COLLANA CENTENARIO
P. ANTONIO PICCARDO
nel ricordo e nella gratitudine
EDIZIONI RISONANZE
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A MO’ DI INTRODUZIONE
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P. LUIGI PROFUMO SJ
RIMEMBRANZE
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Per l’onore del sacerdozio cattolico, che è l’onore di Gesù Cristo, Nostro Signore, del suo
Vicario in terra e della Santa Chiesa, crediamo opportuno di dare una relazione della devota
festa, celebrata per il giubileo del cinquantesimo anno di sacerdozio del P. Antonio
Piccardo, come introduzione e quasi prefazione al discorso, tenuto in quella occasione da
Monsignor Giacomo Ghio, Arcivescovo di Urbino, e che qui offriamo pubblicato per le
stampe.
Il P. Piccardo nacque in Voltri, città dell’archidiocesi di Genova, nel dí 14 dicembre del
1844, e dopo i primi studi in patria fu collocato nel Collegio Nazionale di Genova, dove era
già suo fratello maggiore e dove egli rimase fino al compimento del corso di retorica.
Quindi, essendosi proprio allora per disposizione governativa aperto il Liceo, ne frequentò,
quale esterno, le tre classi dal 1860 al 1863.
Il giovane Piccardo, che fino dalla sua fanciullezza aveva sentito viva inclinazione allo stato
ecclesiastico, allora finalmente, vinto ogni ostacolo, poté essere accolto nel Seminario
Arcivescovile di Genova per lo studio della sacra teologia; terminato il quale, nel dí 6
giugno del 1868, ricevette l’ordinazione sacerdotale per mano di Monsignor Andrea
Charvaz, Arcivescovo di Genova.
Nelle feste del Santo Natale del 1867, essendo egli ancora diacono in Seminario, il Priore
Frassinetti inviò a lui alcuni congregati dalla Pia Unione dei Figli di Santa Maria
Immacolata, che, sotto la sua disciplina, vivevano come religiosi in mezzo al secolo, a
proporgli di accettare la direzione dei giovinetti poveri, da Lui raccolti per essere avviati allo
stato ecclesiastico, e che allora erano diretti in modo casalingo e paterno dal sig. Pietro
Olivari, tipografo, discepolo del Frassinetti, uomo di singolare pietà e prudenza. Il diacono
Piccardo rispose che, quando fosse ordinato sacerdote, avrebbe accettato volentieri
quell’ufficio, se i Superiori avessero dato la loro approvazione, riservandosi intanto di
parlare col Frassinetti. Ma ecco il giorno 2 gennaio del 1868 muore il Frassinetti, e sono poi
rinnovate le istanze al Piccardo, perché volesse dedicarsi a quella opera che il Frassinetti
aveva appena cominciata.
Poco dopo la sua ordinazione sacerdotale il Piccardo venne presentato dall’allora Canonico,
e poi Cardinale, Gaetano Alimonda all’Arcivescovo per il consenso circa l’accettazione
dell’ufficio di Direttore dei Figli di Maria. L’Arcivescovo acconsentí benignamente alla
domanda e il sacerdote Piccardo, dopo aver fatto un viaggio a Roma, dove ebbe la
benedizione del S. Padre Pio IX, ad Assisi e a Loreto, entrò direttore della Casa, dove dopo
alcuni anni ebbe a coadiutore il Sacerdote Gio. Battista Semino, poi canonico a S. Maria di
Carignano.
Nei primi tempi del suo governo, non essendo molti gli alunni, egli poté dedicarsi ancora
agli studi, e per desiderio del suo genitore, frequentava l’università regia per il biennio di
Diritto Canonico, avendo a professori il Rev.mo Daneri, canonico della Cattedrale di San
Lorenzo, e l’erudito avvocato, Domenico Boccardo. Intanto coltivava pure gli studi della
Teologia per laurearsi alla stessa Università, non essendo in quel tempo ancora ristabilito il
Collegio Teologico di S. Tommaso. Già aveva sostenuto quasi tutti gli esami delle
particolari materie teologiche, a lui dati da Monsignor Magnasco e dai Teologi Oliva,
Bolasco e Balbi, che erano ancora considerati come professori di Teologia dell’Università,
quantunque insegnassero nel Seminario Arcivescovile; ma non poté giungere alla fine del
corso accademico per la sua malferma salute.
Come istituto di preparazione alla Casa dei Figli di Maria in Genova, Don Piccardo nel 1870
fondò il Collegio di S. Giuseppe, che dapprima ebbe sede nel Monastero Benedettino di S.
Giuliano d’Albaro, e dopo, tornati colà i religiosi di S. Benedetto, fu trasferito nel 1873 a
Serrea presso Voltri, e si chiuse nel 1875, quando la Casa di Genova poteva ormai
accogliere un considerevole numero di alunni.
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Il successore dell’Arcivescovo Charvaz, che fu Monsignor Salvatore Magnasco, Prelato
veramente ammirabile per dottrina e zelo pastorale, aiutò generosamente l’Opera dei Figli di
S. Maria Immacolata, che poté in breve floridamente svolgersi ed ampliarsi. Asceso poi,
dopo Monsignor Magnasco, sulla cattedra episcopale di Genova Monsignor. Tommaso
Reggio, sempre usò grande favore e protezione verso i Figli di Maria; ed anzi chiamò Don
Piccardo a prendere anche la direzione dei Seminari arcivescovili, ufficio che egli tenne per
sette anni (1895-1902).
Nel 1887 aprí in Pra (Genova) il Collegio-Convitto S. Giuseppe per i giovanetti delle scuole
elementari e nel 1893 fondò il Collegio, ora tanto fiorente, della Sacra Famiglia a Rivarolo
Ligure.
Sotto il governo dell’Arcivescovo Monsignor Pulciano il Rev. Piccardo, per un intreccio di
circostanze provvidenziali, invitato dall’Eminentissimo Pietro Respighi, Cardinale Vicario
di Sua Santità, e con l’approvazione e benedizione del Sommo Pontefice Leone XIII, aprí in
Roma il Collegio Ecclesiastico di Maria Immacolata.
Nel 1903 si apriva la Casa di Lugnano in Teverina. Si conobbe allora piú chiaramente la
necessità di assicurare la stabilità all’Opera dei Figli di Maria, e nel 1904 il Rev. Piccardo
divisò di dare all’Istituto, da lui diretto, un ordinamento compiuto in forma di
Congregazione Religiosa, e, cosa non frequente, ebbe subito dal Papa Pio X il Decretum
laudis. Nel 1910 l’Istituto fu riconosciuto canonicamente dalla S. Congregazione dei
Religiosi e ne furono approvate le Costituzioni ad septennium. Nello stesso anno si fondava
il Collegio del Sacro Cuore in Siena.
Il Sommo Pontefice Benedetto XV, felicemente regnante, sarà registrato nelle memorie della
Congregazione, quale benignissimo Benefattore e Padre dei Figli di S. Maria Immacolata,
per la sua paterna generosità e benevolenza, di cui, come diremo, diede nuove e piú ampie
prove per le feste giubilari del P. Piccardo. È giusto pure riferire che Monsignor Lodovico
Gavotti, ora Arcivescovo di Genova, che fu già professore nel Seminario Maggiore di quella
città, quando v’era rettore il P. Piccardo, largheggiò sempre e continua a largheggiare in
amorevoli pegni di protezione e di incoraggiamento verso l’Opera dei Figli di Santa Maria
Immacolata.
La festa del giubileo sacerdotale del P. Piccardo fu annunziata da tre lettere circolari. Prima
fu quella inviata da due fra i primi alunni superstiti, che furono accolti nella Casa dei Figli di
Santa Maria Immacolata dallo stesso Priore Frassinetti, cioè dai sacerdoti Giovanni Battista
Boraggini, direttore del Collegio di S. Giuseppe in Pra, e dal Can. prof. Bartolomeo Arecco.
Nella circolare si invitavano i sacerdoti, antichi e nuovi alunni del P. Piccardo, ad applicare
la S. Messa secondo l’intenzione del venerato Direttore nel giorno 6 di giugno, data
dell’ordinazione sua sacerdotale.
Le adesioni furono notificate al Sac. Prospero Casella, Prevosto di S. Giovanni di Pre,
Presidente del Collegio dei Parroci Urbani in Genova, altro dei primi alunni. La seconda
circolare fu diramata dalla Confraternita dei Genovesi in Roma, eretta nella chiesa di S.
Giovanni Battista dei Genovesi nella stessa alma città, la quale chiesa era stata scelta per
celebrarvi la funzione giubilare. Il P. Piccardo nella Confraternita ha la carica di Vicario. La
circolare portava la firma del Comm. Canevelli e di Monsignor Taggiasco, Governatori della
Confraternita, e quella del Comm. Giovanni Pasquale Scotti, Provveditore del pio Sodalizio.
Altra circolare, sottoscritta dal P. Minetti, Rettore dell’Istituto Ecclesiastico di Maria
Immacolata in Roma, e dal P. Gaggero, Procuratore generale della Congregazione, fu
spedita agli amici e benefattori della Congregazione in Roma e fuori, per invitarli a prendere
parte con la presenza, o con la preghiera alla festa del giubileo.
Fu anche dato avviso benevolo della festa dalla stampa cattolica di Genova, cioè da “Il
Cittadino”, dalla “Liguria del Popolo”, dall’“Amico delle Famiglie” e dalla “Settimana
Religiosa”. Fu pure annunziata dall’“Osservatore Romano” e dal “Corriere d’Italia” di
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Roma, e dall’“Unità Cattolica” di Firenze. Gli stessi giornali e l’“Eco del Pontificato”
diedero poi ampia e ossequentissima relazione dei festeggiamenti giubilari.
Il giorno preciso dell’Ordinazione sacerdotale del P. Piccardo occorreva, come si disse, il
giovedí 6 giugno, ottava del Corpus Domini, e il venerato Padre aveva divisato di recarsi a
celebrare la data memoranda a Lugnano in Teverina, ove nell’antico cenobio di S. Francesco
trovasi accolto il collegio dei giovinetti aspiranti alla Congregazione. Intendeva però
l’ottimo Padre passare quel giorno in modo tutto familiare ed intimo, insieme con i suoi
diletti alunni. Ma giunto al mattino del dí 6 giugno in Lugnano, accompagnato dal Sac.
Vittorio Steffani, con sua meraviglia trovò la chiesa addobbata a festa e gremita di popolo,
che, quantunque fosse giorno di lavoro, era accorso alla devota funzione per dare una
testimonianza di ossequio e di gratitudine al Superiore Generale, che fin dall’anno 1903
scelse quel paese a cara sede d’un suo Collegio. Tutto era preparato per il rito solenne e il P.
Piccardo, compiacendo al desiderio dei suoi religiosi e del popolo, cantò la Santa Messa che
fu accompagnata dal coro musicale del Collegio. Dopo la Messa si intonò il Te Deum e fu
impartita la Benedizione Eucaristica.
Alla devota festa era giunto inaspettato Monsignor Francesco Maria Berti, dei Minori
Conventuali, Vescovo della diocesi di Amelia, ove trovasi Lugnano, il quale assistette alla
Santa Messa. Intervennero alla funzione anche il can. Spagnoli e l’arciprete Pimpolari, la
contessa Rosa Vannicelli, la signora Maria Trasatti, le Suore Venerini con le alunne, le
maestre comunali con le loro scolaresche, ed altre ragguardevoli persone.
Nel ricevimento familiare, che poi fu tenuto al Collegio, lesse un ossequioso indirizzo il P.
Giacomo Bruzzone, direttore dell’Istituto e principale ordinatore della festa; recitò eleganti
versi il prof. Sac. Giuseppe Pellegrini, e gli alunni tennero una ben riuscita accademia in
versi italiani, latini e genovesi. Parlò pure, con eloquente e commossa parola, l’Ecc.mo
Monsignor Vescovo Berti. Il P. Piccardo, intenerito di tante amorevoli dimostrazioni,
ringraziò tutti quanti avevano partecipato alla devota festa, sia del popolo, sia del clero
secolare e regolare, e in modo speciale lo zelante e benemerito Monsignor. Vescovo, pieno
sempre di singolare bontà verso i Figli di Santa Maria Immacolata.
La funzione principale del giubileo s’era però fissata per la domenica 9 giugno e fu scelta,
come si disse di sopra, la chiesa di S. Giovanni Battista dei Genovesi in Roma.
Il tempio, per cura della Confraternita, era stato splendidamente addobbato come nelle piú
grandi feste, e numeroso fu il concorso di fedeli, specialmente della colonia genovese. Il P.
Piccardo cantò la Messa solenne, facendo l’ufficio di ministri il P. Minetti e il P. Profumo S
J, già alunno anche egli dei Figli di Maria, e compiva l’ufficio di cerimoniere il P. Gaggero,
primo degli alunni accolto nel 1868 dal P. Piccardo. Assistettero in presbiterio al Santo
Sacrificio Monsignor Giacomo Ghio, Arcivescovo di Urbino, e Monsignor Pietro Rojunian,
Vescovo Ordinante in Roma per gli Armeni, e si trovarono pure ad assistere nelle bancate
anche Sua Ecc. Monsignor Scaccia, Arcivescovo di Siena, e Monsignor Peri Morosini,
Vescovo tit. di Arca.
Al Vangelo Monsignor Giacomo Ghio, anch’egli già alunno del P. Piccardo, ascende il
pulpito e in un discorso affettuoso ed eloquente tratta dell’impronta, che il venerando Padre
seppe imprimere all’opera del Frassinetti, impronta che rivelò in Lui l’educatore esimio del
giovane clero. I fatti confermarono splendidamente le previsioni e le speranze concepite:
onde è a far voti che l’opera sua abbia a confermarsi nel prossimo avvenire, e possa cosí
portare il prezioso suo contributo alle necessità dei nuovi tempi, nei quali la Chiesa dovrà
fare appello ad ogni buona energia per la formazione di novelle falangi di Sacerdoti, i quali,
per superare l’acerbità degli eventi, dovranno avere temprato l’animo ad ogni sacrificio.
Prorompeva quindi in un augurio entusiastico della piú florida longevità del P. Piccardo pel
bene dell’Opera, della Chiesa, per le necessità incalzanti.
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Come quindi appare, duplice era il giubileo; quello del sacerdozio e l’altro della direzione
dell’istituto del Frassinetti. Era appena finito l’Offertorio della Messa ed ecco arrivare,
inatteso, l’E.mo Vincenzo Vannutelli, Cardinale Decano del Sacro Collegio e Datario di Sua
Santità, Protettore della Confraternita di S. Giovanni Battista dei Genovesi, il quale prese
posto in presbiterio, assistendo sino al termine della funzione. La musica fu eseguita
egregiamente dagli studenti dei RR. PP. Stimmatini. Dopo la Messa fu cantato il Te Deum e
il P. Piccardo impartí la Benedizione col SS. Sacramento.
Terminato il sacro rito, le persone intervenute alla festa furono ammesse nella sacristia, al
bacio della mano e fecero rallegramenti ed auguri al P. Piccardo.
Nel trattenimento familiare che si tenne poi in onore del venerato Padre, all’Istituto
Ecclesiastico di via del Mascherone, lesse un indirizzo di rispettose congratulazioni il P.
Minetti. Quindi parlarono Monsignor Scaccia, Arcivescovo di Siena, e lesse un indirizzo il
Rev. avv. Agostini; recitarono versi eleganti il P. Ignudi e il Comm. Canevelli, e parlò il
Comm. Giuseppe Pizzorni.
Il P. Gaggero diede poi lettura delle adesioni, fra le quali fu prima quella dell’Em.mo Card.
Pompili, Vicario di Sua Santità, che scrisse al P. Piccardo una lettera tutta spirante
benevolenza. Una lettera benignissima aveva pure inviato l’Em.mo Card. Vannutelli.
Seguirono poi le adesioni delle Case dei Figli di Santa Maria Immacolata di Genova, Pra,
Rivarolo, Siena e Lugnano in Teverina. In ultimo Mons. Migone lesse il seguente
preziosissimo autografo del Santo Padre:
Al diletto figlio P. Antonio Piccardo
porgiamo affettuosi rallegramenti
per i dieci lustri di operoso sacerdozio
che il Signore gli ha fatto compiere
e con la benedizione Apostolica che gli inviamo di cuore
esprimiamo non solo la benevolenza del padre,
ma anche l'augurio che veda crescere il numero
e non diminuito lo zelo dei Figli di S. Maria Immacolata.
Dal Vaticano, 6 giugno 1918
BENEDICTUS PP. XV
Il P. Piccardo, pieno di commozione, con parole di viva riconoscenza, ringraziò tutti i
presenti, i lontani benefattori, gli amici e alunni. Rivolse un pensiero ai suoi diletti alunni
soldati, a tutti i suoi cari defunti, e porse un omaggio di specialissima gratitudine al Sommo
Pontefice Benedetto XV, che si degnò decorarlo e confortarlo con il paterno Suo autografo e
con l’Apostolica Benedizione. A tutti i presenti alla festa il P. Piccardo distribuí una devota
immagine-ricordo dell’Immacolata, copia di quella che nel 1854 il Santo Padre Pio IX donò
ai Prelati, i quali assistettero alla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione di
Maria. A tergo dell’immagine fu stampata questa nobilissima iscrizione, composta dal P.
Ignudi.
ANTONIO PICCARDO
CONSACRATO IN GENOVA AL SACERDOZIO
IL VI GIUGNO MDCCCLXVIII
NELLO STESSO ANNO DIRETTORE
ALLA CASA INIZIATA
DA GIUSEPPE FRASSINETTI
PER L’AVVIAMENTO DI GIOVINETTI POVERI
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AGLI STUDI ECCLESIASTICI
OND’EBBE FAUSTA ORIGINE LA CONGREGAZIONE
DEI FIGLI DI SANTA MARIA IMMACOLATA
DI QUESTI PRIMO SUPERIORE GENERALE
AL CINQUANTESIMO DI SÍ DOLCI MEMORIE
CONFORTATO DALLA BENEDIZIONE
DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
ASCENDE IN ROMA L’ARA DIVINA
NEL SAN GIOVANNI BATTISTA DEI GENOVESI
IL IX GIUGNO MDCCCCXVIII
PRINCIPIO DELLE PREGHIERE GIUBILARI
CHE CONFIDA RINNOVARE
FRA COLLEGHI PARENTI ALUNNI AMICI
SPERANDO CHE A RENDERE UNANIMI GRAZIE
A GESÚ E A MARIA
LI ADDUCA IL MUTUO VINCOLO
DI CELESTI FORTI INDEFETTIBILI AFFETTI
CHE ABBIA SUGGELLO OVE IL GIOIR S’INSEMPRA
I Collegi dei Figli di Maria, di Genova, Pra, Rivarolo, Siena, Lugnano, mandarono indirizzi
e lettere affettuose di riconoscenza e di omaggio; e simili testimonianze offrirono gli alunni,
che sono sotto le armi, e molti sacerdoti già alunni del P. Piccardo, quando era Rettore del
Seminario. I telegrammi inviati furono sessantatré; gli scritti, fra lettere e biglietti, ascesero
al numero di circa seicento.
Non pochi e tutti pregevoli furono i doni ricevuti dal P. Piccardo nella fausta ricorrenza
giubilare. Primo è il dono dell’autografo del S. Padre, con ricchissima cornice in pergamena
e con fregi d’oro a mano.
Monsignor Giuseppe Migone, Cameriere Segreto Partecipante di Sua Santità, offrí una
pianeta bianca in seta. Il Conte Saladino Saladini-Pilastri, senatore, compagno fin dalla
prima educazione del P. Piccardo, gli fece pervenire, come omaggio suo e della Contessa
sua Consorte, un magnifico quadretto incorniciato in pelle con l’immagine in argento
rilevato di S. Antonio, un sonetto elegante e affettuosissimo, e mazzi di fiori. Don Albera,
Rettore Maggiore dei Salesiani, una pregevole opera di molti volumi. La Marchesa Emilia
Carrega presentò una lucerna preziosa in maiolica di antica fattura. Mons. Francesco Faberj,
Canonico di S. Pietro in Vaticano, inviò un ricchissimo amitto, finemente ricamato. Il P.
Antonio Gilardi dell’Istituto di S. Calocero in Milano, già alunno del P. Piccardo e già
Missionario in Cina, donò un’artistica e preziosa cassetta, bellissimo lavoro fatto da cinesi.
Il dottor Alfonso Fontana fece omaggio di una grande medaglia in argento che ha nel dritto
l’effigie di S. S. Leone XIII (anno XXVI) e a tergo l’immagine di Gesù che dà le chiavi a S.
Pietro; il Comm. Gio. Pasquale Scotti, Direttore della Tipografia Vaticana, regalò un
Breviario con legatura di lusso in quattro volumi. La Madre Giuseppina Troiani, Superiora
Generale dell’Istituto di Santa Dorotea, donò un servizio per thè in finissima maiolica
giapponese. I sacerdoti dell’Istituto dell’Immacolata in Roma offrirono un ritratto del Santo
Padre Benedetto XV. Gli studenti dei PP. Stimmatini lessero e presentarono un indirizzo di
ossequio con fascetta di pergamena leggiadramente decorata. La Signora Maria Pizzorni
vedova Lanata e le signorine Teresa ed Anna Lanata, pronipoti del P. Piccardo, mandarono
da Genova una stola di tela finissima d’argento, ricamata in seta e in oro; il cav. Luigi
Augusto Cervetto, bibliotecario della Civica Berio di Genova, inviò parecchi suoi eruditi
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opuscoli; il Sig. Carpaneto, proprietario e successore della Libreria A. Lanata, regalò libri e
una collezione di artistiche immagini di Maria Vergine. L’avv. Don Conte fece omaggio
d’un magnifico volume di arte. La signorina Cecilia Agrosta offrí un bellissimo indirizzo. I
benefattori genovesi e i parenti vollero accrescere la gioia della festa, inviando generose
offerte, che ascesero alla somma di quasi diecimila lire, le quali in gran parte furono raccolte
di sua iniziativa dalla signora Giuseppina Gambaro n. De Ferrari. Nella nota spedita dalla
stessa signora troviamo il nome dell’Ill.mo Sig. Conte Ernesto Lombardo, che offrí la bella
somma di cinquemila lire. A tutti quanti i benefattori e a ciascuno vadano le piú vive azioni
di grazie per parte dei Figli di Maria, i quali invocano sopra di essi le piú elette benedizioni
per una carità, nobilmente pietosa e opportuna.
Dono poi accettissimo fecero al P. Piccardo più di cento sacerdoti, già suoi alunni, che nel
giorno del giubileo, 6 giugno, applicarono la S. Messa secondo l’intenzione del loro antico
Direttore e Padre, giusta la proposta fatta ad essi con la circolare già ricordata. Un gran
numero di altri Monsignori e sacerdoti delle Diocesi di Genova e di Chiavari inviarono
poesie, lettere e telegrammi. Si canti dunque un inno di grazie a Dio e alla Vergine
Immacolata per la riuscita felice della funzione giubilare del P. Piccardo. Tributo di
riconoscente omaggio sia reso al Sommo Pontefice Benedetto XV, che si degnò benedire e
nobilitare le feste con la Sua Augusta partecipazione; un vivo ringraziamento sia offerto a
quanti in qualunque maniera vi presero parte. E tutto infine ridondi a gloria del Sacerdote
Eterno, Gesù Cristo, ad onore della sua Divina Madre, Maria Immacolata, a trionfo della
sua Chiesa, a maggior decoro e bene di tutto il clero cattolico, che nel P. Piccardo trova un
luminoso esempio delle opere egregie, che può compiere un sacerdote, fedele alla sua
vocazione, ai suoi Superiori e al Sommo Pontefice, Pastore, Maestro, Padre universale del
clero e del popolo cristiano.
P. LUIGI PROFUMO S. I.
NOTE PERSONALI
(Dall’Archivio della Casa Generalizia)
Nato a Voltri il 14 dicembre 1844 da famiglia distintissima, egregiamente educato, compí
con il fratello Ing. Tommaso nel Collegio Nazionale di Genova il corso Ginnasiale e Liceale.
Di là per seguire la voce di Dio che lo chiamava al Sacerdozio, passò al Seminario per lo
studio della Teologia. Quivi, mentre già Diacono e Prefetto della Camerata dei Piccoli,
attendeva il giorno della sua Ordinazione, dal suo condiscepolo, il Ch. G. Battista Semino, che
gli fu piú tardi collaboratore e morí Canonico di Nostra Signora Assunta in Carignano, gli fu
fatta proposta di assumere la direzione dell’allora nascente Istituto dei Figli di Santa Maria
Immacolata, poiché il Ven. Priore di Santa Sabina, il Frassinetti, nelle cui mani era sorto e che
da anni lo dirigeva nello spirito, aveva chiesto chi in quell’ufficio lo sostituisse, non potendo
lui, parroco attendervi, né volendo Pietro Olivari che ne aveva temporaneamente il governo,
lui secolare e Direttore della Tipografia degli Artigianelli, piú oltre essere capo di una Casa di
giovani chierici. Accettò di buon grado il Piccardo l’invito. E il Frassinetti sulle ottime
referenze che di lui ebbe, ne fu pienamente soddisfatto.
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Ma nell’attesa che il giovane Diacono, ordinato Sacerdote, potesse assumere quell’ufficio,
il Frassinetti fu da repentino morbo rapito il 2 gennaio 1868, senza che neppure avesse potuto
con lui incontrarsi. Nell’ottobre pertanto dell’anno medesimo, con il pieno consenso di S. E.
Rev.ma Mons. Andrea Charvaz, allora Arcivescovo di Genova, assunse il Piccardo la
Direzione dell’Istituto che era allora appena la terzo anno.
Da quel punto la vita di Don Piccardo si fonde e compenetra con quella della Pia Casa dei
Figli di Maria. Egli non visse piú che per essa. Tutte le sue piú belle doti di cuore e di
ingegno, le piú felici risorse del suo genio intraprendente e calmo ad u tempo, oculato e
costante, le simpatie che ben presto si cattivò tra il ceto Signorile dei cattolici genovesi, donde
attingeva gli aiuti pecuniari per i suoi giovinetti nella massima parte poverissimi, lo spirito di
dedizione completa per la loro formazione morale e culturale, ove palesò qualità singolari di
valente educatore, l’amabilità del tratto, il segreto di un regime autorevole e insieme paterno,
tutto in una parola, mise in opera a pro della Pia Casa, che per lui giunse ad una invidiabile
prosperità. Né fu contento di questo; che oltre alla Casa di Genova altre due ne aperse che
fossero come avviamento o complemento alla principale: quella di S. Giuseppe in Pra per gli
alunni piú piccoli e quella della S. Famiglia a Rivarolo, che si trasformò piú tardi in Collegio
secolare floridissimo. Quanto alla Casa di Genova, che contava ormai piú di cento alunni,
poteva essa ben dirsi un nuovo Seminario. Fu allora che Mons. Tommaso Reggio, succeduto
nel 1892 a Mons. Salvatore Magnasco, che la Casa dei Figli di Maria aveva tanto
efficacemente sovvenuta e sostenuta, volendo dare ai vari Seminari dell’Archidiocesi un
indirizzo uniforme, nominò il P. Piccardo Direttore generale di tutti i Seminari. Nel qual alto
ufficio durò egli sette anni ristorando le finanze del grande Seminario e instaurando quel
regime paterno che era che era a lui famigliare ed era altresì nel desiderio di Mons. Reggio.
Succeduto nel governo dell’Archidiocesi Mons. Edoardo Pulciano la Casa dei Figli di Maria,
che già per le nuove disposizioni di Mons. Reggio aveva sofferto non poco nella quasi totale
assenza del P. Piccardo, dovette cessare affatto da ogni sua attività in Diocesi. , non avendo
essa fondamento giuridico, nata e cresciuta com’era, appoggiata solo alla benevolenza degli
Arcivescovi che ne apprezzavano altamente l’utilità provvidenziale: e volendola d’altra parte
il novello Arcivescovo incorporata al Seminario e a quello volendo aggiudicati i fondi donde
essa traeva sussistenza. Fu allora che il Piccardo, ritirandosi dall’ufficio di rettore dei
Seminari Diocesani giudicò venuto il momento di addivenire alla trasformazione dell’Opera
in vera e propria Congregazione, cosa di cui già da anni si era andato maturando il disegno da
lui e dai suoi primi collaboratori e sul consiglio e le premure di alte dignità ecclesiastiche. E
apparve provvidenziale che recatosi a Roma per iniziarvi le pratiche, S.S. Leone XIII e per lui
il Cardinale Respighi, suo Card. Vicario gli comandassero di aprire una Casa in Roma che
fosse di valido aiuto alla instaurazione della disciplina Ecclesiastica per il numeroso
contingente di Sacerdoti e di Chierici accorrenti in Roma per ragioni di studi Superiori.
Incontrato cosí all’opera che corrispose all’aspettazione il gradimento e le simpatie del
Venerato successore di S. S. Leone XIII, Pio X, risolta ogni vertenza con l’Arcivescovo
Pulciano, ebbe agio di gettare le basi della nuova Congregazione Pontificii juris che fu
definitivamente approvata con Motu proprio il 21 maggio 1904.
Di essa fu Superiore Generale fino alla morte estendendone l’attività anche
nell’Archidiocesi di Siena con il fondarvi l’Istituto S. Cuore che all’Archidiocesi arrecò e
arreca ottimi frutti. A Roma il P. Piccardo cessava di vivere tra il compianto degli antichi e
dei nuovi figli, il cui affetto e la cui venerazione non gli vennero mai meno, il 3 novembre
1925 in età di anni 81.
Dal Cielo, dove, come è da sperarsi, gode ora il premio del suo lungo lavoro, egli guarda e
protegge la nostra Congregazione, che slargando la cerchia delle sue attività, al primitivo
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scopo della educazione ed istruzione della gioventú religiosa, aggiunse quella del S.
Ministero a Fiumicino e a Porto in Italia e quella ancora delle missioni in Argentina, mentre in
Roma prosegue felicemente l’opera sua nell’Istituto Ecclesiastico di Via del Mascherone,
confortata dalla benevolenza speciale della S. Sede e del Vicariato, benevolenza che con
l’aiuto del Cielo e il patrocinio dell’Immacolata confida non demeritare mai per l’avvenire.
SAN PIO X
ED IL PICCARDO
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PRIMO SUPERIORE GENERALE
DELLA CONGREGAZIONE
DEI FIGLI DI SANTA MARIA IMMACOLATA
P. GIOVANNI VACCARI
Roma 1951
STAB. TIPO-LITOGRAFICO V. FERRI
Via delle Coppelle 16/8
Il 20 agosto 1914, il Santo Padre Pio X "benedicendo alla pace e non alla guerra" 1,
terminava quasi improvvisamente la sua santa esistenza; dinnanzi al profilarsi del primo
conflitto mondiale, con la prevedibile sequela di lutti e di rovine, il suo grande paterno cuore
cessò di battere.
Il mondo intero si commosse alla scomparsa di Pio X e spontaneamente lo definí "la prima
vittima della guerra".
Il P. Antonio Piccardo, primo Superiore della Congregazione dei Figli di Maria
Immacolata, che al defunto Pontefice era unito dai piú stretti vincoli di filiale devozione e
intima riconoscenza, nell'apprendere la ferale notizia, scrisse una circolare per le sue Case
religiose, in cui scolpisce la figura di Pio X con queste parole:
“Pio X nostro, ben può dirsi, Autore, Benefattore Augusto e Padre amantissimo e
amabilissimo".
Questa definizione non era dovuta alla commozione del momento, ma aveva suo
fondamento nella genuina realtà dei fatti, come lo attestano e proclamano la sua diretta opera
per la costituzione della Congregazione e gli incessanti atti di paterna bontà e sovrana
generosità.
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Risposta al messaggio dell’imperatore Francesco Giuseppe di Austria.
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-INella prima metà. del mese di ottobre 1902, al palazzo del Vicariato di Roma, si svolgeva
tra il Card. Vicario Pietro Respighi e Don Antonio Piccardo, Direttore dei Figli di Maria di
Genova questo colloquio, riferito in una sua nota di cronaca dal P. Antonio Minetti:
“Ho sentito che voi avete aperto diversi collegi a Genova, ora bisogna che ne apriate uno
qui a Roma.
Il S. Padre Leone XIII vorrebbe, e lo desiderava già da tempo, che si aprisse un collegio
per i Chierici e Sacerdoti studenti che vengono a Roma dalle province, ed abitano in case
private”.
“Come posso assumere questa impresa?” rispose Don Piccardo.
“Voi, aggiunse il Card Vicario, siete l'uomo della Provvidenza e dovete assumervi questa
impresa, parlatene con i vostri Sacerdoti della Casa di Genova e poi mi darete una risposta.
All'Arcivescovo direte che il Cardinale Vicario vi ha pregato di aprire una casa a Roma e
non potrà avere nessuna difficoltà”.
Io veramente ero venuto per avere le norme onde fondare la Congregazione ... “
“Si farà, anche questa, ma prima occorre che apriate il Collegio; poi si penserà alla
Congregazione”.
Don Piccardo tornò a Genova, espose la proposta del Card. Vicario giusta il desiderio del
Papa e i Sacerdoti risposero "A Roma non si dice mai di no".
Ad un mese di distanza da questo colloquio, l'Istituto Ecclesiastico Maria Immacolata
aveva già iniziato la sua vita; per il primo anno, sua provvisoria sede fu l'ospizio dei Cento
Preti al Lungo Tevere Vallati e quindi nella sua propria definitiva sede nel Palazzo Sinibaldi
in Via del Mascherone, già antica residenza dei Cavalieri Teutonici.
Ad un anno poi dalla sua fondazione, sia per il suo interno funzionamento, come per i
risultati morali e scolastici conseguiti dagli alunni dell'Istituto, si. ebbe la conferma che la
fiducia in Don Piccardo e suoi collaboratori era stata ben riposta.
“E poi si penserà alla Congregazione ..."
Il Cardinale Vicario aveva impegnato la sua parola, 1'Immacolata l'aveva raccolta, e voleva
esaudire le lunghe ardenti aspirazioni dei suoi figli devoti e fedeli.
Era intanto il 4 agosto 1903, salito alla Cattedra di S. Pietro il Cardinale Giuseppe Sarto,
Patriarca di Venezia, con il none di Pio X; questi confermando per suo Vicario a Roma il
Card Respighi, prese sotto la sua personale protezione Don Piccardo e l'opera dei Figli di
Maria; alla luce degli avvenimenti si scorge in modo evidente che Egli era il Papa destinato
dalla Provvidenza a dare forma canonica all'Opera sgorgata dal grande cuore sacerdotale del
Priore Giuseppe Frassinetti, dallo stesso Pio X definito “Sacerdote di sublime pietà e di
singolare dottrina”.
Il primo passo, anzi vero passo obbligato, a raggiungere la perfezione giuridica dell'Opera
dei Figli di Maria, fu la erezione della Congregazione di diritto diocesano romano, con il
Decreto 8 Dicembre 1903 che comincia con le parole “Anno 1866 Sacerdos Joseph
Frassinetti” e porta la firma del Card. Vicario Pietro Respighi.
Per arrivare però a questo, vi furono non lievi e non poche difficoltà: lo conferma uno
scritto del Card. Respighi dell'11 settembre 1903 inviato a Mons. Francesco Faberi, che era il
suo rappresentante presso i Figli di Maria: “Mi preme di poter riuscire con sollecitudine a
superare ogni difficoltà”, ciò si poté avverare perché di fianco al Cardinale Respighi si era
messo lo stesso Sommo Pontefice Pio X, come é dimostrato dalla relazione di due udienze,
concesse a Don Piccardo il 20 ottobre e 14 novembre del 1903.
In rapporto alla prima udienza, D. Tommaso Gaggero, nelle memorie che ha lasciato,
scrisse:
“Pio X assicurò il Direttore, in presenza di Mons. Arcivescovo di Genova, che le
cose della Casa dei Figli di Maria erano aggiustate”. E in rapporto alla seconda, Don Minetti
scrisse nelle sue preziose note di cronaca che il Papa disse al Direttore: “A poco a poco si
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farà tutto”. La erezione della Congregazione diocesana romana è stata definita ''il primo passo
obbligato"; cosí è di tutte le istituzioni e il raggiungimento della meta ultima, ossia il
riconoscimento di diritto pontificio per un Istituto religioso è lungo e spesso molto lungo.
Pio X per i “suoi" Figli di Maria, sentiva dilatarsi sempre piú i palpiti del suo.cuore paterno
e solo qui troviamo la ragione per cui decise di accelerare i tempi.
Egli, raffigurato dall’Ignis ardens di Malachia, avendo impostato il suo programma
pontificale sul motto paolino: “Instaurare omnia in Christo", cominciando dal Clero, si sentí
istintivamente portato verso il Padre Piccardo e i suoi figli che lo coadiuvavano con tanto
zelo, tanto sacrificio e tanta generosità, in questo campo, nel centro stesso della cattolicità e
della sua Diocesi di Roma; questo sentimento si fondava non sole sull'affetto a Padre Piccardo
ma anche sulla gratitudine per quanto già aveva operato per la Chiesa e per la stima e fiducia
per il lavoro che veniva compiendo sotto il suo sguardo e sotto le sue direttive.
Questo affetto, questa gratitudine, questa stima, questa fiducia, fecero dire a Pio X nella
udienza a P. Piccardo del 27 Marzo 1904, come riferisce il P. Minetti: “Venite qualche volta a
trovarmi".
""
Mentre Pio X faceva questo paterno invito, studiava già il modo di dare al suo dilettissimo
figlio la piú grande ed intima soddisfazione di vedere il fastigio del perfezionamento giuridico
di quella opera che aveva preso bambina dalle mani del Fondatore e l'aveva portata a
rigoglioso sviluppo; nessuno però immaginava fin dove poteva arrivare questa veramente
sconfinata paterna bontà.
Il sabato 21 maggio 1904, vigilia della Pentecoste, Pio X in una udienza» concessa al Suo
Cardinale Vicario Pietro Respighi, gli comunicava.con una decisione piú unica che rara negli
annali della Chiesa, che intendeva concedere il Decretum laudis alla Congregazione dei Figli
di Santa Maria Immacolata, elevandola in questa eccezionale maniera, a neanche sei mesi di
distanza dalla erezione in ente religioso di Diritto diocesano, in quello di Diritto pontificio.
.Pio X volle questa erezione speciale, perché l'Istituto dei Figli di S. Maria Immacolata fosse
il primo ad avere da lui il Decretum laudis e cosí i suoi membri potessero essere i figli
primogeniti nel campo delle Congregazioni religiose.
Nel "Motu proprio" di erezione, che comincia con le parole "In nomine Christi: Amen.
Nell'udienza benignamente accordata da Sua Santità Pio X al sottoscritto Card. Vicario il
giorno 21 maggio 1904, ecc." si leggono parole che dimostrano la bontà di Pio X verso l'opera
dei Figli di Maria, "la quale, come si legge al n. 8, benché appena nascente nella forma di
Congregazione, ha meritato la piena fiducia della S. Sede, che ad essa ha affidato uno dei piú
importanti Istituti di educazione ecclesiastica in Roma".
Nello stesso documento, per i Figli di Maria vera "Magna charta" si trova anche scritto la
soluzione della questione della proprietà dei beni che la Opera era venuta ad avere: "Si loda e
si approva, rendendola fin d'ora canonica la donazione di tutti i beni posseduti dai Figli di S.
Maria Immacolata, eretta in Roma con Decreto del Cardinale Vicario in data 8 dicembre
1903.'' (art. l).
A togliere poi ogni dubbio, il "Motu proprio" specifica: “La Congregazione dei Figli di S.
Maria Immacolata avrà piena libertà, anzi vero obbligo di continuare nelle Case
dell'Archidiocesi di Genova le opere finora tenute da Don Piccardo e potrà e dovrà la
Congregazione mediante il Superiore Generale, che oggi è lo stesso P. Piccardo, visitarle,
dirigerle e governarle, salvi i diritti dell’Ordinario”. (art. 6)
Pio X poi, quasi a mettere i Figli di Maria sotto il continuo suo sguardo, stabiliva che: "Il
Cardinale Vicario - pro tempore - di Roma sarà il Protettore nato della Congregazione".
(Art.9)
Alla distanza di solo 20 giorni dal "Motu proprio” Pio X provava una vera soddisfazione
che gli dimostrava che "la piena fiducia della S. Sede che ai Figli di Maria ha affidato uno dei
piú importanti Istituti di educazione ecclesiastica in Roma" era stata ben riposta.
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Il giovedí 9 giugno 1904 il Chierico Adolfo Braccini di Pisa, alunno dell'Istituto
Ecclesiastico Maria Immacolata, veniva scelto insieme ai Chierici Luigi Tonetti del Seminario
Pio e Guglielmo Carozzi del Seminario romano, a discutere una tesi di Teologia, alla presenza
del Papa Pio X e del Sacro Collegio; il Braccini, come pure i colleghi, superò "'
brillantemente la prova, al punto che Pio X si compiacque personalmente congratularsi e
proclamarlo "dottore in Sacra Teologia, della quale doveva poi per 40 anni essere apprezzato
maestro nel Seminario Pisano.
- II Il "Motu proprio" di Pio X del 21 Maggio 1904 doveva dopo poco piú. di due anni fornire
una nuova occasione per una grande e spontanea dichiarazione ufficiale di benevolenza.
La maniera cosí eccezionale di concedere il "Decretum laudis" fece in seguito sorgere il
dubbio, presso il competente Dicastero dei Religiosi, se si trattasse di una semplice parola di
lode, dato il bene grande operato dai Figli di Maria in Liguria, prima e poi anche in Roma,
oppure del tradizionale "Decretum Laudis" con cui gli Istituti religiosi diocesani venivano
riconosciuti come Enti di diritto pontificio.
'"'
Il Card. Vicario Pietro Respighi, come protettore della Congregazione, si interessò della
cosa, e ciò si desume dal documento ufficiale, che sotto forma di lettera in data 8 gennaio
1907 rimise nelle mani del Card. Domenico Ferrata, Prefetto della Sacra Congregazione dei
Vescovi e Regolari.
Il documento é scritto in questi termini:
“Nelle disposizioni prese dal S. Padre Pio X il 21 maggio 1904 .... si legge al n. 11 quanto
segue:
“La presente disposizione tiene luogo per la Congregazione dei Figli di S. Maria
Immacolata di "Decretum laudis"
Il P. Antonio Piccardo mi ha riferito che presso la Segreteria di codesta Sacra
Congregazione, si é dubbiosi sull'interpretazione di detto articolo.
Nell'udienza dello scorso sabato, 5 corrente gennaio (1907) il Santo Padre (Pio X) da me
interrogato in proposito, ha dichiarato che avendo Egli stesso dettato quell'articolo di Motu
proprio, senza suggerimento di alcuno, intese di dare un. attestato di specialissima stima e
"benevolenza alla nostra Congregazione, concedendole realmente il Decretum laudis, con tutti
gli effetti canonici, come se lo avesse ricevuto nella forma consueta per organo di codesta
Sacra Congregazione.
Tanto io dovevo comunicare a Vostra Eminenza per incarico ricevuto dalla stessa Sua
Santità.
F. to Pietro Respighi
Protettore della Congregazione dei Figli di S. Maria Imm.ta
La Congregazione deve viva riconoscenza al Card. Ferrata per aver provocato queste
dichiarazioni del Santo Padre Pio X, che hanno confermato le sue particolari intenzioni nella
formulazione del Motu proprio 21 maggio 1904 e che hanno sciolto ogni eventuale dubbio,
prima della scomparsa degli attori del fondamentale documento.
Il 17 giugno successivo al "Motu proprio"del 21 maggio, il P. Piccardo veniva ricevuto in
privata udienza da Pio X per esternargli i grati sensi dell'animo suo e di tutti i Figli di Maria
per l'atto di sovrana degnazione e paterna bontà avuta per loro. Pio X gradí questo doveroso
atto di omaggio e benedisse non solo il P. Piccardo e quelli che erano con lui, ma tutti i Figli
di Maria e i loro alunni concedendo per la circostanza l'Indulgenza Plenaria.
-III Eretta la Congregazione religiosa di diritto pontificio, risolta la fondamentale questione
della proprietà dei beni dell'Opera, che la bontà di Pio X aveva affidato per lo studio ai due
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Eminentissimi Cardinali Pietro Respighi e Raffaele Vivez y Tuto, come arbitri, riservandosi
personalmente la presidenza; procurata una decorosa sede per la Casa generalizia nel Palazzo
Sinibaldi in Via del Mascherone, ed ivi costruito anche il locale per il Noviziato,
corrispondente alle prescrizioni canoniche, non restava che mettere il suggello ed iniziare con
la emissione dei voti, la completa vita religiosa, secondo la parola e lo spirito delle
Costituzioni.
La preparazione a questo atto solenne venne affidata a due eminenti figli di S. Giovanni
Bosco, ossia a Don Giovanni Marenco, Procuratore Generale dei Salesiani, e a Don Colussi,
parroco del S. Cuore al Castro Pretorio: erano presenti nove sacerdoti, i quali emisero. la
professione religiosa il mattino della domenica 2 Ottobre 1904, nelle mani del Card. Pietro
Respighi, nella sua qualità di Protettore della Congregazione.
Anche per questa cerimonia, che dava forma completa alla Congregazione, non poteva
mancare una nuova prova della benevolenza paterna di Pio X, ossia la dispensa dal noviziato
dei novi sacerdoti professandi, comunicata personalmente da Pio X al Cardinale Protettore,
nell'udienza concessagli il 24 settembre 1904.
Il Cardinale si compiacque rivolgere un discorso ai nuovi professi, come riferisce sotto la
data "del 2 Ottobre 1904”, il P. Tommaso Gaggero nelle sue memorie: Il Cardinale disse che
il Santo Padre Pio X si interessa molto di questa nostra funzione e volle essere presente
nominando Egli stesso il primo Superiore Generale della Congregazione nella persona del P.
Piccardo e concedendo a tutti l'Indulgenza Plenaria.
A cerimonia ultimata, il Cardinale Protettore fece leggere da Mons. Faberi il rescritto.con
cui Pio X eleggeva il primo Superiore Generale della Congregazione.
"dall'udienza dell’1 ottobre 1904.
"Per la maggior gloria di Dio e lo sviluppo della Congregazione, Sua Sannitá Pio X
considerando la virtú, lo spirito religioso, lo spirito di pietà e la devozione alla Sede
Apostolica, del rev. mo Padre Antonio Piccardo, il quale portò a rigogliosissimo frutto
l'opera appena iniziata dal piissimo Sacerdote genovese Giuseppe Frassinetti, lo
elegge, con il piú vivo senso di affetto -ultro libentique animo- Superiore Generale di
tutta la Congregazione per il prossimo sessennio (1904-1910).
f.to Pietro Respighi. Card. Vicario".
La grande e, per i Figli di Maria, veramente storica giornata del 2 ottobre 1904, nella quale
si emisero i primi voti religiosi, seguiti dalla celebrazione di un importante Capitolo generale,
ebbe la sua conclusione due giorni dopo, martedí 4 ottobre, festa di S. Francesco di Assisi, ai
piedi di Pio X, in Vaticano.
Di questa udienza ci lasciò una fedele descrizione il P. Giacomo Bruzzone, che era
presente.
"Il S. Padre Pio X ci accolse con benevolenza. piú che paterna nella sua biblioteca, ci fece
sedere intorno al suo tavolo di studio, intrattenendoci per circa dieci minuti alla Sua Augusta
presenza.
Ci esortò ad essere ubbidienti al Superiore Generale e fedeli alle Costituzioni della nostra
novella Congregazione.
Ci benedisse due volte, ci diede a baciare la Sua Augusta mano augurandoci frutti copiosi
non solo per il lavoro nel nostro Collegio di Roma, ma nell'Italia tutta a mezzo dei Collegiali
educati da noi.
Ad multos annos, o Padre Santo, concludeva il P. Bruzzone, Vi conservi il Signore al
nostro affetto e al bene della Chiesa."
La stampa cattolica fece cenno, sia della nostra Congregazione, come di questa udienza del
Sommo Pontefice: riportiamo qui alcune parti di un articolo, dovuto al P. Carlo Olivari,
Direttore del Settimanale genovese "L’Amico delle Famiglie" nel suo numero del 30 Ottobre
1904:
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"La sovrana benevolenza di Pio X ebbe una novella prova allorché Sua Santità il martedí 4
ottobre si degnò ricevere in particolare udienza il Rev.mo P. Piccardo, con i suoi primi
professi e con i suoi primi Novizi.
Si sa della consueta bontà con cui Pio X accoglie quanti vanno a Lui, ma quella che Egli
usò verso i Figli di Maria fu veramente una cordialità paterna.
Parlò ad essi dei favori del Signore e dalla protezione della Madonna, li esortò a
corrispondere alle grazie di Dio, disse del bene che si riprometteva dalla nuova
Congregazione e del Suo gradimento per l'opera che essa già presta a Roma e li benediceva
con effusione di cuore".
Già il primo maggio di questo anno 1904 aveva voluto ammettere alla Sua presenza - come
poi avrebbe fatto in tutti gli anni del Suo Pontificato - con i Superiori, anche tutti gli alunni
dell'Istituto Ecclesiastico Maria Immacolata, aprendo con essi il suo animo e facendo sentire
le vibrazioni del Suo apostolico zelo per innamorarli al bene, nel servizio dl Dio e nella cura
delle anime supremi ideali nell'incessante Sua sollecitudine pastorale per tutto rinnovare in
Cristo.
In tutte queste udienza concesse, Pio X volle sempre dimostrarsi Padre e maestro: padre
per le rinnovate manifestazioni del Suo paterno affetto, e maestro per le sapienti norme di vita
ecclesiastica o religiosa che fluivano con assoluta spontaneità da un cuore plasmato sul cuore
stesso del Divino Maestro.
- IV Questo affetto non restringeva alle sole parole o si esauriva in vaghe espressioni, ma si
manifestava anche esternamente e materialmente.
Appena eletto Papa, dopo aver confermato a suo Vicario per Roma il Card. Respighi, è
informato che il P. Piccardo ha provvisto con sommo disinteresse, ma anche con grande
sacrificio, un palazzo in Via del Mascherone che in quei giorni si veniva trasformando e
allargando perché potesse corrispondere alla nuova missione di ospitare una grande comunità.
Pio X conosce perfettamente che per rendere ciò possibile, il Piccardo ha dovuto
sacrificare, alienandolo, metà del piazzale di ricreazione nella Casa Madre di Genova, e
spontaneamente si offre per concorrere ad attrezzare il nuovo Istituto, inviando venti letti del
Conclave -letti semplici in ferro come si usa nelle comunità religiose- con rispettivi venti
quadri in tela per mettere sopra ai letti, rappresentanti la Madonna di Raffaello.
Invia inoltre altri quadri per corridoi, sale e cappelle ed alcuni di questi anche di un certo
valore artistico come il quadro della S. Famiglia del Capparoni e quello rappresentante Enrico
IV a Canossa del romano Pietro Aldi.
Si compiacque inoltre provvedere apparati per la Cappella, pianete e ternari, e grande
quantità di biancheria per altare, la Congregazione dei Figli di Maria era la sua prima
creatura nel campo delle istituzioni religiose e ad essa diede tutto il suo cuore come un padre
può fare par il suo primogenito.
-VIl Santo Padre Pio X si é sempre trovato, anche in seguito al fianco dei “suoi” Figli di
Maria in tutto quello che poteva riguardare la vita della Congregazione, le sue necessità
come pure le sue iniziative.
Nell'anno stesso 1904, anno nel quale la Congregazione raggiunse il suo perfezionamento
giuridico, la Chiesa veniva ricordando con manifestazione di particolare solennità, il
cinquantenario della proclamazione del dogma dell'Immacolato Concepimento di Maria.
In tutto il mondo cattolico si veniva celebrando il fausto avvenimento nella maniera piú
solenne. Non poteva e non doveva mancare a questo mirabile inno che i figli elevavano
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all'Immacolata, una strofa, riboccante di riconoscenza e di affetto da parte della novella
Congregazione, che sotto il suo sguardo era nata e sotto la sua protezione, si era sviluppata.
Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo, che il suo provvidenziale e fecondo apostolato
aveva svolto, secondo lo spirito del Frassinetti, innamorando gli alunni delle sue tre particolari
devozioni: Eucaristia, Immacolata e il Papa, non si lasciò sfuggire questa favorevole
occasione, per promuovere particolari solennità in tutte le Case e volle che nella Casa
Generalizia di Roma e nella Casa Madre di Genova fossero celebrate con il maggiore
possibile splendore, come pubblica e devota attestazione di filiale riconoscenza per le grazie
straordinarie che Essa si era compiaciuta di concedere ai suoi figli, proprio nell'anno
giubilare.
Queste feste di Roma e di Genova, che si svolsero a chiusura dell'anno scolastico 1904-905
furono precedute da un atto, soffuso di mistico e sublime significato.
Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo, accompagnato da tutta la Comunità di Roma, in
una udienza che Pio X si era compiaciuto accordare, aveva voluto deporre nelle auguste mani
del Santo Pontefice l'offerta della Congregazione per la nuova aurea e gemmata corona di cui
aveva stabilito cingerne la fronte dell'Immacolata in S. Pietro: tra i riflessi della regale corona
e il fulgore delle sue preziose gemme, espressione di vivo amore di milioni e milioni di cuori,
non poteva mancare un raggio di scintillante luce per eternare la riconoscenza dei Figli di
Maria alla loro amatissima Madre.
Nella lieta circostanza delle feste giubilari, filiale gratitudine da una parte e paterno affetto
dall'altra, si incontrarono i cuori e gli animi dei Figli di Maria con quelli del Papa Pio X; delle
feste di Roma, il Papa volle esserne informato dal Cardinale Vicario, e per le feste di Genova,
si compiacque inviare quattro magnifiche palme di fiori per l'altare, confezionate
esclusivamente con piume di uccelli della varia e ricca fauna brasiliana.
Il Papa gradí tanto un messaggio che gli aveva mandato il Padre Piccardo e si compiaceva
rispondere con parole e sentimenti che, come carezza materna, scendono nell'intimo dei cuori:
Egli telegrafava a Genova:
“Congregazione Figli di Maria aveva titoli speciali
per celebrare cinquantesimo definizione Immacolata.
Santo Padre lieto tali feste giubilari siano onorate presenza vari Vescovi e soprattutto
Mons. Arcivescovo Diocesano, donde trae buoni auspici per le opere della benemerita
Congregazione, la benedice di cuore insieme ai Superiori e agli alunni, antichi e moderni dei
Collegi della Liguria e di Roma, convenuti ad onorare Maria nella Casa dei Figli suoi.
Card. Merry del Val.
Questo messaggio di Pio X, nella frase che ricorda la presenza "sopratutto Mons.
Arcivescovo Diocesano" dà una particolare nota alla benevolenza del Papa per i Figli di
Maria.
La trasformazione dell'Opera in Congregazione, lo spostamento del centro da Genova a
Roma, le inevitabili interferenze tra i Figli di Maria e la Curia Genovese, dato lo scopo di
avviare i giovani alla carriera ecclesiastica, avevano fatto sorgere discussioni, riserve ed anche
qualche diffidenza. Pio X si era deciso a mettersi al fianco dei Figli dl Maria e il 21 Maggio
1904 aveva dettato un Motu proprio che, mentre inseriva l'Opera dei Figli di Maria nel tronco
vitale della Chiesa cattolica come regolare Congregazione religiosa di diritto pontificio, aveva
risolto tutte le pendenze in modo da rasserenare l'orizzonte.
All'atto del Papa rispose l'Arcivescovo di Genova e rispose in quel modo che mette in
risalto la sua uniformità ai voleri del Papa, la sua personale virtú e la rettitudine delle sue
intenzioni. Per le feste giubilari dell'Immacolata nella Casa di Genova, l'Arcivescovo venne
tra i Figli di Maria a celebrare la S. Messa della Comunione e si compiacque sedere con loro a
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quella mensa, dove erano presenti tra gli antichi alunni, oltre duecento sacerdoti; in quel
giorno un bel sole tolse ogni zona d'ombra.
- VI –
Il Piccardo volendo i solenni festeggiamenti all'Immacolata dispose che si ricordasse anche
il Fondatore, Priore Giuseppe Frassinetti del quale proprio nell'ottava della festa
dell'Immacolata il 15 Dicembre del 1904, ricorreva il primo centenario della nascita: felice
coincidenza anche questa, per cui era possibile festeggiare con l'Immacolata Patrona, la
memoria di chi, gettandone le basi, volle a Lei Sacro quell'Istituto che fu la pupilla degli occhi
suoi.
Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo non si contentò di semplici commemorazioni o
rievocazioni, ma volle erigere al Fondatore un monumento, stanziando, insieme al Suo
Consiglio Superiore, a fondo perduto, la somma, allora ingente, di lire centomila per la
stampa di tutti i suoi scritti, editi e inediti, che diede una collana di 15 volumi, vero arco
trionfale attorno alla gigantesca figura di Giuseppe Frassinetti.
Di questa poderosa e ponderosa iniziativa ne fu informato il Papa Pio X con lettera del 24
giugno 1906, pregandolo nello stesso tempo di compiacersi accettare la dedica dell'Opera
omnia.
“La prima edizione completa delle opere del Sac. Giuseppe Frassinetti, dice la lettera, non
poteva con migliori auspici vedere la luce che con l’essere a Voi dedicata, Beatissimo Padre.
E noi ponendo mano a questa pubblicazione, siamo lieti di potere ad un tempo rendere
omaggio di venerazione filiale a Colui, che a buon titolo, consideriamo come Fondatore del
nostro Istituto ed un attestato di ossequio e di gratitudine a Voi, Beatissimo Padre, che questo
nostro Istituto, ora fatto Congregazione, avete riguardato e riguardate sempre con bontà
veramente patema.
E tanto piú ne siamo lieti, perché ... confidiamo fare cosa sommamente opportuna ai tempi
nostri calamitosi e che bene risponde al concetto di quella restaurazione di ogni cosa in Cristo,
che fu da Voi cosi felicemente proclamato nel primo inizio del Vostro glorioso pontificato ..."
Pio X non si é accontentato far sapere che gradiva l'iniziativa ed accettava la dedica delle
pubblicazioni del Frassinetti, erano i suoi prediletti figli che prendevano una generosa
iniziativa, e con la data del 23 luglio 1906 volle inviare al Superiore Generale P. Antonio
Piccardo, una "Lettera personale".
In questo augusto documento, che impreziosisce la prima pagina dell'Opera omnia, Pio X
dice che l'iniziativa di stampare le opere edite ed inedite del Frassinetti, è una cosa
provvidenziale: nel suo lungo ministero pastorale aveva avuto modo di apprezzare la
precisione e il retto spirito di tali scritti, che sono vera scuola di Santità.
Pio X vuol mettere in rilievo la sapiente moderazione, che é caratteristica dell'autore e che
é oggi particolarmente utile per la restaurazione della vita cristiana nel popolo.
Acconsente volentieri che l'edizione sia dedicata al Suo Nome, specialmente per il bene
che ne verrà alla Chiesa; ha parole di lode e plauso al P. Piccardo e ai suoi figli per
l'opportunità della iniziativa e per i sacrifici che impone la sua realizzazione, e tutti
singolarmente intende benedire.
- VII Il cuore paterno di Pio X verso i Figli di Maria aveva sempre nuovi palpiti tutte le volte
che si presentava qualche favorevole occasione: il 9 luglio si ricorda nella casa di Genova il
25.mo di Sacerdozio dei primi collaboratori di P. Piccardo, ossia D. Tomaso Gaggero, Don
Carlo Olivari e Don Giobatta Mantero, ed Egli volle essere presente inviando un telegramma
con la Sua Apostolica Benedizione.
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Il 28 Giugno 1907 si inaugura la nuova artistica Cappella al Collegio Sacra Famiglia di
Rivarolo Ligure, che viene benedetta dall'Arcivescovo di Genova Mons. Edoardo Pulciano e
il Papa dona un completo servizio di candelieri per 1'altare.2
Lo stesso P. Minetti nell'estate del 1909 presenta al Papa la sua grammatica di canto
gregoriano; è la prima opera del genere che si stampa in Italia, suscitando un vero consenso
tra i Seminari, gli Istituti religiosi e le scuole di canto; Pio X che con suo Motu proprio del 22
novembre 1903 aveva dato un nuovo indirizzo alla musica sacra in genere, ebbe per P. Minetti
le lodi piú ampie e gli fece anche inviare dalla Vaticana parecchie copie dei libri di canto
gregoriano per la cui stampa il P. Minetti aveva fatto particolare scuola ai tipografi.
Questo umile religioso, scomparso il 12 Luglio 1931 lasciando un profumo di vera santità
non si é accontentato di mettere a disposizione dei Chierici e dei fedeli un manuale per
imparare il canto gregoriano, ma tanto fece presso il Superiore Generale P. Antonio Piccardo,
che questi si decise a cedere gli indispensabili locali, nel suo Istituto, perché vi si potesse
iniziare quella scuola Superiore di Musica Sacra che stava tanto a cuore a Pio X. La
inaugurazione fu fatta il 5 gennaio 1911 e la Casa Generalizia dei Figli di Maria ebbe l'onore
di vedere per la circostanza tra le sue mura il Cardinale Mariano Rampolla del Tindaro e i
Maestri Lorenzo Perosi, Raffaele Casimiri, Licinio Refice e Giulio Boezi.
Pio X ne provò gioia vivissima, perché era sicuro che da questo centro la riforma della
musica sacra si sarebbe diffusa in tutto il mondo; il 4 novembre 1911 mandava al Card.
Rampolla, nella sua qualifica di Protettore della Associazione Santa Cecilia e della Scuola
Superiore di Musica Sacra, una "Lettera personale" di rallegramento e di auspicio, e in tale
documento volle eternare la benemerenza dei Figli di Maria per aver favorito l'inizio del
funzionamento della.auspicata Scuola Superiore.
La “Lettera personale” comincia con le parole "Expleverunt desiderii nostri", e nella
traduzione italiana dice: "Corrisposero appieno alla viva nostra aspettazione i frutti consolanti
raccolti, come Ci venne riferito, dagli alunni della Scuola istituita in Roma il passato anno
(scolastico) sotto i buoi auspici dalla Pia Società di S. Cecilia ed ospitata generosamente nella
Sua Casa dal diletto figlio Antonio Piccardo, Superiore della Congregazione dei Figli di S.
Maria Immacolata....."
- VIII La grande bontà di Pio X verso il P. Antonio Piccardo ebbe manifestazioni di vera.
famigliarità e si sarebbe tentati di dire di fraterna intimità: quando lo scorgeva, anche in
pubbliche udienze, lo chiamava a sé per dirgli una parola speciale, rivestita sempre di quella
sua particolare arguzia, che denotava la serenità del suo animo e il palpito del suo cuore
paterno.
Una sera il P. Piccardo, dopo la sua privata udienza, voleva presentare a Pio X due nipotine
che in quella mattina avevano fatta la loro prima comunione. Il Papa anziché farle chiamare
perché fossero introdotte alla Sua presenza, insieme ai loro famigliari, si alzò e disse al P.
Piccardo: “Andiamo noi a cercare le bambine, intanto facciamo due passi”; la bianca figura
del Papa Pio X apparve improvvisamente in una delle sale dell'appartamento pontificio e con
la sua dolce e soave parola consolò e benedisse le bimbe e la loro famiglia.
Il P. Piccardo veniva ricevuto da Pio X con una discreta frequenza e sempre gli consegnava
qualche ricordo.
2
Il 23 settembre dello stesso anno 1907, il P. Antonio Minetti, conoscenza personale di Pio X
celebra il suo giubileo per il 25° di Sacerdozio, e il Papa gli dona una sua fotografia con un
magnifico autografo, che oggi è anche preziosa reliquia.
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Il Papa gli diceva: “Avete niente da chiedermi?” P. Piccardo varie volte, animato da questa
condiscendenza del Pontefice, gli presentava qualche domanda per particolari facoltà e Pio X
vi scriveva sopra di proprio pugno la concessione; per questa ragione nell'archivio della Casa
Generalizia conserviamo con religiosa cura sei fogli separati che portano la data dal 1906 al
1910, contenenti preziosi autografi del Santo Pontefice.
Tra queste facoltà sono da ricordare quella di poter celebrare in tutte le Case della
Congregazione una Messa nel Giovedí Santo e quella che concede 300 giorni di indulgenza ai
membri della Congregazione ed alunni delle case che reciteranno la preghiera della Madonna
della Divina Provvidenza.
- IX L'anno 1910 si riallaccia al 1904 per gli atti di nuova paterna bontà e di sovrana generosità
per la Congregazione.
Il P. Piccardo aveva deciso di sistemare quel braccio dell’antica proprietà dei Sinibaldi,
chiamato "il granaio" per poter aumentare le possibilità dell'Istituto Ecclesiastico,
trasformando quel locale e rialzandolo di un piano, ne fece la sede dell'Istituto Ecclesiastico
vero e proprio, mentre il palazzo Sinibaldi veniva destinato a Sede del Pensionato e degli
ospiti.
È stato questo un lavoro che importò sacrifici non pochi e non lievi, ed anche in questa
circostanza, Pio X volle dare il suo contributo con varie offerte; il giorno poi della
inaugurazione, 15 dicembre 1910, che coincideva con i festeggiamenti centenari in onore di
S. Carlo Borromeo concesse a quanti vi parteciparono, l'indulgenza plenaria, con un suo
venerato autografo.
Il 1910 rimane però inciso a caratteri d'oro nella storia della Congregazione per un altro
fatto, anzi storico fatto, ossia la sua definitiva approvazione come Istituto religioso di diritto
pontificio e per l'approvazione ad tempus delle nuove Costituzioni.
Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo, nella sua circolare del 21 giugno 1910
scriveva:
“Mi é sommamente grato darvi il lieto annunzio che il S. Padre Pio X nella sua
speciale benevolenza che si degna concederci, il 4 del presente giugno, aderendo al Voto
della Congregazione plenaria dei Religiosi, tenutasi in Vaticano il 3 giugno stesso, festa del
Sacratissimo Cuore di Gesú, concedeva il Decreto di approvazione definitiva del nostro
Istituto e 1'approvazione ad sexennium delle nostre Costituzioni. Raccomando che sia sempre
conservata viva memoria dei giorni 3 e 4 giugno come date particolarmente memorabili nella
storia della nostra Congregazione”.
Nella stessa Circolare il P. Antonio Piccardo ricorda l'udienza che Pio X concesse ai Figli
di Maria, con queste parole:
“Ripetiamo spesso la giaculatoria: Domine messis, mitte operarios in messem tuam”.
Questo è anche il desiderio del Santo Padre Pio X, il quale nell'udienza dell'11 giugno
(1910) quando insieme al Consiglio ci recammo ai Suoi piedi per ringraziarlo di tanta
degnazione avuta verso di noi, fra le altre dolci e care parole disse queste:
" Desidero che siate molti, per.che facciate molto bene nella Chiesa”.
Questa espressione di Pio X è stata come un programma per il P. Piccardo, il quale
moltiplicò il suo industrioso zelo per poterlo realizzare, e nella stessa giornata, dopo un
colloquio con l'Arcivescovo di Siena Mons. Prospero Scaccia, cominciò a preparare il terreno
per allargare anche in Siena l'operosità dei Figli di Maria in quell'Istituto del S. Cuore, che
proprio in questi giorni ha rievocato il quarantennio di sua fecondissima esistenza.
“Deve esser conservata la memoria di un'altra data particolarmente memorabile in questo
anno 1910, ossia quella del 2 ottobre nella quale i primi sacerdoti professi, fecero i loro voti
perpetui e nello stesso giorno aprí il terzo Capitolo generale, al quale parteciparono tutti i
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sacerdoti della Congregazione, capitolo nel quale fu riconfermato come Superiore Generale il
P. Antonio Piccardo.
Questo Capitolo, nel quale furono studiati i mezzi per orientare l'attività delle varie Case
della Congregazione secondo lo spirito delle Costituzioni e le direttive del Papa, si concluse il
6 del lo stesso ottobre ai piedi di Pio X in Vaticano.
“Il S. Padre, é scritto in una relazione conservata in Archivio, manifestò a tutti e
specialmente al Rev.mo P. Piccardo la sua benevolenza paterna e la sua sovrana compiacenza
per il felicissimo esito del Capitolo generale e tutti con paterni consigli e con la sua
benedizione confortò a continuare sulla buona via nell'esatta osservanza delle Costituzioni e
stringendo sempre piú i vincoli della santa carità fraterna”.3
-XIl cuore di Pio X si consolava, quando poteva constatare personalmente che qualche
giovane si aggregava alla Congregazione ed emetteva i suoi voti religiosi; questi giovani, che
tra il 1905 e il 1914 fecero la professione religiosa, ebbero il grande privilegio di essere
presentati a lui dal P. Piccardo, di baciarne la mano e riceverne questa direttiva “pregate il
Signore che vi faccia buoni preti e religiosi”.
Il 20 settembre del 1908, gli furono presentati dal P. Piccardo il postulante Giacomo
Peluffo e un suo compagno4, Pio X si affissò in Peluffo e gli mise la mano sulla testa; certo il
Santo Pontefice sentiva vicino a sé un giovane privilegiato per la sua angelica virtú e per la
sua mente elettissima.
Alla distanza di quasi 5 anni, il mattino del primo luglio 1913, il P. Piccardo, in una
udienza, tra le lagrime, domandò al Papa una particolare benedizione per il giovane professo
Peluffo, che era al termine della sua terrena giornata; Pio X0 gli concesse la facoltà di invitare
il Vice Gerente di Roma, Mons. Giuseppe Ceppettelli, Patriarca di Costantinopoli a conferire
al caro infermo la prima tonsura e i quattro ordini minori.
La cosa non si poté eseguire, perché il Peluffo, rivestito della stola della sua innocenza se
ne volava in seno al suo Signore, pochi istanti prima dell'arrivo del Vescovo.
Nell'udienza concessa poi ogni anno alla comunità intera Pio X sembrava accendersi di
nuovo fervore parlando ai giovani che si preparavano all'ordinazione sacerdotale, nei professi
studenti vedeva i continuatori delle opere della "sua" Congregazione, e negli alunni
dell'Istituto Ecclesiastico scorgeva i principali collaboratori dei Vescovi che li avevano inviati
a Roma per il perfezionamento dei loro studi e per un completamento della loro formazione
sacerdotale presso il dolce Cristo in terra. In queste udienze il Santo Pontefice versava in quei
giovani cuori, come un effluvio di vita soprannaturale che li accendeva di santo zelo e li
confermava nei piú saldi propositi di bene. Ben ventuno dei venti otto vescovi che l'Istituto
Maria Immacolata ha dato alla Chiese appartengono al periodo del pontificato di Pio X.
- XI La provvidenza Divina aveva suscitato in Pio X un Pontefice che ebbe la missione di
restaurare ogni cosa in Cristo, con undici anni di apostolica operosità aveva impresso un
ordine nuovo in tutti i campi, dove si svolge l’attività della Chiesa, nel ministero,
nell’insegnamento, nella rivendicazione della purezza della dottrina cristiana, nella musica
sacra e specie nel canto gregoriano, nella rivendicazione dei diritti e della libertà della Chiesa,
nella prassi di ammettere i piccoli alla prima comunione, nel Diritto canonico promovendone
l'opera grandiosa della codificazione, nei Dicasteri della Curia romana, nell’orientamento,
3
4
Dal "Cittadino" di Genova 8/10/1910
È l'estensore di questa memoria.
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adeguato ai bisogni dei tempi, dei cattolici nella vita politica specie in Italia e nelle opere di
assistenza sociale.
Si avvicinava il momento nel quale il Suo Angelo Custode, messaggero dell'Eterno Pastore,
gli avrebbe detto: “Orsú, servo buono e fedele entra nel gaudio del tuo Signore”.
Il 20 agosto 1914, mentre si accendevano, come é detto al principio, le fosche vampate della
prima guerra mondiale, Pio X, che il popolo nel suo infallibile intuito aveva proclamato il
“Papa Santo” dinanzi allo scempio che cominciava a devastare l'Europa ne ebbe il cuore
spezzato e offrendosi come vittima per la pace e salvezza del mondo si ricongiungeva al suo
Signore. In questo atteggiamento di. offerta, lo ha voluto effigiare il Quattrini nel monumento
che i Cardinali da lui creati gli hanno eretto in S. Pietro.
La sua scomparsa impressionò il mondo cattolico e si ripercosse con particolare intensità
sopra i Figli di Maria Immacolata, per quel sentimento di filiale affetto e doverosa
riconoscenza che essi dovevano “al loro Padre”.
Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo nella stessa data del 20 Agosto 1914 inviò alle
Case una Circolare nella quale chiamava Pio X “nostro autore, benefattore augusto, padre
amantissimo e amabilissimo" e diede le disposizioni per i suffragi da farsi in tutte le Case.
La figura morale di Pio X fu, scolpita nella semplice lastra di marmo, soprastante la modesta
arca contenente la venerata salma:
PIUS P.P. X
pauper et dives
mitis et humilis corde
reique catholicae vindex fortis
restaurare omnia in Christo
satagens pie obiit
20 augusti 1914
A questa tomba, come ad altare, ha subito cominciato ad avvicinarsi il popolo; fiori, candele,
tabelle votive denotavano il progressivo sentimento di venerazione verso la sua memoria e di
impetrazione di grazie, per la sua Santità, che veniva universalmente riconosciuta.
Si cominciò per tempo a raccogliere memorie e documenti per la Causa di Beatificazione. Il
Superiore Generale P. Antonio Piccardo mandò al Postulatore, Abate Pierani dei
Vallombrosiani, il suo voto con queste parole:
“Al Voto unanime che da tante parti del mondo cattolico si leva per la Beatificazione
dell'amabile Pontefice Pio X unisco il suo fervidissimo e quello della Congregazione, Antonio
Piccardo, Superiore Generale dei Figli di S. Maria Immacolata, affrettando con i desideri e
con le preghiere il giorno in cui la soavità, la carità, lo zelo, la fortezza di un Papa si degno,
avranno anche quaggiú nel devoto ossequio dei popoli, tra gli splendori del culto, la meritata
glorificazione. Roma 8 maggio 1924”.
Nel 1943 il regnante Pontefice Pio XII, esauriti i processi diocesani, prese la decisione di
introdurre la Causa con il processo Apostolico.
È stata questa la scintilla che ha nuovamente illuminato la santa figura di Pio X ed ha
suscitato un numero di Postulatorie da parte di Cardinali, Vescovi, Superiori ecclesiastici e
religiosi, quale difficilmente si può raggiungere in altre Cause.
Il Vicario Generale della Congregazione P. Lorenzo Parodi, con la data del 12 giugno 1943,
presentò una Postulatoria al Santo Padre, anche a nome del Consiglio Superiore, dei membri,
dei collaboratori, alunni ed ex alunni della Congregazione.
La Postulazione diceva:
“La nostra adesione é materiata di ammirazione e gratitudine: di ammirazione, perché Pio X
in pieno secolo XX ha riprodotto l'immagine del Buon Pastore, rinnovando cosí, vera luce del
mondo e sale della terra, tutto in Cristo; di gratitudine per i vincoli particolari che ci legano al
suo apostolico ministero e ci danno la grande gioia di poterlo chiamare ''nostro Padre".
23
Enumerati questi vincoli particolari, la Postulatoria concludeva:
“È naturale quindi, Beatissimo Padre, che i Figli di S. Maria Immacolata, che in cosí larga
maniera hanno esperimentato la bontà di tanto Pontefice, santamente gioiscono di vedere la
Sua ascesa verso gli splendori dell'aureola e sono sicuri che mentre essi otterranno un nuovo
Protettore in. Cielo, ne avrà lustro il Pontificato romano, ne avrà grande gloria la Chiesa e ne
verrà tanto bene alle anime, aspirazione e movente di ogni atto pastorale e di ogni pastorale
sollecitudine del Santo Pontefice”.
- XII Il grande momento è giunto: il Papa Pio XII ha ascoltato la voce che cielo e terra, intrecciando
palme e lauri, elevavano al suo Predecessore e Maestro, ne ha sublimato la celestiale figura
nella luminosa gloria del Bernini, proclamandolo Beato.
La glorificazione del mite Pio X ha reso angusta la Basilica Vaticana, e il mondo cristiano,
commosso ed attonito si é prostrato ai piedi della sua urna, pregando ed implorando.
Dinanzi al nuovo Beato, i Figli di S. Maria Immacolata, con amore filiale, con fede profonda,
con fiducia assoluta, ripetono le parole che il P. Piccardo aveva scritto sotto il quadro di S.
Giuseppe nell'atrio del Collegio di Pra:
Respice de coelo, Beate Pie, et vide
et visita vineam istam quam plantavit
dextera tua, et perfice eam ".
IL SUO GIUBILEO
24
SACERDOTALE
( 9 giugno 1918 )
MONS. GIACOMO GHIO
VESCOVO DI URBINO
ROMA
Chiesa San Giovanni dei Genovesi
QUESTE POVERE PAGINE
ECO DELLA LETIZIA INEFFABILE
DELLE AUSPICATE TUE NOZZE D’ORO
TI DED1CH1AMO O PADRE
L’EMPITO DELL’AMORE DEI FIGLI
BEATI
SE QUESTO GIUNGA AL TUO CUORE PATERNO
GRADITO COMPENSO A QUANTO PER ESSI
OPERASTI E SOFFRISTI
+ Giacomo Ghio, Arcivescovo di Urbino
Avrei amato meglio di restarmene confuso fra lo stuolo eletto di amici che per celebrare
una data a noi cara, raccoglie oggi attorno a una persona veneranda la cui vita non è certo
25
priva di significato e di valore nella storia dell’ultimo cinquantennio del clero genovese.
Avrei cosí potuto più intensamente gustare ciò che questa festa ha di intimo e direi quasi di
famigliare per chi col Reverendissimo Padre Piccardo condivise gran parte delle sue liete e
tristi vicende.
Invitato invece a parlare per dare una voce ai pensieri e ai sentimenti che questa festa
suggerisce, ed esprimere il significato a cui assurge, non potei rifiutarmi. Riuscissi almeno
ad essere degli uni e dell’altro l’interprete fedele!
Un elementare riguardo mi impedisce d’illuminare, sia pure di luce attenuata, le preclare
virtú personali del venerando Superiore Generale. Sarebbe fare un torto manifesto ad una
delle sue piú spiccate qualità, quale è la modestia; modestia, alla quale Egli volle sempre
informata la sua vita, anche allora quando l’opera sua apparve coronata dei piú prosperi
avvenimenti.
C’è però qualche cosa che si può e si deve dire: si può dire, perché fatta ormai patrimonio
pubblico; si deve dire, perché il ricordarla non può non riuscire di comune edificazione; ed è
l’impronta da Lui impressa costantemente all’Opera sua, la quale consiste in quella integrità
e austerità di vita che mai si smentí; in quel soffio sicuro di sincera pietà che non si è mai
esaurito, né per volgere di tempo, né per avversità di vicende; in quella calma perseverante
nella lotta per la santa causa, che è la prima condizione di una buona riuscita.
Basterebbero da soli questi contrassegni da me accennati, e che d’altra parte non sono che
una constatazione di indubitabile realtà, per destare la stima e richiamare l’ammirazione piú
viva. Ma in quest’ordine di idee vi ha un’altra cosa, e ben piú importante, che merita almeno
un cenno.
**
È certo che gli uomini, e piú ancora e su piú vasta scala le istituzioni, hanno i loro difetti
e le loro lacune. Senza difetti potrà essere un’istituzione che rimanga confinata nel dominio
delle idee; ma se vuol essere cosa reale e viva, se per giunta vuol far vivere, è inevitabile che
paghi il tributo all’infermità umana. L’uomo, ha detto un acuto scrittore, vale per la
valorizzazione dei suoi difetti; onde, non quelle che hanno meno difetti appaiono le migliori
istituzioni, ma bensí quelle che hanno virtú maggiori, piú intense, piú ponderabili e fattive.
Ora nell’Istituzione a cui Padre Piccardo ha saputo dar vita, vi è una virtú nativa che si
affaccia subito allo sguardo dell’osservatore, anche meno esercitato ed è che essa, non
soltanto s’intitola all’Immacolata, ma dell’Immacolata ha lo spirito. Non quindi nella sua
Istituzione un nome vano, ma sotto il nome, la realtà; non un’ombra, ma dietro l’ombra la
sostanza; ed è un soave spirito di purezza, che s’intuisce, si sente, si respira nelle sue Case,
si insinua nell’animo e l’animo circonda come di un’atmosfera divina.
Per apprezzare al suo giusto valore una dote sí segnalata, per rendersi conto di quanto
essa abbia di prezioso, basta riflettere un istante all’atmosfera ebbra di piacere, elettrizzata di
passione, gravida di tutti i miasmi che si sollevano da una società in piena decomposizione
morale, decomposizione che oggi tutto pervade e che purtroppo ha delle ignote e possenti
penetrazioni nelle anime specialmente giovanili.
Saper creare un’Istituzione e dotarla di energie, è certo gran cosa; ma saperle infondere
uno spirito, che preservi le anime dalle impure infiltrazioni di una società di fango e che la
purezza renda sensibile, è un risultato, che, specialmente oggi, è meritevole di ogni migliore
encomio.
**
Questa dote precipua, congiunta a quelle che più sopra ho ricordato, non poteva non fare
del Padre Piccardo un eminente educatore del giovane clero. Per questa opera delicata ed
ardua, resa piú urgente e necessaria, e nello stesso tempo piú difficile, dalle condizioni
storiche del nostro paese, Egli possedeva le qualità essenziali.
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Niuno di noi lo ignora: le vicende politiche e sociali della prima metà del secolo
decimonono hanno avuto nel campo religioso, e piú propriamente nell’ecclesiastico, delle
profonde ripercussioni; fatte piú sensibili ancora dalla diuturnità e gravità degli avvenimenti
stessi.
Né furono soltanto questi avvenimenti esterni, che misero a dura prova il clero e le
vocazioni ecclesiastiche, ma piú e specialmente quel moto di idee, quelle violente contese
del pensiero, che quegli avvenimenti stessi prepararono ed accompagnarono, scuotendo
potentemente la compagine della Chiesa, assalendo e conquistando posizioni secolari ed
acquisite, lanciando le anime in una tempesta senza precedenti.
La tempesta ebbe dei momenti ben terribili: ed anche là dove la minaccia non incombeva
imminente, vi era però negli animi quel turbamento, che è caratteristico di tutti quanti i
grandi trapassi storici. II ministero inceppato, i religiosi espulsi, i migliori sacerdoti
perseguitati o tenuti in sospetto, le file del clero ogni giorno piú diradantisi, gli illusi che
trionfavano, e ovunque i facili entusiasmi per dottrine ancora mal definite, e la confusione
delle idee imperante, dicono chiaramente quanto grave era il compito di coloro che
dovevano affrontare una tale situazione nelle sue immediate ed anche lontane conseguenze.
***
Esorbiterei dai limiti del mio dire se mi dilungassi a illustrarvi l’opera che in questo
lavoro di ricostruzione hanno svolto i nostri saggi e santi Arcivescovi genovesi unitamente
al nostro clero, ammirevole per virtú ed abnegazione. L’austera figura di Monsignor
Magnasco brillerà sempre di luce ineffabile su questo sfondo di avvenimenti ormai lontani,
ma che non cessano tuttavia di conferirle un significato ed un valore inestimabile, e che le
assicurano imperitura riconoscenza. La crisi fu superata con tale ampiezza di risultati, che
faranno sempre onore all’intelligenza ed al cuore del clero genovese. Né sono spenti ancora i
salutari effetti dell’opera sua. Se la Chiesa genovese è quello che è, se l’idea religiosa è viva
e potente sí da esercitare un peso considerevole sulla bilancia dei fattori civili, si deve in
gran parte a questa generazione forte ed attiva di sacerdoti, che seppero compiere prodigi di
zelo degni degli Apostoli. Ma gli Apostoli non vanno se non sono formati ed inviati.
***
Fra i benemeriti, che hanno efficacemente contribuito a questo rinnovamento, la storia
religiosa della nostra regione assegnerà un bel posto di onore al Padre Piccardo.
Quando egli iniziò la sua missione, ricevuta dalle mani del Frassinetti, l’Opera, nata
appena, dei Figli di Santa Maria Immacolata per l’avviamento dei giovanetti poveri allo
stato ecclesiastico, il piú urgente bisogno dell’Archidiocesi era appunto quello di colmare i
vuoti prodottisi nelle file dei sacerdoti, i quali erano addivenuti cosí scarsi di numero da
essere assolutamente insufficienti ai bisogni.
L’anima generosa di Monsignor Magnasco aveva lanciato il grido evangelico: messis
quidem multa, operarii autem pauci.
I popoli in gran numero erano privi di pastori; il lavoro stringeva ovunque; le braccia
mancavano; le iniziative non trovavano sostenitori: occorreva provvedere urgentemente e
con spirito aperto sui bisogni e sulle esigenze dei tempi.
Padre Piccardo si applicò a quest’opera con tutto lo slancio dei suoi giovani anni,
valorizzato dalle sue virtú, dalla tenacia della sua volontà e dalla sua fede. Prodigo delle sue
sostanze, là dove le sue risorse personali non giungevano, seppe trovare nella carità pubblica
che sempre corrispose ai suoi appelli, i mezzi indispensabili per l’opera sua. Una
generazione di sacerdoti crebbe all’ombra tutelare dell’Immacolata, nutrita di ideali e di forti
e silenziose virtú: conobbe le difficoltà, le privazioni e il sacrificio generoso; temprò l’animo
27
alle avversità, coltivò il fuoco sacro dell’apostolato e seppe formarsi un cuore grande per i
grandi compiti che l’attendevano.
In questo Ministero Padre Piccardo trovò campo per sviluppare le sue qualità singolari di
educatore. Visse con la gioventú e la gioventú seppe formare a salde virtú sacerdotali.
Quanti lo hanno conosciuto nell’opera sua possono testimoniare delle eminenti sue doti nel
rivelare all’anima giovanile la bellezza dell’ideale sacerdotale, sorreggendola sull’aspra via
con la utilizzazione di tutte le sue buone risorse.
Egli predicava soprattutto con l’esempio, con l’abnegazione personale, primo sempre fra
tutti nel condividere i sacrifici della vita comune. I sacerdoti da lui formati, e non sono
pochi, tutti testimoniano con la prova dei fatti che il suo metodo fu fecondo di buoni
risultati; e che Egli ha ben meritato dell’Archidiocesi genovese.
***
E di stima profonda e riconoscenza grande gli hanno sempre dato prova i Pastori
genovesi, sia Mons. Magnasco, sia ancora Mons. Reggio, il quale in momenti ben difficili,
lo volle anche a dirigere il Seminario Diocesano. Né gli mancarono gli incoraggiamenti ed i
conforti dei Sommi Gerarchi. E Pio IX, gloria immortale delle nostre Marche, benedisse i
suoi primi passi e confortò i suoi primi sacrifici; e Leone XIII lo volle in quest’alma Roma
ad esplicarvi l’opera sua, tanto l’apprezzava quel Grande. Il santo Papa Pio X lo coperse
della sua protezione e a piene mani gli versò in cuore il balsamo consolatore; ed il
magnanimo Pontefice Benedetto XV, gemma fulgidissima della nostra Genova, a
testimonianza dell’augusta Sua benevolenza, gli inviava testé in prezioso autografo una
benedizione cosí paternamente effusa, che al leggerla, Padre Piccardo dovette fare forza a se
stesso per non prorompere in un profluvio di lacrime. Se sante e benedette sono le mani che
lavorano a sollevare le rovine del passato ed a preparare con nuove istituzioni l’avvenire,
non mancherà certamente a Padre Piccardo anche questa forma di riconoscenza.
***
Superata la crisi, ridonata alla Diocesi la falange dei suoi lavoratori, sorto d’altro lato per
l’opera provvida di Pio X il progetto del nuovo ordinamento dei Seminari, era naturale che
anche l’Opera di Padre Piccardo assumesse nuove forme e in esse effondesse la sua vitalità.
Circostanze disposte dalla Divina Provvidenza vollero che essa si allargasse, prendendo
forma di una Congregazione religiosa. Chi avesse osservato con animo penetrante l’opera
dei Figli di Maria, tenendo conto della grande ala di idealità, del patrimonio di virtú e di
pensiero che le aveva legato l’anima pura del Frassinetti, gli sarebbe stato facile intuire che
essa possedeva tutti gli elementi per dar vita a un Corpo religioso. L’anima esisteva con tutte
le sue forze vive; bisognava e bastava crearle attorno un organismo che fosse allo stesso
tempo strumento e incarnazione di quello spirito.
E la nuova formazione, sotto la spinta degli avvenimenti, venne; e permettetemi di
crederlo, essa rappresenta il pieno sviluppo dell’idea frassinettiana. La pianta è formata, ha
gettate le sue radici; se ne possono legittimamente attendere i frutti, la spiga, piena, matura,
biondeggiante ai raggi del sole.
Le istituzioni, come gli individui, hanno delle leggi che presiedono al loro sviluppo e
regolano la loro attività con un decorso lento, ma sicuro. Sarebbe pericoloso affrettare le
soste che la natura ha segnato. È l’estate che fa maturare i frutti: e i frutti verranno e la
messe sarà grande, quale m’è dolce fingermela col pensiero. Ne è sicuro pegno lo spirito del
Frassinetti, che è spirito di fede, di purezza e di apostolato: ne è pegno la protezione
dell’Immacolata, che nelle Case della Congregazione riscosse e riscuote sempre un culto
filiale: ne è pegno ancora la relazione che l’Opera ha con le necessità del grave momento
28
storico che attraversiamo ed i bisogni che s’imporranno paurosi nell’immediato avvenire al
Clero e alla Chiesa.
***
Noi non ci siamo ancora riavuti dal grave turbamento che la guerra europea ha prodotto
negli animi. Abbiamo assistito in tempo assai breve a troppe catastrofi: edifici e istituzioni,
scosse violentemente nelle loro basi; conquiste che apparivano passate ormai nel sicuro
dominio della società, naufragate; valori umani che sembravano inconcussi, capovolti. È
tutto un mondo che scompare, né possiamo dire fin dove ci condurrà la logica ferrea degli
avvenimenti. E chi potrebbe fin d’ora prevedere con sicurezza quali ripercussioni avrà la
guerra nel campo religioso ed ecclesiastico, nel dominio delle anime e della fede? Questo
soltanto possiamo prevedere, che vi peserà come incubo immane: però quali forme concrete
prenderà, niuno lo può dire. Una cosa è certa: che i compiti dell’avvenire saranno per il clero
enormi. Ci troviamo a vivere in un periodo di bufera tale, che al suo paragone quella
sopportata dal Frassinetti potrà sembrare un giuoco da fanciulli.
Domani un lavoro gigantesco si imporrà, e sarà quello di ricostruire. La Chiesa in ogni
tempo ha trovato in sé le energie per assolvere quest’opera, servendosi di tutti i buoni
elementi, ed attirando a sé tutti i buoni fattori. Mi è dolce pensare che in quest’opera
benedetta dal cielo troverà un buon posto di lavoro l’Istituzione di Padre Piccardo. Ciò che
prima di tutto s'imporrà, sarà la formazione di nuove legioni di sacerdoti, che abbiano attinto
al contatto dell’aspra realtà la chiara visione della loro missione con cuore ben saldo e
l’animo temprato all’amarezza degli avvenimenti e disposti ad ogni sacrificio.
Bisognerebbe essere ben tardi d’ingegno e sprovvisti del senso della realtà per non vedere
questa relazione che coi bisogni dei tempi nuovi ha un’Istituzione, la quale pone fra i suoi
fini essenziali l’avviamento della gioventú allo stato ecclesiastico. Per quanto piccolo possa
essere il contributo che essa fosse per arrecare, non sarebbe perciò meno prezioso e
provvidenziale. Tempi verranno nei quali bisognerà fare appello ad ogni forza; e sarà quindi
vero delitto dissiparne anche un sol briciolo.
Permettetemi di augurarmi che in questa nuova arena, la quale sarà lasciata alla disputa
dei forti, l’istituzione di Padre Piccardo abbia ad affermarsi con una forza pari alla sua spinta
iniziale, pari alla spinta che l’ha sempre animata, pari alla grandezza dei compiti e dei
bisogni incombenti.
Se io vi esorto ad entrare risolutamente per questa via, lo faccio per un senso di realtà che
non credo errato e per la convinzione che ìl frutto, che ne proverrà, sarà degno delle gloriose
tradizioni del clero genovese. Cercare di ristorare le rovine accumulate nella Casa di Dio;
apparecchiare nuovi lavoratori nella mistica vigna del Signore, prestare valido soccorso in
quest’opera ai Pastori delle Diocesi; sorreggere le energie esistenti e suscitarne delle nuove;
ecco il mezzo per ben meritare nel domani della causa di Dio e della Chiesa.
***
II cinquantesimo della Vostra Messa, Reverendissimo Padre Piccardo, invece di
prepararvi ad un onorato riposo, Vi apre una prospettiva di nuovo e più intenso lavoro. Ma
sarebbe far torto alla generosità del Vostro spirito e a tutto ciò che nel passato ha formato e
nutrito la Vostra vita, supporre che una tale prospettiva possa menomamente sgomentarvi.
Che anzi, con S. Paolo, Voi con tutto l’animo vi protendete verso l’avvenire, tutto
sorpassando, purché in ogni modo possiate compiere il vostro corso ed assolvere l’opera
affidatavi da Dio (Philip.,111,12,13).
Permettetemi di trarre da questi sentimenti, che so essere i veri sentimenti del Vostro
cuore, i migliori auspici per l’avvenire dell’Opera Vostra. Questa festa, nella quale siete
circondato dall’affetto e dall’ammirazione di tutti i Vostri figli, di quanti Vi conoscono e
29
stimano, viene a coronare cinquant’anni di lavoro indefesso, illuminato e pieno di fede,
rafforzato ad ogni istante dall’esempio delle Vostre salde e modeste virtú, fecondato dalle
sofferenze e dalle avversità, che non sono mai mancate a Voi e alla Vostra Opera, come non
mancano ad alcuna opera, contrassegnata dalla benedizione di Dio.
Non so se abbiate nulla a rimproverarvi, sebbene ciò sarebbe umano in chi ha tanto
vissuto e tanto lavorato; ma c’è una cosa che Vi assolve dinanzi alla coscienza ed innanzi a
Dio, ed è la fede e la rettitudine con cui avete sempre lavorato. Si può talora errare nel
proseguimento di un’opera di bene; ma il cuore retto, che cerca in ogni cosa Dio, è una forza
che tutto redime, che nobilita tutto.
Sarei indiscreto se volessi toccare anche da lontano i dolori e le lacrime che hanno spesso
nutrito l’anima Vostra, i martirii che avete consumati in silenzio: essi sono scritti in cielo e
ciò Vi basta. Una sola cosa voglio aggiungere, e la dico con legittima soddisfazione, e con la
convinzione sicura che essa corrisponde a verità, e che nessuno potrebbe smentire.
Esaminando l’Opera alla quale la Vostra vita fu ed è tutt’ora congiunta, non si può fare a
meno di riconoscere in essa i contrassegni di un’opera voluta e benedetta da Dio. È
insegnamento di fede che ogni opera buona richiede un concorso Divino: nella Vostra,
quest’azione Divina ha lasciato delle orme visibili. È questa la più legittima soddisfazione
che Vi possa arridere in questo giorno, così ricco di ricordi del passato, di ansie pel presente,
di propositi per l’avvenire.
A Voi che avete posto cosí in alto, in cielo, le Vostre ambizioni, poco cale dell’elogio
degli uomini. Vi basta l’approvazione Divina; e questa, anche attraverso alle inevitabili
lacune e difetti, l’Opera Vostra la possiede, e noi siamo lieti di riconoscerlo, lieti anche che
essa formi la Vostra gioia più bella, perché nessuno potrà rapirvela.
Con questa certezza, io raccolgo tutte le voci e i ricordi del passato, iniziative conseguite,
ideali raggiunti, sacrifici compiuti, lotte superate: raccolgo tutti i sentimenti che si affollano
in tumulto nel Vostro cuore; i desideri che agitano la Vostra anima; il pensiero di quanti con
Voi furono uniti negli stessi ideali e negli stessi propositi; la voce degli scomparsi che Vi
furono compagni di lavoro ed ancora supplicano per Voi, e li porgo per le mani del
Frassinetti a Dio, pregandolo di accoglierli, benedirvi e continuarvi la sua assistenza nelle
asprezze del presente e negli inevitabili dolori dell’avvenire. E Voi, innalzando l’Ostia di
propiziazione al cielo, degnatevi di ricordarvi di quanti l’Opera Vostra hanno seguito con
intelletto d’amore; di quanti oggi si stringono attorno a Voi, e supplicano l’Onnipotente a
prolungare la Vostra vita, a fecondare la Vostra pel rifiorimento dell’Opera Vostra, pel bene
che se ne attende la Chiesa, per il contributo prezioso che i nuovi tempi aspettano da Voi.
30
NEL RICORDO
DELLA SUA MORTE
31
In die trigesimo
MONS. GIACOMO GHIO
VESCOVO DI URBINO
Roma
Chiesa S. Giovanni Battista dei Genovesi
3 dicembre 1925
Ai RR. PP. della Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata
A Voi dedico queste poche pagine che parlano del vostro, del comune nostro Padre. Sono
state scritte con lo stesso dolore che voi avete sofferto e sono bagnate delle stesse lacrime.
Altri meglio di me avrebbe potuto dire di Lui, delle sue virtú e delle sue opere; nessuno,
oso pensarlo, l’avrebbe potuto fare con piú amore e devozione.
La sua dolce figura, che riverbera quella del Fondatore, sia sempre presente ai vostri
sguardi; la sua anima non si allontani mai dalla vostra; il suo spirito dimori in voi e vi sia di
incitamento ad emularne le virtú e a far progredire la Congregazione verso quei maggiori
incrementi, verso quelle mete lontane che Egli ha sognato nel suo pensiero e che da voi si
attende.
E tutti ci benedica dal cielo con quell’amore e con quell’affetto paterno di che in terra ci
diede ognora le prove piú soavi.
Roma, nella Festa dell’Immacolata, 1925.
+ GIACOMO GHIO
Arcivescovo di Urbino.
V’è chi ha lasciato un nome e
se ne possono celebrare le lodi. (Sir. 44, 8).
In questa chiesa stessa, or è poco piú di un lustro, alla presenza della maggior parte di
voi, si celebrava una festa il cui ricordo non è peraltro spento. Ricordate: tutto era letizia
allora a noi d’intorno: il sorriso era sui volti, e lieti pensieri fiorivano nel nostro animo nel
seguire un vegliardo venerando che nel cinquantesimo del suo sacerdozio, fra gli incensi e i
fiori, ascendeva all’altare per immolarvi la vittima di pace. Ricordi soavi, echi di eventi
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lontani si affollavano nella nostra mente ed i voti piú cari salivano a Dio per lui dai nostri
cuori.
Oggi l’amico, il Padre incomparabile non è piú, e noi ci troviamo ancora convenuti qui
dove già assistemmo al suo trionfo, per tributargli l’estrema, la mestissima testimonianza del
nostro affetto, che è riconoscenza, che è preghiera e suffragio, è speranza cristiana che ci
congiunge a lui al di là delle barriere del tempo e dello spazio.
E tocca ancora a me di prendere la parola, non piú per rivolgerla a lui con gli accenti
dell’esultanza, ma per dare una voce al nostro dolore e per raccogliere i sentimenti che
agitano il nostro cuore dinanzi alla tomba di colui che tanto amammo e venerammo.
Egli appartiene al novero di coloro ai quali si possono applicare le parole
dell’Ecclesiastico: V’è chi ha lasciato un nome e se ne possono celebrare le lodi.
La sua giornata fu intera, fu piena, fu operosa: la sua lampada non cessò un istante di
tramandare la sua luce benefica: l’opera che la Provvidenza gli aveva affidato egli la compí
per intero, per cui ben merita l’elogio che lo Spirito Santo fa di coloro nei quali Iddio operò
delle grandi cose: egli lascia un nome, che è un’eredità spirituale; la ricca, la opulenta
eredità delle sue virtú, dei suoi esempi, delle sue istituzioni.
Dupanloup rimpiangeva amaramente la scarsità delle vocazioni nelle classi superiori e
chiamava questo un male grande per la Chiesa, per la Nazione, per la dignità e il prestigio
stesso del Clero. Temeva il grande Vescovo che, allontanatosi da ciò che forma la forza e la
testa di un popolo, dall’élite che possiede e governa, il sacerdozio sarebbe decaduto nella
considerazione pubblica; e d’altra parte stimava altamente i vantaggi che al clero possono
derivare dalla posizione sociale e dall’educazione, quando siano divenute ausiliari della virtú
e fattori potenti per il bene.
Padre Piccardo proviene appunto dalla classe agiata. La sua famiglia era delle piú
ragguardevoli, onde egli poté godere il vantaggio di una educazione che sviluppò in lui i
preziosi germi profusi a dovizia da Dio nel suo cuore e stampò nel suo carattere quella
finezza di tratto, quella distinzione di modi, quella misura e delicatezza di sentimenti che
erano in lui un’attrattiva e una forza. E dalla famiglia ereditò ancora l’abitudine alla serietà e
al lavoro, una felice disposizione alla virtú, la fermezza antica della fede e l’amore alla
Vergine che sarà una delle caratteristiche piú spiccate della sua fisionomia morale. Già
vecchio amava ritornare col pensiero agli anni soleggiati della sua fanciullezza e li trovava
illuminati dallo sguardo di una madre terrena che egli amava quanto un figlio può amare la
genitrice, e da quello della madre celeste, che aveva sorriso a lui sul limitare della vita.
E ricordava con piacere i suoi pellegrinaggi all’Acqua Santa, là dove si uní per la prima
volta con Gesú Eucaristia, là dove udí il primo appello Divino, là ancora dove sentí per la
prima volta nel suo cuore i palpiti dell’apostolato.
Egli fu conquistato al sacerdozio dalla Vergine; è nelle sue mani che si diede a Dio; è a
Lei che volle consacrata la sua vita e da Lei inspirato ognora il suo zelo, essa l’astro
benefico che illuminò l’alba della sua esistenza, che ne irradiò di luce ineffabile il meriggio,
che scese a consolare le ombre meste della sera della sua giornata sacerdotale.
E Padre Piccardo fu modello di sacerdote. In lui purezza integerrima che cinse di
un’aureola veneranda la sua figura: in lui saldezza e tenacia di propositi protese in uno
sforzo continuo e mai smentito verso il bene: in lui un’umiltà che sorgeva spontanea dal suo
cuore alieno da ogni sentimento altiero ed ambizioso.
In lui spirito di preghiera che gli faceva considerare ogni cosa in quella visione
soprannaturale che è propria dei santi, per cui non era ritardato dai beni, né abbattuto dai
mali del tempo: spirito di preghiera che si manifestava in tanti modi, che si traduceva nel suo
contegno esterno, che irradiava dal suo volto.
33
Che dirò poi del suo spirito di sacrificio e del suo cuore? Egli sapeva estendersi a tutti;
non rigettò mai alcuno; aveva l’arte di medicare le piaghe, conosceva la scienza del
consiglio, e al consiglio sapeva a tempo opportuno accoppiare il soccorso, onde si può dire
che si fece tutto a tutti.
Ed un’altra virtú possedette in grado eminente: la modestia: Praticò costantemente il detto
evangelico: nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua: amava velare i suoi atti di virtú:
faceva il bene tacitamente e cercava di nasconderlo non solo agli sguardi indiscreti, ma, per
quanto possibile, anche a quelli dei suoi piú intimi: non si prevalse mai del diritto che
conferisce il beneficio: non curò i giudizi degli uomini e ne disprezzò le lodi, solo contento
dell’approvazione di Dio. A lui si possono applicare le parole che un grande Urbinate e un
gran Papa, Clemente XI, soleva dire di se stesso: Suum esse recte agere, non cogitare quid
homines de recte factis inique proferrent vel iudicarent.
Ma ciò che piú spicca nella fisionomia morale del carissimo estinto, la qualità che ne
fissa con maggiore precisione la caratteristica, è la fortezza. Padre Piccardo fu un uomo forte
nel senso piú bello e piú cristiano puro della parola. È cosí che si spiega come egli sia potuto
uscire vittorioso da ogni cimento ed abbia superato ogni procella.
E quante procelle non si abbatterono contro la sua navicella nel corso della sua
lunghissima navigazione fino a minacciarne il naufragio! La sua fede, la sua preghiera, la
sua fortezza sempre lo salvarono: egli sapeva navigare sulle grandi acque. Io mi sento
compreso di ammirazione quando penso a questo meraviglioso nocchiero, che la tempesta
non impaurisce, che in faccia al pericolo non trema, che davanti all’ostacolo si esalta, che
attraverso a tutte le bufere, di cui fu feconda la sua lunga esistenza, seppe compiere
arditamente la sua navigazione e arrivare al porto integris rate et mercibus.
Sono queste le figure che si impongono; questi gli uomini forti che San Giovanni
Crisostomo voleva coperti di fiori, perché, a detta del grande Dottore, hanno dato la prova
massima della forza d’animo.
E questa forza d’animo, fatta di preghiera e di unione con Dio, nutrita di dolcezza e di
umiltà, è anche il segreto della fecondità del suo apostolato. È vero che l’uomo da sé solo
non può nulla ed invano scaverà profondo il solco e vi nasconderà la semente se Iddio non
infonderà la fecondazione; ma pure quel Dio che si è riservato di prestare l’incremento a
tutte le forze operanti per il bene, reclama la cooperazione della sua creatura.
E Padre Piccardo questa cooperazione la portò generosamente, disinteressatamente; onde in
lui si verificarono le parole di San Paolo: Colui che fornisce il seme al seminatore ed il pane
che lo nutrisce, darà anche a voi il buon seme e lo moltiplicherà, e farà crescere frutti della
vostra giustizia, e sarete arricchiti a dovizia sotto ogni riguardo (2 Cor. 9, 10 -11)
Sí, Iddio ha fatto crescere i frutti della sua giustizia; li ha moltiplicati e l’ha arricchito
abbondantemente. Le sue istituzioni sono là per renderne testimonianza. Vi furono dei santi
che dovettero attendere e pregare a lungo prima di conoscere l’opera alla quale Iddio li
destinava. Di Padre Piccardo invece si può dire che la Provvidenza lo collocò subito nel
campo del suo apostolato.
Ordinato appena sacerdote, per volontà dei suoi superiori, si trovò a capo di un’istituzione
che attendeva da lui tutto: l’assetto, la vita, lo sviluppo avvenire. La via però era tracciata
con precisione, né era possibile ingannarsi: Iddio lo voleva l’apostolo della gioventú ed è per
questo che aveva arricchito mirabilmente la sua anima e gli aveva dato un cuore dal palpito
possente e dal respiro largo e generoso.
Nessuno ignora che i destini di un popolo sono nelle mani dei giovani e già il poeta
pagano piangeva sul rilassamento della giovane generazione, temendone per l’avvenire
dell’impero. Formare una gioventú sana, che senta la forza delle idee superiori, che ad esse
sappia votarsi, scrivendo nella sua divisa il motto: Facere et pati fortia, ecco il segreto di
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rendere grande un popolo. E quello che si dice nell’ordine sociale e politico, a ben piú forte
ragione vale nel campo morale e religioso.
Santi dunque e mille volte benedetti i lavori intrapresi, i sacrifizi compiuti, le lacrime
versate per questa nobilissima fra tutte le cause: santi e mille volte benedetti coloro che a
questo apostolato hanno consacrato se stessi. I popoli dovrebbero riservare un posto di onore
a questi uomini veramente benefici, affinché ìl loro esempio serva di incitamento ai venturi.
Ma se ciò non sempre avviene, né sempre è possibile, la Chiesa, giusta estimatrice della
virtú e memore della predilezione del suo Fondatore per i piccoli, questo posto di onore lo
tiene serbato e, additando la legione delle anime da essi salvate, va ripetendo: Omnium
divinorum divinissimum est cooperari Deo in salutem animarum.
È cosí che Padre Piccardo ha sempre inteso l’uffizio di educatore, e nessuno stenterà a
crederlo. Ah, non è per un calcolo materiale o per un vantaggio terreno che si vanno
raccogliendo i giovanetti della piú umile condizione, quelli che sarebbero rimasti senza
istruzione, che forse sarebbero stati vittime del male, che mai avrebbero potuto elevarsi fino
a compiere una funzione utile ed onorata nella società; in una parola i meno provvisti dalla
fortuna, i poveri! Questi disegni di carità non li può ispirare che Colui che ha proclamato
beati i poveri: Egli solo può accendere nel cuore dell’uomo questa fiamma del cielo.
E questa fiamma ardeva gagliarda nel cuore di Padre Piccardo: rivelare ai giovani Gesú e
farlo da essi amare: ecco tutto il suo programma, il suo spirito, la sua sapienza. Non cercate
in lui, educatore, delle teorie astratte: anima profondamente pratica rifuggiva dalle astrazioni
e prediligeva i mezzi semplici, ma sicuri e provati dall’esperienza.
Per lui il collegio è il prolungamento del focolare paterno e l’educatore degno di un tal
nome è quello che sa continuare, completare e all’uopo raddrizzare l’opera dei genitori, onde
nelle sue case vuole che regni sovrano lo spirito di famiglia.
Anche il corredo morale e religioso dei giovani è dei più semplici; da essi richiede lo
splendore della purezza, una devozione filiale alla Ss.ma Vergine, l’amore verso i Superiori
e specialmente verso il Papa, la fraternità fra gli eguali.
Questo programma è molto semplice, ma era attuato, specie negli anni piú belli della sua
direzione, in modo da renderlo, direi quasi, tangibile; fino a costituire un’atmosfera nella
quale i giovani cuori si dilatavano e crescevano mirabilmente alla virtú.
I risultati hanno abbondantemente dimostrato la genialità del metodo, la bontà dello
strumento e soprattutto l’abilità della mano che sapeva sapientemente adoperarlo.
Ed un altro compito piú arduo e piú alto riservava la Provvidenza a Padre Piccardo:
quello di formatore del giovane Clero. Questa missione l’ebbe in eredità dal Frassinetti,
l’uomo piú illuminato del clero genovese, e in essa fu incoraggiato e sorretto
dall’Arcivescovo Mons. Magnasco e poi da Mons. Reggio, il quale lo volle anche Rettore
del Seminario.
L’Archidiocesi genovese, per un complesso di cause, cui non furono estranei gli
sconvolgimenti politici della prima metà del secolo XIX, scarseggiava di sacerdoti. Il clero
era insufficiente per numero, né tutti avevano avuto il tempo e il modo di temprare l’animo
ed il cuore alle nuove difficoltà.
Ciononostante, superato il periodo di turbamento e di agitazioni, la pace e la tranquillità
tornavano a poco a poco negli animi e giorni migliori andavano lentamente preparandosi.
L’opera piú urgente era la formazione di un nuovo clero, che al contatto dei grandi principi
della disciplina e della devozione alla Chiesa, ritrovasse piena ed intera la fiamma e la
fecondità dell’apostolato, quale la vagheggiava quella eletta schiera di Sacerdoti che con
l’Alimonda e il Frassinetti formavano il decoro della Chiesa genovese.
Compito storico alla cui riuscita era legata la rinascita e la floridezza religiosa
dell’Archidiocesi. E questo compito fu assolto con chiaroveggenza, con fortezza, con pieno
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successo dal grande Arcivescovo Salvatore Magnasco e da Padre Piccardo, che ne fu il
saggio e sagace cooperatore.
Non sempre i posteri, lontani dagli avvenimenti, sono in grado di misurare le difficoltà di
un’impresa e la somma di sacrifici che ne richiese il compimento; comunque i nomi di
Mons. Magnasco e di Padre Piccardo rimarranno in benedizione, come rimangono in
benedizione i nomi di coloro che riedificano la casa, che nel piú grave del pericolo
apportano la salute; e verso di essi si eleverà sempre con gratitudine il pensiero dei genovesi.
Ma qui non si arrestò l’opera di Padre Piccardo: essa tendeva verso una meta prefissa dal
cielo ed alla quale Iddio aveva preordinato in modo ammirabile gli avvenimenti per cui a noi
non rimane che esclamare: O quam incomprehensibilia sunt iudicia eius, et investigabiles
viae eius (Rom. 9, 33) A Padre Piccardo era infatti riservata la sorte di tradurre in pratica il
disegno piú bello e piú grande del Frassinetti: quello di dare alla Chiesa una nuova famiglia
con la fondazione di una Congregazione religiosa.
È questa un’impresa di tanta grandezza da far tremare i piú ardimentosi. Il Lacordaire
nella sua apologia degli Ordini religiosi, domandava a se stesso, al cospetto della Francia
perché mai si accingeva a ristabilire l’ordine di S. Domenico. “Forse ci verrà domandato egli scrive - per qual ragione abbiamo preferito di ristabilire un Ordine antico, piuttosto che
crearne uno nuovo. Noteremo due cose: in primo luogo, che la grazia di essere fondatore di
un Ordine è la piú sublime e la piú rara che Iddio conceda ai suoi santi e noi non l’abbiamo
ricevuta ...”.
L'umile e grande domenicano, che riconosceva di non aver ricevuto da Dio questa grazia
di privilegio, aveva però coscienza dell’opera a cui si accingeva: richiamare a vita un Ordine
non è meno difficile di quello che sia crearlo, e l’uno e l’altro è impossibile all’uomo, l’uno
e l’altro non può essere effetto che di quella divina germinazione posta da Dio nella sua
Chiesa.
“Siamo noi i primi a esser vinti dalla sovrabbondanza della vita che è in noi: noi siamo
innocenti della nostra immortalità, come la ghianda che cresce al piede della quercia annosa
è innocente del vigore che la spinge al cielo. Non è né l’oro né l’argento che ci ha richiamato
a vita, ma una germinazione spirituale posta dal Creatore nel mondo, indistruttibile al pari
della germinazione della natura” (Lacordaire).
Ed è a questa forza divina che si deve la fondazione della Congregazione dei Figli di
Santa Maria Immacolata. II Frassinetti lanciò il seme, collocò i fondamenti spirituali, creò
l’anima della nuova istituzione. Padre Piccardo, che fu il savio esecutore dei disegni del
Frassinetti, le adattò un corpo, e l’opera si trovò un bel giorno mirabilmente costituita.
Essa porta manifestamente il sigillo divino. Le circostanze in cui nacque, la rapidità con
cui ottenne il riconoscimento canonico, la benevolenza di che la circondò il santo Pontefice
Pio X ed i suoi Successori, ne fanno luminosa testimonianza.
Essa in qualche modo è nata adulta, e Padre Piccardo amava ritornare su questo passato a
lui tanto caro per ammirare la misericordiosa condotta della Provvidenza ed incitare i suoi
figli alla riconoscenza.
“Se è obbligo di tutti - scriveva egli nel maggio del 1913 - di ringraziare sempre il
Signore per i benefici che ci comparte, quanto piú incombe a noi questo dolcissimo dovere!
A noi che da Lui piú di tanti altri abbiamo sperimentato favori e grazie.
Proprio in questi giorni devono ritornare alla nostra mente e al nostro cuore alcune date
per noi preziose. Quella del 21 maggio, vigilia della Pentecoste del 1904, quando la nostra
Congregazione ebbe il suo primo riconoscimento canonico e, cosa inaudita, il Decretum
Laudis nello stesso Rescritto Pontificio: e quella del 3 giugno 1910, che coincideva con la
festa del Ss.mo Cuore di Gesú, quando la Sacra Congregazione dei Religiosi, in sua seduta
plenaria, proponeva l’approvazione dell’Istituto e delle nostre costituzioni ad sexennium al
Santo Padre Pio X, il quale il giorno dopo, 4 giugno, subito si degnava concederla”.
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Con la fondazione e il consolidamento della Congregazione l’opera dei Figli di Maria,
alla quale Padre Piccardo dedicò tutta la sua vita, si può dire compiuta e perfetta, come
l’edificio che ha ricevuto il suo fastigio, come la pianta che, raggiunto il suo pieno sviluppo,
si copre di fiori prima e poi di frutti.
E Dio, nella sua bontà, volle conservare a lungo il carissimo Estinto all’affetto,
all’edificazione, alla direzione dei suoi figli spirituali, affinché la loro gioia fosse piú
completa e piú abbondante la grazia che per mezzo suo su di essi si trasfondeva, onde piú
ardito anche potesse essere lo slancio che doveva spingerli verso l’avvenire, da lui sognato,
da lui invocato in vita, da lui benedetto nel suo tramonto come una gioia ed una speranza.
Ora egli ha deposto il velo terreno ed è salito al cielo a ricevere il premio dei suoi lavori e
dei suoi sacrifici. Egli gode presso Dio di quelle ricchezze e di quei beni che l’occhio non ha
mai veduti, che l’orecchio non ha mai uditi, che il cuore dell’uomo non ha mai gustati. Nos
nostram vicem dolemus et invidere potius gloriam eius videbimur si voluerimus diutius flere
regnantem (S. Gerolamo, Epitaph. Paulae).
Egli ci ha lasciato dopo di aver dato ai suoi, a noi, a quanti l’hanno amato e venerato, alla
Chiesa, a Dio, le sante audacie della sua giovinezza, le forti virtú della sua virilità ed i frutti
di saggezza e di consiglio della sua vecchiaia. Il suo tramonto fu placido come un cielo
limpido, come un lago tranquillo: serenamente egli seppe vivere, serenamente egli morí, ed i
suoi ultimi istanti sulla terra erano già irradiati dalla luce superna.
Presso Iddio egli continuerà ad amarci, perché, come disse un’anima santa, in cielo non si
conosce l’oblio. Continuerà con piú efficacia la sua missione: veglierà sopra la
Congregazione; le impetrerà gli incrementi che la dilatino, la ingrandiscano, che ne facciano
quel potente strumento di bene che egli vagheggiò nel suo pensiero. Piccolo seme ancora,
ma che porta in sé la potenzialità dì un albero gigante. Veglierà su quanti furono suoi figli,
su quanti in qualche modo gli appartennero; veglierà sulla sua patria, sull’Archidiocesi
genovese di cui fu e si sentí sempre figlio amantissimo e che onorò con lo splendore delle
sue virtú, del suo nome, delle opere sue.
Egli ha ritrovato in cielo l’anima santa del Frassinetti. E chi potrà ridire la dolcezza di
quell’incontro e la santa tenerezza di quel primo amplesso?
Ben grande è già la famiglia spirituale dei Figli di Maria in cielo, ed in questo istante essa
guarda e sorride a noi, ci benedice e ci incoraggia nel combattimento e ci invita a raccogliere
anche noi la stessa palma.
Sulla tomba di Padre Piccardo piú che sterili lacrime si addicono i forti sentimenti, i saldi
propositi, i palpiti generosi, e su di essa si potrà ognora apprendere come si zela l’onore
della Chiesa, come si ama il Papa, come si servono le grandi cause.
No, il suo spirito non si allontanerà mai da noi: la morte non vale a spezzare i vincoli
dell’affetto che si annodano in Dio, per cui possiamo ripetere di lui le parole che San
Gerolamo pronunciava sulla tomba di una grande figlia di Roma, Santa Paola: Non
moeremur quod talem amisimus, sed gratias agimus quod habuimus immo quod habemus.
Deo enim vivunt omnia, et quidquid revertitur ad Dominum in familiae numero computatur.
Sí, la tua memoria, o Padre amatissimo, non perirà, non sarà mai che oblianza la ricopra,
ma fiorirà ognora come albero presso il corso delle acque. Vivrà e sarà come una voce che
incita a grandi e magnanime imprese, che suscita nuove energie, che sprona, che ammonisce
per il bene.
Vivrà eterna nell’affetto dei tuoi figli, di quelli specialmente che ti appartengono in modo
particolare, che sono gli eredi del tuo spirito, i continuatori della tua opera, ì depositari delle
tue volontà; essi che dalle tue mani, come già tu da quelle del Frassinetti, hanno ricevuto la
fiaccola ardente e che hanno giurato di non lasciar estinguere mai, per quanto possano
soffiare violente le tempeste e volgere contrari gli eventi.
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Permetti che sulla tua tomba, che tu eleggesti nel caro santuario della Vergine, io
deponga a nome mio, a nome dei tuoi figli spirituali, a nome della tua patria, la corona
olezzante dei fiori del nostro affetto, della nostra venerazione, della nostra ricordanza.
Tu lo sai quanto sinceri sono questi nostri sentimenti: te lo dicono le lacrime che bagnano
i nostri occhi, te lo dice la voce tremante, te lo dice il grido del cuore che si spegne nel
pianto.
Tu li accetta e sorridi e benedici ancora a noi: benedici ai presenti, benedici ai venturi; e
sia la tua benedizione un annunzio di pace, un auspicio di bene, un presagio del cielo.
NEL RICORDO
DEI SUOI ALUNNI
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Numero speciale di
“RISONANZE”
Bollettino dell'Unione ex Allievi
In memoria del
P. ANTONIO PICCARDO
In morte del nostro P. Antonio Piccardo
Egli tornò santamente al Signore. dopo lunga ed operosa giornata. Lo benedissero gli
uomini; lo premiò Iddio!
Il suo nome divenne strumento di opere sante nelle mani della Provvidenza divina; sarà in
memoria eterna, perché è il nome di un Giusto. Ed anche per questo le sue opere si
moltiplicarono e fiorirono. - justus ut palma florebit.
Attorno al suo nome, attorno alla sua immagine, noi intrecciamo le palme di tante sue
vittorie,
e ne formiamo una corona. La deponiamo sulla Sua tomba, con molto amore.
Cosí come figli al padre, piú che come discepoli al maestro: con molto amore, e con molto
dolore. Ma, insieme, con la bella e serena visione di una luce immortale, nella quale avvolto e
sublimato noi d'oggi in poi ricorderemo Lui - il Direttore che amammo perché tanto ci aveva
amati.
“RISONANZE”
per gli ex-allievi dell'Unione Don A. PICCARDO.
Il P. Piccardo e i Figli di Maria
Eravamo sullo scorcio del 1872, quando lo vidi la prima volta. Egli era in tutto il flore dei
suoi vent’otto anni: giovinetto io sui quindici mi presentavo a lui a chiedergli di essere accolto
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tra i suoi. Orfano e povero, piccolo e sparuto da non affidare troppo di reggere a lungo agli
studi, potevo ben io aspettarmi per lo meno un cortese diniego. Eppure quel sorriso amorevole
che gli era abituale temperò tosto in me quella timidezza che il suo nobile e dignitoso
contegno m'ispirava. “Ma tu sei già troppo vecchio, mi disse celiando, per cominciare lo
studio del latino”.
Ed io a lui, preso coraggio “Lo so: e se non comincio mai ?” M'accorsi che non avevo
chiesto invano. Quel primo incontro fu il primo anello di una catena in lui di benefizi e di
riguardi, in me di gratitudine e d'affetto che doveva tenerci avvinti per cinquantatre anni, e
che solo la morte avrebbe spezzati.
Mi si dirà: a che questi ricordi personali? Perché molti degli ex allievi a cui sono piú
particolarmente diretti questi fuggevoli cenni, leggendo di me, rievocheranno ancor essi
qualche caro ricordo.
***
Ma quel giovane sacerdote cosí buono con i poveri giovanetti a cui le scarse fortune
precludevano la via al Santuario, e che si faceva loro padre, e con loro viveva alla povera
mentre di casa in casa, e per loro andava chiedendo ai facoltosi soccorso, aveva pur sortito
distinti natali. Dalla patria Voltri veniva fanciullo ancora con il fratello Tommaso collocato
nel Collegio Nazionale di Genova, ove percorse con lode di bontà e d'ingegno il Ginnasio e il
Liceo.
Di quei tempi serbava affettuosa memoria, e volentieri li ricordava, nei suoi ultimi anni, e
prese parte con slancio come vecchio ex alunno alle onoranze che l'Istituto rendeva ai suoi
giovani caduti sul campo della gloria. Dall' Istituto passò al Seminario obbedendo alla voce
del Signore che da tempo lo chiamava al Sacerdozio. L' ingegno perspicace, e lo spirito
pronto e un senno precoce gli aprivano certo con gli studi teologici una via luminosa alle
ecclesiastiche dignità.
Ma una missione in apparenza piú umile, di fatto piú alta gli preparava la Provvidenza.
Aveva da poco il venerando Priore di Santa Sabina dato principio all' Opera per l'avviamento
dei giovanetti poveri alla carriera Ecclesiastica, e non potendo per le sue cure parrocchiali,
attendervi come avrebbe voluto e il bisogno richiedeva, cercava chi lo sostituisse in
quell'ufficio. Il diacono Gio. Batta Semino compagno del Piccardo in Seminario, conoscendo
l'abilità e lo zelo di lui, e la singolare attitudine nella direzione dei giovanetti – era il Piccardo
allora Prefetto dei Piccoli – lo propose al Frassinetti il quale lo accettò ben di buon grado. Ma
mentre ancora si stava aspettando che il giovane diacono fosse ordinato sacerdote il Priore
morí. Ed il Piccardo fatto appena sacerdote pose tosto la mano all'opera con un amore con un
trasporto, che ben si parve aver fatto di quella il programma della sua vita.
Per parecchi anni fu un tramutarsi da un luogo all'altro: prima in Via Lata, poi in Via
Mylius, quindi in Via delle Cappuccine, finché con l'aiuto dei pii benefattori poté egli fare
acquisto di una casa propria, piccola palazzina da villeggiatura nei pressi di S. Giacomo
trasformata poi con il correre degli anni grazie all’operosità, instancabile di lui e la generosità
di mons. Magnasco e cresciuta nelle proporzioni che oggi ammiriamo.
***
Ed eccolo nella sua Casa il Piccardo come un piccolo re; e re assoluto, perché tutto da lui
dipendeva e tutto a lui si riferiva ; ma era regno paterno il suo; e i Figli di Maria l'ebbero
sempre come un padre. Il suo sembiante dignitoso e ad un tempo amabile incuteva rispetto,
ma non scemava l'amore: rara dote in chi governa la gioventú. Anche la sua ombra, si direbbe,
era temuta; eppure era una festa quando scendeva nella ricreazione. E amava che i suoi
giovani fossero allegri, perché fossero buoni, e a quando a quando li premiava con
straordinarie passeggiate, a cui finché poté volle sempre prendere parte. E nei divertimenti
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collegiali, sapeva cosí ben contemperare l'indulgenza con la severità, che il favore ottenuto
riusciva a mille doppi piú caro.
Il suo portamento, i suoi modi corretti, 1a sua parola misurata sempre e circospetta, erano
per tutti una scuola di quel nobile riserbo che è tanto bello in un sacerdote. E voleva che nei
suoi giovani gareggiasse con lo studio la pietà; che non si rifiutassero anche ai piú umili
servizi di casa. Ed era bello vedere nell'imminenza di qualche grande solennità, come tutti
erano al lavoro, animati da un solo pensiero, che la festa dovesse riuscire bella. Ed egli con
una parola, con un cenno, tutto ordinare, tutto disporre e a festa finita, i giovani a rallegrarsi
con lui, ed egli a mostrare il suo compiacimento ai suoi bravi figlioli. Oh i bei tempi che erano
quelli!
Contemporaneamente alla Casa dei Figli di Maria, egli amò veder sorgere altre Case e
Collegi, che pur mirando alla educazione cristiana e civile dei giovanetti, fossero come felici
vivai donde trarne buoni soggetti per la Casa di Genova, o almeno vi si iniziassero i giovani a
vita onesta ed onorata nel mondo. E fondò nel 1870 a San Giuliano il piccolo Collegio di S.
Giuseppe, che per il ritorno dei Benedettini all' antica Badia, traslocò per parecchi anni in
Serrea nei dintorni di Voltri. Venuto a cessare questo, e rifusi i pochi rimasti nella Casa di
Genova, ne fondò uno nuovo a Pra, pure sotto gli auspici di S. Giuseppe, e come non bastasse,
un altro ne fondò a breve intervallo a Rivarolo, l'attuale floridissimo Collegio della Sacra
Famiglia. E all' impianto di ogni nuova Casa voleva esser lui a tutto disporre, e si
moltiplicava di attività, dividendo le sue cure tra l'antica Casa e la nuova fondazione.
Non fu vita di studio la sua; fu. vita d' azione; pure i momenti che il governo delle Case gli
lasciavano liberi li dava alla lettura. Si dilettava particolarmente di cose storiche; erano suoi
libri la Storia della Chiesa, la Storia patria, le Vite dei Santi. E dei libri fu appassionato: e ne
raccolse due copiose biblioteche una in Genova e l' altra in Roma. Degli studi fu sempre nei
suoi Figli di Maria caldo fautore, dei letterari in specie; e molti ricorderanno le annuali
Accademie di poesia che si tenevano alla presenza dell'Arcivescovo, di benefattori e di amici
nella Pia Casa. Amante della musica sacra la volle coltivata fra i suoi; e cosí nelle Accademie
come nelle Sacre Funzioni ne diedero non spregevoli saggi i Figli di Maria ammaestrati con
tanto zelo e perizia da quel compianto D. Giambattista Mantero, a cui il Piccardo aveva fin
dai giovani anni schiusa la via alla ben meritata fama che godette in Genova tra i cultori
dell'arte sacra. Amante delle patrie memorie, raccolse quante gliene venne di trovare, Vite di
S. Caterina Fieschi; tanto che a giudizio di competenti non se ne trova altra piú. completa
collezione. E delle feste centenarie che se ne fecero in San Lorenzo nel 1887 fu egli
l'ispiratore e l'anima.
Per tal modo e in Genova e per tutta l'Archidiocesi Genovese il Piccardo era stimato e
venerato. L' Opera godeva le simpatie del clero e del laicato, degli Arcivescovi sopratutto, che
si succedettero; da mons. Charvaz che per primo l'approvò e la benedisse e raccomandò ai
suoi diocesani, a mons. Magnasco che si compiaceva del suo sviluppo e l'aiutava
generosamente: a mons. Reggio che stimava ed amava il Piccardo e l' Opera sua, cosí da
affidargli in momenti difficili, il Seminario Diocesano.
Ma vennero i giorni tristi... E il Piccardo vide un istante vacillare l'edificio che con tanta
fatica ed amore aveva innalzato. Non fu malanimo, fu eccesso di zelo, fu precipitazione di
consiglio forse, che suscitò la tempesta. Egli adorò in segreto le arcane disposizioni della
Provvidenza, e rivolse l'animo ad avviare l' Istituzione per il nuovo cammino che gli avrebbe
tracciato il Signore.
***
Già da qualche anno si stava studiando il modo di dare all' Opera dei Figli di Maria una
base giuridica. Si era essa venuta formando a poco a poco in un modo cosi fuori dell'
ordinario, che fatta ormai grande e prosperosa richiedeva un definitivo assetto. E le vie erano
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due: o la si incorporava al Seminario, ed era questa la soluzione a cui teneva mons. Pulciano;
o la si trasformava in Congregazione, ed era questo lo scioglimento che, date le condizioni
speciali dell' Opera, la quale già di fatto da anni viveva ed operava quasi fosse vera
Congregazione, si imponeva. Mons. Reggio incoraggiava il Piccardo a risolversi,
assicurandolo che la nuova Congregazione avrebbe egli onorata della sua fiducia, affidandole
in diocesi delicate mansioni. La venuta di mons. Pulciano determinò la risoluzione. Il
Piccardo, recatosi a Roma per aver lume e consiglio, trovò la piú favorevole accoglienza.
L'em. Cardinale Respighi e mons. Giustini lo consigliavano di fondare prima la
Congregazione come diocesana di Roma con gettare le basi di un Istituto Ecclesiastico pei
sacerdoti e chierici che in gran numero accorrono a Roma per compiere i loro studi e
procurarsi i gradi accademici, Istituto di cui Roma sentiva assoluto bisogno. Piacque la cosa a
S. Santità Leone XIII che di cuore l'approvò, e il Piccardo con due o tre dei suoi fermò in
Roma la sua nuova sede, alternando tra Roma e Genova le sue parziali dimore.
L'assunzione di Pio X al Pontificato, che seguí di lí a poco, fu per la nuova Congregazione
veramente provvidenziale. Sotto di lui poté rassodarsi e da diocesana divenire pontificia; e il
Piccardo che ne fu il fondatore ne tenne fino alla morte il governo come Superiore Generale.
L' Istituto dell' Immacolata in Roma dopo le difficoltà inevitabili in tutte le nuove fondazioni
pose stabile sede in Via del Mascherone, ed ora fiorisce, la Dio mercé con generale
soddisfazione delle autorità ecclesiastiche di Roma.
Altre Case furono in questo tempo fondate; l'una a Lugnano in Teverina, per gli aspiranti
alla Congregazione, romito recesso tanto caro al Piccardo, e dove, già vecchio, gli pareva di
rivivere gli anni prima della sua missione; l'altra a Siena, dove fu ripristinato sotto nuovi
auspici l'antico Collegio del Sacro Cuore, che oggi accoglie giovinetti che si avviano al
Santuario, ed altri ancora che frequentano le scuole industriali, e gode in Siena le simpatie
della cittadinanza e delle autorità.
***
Il Piccardo, ormai vecchio, poté vedere l'opera sua consolidata; un drappello dei suoi cari
discepoli lavorarvi indefessi, memori dei suoi insegnamenti e dei suoi esempi. E già fin di
quaggiú ebbe, lui felice, a godere delle piú entusiastiche e cordiali manifestazioni d'affetto di
quanti nel corso della sua lunga missione aveva beneficato. Le sue nozze d'oro sacerdotali
furono celebrate in Roma e piú ancora all'Acquasanta presso la sua cara Madonna, con grande
giubilo del suo cuore con l'intervento di un numero grandissimo di sacerdoti e di ex allievi.
Ma fu un vero trionfo quello del suo ottantesimo. Chi vide nella Casa di Carignano in quel
giorno l'affollamento di alunni e di ex allievi sacerdoti e laici e di ammiratori, e l'entusiasmo
di tanti cuori intorno a quel vecchio venerando che piangeva di tenerezza e di gioia, non poté
che esclamare: Oh quanti, oh quanto l'amavano!
Era quello un saggio del trionfo che il Signore e l' Immacolata Madre gli preparavano in
cielo.
P. Carlo Olivari
La Casa di Roma
Nel 1902 P. Piccardo lasciò la Direzione del Seminario Arcivescovile di Genova, e venne a
Roma per assumere informazioni onde iniziare le pratiche per erigere in Congregazione
religiosa l'Istituto dei Figli di Maria, il cui seme era stato gettato dal Priore Frassinetti.
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Il Card. Respighi, Vicario Gen. di S. S., saputo dall'allora mons. Giustini, poi Cardinale di
S.R.C. della presenza a Roma di D. Piccardo e dello scopo della sua visita, lo fece chiamare a
sé, e gli disse: “Ho sentito che voi avete aperto diversi Collegi a Genova, ora bisogna ne
apriate uno qui a Roma. Il Santo Padre Leone XIII vorrebbe, e lo desiderava già da tempo,
che si aprisse un Collegio per i Chierici e Sacerdoti studenti che vengono a Roma dalle
province e abitano in case private, affinché siano aiutati nella loro vocazione e sia ovviato a
tanti inconvenienti”.
“Come posso - rispose D. Piccardo - assumere questa impresa?” “Voi - aggiunse il Card.
Vicario - siete l'uomo della Provvidenza, e dovete assumervi questa impresa; parlatene con i
vostri sacerdoti della Casa di Genova e poi mi darete una risposta. All'Arcivescovo direte che
il Cardinale Vicario vi ha pregato di aprire una casa a Roma, e non potrà avere nessuna
difficoltà”.
“Io, veramente, ero venuto per avere le norme onde fondare la Congregazione ...”
“Si farà anche questa, ma prima occorre che apriate il Collegio: poi si penserà alla
Congregazione”.
D, Piccardo tornò a Genova, espose la proposta del Card. Vicario giusta il desiderio del
Papa e i Sacerdoti risposero: “A Roma non si dica mai di no”.
E il Collegio fu senz'altro aperto, prima nell'ospizio dei Cento Preti al Lungotevere Vallati, e
poi nella grande casa di Via del Mascherone, antico palazzo dei Cavalieri Teutonici.
Il Papa, a dimostrare la sua benevolenza, volle che il Card. Vicario pro tempore, fosse il
Protettore particolare dell'Istituto e della nuova Congregazione che si formava.
Dal 1902 ad oggi un numero straordinario di Chierici e Sacerdoti di tutte le diocesi d'Italia
e dell'Estero furono alunni di questo Istituto, e tra questi alcuni furono insigniti della dignità
vescovile o assursero a cariche importanti in Curia o nelle diocesi. Ecco un po' di elenco di
ex alunni della Casa di Roma:
S. E. Mons. Gaetano Cicognani, Arcivescovo tit. di Ancira. Nunzio Apost. in Bolivia,
S. E. Mons. Carlo M. De la Torre, Vescovo di Riobamba (Equatore),
S. E. Mons. Nicola M. Di Girolamo, Vescovo di Chiazzo,
S. E. Mons. Sigismundo Loyinski, Vescovo di Minsk (Polonia Russa),
Vi abitò pure per due anni come ospite
S. E. Mons. Ermenegildo Pellegrinetti, Arcivescovo tit. di Adana (Nunzio Apostolico
a Belgrado,
Mons. Licinio Refice, Maestro della Cappella Liberiana,
Mons. Egidio Lari, Uditore della Nunziatura a Berna ;
Mons. Carlo Chiario, Uditore della Nunziatura a Varsavia (Polonia),
Mons. Aldo Laghi, addetto alla Segreteria di Stato,
Mons. Alberto Levame, Uditore della Nunziatura in Venezuela,
Mons. Amleto Cicognani, Sostituto della Concistoriale,
Mons. Enrico Agostini, Aiutante di studio ai Religíosi,
Mons. Giulio Chiavoni, Minutante a Propaganda,
Sac. prof. Ugo Bertini, Vice Segretario alla Propagazione della Fede,
Mons. Nigrini, Aiutante di Studío alle Università e Seminari,
Mons. Farolfi, Aiutante Studio al Concilio,
Mons. Del Carlo Vicario Gen. di Lucca,
Mons. Tabanelli, Vic. Gen. di Imola,
Mons. Santori, Vic. Gen. di Todi,
Mons. Francesco Bracci, Promotore di Giustizia alla S. Romana Rota.
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Dal testamento di P. Piccardo
In
osculo
Domini!
Justus
“Raccomando l'anima mia al mio Dio,
ut palma
mio Creatore, mio Redentore, mio
florebit.
ultimo fine. La raccomando alla SS.
Vergine Maria Immacolata, a S.
Giuseppe, al mio Angelo Custode a
Sant’Antonio Abate e a tutti gli Angeli e Santi del Paradiso. Imploro dalla misericordia di Dio
il perdono di tutti i miei peccati voglio morire nelle braccia della Santa Romana Chiesa,
protestandomi di voler essere fino all'ultimo istante della mia vita figlio obbedientissimo di
tanta Madre, sottomesso con piena e tutta sincerità di mente e di cuore a tutti gli insegnamenti
precetti e consigli del Sommo Pontefice, Vicario di Dio in terra, rifiutando e abominando tutto
ciò che a questi insegnamenti e in qualunque maniera si oppone. Cosi il buon Dio mi aiuti e la
SS. Vergine Immacolata ...
Mi raccomando a tutti i Confratelli ed alunni che non si dimentichino di pregare per me nella
Santa Messa ed orazioni. A tutti poi in generale e a ciascuno in particolare domando perdono
dei torti e dispiaceri che io posso loro avere arrecato.
(Dal suo testamento)
Il P. Piccardo e il Papa
Il Frassinetti nel 1837 nelle sue “Riflessioni proposte.agli Ecclesiastici” scriveva: “O
Vaticano, a te mi prostro e bacio, adorandoti, le sante tue falde. Io non allontanerò mai i miei
occhi da te: tu sei quel monte da cui mi aspetto ogni aiuto, tu mi dai luce, tu mi dai lena e
speranza”.
Queste parole furono veramente per Padre Piccardo, parva favilla a cui gran fiamma
seconda. Erede dello spirito del Frassinetti, come lo fu della sua opera nascente, egli ebbe
sempre per il Papa una venerazione particolare, tanto che possiamo ben dire fu questa una
delle note piú caratteristiche della sua vita.
Rapiva quando nella sua paterna, soave amabilità raccontava le sue visite al Papa: ne
numerava le parole, estasiandosi nel suo bianco volto cercando di far godere nei figli l'ora
gaudiosa da lui gustata e la parola semplice che gli sgorgava dal cuore inondato di gioia,
commoveva profondamente.
Non formavano i racconti delle sue visite al Papa, il centro delle sue conversazioni? Chi
ebbe la fortuna di stargli a fianco lo sa. E il motivo di questi continui racconti era perché
voleva che i suoi alunni avessero per il Papa eguale amore.
Non lasciava passare occasione, anzi le cercava, per vedere il Papa. Appena sacerdote nel
1868, toccato il suolo di Roma si affretta a correre ai piedi di Pio IX per ricevere la sua
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benedizione, ed ogni sera ne aspetta la vettura dalla Via delle Fondamenta per ricreare il suo
spirito nella candida visione dell’angelico Pio.
Come godeva il suo cuore quando raccontava le meraviglie dél Pontificato di Leone XIII!
Quante volte venne da Genova per vederlo? Nemmeno lui se lo poteva ricordare. L'anno
Santo 1900 fu una nuova e potente vampata che alimentò il fuoco del suo cuore: venne per le
visite giubilari nello stesso gennaio con molti dei Figli di Maria, ed essendo allora anche
Rettore del Seminario Arcivescovile organizzò i pellegrinaggi dei Seminaristi, spronandoli a
recarsi a Roma; e dove non arrivava la borsa dei suoi giovani alunni, arrivava sempre la sua
paterna generosità: non badava a questo sacrificio finanziario pur che fosse conosciuto,
amato, venerato il Papa.
La Provvidenza dispose che questo figlio, tanto amante del padre comune, stabilisse la sua
dimora presso il trono pontificio. Da questo periodo, 1902, la figura del Padre Piccardo era
divenuta cosí popolare in Vaticano, che dallo svizzero al portone di bronzo agli intimi della
famiglia pontificia correvano intorno a lui e lo salutavano come un amico di casa. Non vi era
funzione, cerimonia, ricevimento senza che egli vi partecipasse: la famigliarità con gli intimi
del Pontefice e con il Pontefice stesso, lo aveva reso caro a tutti.
Questa benevolenza e quasi preferenza era originata dal fatto che si era conosciuto il
grande amore, la profonda venerazione che egli aveva per il Papa. I Papi stessi da Pio IX a Pio
XI si dimostrarono oltremodo benevoli con lui. Quante volte lo abbiamo visto con le lagrime
agli occhi, quando con la sua voce tremante per la commozione, narrava qualche atto di
benevolenza del Papa! Pio IX benedisse la sua opera e gli inviò un prezioso autografo che
tutti abbiamo ammirato e letto nel suo studio della Casa di Carignano. Leone XIII volle
affidargli il giovane clero che veniva a Roma per perfezionarsi negli studi e piú d'una volta lo
mandò a chiamare per informazioni, come per la nomina del Can. Gavotti a Vescovo di
Casale, mandando a lui mons. Della Chiesa, poi Papa Benedetto XV.
Pio X lo amò e protesse come un padre protegge un figlio e sanzionò con la sua apostolica
autorità la canonica erezione dell'Opera dei Figli di Maria in regolare congregazione
religiosa. Anche nei pubblici ricevimenti, quando egli vedeva P. Piccardo, a lui rivolgeva
sempre la sua parola, e nello scherzo arguto che spesso usciva dal labbro del Santo Pontefice
si vedeva di quale affetto lo circondava.
Benedetto XV non lasciava passare occasione senza ricordarsi di lui: lo riceveva spesso di
sera, quando era piú libero dalle occupazioni del suo apostolico ministero, gli mandava
qualche dono per la sua festa onomastica e per le sue nozze d'oro sacerdotali nel 1918 gli
mandava a mezzo di mons. Migone una sua splendida fotografia racchiusa in ricca cornice
con il seguente autografo :
“Al diletto figlio P. Antonio Piccardo porgiamo affettuosi rallegramenti per i dieci lustri
di operoso Sacerdozio che il Signore gli ha fatto compiere e con la benedizione apostolica
che gli inviamo di cuore, esprimiamo non solo la benevolenza del padre, ma anche l'augurio
che veda crescere il numero e non diminuito lo zelo dei Figli di S. Maria Immacolata”.
Pio XI gli ha sempre, dal suo avvento al trono pontificio, mandato la medaglia
commemorativa degli anni del suo pontificato; e tutte le volte che vedeva qualche membro
dell' Istituto, o qualche vescovo, ospite dell'Istituto a Roma, diceva sempre: “E P. Piccardo
come sta?...” Il 2 febbraio dell'anno scorso presentandogli, secondo la tradizione, il cereo il
giorno della Purificazione, al P. Minetti prostrato ai suoi piedi, diceva: “P. Piccardo, è a
Genova? Come sta? Scrivetegli che il Papa lo saluta e gli manda una particolarissima
benedizione”.
Durante l'ultima malattia, incaricava l'Arcivescovo di Benevento “a portargli la sua
paterna, affettuosissima benedizione”. Lo scorso anno mentre a Genova i suoi alunni si
stringevano attorno a lui, ricorrendo 1'80° di sua età, gli faceva pervenire con la facoltà di
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impartire l'apostolica benedizione ai presenti, la sua fotografia, con le autografe seguenti
parole : “Pius P. P. XI, gratulabundus, augurabundus permanter in Domino”.
Questo atto di sovrana bontà consigliò il P. Piccardo, appena ritornato a Roma a chiedere
un'udienza particolare, e Pio XI si degnò ancora donargli quattro grosse medaglie due in
argento e due in bronzo.
L'ultimo atto però che suggellò la benevolenza veramente paterna del Papa e fu insieme la
dimostrazione piú bella della venerazione del P. Piccardo al dolce Cristo in terra fu nel
settembre scorso. Presagiva forse egli prossima la sua fine? Improvvisamente una sera capitò
a Roma da Genova il Veneratissimo Padre e alle nostre domande per sapere come mai si era
deciso a far simile viaggio, rispose che era venuto per acquistare il giubileo con il
pellegrinaggio genovese e prendere ancora una benedizione dal Papa. E difatti, nonostante le
forze gli mancassero, andò anche lui all'udienza pontificia. Quando Pio XI passando in
rassegna i pellegrini arrivò al nostro Padre: “Ecco un pellegrino carissimo e desideratissimo”
e dicendo queste parole passò sopra le sue spalle, quasi in paterno amplesso, la sua augusta
mano. In questo abbraccio e in queste parole vi é il riconoscimento piú augusto e solenne
della profonda, sentita, figliale venerazione e devozione al Vicario di Cristo in terra. Il
pellegrino aveva finito il suo mortale pellegrinaggio e la benedizione del Papa unita al
perdono giubilare gli schiudeva la porta del Cielo.
P. Piccardo e il Priore Frassinetti
Chi conobbe il Priore di S. Sabina in Genova sia pure attraverso i suoi scritti, chi conobbe
ed ebbe famigliarità con il compianto P. Piccardo, è costretto a confessare che queste due
anime sante si sono davvero incontrate spiritualmente nel cammino della vita e che lo spirito
dell'una si è trasfuso in quella dell'altro.
P. Piccardo, è vero, conobbe solo di vista il Priore di S. Sabina per averlo veduto qualche
volta di sfuggita andando a passeggio con i compagni del Seminario, come lui stesso ebbe a
dichiarare: ma dal 1867, anno in cui fu con il pieno consenso di lui prescelto a suo successore
nella direzione dell'Opera di S. Maria Immacolata, allora appena nascente e ancora in cerca di
fissa e stabile dimora, la sua vita di persona agiata divenne come quella del Priore, la vita del
secondo buon Padre in quella piccola famiglia sorta dalla povertà e cresciuta all'ombra della
protezione della Vergine Immacolata e che egli era destinato dalla Provvidenza con l'aiuto
delle persone caritatevoli a farla crescere a quello stato di floridezza in cui ora si trova.
Animato dallo spirito di Dio che tutte le cose rende facili e pronte, sorretto dall' esempio
dell'uomo santo che lo aveva preceduto nella non facile impresa e che non poteva mancargli
di aiuto con le sue preghiere, egli, il Piccardo, da ammiratore divenne subito il piú studioso e
zelante emulatore del Frassinetti.
Passarono gli anni e furono molti quanti ne trascorsero dal 1868, anno in cui moriva il
Priore ed egli era ordinato, sacerdote, fino al 1925, ed il secondo Padre dei Figli di Maria fu e
si conservò sempre lo stesso: quell'uomo di vero spirito, e di soda pietá, di eminente virtú
come apparve a tutti noi che lo abbiamo conosciuto, di quello spirito, di quella pietà, di quella
virtú che seppe attingere dalla lettura costante e diuturna delle vite dei santi e dalla vita e
dagli scritti del santo suo predecessore. Opera questa di facile santificazione per lui che fin dal
Seminario aveva cominciato con il piegare con ferma volontà la sua anima, il suo spirito a
tutte le operazioni e le illustrazioni della grazia del cielo, e che completò poi nella sua lunga
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vita di sacrificio e di abnegazione come Moderatore della Casa dei Figli di Maria; opera di
santificazione che si prefisse inoltre da realizzare nell'anima dei suoi figli spirituali che nel
periodo di quasi 60 anni sono cresciuti in larga falange sotto la sua paterna direzione e di cui
molti sono riusciti vero decoro della chiesa genovese diffondendovi il buon odore delle virtú
del santo Fondatore.
L'opera di personale santificazione si tramutò cosí, come per incanto, in quell'opera di
santificazione o restaurazione sociale cristiana, cui mirava il Priore di S. Sabina quando fondò
la prima Congregazione dei Figli di Maria e quando imprese a scrivere quei molteplici libri
che furono una vera provvidenza in tanto pervertimento del suo tempo e lasciarono nell'anime
la piú profonda impronta di santità. E il Padre Piccardo volle continuata, anzi direi quasi
centuplicata l'azione di quegli scritti destinati a fomentare un nuovo e grande risveglio di pietà
nel mondo e lo fece con la ristampa dell'intera collezione delle opere edite ed inedite di
Giuseppe Frassinetti, realizzando cosí, dopo tanto tempo, il desiderio del pio autore che pur ne
aveva tentato la prova fin dal 1865 con una ristampa dedicata al Card. Patrizi ma che dovette
troncarsi quasi all'inizio per la sopravvenuta morte il 2 gennaio 1868.
La nuova Collezione, dedicata dal Piccardo a Pio X, il grande Papa restauratore della
dottrina cattolica, e recante in fronte una lunga prefazione del Card. Svampa, Arcivescovo di
Bologna, in cui magistralmente sono illustrati i singoli scritti frassinettiani, venne pubblicata
con i tipi della Vaticana dal 1905 al 1912. Consta di 13 volumi di nitidissima veste in ottavo
grande e comprende: due volumi di spiegazioni del Vangelo, tre volumi di Istruzioni
Catechistiche, quattro volumi di Ascetica, due di Discorsi e Novene della Vergine, dei Santi, e
delle principali festività dell'anno; uno di Esercizi Spirituali ed uno finalmente di operette
varie predicabili ed ascetiche, con il quale si chiude la serie.
Era bello il vedere il venerando Padre Piccardo vegliare le lunghe ore del giorno e della
notte, con la pazienza di un certosino, sui manoscritti preziosi del Frassinetti per controllarli
con la stampa, per coordinare la materia dei vari volumi con nesso logico, per leggersi e
rileggersi piú volte le prove di stampa per correggere le bozze di ben 5704 facciate, quante ne
comprende l'intera Collezione e far del suo meglio onde l'opera riuscisse meno indegna del
venerando Autore e del Grande Mecenate del Vaticano, a cui egli con sentimento di figlio
devotissimo la volle dedicata. Andava in giubilo ogni qualvolta parlava di quell'opera cosí
bella ed era raggiante quando il suo pensiero considerava il gran bene che avrebbe fatto nel
mondo delle anime questa raccolta di scritti, pieni di dottrina e di santa unzione.
Sancta sanctis, diceva egli con senso di grande umiltà e da uomo, come era ornato dello
spirito di Dio, trattava veramente le cose del Frassinetti come cose di santo e le trattava in
modo santo. E non si chiamò contento finché non vide coronati i suoi desideri con il Processo
della Causa di Beatificazione del Frassinettí, che egli aveva ormai cosí ben conosciuto
attraverso i meravigliosi suoi scritti.
A noi, che, per somma sua degnazione, volle partecipi del suo lungo lavoro, dava con
grande contentezza e commozione la notizia che il Consiglio Superiore della sua
Congregazione, in seduta plenaria del 13 aprile 1909, aveva deliberato l' introduzione del
Processo Canonico per la Causa del Fondatore e che ne era stato lui stesso eletto Postulatore.
Si mise subito all’opera tanto da lui vagheggiata, ma per varie vicende, benché fin dal 1°
agosto 1913 ne avesse inoltrato formale domanda all'amministratore della Diocesi mons. Pio
Boggiani, e ripetuta nel luglio 1915 all'Arcivescovo mons. Ludovico Gavolti, non si poté
iniziare il Processo Ordinario se non il 26 gennaio 1916; giorno in cui con tutte le solennità di
rito fu definitivamente costituito il Tribunale Diocesano.
Non è a dire quanta cura mettesse in questa bisogna e in ogni piú minuto particolare che
riflettesse la detta Causa. Si interessò di ogni singola sessione del Tribunale, di ogni singolo
teste e dal Vice Postulatore voleva frequenti e minuti ragguagli di quanto accadeva,
dimostrando cosí, con quale amore e calore caldeggiasse la causa del servo di Dio. Volle lui
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stesso essere il portatore del Processo a Roma e, presentandolo alla Sacra Congregazione dei
Riti, sembrò che egli facesse la consegna di tutto se stesso all'Autorità Apostolica.
Gli rimaneva ancora come spina al cuore il Processo de non cultu che egli avrebbe
desiderato compiere prima di finire i suoi giorni, e la Vita del venerando Priore che
ardentemente bramava uscisse alla luce compilata da penna maestra che egli stesso volle
prescelta ; ma la morte lo colse quando già le cose si avviavano a felice soluzione. Pieno di
meriti volò sereno in braccio a Dio e là, giova sperare, sarà sazio il suo cuore di aver goduto
in anticipo la gloria del santo Priore e fondatore dei Figli di Maria! Sancta sanctis.
Ducarpo
L’uomo forte
Ciò che spicca maggiormente nella fisionomia morale del lacrimato Superiore Generale, la
qualità che in qualche modo fissa con maggior precisione la sua caratteristica è la fortezza.
Padre Piccardo fu un uomo forte nel senso piú bello e piú cristianamente puro della parola. È
cosí che si spiega conie egli sia potuto uscire vittorioso da ogni cimento e abbia potuto
superare ogni procella.
E quante procelle non urtarono contro la sua navicella nel corso della sua lunga
navigazione, fino a minacciarne il naufragio! La sua fede, la sua preghiera, la fortezza sempre
lo salvarono. Egli sapeva navigare sulle grandi acque.
Io mi sento compreso di ammirazione quando penso a questo meraviglioso nocchiero che
la tempesta non impaurisce, che in faccia al pericolo non trema, che davanti all'ostacolo si
esalta, che attraverso le bufere di cui fu feconda la sua lunga esistenza, seppe compiere
arditamentc la sua navigazione e arrivare al porto integris rate et mercibus.
Sono queste le figure che si impongono, questi gli uomini forti che San Giovanni
Grisostomo voleva coperti di fiori, perché a detta del grande Dottore essi hanno dato la prova
massima della forza d'animo. Ed in questa forza d'animo fatta di preghiera e di unione con
Dio, di dolcezza e di umiltà è riposto il merito della fecondità del loro apostolato.
Dire queste cose del carissimo Estinto è fare un elogio giusto e doveroso e piú che un
elogio una constatazione, e ciò può servire di conforto e riuscire di incitamento a quanti
cammineranno sulle sue orme, a quanti sono gli credi della sua opera e del suo spirito.
Urbino, 18 novembre l925.
+ Giacomo Ghio, Arcivescovo d'Urbino
Dolce visione
Il Padre Antonio Piccardo!
Dolce visione cara ed angusta figura che sempre viva, sorridente ed amabile si delinea ai
mesti sguardi dei beneficati e diletti suoi figli!
Ah sí! Era casa, vera famiglia sua Istituzione, che Egli la reggeva coronato dall'aureola di
Padre.
La casa significa ambiente la cui atmosfera è imbalsamata di affetti santi, irradiata da luce
superna, ed ove aleggia e si rispecchia la gioia e la pace del buon Dio e là nell'Opera del
compianto Personaggio si ammirava il vero Santuario di Dio.
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Cara e singolare Famiglia! Vi si era amati senza debolezze, corretti senza asprezza,
sorvegliati
senza affettazione, e l'anima nutrita di verità, di confidenza, di rispetto e di schiettezza si
sentiva attratta, senza avvedersene, ai sacri doveri di pietà, del sapere e della disciplina.
Il venerabile D. Giuseppe Frassinelti aveva davvero trovato il vero depositario, il degno
custode e valente artefice dei concepiti disegni e dell' opera da lui iniziata.
Il compianto P. Antonio Piccardo l’accolse nella sua giovine e sacerdotale anima di
Apostolo con slancio ed entusiasmo; vi consacrò le sue energie, le sue sostanze e la vita per
coltivarla, darle impulso fertile e consistenza duratura. Sí, sono undici lustri di attività senza.
tregua, alternata da qualche gioia mista a sofferenze. Egli ricordava che controllo e garanzia
delle grandi virtú sono i grandi sacrifici. Li amò con il generoso Fiat. Il Getsemani è noviziato
al Tabor.
Di là, spirito eletto e venerando, ove Ti avvolge nube lucida di beata trasfigurazione, Tu
aleggia avvocato e patrono su quei figli che guidasti al santuario e sulla tua religiosa Famiglia.
Che essa, grazie alla tua superna assistenza, viva sempre del caldo e possente battito del
Cuore di Cristo.
In tal maniera, mentre a lode del compianto Padre Antonio Piccardo sarà incisa sul marmo
o nel bronzo del suo tumulo la grande e scultorea parola “VIR” si registrerà anche nella
storia:
Bella, immortal,
benefica fede
ai trionfi avvezza
scrivi ancor questo:
L'Opera dei Figli dl S. Maria Immacolata altamente benemerita e della Religione e della
Patria.
Albenga. 18 novembre 1925
+ Angelo, Vescovo.
La sua bontà
La virtú caratteristica del nostro venerato Superiore era la bontà. Si riconoscevano e si
apprezzavano le altre doti, di cui il Signore lo aveva arricchito: l'intelligenza, la prudenza, il
raro buon senso, l'attività, lo zelo, la fermezza e, quando occorreva, l'energia; ma ce n'era una
che quasi assorbiva tutte, dando a tutte un colore ed un sapore speciale, la bontà.
Per questo, quando si parlava di Lui, non si pensava quasi mai a chiamarlo intelligente
prudente, attivo, zelante; ma si diceva sempre: Quanto è buono!
E la stessa signorilità ed affabilità, cui subito si avvinceva gli animi, non si chiamava
cortesia, ma bontà per questo, appena sparsasi la notizia della sua morte, il tributo dato alla
sua memoria, piú ancora che di ammirazione e di lodi, è stato di dolore e di lacrime.
Verona, 31 novembre 1925
+ Gerolamo Cardinale
ELEGIA
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Per quale nostalgico senso o lusinga d'Autunno
cedesti, Padre, al cenno della sorella Morte,
onde ai sussurri dell’Alba al lento vanir delle stelle,
stanco, piegasti il capo al margin della via?
Forse tra foglie stormenti, che Autunno ramingo distacca
all'arbori pensose, ricacciandole ai venti,
piovve il Mattino chiaro leggiadre ghirlande di gigli
e il fior dell'asfodelo che la tua fronte imperla?
O d'angioli osannanti, dai roridi cieli, una schiera
a Te volò nell' attimo del transito supremo,
e su le candide ali sorresse lo Spirito eterno
perché all'empiree soglie beatamente approdi?
Triste e solenne, in queste raccolte serate autunnali,
eteree visioni m’offre la fantasia;
Ond'io fanciullo, evoco dal Tempo memorie sopite,
a cui s' intreccia il fiore di Giovinezza spenta.
Ah! non per ansie vane di gloria e di effimeri onori
ripiega in cuor la fiamma che Amor di se alimenta:
Né per estranei lidi, o borghi o città tumultuose
s'avvolge la memoria del drappo dell'oblio;
ché a’ tuoi Figli dispersi, appena velaron le ciglia
il lume evanescente de le pupille smorte
il tremolo sorriso, tra lieve sospir di preghiere,
s' irrigidí, marmoreo, sul tenue labbro esangue,
e giacque la tua spoglia, supina sul candido letto,
fulgendo d'aurea luce nel vespero di Roma;
dai lor commossi petti ruppe il figliale compianto,
mentre migravi, Padre, a' regni alti di Dio.
₪₪₪
Su lo specchio dell'urna che il misero frale ora accoglie
tra verd'ombre di lauri e sorrisi di rose,
un Viator poeta, passando in pensier d'amore,
sosti un mattin d'Autunno, e v'incida il tuo Nome
con punta d'oro: e, sotto, sul marmo polito, in graffito:
'' Ei fu Seminatore d' amore e di bontà.
Donò gli averi ai poveri, ché a lui fu inesausto forziere
l’Evangel cristiano, fonte di carità.
Dai mattutini albori, fin oltre la sera calante,
arò perseverando e seminò con fede:
Onde a la Religione sacrò sacerdoti trecento
e offrí a l'Italia madre nobili cittadini.
Lo Spirto a Dio: a la Terra la spoglia; a gli umani venturi
l'esempio e la memoria, fin che la vita duri”.
Amen.
GIUSEPPE PIERUCCI.
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P. Piccardo
Rettore del Seminario Arcivescovile
S. Ecc. Mons. Tomaso Reggio, prima Rettore del Seminario di Chiavari, poi Abate di S.
M. in Carignano, aveva seguito fin dal suo primo sviluppo l'Opera di Don Piccardo: e aveva
con crescente simpatia, anche quando, Vescovo di Ventimiglia, veniva nella sua Genova,
notata la vita di vera vita di famiglia che la caratterizzava, e la cordialità che che continuava a
stringere inalterabilmente i figli al Padre, e i fratelli fra di loro anche quando o fatti sacerdoti
o rimasti nel mondo si sarebbe potuto temere che le vicende della vita e la lontananza li
allentasse. Passato al governo della Archidiocesi genovese, non solo continuò all'opera tutto
quel favore che essa aveva già avuto cosi grande dal veneratíssimo mons. Magnasco, ma dopo
tre anni di governo, nel 1895, chiamò alla Direzione del Seminario Arcivescovile P. Piccardo
in persona. Cosí Egli oltre all'opera sua che era nel massimo del suo rigoglio e della sua
efficienza (erano gli anni in cui dava alla Chiesa il numero piú considerevole di sacerdoti e
preparava alla vita civile negli altri collegi tanta gioventù) si vide a capo della Istituzione piú
importante della Archidiocesi.
Non se ne sgomentò: la fiducia in Dio e nell'Immacolata lo confortò all'arduo cimento:
tanto piú arduo in quanto che la sua elezione coincideva con uno dei periodi piú critici,
economicamente parlando, che il Seminario avesse avuto. Ed Egli, che per lo sviluppo
dell'Opera sua aveva sempre avuto dalla Provvidenza, strumento efficace di Lei presso tanti
ricchi, quanto era necessario, riuscí in poco tempo a ricostruirne il patrimonio.
E non solo, ma nei sette anni che durò in carica dovette anche affrontare e recò a
compimento anche molti importanti lavori di urgente necessità.
Mentre curava cosí efficacemente la parte materiale, con pari efficacia curava la piú
importante, la spirituale; facendo base di questa quella serenità inalterabile, e quella bontà di
cuore che da tutti fu ammirata sempre e venerata come la dote caratteristica che attirava i
cuori. E i problemi spirituali attinenti alla conoscenza e allo sviluppo delle vocazioni, che già
aveva affrontato cosí felicemente nei Figli di Maria, li affrontò efficacemente anche in
Seminario. Si preoccupò fin da principio di avere stabile in Seminario un Direttore spirituale,
cosa tanto importante, e si preoccupò molto di una scelta felice. Seguí anche il cumulo di
tante occupazioni i suoi seminaristi, non impedito assolutamente, nelle funzioni sacre; quanto
fece singolarmente per ciascuno, molti lo sentono ancora e solo loro potrebbero dire quanto
valse a confermarli nella vocazione, una sola parola, un solo cenno, un solo sorriso, un solo ...
stringimento di labbra ...
E in fatto di studi? anche di questi si interessò con grande larghezza di vedute: rese
possibile con il concorso suo la società di S. Paolo fra i professori del seminario e degli istituti
cattolici, società che durò attiva tutto il tempo che egli fu Rettore; riordinò con sistemi
moderni la ricca Biblioteca del Seminario, rendendola con prudente oculatezza accessibile
agli studenti seminaristi; incoraggiò per i bisogni della scuola non solo del Seminario, ma
anche degli istituti cattolici l'accesso alle scuole universitarie di chi appariva capace.
Merito speciale della sua attività è la visione che ebbe chiara delle esigenze della vita
cristiana, che furono poi tanto sentite dai sommi Pontefici, la necessità cioè di animare la
pietà cristiana alla liturgia e specialmente al canto sacro, con la istituzione nel Seminario
della cattedra di Canto fermo a cui chiamò uno dei primi suoi alunni il P. A. Minetti, attuale
Vicario Generale dei Figli di Maria; cattedra che fu l'inizio d'un cosí largo sviluppo in diocesi
e nelle parrocchie per la applicazione del Motu proprio di Pio X; e per il miglior decoro delle
funzioni del Seminario lo dotava d'un buon organo, al cui collaudo chiamava il già da allora
celebre Maestro Perosi. E come fu l'anima nelle principali circostanze di feste a volerne far
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sentire ai suoi seminaristi la bellezza! Nessuno certo dei seminaristi di allora dimenticò fra
l'altro le feste solenni della inaugurazione della statua del Redentore nel cortile del Seminario.
Passati sette anni di tanta attività, nei quali non dimenticò mai i suoi Figli di Maria, quando
il nuovo Arcivescovo di Genova mons. Pulciano ritenne che tornasse fra essi lasciando il
Seminario, egli come serenamente e pienamente aveva risposto “obbedisco” a mons. Reggio,
lo ripeté a lui.
E la Provvidenza aveva disposto che ciò che poteva parere una limitazione alle sue attività
dovesse aprirgli la via ad apostolato piú vasto, piú duraturo.
L' educatore
Gli studiosi di Pedagogia s' arrabattano per trovare la legge, la norma, il vade-mecum del
perfetto educatore. E tutti i pedagogisti, tutti i riformatori sono molto efficaci nella critica del
pedantismo, del formalismo, salvo poi a creare per loro conto un nuovo genere di pedantismo,
una nuova sottospecie di formalismo. È un fatto che il vero educatore, come il poeta vero,
l'artista vero, non si plasma con espedienti d'arte o con formule di scienza: egli nasce tale ed il
suo istinto lo guida, ed il suo istinto gli serve al di sopra d'ogni trattato e d'ogni sistema.
Il vero educatore capisce subito lo spirito dell'educando, penetra al di sotto della superficie,
scopre il buono che si nasconde sotto la scorza rude ed anche un po' magagnata, sa trovare
subito la medicina che risana l'imperfezione superficiale e ne ricava vigorosi germogli. Pur
quando la midolla é infetta, purché la infezione non sia radicale e contagiosa, non c'é da
disperare e l' accorto giardiniere sa abilmente curare e salva la pianta.
Ma è necessario l'intuito che scopra il male ed indovina il rimedio e guida la mano che non
deve troppo infierire per non irritare la parte malata e diffondere la magagna.
Questo intuito é mirabile dote che la Provvidenza dà alle anime privilegiate, destinate a
guidare le anime dei giovani, specialmente quando di queste giovani anime é necessario
formare non soltanto dei buoni cristiani, ma anche dei buoni pastori di anime.
Questi educatori non di rado ascendono all' onore degli altari, perché toccano le vette della
cristiana perfezione.
₪₪₪
D. Piccardo fu una di queste anime privilegiate. Egli fu un educatore nato, conobbe i
segreti di un'arte che non si insegna, capí i giovani, li protesse, li guidò, li trasformò, li rese
sacerdoti, degni della loro sublime missione.
E questo ottenne senza rigori eccessivi, senza formalismi ingombranti, senza mortificanti
costrizioni all'anima del giovane che ha bisogno di vita, di entusiasmo, di ardore.
Seppe comprendere e compatire, seppe correggere senza irritare, dirigere senza
mortificare, perché amò la gioventú e dall' amore per essa trasse una ispirazione costante
all'opera sua.
Chi guarda alla superficie delle cose e concepisce l'educazione dei giovani solo dal lato
della disciplina esteriore può anche trovare materia di critica nella concezione educativa di
Padre Piccardo. Nei suoi Collegi, nella sua Casa, in quella benedetta Casa dei Figli di Maria
che ha dato alla Liguria tanti Sacerdoti colti e zelanti ed alla Chiesa illustri presuli, può taluno
non approvare quella famigliarità che ne costituisce la caratteristica piú simpatica.
Ma chi concepisce l' educazione come azione, come influenza d' uno spirito elevato su
spiriti in formazione, deve approvare incondizionatamente, quel sistema che consiste
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nell'avvicinare famigliarmente i figli al padre spirituale; realizzando l'ambiente ideale dell'
istituto d'educazione: il collegio famiglia.
Qui veramente lo spirito del Padre si trasfonde nei figli; qui i giovani alunni apprendono
non una disciplina meccanica che deve abbandonarsi nella vita attiva, specialmente nella
sacerdotale, ma una disciplina che è abito al bene, abnegazione, sacrificio, amore.
Noi ci auguriamo vivamente che lo spirito di P. Piccardo aleggi sempre nella Sua
Congregazione e nei suoi Collegi; ci auguriamo che i suoi metodi educativi continuino ad
essere attuati dai suoi successori.
GIULIO MARCHI.
Don Piccardo
e il Santuario dell'Acquasanta
L’aura mariana della famiglia e la fede del popolo, in mezzo a cui il P. Piccardo passò la
fanciullezza e l'adolescenza, testimoniano la tenerissima devozione cui il P. Piccardo
giovinetto venne educato. Aveva quasi otto anni, ci ricorda il P. Profumo nella vita del P.
Benedetto Piccardo, quando accompagnò nella visita al Santuario dell'Acquasanta lo zio P.
Benedetto S. J. che si disponeva a partire per le Missioni dell' America ed ebbe la sorte di
servirgli la S. Messa.
Don Piccardo ricordava sempre i suoi pellegrinaggi con i parenti ed in special modo con il
padre suo, sig. Pasquale Piccardo, che per essere stato varie volte Sindaco di Voltri, fu
Amministratore al nostro santuario. Quando il giovinetto Antonio sentiva sbocciare i primi
segni della vocazione ecclesiastica, e non aveva che undici anni, lo zio P. Benedetto scriveva
dall'America alla madre sua di porre la vocazione del figlio sotto la protezione della Vergine
Immacolata. Fu egli profeta intravedendone il futuro Fondatore della Congregazione dei Figli
di Maria Immacolata?
Assertore convinto ed aperto della secolare devozione dei Voltesi alla loro Madre, il
giovinetto Piccardo volle porre sotto la protezione della Vergine Santa le prime speranze del
suo Sacerdozio, pellegrinò, tante volte al nostro Santuario per implorare, come egli amava
dire, per l'intercessione della Madonna dell'Acquasanta, la grazia di corrispondere alla
Missione cui Iddio, cosí fecondamente, lo preparava.
Il Santuario e l'Opera dei Figli di Maria
“Noi, nati presso il Santuario di Maria dell'Acquasanta, dovremmo prendere a cuore i titoli
e gli Istituti in onore della SS. Vergine” gli scriveva lo zio Missionario: fu perciò che nel
1868, il novello Sacerdote Antonio Piccardo accettava entusiasticamente la provvidenziale
missione di continuare l'Opera dei Figli di Maria del Ven. Frassinetti. Gli sembrò questo un
segno evidente della protezione della Madonna e fu cosí che nella vita del Padre e nella storia
dell'Istituto il nostro Santuario gli apparve come la "meta di fede,, donde egli aveva tratto le
forze prime, animatrici della sua vocazione, il tempio di intimi e soavi ricordi, cui volentieri e
spesso, da Pra, da Rivarolo e da Genova, riportava gli alunni dei suoi collegi.
Il Padre Piccardo si compiaceva veder fiorire queste care memorie attorno alla sua
Congregazione e ricordava spesso l'Acquasanta come Santuario di meditazione e di preghiera
per il Pio Frassinetti, per la Ven. Paola Frassinetti (sorella del Priore di S. Sabina in Genova)
fondatrice delle Suore Dorotee, per la piissima Suor M. Ravasco, fondatrice delle Suore che
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da Lei presero il nome. Questi Istituti, affini all'Opera dei Figli di Maria e tenuti in tanta
venerazione dal P. Piccardo, animavano di religioso affetto il suo amore per il Santuario
dell'Acquasanta, rendendolo sempre piú caro al suo zelo sacerdotale.
Ogni anno, Egli veniva con tanta bontà, e spesso con tanto sacrificio, a visitare la "SUA
MADONNA” ed anche sul declinare della vita amava passare alcuni giorni presso di noi,
nelle piú care funzioni del Santuario. Tutti qui lo ricordano ospite gradito e venerato presso il
rev. Rettore del Santuario; tutti gli Ex allievi ricordano il convegno della sua Messa d'oro (nel
1919) quando l'allora Rettore Don Piana preparò per Lui una Festa solenne e memoranda ed i
Sacerdoti e i Figli di Maria convenuti a fargli corona consacrarono, negli scritti, in una
riuscitissima accademiola, in tante memorie a Lui care, l'omaggio simbolico dei figli al Padre,
nel Santuario tanto diletto.
Il Santuario dell'Acquasanta suo desiato riposo
Il Santuario dell'Acquasanta è, per il suo Istituto, perché lo era per Lui, un "Monumento di
vita”, ma Don Piccardo desiderò vivamente, ed a molti piú volte ha manifestato il desiderio
che diventasse il suo mausoleo di morte. Non è che Egli abbia voluto tener lontano il suo
sepolcro dalla Casa dei Figli, pur potendo riposare anche in Roma, ma Egli, con atto di
suprema devozione verso Maria dell'Acquasanta, ha voluto legare la sua memoria ed il suo
esempio al Santuario, come per riallacciare ad una fonte di mariana pietà il cuore dei Figli,
eredi del suo patrimonio spirituale.
Gli ex allievi e compagni ricordano il primo convegno degli ex-allievi (dopo quello tenuto
in Genova, per la fondazione) che, con felice divisamento, si fece ad Acquasanta, il 7 Giugno
di quest'Anno Santo. Quel giorno il saluto del Padre, trattenuto per impegni a Roma, fu un
telegramma che ci richiamava alla preghiera per la sua Madonna. Era l'espressione di un pio
volere, era voce sacra come di testamento, il doverlo ricordare qui, all’altare della Madre sua
e nostra? ... L'epilogo della sua vita mostrò che tutto ciò non era una sola intenzione
occasionale, ma Egli voleva si pregasse la sua Madonna sentendosi venir meno il vigore delle
forze.
L'Asilo venerato di tante memorie del Padre, oh ! non sarà la tomba di un amore
immemore, ma diverrà per tutti noi l'umile altare della nostra riconoscenza. Tutti i Figli della
sua Congregazione, i Sacerdoti e Laici ex Allievi, le persone che lo hanno amato ed aiutato
nella vita conosceranno il nome del nostro Santuario, ne erediteranno l' amore; al suo
sepolcro, che speriamo presto potrà, qui avere, verranno attratti dal doveroso ricordo, spinti
dal desiderio del suffragio per il nostro caro Padre Piccardo.
La preghiera ci unirà ancora, in Dio, al suo Spirito eletto, il suo esempio ci mostrerà
l'idealità della devozione a Maria Santissima, sentiremo il suo amore rivivere con l'intensa
fedeltà delle opere ed il suo Nome, qui, al Santuario dell'Acquasanta, ci spronerà ad attrarre a
Dio ed alla Vergine il cuore di tanti altri Figli di Maria. Noi ci ispireremo cosí, come la la
miglior forma di suffragio, dopo la preghiera, a tener viva l'opera sua, per il bene di tante
anime, con altezza di pensiero e continuità di fede.
Sac. DOMENICO RAZZORE
Rettore del Santuario N. S. dell'Acquasanta
Anime generose
Erano entrati ai Figli di Maria con un dolce, con un santo sogno nel cuore: un giorno
sarebbero stati Sacerdoti! Oh essi avrebbero lavorato tanto, avrebbero predicato, avrebbero
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salvate tante anime! Ma ... quale sarebbe stato il campo del loro lavoro? Essi non lo sapevano.
Avevano sentita nel cuore soave e vivissima la voce di Dio che li chiamava, avevano sentita la
Vocazione; e accompagnati chi dal parroco, chi dalla mamma erano venuti alla Casa dei Figli
di Maria. C'era un Direttore tanto buono! Egli li avrebbe guidati, li avrebbe aiutati.
Entrati in Casa, compresero subito il programma: studiare, pregare e stare allegri. Servite.
Domino in laetitia: ecco lo spirito del Regolamento che informava la comunità. Ed essi
pregavano, studiavano e stavano allegri. Che bei giorni, che bei anni passarono!
Nella Casa dei Figli di Maria avevano trovate fiorenti tre devozioni, tre forze vive dalle
quali si sentivano presi e pervasi: la devozione alla Santissima Eucaristia, la devozione alla
Madonna e un grande amore al Papa. Quanta luce, quanta forza scendeva ai loro giovani cuori
accanto a quel piccolo altare della linda cappella, sotto lo sguardo materno e la benedizione
della Madonna, sorridente dalla sua nicchia! Oh sí, la vocazione maturava, si schiariva, si
decideva.
Nelle quotidiane orazioni recitate in comune in cappella, vi era anche un'invocazione
particolare e una preghiera a S. Francesco Saverio, al santo missionario, al santo dallo zelo
apostolico e dalla fortezza dell'eroe di Cristo. E il santo fu propizio alle loro invocazioni ed
essi promisero: saremo missionari.
L'occasione di intrattenersi sulle missioni, di alimentare la fiamma, era del resto frequente:
tutti gli alunni della Casa erano ascritti all'Opera della Santa Infanzia e a quella della
Propagazione della Fede e ne leggevano tanto volentieri gli Annali.
E giunta l' ora di Dio, il dolce, il caro sogno vagheggiato nei bei anni giovanili, maturato
accanto all'Altare della Madonna divenne una gioconda realtà: e uno e poi due e poi altri
partirono per il campo delle apostoliche fatiche.
E sono una ventina i generosi che sparsi in Australia, in Cina, nel Brasile, nel Messico,
negli Stati Uniti lavorano nel campo del Signore.
S. Francesco Saverio continua ad essere invocato ogni giorno nella Congregazione dei
Figli di .Maria, che lo ha scelto come uno dei suoi Protettori ed altre anime é sperabile,
accanto all'altare, sotto lo sguardo di Maria Immacolata sentiranno la grande chiamata di Dio.
De minimis
C’è uno solo degli ex-allievi dei collegi di Don Piccardo o degli amici suoi, o dei 35°
preti usciti dai suoi collegi, che non abbia rievocato il “Direttore” all'annuncio della sua
morte, ricordando questo o quell'episodietto personale?
Forse no. Ma fu un richiamare mille piccole cose, insignificanti se prese cosí staccate una
ad una, ma che per noi richiamavano qualche luce della bella figura scomparsa. Piccole tinte
di un mirabile quadro: svariate tinte di minuscoli fiori addensati in un campo sterminato, cui
donano, tutti ed ognuno, il meraviglioso sorriso della primavera.
Ed ho pensato: “Perché l’Unione D. Piccardo” non inviterà gli ex-allievi a scrivere gli
episodi che ricordano? Il foglio “Risonanze” li potrebbe accogliere con indicibile
compiacenza di tutti; e ne verrebbe richiamata sotto tutti gli aspetti l'indimenticabile figura del
nostro “Direttore”.
Ecco: ne faccio formale proposta a “Risonanze”.
Vedete! Ho appena accennato a ciò ... e sono certo che con me, gli ex-allievi che leggono
sono già balzati nel mondo dei ricordi ... Non lo rivedete il “Direttore” quando veniva ai vari
collegi e la sera, dopo cena, s'intratteneva a chiacchierare?
Quella sera il campanaro doveva lasciarci trascorrere il limite consueto per mandarci in
Cappella e poi a dormire. Il direttore veniva in ricreazione e sedeva sui gradini, od in
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Carignano su una certa colonna di marmo rovesciata a mo' di sedile ... E tutti noi gli eravamo
attorno.
Si dilettava a chiamarci per nome, uno ad uno, e la memoria non gli falliva. Poi narrava
qualche amena storiella ...
Ricordate quando narrava del viaggio di “Togno” a Roma? Allorché alla comitiva che
cercava un ristorante: “sciò direttò! chi gh'è 'na locanda ...” E indicava una “ex-locanda” ... Ed
allorché arrivato in Piazza S. Pietro, esclamava: “Che ciassà! ...” O quando ci narrava degli
sposi di Voltri, lo ricordate?, la sposa faceva vedere i dintorni al marito: ' chi gh'è tutto Mé ..."
e la sera non avevano dove andare a dormire! O quando narrava dei due vecchietti? L'uno,
con il labbro superiore cosí cadente che, se soffiava. il fiato andava in giú e l'altra con il
labbro inferiore cosí in avanti che, respirando faceva vento in su; e nessuno dei due poteva
spegner la candela! Quanto ridere, noi, alla soluzione: soffiavano a tempo, onde le due
correnti d'aria incontrandosi, potevano spegnere la fiamma.
Si passavano ore lietissime e, benché ritardata, la campanella ci chiamava ancora troppo
presto!
Si stava bene, vicino ad un direttore cosi paterno, buono, sempre buono con noi! Che non
aveva rimprovero da fare se non accompagnandolo con infinita dolcezza. Ci sapeva capire,
ecco!
Mi narrava, di questi giorni un ex-allievo ora arciprete, d'un giorno che aveva ricevuto da
casa un po' di vino. Pensate! Un bottiglione da tre litri! E se lo portava su, in dormitorio, con
la ... coscienza incerta, perché era un piccolo contrabbando. Quand' ecco nel salire la scala, si
vede innanzi il Direttore. C'era da lasciarsi cascare il bottiglione, mal celato tra le pieghe del
soprabito ... e che certo il Direttore aveva veduto. Ed ora bisognava ben salire: pensate con
quale tremarella! e passargli davanti ... Ma, nel punto critico, il direttore si volge a un tratto e
contempla un quadro che è sulla parete, dando le spalle all'allievo confuso ... che se la svignò
rapidissimamente.
Ma ecco, sto scendendo a particolari; e non é questo il momento. Ma se le pagine di
“Risonanze” vorranno (ripeto l'invito) aprirsi agli “episodi” che gli ex-allievi non
mancheranno di rievocare, dinanzi agli occhi nostri tornerà a rivivere de minimis istis la figura
del direttore buono, tanto buono!
I funerali di P. Piccardo
In Roma
Scriveva l’ “Osservatore Romano” il 7 novembre:
“Una solenne e commovente manifestazione di compianto sono riusciti i funerali in
suffragio del P. Piccardo, Superiore Generale dei Figli di S. Maria Immacolata.
La triplice cassa contenente la salma é stata trasportata a braccia dalla Casa Generalizia di
Via del Mascherone sino alla Chiesa Parrocchiale di S. Caterina della Rota.
Il corteo, preceduto dai PP. Cappuccini e dal Clero della Parrocchia. con a capo il Parroco
e seguito dai membri della Congregazione dal P. Piccardo, da molti sacerdoti del Mascherone,
dalle Piccole Suore della Sacra Famiglia e da numerosi Prelati e personalità, anche in
rappresentanza di fuori Roma.
Il P. Minetti, Vicario Generale e Rettore dell' Istituto di S. M. Immacolata ha celebrato la
Messa di “requiem”, assistito all'altare dai membri della Congregazione e dagli alunni del
Pontificio Seminario Lombardo. Egli stesso infine ha impartito l'assoluzione.
Dai buoni e veramente bravi cantori della Schola cantorum di Musica Sacra é stata eseguita
scelta musica del maestro Perosi, sotto la direzione del giovane maestro Curatola.
Alla funebre cerimonia sono intervenuti. l'Ill.mo e Rev.mo Mons. Giuseppe Palica Vice
Gerente di Roma, l'Abate Ferretti dei Benedettini, Mons. Pacini in rappresentanza di Mons.
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Pellegrinetti Nunzio Apostolico di Belgrado, Mons. Boer in rappresentanza di Mons.
Francesco Pascucci Segretario al Vicariato di Roma, Mons. Baranzini, rettore del Seminario
Lombardo con gli alunni, Mons. Agostini in rappresentanza di Mons. La Puma Segretario
della S. Congr. dei Religiosi con Mons. Sposetti e Saini della stessa S. Congr., Mons. Zerba
della Congr. dei Sacramenti, Mons. Farolfi della Congreg. del Concilio, Mons. Negrini della
Congr. degli studi e dei Seminari, piú ancora i Monsignori Conte, D'Agata, Tartaglia,
Silvestri, Ercoli e molti altri. Notavasi pure Mons. Refice, maestro della Cappella di musica
in S. Maria Maggiore, il Fratel Samuele, rettore della Casa dei Cento Preti, Mons. Ferri ed il
comm. Sconi in rappresentanza dell'Arciconfraternita dei Genovesi con insieme uno stuolo
di Signori e Signore della medesima città. Vi erano poi il cav. Berardi della Segreteria di
Stato ed il cav. Trifogli dell'Elemosineria Apostolica.
Dei secolari notammo; il Comm. Avv. Corsanego, Presidente Generale della G. C. I., il
prof. Comm. D' Agata, direttore della Clinica Chirurgica nella R. Università di Messina, il
cav. prof. Ancarani, il signor Miglia e tanti altri di cui ci sfugge il nome.
Vi era poi una larga rappresentanza dei Padri Scolopi e dei Padri Somaschi di S. Girolamo
della Carità con a capo P. Muzzitelli proc. gen. dei medesimi; piú una rappresentanza dei
Minori Conventuali con il P. Ignudi, piú ancora Padri Cappuccini e di altri Ordini Religiosi.
Cosí pure rappresentanze di Suore ed Istituti femminili come delle Dorotee e delle Figlie dei
SS. CC. Istituto Ravasco di Genova, cosí pure vi era una rappresentanza dell'Associazione
ex allievi “Don Piccardo” in persona del sig. Cavanna.
Terminata la cerimonia la salma é stata lasciata in Chiesa vegliata amorosamente dai Figli
di S. M. Immacolata in attesa di essere trasportata oggi nelle ore pomeridiane alla stazione di
Roma per essere trasportata a Genova dove la accompagneranno le benedizioni dei buoni, che
unendosi ai suoi concittadini tributeranno l'ultimo e reverente saluto al buon Padre c grande
benefattore.
***
Nella Chiesa dei Genovesi in Roma, per cura dell'Arciconfraternita, ebbero luogo giovedí 3
dicembre altri solenni funerali con intervento di numerose personalità ecclesiastiche e del
laicato.
L' elogio funebre venne recitato da Mons. Giacomo Ghio, Arcivescovo d' Urbino.
In Genova
Nella Chiesa Parrocchiale del S. Cuore e S. Giacomo, in Carignano, si fecero i funerali
presente cadavere sabato 8 novembre. Ci é impossibile notar qui le innumerevoli
rappresentanze ed i presenti al funerale di un Sacerdote tanto noto ed amato in Genova nostra.
Diremo soltanto che la vasta chiesa era stipata e benché numerossimi sacerdoti non abbiano
potuto trattenersi fino al termine della funzione, pure circa duecento sacerdoti si allinearono in
corteo e seguirono la cara salma dopo il sacro rito.
Celebrò il P. Mlinetti, erano presenti Mons. G. M. De Amicis ed il Vescovo d'Albenga
Mons. Angelo Cambiaso, che prima delle esequie tessé l'elogio funebre. La salma venne
accompagnata e tumulata a Staglieno, in attesa di essere poi trasportata al Santuario
dell'Acquasanta, dove il P. Piccardo aveva manifestato desiderio di essere .seppellito
***
I solenni funerali d trigesima vennero fissati in Genova il venerdí 11 dicembre, nella
Chiesa di S. Ambrogio, tessendo l'elogio funebre Mons. Gerolamo Cardinale, vescovo di
Verona.
I tre vescovi che furono allievi dei Figli di Maria sono appunto Mons. G. Gllio, Mons. A.
Cambiaso e Mons. G. Cardinale.
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I funerali di trigesima celebrati in S. Ambrogio furono una rinnovazione anche in piú larga
misura delle manifestazioni di cordoglio e di venerazione già avutasi nel giorno 7 novembre
ai funerali nella Chiesa del S. Cuore in Carignano.
Impossibile segnalare tutti gli intervenuti. Citeremo oltre i due Ecc.mi Vescovi Mons. De
Ainicia e Mons. Cardinale e oltre il Vicario Generale Mons. Canessa intervenuto in nome
proprio e in rappresentanza di .Mons. Arcivescovo, il Venerando capitolo Metropolitano quasi
al completo, quasi al completo anche le altre colleggiate della città e il collegio dei Parroci
urbani, numerosissimo il clero della città e della Diocesi anche delle piú lontane parrocchie,
la rappresentanza del Seminario Arcivescovile, al completo naturalmente la Comunità della
Casa dei Figli di. Maria di Genova e i due Collegi di Rivarolo e di Pra, Comunita maschili e
femminili al completo o rappresentate, una folla di personalità cittadine e di fuori e di popolo.
Anche questa volta il Municipio di Voltri era rappresentato dal pro Sindaco.
Il parroco Don Bruzzone, nostro socio, aveva con amorevole zelo curato l'addobbo severo
e l'ordine della funzione. Celebrò il nostro socio Mons. Giacomo Moglia assistito da Padri e
chierici della Congregazione. La musica diretta dai maestri Firpo e Ferro ed eseguita da ex
allievi e seminaristi fu per scelta ed esecuzione pari alla circostanza.
Recitò con tutto l'affetto e tutta l'emozione di antico Figlio di Maria l'elogio del Padre, che
con tanta esultanza lo aveva visto ascendere alla cattedra episcopale veronese, Mons.
Cardinale. Non ci soffermiamo a un pallido sunto, speriamo che come si sta gia stampando a
Roma l'elogio là recitato da Mons. Ghio, si possa fare lo stesso qui a Genova di quel di
Mons. Cardinale. Ad entrambi ripetiamo i piú sentiti ringraziamenti e ad essi associamo
quelli a Mons. Vescovo di Albenga per quello che con pari calore ed affetto improvvisò ai
primi funerali.
Partecipazioni nel dolore
La morte del P. Piccardo ebbe larghissima eco di rimpianto. Furono Cardinali,
Arcivescovi, Vescovi, istituzioni, personalità d'ogni genere che vollero scrivere ai Padri della
Congregazione esprimendo il proprio dolore.
Primo tra tutti fu S. Em. Rev.ma il Cardinale Vicario che scriveva al P. Minetti il 6
novembre:
Mi è stato impossibile per piú motivi di venire personalmente a portare alla
Congregazione dei F. S. M. I. le mie condoglianze per la morte del loro benemerito Superiore
Generale P. Piccardo. Non ho però mancato di accompagnare con le mie povere preghiere la
malattia di Lui, di suffragarne poi l'anima ed ora di prendere parte al dolore che sentono i
membri della Congregazione per la perdita fatta. Ella voglia partecipare ai suoi Confratelli
le mie condoglianze!.
Confortiamoci con il pensiero che il buon P. Piccardo nella sua lunga vita aveva lavorato
molto per la gloria di Dio, ed il bene delle anime; ciò che ci fa sperare che egli abbia già
ricevuto in Cielo il premio delle sue buone opere. La benedico e con particolare stima ed
affetto mi raffermo
suo in G. C.
B. Card. Pompili
Giungevano intanto le condoglianze degli Em.mi Cardinali:
Il Card. Maffi, con telegramma.
Il Card. P. Tommaso Boggiani, per mezzo del suo Segretario.
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Il Card. C. Laurenti con lettera in cui dice: “Prometto suffragi per l'anima benedetta, per
affrettarle il premio eterno all'opera di santo apostolato esercitato con tanto zelo sulla terra”.
Dalle lettere degli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi stralciamo alcune frasi.
L' Arcivescovo di Genova scriveva:
“Presento a Lei e a tutta la Famiglia religiosa le mie condoglianze per la perdita del
Ven.do P. Piccardo. È mio dovere il suffragarne l'anima per quanto possiamo essere sicuri
sia già al possesso del premio meritatosi con la sua buona e laboriosa giornata. Accolga
Rev.mo Padre i miei ossequiosi saluti e mi creda dev.mo
+ C. Dalmazio Minoretti
Mons. A. Caron Arcivescovo Titolare di Calcedonia:
“Con il sentimento piú puro e piú santo presento alla cara Congregazione di S. M. I. le piú
angosciose condoglianze. Il perdere un amico per chi scrive è cosa dura; ma il perdere il
Fondatore e Padre per una Famiglia religiosa è dolore senza pari. Ci conforti il pensiero che
all'Amico e ai Figli il Lacrimato diventi patrone e sorriso di cielo”.
Monsignor Garigliano Vescovo di Biella:
“Leggo sui giornali l’annuncio tristissimo della dipartita del buon P. Generale. Mi metto
anche io tra i suoi figli in lacrime perché sento lo stesso dolore che hanno i loro cuori.
Ancora non era per tutti noi abbastanza vecchio il buon Padre e sentiamo tutta la durez.za di
questo schianto.
Voglia per me baciare la mano della Salma venerata mentre io unisco alla loro la umile
mia preghiera piú che di suffragio d’invocazione”.
Aff.mo
Giovanni Garigliano Vescovo di Biella
Nella lettera del Vescovo di Ozieri si dice :
“La sua amabile e veneranda figura, la sua cara giovialità, le sue squisite attenzioni
l'avevano reso anche per me oggetto di profonda venerazione e sentito riverente affetto”.
Il Vescovo di Foligno Mons. Corbino:
“Fra tante manifestazioni di dolore per la grave perdita del Rev.mo P. Piccardo non può
mancare la mia che in tanti anni di affettuosa relazione con lui ho conosciuto quanto tesoro
di bontà, di pietà, di carità e di santo zelo si racchiudesse in quella bell’anima. Era
veramente l'uomo di Dio a cui bastava accostarsi per sentirsi presi di venerazione e amore
come verso un Santo. La Congregazione ha perduto in Lui un vero padre, un esempio di
Sacerdote perfetto. Ma dal Cielo continuerà ad amarla e proteggerla. Lunedì sarò tra loro,
ma sarà per me un vero dolore il non trovarvi il caro Padre Piccardo anche infermo per
chiedergli la benedizione”.
Aff.mo
+ Stefano Vescovo
L’abate di San Paolo Idelfonso Schuster:
“Dunque il buon Padre Piccardo ha terminato la sua missione e ne ha conseguito il
premio da Dio! Ne sia lode al Signore ed al Suo servo fedele che ha travagliato per Lui. Ora
continui dal cielo l'opera e ai Figli di Maria sia ora il Celeste Patrono dopo esserne stato il
Fondatore”.
L’Arcivescovo di Rossano Calabro::
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“La morte di P Piccardo mi straziato l’animo. Mi pareva che il Signore dovesse
conservarlo molti anni ancora per l’esempio di tutti.
Fin dalla prima volta che ho avuto la fortuna di conoscerlo l’ho amato fino alla
venerazione. Ne ho suffragato e ne suffragherò ancora l’anima buona”.
+ Giovanni Scotti Arcivescovo
S. E. il Card. Mistrangelo, Arcivescovo di Firenze :
“Seppi della morte di P. Piccardo e ho pregato per Lii e per l' Istituto. Indisposto per un
attacco di artrite da un mese e mezzo, non potei farmi vivo allora; porgo ora condoglianze e
faccio voti perché la Congregazione prosperi benedetta dal Cielo ...”
Mons. Guido Conforti, Arcivescovo di Parma:
“Tra i vari ricordi della mia vita resterà sempre quello di avere conosciuto personalmente
ed avvicinato il santo sacerdote a cui chiesi consiglio piú di una volta intorno a cose delicate
ed importanti che molto mi stavano a cuore, ammirando la saggezza e la pietà singolare
dell'uomo di Dio. Prendo viva parte al lutto della Congregazione per l’incomparabile
perdita”.
S. Ecc. Mons. Romita.i, Vescovo di Boriano e Campobasso:
“Ho appreso la dolorosa notizia da qualche giorno. L'lio pianto come un padre mio e gli
ho celebrato subito una Messa. Non posso dimenticare il bene che mi ha voluto contro ogni
mio merito e l'assistenza speciale che egli mi usò allorché, dopo il pellegrinaggio, io mi
ammalai in cotesta venerabile Casa. Fin da quando ebbi l’onore e la fortuna di conoscerlo mi
convinsi d'aver conosciuto un santo ... sia per loro valido protettore di lussú ... Benedica e
prosperi la loro Congregazione che fa tanto bene al povero clero che in loro trova tanta.
carità....”
Mons. Luigi Martinelli, Vicario generale di Subiaco:
“ … in P. Piccardo io avevo trovato il vero padre ed amico...”
Mons. A. Levame, Uditore della Nunziatura in Argentina:
“L'anima eletta richiamata da Dio al premio della .vita eterna e che tante memorie di virtú
e fecondità di santo esempio lascia a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di avvicinarlo,
veglia ora amoroso dal cielo sull'opera di apostolato alla quale dedicò ogni momento della
sua vita terrena ... Memore della bontà che il P. Piccardo e con lui i Figli di S. M. S. mi
hanno tante volte dimostrato, l’ultimo forse a causa dello spazio e del tempo, a nessuno
secondo nella gratitudine e simpatia vengo a unirmi al consenso di preci e di affetto con tutto
il mio cuore”.
Mons. Carlo Maria De la Torre Vescovo di Rio Bamba (Ecuador) ex alunno dell' Istituto di
Roma:
“La Congregazione ha perduto il padre ... unisco anche io le mie alle lagrime dei Figli.
Non dimenticherò l’amato defunto nelle mie orazioni”.
L’Ill.mo Conte Lombardo Ernesto, legato da moltissimi anni da. cordialissima amicizia
con il compianto Superiore, che voleva spesso con sé a ritemprarsi la salute nella sua
villeggiatura di Varallo Sesia e benefattore insigne dei Figli di Maria telegrafava:
“Spiacentissimo che imprevisto e improrogabile impegno impediscemi trovarmi Genova
per unirmi alla schiera degli ammiratori e beneficati nell’accompagnare la salma del nostro
santo che piangiamo invio ai suoi addolorati figli sincere condoglianze”.
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E l’Ill.mo Comm. Carla rettore del Collegio Nazionale che con tanto gentile animo lo
aveva festeggiato nella rievocazione degli ex allievi del Collegio stesso e nell'occasione della
festa del suo ottantesimo anno:
“La famiglia del Collegio Nazionale si associa commossa all’unanime compianto per la
morte del suo illustre allievo …”
e mandando un’offerte per le onoranze funebri aggiungeva:
“Con la piú fervida e piú devota adesione del Convitto Nazionale di Genova alle onoranze
all’illustre suo alunno P. Antonio Piccardo di venerata memoria”.
In memoriam
Nel nostro numero speciale, omaggio filiale la Padre partito per la migliore vita, sono stati
illustrati,.con la multiforme, intelligente e feconda opera sua tanti lati della sua personalità,
tante caratteristiche sue e tante sue benemerenze … non tutte. Confidiamo che le varie lacune
che vanno perdonate per la fretta che si imponeva e insieme per la tanta mole di lavoro e di
bene da lui attuato saranno via via colmate dalle nostre “Risonanze” con il concorso di
quanti vorranno prestarsi volenterosi, in.attesa che il materiale accumulato e riordinato possa
preparare gli elementi per stenderne la vita. Un simile concorso noi speriamo e domandiamo.
Intanto crediamo doveroso tessere, sia pure in brevi tratti il ricordo degli. ultimi suoi
giorni, mentre già nel numero-omaggio si riportò la cronaca dei funerali di Roma e dei
funerali di Genova e si accennò a quelli che si preparavano di trigesima.
Per rivivere nella sua prediletta Lugnano fra i piccoli aspiranti della Congregazione le ore
piú belle dei primi anni dell'opera sua, per l'annuale festa di S. Francesco aveva con ardimento
giovanile affrontato il viaggio; aveva passato là la settimana di metà settembre; tornato a
Roma aveva avuto la compiacenza di ospitare S. Em. il Card. Maffi, compiacenza che parve
ringiovanirlo.
Ma il mattino del 24 settembre stesso, P. Minetti entrando nella sua camera lo trovava
bocconi a terra. Messo a letto fu trovato con forte febbre e in grande depressione intellettiva.
Si apprestarono le piú urgenti cure e riceveva il S. Viatico.
Fu telegrafata la notizia alle Case della Congregazione specie quando in giornata il male
accennò ad aggravarsi e a Roma e in tutte le Case si fecero preghiere speciali.
L' interessamento per la preziosa esistenza fu generale e il S. Padre inviò l'Apostolica
benedizione. Molte personalità del clero e del laicato di Roma furono e reiteratamente, a
visitarlo.
Il male alle varie alternative gli lasciava saltuariamente qualche lucido intervallo, specie
nei momenti di visite delle persone piú care.
In uno di questi fortunati momenti il 26, con piena conoscenza poté confessarsi un'ultima
volta e ricevere nuovamente con trasporto il S. Viatico, dopo il quale esclamò: “Sono tanto
contento d'aver fatto la S. Comunione”. Il giorno dopo gli fu somministrata, rispondendo
anche lui alle preghiere, l'Estrema Unzione.
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A Mons. Baranzini che gli diceva: “P. Piccardo, confidi nell' Immacolata alla quale ha
voluto tanto bene” rispondeva con voce alta e risoluta: “Sempre!” A P. Bruzzone che si
accomiatava da lui ripeteva: “Lavorate, fate, fate, fate del bene”.
Il giorno l approfittando di un momento di lucido intervallo il P. Profumo. S.J. professore
del Pontificio Seminario di Anagni, uno dei primi alunni dai. Figli di Maria gli chiede una
benedizione speciale e il Superiore con largo gesto lo benedice e in lui benedice tutta la
falange dei suoi alunni e figli sparsi per ogni dove.
Nella notte dal 2 al 3 entra in agonia. P. Minetti gli rinnova l'assoluzione, si recitano le
ultime preghiere e alle ore 1.40 il Veneratissimo Superiore serenamente spira nel bacio del
Signore.
Ebbe le piú amorevoli e le piú filiali cure dalla Famiglia religiosa di Roma, dal
nipote D. Antonio accorso alle prime notizie del male, dalle Piccole Suore della Sacra
Famiglia e dal Dottore curante Comm. Cesare Riatti.
Festa sociale
É stabilita al Collegio di Rivarolo per il 21 aprile prossimo. Tale data era già stata
suggerita nella assemblea dell'Acquasanta e realmente è quella che può offrire la possibilità di
trovarci nel maggior numero, sacerdoti e secolari. I sacerdoti non hanno obbligazioni festive, i
secolari hanno tutti o quasi giornata libera per la commemorazione della natività di Roma.
Attendiamo quindi un diluvio di aderenti non solo, ma di interventi ...
La riunione dei soci, ed eventualmente anche di simpatizzanti, offrirà occasione di
suffragare con una funzione religiosa tutti i nostri superiori, soci e compagni defunti e di
commemorare in modo speciale il compianto Superiore generale.
Si raccomanda quindi di intervenire in massa e di rimandare intanto con sollecitudine la
unita cartolina compilata.
ORARIO
Ore 10,30 - S. Messa di suffragio per Superiori e compagni defunti.
» 11
- Assemblea generale soci.
» 12,30 - Pranzo Sociale (Quota Lire 12).
» 16,30 - Commemorazione dell'amato e compianto Superiore Generale tenuta dal socio
Prof. Giulio Marchi.
Ai benefattori
dei Figli di Maria
Il nostro Rev.mo P. Antonio Minetti assumendo la carica di Vicario Generale, diramava ai
benefattori la circolare che crediamo bene riprodurre anche per coloro degli ex-allievi a cui
non fosse pervenuta.
Ill..mo Signore,
la S. V. avrà certo inteso della dolorosissima perdita del nostro venerando e amatissimo
Superiore Generale, il P. Antonio Piccardo e ne avrà suffragata l'anima benedetta con quella
generosità, con che fu a lui largo in vita di incoraggiamenti o di aiuti.
A noi, che ha lasciati a continuare quaggiú l'opera sua, egli ha affidato morendo, il dolce
incarico. di esprimere alla S. V. e a tutti quanti hanno beneficato l'opera sua il sentimento
della piú profonda riconoscenza, sentimento che si è fatto certo piú vivo ora che egli si trova
piú vicino a Dio; ed insieme la preghiera che la bontà, della S. V., per quell'amorevolezza che
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gli ha dimostrato in vita, voglia, anche lui morto, continuare verso dei suoi figli la medesima
benevolenza. Fidando pertanto, come il nostro buon Padre Generale, nella divina Provvidenza
e confortati dal pensiero che la S. V. e tutti quanti ci furono fin qui generosi benefattori, non
vorranno venirci meno nell'avvenire, proseguiamo con rinnovata alacrità l'opera santa a cui
egli i ha. dato vita ed impulso, promettendo fin d'ora da parte nostra e da parte dei nostri
giovani fedele corrispondenza di gratitudine e di preghiere.
A nome della Congregazione tutta, ossequiandola
Roma 21 novembre 1925
Dev.mo Servo
P. ANTONIO MINET'I'I, Vic. Gen.
Il suo ritorno
alla Casa Madre
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Nella traslazione della salma
del Padre Antonio Piccardo
11 novembre 1937
P. GIACOMO CHIESA
Tip. G. Mascarello
Via Colombo, 21 Genova
Per il ritorno del Padre alla Casa che fu sua non poteva restar muto il labbro dei Figli;
proruppe il saluto commosso e riverente salí dal cuore la preghiera.
E nell’ora a lungo sospirata, dal cuore di tutti fu un rampollare di dolci ricordi, un
effondersi gaudioso di tenerezze, un ringagliardire di propositi: perché il Padre, benché muto,
ammoniva ancora e confortava al lavoro.
Tra i figli parlò uno per tutti, rievocando con gioia, sperando con fiducia, proponendo con
sincerità grande.
Queste brevi pagine vogliono essere l’eco delle voci di quel giorno auspicato, il ricordo di
quell’ora intima, soave cosí come la godette il cuore.
Dinanzi ad una tomba
Non di lutto e di pianto è per noi questo giorno benché ci incontriamo dinanzi ad una
tomba. A parte che noi ravvisiamo nella tomba il principio di una vita novella che si perpetua
in Dio e i nostri morti non sono estinti, ma, solo ad un cenno divino hanno cambiato dimora,
vita mutatur, non tollitur, noi qui ci raccogliamo per un caro doveroso tributo d’amore
riconoscente. C’intratteniamo a parlare d’un Padre la cui memoria è in noi tutti per la fede e
per un affetto inestinguibile sempre viva e perenne. Compita secondo le dottrine e lo spirito
della Chiesa la sacra ufficiatura, che non poteva non esser funebre, noi ora amiamo daccanto
alla novella tomba parlare di vita: della sua vita, dell’opera sua che vive fresca e rigogliosa e
ricca di tante promesse di sempre piú gagliarda vitalità. Noi oggi non andiamo dalla casa al
cimitero, ma dal cimitero veniamo alla Casa.
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Ed egli torna “il Padre” torna in mezzo ai figli suoi in questa Casa sua che fu per oltre
mezzo secolo il campo del suo nobile indefesso amoroso lavoro; in questa Casa ove non solo i
cuori. degli antichi e dei nuovi figli parlano ancora e sempre di lui, ma le pareti stesse, le
scuole, la chiesa, i mille ricordi cantano la sua memoria. Sí, perché se egli non è piú tra noi
visibilmente per l’intervento di quel fatto che tutti chiamiamo la morte, egli è però sempre tra
noi, con noi, per quel principio ricordato dai Libri Santi e ripetuto nella sacra liturgia: in
memoria aeterna erit justus, la memoria del giusto non muore; non solo, ma il suo ricordo
non è muto né semplicemente ammirativo, ma è accompagnato dalle incessanti benedizioni di
cento, di mille beneficati, cujus memoria in benedictione est! L’affetto e la venerazione che ci
legano al dilettissimo Padre hanno una loro ragione tutta superiore nella carità che Dio stesso
si compiace di accendere nelle anime, e che dà codest’affetto e a codesta venerazione
carattere di perennità. Deo enim vivunt omnia, come scriveva San Girolamo, et quidquid
revertitur ad Dominum, in familiae numero computatur.
Non dunque commemorazione funebre la nostra e nemmeno sterile parata fatta di vuote
cerimonie o di fatue finzioni ma tributo sincero e cordiale di omaggio riverente di filiale
gratitudine a chi passò quaggiú e visse la sua lunga giornata amando, illuminando,
compatendo e, ad imitazione del divino Maestro, facendo sempre e in svariate forme, del
bene: pertransiit benefaciendo.
Primi albori
Sono circa settant’anni. Questa stessa casa che oggi ci aduna, benché allora in piú ristrette
dimensioni, si apriva ad accogliere un piccolo drappello di giovani guidati da un uomo
dall’aspetto amabile e dal tratto signorile. Era tradizione che tempo addietro una nobile
famiglia del nostro patriziato attratta dalla amenità del sito in questa incantevole zona di
Carignano, allora assai piú di oggi suggestiva ed attraente per una vergine bellezza di natura,
l’avesse scelta a suo soggiorno per la villeggiatura. Le tracce di uno scudo marmoreo,
scalpellato dall’insana furia dei napoleonici, ne ha tramandata la memoria. Era fama pure che
qui, passata la casa ad altre mani, vi si dessero convegno in un tempo non troppo remoto certi
signori che, sotto l’innocente parvenza di uno svago amicale, vi passassero spesso le serate
dando concerti di chitarra e di mandole. Capo di quella banda di chitarristi, era Giuseppe
Mazzini, il quale promovendo quegli incontri, andava qui come piú altrove, scaldando con la
sua infuocata parola gli animi dei cospiratori.
Ma passarono i signori e passarono i chitarristi cospiratori ... e per uno di quelli che noi
volentieri chiameremmo scherzi della Provvidenza, la palazzina diveniva un asilo di pace, di
studio e di preghiera. Guidatovi dallo spirito di Dio ne prendeva pieno e definitivo possesso
quell’uomo dall’aspetto amabile cui accennavo dianzi, per allogarvi quel drappello di giovani
che la Provvidenza affidava al suo cuore. Quell’uomo era il giovine sacerdote Antonio
Piccardo e s’egli non si fregiava dello stemma nobiliare, recava però seco un bel patrimonio
di beni elargiti da Dio alla sua famiglia e, meglio ancora che questo, recava un patrimonio
incomparabilmente piú grande di ricchezze spirituali e morali. Un intelletto sagace addestrato
ai buoni studi nel liceo, all’Università e nella scuola di filosofia e di teologia; un animo retto e
buono, tale da attirarsi un’irresistibile simpatia e una spontanea benevolenza da chiunque
avesse a fare con lui; uno spirito equilibrato e un’assennatezza naturale che gli conferivano un
che di venerabilità, un cuore sensibilissimo a tutto ciò che possa indicare sofferenza o disagio,
segnatamente nei piccoli e nei poveri, un’anima sacerdotale ardente di zelo per fare a
qualunque modo del bene e poi un grande fervido desiderio di lavorare per un compito
altissimo per divina disposizione affidatogli dai suoi Superiori maggiori: favorire, svolgere,
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ravvalorare la santa vocazione nell’animo della gioventú specialmente povera, che man mano
il Signore avrebbe affidato al suo cuore.
Ecco i tesori, i requisiti e le disposizioni con le quali il giovine sacerdote che contava
appena 24 anni si accinse all’opera sua.
Quel drappello di giovani venuti con lui? Nemmeno essi possono fregiarsi del blasone
nobiliare e diversamente dal Piccardo, non hanno quelle che a comune giudizio sono
considerate ricchezze: sono, anzi, piuttosto sforniti di mezzi di fortuna. Recano però in cuore
tanta tanta bontà e un gran desiderio di farsi sempre piú buoni ... perché Dio s’è fatto loro
sentire nell’intimo e ha fatto loro comprendere ch’Egli li vuole suoi, tutti suoi nel servizio
dell’Altare, ove, solo, si accumulano, si godono e si dispensano i tesori del cielo e avendo
Iddio messo sui loro passi quel caro sacerdote, oh quanta speranza sentono fervere nei loro
cuori giovanili! Oh essi saranno un giorno Sacerdoti ... !
Il caro il dolce ideale arride radioso allo sguardo e la speranza canta gioiosa il suo inno nei
cuori, lo studio e il lavoro sono una gioia, la preghiera è un balsamo che conforta ogni ora piú,
e la gaia e bella giovinezza procede d’incanto.
Ma quando e come venne il Piccardo a questa Casa? Legittima domanda che merita una
risposta, e ci porta spontaneamente nel campo di quella che è omai storia, e, sia detto senza
superbia, gloriosa storia della Chiesa genovese, proprio al centro del secolo XIX.
Gli emissari del male
Eccoci dunque alla metà del secolo passato e per un complesso e un groviglio di cause che
qui dobbiamo necessariamente, per quanto rapidamente accennare, in Italia, un po’
dappertutto, ed in Liguria, ove è passato nefasto non è molto anche il colera, è una
desolazione nel campo religioso e nel campo delle idee. Se le scintille rivoluzionarie
disseminate per tutta l’Italia dal giacobinismo francese sono state dal dispotismo napoleonico
e dalla restaurazione della Santa alleanza represse e soffocate, non sono però spente; cova
sotto la cenere il fuoco, che s’incaricano di mantenerlo vivo nell’ombra, le società segrete.
Sotto colore di voler fare l’Italia una, libera e indipendente dall’Austria e retta a forme
repubblicane, si cospira a rovesciare gli antichi governi, dipingendoli come odiosi e tirannici e
si cerca intanto di menomare l’influenza della Chiesa, combattendola come centro e scuola di
superstizione, nemica di progresso e di libertà, sostegno dell’odiata tirannide.
Gli strascichi poi e le ripercussioni delle successive guerre del ’48, del ’59, del ’66, i vari
intermittenti sommovimenti politici, le ingannevoli e perniciose teorie del Gioberti, i facili
entusiasmi suscitati dal Mazzini e piú che tutto, la guerra, dove piú guardinga, dove piú
sfacciata, della massoneria contro il clero e tutto quanto sa di religioso, hanno creato
un’atmosfera di diffidenza intorno al Sacerdote e s’è venuto determinando tale uno stato di
cose da produrre un disorientamento degli spiriti. Sono i giorni dell’apoteosi del “Primato
civile e morale degli italiani”, dei “Prolegomeni”, del “Gesuita moderno” e dell’apostata
settario loro autore, incensato come un nume. Che guazzabuglio di idee! Che fermento di
passioni! Che ferocia di propositi! È la congiura armata del sofisma, del liberalismo, della
calunnia e della violenza contro Roma papale. Sono i giorni in cui la Carboneria mette in
giuoco le sue arti e la Giovine Italia le sue congiure; è l’ora dell’infausta disfatta di Novara; è
l’ora dell’assassinio di Pellegrino Rossi primo ministro di Pio IX; è l’ora della forzata fuga del
Papa da Roma e del suo rifugio a Gaeta. In Genova nostra è l’ora della cacciata dei Gesuiti a
furia di popolo da Sant’Ambrogio, l’ora di Don Sturla cercato a morte insieme con il Priore
Frassinetti e tutti i Gesuiti e gesuitanti.
Quadro fosco invero e avvenimenti tutt’altro che consolanti! Ma, mettendo al bando ogni
considerazione che non si addica qui al mio compito e restringendoci alla constatazione degli
eventi nel puro campo religioso, troviamo che dappertutto in Italia sono divenute rarissime le
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vocazioni sacerdotali. Fenomeno questo quanto mai impressionante, i1 quale se può sfuggire
allo sguardo di spiriti superficiali o noncuranti, non può certo sfuggire a chi sentendosi figlio
devoto della Chiesa, non solo condivide i dolori della Madre, ma cerca di recare il piú fervido
contributo per sollevarla; si cruccia per il danno immenso che ne viene alle anime. Non
mancano certo i buoni che si rammaricano d’un tale stato di cose; e non mancano nemmeno i
soliti sterili piagnoni che senza muovere un dito, vanno deplorando: “Che tempi, mio Dio!
Che tempi!”
Ma a Genova se si era verificata, segnatamente nel periodo del massimo furore
giobertiano, qualche defezione e s’era giunti a tale infatuazione a tale ubriacatura da sedurre
persino alcuni professori e prefetti del Seminario, grazie a Dioci furono i forti di caratteri, le
tempre adamantine di ecclesiastici nutriti di sana e profonda dottrina, illibati come nella fede
cosí nella vita sacerdotale.
Gli uomini di Dio
Questa è storia della Chiesa genovese e ne sono attori una pleiade di Sacerdoti e di
Vescovi, veri spiriti magni, il cui ricordo ci esalta e ci commuove. Si tratta di uomini insigni,
eccellenti letterati, esimi cultori di studi biblici e profani, maestri appassionati, apostoli
instancabili, geni poliedrici. E pensare che proprio contro questi eminenti personaggi, su
queste perle luminose del Clero genovese nel parossismo delle politiche passioni si volle
gettare a piene mani il fango!
Il Ministro della Provvidenza
Ma voi mi permetterete, miei buoni fratelli ed amici, di completarvi il quadro poiché
manca in esso una figura di prim’ordine il Priore di S. Sabina Giuseppe Frassinetti; quel
sacerdote che Pio IX additava come “vir spectatae virtutis et doctrinae”. Egli con quello
spirito vigilante ed alacre che lo spinge a svariatissime opere di zelo, osserva con intima pena
il persistente diradarsi delle file del clero e senza perdersi in vane querimonie sui tempi,
detestando quel cullarsi in una comoda e inoperosa fiducia che egli chiama “ascetismo
dell’infingardaggine”, pensa e scrive: “Inutilmente noi staremo a piangere sulla frase -che
tempi, che tempi!- se non porteremo il nostro valido contributo alla restaurazione, agire
bisogna; i tempi, del resto, li facciamo un po’ noi”. A convincere e a muovere i neghittosi, ad
incitare i buoni al soccorso, riporta un dato statistico. Nel decennio che corre dal 1856 al 1865
nell’Archidiocesi di Genova risulta essere stati i sacerdoti morti 247 e gli ordinati appena 85,
una media di 9 ordinati e di 25 morti per anno.
Ed eccolo pronto all’opera. La grande idea che gli è rampollata dal suo cuore di Sacerdote
è certamente una ispirazione del cielo: la Madonna che è la sua consigliera e la sua sicura
tutela lo aiuterà.
Per venire al pratico, già fin dal 1861 l’instancabile e industrioso Priore che ha già dato alle
stampe tante opere di varia mole, di varia indole, tutte tendenti a provvedere alle esigenze
delle varie categorie di fedeli e ad aiutar il Clero ha pubblicato il suo manuale del Parroco
novello e un poderoso trattato di morale, ha pensato anche ad istituire una Pia Unione dei
“Figli di Maria” o Religiosi al secolo. Prepara per essi un sapiente Regolamento. Vi è una
gerarchia costituita, vi sono i Novizi e i Professi e sono stabilite le adunanze. Il programma è
semplice e preciso: risoluzione di farsi santi, proposito di castità perfetta, zelo per la salvezza
delle anime. Essi non avranno una veste che li contraddistingua ma vivendo in mezzo al
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mondo nell’esercizio dei loro mestieri o professioni, dovranno attendere alla pratica delle
virtú proprie della vita religiosa.
Promettente aurora
Ed eccoci a un primo episodio. Il 16 novembre 1861 si dà principio al pio Sodalizio
all’altare dell’Immacolata Concezione nella Chiesa di S. Sabina. Il Priore impone la medaglia
di aspiranti ad alcuni giovani, è fra essi quel Pietro Olivari che tanto viva parte dovrà poi
avere nello svolgimento delle cose dell’Istituto. Passano due anni e dinanzi alla stessa
immagine i giovani sono ammessi tutti alla Professione. Cantano il Veni Creator, il Tota
pulcra e l’Ave maris stella, il Priore chiama ad uno ad uno quei cari giovani, ai quali raggianti
di contentezza, presenta un giglio che essi prendono e depongono sull’Altare di Maria. Indi
leggono la formula della loro Professione. Sono presenti alla bella cerimonia il prof. Don
Marco Oliva che tiene ai nuovi Professi un discorso di felicitazione e di esortazione e Don
Luigi Sturla che viene eletto Superiore.
Minutaglie, forse queste, lontane dal tema del nostro discorso? Tutt’altro, miei buoni
amici! Elementi necessari ad illustrare quella che sarà poi l’opera del P. Piccardo.
Veniamo a un secondo episodio. Siamo al 1866, al 19 gennaio, la seconda domenica dopo
l’Epifania: giorno solenne per i genovesi, poiché è sacro alle glorie di N. Signora della
Provvidenza. Tre giovani salgono di buon mattino al Santuario della Madonnetta per le loro
devozioni. Sono tre “Figli di Maria” che dopo avere implorata la benedizione della Madre
Celeste, si raccolgono da quel giorno a fare vita comune in alcune stanzette attigue alla
canonica di S. Sabina. Pietro Olivari è a capo della piccola comunità e il Frassinetti non ha
che a rallegrarsi nel visitare e vigilare quel piccolo cenacolo ove alla scuola dell’Olivari
riscontra cosí bene trasfuso il suo spirito. Ma ecco un bell’incontro che sotto l’apparenza del
fortuito, si vedrà poi che è una disposizione del Cielo. Un ragazzetto, certo Nicolò Ferretti,
che frequenta la sacristia di S. Sabina, esprime un giorno il desiderio di volersi far prete. Il
suo portamento modesto e la sua assiduità alla Chiesa sembrano dare buon affidamento ma
egli è poverissimo. Come fare? La carità è pronta e generosa: l’Olivari, o sia un moto del suo
buon cuore o sia una ispirazione dall’alto, dice senz’altro: “Lo prenderemo noi e lo
manterremo con i nostri risparmi”. Il Frassinetti approva e ringrazia il Signore. Il nuovo
venuto, egli pensa, ed altri che venissero, potranno allogarsi presso questi “Figli di Maria”
come fratelli minori; i maggiori potranno assisterli, essi saranno in grado di, applicarsi agli
studi e incamminarsi alla carriera ecclesiastica. Per tal modo, egli dice in tono di dolce
presagio, si avvierà un’opera che benedetta da Dio darà felicissimi risultati per l bene della
Chiesa. Detto fatto, il ragazzo è accolto con gioia: è il primo alunno della Pia Casa dei Figli di
Maria! A lui ne segue ben tosto un secondo, poi un terzo e si arriva a sei. Il Frassinetti, felice
insieme e trepidante, eccolo aggirarsi nel suo minuscolo Seminario, con quello sguardo
sagace che legge in fondo ai cuori, con quella bontà che incoraggia, con quella prudenza che
guida e rassicura. Oh se avesse tempo di allargare e consolidare l’opera sua! Che dolce che
caro sogno al suo cuore di apostolo! Quante speranze vede sorridergli allo spirito e quali
propositi di nuovo e piú vasto lavoro per l’avvenire! Intanto la famigliola aumenta, occorre
pensare ad un asilo piú conveniente. L’Olivari, di concerto con il Frassinetti, dopo una breve
sosta presso l’Istituto degli Artigianelli, appena aperto da quell’uomo di Dio che è Don
Montebruno, trasporta le tende in Via Lata, ove il pio Fondatore si reca in determinati giorni a
portare la sua parola ed il profumo delle sue virtú a quei giovinetti, a esortarli all’amore di
Gesú in Sacramento, a spronarli alla bella pratica della Comunione quotidiana, a incitarli
sempre piú alla devozione alla Madonna.
68
A chi domanda al Frassinetti notizie dei suoi “Figli di Maria”, egli risponde: “Sono
contento, si regolano bene ma bisogna vigilare attentamente che il diavolo non ci metta la
coda”. Ma se la coda del diavolo non può entrare tra i “Figli di, Maria”, ecco giungere però
inattesa e inesorabile la morte, che spezza l’esistenza del santo Priore.
Ora triste
Quale schianto per la piccola famiglia dei Figli di Maria! Al dolore ineffabile dei Figli
s’aggiunge la desolante prospettiva di vedere in un istante crollare dalle basi la nascente
Istituzione. A mitigare il cordoglio, a risollevare le speranze, ecco per il momento l’intervento
cordiale di due egregi Sacerdoti che l’opera del pio Priore hanno seguito con tanta simpatia e
con amore di fratelli: il Magnasco e l’Alimonda. Vi si aggiunge, naturalmente, il figlio
maggiore Pietro Olivari e un piissimo Chierico, il suddiacono Giambattista Semino. Ma ad
impedire che illanguidisca e muoia uno che ha fame, non basta porgergli un pezzo di pane o
dargli magari un buon pranzo una volta; come un’accurata meditazione o un magnifico
discorso non bastano a salvare, ad assicurare e svolgere una vocazione.
Il sorriso del Cielo
La Provvidenza interviene visibilmente. Non vi è in Seminario quel bravo Diacono che con
tanta buona maniera ed altrettanto senno dirige la camerata dei piccoli? Quegli, pensa
l’Alimonda, può essere la nuova guida e il sostegno della piccola famiglia mariana. È buono,
è pio, è saggio, ricco e generoso e mostra un gran desiderio di lavorare, particolarmente in
mezzo alla gioventú. Chi migliore di lui si potrebbe desiderare? E ne fa senz’altro proposta
all’Arcivescovo Charvaz, che volentieri approva e benedice. Sicché ciò che il Semino
accortamente aveva già per conto suo proposto al Priore, che se n’era grandemente rallegrato,
cioè che il Piccardo appena prete potesse essere chiamato a dirigere la piccola Comunità,
avviene ora per l’intervento dell’Autorità Superiore. Ecco il primo anello di quella catena
d’oro che idealmente e moralmente congiunge e fonde l’opera del Frassinetti con quella del
Piccardo.
Riassumendo: il 16 novembre 1861 il Frassinetti istituisce in S. Sabina il sodalizio dei
Religiosi al secolo, il 19 gennaio 1866 fonda l’opera dei “Figli di Maria”, il 2 gennaio 1868
muore. Il 6 giugno dello stesso anno il Piccardo è ordinato Sacerdote e al successivo luglio
assume il governo del nuovo Istituto. Da questo punto la vita di Don Piccardo si
immedesimerà con quella dell’Opera dei “Figli di Maria”, vita di generosa e intera dedizione
al bene: Direttore della Pia Casa per 44 anni, cioè fino al 1902; indi Superiore Generale della
Congregazione fino alla sua morte, 3 novembre 1925.
L’erta luminosa
Chiuso il primo periodo dell’opera ideata, fondata e incamminata dal Frassinetti, un altro
se ne schiude nel quale il compito del novello Direttore non è come ognuno comprende né
facile né leggero.
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Il colore del tempo fuori e d’intorno non è mutato, tutt’altro! Ne sono prova i feroci
armeggi della setta tenebrosa, la quale, se dappertutto in Italia è in movimento e tiene deste le
idee anticlericali, anche a Genova non dorme e porta in Roma ai tristissimi avvenimenti del
settembre 1870. Don Piccardo soffre e si rammarica per gli affronti recati al Papa e alla
Chiesa. Don Piccardo è uomo di fede, guarda fidente in alto: la pace e la tranquillità
torneranno a poco a poco negli animi e spunteranno giorni migliori. Dai dolorosi avvenimenti
egli trae anzi una ragione di maggiore incitamento alla sua nobile impresa.
Egli vede sempre meglio come l’opera piú urgente nell’ora che volge è per l’appunto
quella di fomentare, di favorire, di fortificare le vocazioni nei giovinetti; informarli alla vera
vita dello spirito e preparare un nuovo Clero che educato ai grandi principi della sana dottrina
e della devozione alla Chiesa, si accenda di zelo e s’infiammi di ardore di fecondo apostolato.
Questo il compito che il Piccardo comprende essergli assegnato dalla Provvidenza e nello
slancio del suo nobile cuore, nella freschezza delle sue energie, con la genialità d’un metodo
personale tutto suo, eccolo sul campo del suo lavoro.
L’ambiente ove egli si aggira con i suoi giovanetti già lo conosciamo: è la palazzina di
Carignano. Essa per l’affluire dei candidati ha bisogno una, due e piú volte, d’essere adattata e
ingrandita. Sono ormai oltre 40 gli alunni e proprio in questa Casa giungeranno un giorno a
toccare il centinaio. Nessuna meraviglia pertanto, se lo sviluppo dell’Opera, che ha del
prodigioso, ravviva le speranze del nuovo Arcivescovo Magnasco, il quale segue con paterna
benevolenza il crescere di quella Casa provvidenziale; non s’accontenta di rallegramenti con
il bravo Direttore ma incita i benefattori ad aiutarla, scrive in proposito una nota di calda
raccomandazione e fa costruire a sue spese un’ala intera della casa.
Che si fa dunque in questi belli anni nella Casa dei “Figli di Maria”? Ecco: i giovani
entrandovi hanno subito compreso il programma: studiare, pregare e stare allegri: Servite
Domino in laetitia: è lo spirito del Regolamento che guida ed informa tutta la comunità. Sono
fiorenti in Casa tre devozioni, tre forze vive dalle quali quei cari figlioli si sentono presi e
innamorati: la devozione alla SS. Eucaristia, la devozione alla Madonna Immacolata e un
grande amore al Papa. Quanta luce, quanta forza scende ai loro giovani cuori dinanzi a quel
grazioso Altare della linda Cappella, sotto il guardo materno e la benedizione della Madonna
sorridente dall’alto della sua nicchia!
I frutti del mistico giardino, maturati in un clima cosí caldo e felice non tardano a venire.
Nel dicembre del 1875 salgono l'Altare i primi 4 novelli Sacerdoti; altri ne seguono ormai
ogni anno, segno che il terreno è ben coltivato, che il giardino è ben custodito e il solerte
giardiniere oltre ad avere buon occhio e spirito vigile, ha saputo anche provvedersi di buone
braccia d’aiuto. Alcuni alunni, infatti, arrivati al Sacerdozio, restano con il beneplacito
dell’Arcivescovo accanto al Direttore a dividere con lui le fatiche dell’educazione e
dell’istruzione dei fratelli minori. In tal modo nel 1887 la Casa può rallegrarsi d’un Corso
letterario completo e tre dei suoi Sacerdoti sono laureati in Lettere alla Regia Università di
Genova. Per lo studio della filosofia e della teologia i giovani frequentano regolarmente come
esterni le scuole del Seminario.
Poesia e vita
Qui s’io posso un momento solo cedere all’onda dei ricordi che mi tumultua nell’animo e
m’incalza e mi commuove (giacché noi allora adolescenti eravamo parte viva nelle varie feste
della Casa) devo almeno accennare come in quell’epoca che saremmo quasi tentati di
chiamare la nostra età dell’oro, “i “Figli di Maria” sogliono ogni anno in occasione delle
premiazioni scolastiche o in altre solenni ricorrenze preparare dei simpatici trattenimenti e
accademie letterarie e musicali alle quali volentieri si degna intervenire l’Arcivescovo,
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circondato dai maggiorenti del Clero, dai benefattori dell’Istituto e da amici e aderenti della
Casa. E, particolare non trascurabile, in codeste Accademie i componimenti poetici, vari di
tono e di lingue, con frutto dell’ingegno degli alunni stessi, che lavorano sotto la guida
sapiente del modesto ma valentissimo direttore degli studi, il professore Don Carlo Olivari.
Or tutto questo che potrebbe forse sembrare un autopanegirico ed uno sforzo di vana
compiacenza, vuol essere invece una dimostrazione dei criteri educativi seguiti da Don
Piccardo con i suoi giovani. Ad essi se inculca la pietà e la devozione, sa pur suscitare nei loro
animi, quel sentimento del bello e dell’arte che, mentre innalza lo spirito ad alte e nobili
concezioni nella vita, serve mirabilmente a completare ed abbellire quella cultura di cui è
desiderabile sia adorno un Sacerdote. A proposito di cultura, egli la vuole non solo varia e
completa, ma tutta improntata allo spirito della Chiesa, e rigorosamente ossequente alle
prescrizioni di Roma. La Casa ha quindi le sue scuole regolari di liturgia, di sacre cerimonie,
di canto gregoriano e di musica sacra: scienze tutte nelle quali non pochi degli alunni riescono
eccellenti e ne divengono apprezzati cultori e maestri. Chi di noi piú anziani non ricorda con
affetto e riconoscenza i cari nomi di Don Gaggero, di Don Minetti e di Don Mantero?
Pedagogia sapiente
Ma una cosa ancora non abbiamo detto, che è la ragione dei lusinghieri e benefici risultati
susseguiti all’operato di Don Piccardo. Occorre anzitutto rilevare quel concetto cosí alto e
preciso ch’egli ha del Sacerdote, concetto che gli è sempre presente e da cui trae ispirazione e
forza per il suo difficile e delicato lavoro.
Crescit eundo
Don Piccardo dunque allietato dai consolanti risultati di cui s’è parlato e incamminata
ormai su buona e sicura via la Casa di Genova, nel 1887 apre un nuovo Collegio in Pra. Ivi si
accoglieranno i piccoli fanciulli per avervi una cristiana educazione e un avviamento agli
studi; se qualcuno mostrerà di sentire la vocazione al Sacerdozio, passerà alla Casa di
Genova. In meno di cinque anni, il Collegio S. Giuseppe arriva ad accogliere una settantina di
alunni.
Lo zelo industrioso del bravo lavoratore non può fermarsi lí. Egli ha in mente un suo
disegno da svolgere. Perché non pensare anche a quelle famiglie di civile condizione che
volendo incamminare i loro figli alla vita commerciale o alla carriera di professionisti
vogliono prepararveli oltre che con un conveniente corredo di scienza, sopra tutto nutriti dei
saldi principi della morale cristiana? Ed apre a tal fine a Rivarolo (1892) il bel Collegio Sacra
Famiglia in cui l’affluire a folte schiere gli alunni e il lavoro intenso degli studi che hanno poi
una onorifica sanzione ai pubblici esami dello Stato, dimostrano come il Piccardo sia stato
indovino nella provvida istituzione. Sono ormai centinaia gli alunni medici, avvocati,
ingegneri, ragionieri, professori e sacerdoti usciti da quel Collegio che oggi essi rammentano
con nostalgico e riconoscente ricordo. Non sorprende quindi nessuno in Genova, anzi il fatto è
notato con deferente simpatia, quando si viene a conoscere che il nuovo Arcivescovo
Monsignor Tommaso Reggio dovendo provvedere alla direzione del Seminario, con
quell’accorgimento che gli è proprio, vi chiama per l’appunto Don Piccardo.
Don Piccardo è l’uomo dal fine intuito, pensa l’Arcivescovo, ha ormai una larga
esperienza, segue un suo metodo educativo che attira ed apre i cuori e i giovani leviti sa
temprare a virtú virili e sacerdotali il cui riflesso si ammira nei sacerdoti usciti dai “Figli di
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Maria” e sono ormai in trecento e piú sparsi nell’Archidiocesi. Ben venga dunque ed effonda
il suo spirito e il suo zelo nel Seminario grande e nel Piccolo Seminario del Chiappeto.
Altri forse al posto del Piccardo si sarebbe trovato sgomento nel sentirsi cadere sulle spalle
un tanto peso. Ma egli, lo abbiamo già visto, è l’uomo della fede e nell’arduo cimento tutta la
sua fiducia ripone in Dio e nell’Immacolata; alacre e fidente si accinge alla sua missione.
Il suo apparire in Seminario dà tosto a tutti, grandi e piccoli, l’impressione di un’ondata
carezzevole improvvisa di freschezza e di gioia; sentono che è arrivato il padre! Ne godono e
ne parlano e fanno a gara per avvicinarlo, per gustare la dolcezza d’una sua parola.
Primo suo pensiero è quello di procurare al Seminario uno stabile Direttore Spirituale e
chiama a quell’ufficio una perla di Religioso, il P. Luigi Persoglio, che ancora oggi è
ricordato in venerazione. Per tutti e per ciascuno il nuovo Rettore ha uno sguardo vigilante
che li segue e una parola che li conforta. Molti oggi lo sentono ancora e solo essi potrebbero
dire quanto valse a confermarli nella vocazione un solo abboccamento con lui, una sola frase,
un cenno solo, un sorriso...
Ma il Seminario è, naturalmente, un centro di studi e degli studi il Piccardo si interessa con
larghezza di vedute. Riordina con sistemi moderni la ricca biblioteca, la rende con prudente
oculatezza accessibile agli studenti seminaristi ed incoraggia e favorisce per i bisogni delle
scuole, non solo del Seminario, ma anche degli Istituti cattolici, l’accesso alle Scuole
Universitarie di quegli alunni che egli stima piú capaci. È gran merito suo se ad animare la
pietà cristiana nello spirito della liturgia e del canto sacro, sorge in Seminario la cattedra di
canto gregoriano; iniziandosi cosí quel largo sviluppo di tali importanti discipline in diocesi e
nelle parrocchie, per l’applicazione del “Motu proprio” di Papa Pio X. Questo spiega come
Genova allora fu tra le diocesi d’Italia delle piú attive in questo campo e fu all’avanguardia
per l’attuazione del programma voluto dal Papa. Per il miglior decoro poi delle funzioni nel
Seminario egli provvede alla Cappella un buon organo, chiamandovi a collaudarlo il già
celebre Maestro Perosi.
Passano cosí sette anni di feconda attività, finché suona l’ora del suo ritorno alla casa di
Carignano. La ragione di un’ulteriore permanenza al Seminario sembra cessata: la
Provvidenza gli apre la via ad un apostolato anche piú vasto e duraturo.
Ed eccoci sulla via di Roma.
Verso Roma
Il disegno già vagheggiato e studiato dal Piccardo e dai suoi figli maggiori di dar carattere
canonico all’Opera dei “Figli di Maria” sta per avere la sua felice attuazione.
Il Frassinetti nel solco da lui aperto nel campo della Chiesa aveva lanciato il seme, aveva
gettati i fondamenti spirituali, creata l’anima della nuova Istituzione, tocca ora al Piccardo, il
savio esecutore dei disegni del santo Priore, adattarle un corpo conveniente. L’Opera sarà
stabilmente costituita, assumendo, per decisione di Roma, forma definitiva. E che
codest’Opera porti manifestamente il sigillo divino lo dimostrano luminosamente le
circostanze in cui sorge: la rapidità con cui ottiene il riconoscimento canonico, la singolare
benevolenza di cui la circondano il santo Pontefice Pio X e i suoi successori, i frutti di
benedizione che va producendo.
L’avrebbe mai pensato il Piccardo là in quel lontano 1868, quando, appena ordinato
Sacerdote, si reca festante a Roma nell’acceso desiderio di prostrarsi, ai piedi del Pontefice
Pio IX e implorare la sua benedizione, l’avrebbe mai immaginato che un giorno, nei suoi anni
maturi, proprio dal Pontefice, successore di Pio IX, avrebbe avuta un’altra benedizione per
un’opera che proprio in Roma il Papa gli avrebbe affidato?
Graziosi scherzi della Provvidenza!
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E qui bisogna ricordarli.
Il Piccardo è dunque in Roma per trattare le pratiche relative alla costituzione della nuova
Congregazione. Una chiamata improvvisa del Cardinale Pietro Respighi Vicario Generale di
Sua Santità porta a questo dialogo:
“Ho sentito che voi avete aperto diversi Collegi a Genova, ora bisogna ne apriate uno qui
a Roma. Il Santo Padre Leone XIII vuole e lo desidera già da tempo che si apra un Collegio
per i Chierici e Sacerdoti studenti che vengono a Roma dalle province e abitano in case
private, affinché siano aiutati nella loro vocazione e sia ovviato a tanti inconvenienti”.
“Come posso assumere quest’impresa?”
“Voi siete l’uomo della Provvidenza e dovete voi assumervi quest’impresa; parlatene con i
vostri Sacerdoti della Casa di Genova e poi mi darete risposta. All’Arcivescovo direte che il
Cardinale Vicario vi ha pregato di aprire una casa a Roma e non potrà avere nessuna
difficoltà”.
“Io, veramente, ero venuto a Roma per avere le norme onde fondare la Congregazione...”
“Si farà anche questa ma prima occorre che apriate il Collegio, poi si penserà alla
Congregazione”.
Che fare? Obbedire e far presto poiché l’anno scolastico è alle porte. Il Collegio voluto dal
Papa è aperto; provvisoriamente ai Cento Preti sul Lungo Tevere Vallati, poi alla grande casa
di via del Mascherone, antico palazzo dei Cavalieri Teutonici.
Ma si fa presto a dire: “Aprite un Collegio!” Solo per chi è un po’ addentro alla partita può
comprendere qualche cosa di quel complesso di esigenze che ne nascono. Don Piccardo però
è uomo navigato e riesce presto e bene. Papa Leone XIII gli aveva detto in un’udienza
susseguita all’abboccamento con il Cardinale Vicario: “Con l’aiuto della Madonna
Immacolata voi farete il miracolo!” E il miracolo ci fu. Ma quanto laborioso per lo strumento
che doveva compierlo!
Testimoni e attori di quello che il Papa scherzosamente aveva chiamato “miracolo” furono
lo stesso Cardinale Vicario e quel Monsignor Faberi, Segretario del Vicariato, che fu di
grande aiuto nell’apertura e nei primordi del Collegio; la cui opera intelligente solerte e
tenace, se poté non garbare a qualche spirito riottoso o a qualche pusillanime, riuscí però di un
incalcolabile beneficio per la disciplina specialmente del giovane Clero convergente in Roma.
Il sigillo divino
Mentre si svolgono le cose che qui narriamo, viene a morire il Pontefice Leone XIII, 20
luglio 1903 e il 4 agosto è eletto Papa Pio X. A lui non è nuovo il Piccardo ne l’Opera sua,
avendolo egli conosciuto in Genova mentre egli era Vescovo di Mantova. L’assunzione di Pio
X al Pontificato è per l’Opera dei “Figli di Maria” una vera benedizione. Pio X avuto a sé piú
volte il Piccardo e, informatosi minutamente di quello che ha fatto l’Istituto in Genova e
altrove e dicendosi già informato dal suo Cardinale Vicario del bene che si va facendo in
Roma: “voi, gli dice, avete già lavorato assai ed eravate già Religiosi senza averne la forma!
Potete dunque sperar bene”.
Con Rescritto Pontificio in data 21 maggio 1904 viene notificato il riconoscimento
canonico della Congregazione dei “Figli di S. M. Immacolata”: e, consolante sorpresa, con lo
stesso Rescritto è concesso alla Congregazione il Decretum laudis. Piú: il Papa a dimostrare la
sua augusta benevolenza vuole che il Cardinale Vicario pro tempore sia Protettore e
dell’Istituto di Roma e della Congregazione.
Avanti dunque in nomine Domini!
Vengono i Chierici e accorrono i giovani Sacerdoti, inviati dai Vescovi di varie Diocesi
d’Italia ed anche dell’Estero e il Cardinale Vicario segue con vivo e affettuoso interessamento
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lo svolgersi dell’Istituto, il Papa riceve ogni anno i collegiali che vanno a fargli omaggio
guidati dal Padre Piccardo e non li accomiata mai senza porgere loro di sua mano un paterno
ricordo.
Un po’ di bilancio morale. Come in Genova questa nostra Casa ha dato alla Chiesa circa
400 Sacerdoti e fra essi tre Vescovi, parecchi ne ha incamminati alle Missioni Estere, cosí in
Roma: dal 1902 un buon numero di Chierici e Sacerdoti furono alunni dell’Immacolata; tra
questi sono oggi, una quindicina insigniti della dignità vescovile e moltissimi di loro assursero
a cariche importanti nella Curia Romana, nelle Curie Diocesane, nelle Nunziature all’Estero e
nei Seminari.
Quando poi sotto Pio X per fare il concentramento degli studenti Chierici al Laterano
furono soppressi il Seminario Pio, il Collegio Leoniano ed il Lombardo, anche il nostro
Collegio seguí le superiori disposizioni: ma per espresso desiderio di Pio X e del Vicariato di
Roma, la Casa continuò come prima ad accogliere i Sacerdoti che si recano a Roma per gli
studi superiori. Opera quanto mai benefica, tanto apprezzata al Vicariato e alle stesse
Università Pontificie, perché concorre a disciplinare la giornata e la condotta dei giovani
Sacerdoti con i suoi orari, con le pratiche di pietà con i Ritiri mensili, con la direzione del
Padre Spirituale. In grazia poi di quel fare aperto semplice e cordiale che è un po’ una
caratteristica dei Figli di Maria, convengono spesso all’Istituto, per cortese ospitalità
Sacerdoti in buon numero; sono una buona cinquantina di eccellentissimi Vescovi che,
onorandoci della loro santa amicizia nei loro viaggi a Roma vengono alla nostra Casa,
trovandocisi a tutto loro agio, come in famiglia e godendo la pace della Casa Religiosa.
A questo punto mi piace ricordare come proprio dalla nostra Casa il Cardinale Achille
Ratti partiva il 12 settembre 1922 per il Conclave dal quale uscí con il nome di Papa Pio XI.
Fra le benemerenze poi del Piccardo in Roma una ve n’è che non va dimenticata, della
quale il Papa Pio X gli si mostrò sempre grato. Era noto come il P. Piccardo era tutto felice
quando potesse in qualunque modo concorrere non solo a fare un po’ di bene, ma anche
quando gli riuscisse di favorire una buona iniziativa, particolarmente se vi fossero in giuoco i
giovani e tutto quanto potesse portare una contentezza al Papa. Cosí, per ricordare uno dei
tanti episodi: come a Genova aveva festosamente aperte le sale della Casa per il ricevimento e
per il pranzo a 90 poveri della città che un comitato dell’Opera San Vincenzo de’ Paoli loro
offriva in omaggio al Pontefice Leone XIII, nel compiersi del suo felice novantesimo, cosí a
Roma quando dopo varie adunanze e congressi nei quali erano stati formulati dei voti per la
istituzione d’una Scuola Superiore di musica sacra, in attuazione della riforma voluta da Pio X
e mancavano intanto le aule per codesta scuola, il P. Piccardo fu ben lieto e onorato di offrire
la sua Casa. Proprio lí nell’autunno del 1910 con l’intervento dell’E.mo Cardinale Rampolla,
del Maestro Perosi, dei maestri Casimiri, Refice, Boezi ed altri molti insigni personaggi, si
inaugurava solennemente la Scuola; celebrando la Messa dello Spirito Santo il nostro P.
Minetti. La nuova istituzione con le sue varie sezioni rimase in Casa nostra quattro anni,
usufruendo anche d’un organo che il P. Piccardo generosamente mise a disposizione della
scuola.
Verso la patria
Parallelamente alla vita del Collegio e della Casa di Roma si va svolgendo quella della
Congregazione. Per il suo cammino ascensionale il P. Piccardo se la vede avanzare silenziosa
e modesta ma sicura e operosa sotto i suoi occhi e con la visibile benevolenza della Santa
Sede. Confortato dalla presenza di sí promettente figliolanza, contemplando con legittima
soddisfazione il cammino percorso, pregustando la gioia del lavoro che si va preparando,
come un patriarca antico, nella sua serena e vivida vecchiezza si dispone alla chiamata di Dio.
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Questa chiamata gli giunge in un momento solenne per la Chiesa e per la cristianità: nel
giubileo del 1925. Fra i mille e mille pellegrinaggi alla tomba di S. Pietro egli sa esserne
giunto uno dei suoi genovesi. Non vi sarà dunque anche lui? Oh poter pregare ancora una
volta sulla tomba del primo Apostolo, poter ricevere ancora una benedizione dal Papa! Che
consolazione per lui che sente ormai venirgli meno la vita! E quando il Pontefice Pio XI
passando in rassegna i pellegrini arriva al suo buon Padre Piccardo, “oh ecco, esclama, un
pellegrino carissimo e desideratissimo!” E a modo di paterno amplesso si piega e gli passa
dolcemente sulle spalle l’augusta mano. Il pellegrino canterebbe volentieri in quel momento il
suo nunc dimittis; ma non tarderà l’ora solenne. Prima ch’egli parta si aduneranno intorno al
suo letto i figli maggiori in rappresentanza di tutti i fratelli lontani: dovrà dar loro una larga
benedizione e lasciare la sua parola d’ordine; dice infatti al p. Giacomo Buzzone, l’attuale
nostro venerato P. Generale, (intimo presagio degli eventi futuri?) “Lavorate: fate, fate: fate
del bene!”
E a modo dei Patriarchi antichi, pregando e sperando se ne parte. Siamo al 3 novembre
dell’Anno Santo.
Ma dunque sul cammino avventurato del Padre Piccardo hanno sempre fiorito e in
abbondanza, le rose e gli allori? potrà forse pensare qualcuno, e la nave dell’Opera sua filò
sempre tranquilla sul mare calmo ed un buon vento in poppa!...?
Eh, veramente, no! E qualche cosa può saperne, ma qualche cosa appena, chi come noi
visse lunghi anni in continuità di rapporti con lui ... Però se dolori ed amarezze non gli
mancarono, grazie alla nobiltà dell’animo suo e a quell’arte sapiente ch’egli usava di saperle
nascondere, tutto seppe sopportare forte e tranquillo; nel silenzio paziente e nella confidente
preghiera seppe aspettare l’ora immancabile del sereno e della pace.
La parola d’ordine
La parola d’ordine fu religiosamente raccolta: i Figli di Maria, grazie a Dio, lavorano e si
studiano di far del bene. Allargando anzi il loro campo di azione, non attratti dal fatale
luccichio dell’oro, ma spinti dalla sete di lavoro per il bene delle anime, già vanno lavorando
da dieci anni in tre residenze alla Plata in Argentina; e in Italia vanno intensificando sempre
piú il lavoro nelle opere di ministero e nelle varie Case con circa una quarantina di Religiosi.
Giovani leviti ogni anno entrano nel campo; altri novizi attendono, altri attendono d’entrare in
Noviziato.
E’ il seme gettato dal Frassinetti e innaffiato dal Piccardo che sotto il caldo afflato della
divina Provvidenza si va sviluppando. Auspice l’Immacolata la messe biondeggia nel campo
del Signore.
Un antico alunno del nostro Collegio di Rivarolo in una sua delicata e profonda Elegia
scrisse fra l’altro del Padre Piccardo cosí:
“Ei fu seminatore d’amore e di bontà.
Donò gli averi ai poveri che a lui fu inesausto forziere
l’Evangel cristiano, fonte di carità.
Dai mattutini albori, fin oltre la sera calante,
arò perseverando e seminò con fede:
onde a la Religione sacrò Sacerdoti a falangi,
e offrí a l’Italia madre nobili cittadini.
Lo Spirito a Dio: a la Terra la spoglia; a gli umani venturi
l’esempio e la memoria, fin che la vita duri”.
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E il nostro venerando ed amatissimo P. Olivari, unico superstite di quel drappello che entrò
primo in questa Casa, e cui rivolgiamo in questo giorno un riconoscente affettuoso saluto,
scrisse per una immaginetta-ricordo questo perfetto ritratto:
RICCO DEI PIÚ BEI DONI DI NATURA
SENTÍ PER TEMPO LA VOCE DI DIO
CHE LO VOLLE SACERDOTE
A POPOLAR DI SAMUELI NOVELLI
LE DESERTE FILE DEL SANTUARIO
L’OPERA DEI FIGLI DELL’IMMACOLATA
CHE IL FRASSINETTI FONDÒ
EGLI RACCOLSE NASCENTE E FECE SUA
PER LEI DI LEI VISSE
SACRIFICANDO AGI ED ONORI
PER LEI CHIEDENDO L’OBOLO
CON QUEL SORRISO DI AMABILE SIGNORILITA’
CHE MAI SUL SUO LABBRO SI SPENSE
E VIDE PRIMA DI SALIRE AL PREMIO
LA BELLA PIANTA DA DIO BENEDETTA
GIÀ ONUSTA DI PREZIOSI FRUTTI
METTER COI SANTI VOTI
PIÚ SALDE E PROFONDE RADICI
SPIRITO EQUILIBRATO E FERMO
VERA TEMPRA DI EDUCATORE
ESERCITÒ SUI GIOVANI IL FASCINO
Dl UN IMPERO FORTE E SOAVE
E DI VENERAZIONE E D’AFFETTO
FU RIPAGATO DAI GIOVANI
CHE UOMINI FATTI
LA CARA IMMAGINE PATERNA
SERBAN NEL CUORE, SCOLPITA
DA QUELL’AMORE CHE VINCE LA MORTE
E noi da codesto amore, che vince la morte, guidati e confortati, non piú in lacrime, ma con
il cuore effuso in preghiera, verremo a questa tomba venerata che da questo giorno riesce per
noi circonfusa di quella luce soave onde si ammanta un Altare. Sarà l’Altare della nostra
venerazione per le preclare virtú onde fu adorna quell’anima sacerdotale; sarà l’Altare della
nostra riconoscenza al Padre dolcissimo per l’amore sapiente di cui fu prodigo il suo buon
cuore.
La tomba severa e modesta porta scolpita questa epigrafe dettata dallo stesso P. Carlo
Olivari.
HEIC AB URBANO COEMETERIO TRANSLATUS
III IDUS NOV. AN. MCMXXXVII
AD SACROS JOSEPHI FRASSINETTI CINERES
MERITA IN LUCE QUIESCIT
ANTONIUS PICCARDO SAC.
FILIORUM S. M. IMMACULATAE PARENS ALTER AB ILLO
CUJUS OPUS VIX INCEPTUM
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SUSCEPIT MIRIFICE AUXIT PERFECITQUE
UNDE HOC NOVUM EXSTITIT SODALICIUM
QUOD IPSE XXII PROPE ANNOS
MODERATOR PRIMUS SANCTISSIME REXIT
QUODQUE E COELO PATERNO NUMINE SOSPITAT.
Indice
A mo’ di introduzione………………………………………………pag
Note personali……………………………………..
S. Pio X e il Piccardo………………………
Il suo giubileo sacerdotale
Nel ricordo della sua morte
Nel ricordo dei suoi ex alunni
In morte del nostro P. Antonio Piccardo…….
Il P. Piccardo e i Figli di Maria…
La Casa di Roma….
Dal testamento di P. Piccardo
Il P. Piccardo e il Papa…
P. Piccardo e il Priore Frassinetti
L’uomo forte
Dolce visione
La sua bontà
Elegia
P. Piccardo Rettore del Seminario Arcivescovile
L’educatore
Don Piccardo e il Santuario dell’Acquasanta
Anime generose
De minimis
I funerale di P. Piccardo
Partecipazione nel dolore
In memoriam
Festa sociale
Ai benefattori dei Figli di Maria
Il suo ritorno alla Casa Madre……
Dinanzi ad una tomba
Primi albori
Gli emissari del male
Gli uomini di Dio
Il Ministro della Provvidenza
Promettente aurora
Ora triste
Il sorriso del Cielo
L’erta luminosa
77
Poesia e vita
Pedagogia sapiente
Crescit eundo
Verso Roma
Il sigillo divino
Verso la patria
La parola d’ordine
Indice
78
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P. ANTONIO PICCARDO nel ricordo e nella gratitudine