Anno XXXI - N. 2 - Giugno 1999
Sped. in A.P. - Art. 2 Comma 20/C - Legge 662/96 - Filiale di Milano
NEGRI NEWS 123
MENSILE DELL’ISTITUTO DI RICERCHE FARMACOLOGICHE MARIO NEGRI
si deve fare? Ha il diritto il paziente di
scegliere, statisticamente parlando, fra la
vita e la morte?
SALUTE E DIRITTI
Libertà
di cura?
Esiste il diritto al suicidio?
Proviamo a calare la discussione sulla libertà di cura nel vivo dei casi
concreti che quotidianamente devono essere affrontati. Il malato allo
stadio terminale e il malato con diverse, possibili opzioni di
intervento farmacologico e/o clinico. Quando il rifiuto di una terapia
equivale al suicidio, la “società” come deve comportarsi? Minori e
incapaci: chi deve decidere per loro? Perché non possono non
esistere limiti oggettivi alla “libertà di cura” come diritto individuale?
Una casistica poco filosofica
1. Si tratta di un caso disperato in cui non
esistono sostanzialmente possibilità di ottenere un miglioramento che possa ridare
una speranza di vita, come ad esempio in
un paziente portatore di tumore che sia
ad uno stadio “terminale“. In questo caso
il termine “libertà di cura” non ha alcun significato perché non esistono rimedi; nessuno può quindi interferire sulla volontà
del paziente sia che decida di andare a
Lourdes o di rivolgersi ad uno stregone.
2. Si tratta invece di un paziente che ha
una malattia curabile e per cui esistono
vari farmaci più o meno di efficacia equivalente; tuttavia le alternative farmacologiche danno luogo ad effetti collaterali diversi. In questo caso la libertà di scelta è
ragionevole: il medico dovrà spiegare al
paziente come stanno le cose fornendo
tutte le informazioni disponibili. Non vi è
dubbio che debba essere il paziente a
decidere, tanto per fare un esempio, se
preferisca curare la sua ipertensione
avendo qualche disturbo gastrointestinale o invece un po’ di mal di testa.
Un corollario di questa situazione può
essere quello di una alternativa fra un intervento medico (ad esempio a base di
farmaci) o un intervento chirurgico. Se i
risultati dei due tipi di intervento sono
comparabili, sarà di nuovo un obbligo del
medico fornire tutte le informazioni dei
vantaggi e degli svantaggi di ciascuna terapia perché alla fine sia il paziente a decidere, assumendosene le responsabilità, quale alternativa scegliere.
3. Il caso seguente è più complicato perché il paziente ha la necessità urgente di
fare una trasfusione di sangue, ma per
ragioni ideologiche o anche più semplicemente per la paura di essere infettato, rifiuta la trasfusione. Se purtroppo non esistono alternative terapeutiche note e se
la mancata trasfusione può rappresentare un pericolo di vita per il paziente, cosa
(continua in ultima pagina)
MALATTIE DEL SECOLO
Dimezzare la mortalità prematura
Le catastrofi del XX secolo sono ben note – 20 milioni di persone sono state uccise
dall’epidemia di influenza del 1919, 200 milioni in guerre e carestie, e circa 2 miliardi sono morti per malattie evitabili nella prima infanzia.
Ma questo è stato il secolo della vita, non della morte. Nel mondo, vi è stata una diminuzione di 3 volte nella mortalità infantile dopo il 1950, e alla fine del secolo l’attesa di vita nell’insieme di tutti i Paesi in via di sviluppo è migliore di quella di ogni
Paese avanzato nel 1900: metà delle persone oggi raggiunge l’età di 70 anni (e nei
paesi sviluppati i tre quarti vi arrivano). Ciònondimeno, nel 1990 vi sono stati 50 milioni di morti, di cui 15 milioni circa nella prima infanzia (0-4 anni), 15 milioni nella
mezza età (35-69 anni), e 15 milioni in età più avanzata. Se i tassi di mortalità infantile fossero stati in tutto il mondo ai bassi livelli dell’Europa Occidentale, nel
1990 vi sarebbero stati soltanto 1 milione di morti nell’infanzia invece di 15 milioni –
ma se la mortalità infantile fosse stata elevata come in Europa Occidentale nel
1900 vi sarebbero stati più di 30 milioni di morti!
Le sole cause importanti di morte che stanno aumentando rapidamente sono l’HIV
(AIDS) e il tabacco. Nessuno sa quante decine di milioni (o centinaia) di milioni di
morti l’HIV causerà nel prossimo secolo, ma se le attuali abitudini di fumo rimarranno stabili il numero di morti per tabacco aumenterà da circa 3 milioni per anno
1990 (ossia circa 30 milioni per decennio) a 10 milioni per anno nel 2030 (ossia
100 milioni per decennio). Nel mondo vi sono circa 1,5 miliardi di persone che già
fumano, o che fumeranno quando raggiungeranno l’età adulta, e l’evidenza epidemiologica in Europa, America e Cina suggerisce che circa metà di coloro che
continueranno a fumare sigarette saranno uccisi dalla loro abitudine (a meno che
non smettano). Inoltre, anche nella mezza età smettere di fumare evita la maggior
parte del rischio di venir uccisi dal tabacco, e farlo prima evita quasi del tutto questo rischio.
D’altra parte se il mondo dedicherà sufficienti risorse per far continuare la diminuzione della mortalità infantile nei paesi poveri (a meno che non succedano catastrofi), possiamo già immaginare un tempo in cui la gran parte di coloro che eviteranno l’HIV e il tabacco vivranno fino a 70 anni (in realtà in Italia 5 su 6 già vi arrivano).
RICHARD PETO
Università di Oxford - UK
NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 1
Alcuni recenti episodi in cui la magistratura è intervenuta imponendo determinate terapie hanno sollevato il problema
della libertà di cura.
Cosa significa il termine “libertà di cura”
quando chi se ne attribuisce il diritto non
ha adeguate informazioni? Quali sono i
limiti della libertà? Quali sono i diritti dei
minori o degli incapaci di intendere?
Filosofi e moralisti possono discutere dei
principi generali, ma in realtà può essere
più importante passare dalla teoria alla
pratica o addirittura alla casistica per cercare di capire come ci si debba comportare. Ci riferiremo a quattro tipologie che
possono forse rappresentare una buona
panoramica dei problemi da discutere.
Possiamo rispondere proponendo una situazione simile che è di più immediata
comprensione. Se qualcuno vuole suicidarsi, come si comporta la società? Cerca
in tutti i modi di evitare questo evento; non
si chiede se esista la libertà di suicidio, ma
si mobilita chiamando vigili del fuoco, psichiatri, psicologi e familiari o chiunque possa persuadere il candidato suicida a rinunciare; fra l’altro non esita a ricorrere a qualsiasi “trucco” per dissuadere e così salvare, almeno temporaneamente, il candidato
suicida. Ci dovremmo comportare diversamente nei confronti di chi, rifiutando un
trattamento fondamentale per sopravvivere, si comporta di fatto come un suicida?
4. L’ultimo caso riguarda una situazione
in cui la “libertà di cura” non può essere
esercitata dall’interessato perché troppo
piccolo o incapace, ma viene perciò effettuata da chi è responsabile, genitori o tutori. Il problema è relativamente semplice
SILVIO GARATTINI
FARMACI
Nuovi antitumorali
di origine marina
Lo studio di nuovi prodotti naturali di origine marina (come l’ET743) è un campo di ricerca promettente per migliorare la messa a
punto di terapie antitumorali innovative. Un lavoro che vede
impegnati molti gruppi di ricerca in tutto il mondo. Quello che si
sta facendo nel Dipartimento di Oncologia dell’Istituto. La scarsità
quantitativa dei composti estratti dagli organismi marini e la
necessità di sintetizzarli in laboratorio diminuendone la tossicità.
Il Dipartimento di Oncologia dell’Istituto
Mario Negri è impegnato da anni nello
studio di farmaci antitumorali con meccanismo d’azione innovativo.
Negli ultimi cinque anni una parte delle
ricerche si è rivolta allo studio di nuovi
prodotti naturali di origine marina, che
hanno mostrato un’interessante attività
antitumorale a livello preclinico.
Che dal mare si possano estrarre composti con attività terapeutica contro i tumori è noto da molti anni. Basti pensare
che uno dei farmaci antileucemici più utilizzati in clinica, la citosina arabinoside, è
stata identificata per la prima volta in una
spugna denominata criptotetia cripta.
Successivamente è stato possibile ottenere questo farmaco attraverso una sintesi chimica.
NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 2
Ricerche a livello mondiale
Più recentemente sono migliorate anche
le tecnologie per l’esplorazione marina a
diverse profondità ed è stato possibile ottenere un’elevata varietà di campioni di
microorganismi e macroorganismi vegetali e animali da cui estrarre potenziali
farmaci.
Anche se vi sono diversi gruppi negli Stati
Uniti, in Australia, in Giappone e in Europa che lavorano in questo campo, il gruppo che recentemente ha ottenuto notevoli
successi nell’identificazione di farmaci dal
mare è quello della Pharma Mar. Questa
compagnia ha avuto il vantaggio di utilizzare la struttura di una delle più grandi
ditte di pesca della Spagna e del mondo,
la Pescanova, che dispone di una flotta di
140 navi, con grande potenzialità di raccolta di campioni in tutti i mari del globo.
Giovandosi di questa struttura, di un competente gruppo di biologia marina e di
collaborazioni con università e istituti di ricerca di grande competenza e prestigio
in tutto il mondo, Pharma Mar, una piccola costola di Pescanova, ha investito risorse in un grande progetto, cioè quello
di identificare potenziali farmaci antitumorali di derivazione marina. Da diversi anni,
nell’ambito del Dipartimento di Oncologia
dell’Istituto Mario Negri, il Laboratorio di
Farmacologia Antitumorale e il Laboratorio di Biologia e Terapia delle Metastasi
diretto dalla Dott.ssa Raffaella Giavazzi,
collaborano attivamente con i ricercatori
della Pharma Mar, dei centri di Tres Cantos (Madrid, Spagna) e di Boston (USA)
per studiare il meccanismo d’azione e le
proprietà farmacologiche di molti composti estratti da organismi marini.
Presso i nostri laboratori sono in studio
alcuni composti ed esistono già evidenze
di un’attività antitumorale, per lo meno in
sistemi sperimentali preclinici.
Uno di questi, denominato Ecteinascidina-743 (ET-743), scoperto nel mar dei
Caraibi, è già da molti mesi in sperimentazione clinica in diversi centri oncologici
europei e statunitensi.
È ancora presto per poter definire l’efficacia di ET-743, ma in alcuni pazienti per i
quali non esistevano terapie disponibili,
si è osservata una regressione del tumore. Questi dati sono estremamente preliminari e non ci consentono di trarre conclusioni sull’efficacia clinica di ET-743,
ma ci fanno sperare che la successiva
sperimentazione clinica (Fase II e Fase
III) avrà un esito positivo. È da notare come i farmaci antitumorali che si sono
scoperti negli ultimi dieci anni sono nella
gran maggioranza dei composti di origine
naturale. Ad esempio i taxani estratti dalla corteccia e più recentemente dalle foglie di alcuni tipi di tassi hanno mostrato
una notevole attività in pazienti con tumore della mammella e dell’ovaio.
La ricerca nel campo dei prodotti naturali
di origine marina è ancora agli inizi, ma la
ricchezza degli organismi vegetali e animali e dei microorganismi è presumibilmente molto maggiore di quella terrestre.
La sopravvivenza di molte specie marine,
soprattutto di organismi di piccola dimensione non difesi da una corazza, è dovuta
alla capacità di sintetizzare composti che
possono attuare una vera guerra chimica
nei confronti di potenziali aggressori.
Strutture chimiche complicate
Si sono sviluppate pertanto, nel corso
dell’evoluzione, delle capacità metaboliche che portano alla sintesi di composti
con una struttura chimica estremamente
complicata, difficilmente immaginabile
anche dal più fantasioso e abile chimico,
con numerose attività biologiche di potenziale interesse per la terapia di malattie umane. La ricerca di questi composti
è molto difficile in quanto una volta isolato un principio attivo presente in un certo
organismo marino, si deve identificare
chimicamente la molecola responsabile
dell’attività biologica presente nell’estratto. Una volta identificata la molecola attiva se ne deve purificare una quantità sufficiente per lo studio del suo meccanismo
d’azione e delle sue proprietà biologiche
e farmacologiche. Successivamente si
procede a valutare l’attività antitumorale
in tumori murini e in tumori umani che
crescono in topi atimici (studi di attività
antitumorale in vivo) e a valutare il quadro tossicologico in diverse specie animali. Gli studi dell’attività antitumorale in
vivo, soprattutto su tumori scarsamente
sensibili all’attività di farmaci disponibili, e
la valutazione tossicologia, consentono
di avere degli elementi utili per decidere
se, e a quali dosi, incominciare la sperimentazione clinica (Fase I).
Uno dei problemi che si possono incontrare è la relativa scarsità quantitativa di
un certo composto estratto da un organismo marino e la necessità di attuare dei
programmi di produzione attraverso la
coltura dell’organismo stesso che produce il composto d’interesse o della sua
sintesi chimica.
In collaborazione con Pharma Mar il premio Nobel per la chimica Elias Janes Corey con il suo gruppo all’Università di Harvard (Boston, MA, USA) è riuscito a sintetizzare ET-743, dei frammenti che compongono ET-743 e suoi analoghi strutturali. La disponibilità di un’ampia varietà di
molecole analoghe a ET-743 ci consentirà
di ottenere informazioni preziose sull’importanza delle varie parti della molecola
nel determinare i vari effetti biologici osservati. Ad esempio ET-743 ha mostrato una
notevole attività antitumorale nei sistemi
preclinici utilizzati dai nostri laboratori, ma
anche un certo grado di epatotossicità. Attraverso lo studio di analoghi strutturali di
ET-743 ci proponiamo di identificare farmaci ugualmente attivi, ma meno tossici.
Nei nostri laboratori sono in corso di attuazione questo e altri progetti che riguardano ET-743 e molti altri prodotti
marini e ci auguriamo di poter dare nel
prossimo futuro, ai lettori di Negri News,
risultati nuovi e promettenti di questo affascinante campo di ricerca.
MAURIZIO D’INCALCI
Dipartimento di Oncologia
Laboratorio di Farmacologia Antitumorale
Istituto Mario Negri, Milano
SEMINARI
Italia, malattie rare
e farmaci orfani
Si è svolto in marzo a Firenze il Seminario Internazionale sul rapporto fra malattie rare e farmaci orfani alla luce delle
esperienze realizzate in diversi Paesi. Si
stima che le malattie rare siano circa
5.000, cioè il 10% delle patologie conosciute, con una frequenza variabile da
1:20.000 a 1:200.000. Nella sola Comunità Europea si stimano tra 20 e 25 milioni le persone (malati, parenti, medici,
amici, ecc..) coinvolti da una malattia rara spesso debilitante e non di rado invalidante. Alle malattie rare si collegano i
cosiddetti “farmaci orfani” che l’industria
farmaceutica non ha interesse a sviluppare in base ad una stretta valutazione
economico-industriale. A Firenze si è auspicata la creazione di un’anagrafe delle
malattie rare riferita alle diverse aree italiane ed è stata sottolineata la necessità
di una apposita legge nazionale sulla
produzione di “farmaci orfani”: in America
l’Orphan Drug Act, con opportuni meccanismi fiscali, ha permesso in 13 anni di
sviluppare alcune centinaia di nuovi medicinali per curare malattie rare.
ora dall’inizio dei sintomi, questo beneficio è dilatato e a dieci anni di distanza risultano salvate 80 vite anzichè 19. In
questo caso infatti il trattamento riduce il
rischio assoluto di morte da 443 per
1000 pazienti a 353 per 1000 pazienti.
INFARTO
La streptochinasi
funziona a lungo
Il GISSI-1 dimostra che il miglioramento della sopravvivenza
ottenuto con la streptochinasi somministrata al momento del
ricovero in ospedale resta a dieci anni dall’infarto. La riduzione
del rischio di morte, già provata a un anno di distanza, è risultata
mantenersi nel tempo: il controllo sul 93% della popolazione
partecipante in origine allo studio, rintracciata grazie alle Anagrafi
dei Comuni. Fondamentale la tempestività di trattamento.
Una verifica 10 anni dopo
Per verificare questo risultato il GISSI,
nato dalla collaborazione tra l’Associazione Nazionale dei Medici Cardiologi
Ospedalieri (AMNCO) e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, ha
seguito per più di dieci anni il destino degli oltre 11.700 pazienti che, nei primi anni 80, avevano preso parte al mega-studio GISSI-1. L’obiettivo di questo studio
consisteva nel valutare l’efficacia nell’infarto di un trattamento per infusione endovenosa della durata di un’ora con una
singola dose di 1,5 milioni di streptochinasi, un farmaco fibrinolitico dimostratosi
in grado di riaprire l’arteria coronarica
colpita “sciogliendo” il coagulo che provoca l’infarto miocardico.
Il trattamento sperimentale veniva confrontato in modo “randomizzato” con la
terapia a quel tempo di routine nei pazienti ricoverati con infarto acuto entro 12
ore dall’inizio dei sintomi.
I risultati del GISSI-1, pubblicati sulla
prestigiosa rivista The Lancet nel 1986,
indicarono una riduzione intorno al 20%
della mortalità intraospedaliera nei pazienti che avevano ricevuto la streptochinasi entro le prime 12 ore dall’inizio dei
sintomi, che corrispondeva a un beneficio assoluto di 22 vite salvate ogni 1000
pazienti trattati.
Inoltre la dimensione del beneficio risul-
tava tempo-dipendente, con riduzioni
maggiori di mortalità nei pazienti trattati
precocemente.
I pazienti furono seguiti per il primo anno
dopo l’infarto e questo primo follow-up indicò che il beneficio era ancora presente.
Dieci anni dopo questi risultati, gli uffici
anagrafici dei Comuni di residenza sono
stati interpellati dal GISSI per rintracciare
i pazienti e verificarne la sopravvivenza
per valutare se il beneficio si manteneva
nel tempo.
Attraverso la collaborazione delle anagrafi, rivelatesi indispensabile ed efficente, è stato possibile recuperare il 93%
della popolazione interessata.
A dieci anni dall’infarto l’aumento della
sopravvivenza prodotto dalla streptochinasi, che era ancora presente ad un anno, è risultato essersi mantenuto in modo
significativo: il trattamento riduce il rischio assoluto di morte a dieci anni da
469 per 1000 pazienti a 450 per 1000 pazienti, ossia produce un beneficio netto di
19 vite salvate ogni 1000 pazienti trattati.
Nei pazienti che si presentano in ospedale e ricevono il trattamento entro la prima
Come sottolinea l’editoriale di Circulation
le due ragioni per guardare al GISSI come a un punto di riferimento sono, come
10 anni fa, complementari: da un lato i risultati clinici ed epidemiologici e le loro
implicazioni di salute pubblica, dall’altro il
fatto di dimostrare che la ricerca più innovativa può prodursi a basso costo,
identificandosi strettamente con la pratica corrente di un Sistema Sanitario Nazionale.
Il GISSI-1 è stato riconosciuto a livello internazionale come lo studio che ha aperto l’era della fibrinolisi, rendendola accessibile a tutti i pazienti colpiti da infarto. In seguito ai suoi risultati la terapia fibrinolitica è diventata la terapia raccomandata di routine. La conferma della
persistenza dei suoi benefici anche sul
lungo termine rinforza la raccomandazione di trattare il più presto possibile tutti i
pazienti che non hanno controindicazioni
a questo trattamento e che si presentano
entro 12 ore dall’inizio dei sintomi, velocizzando il più possibile le procedure di
avvio al trattamento già in Pronto Soccorso. I risultati indicano inoltre l’opportunità di promuovere campagne di informazione alla popolazione sull’assoluta neccessità di non perdere tempo nel caso di
sintomi di infarto.
MARIA GRAZIA FRANZOSI
Centro di coordinamento GISSI
DOPING E SPORT
Per un’informazione corretta
Con la non giustificata pretesa di migliorare le prestazioni sportive si usano farmaci e integratori studiati, in realtà, per
indicazioni e con posologie differenti;
inoltre, nella nostra società farmacocentrica, si tende a delegare a queste sostanze
effetti ottenibili altrimenti con allenamento
e dieta adeguati.
Insieme alla lealtà nelle
competizioni, sono questi i punti messi a fuoco
– in tema di doping e
sport – da questa agile
pubblicazione nata dalla collaborazione di farmacisti e medici: raccoglie in 48 pagine, con
taglio divulgativo, schede su farmaci e altre
sostanze dopanti (anabolizzanti, ormoni peptidici e glicoproteici, stimolanti, molecole che
innalzano la soglia del
dolore o mascherano le tracce di sostanze vietate, aminoacidi, integratori)
più la classificazione Cio (Comitato internazionale olimpico) e si rivolge a
operatori sanitari, ma soprattutto atleti e
genitori di ragazzi che fanno sport.
L’opuscolo offre quindi un’informazione
semplice e corretta sul doping, basata
sulle conoscenze scientifiche disponibili
e mirata a sfatare i luoghi comuni. “La maggior parte delle sostanze dopanti non aumenta la performance” precisa per esempio Rina
Di Pasquale, farmacista
co-autrice del manuale
“mentre quelle che producono qualche effetto
comportano anche maggiori rischi, come gli
anabolizzanti”.
Edito da Medical Economics Italia, il manuale costa 3.000 lire (parte del ricavato verrà
devoluto all’Istituto Mario Negri per un progetto di assistenza sanitaria in un Paese in via di
sviluppo) e va richiesto all’editore (fax
02.38040607) poiché sono ancora in via
di attivazione canali distributivi come
palestre e librerie, oltre alle edicole.
NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 3
Ormai più di dieci anni fa, nel 1985, i risultati di uno studio totalmente italiano,
condotto dal Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico (GISSI), venivano salutati a livello internazionale come l’inizio di una nuova era nel trattamento dell’infarto: con
una semplice infusione di un’ora con un
farmaco largamente disponibile e a basso costo era possibile ridurre del 20% la
mortalità dei pazienti con infarto.
Quel “vecchio” studio è ritornato sulle prime pagine della rivista leader nel campo
cardiovascolare, Circulation, che sul numero del 15 Dicembre ’98 riporta i dati
che descrivono il destino di quei pazienti
a 10 anni di distanza: l’aumento della sopravvivenza dei pazienti colpiti da infarto
acuto del miocardio ottenuto con la somministrazione tempestiva di streptochinasi è ancora presente; dopo tutto questo
tempo si conferma inoltre, in armonia
con quanto era stato osservato durante il
ricovero in ospedale, che l’ampiezza del
beneficio è direttamente proporzionale
alla tempestività nella somministrazione
del trattamento.
Due indicazioni importanti
RICERCA E SALUTE
SALUTE E DIRITTI
L’alprostadil
è efficace
Libertà di cura?
(continua dalla prima pagina)
Una ricerca interamente italiana fornisce nuove speranze nella
lotta alle gravi arteriopatie degli arti inferiori. Si tratta del più
grande studio fino ad oggi condotto su questa drammatica ed
invalidante patologia che può portare all’amputazione di una
gamba o alla morte del paziente. Misurati i benefici dell’infusione
di alprostadil durante le 3 settimane di ricovero ospedaliero.
Necessarie ora ulteriori sperimentazioni con più cicli di trattamento.
I risultati di uno studio ideato e condotto
in Italia danno oggi qualche speranza in
più ai pazienti affetti da gravi arteriopatie
degli arti inferiori. La ricerca, infatti, documenta per la prima volta l’efficacia di un
trattamento farmacologico in questi malati che hanno una qualità di vita davvero
povera e una prognosi molto grave.
Nei pazienti colpiti dalla malattia, definita
“Ischemia cronica critica degli arti inferiori”, il processo arteriosclerotico ha finito
per ridurre lo spazio interno delle arterie
degli arti inferiori. Di conseguenza il flusso sanguigno viene notevolmente ridotto,
con la inevitabile diminuzione dell’apporto di sangue e di ossigeno ai tessuti periferici. Il danno che i tessuti stessi ne ricevono è enorme.
Questi pazienti soffrono per la presenza di
un dolore al polpaccio che compare anche a riposo, tipicamente di notte, e per la
comparsa di lesioni cutanee che stentano
a rimarginare e a guarire. Per loro la prospettiva è realmente drammatica. La minaccia più prossima è quella della perdita
dell’arto: circa un terzo dei malati ne subisce l’amputazione entro un anno. La loro
sopravvivenza, inoltre, è inferiore a quella
di molte persone colpite da tumore.
NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 4
Benefici sostanziali
Lo studio italiano, pubblicato negli Stati
Uniti da una delle più prestigiose riviste
di medicina, gli Annals of Internal Medicine, è frutto di una ricerca condotta da un
gruppo di una sessantina di centri di chirurgia vascolare e angiologia e coordinato dall’Istituto Mario Negri.
Il gruppo, denominato I.C.A.I. (sigla che
identifica la malattia studiata), ha sperimentato su oltre 1500 pazienti l’effetto
dell’alprostadil-alfa-ciclodestrina, un farmaco appartenente alla categoria delle
prostaglandine.
Tutti i malati coinvolti sono stati trattati
secondo le procedure chirurgiche di rivascolarizzazione (essenzialmente angioplastica e bypass) e le terapie mediche
oggi normalmente praticate. In aggiunta
a questi trattamenti una metà di loro, selezionata in modo casuale, è stata sottoposta a infusione endovenosa del farmaco sperimentale.
L’infusione durava un paio di ore al giorno e veniva praticata durante l’intero periodo del ricovero in ospedale, in media
circa tre settimane.
La proporzione di pazienti guariti, cioè
non sottoposti ad amputazione e dimessi
senza ulcere né dolore, è risultata superiore di un terzo nel gruppo trattato con
alprostadil rispetto al gruppo di controllo,
che non riceveva il farmaco. In altri termini, senza il nuovo trattamento la guarigione ha riguardato un paziente su quattro,
mentre con l’uso dell’alprostadil si è arrivati ad uno su tre.
Il vantaggio ha interessato diverse categorie di pazienti per le quali si riconosce
una prognosi diversa: diabetici e non diabetici, chi lamentava solo dolore e chi
aveva anche ulcere, chi è stato sottoposto a un intervento di rivascolarizzazione
e chi non era idoneo ad esso, tutti hanno
goduto di un sostanziale beneficio.
Come era stato previsto dai ricercatori,
dopo un singolo corso di terapia il vantaggio si è man mano ridotto nel tempo,
risultando marginale all’ultima visita di
controllo programmata dopo sei mesi.
Questa osservazione lascia aperta la
porta ad una ulteriore sperimentazione:
verificare se più cicli di trattamento con
alprostadil, ripetuti nel tempo, possono
aumentare, e soprattutto prolungare, il
beneficio che i pazienti ne traggono.
Oltre a segnalare il primo dato positivo
per pazienti gravi e fino ad oggi privi di rimedi farmacologici efficaci, questo studio
coglie un altro importante risultato.
È la dimostrazione di come la collaborazione tra molti centri e diverse aree di intervento possa raccogliere grandi numeri
di pazienti attorno a una ipotesi semplice,
che si può facilmente proporre e verificare nella pratica clinica quotidiana. Gli oltre
1500 malati studiati dal gruppo I.C.A.I.
hanno consentito di dare una prima risposta a un problema che molti studi precedenti condotti in campo internazionale,
basati su un numero minore di pazienti,
hanno lasciato per anni irrisolto.
VITTORIO BERTELÈ
Unità di Medicina Vascolare
Consorzio Mario Negri Sud
Per ulteriori informazioni:
Segreteria I.C.A.I.
C/O Istituto Mario Negri Milano
Dottor Vittorio Bertelè
Tel.
02-39014314
Fax
02-3546277
email: [email protected]
Dottoressa Maria Carla Roncaglioni
Tel.
02-3901481
Fax
02-39001916
email: [email protected]
Nota: il rapporto originale del lavoro è disponibile all’indirizzo http://www.acponline.org/journals/annaltoc.htm
se rientra nelle prime due tipologie, ma è
di natura diversa se entra nella terza e
cioè: i genitori o i tutori hanno il diritto di
impedire che l’ammalato riceva un trattamento, il solo, che ha forti probabilità di
essere risolutivo? Poco importa la ragione
per cui i genitori non vogliano la terapia,
siano anche le più comprensibili come
quelle di tipo compassionevole che intendono evitare al figlio trattamenti dolorosi.
Anche in questo caso sostenere che il genitore ha il diritto di scegliere per il figlio e
scandalizzarsi per il fatto che un magistrato possa sospendere temporaneamente la potestà paterna è in contrasto
con quando normalmente viene fatto in
altre circostanze. Qualsiasi genitore che
abusi del figlio o maltratti il figlio viene destituito della sua autorità con il consenso
popolare. Quale è la differenza fra maltrattare il figlio ed impedirgli di avere una
terapia efficace? Né può essere accettato
il fatto che il genitore voglia scegliere anziché una terapia che ha il vaglio dell’evidenza, una terapia di cui non si sa nulla.
Si tratta della stessa situazione: scegliere
fra la possibilità di vita e la certezza di
morte. Ben venga quindi l’intervento del
magistrato per riparare ad un errore, seppure in buona fede e con tutte le attenuanti, di chi ha la responsabilità, ma non
ha le conoscenze per esercitarla. Non intervenire significherebbe rendersi corresponsabili di un atteggiamento del tipo
“padre-padrone” molto vicino nei fatti ad
un comportamento criminale.
Considerando queste tipologie si può forse concludere che la “libertà di cura” non
è sempre un diritto individuale, ma rispecchia situazioni in cui la società ha il
diritto di intervenire in vari modi e, quando necessario, anche in modo drastico.
SILVIO GARATTINI
NEGRI
NEWS
Direttore Responsabile
SILVIO GARATTINI
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri - Ente Morale
via Eritrea 62 - 20157 Milano
Tel. 02.39014.1 - Telex 331268 NEGRI I
Fax 02.354.6277
Fotocomposizione e Stampa:
Stamperia Stefanoni Bergamo
Iscritto nel registro del Tribunale di Milano
al N. 117 in data 28 marzo 1981
Tiratura 34.300 copie
Finito di stampare nel maggio 1999
Per garantire la privacy. In conformità a quanto previsto dalla
legge n. 675/96 art. 10 sulla tutela dei dati personali, l’Istituto di
Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” garantisce tutti i suoi
lettori che i più assoluti criteri di riservatezza verranno mantenuti sui dati personali forniti da ognuno. A tal fine si fa presente
che le finalità dell’Istituto Mario Negri sono relative solo alla
spedizione del “Negri News”. Con riferimento all’art. 13 della
legge n. 675/96, le richieste di eventuali variazioni, integrazioni
o anche cancellazioni dovranno essere indirizzate a:
Segreteria Generale - Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario
Negri” - Via Eritrea 62 - 20157 Milano
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