunal militaire international annexe a l’Accorde de Londres du 8 aout 1945 et qui ont èté
commis soit par les membres d’une organisation
déclarée criminelle en application de l’article
9 du dis Statut, soit par une personne coupable
de tels crimes par une jurisdiction francaise ou
internationale».
ne Europea dei diritti umani (Cedu) non copre il
discorso revisionista o negazionista sull’esistenza
della Shoah. Secondo tale interpretazione spetta
alla Corte a partire dall’obiettivo perseguito, dal
metodo utilizzato e dal contenuto delle affermazioni valutare se siano rimessi in discussione dei
«fatti storici» o no28. Ed è in base a tale ragionamento che la Corte dichiara la richiesta del ricorrente irricevibile: il libro pubblicato da Garaudy
aveva come obiettivo di rimettere in discussione
la Shoah, perché propugnava tesi negazioniste.
Lo scopo della sua indagine non sarebbe stato
la ricerca di una verità, ma la falsificazione per
riabilitare il regime nazionalsocialista e, dunque,
accusare di falsificazione storica le stesse vittime
di questo regime29. Affermazioni di questo genere
«mettono in discussione i valori che fondano la
lotta contro il razzismo e l’antisemitismo e sono
tali da turbare gravemente l’ordine pubblico.
Offendendo i diritti altrui, questi comportamenti sono incompatibili con la democrazia e con i
diritti umani e i loro autori perseguono obiettivi,
quali quelli vietati dall’art. 17 Cedu»30.
Per questa ragione queste affermazioni non sono
tutelate dall’art. 10 Cedu e contrastano con i valori della giustizia e della pace, riconosciuti come
fondamentali dalla Convenzione31.
Il processo alla Storia:
«il metodo corretto». Il caso Theil
Un’altra sentenza che merita attenzione è quella
pronunciata dal Tribunale di Lione il 3 gennaio
200632. Come per il caso Garaudy ci limiteremo
ad evidenziare taluni passaggi importanti per una
riflessione piú ampia sul negazionismo come
reato.
Alcune premesse di contesto sono opportune.
In Francia il fenomeno negazionista è assai
rilevante. Nel 1990 con la Loi Gayssot è stata
10. Arrivo e “selezione” alla rampa del campo di Auschwitz di un
trasporto di ebrei dalla Rutenia Subcarpatica (Ucraina), maggio
1944.
11. Auschwitz, Polonia, 28 ottobre 1996. Riproduzione, nel
Crematorium I, di una fornace in uso nel campo di concentramento.
12 storiae
Per limitare i rischi di una eccessiva compressione della libertà di espressione e per scongiurare
il pericolo di affidare ai tribunali il compito di
ricerca della verità storica la Francia ha scelto di
limitare l’oggetto della negazione al solo genocidio nazionalsocialista e ai crimini giudicati da un
tribunale nazionale o internazionale, col risultato
che non saranno punibili le negazioni di altri genocidi (come per esempio di quello armeno).
La sentenza del Tribunal de Grande Istance di
Lione ha condannato George Theil a sei mesi
di reclusione e ad una ammenda di 10.000 euro
per contestation des crimes contre l’humanité (ai
sensi dell’art. 24 bis) perché aveva negato l’esistenza delle camere a gas durante un’intervista
televisiva.
Particolarmente interessante è la parte in cui i giudici illustrano la ratio legis e la portata dell’art.
24 bis nell’ambito di una discussione più ampia
sulla problematica definita come querelle des
mémoires o delle mémoires abusives. Vengono
citati i lavori preparatori in cui si esprimeva la
necessità di prevedere un delitto per punire comportamenti di apologia del nazismo e di antisemitismo; allo stesso tempo si ricorda l’importanza
di non trasformare i giudici in guardiani di una
verità storica ufficiale, perché sarebbe di ostacolo
allo svolgimento della ricerca storica in buona
fede. Dalla lettura dei Lavori Preparatori i giudici
desumono indicazioni utili sull’interesse tutelato
dalla norma, individuabile nell’eguale dignità
umana di tutte le persone senza distinzione di
etnia, nazione, razza o religione. La protezione di
tale bene richiederebbe di lottare contro ogni offesa alla memoria delle vittime di crimini contro
l’umanità, definiti dall’art. 6 lett. c) dello Statuto
del Tribunale militare di Norimberga. L’art. 24
bis servirebbe pertanto a contrastare tutte le forme di negazione della memoria che mascherano
antisemitismo.
Per la soluzione del caso concreto i giudici individuano una serie di criteri. Tra questi, il più
importante, secondo i giudici è l’uso del metodo
corretto da parte dello storico. In linea con la
giurisprudenza della Corte europea, che insiste
più sulla valutazione del contesto, dei fini, del
metodo che sul contenuto, si stabilisce che è es-
senziale non tanto analizzare il contenuto della
tesi propugnata dal Theil, quanto il metodo della
ricerca. A tale fine si dovrà verificare se lo storico ha seguito un procedimento „in buona fede“
tenendo in considerazione le fonti utilizzate, il
rispetto di una certa gerarchia tra di esse e l’uso
di una documentazione sufficiente.
Il Tribunale di Lione, come s’è detto, ha condannato l’imputato, ex art. 24 bis, sulla base di queste
argomentazioni, richiamando la giurisprudenza
francese precedente, la giurisprudenza della Corte
europea (e in particolare i casi Lehideux e Isorni
c. Francia e Garaudy c. Francia)33, nonché alcuni
studi sul negazionismo (soprattutto il lavoro di
Papadopoulos Pénalisation du négationnisme et
premier Amendement34).
Questo processo mostra il dato - parimenti inquietante per lo storico e il giurista- che è il giudice a
definire il metodo storico. Un giudice è nella condizione di giudicare il metodo di ricerca storica,
essendo egli un giudice e non uno storico?
Cosa significa proteggere penalmente un metodo
scientifico e, in questo caso, il metodo storico?
E ancora: se il valore da proteggere - così come
indicato nei lavori preparatori della Loi Gayssot
- è la dignità umana perché si insiste così tanto
sul metodo più che sui contenuti di queste affermazioni?
Le affermazioni sui fatti e le
affermazioni sui valori: la sentenza
del Tribunal Constitucional spagnolo
Da ultimo vorremmo segnalare la sentenza del
Tribunal Constitucional spagnolo (d’ora in poi
TC), chiamato a pronunciarsi sulla legittimità
del reato di negazionismo35, previsto all’ultimo
comma dell’art. 607 del codice penale (c.p.). I
giudici hanno dichiarato questa disposizione parzialmente illegittima, nella parte in cui punisce
la condotta di «negazione», poiché questa previsione sarebbe in contrasto con l’art. 20 Cost., che
tutela la libera manifestazione del pensiero. La
condotta di «giustificare», prevista nel medesimo
comma, rimane invece illecita.
La questione di costituzionalità è stata sollevata
il 14 settembre del 2000 dalla Seccion III della
Audiencia provincial di Barcellona nel processo
di appello al proprietario e direttore di una libreria, che distribuiva, diffondeva e vendeva libri
e documenti in cui si negava l’esistenza della
Shoah. Varela era stato condannato in primo
grado il 16 novembre 1998 per delitto continuato
di genocidio ex art. 607, comma 2 c.p. alla pena
di due anni di reclusione e per provocazione alla
discriminazione, all’odio razziale, e alla violenza
contro gruppi o associazioni per motivi razzisti e
antisemiti (art. 510, comma 1, c.p.).
Secondo il ricorrente la norma sarebbe in contrasto con l’art. 20, comma 1 Costituzione, che
protegge la libertà di espressione; si evidenzia
altresì che il bene soggiacente a tale disposizio-
ne ha natura diffusa, perché cerca di evitare «la
creazione di una clima suscettibile di poter dare
luogo a condotte di discriminazione». Tuttavia,
l’incitamento a realizzare condotte lesive di diritti fondamentali o della dignità umana sarebbe
già punibile in base ad altre incriminazioni, col
risultato che l’oggetto non è meritevole di tutela
penale perché oltre al suo carattere diffuso, limita
la libera manifestazione del pensiero36.
La risposta del TC - come anticipato - è la dichiarazione di incostituzionalità, non all’unanimità,
della diffusione di idee che neghino il genocidio,
in quanto «penalmente inani», ma viene salvato
il reato di giustificazione di tali crimini.
Il TC comincia il proprio ragionamento sottolineando l’importanza della libertà di espressione
che può essere esercitata anche nel caso in cui
vengono espresse opinioni che possono risultare moleste, inquietanti, pericolose o errate, ciò
- secondo i giudici - è in linea con il pluralismo
senza cui non esiste una società democratica. La
libertà di espressione garantisce dunque anche
opinioni contrarie alla essenza medesima della
Costituzione a meno che queste ultime non violino beni costituzionalmente garantiti, perché
in quel caso potranno essere limitate e previste
come reato.
La domanda è pertanto se la diffusione di idee che
negano o giustificano il genocidio lede un bene
costituzionalmente protetto e, in caso di risposta
positiva, se sia punibile.
Vengono innanzitutto citati vecchi precedenti.
11
storiae
13
Nel 1991 il TC aveva infatti stabilito che le opinioni su fatti storici sono coperte dalla libertà
di espressione, in quanto «opinioni soggettive e
riguardanti fatti storici» (p. 23 della sentenza).
Il medesimo orientamento - ricorda il TC - è
accolto dalla Corte Europea dei diritti umani secondo cui la «ricerca della verità storica forma
parte integrante della libertà di espressione e non
spetta ad un tribunale decidere su una questione
storica»37.
Il TC nota che l’art. 607, comma 2 c.p., punisce la
mera diffusione di idee senza richiedere la lesione di altri beni costituzionalmente rilevanti, così
reprimendo una condotta garantita dalla libertà
di espressione, dalla libertà scientifica (art. 20,
comma 1 Cost.) e di coscienza (art. 16 Cost.).
Tuttavia, le norme penali non possono invadere
il contenuto costituzionalmente garantito di tali
diritti. Pertanto anche se si tratta di idee esecrabili
e contrarie alla dignità umana in base all’ordinamento costituzionale spagnolo il legislatore non
può punire la mera diffusione di idee38. Tuttavia,
e in quanto diritto relativo e non assoluto, la libertà di espressione non può essere tutelata se si
traduce in un discorso dell’odio, che incita direttamente alla violenza contro i cittadini in generale
o contro determinate razze o gruppi.
Dopo queste considerazioni si passa ad esaminare
il precetto oggetto del giudizio di costituzionalità,
situandolo in un contesto più ampio, che ricomprende le norme attuative della Convenzione
sul genocidio (l’art. 22 Patto sui diritti civili e
politici e art. 5 Conv.), nonché l’art. 615 c.p. e
l’art. 510, co. 1 c.p., i delitti contro l’onore e le
altre disposizioni riguardanti l’esercizio dei diritti
fondamentali.
A questo punto viene introdotta la distinzione tra
la condotta di negazione e quella di giustificazione, che diventerà centrale nel proprio ragionamento e nella diversità di soluzioni adottate
rispetto ai due comportamenti, il primo lecito, il
secondo no39.
«La negazione va intesa come mera espressione
di un punto di vista su determinati fatti sostenendo che questi siano stati realizzati in modo tale
da poter essere qualificati come genocidio». «La
giustificazione, invece, non implica la negazione
assoluta dell’esistenza di un determinato delitto di genocidio, ma la sua relativizzazione o la
negazione dell’antigiuridicità, partendo da una
certa individuazione degli autori». Le due figure,
previste dall’art. 607, co. 2 c.p., cono conformi
alla Costituzione se costituiscono un incitamento
diretto alla violenza contro determinati gruppi o
il disprezzo delle vittime dei reati di genocidio.
L’altro aspetto fondamentale per gli esiti della
decisione è la riconducibilità del negare al “discorso dell’odio”. Ora, la negazione dei genocidi
non sarebbe riconducibile a tale concetto poiché
«la mera diffusione di conclusioni sull’esistenza
o no di determinati fatti senza emettere giudizi
di valutazione sugli stessi o sull’antigiuridicità,
rientra nell’ambito della libertà scientifica», che
14 storiae
gode nella Costituzione di una tutela più estesa
della libertà di espressione e di informazione (p.
30). A supporto di tale affermazione il TC cita una
propria sentenza (la n. 43 del 23 marzo 2004) in
cui stabilisce che la ricerca storica «per definizione è polemica e discutibile, in quanto centrata
su asserzioni e giudizi sulla cui verità oggettiva è
impossibile pervenire a piena certezza». Proprio
questa «incertezza consustanziale al dibattito
storico rappresenta l’elemento più importante,
che va rispettato e tutelato per il ruolo essenziale
che gioca la formazione di una coscienza storica
adeguata alla dignità dei cittadini di una società
libera e democratica» 40.
La mera negazione del delitto rispetto ad altri
comportamenti che implicano una adesione valoriale al fatto criminoso, tramite l’esternazione
di un giudizio positivo, è innocua («penalmente
inane») ed è dunque costituzionalmente illegittima. Tale condotta non persegue oggettivamente
(né è di per se idonea a perseguire) la creazione di
un clima sociale di ostilità contro quelle persone
vittime di quei crimini.
La condotta del negare si ferma ad un momento
anteriore rispetto a quello in cui può intervenire
lo strumento penale: essa, infatti, non costituisce
nemmeno un pericolo potenziale per i beni giuridici tutelati dalla norma in questione, con una
violazione dell’art. 20, comma 1 Cost. spagnola.
Il discorso sul fatto è dunque lecito.
Diverse l’argomentazione e la soluzione per la
norma che punisce la condotta del giustificare,
che viene considerata costituzionalmente legittima: essa, infatti, è un giudizio di valore sul fatto
criminoso, in cui sussiste quell’elemento per cui
si persegue oggettivamente la creazione un clima
sociale di ostilità contro quelle persone che appartengono agli stessi gruppi che furono vittime
del genocidio. In questi casi, eccezionalmente, il
legislatore potrà punire queste condotte sempre
che tale giustificazione avvenga pubblicamente
e costituisca un incitamento indiretto alla commissione del genocidio, delitto qualificato come
particolarmente odioso e che mette a rischio
l’essenza della nostra società (FJ 9) 41.
Dietro la dicotomia negare/giustificare vi è anche la distinzione fatto/valore. Secondo i giudici
12
13
del TC quando si giustifica un genocidio si va
contro i valori cristallizzati nella Costituzione,
non limitandosi ad una mera negazione del fatto
storico.
Questa sentenza, che abbiamo esaminato - seppure sinteticamente -, esprime un mutamento significativo nella riflessione sul negazionismo come
reato. In linea, forse con la decisione quadro,
l’enjeu non è più l’opportunità di punire o non
punire questi comportamenti, quanto la necessità
di distinguere le ipotesi di condotte negazioniste
punibili da quelle non punibili (negazionismo
semplice o qualificato).
A nostro avviso, è senza dubbio opportuno punire
le forme di incitamento diretto a gravi comportamenti di matrice razzista, ma è atrettanto vero che
esistono già delle norme nei diversi ordinamenti,
e anche in quello spagnolo.
Il TC poteva - sulla base delle stesse argomentazioni - dichiarare illegittima anche la giustificazione42. Questo esito tuttavia avrebbe potuto
avere ripercussioni sulla legittimità del reato di
giustificazione del terrorismo (prevista all’art.
578 c.p.), che non si voleva, invece, porre in
discussione.
Processi penali e processi di memoria
Oltre ai tradizionali problemi connessi ai reati di
opinione, il reato di negazionismo solleva questioni specifiche riguardanti la profonda intersezione tra processo penale e processi di memoria,
con il rischio di trasformare sovente il giudice in
arbitro della storia43.
Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi il
ricorso allo strumento giudiziario per affermare la
memoria storica è stato - come già detto - sempre
più frequente: accanto al lavoro storico e a quello
12. Gli uomini e le donne adatti al lavoro, dopo la rasatura dei
capelli e la disinfestazione, indossano le uniformi del campo.
13. Arrivo e “selezione” di un trasporto di ebrei dalla Rutenia
Subcarpatica (Ucraina), alla rampa del campo di Auschwitz
maggio 1944.
mnemonico prodotto delle testimonianze, dalla
letteratura e dal cinema, si è consolidata una memoria costituita attraverso la logica giudiziaria in
cui le figure del giudice e dello storico risultano
costantemente sovrapposte.
Attualmente la tendenza a ricorrere alla giustizia
penale oltre che per la punizione anche per la
ricostruzione storica degli eventi è sempre più
diffusa. Il tribunale e il processo divengono così
luogo di costruzione della memoria e il giudice
attore fondamentale di questo processo, con l’ulteriore distorsione che in queste ipotesi la funzione principale è quella di lanciare un messaggio
all’opinione pubblica e - con le parole della Corte
Europea - di «stabilire dei fatti storici»44.
Lo strumento penale diviene teatro in cui ri-mettere pedagogicamente in scena la storia45 al fine
di ravvivare un ricordo ortodosso del passato,
identificandolo come strumento di fissazione della memoria ad alto potenziale evocativo. Dinanzi
a crimini di portata storica quali il genocidio
alla pena viene attribuita una funzione ulteriore:
strappare la fattualità storica ai processi naturali
di metabolizzazione (e trasformazione) mnemonica per consegnarla ad un eterno ed immodificabile presente, cercando di lottare contro attività
volte alla manipolazione strumentale del passato
o all’offuscamento della memoria di eventi e
vicende drammatiche.
Lo strumento penale più di altri infatti soddisfa
esigenze di narrazione e di riaffermazioni mnemoniche condivise e “fisse”.
Diritto e processo penale hanno, però, una lingua
e una logica molto specifiche46. Il giudice segue
regole diverse da quelle dello storico: il giudice
deve indagare solo sui fatti contestati dall’organo
dell’accusa; se non perviene ad una convinzione
assoluta deve assolvere per il principio in dubio
pro reo; le indagini vanno compiute in tempi
rispettosi del principio della ragionevole durata
del processo. E ancora: il processo penale, il cui
epilogo è costituito da una sentenza, si connota
per la sua natura tranchante, di contrapposizione
tra nero e bianco, tra colpevole ed innocente, e
che - dopo due gradi di giudizio - passa in giudicato, irrevocabile. Il giudizio storico, invece,
ammette di ritornare sullinterpretazione ‘dei fatti
già data, è un processo di lettura e interpretazione
dei fatti senza fine. Al giudice, salvo in alcune
ipotesi circoscritte in cui può ricorrere alla revisione, questo non è consentito.
Punire la negazione (e minimizzazione e giustificazione) della Shoah o di altri gravi crimini di
genocidio o contro l’umanità sovrappone questi
due metodi e può generare pericolosissime distorsioni. Per lo storico, oltre al rischio di strumentalizzare la verità elevandola a verità legale47 e
di trasformare la verità storica in un’unica verità
ufficiale48 e di accreditare, in questo modo, l’idea
che esiste una sola scuola storica49, esistono pericoli quali quelli che emergono dalle decisioni
summenzionate: è il giudice ad individuare i
storiae
15
«fatti storicamente stabiliti», ammettendo inoltre
che si possa fissare, «stabilire» la storia.
Ma, come visto, si va oltre: il giudice fissa la storia e stabilisce il «metodo corretto» della ricerca
storica. Tutto ciò può dare luogo ad un pericoloso
scostamento dalle regole che dovrebbero governare il processo penale: quest’ultimo, infatti, ha
un fine principale, che non è quello di ricostruire
e narrare la storia, quanto, piuttosto, di accertare
le responsabilità individuali rispetto a fatti chiaramente individuati.
Sancire penalmente questi eventi di portata storica significa riconoscere l’importanza di certi
eventi o sequenze di eventi, codificare la memoria di quegli eventi che diviene attraverso il
procedimento „verità processuale“ e nella precisa
attribuzione di responsabilità: il processo distingue fra colpevoli e innocenti e definisce quindi
il giusto e l’ingiusto rispetto a quegli eventi. Ne
definisce quindi, in prospettiva, l’importanza e,
assieme, il senso - potremmmo dire: il significato
morale - che dobbiamo attribuire loro.
Il negazionismo come attacco al
patto etico fondatore
Dopo la fine della seconda guerra mondiale si è
assistito ad un movimento di ricodificazione - le
nuove costituzioni dei vari Stati europei - e alla
creazione, sul piano internazionale, di documenti
e di meccanismi a tutela dei diritti fondamentali. Tutto ciò esprimeva il diretto rifiuto dei fatti
atroci che si erano verificati durante la seconda
guerra mondiale e l’accoglimento e il riconoscimento di nuovi valori, cristallizzati nell’intero
sistema etico-giuridico elaborato dal 1945 in poi
(costituzioni, legislazioni nazionali e documenti
internazionali, vincolanti e non).
Ora, il negazionismo nega proprio quei fatti che
sono all’origine di questa reazione e nega, dunque, l’universo etico-politico e giuridico sorto
dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Questo fenomeno colpisce pertanto in profondità
non, o non tanto, i poteri costituiti, le strutture
14
16 storiae
date, ma molto di più, il patto etico, rappresentato
dall’incondizionato rifiuto delle dinamiche che
hanno trascinato l’Europa nell’orrore della guerra
e dei totalitarismi. Ciò che qui si definisce come
patto etico è l’impegno comune a decodificare
in modo uniforme l’avvenimento fondatore: il
genocidio nazionalsocialista che ha contribuito
a mutare il volto delle carte costituzionali e del
sistema giuridico internazionale. E ciò è provato
dall’oggetto del reato di negazionismo, individuato e circoscritto - nella maggior parte dei casi
- alla Shoah.
Il negazionismo scuote dunque le basi etico-giuridiche su cui è avvenuta la ricostruzione europea
del dopoguerra50. Di questo sembra consapevole
non solo la giurisprudenza della Corte europea die
diritit umani - che afferma che le manifestazioni
negazioniste vanno contro una delle idee fondanti
della Convenzione - ma anche l’Unione Europea
che nella decisione quadro afferma che questi
comportamenti costituiscono violazioni dirette
dei principi di liberà, democrazia, di rispetto dei
diritti umani, principi sui quali l’Unione Europea
è fondata e che sono comuni agli Stati membri
(considerando 1)51.
Il negazionismo attacca dunque il momento costituente della democrazia, molto più che i suoi
aspetti costituiti, le istituzioni52. Tutto ciò scavalca enormemente il diritto penale. Non si tratta
nemmeno di discutere sull’opportunità o meno
di punire, e con quali tecniche, il negazionismo
o se punire solo il negazionismo qualificato o
anche quello semplice.
Produrre leggi penali e affermare una verità
attraverso lo strumento legale, rischia di essere
una falsa soluzione con l’ulteriore pericolo da
un lato di trasformare le vittime in martiri della
libertà di espressione e dall’altro di irrigidire i
processi di memoria e la ricerca della verità storica in un meccanismo in bianco e nero, quale il
processo penale. Inoltre esistono già molte figure
criminose che potrebbero essere utilizzate nel
caso di manifestazioni offensive e non occorre
introdurne altre.
I processi penali per negazionismo divengono
momenti per chiedere alla giustizia di sancire
(sanctum facere), di far passare in giudicato il
significato di eventi storici che vanno tenuti vivi.
Il processo penale prende gli eventi del passato,
ne produce una conoscenza (che è del tutto opportuna) e sancisce - in modo che non possa piú
essere discusso - il senso. Lo strumento penale è
dotato di quella auctoritas e di quella componente statica che permette di stabilire ufficialmente
per sempre quei fatti. In tal modo diviene arbitro
di cosa del nostro passato rimane vivo nel presente (e con quale significato), e di cosa invece
può morire (di cosa è forte e cosa è debole). Lo
strumento penale assume il monopolio di quello
che si fa agire nel presente, di cosa deve essere
presente politicamente. Questo rende evidente
il ruolo „primordiale, essenziale“53 del diritto
penale rispetto ai valori e ai principi fondanti
dell’assetto e del carattere etico-costituzionale di
uno Stato. Il processo in tali ipotesi infatti è molto
di piú che un mero accertamento di responsabilità penali individuali. Rappresenta il ponte fra
passato e futuro, perché giudica fatti passati, ma
sotto l’égida di un regime nuovo; rappresenta in
un palcoscenico un nuovo rapporto tra cittadini
e e potere e rappresenta i nuovi valori politici.
La narrazione del processo si iscrive dunque in
un’altra narrazione: quella politica.
Quanto descritto appare molto delicato e desta
molteplici perplessità. Mentre si ritiene opportuno dinanzi a eventi atroci o ad opinioni che
raggiungano la soglia dell’istigazione che il
processo penale intervenga per conoscere i fatti, l’operazione di cosa può rimanere attivo nel
passato necessita di una consapevolezza politica e, dunque, di un intervento - che sarebbe piú
adeguato e proprio - della politica.
Le affermazioni dei negazionisti esigono una
risposta e un impegno su un piano più propriamente politico. Non è, a mio avviso, funzione
del diritto penale contrastare questi fenomeni di
detabuizzazione della Shoah o di altre gravissime
atrocità. Come dice Claus Roxin, «la verità storica come tale dovrebbe potersi affermare senza
il diritto penale»54.
Note
Queste ultime introducono nel calendario nazionale o internazionale le cosiddette “giornate della memoria” attraverso cui si
rivolge ai cittadini una precisa sollecitazione: “bisogna ricordare”. Anche l’Italia ha percorso questa via con la legge 211 del
20 luglio del 2000, che ha segnato sul calendario una giornata
dedicata alla «memoria» de «la Shoah, le leggi razziali e tutti
quanti si opposero alla barbarie»: il 27 gennaio. In realtà, il dato
che più colpisce, non consiste tanto nella scelta dello Stato italiano di introdurre questa giornata, quanto che sia stata adottata
cinquant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Sulla
legge e sui dibattiti in Parlamento, oltre al sito www.parlamento.
it, cfr. anche www.sissco.it. Anche la Francia ha adottato la Legge n. 2000-644 del 10 luglio 2000 che istituisce il 16 luglio di
ogni anno una journée nationale à la mémoire des victimes des
crimes racistes et antisémites de l’Etat français et d’hommage
aux «Justes» de France (disponibile sul sito http://www.senat.
fr/leg/ppl99-244.html). Anche le Nazioni Unite nel 2005 hanno
introdotto la Giornata internazionale della memoria (27 gennaio
di ogni anno) con la Risoluzione 60/7 intitolata «Memoria dell’Olocausto» del 1 novembre 2005 (http://www.un.org/french/
holocaustremembrance/).
2
Cfr., per esempio, la Loi Taubira che definisce come crimine
contro l’umanità la tratta dei neri e la schiavitù praticata a partire dal XV secolo e la Loi Mekachera del 23 febbraio 2005 sul
colonialismo francese
3
Non è questa la sede per approfondire la delicata questione
dei reati di opinione. Basti qui ricordare che la repressione di
affermazioni negazioniste costituisce un importante paradigma
della difficoltà di bilanciamento dei diritti fondamentali: nel caso
specifico tra la libertà d’espressione e il diritto alla non discriminazione, alla salvaguardia dell’ordine pubblico e al rispetto della
libertà altrui. Questo tema esprime dunque l’ambiguità di fondo
dell’essenziale diritto alla libera manifestazione del pensiero,
1
14. Moshe Rynecki (1881-1943), Profughi, acquarello su carta,
1939.
15. Selezione alla rampa di Birkenau.
15
considerata dalla giurisprudenza italiana come “pietra angolare
del sistema democratico”. Così la Corte Costituzionale italiana:
cfr. la sentenza 84 del 1969, in Giur. Cost., 1969, 1175 ss..
4
Sul negazionismo cfr., in una prospettiva storica, GINZBURG
C., Beweis, Gedächtnis, Vergessen, «Memory», 30, 2002 (Werkstatt Geschichte), pp. 50-60; VIDAL NAQUET P., Les Assassins de
la mémoire, Paris 1987; POGGIO P. P., Nazismo e revisionismo
storico, Roma 1997.
5
Cfr. VIDAL NAQUET P., Les assassins de la mémoire, La Découverte, Paris, 1987, pp. 108 ss.
6
POGGIO P. P., Nazismo e revisionismo storico, Roma 1997, p.
104.
7
VIDAL NAQUET P., Les assassins de la mémoire, cit.
8
VIDAL NAQUET P., Les assassins de la mémoire, cit., p. 117.
9
POGGIO P. P., Nazismo e revisionismo storico, cit., p. 97.
10
Sul negazionismo del genocidio avvenuto in Ruanda nel
1994 cfr. BIZIMANA J. D., L’Eglise et le génocide au Randa: les
Péres blancs et le négationnisme, Parigi, 2001; su altri casi di
negazionismo fuori dall’Europa si veda ad esempio, KAHN, R.
A., Who takes the Blame? Scapegoating, Legal responsibility
and the prosecution of Holocaust Revisionists in the Federal
republic of germany and Canada, “Glendale Law Review”, 16,
1997, 17 ss.; HILL, L. E., The trial of Ernst Zundel. Revisionism
and the Law in Canada, “Simon Wiesenthal Center Annual”,
vol. 6, 1989, 165 ss.
11
Gli strumenti internazionali adottati per fare fronte al fenomeno
della discriminazione razziale sono ormai molto numerosi. Nella
regione Europa occorre distinguere le iniziative del Consiglio
di Europa da quelle dell’Unione Europea. Con specifico riferimento al fenomeno negazionista occorre ricordare, a livello di
Unione Europea, l’Azione comune del 15 luglio 1996, adottata
dal Consiglio sulla base dell’art. K3 del Trattato sull’Unione
europea, concernente l’azione contro il razzismo e la xenofobia,
(pubblicata in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, 24
luglio 1996, volume L 185, 5). Alla lett. c) di questo provvedimento il Consiglio sollecita gli Stati membri a reprimere la
negazione pubblica dei crimini definiti all’art. 6 dello Statuto
del Tribunale di Norimberga nella misura in cui essa includa
un comportamento di disprezzo o degradante verso un gruppo
di persone definito in base al colore, alla razza, alla religione
o all’origine nazionale o etnica. Sulle iniziative dell’Unione
Europea cfr. www.europa.eu.int.; cfr. anche FRONZA E., Profili
penalistici del negazionismo, cit., 1045-1048. Con riferimento al
Consiglio d’Europa e all’importante giurisprudenza sull’art. 10
della Convenzione Europea che tutela la libertà di espressione
cfr. www.coe.int.
12
Cfr. Decisione quadro 2008/913/JHA del 28 novembre
2008.
13
L’Italia non ha introdotto il reato di negazionismo, anche
se dispone, oltre alle norme sulla libertà di espressione e sul
principio di non discriminazione (art. 21 Cost. e art. 3 Cost.), di
storiae
17
16
numerosi strumenti contro i fenomeni razzisti. (Cfr. la L. 962/67,
la L. 654/75 e in particolare l’art. 3, la L. 223/90, il D.l. 122/93
recante Misure urgenti in materia di discriminazione razziale,
etnica e religiosa e l’art. 43 del D.lg. 286/98, nonché la L.
85/2006 che riforma i delitti di opinione. Cfr. altresì il progetto
di legge intitolato Norme sulla sensibilizzazione e repressione
della discriminazione razziale, l’orientamento sessuale e la
identità di genere. Riforme della legge n. 654 del 13 ottobre
1975, approvato dal Consiglio dei ministri del gennaio 2007.
Questo testo conteneva una fattispecie penale che sanzionava
con la pena della reclusione da 3 a 12 anni chi faceva apologia
pubblica di crimini contro l’umanità. Il riferimento al negazionismo è stato eliminato ed è stato inasprito il trattamento nei
confronti dei responsabili di una propaganda circa la superiorità
razziale e di coloro che commettono o incitano a commettere
atti discriminatori. Il progetto stabiliva che venisse punito con
una pena massima di 3 anni chi diffonde idee sulla superiorità
razziale e prevede una pena da 6 mesi a 4 anni per chi commette o inciti a commettere atti discriminatori per motivi razziali,
etnici, nazionali, religiosi o compiuti a causa dell’orientamento
sessuale personale o della identità di genere. In relazione ad
alcuni casi di negazionismo italiano di sinistra cfr. CHERSI A., Il
caso Faurisson, Bagnolo 1982, e SALETTA C., Per il revisionismo
storico contro Vidal Naquet, Genova 1993.
14
Norme che reprimono il negazionismo sono presenti anche
in paesi come la Svezia, la Repubblica cea, la Slovacchia, la
Lituania, la Polonia, la Romania. Cfr. sulle diverse legislazioni
nazionali la documentazione disponibile sul seguente sito: www.
sissco.it.
15
Cfr. BEISEL D., Die Strafbarkeit der Auschwitzlüge-zugleich
ein Beitrag zur Auslegung des neuen § 130 StGB, in “Neue
Juristische Wochenschrift”, 1995, 1000; DAHS H., Das Verbrechensbekämpfungsgesetz vom 28.10.94 - ein Produkt des Superwahljahres, in “Neue Juristische Wochenschrift”, 1995, 553
ss.; DIETZ S., Die Lüge von der „Auschwitzlüge“-Wie weit reicht
das Recht auf freie Meinungsäusserung?, „Kritische Justiz“,
1995, 210 ss.; VOGELSANG K., Die Neuregelung zur sogenannten
„Auschwitzlüge“ - Beitrag zur Bewältigung der Vergangenheit
oder „widerliche Aufrechnung“?, in “Neue Juristische Wochenschrift”, 1985, 2386 ss.; WEHINGER M., Kolletivbeleidigung
- Volksverhetzung der strafrechtlicher Schutz von Bevölkerungsgruppen durch die § 185 ff. und §130 StGB, Baden Baden,
1994; cfr. infine KAHN R. A., Holocaust Denial and the Law. A
Comparative Study, Macmillan, 2004. Cfr. anche la sentenza
del BundesVerfassungsgericht del 13 aprile 1994 (il testo della
decisione, tradotto in italiano si ritrova in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1994, con il commento di VITUCCI M. C., Olocausto,
capacità di incorporazione del dissenso e tutela costituzionale
dell’asserzione di un fatto in una recente sentenza della Corte
Costituzionale di Karlsruhe, 1994, fasc. V, 3379); sul punto cfr.
anche FRONZA E., Profili penalistici del negazionismo, “Rivista
italiana di diritto e procedura penale”, 1999, 1051-1056.
16
Cfr. TROPER M., Droit et négationnisme. La loi Gayssot et la
Constitution, Annales, HSS, 54(6), novembre-décembre 1999,
p. 1239-1255; WACHSMANN P., Liberté d’expression et négation16. Be-midbar, nel deserto, Numeri 1,1.
17. Adam Rhine, Hebrew Illumination, 2008.
18 storiae
nisme, RTDH 2001, numero speciale, p. 585-599; DOUGLAS
L., Régenter le passé: le négationnisme et la loi, in BRAYARD
F.(dir.), Le Génocide des Juifs entre procès et histoire 1943-2000,
Complexe, 2000, p. 213-242; sulla giurisprudenza francese cfr.
FELDMAN J. P., Peut-on dire impunément n’importe quoi sur la
Shoah ? (De l’article 24bis de la loi du 29 juillet 1881), RIDC,
1998, p. 229-271; KAHN R. A., Holocaust Denial and the Law.
A Comparative Study, cit..
17
Cfr. par. 3 introdotto dalla L. del 26 febbraio 1992 (Bundesverfassungsgesetz vom 6 Februar 1947 über die Behandlung
der Nazionalsozialisten).
18
L. del 23 marzo 1995, “Per la repressione della negazione,
della minimizzazione, della giustificazione o dell’approvazione
del genocidio commesso dal regime nazional-socialista tedesco
durante la seconda guerra mondiale”.
19
Cfr. l’art. 607 del codice penale, intitolato “Genocidio”, reprime la diffusione di idee o la negazione e giustificazione degli
atti di genocidio, o la pretesa riabilitazione di regimi o istituzioni
che mettano in atto pratiche generatrici di tali crimini. Cfr. infra
per l’intervento del Tribunale costituzionale che ha parzialmente
modificato questa disposizione.
20
Cfr. l’art. 240 c.p.: «Discriminazione razziale o religiosa».
21
Cfr. art. 261 bis c.p., entrato in vigore il 1 gennaio 1995.
22
Vanno segnalate oltre alla giornata internazionale della memoria, la risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 26 gennaio 2007 che condanna «ogni tentativo
di negare o minimizzare l’Olocausto», documento agevolmente
reperibile sul sito: http://www.un.org/french/holocaustremembrance/news.shtml.
23
L’Unione Europea era già intervenuta con una Azione Comune in cui si sollecitavano gli Stati membri a reprimere la
negazione pubblica dei crimini definiti all’art. 6 dello Statuto
del Tribunale di Norimberga nella misura in cui essa includa
un comportamento di disprezzo o degradante verso un gruppo
di persone definito in base al colore, alla razza, alla religione o
all’origine nazionale o etnica. Cfr. Azione comune del 15 luglio
1996, adottata dal Consiglio sulla base dell’art. K3 del Trattato
sull’Unione europea, concernente l’azione contro il razzismo e
la xenofobia, «Gazzetta ufficiale delle Comunità europee», 24
luglio 1996, volume L 185, p. 5.
24
COHEN JONATHAN G., L’apologie de Pétain devant la Cour européenne des droits de l’homme, “Revue universelle des droits
de l’homme”, 1999, pp. 366 ss.
25
Così Lehideux et Isorni c. Francia, cit., par. 53 e par. 47;
Garaudy c. Francia, cit., par. 28.
26
Lehideux et Isorni c. Francia, cit., par. 47.
27
Ibidem, par. 55.
28
Così Garaudy c. Francia, cit., par. 26, citando Lehideux et
Isorni c. Francia, cit., par. 53.
29
Così Garaudy c. Francia, cit., par. 29. La tendenza a condannare le tesi negazioniste trova conferma in Remer c. Allemagne,
6 settembre 1995 (n. 25096/94, D.R. 82-a, p. 117); Pierre Marais
c. France (n. 31159/96, D.R., 86-A, p. 184); DI c. Allemagne, 26
giugno1996; Nationaldemokratische Partei Deutschlands del 29
de novembre 1995 (n. 25992/94, D.R. 84-A, p. 149).
30
Così Garaudy c. Francia, cit., par. 29.
31
Così Garaudy c. Francia, cit., par. 29. Cfr. anche Pierre Marais c. Francia, cit., p. 191 e Remer c. Alemagna, 6 settembre
1995.
Su un altro processo dinanzi ad un Tribunale nazionale (il
processo Irving) cfr. GUTTENPLAN D. D., Processo all’Olocausto,
Milano, 2001.
33
Cfr. pp. 28 e 29 della pronuncia.
34
Cfr. p. 30 della sentenza.
35
Non è questa l’unica sentenza di un tribunale costituzionale sul
reato di negazionismo. Si segnala qui in particolare la sentenza
del Bundesverfassungsgericht tedesco: BVerfG, 13 april 1994, in
“Neue Juristische Wochenschrift”, 1994. Un testo della decisione
in italiano si ritrova in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1994,
con il commento di VITUCCI M. C., Olocausto, capacità di incorporazione del dissenso e tutela costituzionale dell’asserzione di
un fatto in una recente sentenza della Corte Costituzionale di
Karlsruhe, p. 3379 ss.
36
V. il testo della sentenza, Antecedente de hecho n. 3).
37
Cfr. CEDU, Chauvy c. Francia, 23 giugno 2004, par. 69; Monnat
c. Svizzera, 21 settembre 2006, par. 57.
38
Cfr. testo della sentenza, (Fundamento Juridico 6).
39
Fondamento giuridico n. 7 della sentenza.
40
Cfr. testo della sentenza, (Fundamento Juridico 4).
41
Sulle contraddizioni di questa pronuncia cfr. VASQUEZ RAMOS A.
J., La declaracion de incostitucionalidad del delito de “negacionismo” (art. 607. 2 del codice penale), p. 22 del dattiloscritto.
42
Cosí VASQUEZ RAMOS A. J., La declaracion de incostitucionalidad, cit.
43
Sui pericoli e sui rischi di affidare ai Tribunali la decisione
su una questione di storia e non di diritto cfr. VIDAL NAQUET P.,
Les assassins de la mémoire, cit., p. 183, secondo cui richiedere
una decisione sulla storia significherebbe accreditare l’idea che
esistono due scuole storiche e che l’una può sopraffare l’altra.
La sovrapposizione tra diritto e verità storica trae con sé una
patente contaminazione tra etica e diritto, pure se si tratta di
«interpretazione, condivisa, definita e definitiva», in quanto la
verità storica non può costituire bene giuridico. Così CANESTRARI S., Laicità e diritto penale nelle democrazie costituzionali,
in DOLCINI E., PALIERO C. E. (dir.), Studi in onore di Giorgio
Marinucci, Milano, 2006, p. 148.
44
Sul negazionismo come esempio di diritto penale simbolico
cfr. anche CANESTRARI S., Laicità e diritto penale, cit., p. 149;
ROXIN C., Was darf der Staat unter Strafe stellen?, in DOLCINI
E., PALIERO C. E. (dir.), Studi in onore, cit., p. 731. Ciò che più
si vuole valorizzare sono le forti risorse che la legge penale
possiede sul piano della comunicazione simbolica, per cui il
terreno penale diviene il luogo di scontro tra concezioni etico-sociali. Sul punto STORTONI L., Commentario delle «Nuove
norme contro la violenza sessuale L. 15 febbraio 1996, n. 66»,
Padova, 1997, p. 475.
45
OSIEL M., Politiche della punizione, memoria collettiva e diritto
internazionale, in BALDISSARA L., PEZZINO P., Giudicare e punire,
Napoli, 2005, p. 106. Si veda anche per la “tribunalizzazione
della storia” MARQUARD O., MELLONI A., La storia che giudica,
la storia che assolve, Bari, 2008.
46
La trasmissione della memoria, secondo le note dinamiche di
selezione, riposa più sulla storia monumentale. Carlo Ginzburg
nota che le prove (in senso giuridico) non sono mai sufficienti a
proteggere dalle forze minacciose che erodono la memoria della
Shoah. Cfr. GINZBURG C., Beweis, Gedächtnis, Vergessen, cit..
47
La verità è la verità e non ha bisogno di essere verità legale.
Anzi a partire dal momento in cui essa è verità legale diviene
sospetta di poter essere strumentalizzata. Così VIDAL NAQUET P.,
Intervista su “Le Quotidien de Paris”, 9 maggio 1998.
48
«La contestazione dell’esistenza della Shoah non dovrebbe
essere vietata con una legge, perché la verità storica non dovrebbe mai trasformarsi in verità ufficiale». Così GINZBURG C,
Beweis, Gedächtnis, Vergessen, «Memory», 30, 2002 (Werkstatt
Geschichte), 50-60, p. 1.
49
Così VIDAL NAQUET P., Les assassins de la memoire, cit. Si
tratterebbe dunque di norme prive di laicità poiché l’attività di
valutazione del giudice verte non tanto sulla ricostruzione dei
fatti, ma sull’esame di affermazioni che quei fatti interpretano.
32
Si giudica infatti sull’avvenuta negazione, minimizzazione
o giustificazione di quegli avvenimenti. Quando anche fosse
assolutamente condivisa, definita e definitiva, il diritto non può
tutelare una interpretazione e nemmeno reprimere affermazioni
che la mettono in discussione, poiché, in questo caso specifico,
il nucleo che il diritto difende viene ad essere di tipo ideologico.
Non sembra accettabile l’individuazione del bene giuridico in
una interpretazione storica tra le infinite possibili: pertanto solo
nel caso in cui tali asserzioni attentino all’interesse o diritto altrui,
o se siano offensive per un gruppo, possono essere punibili.
50
Ogni istituzione politica, tirannica o democratica, fonda la
propria legittimità su alcuni tabù ideali e materiali, su alcuni miti
fondatori che necessitano di essere protetti. Sulla condanna della
Shoah sono sorte le democrazie europee e la verità storica su
quegli eventi costituisce un fondamento del sistema da difendere.
Così BURATTI A., L’affaire Garaudy di fronte alla Corte di Strasburgo. Verità storica, principio di neutralità etica e protezione
dei “miti fondatori” del regime democratico, «Giurisprudenza
italiana», 2005, fasc. 12, 2247.
51
Meno sensibilità sul tema e dunque anche una minore propensione alla criminalizzazione si rinviene in quei paesi che
non hanno vissuto direttamente quelle atrocità (in Europa, ad
esempio, i paesi scandinavi, o i paesi sudamericani o africani).
52
Per potere costituente intendiamo qui il momento della creazione di un dato quadro politico sia anteriore nel tempo - pertanto la
resistenza in Italia e in Francia è stata potere costituente rispetto
alla futura Repubblica -, sia interno - nessuna politica e nessuna
istituzione «vive» se non riceve adesione e partecipazione, se i
cittadini non ci credono o non partecipano alla norma -. In questo senso il momento dell’adesione e condivisione alla norma
si traducono in comportamento collettivo.
53
VASSALLI G., La formula di Radrbuch, Roma 2005, p. 215 con
riferimento alla legiferazione antifascista.
54
ROXIN C., Was darf der Staat unter Strafe stellen?, in DOLCINI
E., PALIERO C. E. (dir.), Studi in onore di Giorgio Marinucci,
Milano 2006, p. 731.
17
Emanuela Fronza è Ricercatore confermato di diritto penale
e docente di Diritto penale internazionale presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento.
È borsista della Fondazione Alexander von Humbodt presso la
cattedra di diritto penale del Prof. Gerhard Werle, Facoltà di
Giurisprudenza, Università Alexander von Humboldt, Berlino,
Germania. Partecipa ed ha partecipato a numerosi gruppi di
ricerca italiani e stranieri. Attualmente è membro, a titolo di
referente per l´Italia del “Grupo Latinoamericano de Estudios
sobre el Derecho Penal Internacional”, coordinato dal prof. Kai
Ambos (Università di Gottinga, Germania) e dal prof. Ezequiel
Malarino (Università di Buenos Aires, Argentina). È autrice di
articoli in lingua italiana e straniera. E’ curatrice di due volumi
in lingua francese e ha di recente pubblicato insieme ad altri
autori: Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffré,
Milano, 2006, II. Edizione 2010. Collabora con le redazioni di
diverse Riviste di diritto penale, italiane e straniere.
storiae
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La storia che passa in giudicato?