COLLANA CENTENARIO P. ANTONIO PICCARDO nel ricordo e nella gratitudine EDIZIONI RISONANZE 1 A MO’ DI INTRODUZIONE 2 P. LUIGI PROFUMO SJ RIMEMBRANZE 3 Per l’onore del sacerdozio cattolico, che è l’onore di Gesù Cristo, Nostro Signore, del suo Vicario in terra e della Santa Chiesa, crediamo opportuno di dare una relazione della devota festa, celebrata per il giubileo del cinquantesimo anno di sacerdozio del P. Antonio Piccardo, come introduzione e quasi prefazione al discorso, tenuto in quella occasione da Monsignor Giacomo Ghio, Arcivescovo di Urbino, e che qui offriamo pubblicato per le stampe. Il P. Piccardo nacque in Voltri, città dell’archidiocesi di Genova, nel dí 14 dicembre del 1844, e dopo i primi studi in patria fu collocato nel Collegio Nazionale di Genova, dove era già suo fratello maggiore e dove egli rimase fino al compimento del corso di retorica. Quindi, essendosi proprio allora per disposizione governativa aperto il Liceo, ne frequentò, quale esterno, le tre classi dal 1860 al 1863. Il giovane Piccardo, che fino dalla sua fanciullezza aveva sentito viva inclinazione allo stato ecclesiastico, allora finalmente, vinto ogni ostacolo, poté essere accolto nel Seminario Arcivescovile di Genova per lo studio della sacra teologia; terminato il quale, nel dí 6 giugno del 1868, ricevette l’ordinazione sacerdotale per mano di Monsignor Andrea Charvaz, Arcivescovo di Genova. Nelle feste del Santo Natale del 1867, essendo egli ancora diacono in Seminario, il Priore Frassinetti inviò a lui alcuni congregati dalla Pia Unione dei Figli di Santa Maria Immacolata, che, sotto la sua disciplina, vivevano come religiosi in mezzo al secolo, a proporgli di accettare la direzione dei giovinetti poveri, da Lui raccolti per essere avviati allo stato ecclesiastico, e che allora erano diretti in modo casalingo e paterno dal sig. Pietro Olivari, tipografo, discepolo del Frassinetti, uomo di singolare pietà e prudenza. Il diacono Piccardo rispose che, quando fosse ordinato sacerdote, avrebbe accettato volentieri quell’ufficio, se i Superiori avessero dato la loro approvazione, riservandosi intanto di parlare col Frassinetti. Ma ecco il giorno 2 gennaio del 1868 muore il Frassinetti, e sono poi rinnovate le istanze al Piccardo, perché volesse dedicarsi a quella opera che il Frassinetti aveva appena cominciata. Poco dopo la sua ordinazione sacerdotale il Piccardo venne presentato dall’allora Canonico, e poi Cardinale, Gaetano Alimonda all’Arcivescovo per il consenso circa l’accettazione dell’ufficio di Direttore dei Figli di Maria. L’Arcivescovo acconsentí benignamente alla domanda e il sacerdote Piccardo, dopo aver fatto un viaggio a Roma, dove ebbe la benedizione del S. Padre Pio IX, ad Assisi e a Loreto, entrò direttore della Casa, dove dopo alcuni anni ebbe a coadiutore il Sacerdote Gio. Battista Semino, poi canonico a S. Maria di Carignano. Nei primi tempi del suo governo, non essendo molti gli alunni, egli poté dedicarsi ancora agli studi, e per desiderio del suo genitore, frequentava l’università regia per il biennio di Diritto Canonico, avendo a professori il Rev.mo Daneri, canonico della Cattedrale di San Lorenzo, e l’erudito avvocato, Domenico Boccardo. Intanto coltivava pure gli studi della Teologia per laurearsi alla stessa Università, non essendo in quel tempo ancora ristabilito il Collegio Teologico di S. Tommaso. Già aveva sostenuto quasi tutti gli esami delle particolari materie teologiche, a lui dati da Monsignor Magnasco e dai Teologi Oliva, Bolasco e Balbi, che erano ancora considerati come professori di Teologia dell’Università, quantunque insegnassero nel Seminario Arcivescovile; ma non poté giungere alla fine del corso accademico per la sua malferma salute. Come istituto di preparazione alla Casa dei Figli di Maria in Genova, Don Piccardo nel 1870 fondò il Collegio di S. Giuseppe, che dapprima ebbe sede nel Monastero Benedettino di S. Giuliano d’Albaro, e dopo, tornati colà i religiosi di S. Benedetto, fu trasferito nel 1873 a Serrea presso Voltri, e si chiuse nel 1875, quando la Casa di Genova poteva ormai accogliere un considerevole numero di alunni. 4 Il successore dell’Arcivescovo Charvaz, che fu Monsignor Salvatore Magnasco, Prelato veramente ammirabile per dottrina e zelo pastorale, aiutò generosamente l’Opera dei Figli di S. Maria Immacolata, che poté in breve floridamente svolgersi ed ampliarsi. Asceso poi, dopo Monsignor Magnasco, sulla cattedra episcopale di Genova Monsignor. Tommaso Reggio, sempre usò grande favore e protezione verso i Figli di Maria; ed anzi chiamò Don Piccardo a prendere anche la direzione dei Seminari arcivescovili, ufficio che egli tenne per sette anni (1895-1902). Nel 1887 aprí in Pra (Genova) il Collegio-Convitto S. Giuseppe per i giovanetti delle scuole elementari e nel 1893 fondò il Collegio, ora tanto fiorente, della Sacra Famiglia a Rivarolo Ligure. Sotto il governo dell’Arcivescovo Monsignor Pulciano il Rev. Piccardo, per un intreccio di circostanze provvidenziali, invitato dall’Eminentissimo Pietro Respighi, Cardinale Vicario di Sua Santità, e con l’approvazione e benedizione del Sommo Pontefice Leone XIII, aprí in Roma il Collegio Ecclesiastico di Maria Immacolata. Nel 1903 si apriva la Casa di Lugnano in Teverina. Si conobbe allora piú chiaramente la necessità di assicurare la stabilità all’Opera dei Figli di Maria, e nel 1904 il Rev. Piccardo divisò di dare all’Istituto, da lui diretto, un ordinamento compiuto in forma di Congregazione Religiosa, e, cosa non frequente, ebbe subito dal Papa Pio X il Decretum laudis. Nel 1910 l’Istituto fu riconosciuto canonicamente dalla S. Congregazione dei Religiosi e ne furono approvate le Costituzioni ad septennium. Nello stesso anno si fondava il Collegio del Sacro Cuore in Siena. Il Sommo Pontefice Benedetto XV, felicemente regnante, sarà registrato nelle memorie della Congregazione, quale benignissimo Benefattore e Padre dei Figli di S. Maria Immacolata, per la sua paterna generosità e benevolenza, di cui, come diremo, diede nuove e piú ampie prove per le feste giubilari del P. Piccardo. È giusto pure riferire che Monsignor Lodovico Gavotti, ora Arcivescovo di Genova, che fu già professore nel Seminario Maggiore di quella città, quando v’era rettore il P. Piccardo, largheggiò sempre e continua a largheggiare in amorevoli pegni di protezione e di incoraggiamento verso l’Opera dei Figli di Santa Maria Immacolata. La festa del giubileo sacerdotale del P. Piccardo fu annunziata da tre lettere circolari. Prima fu quella inviata da due fra i primi alunni superstiti, che furono accolti nella Casa dei Figli di Santa Maria Immacolata dallo stesso Priore Frassinetti, cioè dai sacerdoti Giovanni Battista Boraggini, direttore del Collegio di S. Giuseppe in Pra, e dal Can. prof. Bartolomeo Arecco. Nella circolare si invitavano i sacerdoti, antichi e nuovi alunni del P. Piccardo, ad applicare la S. Messa secondo l’intenzione del venerato Direttore nel giorno 6 di giugno, data dell’ordinazione sua sacerdotale. Le adesioni furono notificate al Sac. Prospero Casella, Prevosto di S. Giovanni di Pre, Presidente del Collegio dei Parroci Urbani in Genova, altro dei primi alunni. La seconda circolare fu diramata dalla Confraternita dei Genovesi in Roma, eretta nella chiesa di S. Giovanni Battista dei Genovesi nella stessa alma città, la quale chiesa era stata scelta per celebrarvi la funzione giubilare. Il P. Piccardo nella Confraternita ha la carica di Vicario. La circolare portava la firma del Comm. Canevelli e di Monsignor Taggiasco, Governatori della Confraternita, e quella del Comm. Giovanni Pasquale Scotti, Provveditore del pio Sodalizio. Altra circolare, sottoscritta dal P. Minetti, Rettore dell’Istituto Ecclesiastico di Maria Immacolata in Roma, e dal P. Gaggero, Procuratore generale della Congregazione, fu spedita agli amici e benefattori della Congregazione in Roma e fuori, per invitarli a prendere parte con la presenza, o con la preghiera alla festa del giubileo. Fu anche dato avviso benevolo della festa dalla stampa cattolica di Genova, cioè da “Il Cittadino”, dalla “Liguria del Popolo”, dall’“Amico delle Famiglie” e dalla “Settimana Religiosa”. Fu pure annunziata dall’“Osservatore Romano” e dal “Corriere d’Italia” di 5 Roma, e dall’“Unità Cattolica” di Firenze. Gli stessi giornali e l’“Eco del Pontificato” diedero poi ampia e ossequentissima relazione dei festeggiamenti giubilari. Il giorno preciso dell’Ordinazione sacerdotale del P. Piccardo occorreva, come si disse, il giovedí 6 giugno, ottava del Corpus Domini, e il venerato Padre aveva divisato di recarsi a celebrare la data memoranda a Lugnano in Teverina, ove nell’antico cenobio di S. Francesco trovasi accolto il collegio dei giovinetti aspiranti alla Congregazione. Intendeva però l’ottimo Padre passare quel giorno in modo tutto familiare ed intimo, insieme con i suoi diletti alunni. Ma giunto al mattino del dí 6 giugno in Lugnano, accompagnato dal Sac. Vittorio Steffani, con sua meraviglia trovò la chiesa addobbata a festa e gremita di popolo, che, quantunque fosse giorno di lavoro, era accorso alla devota funzione per dare una testimonianza di ossequio e di gratitudine al Superiore Generale, che fin dall’anno 1903 scelse quel paese a cara sede d’un suo Collegio. Tutto era preparato per il rito solenne e il P. Piccardo, compiacendo al desiderio dei suoi religiosi e del popolo, cantò la Santa Messa che fu accompagnata dal coro musicale del Collegio. Dopo la Messa si intonò il Te Deum e fu impartita la Benedizione Eucaristica. Alla devota festa era giunto inaspettato Monsignor Francesco Maria Berti, dei Minori Conventuali, Vescovo della diocesi di Amelia, ove trovasi Lugnano, il quale assistette alla Santa Messa. Intervennero alla funzione anche il can. Spagnoli e l’arciprete Pimpolari, la contessa Rosa Vannicelli, la signora Maria Trasatti, le Suore Venerini con le alunne, le maestre comunali con le loro scolaresche, ed altre ragguardevoli persone. Nel ricevimento familiare, che poi fu tenuto al Collegio, lesse un ossequioso indirizzo il P. Giacomo Bruzzone, direttore dell’Istituto e principale ordinatore della festa; recitò eleganti versi il prof. Sac. Giuseppe Pellegrini, e gli alunni tennero una ben riuscita accademia in versi italiani, latini e genovesi. Parlò pure, con eloquente e commossa parola, l’Ecc.mo Monsignor Vescovo Berti. Il P. Piccardo, intenerito di tante amorevoli dimostrazioni, ringraziò tutti quanti avevano partecipato alla devota festa, sia del popolo, sia del clero secolare e regolare, e in modo speciale lo zelante e benemerito Monsignor. Vescovo, pieno sempre di singolare bontà verso i Figli di Santa Maria Immacolata. La funzione principale del giubileo s’era però fissata per la domenica 9 giugno e fu scelta, come si disse di sopra, la chiesa di S. Giovanni Battista dei Genovesi in Roma. Il tempio, per cura della Confraternita, era stato splendidamente addobbato come nelle piú grandi feste, e numeroso fu il concorso di fedeli, specialmente della colonia genovese. Il P. Piccardo cantò la Messa solenne, facendo l’ufficio di ministri il P. Minetti e il P. Profumo S J, già alunno anche egli dei Figli di Maria, e compiva l’ufficio di cerimoniere il P. Gaggero, primo degli alunni accolto nel 1868 dal P. Piccardo. Assistettero in presbiterio al Santo Sacrificio Monsignor Giacomo Ghio, Arcivescovo di Urbino, e Monsignor Pietro Rojunian, Vescovo Ordinante in Roma per gli Armeni, e si trovarono pure ad assistere nelle bancate anche Sua Ecc. Monsignor Scaccia, Arcivescovo di Siena, e Monsignor Peri Morosini, Vescovo tit. di Arca. Al Vangelo Monsignor Giacomo Ghio, anch’egli già alunno del P. Piccardo, ascende il pulpito e in un discorso affettuoso ed eloquente tratta dell’impronta, che il venerando Padre seppe imprimere all’opera del Frassinetti, impronta che rivelò in Lui l’educatore esimio del giovane clero. I fatti confermarono splendidamente le previsioni e le speranze concepite: onde è a far voti che l’opera sua abbia a confermarsi nel prossimo avvenire, e possa cosí portare il prezioso suo contributo alle necessità dei nuovi tempi, nei quali la Chiesa dovrà fare appello ad ogni buona energia per la formazione di novelle falangi di Sacerdoti, i quali, per superare l’acerbità degli eventi, dovranno avere temprato l’animo ad ogni sacrificio. Prorompeva quindi in un augurio entusiastico della piú florida longevità del P. Piccardo pel bene dell’Opera, della Chiesa, per le necessità incalzanti. 6 Come quindi appare, duplice era il giubileo; quello del sacerdozio e l’altro della direzione dell’istituto del Frassinetti. Era appena finito l’Offertorio della Messa ed ecco arrivare, inatteso, l’E.mo Vincenzo Vannutelli, Cardinale Decano del Sacro Collegio e Datario di Sua Santità, Protettore della Confraternita di S. Giovanni Battista dei Genovesi, il quale prese posto in presbiterio, assistendo sino al termine della funzione. La musica fu eseguita egregiamente dagli studenti dei RR. PP. Stimmatini. Dopo la Messa fu cantato il Te Deum e il P. Piccardo impartí la Benedizione col SS. Sacramento. Terminato il sacro rito, le persone intervenute alla festa furono ammesse nella sacristia, al bacio della mano e fecero rallegramenti ed auguri al P. Piccardo. Nel trattenimento familiare che si tenne poi in onore del venerato Padre, all’Istituto Ecclesiastico di via del Mascherone, lesse un indirizzo di rispettose congratulazioni il P. Minetti. Quindi parlarono Monsignor Scaccia, Arcivescovo di Siena, e lesse un indirizzo il Rev. avv. Agostini; recitarono versi eleganti il P. Ignudi e il Comm. Canevelli, e parlò il Comm. Giuseppe Pizzorni. Il P. Gaggero diede poi lettura delle adesioni, fra le quali fu prima quella dell’Em.mo Card. Pompili, Vicario di Sua Santità, che scrisse al P. Piccardo una lettera tutta spirante benevolenza. Una lettera benignissima aveva pure inviato l’Em.mo Card. Vannutelli. Seguirono poi le adesioni delle Case dei Figli di Santa Maria Immacolata di Genova, Pra, Rivarolo, Siena e Lugnano in Teverina. In ultimo Mons. Migone lesse il seguente preziosissimo autografo del Santo Padre: Al diletto figlio P. Antonio Piccardo porgiamo affettuosi rallegramenti per i dieci lustri di operoso sacerdozio che il Signore gli ha fatto compiere e con la benedizione Apostolica che gli inviamo di cuore esprimiamo non solo la benevolenza del padre, ma anche l'augurio che veda crescere il numero e non diminuito lo zelo dei Figli di S. Maria Immacolata. Dal Vaticano, 6 giugno 1918 BENEDICTUS PP. XV Il P. Piccardo, pieno di commozione, con parole di viva riconoscenza, ringraziò tutti i presenti, i lontani benefattori, gli amici e alunni. Rivolse un pensiero ai suoi diletti alunni soldati, a tutti i suoi cari defunti, e porse un omaggio di specialissima gratitudine al Sommo Pontefice Benedetto XV, che si degnò decorarlo e confortarlo con il paterno Suo autografo e con l’Apostolica Benedizione. A tutti i presenti alla festa il P. Piccardo distribuí una devota immagine-ricordo dell’Immacolata, copia di quella che nel 1854 il Santo Padre Pio IX donò ai Prelati, i quali assistettero alla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione di Maria. A tergo dell’immagine fu stampata questa nobilissima iscrizione, composta dal P. Ignudi. ANTONIO PICCARDO CONSACRATO IN GENOVA AL SACERDOZIO IL VI GIUGNO MDCCCLXVIII NELLO STESSO ANNO DIRETTORE ALLA CASA INIZIATA DA GIUSEPPE FRASSINETTI PER L’AVVIAMENTO DI GIOVINETTI POVERI 7 AGLI STUDI ECCLESIASTICI OND’EBBE FAUSTA ORIGINE LA CONGREGAZIONE DEI FIGLI DI SANTA MARIA IMMACOLATA DI QUESTI PRIMO SUPERIORE GENERALE AL CINQUANTESIMO DI SÍ DOLCI MEMORIE CONFORTATO DALLA BENEDIZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV ASCENDE IN ROMA L’ARA DIVINA NEL SAN GIOVANNI BATTISTA DEI GENOVESI IL IX GIUGNO MDCCCCXVIII PRINCIPIO DELLE PREGHIERE GIUBILARI CHE CONFIDA RINNOVARE FRA COLLEGHI PARENTI ALUNNI AMICI SPERANDO CHE A RENDERE UNANIMI GRAZIE A GESÚ E A MARIA LI ADDUCA IL MUTUO VINCOLO DI CELESTI FORTI INDEFETTIBILI AFFETTI CHE ABBIA SUGGELLO OVE IL GIOIR S’INSEMPRA I Collegi dei Figli di Maria, di Genova, Pra, Rivarolo, Siena, Lugnano, mandarono indirizzi e lettere affettuose di riconoscenza e di omaggio; e simili testimonianze offrirono gli alunni, che sono sotto le armi, e molti sacerdoti già alunni del P. Piccardo, quando era Rettore del Seminario. I telegrammi inviati furono sessantatré; gli scritti, fra lettere e biglietti, ascesero al numero di circa seicento. Non pochi e tutti pregevoli furono i doni ricevuti dal P. Piccardo nella fausta ricorrenza giubilare. Primo è il dono dell’autografo del S. Padre, con ricchissima cornice in pergamena e con fregi d’oro a mano. Monsignor Giuseppe Migone, Cameriere Segreto Partecipante di Sua Santità, offrí una pianeta bianca in seta. Il Conte Saladino Saladini-Pilastri, senatore, compagno fin dalla prima educazione del P. Piccardo, gli fece pervenire, come omaggio suo e della Contessa sua Consorte, un magnifico quadretto incorniciato in pelle con l’immagine in argento rilevato di S. Antonio, un sonetto elegante e affettuosissimo, e mazzi di fiori. Don Albera, Rettore Maggiore dei Salesiani, una pregevole opera di molti volumi. La Marchesa Emilia Carrega presentò una lucerna preziosa in maiolica di antica fattura. Mons. Francesco Faberj, Canonico di S. Pietro in Vaticano, inviò un ricchissimo amitto, finemente ricamato. Il P. Antonio Gilardi dell’Istituto di S. Calocero in Milano, già alunno del P. Piccardo e già Missionario in Cina, donò un’artistica e preziosa cassetta, bellissimo lavoro fatto da cinesi. Il dottor Alfonso Fontana fece omaggio di una grande medaglia in argento che ha nel dritto l’effigie di S. S. Leone XIII (anno XXVI) e a tergo l’immagine di Gesù che dà le chiavi a S. Pietro; il Comm. Gio. Pasquale Scotti, Direttore della Tipografia Vaticana, regalò un Breviario con legatura di lusso in quattro volumi. La Madre Giuseppina Troiani, Superiora Generale dell’Istituto di Santa Dorotea, donò un servizio per thè in finissima maiolica giapponese. I sacerdoti dell’Istituto dell’Immacolata in Roma offrirono un ritratto del Santo Padre Benedetto XV. Gli studenti dei PP. Stimmatini lessero e presentarono un indirizzo di ossequio con fascetta di pergamena leggiadramente decorata. La Signora Maria Pizzorni vedova Lanata e le signorine Teresa ed Anna Lanata, pronipoti del P. Piccardo, mandarono da Genova una stola di tela finissima d’argento, ricamata in seta e in oro; il cav. Luigi Augusto Cervetto, bibliotecario della Civica Berio di Genova, inviò parecchi suoi eruditi 8 opuscoli; il Sig. Carpaneto, proprietario e successore della Libreria A. Lanata, regalò libri e una collezione di artistiche immagini di Maria Vergine. L’avv. Don Conte fece omaggio d’un magnifico volume di arte. La signorina Cecilia Agrosta offrí un bellissimo indirizzo. I benefattori genovesi e i parenti vollero accrescere la gioia della festa, inviando generose offerte, che ascesero alla somma di quasi diecimila lire, le quali in gran parte furono raccolte di sua iniziativa dalla signora Giuseppina Gambaro n. De Ferrari. Nella nota spedita dalla stessa signora troviamo il nome dell’Ill.mo Sig. Conte Ernesto Lombardo, che offrí la bella somma di cinquemila lire. A tutti quanti i benefattori e a ciascuno vadano le piú vive azioni di grazie per parte dei Figli di Maria, i quali invocano sopra di essi le piú elette benedizioni per una carità, nobilmente pietosa e opportuna. Dono poi accettissimo fecero al P. Piccardo più di cento sacerdoti, già suoi alunni, che nel giorno del giubileo, 6 giugno, applicarono la S. Messa secondo l’intenzione del loro antico Direttore e Padre, giusta la proposta fatta ad essi con la circolare già ricordata. Un gran numero di altri Monsignori e sacerdoti delle Diocesi di Genova e di Chiavari inviarono poesie, lettere e telegrammi. Si canti dunque un inno di grazie a Dio e alla Vergine Immacolata per la riuscita felice della funzione giubilare del P. Piccardo. Tributo di riconoscente omaggio sia reso al Sommo Pontefice Benedetto XV, che si degnò benedire e nobilitare le feste con la Sua Augusta partecipazione; un vivo ringraziamento sia offerto a quanti in qualunque maniera vi presero parte. E tutto infine ridondi a gloria del Sacerdote Eterno, Gesù Cristo, ad onore della sua Divina Madre, Maria Immacolata, a trionfo della sua Chiesa, a maggior decoro e bene di tutto il clero cattolico, che nel P. Piccardo trova un luminoso esempio delle opere egregie, che può compiere un sacerdote, fedele alla sua vocazione, ai suoi Superiori e al Sommo Pontefice, Pastore, Maestro, Padre universale del clero e del popolo cristiano. P. LUIGI PROFUMO S. I. NOTE PERSONALI (Dall’Archivio della Casa Generalizia) Nato a Voltri il 14 dicembre 1844 da famiglia distintissima, egregiamente educato, compí con il fratello Ing. Tommaso nel Collegio Nazionale di Genova il corso Ginnasiale e Liceale. Di là per seguire la voce di Dio che lo chiamava al Sacerdozio, passò al Seminario per lo studio della Teologia. Quivi, mentre già Diacono e Prefetto della Camerata dei Piccoli, attendeva il giorno della sua Ordinazione, dal suo condiscepolo, il Ch. G. Battista Semino, che gli fu piú tardi collaboratore e morí Canonico di Nostra Signora Assunta in Carignano, gli fu fatta proposta di assumere la direzione dell’allora nascente Istituto dei Figli di Santa Maria Immacolata, poiché il Ven. Priore di Santa Sabina, il Frassinetti, nelle cui mani era sorto e che da anni lo dirigeva nello spirito, aveva chiesto chi in quell’ufficio lo sostituisse, non potendo lui, parroco attendervi, né volendo Pietro Olivari che ne aveva temporaneamente il governo, lui secolare e Direttore della Tipografia degli Artigianelli, piú oltre essere capo di una Casa di giovani chierici. Accettò di buon grado il Piccardo l’invito. E il Frassinetti sulle ottime referenze che di lui ebbe, ne fu pienamente soddisfatto. 9 Ma nell’attesa che il giovane Diacono, ordinato Sacerdote, potesse assumere quell’ufficio, il Frassinetti fu da repentino morbo rapito il 2 gennaio 1868, senza che neppure avesse potuto con lui incontrarsi. Nell’ottobre pertanto dell’anno medesimo, con il pieno consenso di S. E. Rev.ma Mons. Andrea Charvaz, allora Arcivescovo di Genova, assunse il Piccardo la Direzione dell’Istituto che era allora appena la terzo anno. Da quel punto la vita di Don Piccardo si fonde e compenetra con quella della Pia Casa dei Figli di Maria. Egli non visse piú che per essa. Tutte le sue piú belle doti di cuore e di ingegno, le piú felici risorse del suo genio intraprendente e calmo ad u tempo, oculato e costante, le simpatie che ben presto si cattivò tra il ceto Signorile dei cattolici genovesi, donde attingeva gli aiuti pecuniari per i suoi giovinetti nella massima parte poverissimi, lo spirito di dedizione completa per la loro formazione morale e culturale, ove palesò qualità singolari di valente educatore, l’amabilità del tratto, il segreto di un regime autorevole e insieme paterno, tutto in una parola, mise in opera a pro della Pia Casa, che per lui giunse ad una invidiabile prosperità. Né fu contento di questo; che oltre alla Casa di Genova altre due ne aperse che fossero come avviamento o complemento alla principale: quella di S. Giuseppe in Pra per gli alunni piú piccoli e quella della S. Famiglia a Rivarolo, che si trasformò piú tardi in Collegio secolare floridissimo. Quanto alla Casa di Genova, che contava ormai piú di cento alunni, poteva essa ben dirsi un nuovo Seminario. Fu allora che Mons. Tommaso Reggio, succeduto nel 1892 a Mons. Salvatore Magnasco, che la Casa dei Figli di Maria aveva tanto efficacemente sovvenuta e sostenuta, volendo dare ai vari Seminari dell’Archidiocesi un indirizzo uniforme, nominò il P. Piccardo Direttore generale di tutti i Seminari. Nel qual alto ufficio durò egli sette anni ristorando le finanze del grande Seminario e instaurando quel regime paterno che era che era a lui famigliare ed era altresì nel desiderio di Mons. Reggio. Succeduto nel governo dell’Archidiocesi Mons. Edoardo Pulciano la Casa dei Figli di Maria, che già per le nuove disposizioni di Mons. Reggio aveva sofferto non poco nella quasi totale assenza del P. Piccardo, dovette cessare affatto da ogni sua attività in Diocesi. , non avendo essa fondamento giuridico, nata e cresciuta com’era, appoggiata solo alla benevolenza degli Arcivescovi che ne apprezzavano altamente l’utilità provvidenziale: e volendola d’altra parte il novello Arcivescovo incorporata al Seminario e a quello volendo aggiudicati i fondi donde essa traeva sussistenza. Fu allora che il Piccardo, ritirandosi dall’ufficio di rettore dei Seminari Diocesani giudicò venuto il momento di addivenire alla trasformazione dell’Opera in vera e propria Congregazione, cosa di cui già da anni si era andato maturando il disegno da lui e dai suoi primi collaboratori e sul consiglio e le premure di alte dignità ecclesiastiche. E apparve provvidenziale che recatosi a Roma per iniziarvi le pratiche, S.S. Leone XIII e per lui il Cardinale Respighi, suo Card. Vicario gli comandassero di aprire una Casa in Roma che fosse di valido aiuto alla instaurazione della disciplina Ecclesiastica per il numeroso contingente di Sacerdoti e di Chierici accorrenti in Roma per ragioni di studi Superiori. Incontrato cosí all’opera che corrispose all’aspettazione il gradimento e le simpatie del Venerato successore di S. S. Leone XIII, Pio X, risolta ogni vertenza con l’Arcivescovo Pulciano, ebbe agio di gettare le basi della nuova Congregazione Pontificii juris che fu definitivamente approvata con Motu proprio il 21 maggio 1904. Di essa fu Superiore Generale fino alla morte estendendone l’attività anche nell’Archidiocesi di Siena con il fondarvi l’Istituto S. Cuore che all’Archidiocesi arrecò e arreca ottimi frutti. A Roma il P. Piccardo cessava di vivere tra il compianto degli antichi e dei nuovi figli, il cui affetto e la cui venerazione non gli vennero mai meno, il 3 novembre 1925 in età di anni 81. Dal Cielo, dove, come è da sperarsi, gode ora il premio del suo lungo lavoro, egli guarda e protegge la nostra Congregazione, che slargando la cerchia delle sue attività, al primitivo 10 scopo della educazione ed istruzione della gioventú religiosa, aggiunse quella del S. Ministero a Fiumicino e a Porto in Italia e quella ancora delle missioni in Argentina, mentre in Roma prosegue felicemente l’opera sua nell’Istituto Ecclesiastico di Via del Mascherone, confortata dalla benevolenza speciale della S. Sede e del Vicariato, benevolenza che con l’aiuto del Cielo e il patrocinio dell’Immacolata confida non demeritare mai per l’avvenire. SAN PIO X ED IL PICCARDO 11 PRIMO SUPERIORE GENERALE DELLA CONGREGAZIONE DEI FIGLI DI SANTA MARIA IMMACOLATA P. GIOVANNI VACCARI Roma 1951 STAB. TIPO-LITOGRAFICO V. FERRI Via delle Coppelle 16/8 Il 20 agosto 1914, il Santo Padre Pio X "benedicendo alla pace e non alla guerra" 1, terminava quasi improvvisamente la sua santa esistenza; dinnanzi al profilarsi del primo conflitto mondiale, con la prevedibile sequela di lutti e di rovine, il suo grande paterno cuore cessò di battere. Il mondo intero si commosse alla scomparsa di Pio X e spontaneamente lo definí "la prima vittima della guerra". Il P. Antonio Piccardo, primo Superiore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata, che al defunto Pontefice era unito dai piú stretti vincoli di filiale devozione e intima riconoscenza, nell'apprendere la ferale notizia, scrisse una circolare per le sue Case religiose, in cui scolpisce la figura di Pio X con queste parole: “Pio X nostro, ben può dirsi, Autore, Benefattore Augusto e Padre amantissimo e amabilissimo". Questa definizione non era dovuta alla commozione del momento, ma aveva suo fondamento nella genuina realtà dei fatti, come lo attestano e proclamano la sua diretta opera per la costituzione della Congregazione e gli incessanti atti di paterna bontà e sovrana generosità. 1 Risposta al messaggio dell’imperatore Francesco Giuseppe di Austria. 12 -INella prima metà. del mese di ottobre 1902, al palazzo del Vicariato di Roma, si svolgeva tra il Card. Vicario Pietro Respighi e Don Antonio Piccardo, Direttore dei Figli di Maria di Genova questo colloquio, riferito in una sua nota di cronaca dal P. Antonio Minetti: “Ho sentito che voi avete aperto diversi collegi a Genova, ora bisogna che ne apriate uno qui a Roma. Il S. Padre Leone XIII vorrebbe, e lo desiderava già da tempo, che si aprisse un collegio per i Chierici e Sacerdoti studenti che vengono a Roma dalle province, ed abitano in case private”. “Come posso assumere questa impresa?” rispose Don Piccardo. “Voi, aggiunse il Card Vicario, siete l'uomo della Provvidenza e dovete assumervi questa impresa, parlatene con i vostri Sacerdoti della Casa di Genova e poi mi darete una risposta. All'Arcivescovo direte che il Cardinale Vicario vi ha pregato di aprire una casa a Roma e non potrà avere nessuna difficoltà”. Io veramente ero venuto per avere le norme onde fondare la Congregazione ... “ “Si farà, anche questa, ma prima occorre che apriate il Collegio; poi si penserà alla Congregazione”. Don Piccardo tornò a Genova, espose la proposta del Card. Vicario giusta il desiderio del Papa e i Sacerdoti risposero "A Roma non si dice mai di no". Ad un mese di distanza da questo colloquio, l'Istituto Ecclesiastico Maria Immacolata aveva già iniziato la sua vita; per il primo anno, sua provvisoria sede fu l'ospizio dei Cento Preti al Lungo Tevere Vallati e quindi nella sua propria definitiva sede nel Palazzo Sinibaldi in Via del Mascherone, già antica residenza dei Cavalieri Teutonici. Ad un anno poi dalla sua fondazione, sia per il suo interno funzionamento, come per i risultati morali e scolastici conseguiti dagli alunni dell'Istituto, si. ebbe la conferma che la fiducia in Don Piccardo e suoi collaboratori era stata ben riposta. “E poi si penserà alla Congregazione ..." Il Cardinale Vicario aveva impegnato la sua parola, 1'Immacolata l'aveva raccolta, e voleva esaudire le lunghe ardenti aspirazioni dei suoi figli devoti e fedeli. Era intanto il 4 agosto 1903, salito alla Cattedra di S. Pietro il Cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia, con il none di Pio X; questi confermando per suo Vicario a Roma il Card Respighi, prese sotto la sua personale protezione Don Piccardo e l'opera dei Figli di Maria; alla luce degli avvenimenti si scorge in modo evidente che Egli era il Papa destinato dalla Provvidenza a dare forma canonica all'Opera sgorgata dal grande cuore sacerdotale del Priore Giuseppe Frassinetti, dallo stesso Pio X definito “Sacerdote di sublime pietà e di singolare dottrina”. Il primo passo, anzi vero passo obbligato, a raggiungere la perfezione giuridica dell'Opera dei Figli di Maria, fu la erezione della Congregazione di diritto diocesano romano, con il Decreto 8 Dicembre 1903 che comincia con le parole “Anno 1866 Sacerdos Joseph Frassinetti” e porta la firma del Card. Vicario Pietro Respighi. Per arrivare però a questo, vi furono non lievi e non poche difficoltà: lo conferma uno scritto del Card. Respighi dell'11 settembre 1903 inviato a Mons. Francesco Faberi, che era il suo rappresentante presso i Figli di Maria: “Mi preme di poter riuscire con sollecitudine a superare ogni difficoltà”, ciò si poté avverare perché di fianco al Cardinale Respighi si era messo lo stesso Sommo Pontefice Pio X, come é dimostrato dalla relazione di due udienze, concesse a Don Piccardo il 20 ottobre e 14 novembre del 1903. In rapporto alla prima udienza, D. Tommaso Gaggero, nelle memorie che ha lasciato, scrisse: “Pio X assicurò il Direttore, in presenza di Mons. Arcivescovo di Genova, che le cose della Casa dei Figli di Maria erano aggiustate”. E in rapporto alla seconda, Don Minetti scrisse nelle sue preziose note di cronaca che il Papa disse al Direttore: “A poco a poco si 13 farà tutto”. La erezione della Congregazione diocesana romana è stata definita ''il primo passo obbligato"; cosí è di tutte le istituzioni e il raggiungimento della meta ultima, ossia il riconoscimento di diritto pontificio per un Istituto religioso è lungo e spesso molto lungo. Pio X per i “suoi" Figli di Maria, sentiva dilatarsi sempre piú i palpiti del suo.cuore paterno e solo qui troviamo la ragione per cui decise di accelerare i tempi. Egli, raffigurato dall’Ignis ardens di Malachia, avendo impostato il suo programma pontificale sul motto paolino: “Instaurare omnia in Christo", cominciando dal Clero, si sentí istintivamente portato verso il Padre Piccardo e i suoi figli che lo coadiuvavano con tanto zelo, tanto sacrificio e tanta generosità, in questo campo, nel centro stesso della cattolicità e della sua Diocesi di Roma; questo sentimento si fondava non sole sull'affetto a Padre Piccardo ma anche sulla gratitudine per quanto già aveva operato per la Chiesa e per la stima e fiducia per il lavoro che veniva compiendo sotto il suo sguardo e sotto le sue direttive. Questo affetto, questa gratitudine, questa stima, questa fiducia, fecero dire a Pio X nella udienza a P. Piccardo del 27 Marzo 1904, come riferisce il P. Minetti: “Venite qualche volta a trovarmi". "" Mentre Pio X faceva questo paterno invito, studiava già il modo di dare al suo dilettissimo figlio la piú grande ed intima soddisfazione di vedere il fastigio del perfezionamento giuridico di quella opera che aveva preso bambina dalle mani del Fondatore e l'aveva portata a rigoglioso sviluppo; nessuno però immaginava fin dove poteva arrivare questa veramente sconfinata paterna bontà. Il sabato 21 maggio 1904, vigilia della Pentecoste, Pio X in una udienza» concessa al Suo Cardinale Vicario Pietro Respighi, gli comunicava.con una decisione piú unica che rara negli annali della Chiesa, che intendeva concedere il Decretum laudis alla Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata, elevandola in questa eccezionale maniera, a neanche sei mesi di distanza dalla erezione in ente religioso di Diritto diocesano, in quello di Diritto pontificio. .Pio X volle questa erezione speciale, perché l'Istituto dei Figli di S. Maria Immacolata fosse il primo ad avere da lui il Decretum laudis e cosí i suoi membri potessero essere i figli primogeniti nel campo delle Congregazioni religiose. Nel "Motu proprio" di erezione, che comincia con le parole "In nomine Christi: Amen. Nell'udienza benignamente accordata da Sua Santità Pio X al sottoscritto Card. Vicario il giorno 21 maggio 1904, ecc." si leggono parole che dimostrano la bontà di Pio X verso l'opera dei Figli di Maria, "la quale, come si legge al n. 8, benché appena nascente nella forma di Congregazione, ha meritato la piena fiducia della S. Sede, che ad essa ha affidato uno dei piú importanti Istituti di educazione ecclesiastica in Roma". Nello stesso documento, per i Figli di Maria vera "Magna charta" si trova anche scritto la soluzione della questione della proprietà dei beni che la Opera era venuta ad avere: "Si loda e si approva, rendendola fin d'ora canonica la donazione di tutti i beni posseduti dai Figli di S. Maria Immacolata, eretta in Roma con Decreto del Cardinale Vicario in data 8 dicembre 1903.'' (art. l). A togliere poi ogni dubbio, il "Motu proprio" specifica: “La Congregazione dei Figli di S. Maria Immacolata avrà piena libertà, anzi vero obbligo di continuare nelle Case dell'Archidiocesi di Genova le opere finora tenute da Don Piccardo e potrà e dovrà la Congregazione mediante il Superiore Generale, che oggi è lo stesso P. Piccardo, visitarle, dirigerle e governarle, salvi i diritti dell’Ordinario”. (art. 6) Pio X poi, quasi a mettere i Figli di Maria sotto il continuo suo sguardo, stabiliva che: "Il Cardinale Vicario - pro tempore - di Roma sarà il Protettore nato della Congregazione". (Art.9) Alla distanza di solo 20 giorni dal "Motu proprio” Pio X provava una vera soddisfazione che gli dimostrava che "la piena fiducia della S. Sede che ai Figli di Maria ha affidato uno dei piú importanti Istituti di educazione ecclesiastica in Roma" era stata ben riposta. 14 Il giovedí 9 giugno 1904 il Chierico Adolfo Braccini di Pisa, alunno dell'Istituto Ecclesiastico Maria Immacolata, veniva scelto insieme ai Chierici Luigi Tonetti del Seminario Pio e Guglielmo Carozzi del Seminario romano, a discutere una tesi di Teologia, alla presenza del Papa Pio X e del Sacro Collegio; il Braccini, come pure i colleghi, superò "' brillantemente la prova, al punto che Pio X si compiacque personalmente congratularsi e proclamarlo "dottore in Sacra Teologia, della quale doveva poi per 40 anni essere apprezzato maestro nel Seminario Pisano. - II Il "Motu proprio" di Pio X del 21 Maggio 1904 doveva dopo poco piú. di due anni fornire una nuova occasione per una grande e spontanea dichiarazione ufficiale di benevolenza. La maniera cosí eccezionale di concedere il "Decretum laudis" fece in seguito sorgere il dubbio, presso il competente Dicastero dei Religiosi, se si trattasse di una semplice parola di lode, dato il bene grande operato dai Figli di Maria in Liguria, prima e poi anche in Roma, oppure del tradizionale "Decretum Laudis" con cui gli Istituti religiosi diocesani venivano riconosciuti come Enti di diritto pontificio. '"' Il Card. Vicario Pietro Respighi, come protettore della Congregazione, si interessò della cosa, e ciò si desume dal documento ufficiale, che sotto forma di lettera in data 8 gennaio 1907 rimise nelle mani del Card. Domenico Ferrata, Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Il documento é scritto in questi termini: “Nelle disposizioni prese dal S. Padre Pio X il 21 maggio 1904 .... si legge al n. 11 quanto segue: “La presente disposizione tiene luogo per la Congregazione dei Figli di S. Maria Immacolata di "Decretum laudis" Il P. Antonio Piccardo mi ha riferito che presso la Segreteria di codesta Sacra Congregazione, si é dubbiosi sull'interpretazione di detto articolo. Nell'udienza dello scorso sabato, 5 corrente gennaio (1907) il Santo Padre (Pio X) da me interrogato in proposito, ha dichiarato che avendo Egli stesso dettato quell'articolo di Motu proprio, senza suggerimento di alcuno, intese di dare un. attestato di specialissima stima e "benevolenza alla nostra Congregazione, concedendole realmente il Decretum laudis, con tutti gli effetti canonici, come se lo avesse ricevuto nella forma consueta per organo di codesta Sacra Congregazione. Tanto io dovevo comunicare a Vostra Eminenza per incarico ricevuto dalla stessa Sua Santità. F. to Pietro Respighi Protettore della Congregazione dei Figli di S. Maria Imm.ta La Congregazione deve viva riconoscenza al Card. Ferrata per aver provocato queste dichiarazioni del Santo Padre Pio X, che hanno confermato le sue particolari intenzioni nella formulazione del Motu proprio 21 maggio 1904 e che hanno sciolto ogni eventuale dubbio, prima della scomparsa degli attori del fondamentale documento. Il 17 giugno successivo al "Motu proprio"del 21 maggio, il P. Piccardo veniva ricevuto in privata udienza da Pio X per esternargli i grati sensi dell'animo suo e di tutti i Figli di Maria per l'atto di sovrana degnazione e paterna bontà avuta per loro. Pio X gradí questo doveroso atto di omaggio e benedisse non solo il P. Piccardo e quelli che erano con lui, ma tutti i Figli di Maria e i loro alunni concedendo per la circostanza l'Indulgenza Plenaria. -III Eretta la Congregazione religiosa di diritto pontificio, risolta la fondamentale questione della proprietà dei beni dell'Opera, che la bontà di Pio X aveva affidato per lo studio ai due 15 Eminentissimi Cardinali Pietro Respighi e Raffaele Vivez y Tuto, come arbitri, riservandosi personalmente la presidenza; procurata una decorosa sede per la Casa generalizia nel Palazzo Sinibaldi in Via del Mascherone, ed ivi costruito anche il locale per il Noviziato, corrispondente alle prescrizioni canoniche, non restava che mettere il suggello ed iniziare con la emissione dei voti, la completa vita religiosa, secondo la parola e lo spirito delle Costituzioni. La preparazione a questo atto solenne venne affidata a due eminenti figli di S. Giovanni Bosco, ossia a Don Giovanni Marenco, Procuratore Generale dei Salesiani, e a Don Colussi, parroco del S. Cuore al Castro Pretorio: erano presenti nove sacerdoti, i quali emisero. la professione religiosa il mattino della domenica 2 Ottobre 1904, nelle mani del Card. Pietro Respighi, nella sua qualità di Protettore della Congregazione. Anche per questa cerimonia, che dava forma completa alla Congregazione, non poteva mancare una nuova prova della benevolenza paterna di Pio X, ossia la dispensa dal noviziato dei novi sacerdoti professandi, comunicata personalmente da Pio X al Cardinale Protettore, nell'udienza concessagli il 24 settembre 1904. Il Cardinale si compiacque rivolgere un discorso ai nuovi professi, come riferisce sotto la data "del 2 Ottobre 1904”, il P. Tommaso Gaggero nelle sue memorie: Il Cardinale disse che il Santo Padre Pio X si interessa molto di questa nostra funzione e volle essere presente nominando Egli stesso il primo Superiore Generale della Congregazione nella persona del P. Piccardo e concedendo a tutti l'Indulgenza Plenaria. A cerimonia ultimata, il Cardinale Protettore fece leggere da Mons. Faberi il rescritto.con cui Pio X eleggeva il primo Superiore Generale della Congregazione. "dall'udienza dell’1 ottobre 1904. "Per la maggior gloria di Dio e lo sviluppo della Congregazione, Sua Sannitá Pio X considerando la virtú, lo spirito religioso, lo spirito di pietà e la devozione alla Sede Apostolica, del rev. mo Padre Antonio Piccardo, il quale portò a rigogliosissimo frutto l'opera appena iniziata dal piissimo Sacerdote genovese Giuseppe Frassinetti, lo elegge, con il piú vivo senso di affetto -ultro libentique animo- Superiore Generale di tutta la Congregazione per il prossimo sessennio (1904-1910). f.to Pietro Respighi. Card. Vicario". La grande e, per i Figli di Maria, veramente storica giornata del 2 ottobre 1904, nella quale si emisero i primi voti religiosi, seguiti dalla celebrazione di un importante Capitolo generale, ebbe la sua conclusione due giorni dopo, martedí 4 ottobre, festa di S. Francesco di Assisi, ai piedi di Pio X, in Vaticano. Di questa udienza ci lasciò una fedele descrizione il P. Giacomo Bruzzone, che era presente. "Il S. Padre Pio X ci accolse con benevolenza. piú che paterna nella sua biblioteca, ci fece sedere intorno al suo tavolo di studio, intrattenendoci per circa dieci minuti alla Sua Augusta presenza. Ci esortò ad essere ubbidienti al Superiore Generale e fedeli alle Costituzioni della nostra novella Congregazione. Ci benedisse due volte, ci diede a baciare la Sua Augusta mano augurandoci frutti copiosi non solo per il lavoro nel nostro Collegio di Roma, ma nell'Italia tutta a mezzo dei Collegiali educati da noi. Ad multos annos, o Padre Santo, concludeva il P. Bruzzone, Vi conservi il Signore al nostro affetto e al bene della Chiesa." La stampa cattolica fece cenno, sia della nostra Congregazione, come di questa udienza del Sommo Pontefice: riportiamo qui alcune parti di un articolo, dovuto al P. Carlo Olivari, Direttore del Settimanale genovese "L’Amico delle Famiglie" nel suo numero del 30 Ottobre 1904: 16 "La sovrana benevolenza di Pio X ebbe una novella prova allorché Sua Santità il martedí 4 ottobre si degnò ricevere in particolare udienza il Rev.mo P. Piccardo, con i suoi primi professi e con i suoi primi Novizi. Si sa della consueta bontà con cui Pio X accoglie quanti vanno a Lui, ma quella che Egli usò verso i Figli di Maria fu veramente una cordialità paterna. Parlò ad essi dei favori del Signore e dalla protezione della Madonna, li esortò a corrispondere alle grazie di Dio, disse del bene che si riprometteva dalla nuova Congregazione e del Suo gradimento per l'opera che essa già presta a Roma e li benediceva con effusione di cuore". Già il primo maggio di questo anno 1904 aveva voluto ammettere alla Sua presenza - come poi avrebbe fatto in tutti gli anni del Suo Pontificato - con i Superiori, anche tutti gli alunni dell'Istituto Ecclesiastico Maria Immacolata, aprendo con essi il suo animo e facendo sentire le vibrazioni del Suo apostolico zelo per innamorarli al bene, nel servizio dl Dio e nella cura delle anime supremi ideali nell'incessante Sua sollecitudine pastorale per tutto rinnovare in Cristo. In tutte queste udienza concesse, Pio X volle sempre dimostrarsi Padre e maestro: padre per le rinnovate manifestazioni del Suo paterno affetto, e maestro per le sapienti norme di vita ecclesiastica o religiosa che fluivano con assoluta spontaneità da un cuore plasmato sul cuore stesso del Divino Maestro. - IV Questo affetto non restringeva alle sole parole o si esauriva in vaghe espressioni, ma si manifestava anche esternamente e materialmente. Appena eletto Papa, dopo aver confermato a suo Vicario per Roma il Card. Respighi, è informato che il P. Piccardo ha provvisto con sommo disinteresse, ma anche con grande sacrificio, un palazzo in Via del Mascherone che in quei giorni si veniva trasformando e allargando perché potesse corrispondere alla nuova missione di ospitare una grande comunità. Pio X conosce perfettamente che per rendere ciò possibile, il Piccardo ha dovuto sacrificare, alienandolo, metà del piazzale di ricreazione nella Casa Madre di Genova, e spontaneamente si offre per concorrere ad attrezzare il nuovo Istituto, inviando venti letti del Conclave -letti semplici in ferro come si usa nelle comunità religiose- con rispettivi venti quadri in tela per mettere sopra ai letti, rappresentanti la Madonna di Raffaello. Invia inoltre altri quadri per corridoi, sale e cappelle ed alcuni di questi anche di un certo valore artistico come il quadro della S. Famiglia del Capparoni e quello rappresentante Enrico IV a Canossa del romano Pietro Aldi. Si compiacque inoltre provvedere apparati per la Cappella, pianete e ternari, e grande quantità di biancheria per altare, la Congregazione dei Figli di Maria era la sua prima creatura nel campo delle istituzioni religiose e ad essa diede tutto il suo cuore come un padre può fare par il suo primogenito. -VIl Santo Padre Pio X si é sempre trovato, anche in seguito al fianco dei “suoi” Figli di Maria in tutto quello che poteva riguardare la vita della Congregazione, le sue necessità come pure le sue iniziative. Nell'anno stesso 1904, anno nel quale la Congregazione raggiunse il suo perfezionamento giuridico, la Chiesa veniva ricordando con manifestazione di particolare solennità, il cinquantenario della proclamazione del dogma dell'Immacolato Concepimento di Maria. In tutto il mondo cattolico si veniva celebrando il fausto avvenimento nella maniera piú solenne. Non poteva e non doveva mancare a questo mirabile inno che i figli elevavano 17 all'Immacolata, una strofa, riboccante di riconoscenza e di affetto da parte della novella Congregazione, che sotto il suo sguardo era nata e sotto la sua protezione, si era sviluppata. Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo, che il suo provvidenziale e fecondo apostolato aveva svolto, secondo lo spirito del Frassinetti, innamorando gli alunni delle sue tre particolari devozioni: Eucaristia, Immacolata e il Papa, non si lasciò sfuggire questa favorevole occasione, per promuovere particolari solennità in tutte le Case e volle che nella Casa Generalizia di Roma e nella Casa Madre di Genova fossero celebrate con il maggiore possibile splendore, come pubblica e devota attestazione di filiale riconoscenza per le grazie straordinarie che Essa si era compiaciuta di concedere ai suoi figli, proprio nell'anno giubilare. Queste feste di Roma e di Genova, che si svolsero a chiusura dell'anno scolastico 1904-905 furono precedute da un atto, soffuso di mistico e sublime significato. Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo, accompagnato da tutta la Comunità di Roma, in una udienza che Pio X si era compiaciuto accordare, aveva voluto deporre nelle auguste mani del Santo Pontefice l'offerta della Congregazione per la nuova aurea e gemmata corona di cui aveva stabilito cingerne la fronte dell'Immacolata in S. Pietro: tra i riflessi della regale corona e il fulgore delle sue preziose gemme, espressione di vivo amore di milioni e milioni di cuori, non poteva mancare un raggio di scintillante luce per eternare la riconoscenza dei Figli di Maria alla loro amatissima Madre. Nella lieta circostanza delle feste giubilari, filiale gratitudine da una parte e paterno affetto dall'altra, si incontrarono i cuori e gli animi dei Figli di Maria con quelli del Papa Pio X; delle feste di Roma, il Papa volle esserne informato dal Cardinale Vicario, e per le feste di Genova, si compiacque inviare quattro magnifiche palme di fiori per l'altare, confezionate esclusivamente con piume di uccelli della varia e ricca fauna brasiliana. Il Papa gradí tanto un messaggio che gli aveva mandato il Padre Piccardo e si compiaceva rispondere con parole e sentimenti che, come carezza materna, scendono nell'intimo dei cuori: Egli telegrafava a Genova: “Congregazione Figli di Maria aveva titoli speciali per celebrare cinquantesimo definizione Immacolata. Santo Padre lieto tali feste giubilari siano onorate presenza vari Vescovi e soprattutto Mons. Arcivescovo Diocesano, donde trae buoni auspici per le opere della benemerita Congregazione, la benedice di cuore insieme ai Superiori e agli alunni, antichi e moderni dei Collegi della Liguria e di Roma, convenuti ad onorare Maria nella Casa dei Figli suoi. Card. Merry del Val. Questo messaggio di Pio X, nella frase che ricorda la presenza "sopratutto Mons. Arcivescovo Diocesano" dà una particolare nota alla benevolenza del Papa per i Figli di Maria. La trasformazione dell'Opera in Congregazione, lo spostamento del centro da Genova a Roma, le inevitabili interferenze tra i Figli di Maria e la Curia Genovese, dato lo scopo di avviare i giovani alla carriera ecclesiastica, avevano fatto sorgere discussioni, riserve ed anche qualche diffidenza. Pio X si era deciso a mettersi al fianco dei Figli dl Maria e il 21 Maggio 1904 aveva dettato un Motu proprio che, mentre inseriva l'Opera dei Figli di Maria nel tronco vitale della Chiesa cattolica come regolare Congregazione religiosa di diritto pontificio, aveva risolto tutte le pendenze in modo da rasserenare l'orizzonte. All'atto del Papa rispose l'Arcivescovo di Genova e rispose in quel modo che mette in risalto la sua uniformità ai voleri del Papa, la sua personale virtú e la rettitudine delle sue intenzioni. Per le feste giubilari dell'Immacolata nella Casa di Genova, l'Arcivescovo venne tra i Figli di Maria a celebrare la S. Messa della Comunione e si compiacque sedere con loro a 18 quella mensa, dove erano presenti tra gli antichi alunni, oltre duecento sacerdoti; in quel giorno un bel sole tolse ogni zona d'ombra. - VI – Il Piccardo volendo i solenni festeggiamenti all'Immacolata dispose che si ricordasse anche il Fondatore, Priore Giuseppe Frassinetti del quale proprio nell'ottava della festa dell'Immacolata il 15 Dicembre del 1904, ricorreva il primo centenario della nascita: felice coincidenza anche questa, per cui era possibile festeggiare con l'Immacolata Patrona, la memoria di chi, gettandone le basi, volle a Lei Sacro quell'Istituto che fu la pupilla degli occhi suoi. Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo non si contentò di semplici commemorazioni o rievocazioni, ma volle erigere al Fondatore un monumento, stanziando, insieme al Suo Consiglio Superiore, a fondo perduto, la somma, allora ingente, di lire centomila per la stampa di tutti i suoi scritti, editi e inediti, che diede una collana di 15 volumi, vero arco trionfale attorno alla gigantesca figura di Giuseppe Frassinetti. Di questa poderosa e ponderosa iniziativa ne fu informato il Papa Pio X con lettera del 24 giugno 1906, pregandolo nello stesso tempo di compiacersi accettare la dedica dell'Opera omnia. “La prima edizione completa delle opere del Sac. Giuseppe Frassinetti, dice la lettera, non poteva con migliori auspici vedere la luce che con l’essere a Voi dedicata, Beatissimo Padre. E noi ponendo mano a questa pubblicazione, siamo lieti di potere ad un tempo rendere omaggio di venerazione filiale a Colui, che a buon titolo, consideriamo come Fondatore del nostro Istituto ed un attestato di ossequio e di gratitudine a Voi, Beatissimo Padre, che questo nostro Istituto, ora fatto Congregazione, avete riguardato e riguardate sempre con bontà veramente patema. E tanto piú ne siamo lieti, perché ... confidiamo fare cosa sommamente opportuna ai tempi nostri calamitosi e che bene risponde al concetto di quella restaurazione di ogni cosa in Cristo, che fu da Voi cosi felicemente proclamato nel primo inizio del Vostro glorioso pontificato ..." Pio X non si é accontentato far sapere che gradiva l'iniziativa ed accettava la dedica delle pubblicazioni del Frassinetti, erano i suoi prediletti figli che prendevano una generosa iniziativa, e con la data del 23 luglio 1906 volle inviare al Superiore Generale P. Antonio Piccardo, una "Lettera personale". In questo augusto documento, che impreziosisce la prima pagina dell'Opera omnia, Pio X dice che l'iniziativa di stampare le opere edite ed inedite del Frassinetti, è una cosa provvidenziale: nel suo lungo ministero pastorale aveva avuto modo di apprezzare la precisione e il retto spirito di tali scritti, che sono vera scuola di Santità. Pio X vuol mettere in rilievo la sapiente moderazione, che é caratteristica dell'autore e che é oggi particolarmente utile per la restaurazione della vita cristiana nel popolo. Acconsente volentieri che l'edizione sia dedicata al Suo Nome, specialmente per il bene che ne verrà alla Chiesa; ha parole di lode e plauso al P. Piccardo e ai suoi figli per l'opportunità della iniziativa e per i sacrifici che impone la sua realizzazione, e tutti singolarmente intende benedire. - VII Il cuore paterno di Pio X verso i Figli di Maria aveva sempre nuovi palpiti tutte le volte che si presentava qualche favorevole occasione: il 9 luglio si ricorda nella casa di Genova il 25.mo di Sacerdozio dei primi collaboratori di P. Piccardo, ossia D. Tomaso Gaggero, Don Carlo Olivari e Don Giobatta Mantero, ed Egli volle essere presente inviando un telegramma con la Sua Apostolica Benedizione. 19 Il 28 Giugno 1907 si inaugura la nuova artistica Cappella al Collegio Sacra Famiglia di Rivarolo Ligure, che viene benedetta dall'Arcivescovo di Genova Mons. Edoardo Pulciano e il Papa dona un completo servizio di candelieri per 1'altare.2 Lo stesso P. Minetti nell'estate del 1909 presenta al Papa la sua grammatica di canto gregoriano; è la prima opera del genere che si stampa in Italia, suscitando un vero consenso tra i Seminari, gli Istituti religiosi e le scuole di canto; Pio X che con suo Motu proprio del 22 novembre 1903 aveva dato un nuovo indirizzo alla musica sacra in genere, ebbe per P. Minetti le lodi piú ampie e gli fece anche inviare dalla Vaticana parecchie copie dei libri di canto gregoriano per la cui stampa il P. Minetti aveva fatto particolare scuola ai tipografi. Questo umile religioso, scomparso il 12 Luglio 1931 lasciando un profumo di vera santità non si é accontentato di mettere a disposizione dei Chierici e dei fedeli un manuale per imparare il canto gregoriano, ma tanto fece presso il Superiore Generale P. Antonio Piccardo, che questi si decise a cedere gli indispensabili locali, nel suo Istituto, perché vi si potesse iniziare quella scuola Superiore di Musica Sacra che stava tanto a cuore a Pio X. La inaugurazione fu fatta il 5 gennaio 1911 e la Casa Generalizia dei Figli di Maria ebbe l'onore di vedere per la circostanza tra le sue mura il Cardinale Mariano Rampolla del Tindaro e i Maestri Lorenzo Perosi, Raffaele Casimiri, Licinio Refice e Giulio Boezi. Pio X ne provò gioia vivissima, perché era sicuro che da questo centro la riforma della musica sacra si sarebbe diffusa in tutto il mondo; il 4 novembre 1911 mandava al Card. Rampolla, nella sua qualifica di Protettore della Associazione Santa Cecilia e della Scuola Superiore di Musica Sacra, una "Lettera personale" di rallegramento e di auspicio, e in tale documento volle eternare la benemerenza dei Figli di Maria per aver favorito l'inizio del funzionamento della.auspicata Scuola Superiore. La “Lettera personale” comincia con le parole "Expleverunt desiderii nostri", e nella traduzione italiana dice: "Corrisposero appieno alla viva nostra aspettazione i frutti consolanti raccolti, come Ci venne riferito, dagli alunni della Scuola istituita in Roma il passato anno (scolastico) sotto i buoi auspici dalla Pia Società di S. Cecilia ed ospitata generosamente nella Sua Casa dal diletto figlio Antonio Piccardo, Superiore della Congregazione dei Figli di S. Maria Immacolata....." - VIII La grande bontà di Pio X verso il P. Antonio Piccardo ebbe manifestazioni di vera. famigliarità e si sarebbe tentati di dire di fraterna intimità: quando lo scorgeva, anche in pubbliche udienze, lo chiamava a sé per dirgli una parola speciale, rivestita sempre di quella sua particolare arguzia, che denotava la serenità del suo animo e il palpito del suo cuore paterno. Una sera il P. Piccardo, dopo la sua privata udienza, voleva presentare a Pio X due nipotine che in quella mattina avevano fatta la loro prima comunione. Il Papa anziché farle chiamare perché fossero introdotte alla Sua presenza, insieme ai loro famigliari, si alzò e disse al P. Piccardo: “Andiamo noi a cercare le bambine, intanto facciamo due passi”; la bianca figura del Papa Pio X apparve improvvisamente in una delle sale dell'appartamento pontificio e con la sua dolce e soave parola consolò e benedisse le bimbe e la loro famiglia. Il P. Piccardo veniva ricevuto da Pio X con una discreta frequenza e sempre gli consegnava qualche ricordo. 2 Il 23 settembre dello stesso anno 1907, il P. Antonio Minetti, conoscenza personale di Pio X celebra il suo giubileo per il 25° di Sacerdozio, e il Papa gli dona una sua fotografia con un magnifico autografo, che oggi è anche preziosa reliquia. 20 Il Papa gli diceva: “Avete niente da chiedermi?” P. Piccardo varie volte, animato da questa condiscendenza del Pontefice, gli presentava qualche domanda per particolari facoltà e Pio X vi scriveva sopra di proprio pugno la concessione; per questa ragione nell'archivio della Casa Generalizia conserviamo con religiosa cura sei fogli separati che portano la data dal 1906 al 1910, contenenti preziosi autografi del Santo Pontefice. Tra queste facoltà sono da ricordare quella di poter celebrare in tutte le Case della Congregazione una Messa nel Giovedí Santo e quella che concede 300 giorni di indulgenza ai membri della Congregazione ed alunni delle case che reciteranno la preghiera della Madonna della Divina Provvidenza. - IX L'anno 1910 si riallaccia al 1904 per gli atti di nuova paterna bontà e di sovrana generosità per la Congregazione. Il P. Piccardo aveva deciso di sistemare quel braccio dell’antica proprietà dei Sinibaldi, chiamato "il granaio" per poter aumentare le possibilità dell'Istituto Ecclesiastico, trasformando quel locale e rialzandolo di un piano, ne fece la sede dell'Istituto Ecclesiastico vero e proprio, mentre il palazzo Sinibaldi veniva destinato a Sede del Pensionato e degli ospiti. È stato questo un lavoro che importò sacrifici non pochi e non lievi, ed anche in questa circostanza, Pio X volle dare il suo contributo con varie offerte; il giorno poi della inaugurazione, 15 dicembre 1910, che coincideva con i festeggiamenti centenari in onore di S. Carlo Borromeo concesse a quanti vi parteciparono, l'indulgenza plenaria, con un suo venerato autografo. Il 1910 rimane però inciso a caratteri d'oro nella storia della Congregazione per un altro fatto, anzi storico fatto, ossia la sua definitiva approvazione come Istituto religioso di diritto pontificio e per l'approvazione ad tempus delle nuove Costituzioni. Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo, nella sua circolare del 21 giugno 1910 scriveva: “Mi é sommamente grato darvi il lieto annunzio che il S. Padre Pio X nella sua speciale benevolenza che si degna concederci, il 4 del presente giugno, aderendo al Voto della Congregazione plenaria dei Religiosi, tenutasi in Vaticano il 3 giugno stesso, festa del Sacratissimo Cuore di Gesú, concedeva il Decreto di approvazione definitiva del nostro Istituto e 1'approvazione ad sexennium delle nostre Costituzioni. Raccomando che sia sempre conservata viva memoria dei giorni 3 e 4 giugno come date particolarmente memorabili nella storia della nostra Congregazione”. Nella stessa Circolare il P. Antonio Piccardo ricorda l'udienza che Pio X concesse ai Figli di Maria, con queste parole: “Ripetiamo spesso la giaculatoria: Domine messis, mitte operarios in messem tuam”. Questo è anche il desiderio del Santo Padre Pio X, il quale nell'udienza dell'11 giugno (1910) quando insieme al Consiglio ci recammo ai Suoi piedi per ringraziarlo di tanta degnazione avuta verso di noi, fra le altre dolci e care parole disse queste: " Desidero che siate molti, per.che facciate molto bene nella Chiesa”. Questa espressione di Pio X è stata come un programma per il P. Piccardo, il quale moltiplicò il suo industrioso zelo per poterlo realizzare, e nella stessa giornata, dopo un colloquio con l'Arcivescovo di Siena Mons. Prospero Scaccia, cominciò a preparare il terreno per allargare anche in Siena l'operosità dei Figli di Maria in quell'Istituto del S. Cuore, che proprio in questi giorni ha rievocato il quarantennio di sua fecondissima esistenza. “Deve esser conservata la memoria di un'altra data particolarmente memorabile in questo anno 1910, ossia quella del 2 ottobre nella quale i primi sacerdoti professi, fecero i loro voti perpetui e nello stesso giorno aprí il terzo Capitolo generale, al quale parteciparono tutti i 21 sacerdoti della Congregazione, capitolo nel quale fu riconfermato come Superiore Generale il P. Antonio Piccardo. Questo Capitolo, nel quale furono studiati i mezzi per orientare l'attività delle varie Case della Congregazione secondo lo spirito delle Costituzioni e le direttive del Papa, si concluse il 6 del lo stesso ottobre ai piedi di Pio X in Vaticano. “Il S. Padre, é scritto in una relazione conservata in Archivio, manifestò a tutti e specialmente al Rev.mo P. Piccardo la sua benevolenza paterna e la sua sovrana compiacenza per il felicissimo esito del Capitolo generale e tutti con paterni consigli e con la sua benedizione confortò a continuare sulla buona via nell'esatta osservanza delle Costituzioni e stringendo sempre piú i vincoli della santa carità fraterna”.3 -XIl cuore di Pio X si consolava, quando poteva constatare personalmente che qualche giovane si aggregava alla Congregazione ed emetteva i suoi voti religiosi; questi giovani, che tra il 1905 e il 1914 fecero la professione religiosa, ebbero il grande privilegio di essere presentati a lui dal P. Piccardo, di baciarne la mano e riceverne questa direttiva “pregate il Signore che vi faccia buoni preti e religiosi”. Il 20 settembre del 1908, gli furono presentati dal P. Piccardo il postulante Giacomo Peluffo e un suo compagno4, Pio X si affissò in Peluffo e gli mise la mano sulla testa; certo il Santo Pontefice sentiva vicino a sé un giovane privilegiato per la sua angelica virtú e per la sua mente elettissima. Alla distanza di quasi 5 anni, il mattino del primo luglio 1913, il P. Piccardo, in una udienza, tra le lagrime, domandò al Papa una particolare benedizione per il giovane professo Peluffo, che era al termine della sua terrena giornata; Pio X0 gli concesse la facoltà di invitare il Vice Gerente di Roma, Mons. Giuseppe Ceppettelli, Patriarca di Costantinopoli a conferire al caro infermo la prima tonsura e i quattro ordini minori. La cosa non si poté eseguire, perché il Peluffo, rivestito della stola della sua innocenza se ne volava in seno al suo Signore, pochi istanti prima dell'arrivo del Vescovo. Nell'udienza concessa poi ogni anno alla comunità intera Pio X sembrava accendersi di nuovo fervore parlando ai giovani che si preparavano all'ordinazione sacerdotale, nei professi studenti vedeva i continuatori delle opere della "sua" Congregazione, e negli alunni dell'Istituto Ecclesiastico scorgeva i principali collaboratori dei Vescovi che li avevano inviati a Roma per il perfezionamento dei loro studi e per un completamento della loro formazione sacerdotale presso il dolce Cristo in terra. In queste udienze il Santo Pontefice versava in quei giovani cuori, come un effluvio di vita soprannaturale che li accendeva di santo zelo e li confermava nei piú saldi propositi di bene. Ben ventuno dei venti otto vescovi che l'Istituto Maria Immacolata ha dato alla Chiese appartengono al periodo del pontificato di Pio X. - XI La provvidenza Divina aveva suscitato in Pio X un Pontefice che ebbe la missione di restaurare ogni cosa in Cristo, con undici anni di apostolica operosità aveva impresso un ordine nuovo in tutti i campi, dove si svolge l’attività della Chiesa, nel ministero, nell’insegnamento, nella rivendicazione della purezza della dottrina cristiana, nella musica sacra e specie nel canto gregoriano, nella rivendicazione dei diritti e della libertà della Chiesa, nella prassi di ammettere i piccoli alla prima comunione, nel Diritto canonico promovendone l'opera grandiosa della codificazione, nei Dicasteri della Curia romana, nell’orientamento, 3 4 Dal "Cittadino" di Genova 8/10/1910 È l'estensore di questa memoria. 22 adeguato ai bisogni dei tempi, dei cattolici nella vita politica specie in Italia e nelle opere di assistenza sociale. Si avvicinava il momento nel quale il Suo Angelo Custode, messaggero dell'Eterno Pastore, gli avrebbe detto: “Orsú, servo buono e fedele entra nel gaudio del tuo Signore”. Il 20 agosto 1914, mentre si accendevano, come é detto al principio, le fosche vampate della prima guerra mondiale, Pio X, che il popolo nel suo infallibile intuito aveva proclamato il “Papa Santo” dinanzi allo scempio che cominciava a devastare l'Europa ne ebbe il cuore spezzato e offrendosi come vittima per la pace e salvezza del mondo si ricongiungeva al suo Signore. In questo atteggiamento di. offerta, lo ha voluto effigiare il Quattrini nel monumento che i Cardinali da lui creati gli hanno eretto in S. Pietro. La sua scomparsa impressionò il mondo cattolico e si ripercosse con particolare intensità sopra i Figli di Maria Immacolata, per quel sentimento di filiale affetto e doverosa riconoscenza che essi dovevano “al loro Padre”. Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo nella stessa data del 20 Agosto 1914 inviò alle Case una Circolare nella quale chiamava Pio X “nostro autore, benefattore augusto, padre amantissimo e amabilissimo" e diede le disposizioni per i suffragi da farsi in tutte le Case. La figura morale di Pio X fu, scolpita nella semplice lastra di marmo, soprastante la modesta arca contenente la venerata salma: PIUS P.P. X pauper et dives mitis et humilis corde reique catholicae vindex fortis restaurare omnia in Christo satagens pie obiit 20 augusti 1914 A questa tomba, come ad altare, ha subito cominciato ad avvicinarsi il popolo; fiori, candele, tabelle votive denotavano il progressivo sentimento di venerazione verso la sua memoria e di impetrazione di grazie, per la sua Santità, che veniva universalmente riconosciuta. Si cominciò per tempo a raccogliere memorie e documenti per la Causa di Beatificazione. Il Superiore Generale P. Antonio Piccardo mandò al Postulatore, Abate Pierani dei Vallombrosiani, il suo voto con queste parole: “Al Voto unanime che da tante parti del mondo cattolico si leva per la Beatificazione dell'amabile Pontefice Pio X unisco il suo fervidissimo e quello della Congregazione, Antonio Piccardo, Superiore Generale dei Figli di S. Maria Immacolata, affrettando con i desideri e con le preghiere il giorno in cui la soavità, la carità, lo zelo, la fortezza di un Papa si degno, avranno anche quaggiú nel devoto ossequio dei popoli, tra gli splendori del culto, la meritata glorificazione. Roma 8 maggio 1924”. Nel 1943 il regnante Pontefice Pio XII, esauriti i processi diocesani, prese la decisione di introdurre la Causa con il processo Apostolico. È stata questa la scintilla che ha nuovamente illuminato la santa figura di Pio X ed ha suscitato un numero di Postulatorie da parte di Cardinali, Vescovi, Superiori ecclesiastici e religiosi, quale difficilmente si può raggiungere in altre Cause. Il Vicario Generale della Congregazione P. Lorenzo Parodi, con la data del 12 giugno 1943, presentò una Postulatoria al Santo Padre, anche a nome del Consiglio Superiore, dei membri, dei collaboratori, alunni ed ex alunni della Congregazione. La Postulazione diceva: “La nostra adesione é materiata di ammirazione e gratitudine: di ammirazione, perché Pio X in pieno secolo XX ha riprodotto l'immagine del Buon Pastore, rinnovando cosí, vera luce del mondo e sale della terra, tutto in Cristo; di gratitudine per i vincoli particolari che ci legano al suo apostolico ministero e ci danno la grande gioia di poterlo chiamare ''nostro Padre". 23 Enumerati questi vincoli particolari, la Postulatoria concludeva: “È naturale quindi, Beatissimo Padre, che i Figli di S. Maria Immacolata, che in cosí larga maniera hanno esperimentato la bontà di tanto Pontefice, santamente gioiscono di vedere la Sua ascesa verso gli splendori dell'aureola e sono sicuri che mentre essi otterranno un nuovo Protettore in. Cielo, ne avrà lustro il Pontificato romano, ne avrà grande gloria la Chiesa e ne verrà tanto bene alle anime, aspirazione e movente di ogni atto pastorale e di ogni pastorale sollecitudine del Santo Pontefice”. - XII Il grande momento è giunto: il Papa Pio XII ha ascoltato la voce che cielo e terra, intrecciando palme e lauri, elevavano al suo Predecessore e Maestro, ne ha sublimato la celestiale figura nella luminosa gloria del Bernini, proclamandolo Beato. La glorificazione del mite Pio X ha reso angusta la Basilica Vaticana, e il mondo cristiano, commosso ed attonito si é prostrato ai piedi della sua urna, pregando ed implorando. Dinanzi al nuovo Beato, i Figli di S. Maria Immacolata, con amore filiale, con fede profonda, con fiducia assoluta, ripetono le parole che il P. Piccardo aveva scritto sotto il quadro di S. Giuseppe nell'atrio del Collegio di Pra: Respice de coelo, Beate Pie, et vide et visita vineam istam quam plantavit dextera tua, et perfice eam ". IL SUO GIUBILEO 24 SACERDOTALE ( 9 giugno 1918 ) MONS. GIACOMO GHIO VESCOVO DI URBINO ROMA Chiesa San Giovanni dei Genovesi QUESTE POVERE PAGINE ECO DELLA LETIZIA INEFFABILE DELLE AUSPICATE TUE NOZZE D’ORO TI DED1CH1AMO O PADRE L’EMPITO DELL’AMORE DEI FIGLI BEATI SE QUESTO GIUNGA AL TUO CUORE PATERNO GRADITO COMPENSO A QUANTO PER ESSI OPERASTI E SOFFRISTI + Giacomo Ghio, Arcivescovo di Urbino Avrei amato meglio di restarmene confuso fra lo stuolo eletto di amici che per celebrare una data a noi cara, raccoglie oggi attorno a una persona veneranda la cui vita non è certo 25 priva di significato e di valore nella storia dell’ultimo cinquantennio del clero genovese. Avrei cosí potuto più intensamente gustare ciò che questa festa ha di intimo e direi quasi di famigliare per chi col Reverendissimo Padre Piccardo condivise gran parte delle sue liete e tristi vicende. Invitato invece a parlare per dare una voce ai pensieri e ai sentimenti che questa festa suggerisce, ed esprimere il significato a cui assurge, non potei rifiutarmi. Riuscissi almeno ad essere degli uni e dell’altro l’interprete fedele! Un elementare riguardo mi impedisce d’illuminare, sia pure di luce attenuata, le preclare virtú personali del venerando Superiore Generale. Sarebbe fare un torto manifesto ad una delle sue piú spiccate qualità, quale è la modestia; modestia, alla quale Egli volle sempre informata la sua vita, anche allora quando l’opera sua apparve coronata dei piú prosperi avvenimenti. C’è però qualche cosa che si può e si deve dire: si può dire, perché fatta ormai patrimonio pubblico; si deve dire, perché il ricordarla non può non riuscire di comune edificazione; ed è l’impronta da Lui impressa costantemente all’Opera sua, la quale consiste in quella integrità e austerità di vita che mai si smentí; in quel soffio sicuro di sincera pietà che non si è mai esaurito, né per volgere di tempo, né per avversità di vicende; in quella calma perseverante nella lotta per la santa causa, che è la prima condizione di una buona riuscita. Basterebbero da soli questi contrassegni da me accennati, e che d’altra parte non sono che una constatazione di indubitabile realtà, per destare la stima e richiamare l’ammirazione piú viva. Ma in quest’ordine di idee vi ha un’altra cosa, e ben piú importante, che merita almeno un cenno. ** È certo che gli uomini, e piú ancora e su piú vasta scala le istituzioni, hanno i loro difetti e le loro lacune. Senza difetti potrà essere un’istituzione che rimanga confinata nel dominio delle idee; ma se vuol essere cosa reale e viva, se per giunta vuol far vivere, è inevitabile che paghi il tributo all’infermità umana. L’uomo, ha detto un acuto scrittore, vale per la valorizzazione dei suoi difetti; onde, non quelle che hanno meno difetti appaiono le migliori istituzioni, ma bensí quelle che hanno virtú maggiori, piú intense, piú ponderabili e fattive. Ora nell’Istituzione a cui Padre Piccardo ha saputo dar vita, vi è una virtú nativa che si affaccia subito allo sguardo dell’osservatore, anche meno esercitato ed è che essa, non soltanto s’intitola all’Immacolata, ma dell’Immacolata ha lo spirito. Non quindi nella sua Istituzione un nome vano, ma sotto il nome, la realtà; non un’ombra, ma dietro l’ombra la sostanza; ed è un soave spirito di purezza, che s’intuisce, si sente, si respira nelle sue Case, si insinua nell’animo e l’animo circonda come di un’atmosfera divina. Per apprezzare al suo giusto valore una dote sí segnalata, per rendersi conto di quanto essa abbia di prezioso, basta riflettere un istante all’atmosfera ebbra di piacere, elettrizzata di passione, gravida di tutti i miasmi che si sollevano da una società in piena decomposizione morale, decomposizione che oggi tutto pervade e che purtroppo ha delle ignote e possenti penetrazioni nelle anime specialmente giovanili. Saper creare un’Istituzione e dotarla di energie, è certo gran cosa; ma saperle infondere uno spirito, che preservi le anime dalle impure infiltrazioni di una società di fango e che la purezza renda sensibile, è un risultato, che, specialmente oggi, è meritevole di ogni migliore encomio. ** Questa dote precipua, congiunta a quelle che più sopra ho ricordato, non poteva non fare del Padre Piccardo un eminente educatore del giovane clero. Per questa opera delicata ed ardua, resa piú urgente e necessaria, e nello stesso tempo piú difficile, dalle condizioni storiche del nostro paese, Egli possedeva le qualità essenziali. 26 Niuno di noi lo ignora: le vicende politiche e sociali della prima metà del secolo decimonono hanno avuto nel campo religioso, e piú propriamente nell’ecclesiastico, delle profonde ripercussioni; fatte piú sensibili ancora dalla diuturnità e gravità degli avvenimenti stessi. Né furono soltanto questi avvenimenti esterni, che misero a dura prova il clero e le vocazioni ecclesiastiche, ma piú e specialmente quel moto di idee, quelle violente contese del pensiero, che quegli avvenimenti stessi prepararono ed accompagnarono, scuotendo potentemente la compagine della Chiesa, assalendo e conquistando posizioni secolari ed acquisite, lanciando le anime in una tempesta senza precedenti. La tempesta ebbe dei momenti ben terribili: ed anche là dove la minaccia non incombeva imminente, vi era però negli animi quel turbamento, che è caratteristico di tutti quanti i grandi trapassi storici. II ministero inceppato, i religiosi espulsi, i migliori sacerdoti perseguitati o tenuti in sospetto, le file del clero ogni giorno piú diradantisi, gli illusi che trionfavano, e ovunque i facili entusiasmi per dottrine ancora mal definite, e la confusione delle idee imperante, dicono chiaramente quanto grave era il compito di coloro che dovevano affrontare una tale situazione nelle sue immediate ed anche lontane conseguenze. *** Esorbiterei dai limiti del mio dire se mi dilungassi a illustrarvi l’opera che in questo lavoro di ricostruzione hanno svolto i nostri saggi e santi Arcivescovi genovesi unitamente al nostro clero, ammirevole per virtú ed abnegazione. L’austera figura di Monsignor Magnasco brillerà sempre di luce ineffabile su questo sfondo di avvenimenti ormai lontani, ma che non cessano tuttavia di conferirle un significato ed un valore inestimabile, e che le assicurano imperitura riconoscenza. La crisi fu superata con tale ampiezza di risultati, che faranno sempre onore all’intelligenza ed al cuore del clero genovese. Né sono spenti ancora i salutari effetti dell’opera sua. Se la Chiesa genovese è quello che è, se l’idea religiosa è viva e potente sí da esercitare un peso considerevole sulla bilancia dei fattori civili, si deve in gran parte a questa generazione forte ed attiva di sacerdoti, che seppero compiere prodigi di zelo degni degli Apostoli. Ma gli Apostoli non vanno se non sono formati ed inviati. *** Fra i benemeriti, che hanno efficacemente contribuito a questo rinnovamento, la storia religiosa della nostra regione assegnerà un bel posto di onore al Padre Piccardo. Quando egli iniziò la sua missione, ricevuta dalle mani del Frassinetti, l’Opera, nata appena, dei Figli di Santa Maria Immacolata per l’avviamento dei giovanetti poveri allo stato ecclesiastico, il piú urgente bisogno dell’Archidiocesi era appunto quello di colmare i vuoti prodottisi nelle file dei sacerdoti, i quali erano addivenuti cosí scarsi di numero da essere assolutamente insufficienti ai bisogni. L’anima generosa di Monsignor Magnasco aveva lanciato il grido evangelico: messis quidem multa, operarii autem pauci. I popoli in gran numero erano privi di pastori; il lavoro stringeva ovunque; le braccia mancavano; le iniziative non trovavano sostenitori: occorreva provvedere urgentemente e con spirito aperto sui bisogni e sulle esigenze dei tempi. Padre Piccardo si applicò a quest’opera con tutto lo slancio dei suoi giovani anni, valorizzato dalle sue virtú, dalla tenacia della sua volontà e dalla sua fede. Prodigo delle sue sostanze, là dove le sue risorse personali non giungevano, seppe trovare nella carità pubblica che sempre corrispose ai suoi appelli, i mezzi indispensabili per l’opera sua. Una generazione di sacerdoti crebbe all’ombra tutelare dell’Immacolata, nutrita di ideali e di forti e silenziose virtú: conobbe le difficoltà, le privazioni e il sacrificio generoso; temprò l’animo 27 alle avversità, coltivò il fuoco sacro dell’apostolato e seppe formarsi un cuore grande per i grandi compiti che l’attendevano. In questo Ministero Padre Piccardo trovò campo per sviluppare le sue qualità singolari di educatore. Visse con la gioventú e la gioventú seppe formare a salde virtú sacerdotali. Quanti lo hanno conosciuto nell’opera sua possono testimoniare delle eminenti sue doti nel rivelare all’anima giovanile la bellezza dell’ideale sacerdotale, sorreggendola sull’aspra via con la utilizzazione di tutte le sue buone risorse. Egli predicava soprattutto con l’esempio, con l’abnegazione personale, primo sempre fra tutti nel condividere i sacrifici della vita comune. I sacerdoti da lui formati, e non sono pochi, tutti testimoniano con la prova dei fatti che il suo metodo fu fecondo di buoni risultati; e che Egli ha ben meritato dell’Archidiocesi genovese. *** E di stima profonda e riconoscenza grande gli hanno sempre dato prova i Pastori genovesi, sia Mons. Magnasco, sia ancora Mons. Reggio, il quale in momenti ben difficili, lo volle anche a dirigere il Seminario Diocesano. Né gli mancarono gli incoraggiamenti ed i conforti dei Sommi Gerarchi. E Pio IX, gloria immortale delle nostre Marche, benedisse i suoi primi passi e confortò i suoi primi sacrifici; e Leone XIII lo volle in quest’alma Roma ad esplicarvi l’opera sua, tanto l’apprezzava quel Grande. Il santo Papa Pio X lo coperse della sua protezione e a piene mani gli versò in cuore il balsamo consolatore; ed il magnanimo Pontefice Benedetto XV, gemma fulgidissima della nostra Genova, a testimonianza dell’augusta Sua benevolenza, gli inviava testé in prezioso autografo una benedizione cosí paternamente effusa, che al leggerla, Padre Piccardo dovette fare forza a se stesso per non prorompere in un profluvio di lacrime. Se sante e benedette sono le mani che lavorano a sollevare le rovine del passato ed a preparare con nuove istituzioni l’avvenire, non mancherà certamente a Padre Piccardo anche questa forma di riconoscenza. *** Superata la crisi, ridonata alla Diocesi la falange dei suoi lavoratori, sorto d’altro lato per l’opera provvida di Pio X il progetto del nuovo ordinamento dei Seminari, era naturale che anche l’Opera di Padre Piccardo assumesse nuove forme e in esse effondesse la sua vitalità. Circostanze disposte dalla Divina Provvidenza vollero che essa si allargasse, prendendo forma di una Congregazione religiosa. Chi avesse osservato con animo penetrante l’opera dei Figli di Maria, tenendo conto della grande ala di idealità, del patrimonio di virtú e di pensiero che le aveva legato l’anima pura del Frassinetti, gli sarebbe stato facile intuire che essa possedeva tutti gli elementi per dar vita a un Corpo religioso. L’anima esisteva con tutte le sue forze vive; bisognava e bastava crearle attorno un organismo che fosse allo stesso tempo strumento e incarnazione di quello spirito. E la nuova formazione, sotto la spinta degli avvenimenti, venne; e permettetemi di crederlo, essa rappresenta il pieno sviluppo dell’idea frassinettiana. La pianta è formata, ha gettate le sue radici; se ne possono legittimamente attendere i frutti, la spiga, piena, matura, biondeggiante ai raggi del sole. Le istituzioni, come gli individui, hanno delle leggi che presiedono al loro sviluppo e regolano la loro attività con un decorso lento, ma sicuro. Sarebbe pericoloso affrettare le soste che la natura ha segnato. È l’estate che fa maturare i frutti: e i frutti verranno e la messe sarà grande, quale m’è dolce fingermela col pensiero. Ne è sicuro pegno lo spirito del Frassinetti, che è spirito di fede, di purezza e di apostolato: ne è pegno la protezione dell’Immacolata, che nelle Case della Congregazione riscosse e riscuote sempre un culto filiale: ne è pegno ancora la relazione che l’Opera ha con le necessità del grave momento 28 storico che attraversiamo ed i bisogni che s’imporranno paurosi nell’immediato avvenire al Clero e alla Chiesa. *** Noi non ci siamo ancora riavuti dal grave turbamento che la guerra europea ha prodotto negli animi. Abbiamo assistito in tempo assai breve a troppe catastrofi: edifici e istituzioni, scosse violentemente nelle loro basi; conquiste che apparivano passate ormai nel sicuro dominio della società, naufragate; valori umani che sembravano inconcussi, capovolti. È tutto un mondo che scompare, né possiamo dire fin dove ci condurrà la logica ferrea degli avvenimenti. E chi potrebbe fin d’ora prevedere con sicurezza quali ripercussioni avrà la guerra nel campo religioso ed ecclesiastico, nel dominio delle anime e della fede? Questo soltanto possiamo prevedere, che vi peserà come incubo immane: però quali forme concrete prenderà, niuno lo può dire. Una cosa è certa: che i compiti dell’avvenire saranno per il clero enormi. Ci troviamo a vivere in un periodo di bufera tale, che al suo paragone quella sopportata dal Frassinetti potrà sembrare un giuoco da fanciulli. Domani un lavoro gigantesco si imporrà, e sarà quello di ricostruire. La Chiesa in ogni tempo ha trovato in sé le energie per assolvere quest’opera, servendosi di tutti i buoni elementi, ed attirando a sé tutti i buoni fattori. Mi è dolce pensare che in quest’opera benedetta dal cielo troverà un buon posto di lavoro l’Istituzione di Padre Piccardo. Ciò che prima di tutto s'imporrà, sarà la formazione di nuove legioni di sacerdoti, che abbiano attinto al contatto dell’aspra realtà la chiara visione della loro missione con cuore ben saldo e l’animo temprato all’amarezza degli avvenimenti e disposti ad ogni sacrificio. Bisognerebbe essere ben tardi d’ingegno e sprovvisti del senso della realtà per non vedere questa relazione che coi bisogni dei tempi nuovi ha un’Istituzione, la quale pone fra i suoi fini essenziali l’avviamento della gioventú allo stato ecclesiastico. Per quanto piccolo possa essere il contributo che essa fosse per arrecare, non sarebbe perciò meno prezioso e provvidenziale. Tempi verranno nei quali bisognerà fare appello ad ogni forza; e sarà quindi vero delitto dissiparne anche un sol briciolo. Permettetemi di augurarmi che in questa nuova arena, la quale sarà lasciata alla disputa dei forti, l’istituzione di Padre Piccardo abbia ad affermarsi con una forza pari alla sua spinta iniziale, pari alla spinta che l’ha sempre animata, pari alla grandezza dei compiti e dei bisogni incombenti. Se io vi esorto ad entrare risolutamente per questa via, lo faccio per un senso di realtà che non credo errato e per la convinzione che ìl frutto, che ne proverrà, sarà degno delle gloriose tradizioni del clero genovese. Cercare di ristorare le rovine accumulate nella Casa di Dio; apparecchiare nuovi lavoratori nella mistica vigna del Signore, prestare valido soccorso in quest’opera ai Pastori delle Diocesi; sorreggere le energie esistenti e suscitarne delle nuove; ecco il mezzo per ben meritare nel domani della causa di Dio e della Chiesa. *** II cinquantesimo della Vostra Messa, Reverendissimo Padre Piccardo, invece di prepararvi ad un onorato riposo, Vi apre una prospettiva di nuovo e più intenso lavoro. Ma sarebbe far torto alla generosità del Vostro spirito e a tutto ciò che nel passato ha formato e nutrito la Vostra vita, supporre che una tale prospettiva possa menomamente sgomentarvi. Che anzi, con S. Paolo, Voi con tutto l’animo vi protendete verso l’avvenire, tutto sorpassando, purché in ogni modo possiate compiere il vostro corso ed assolvere l’opera affidatavi da Dio (Philip.,111,12,13). Permettetemi di trarre da questi sentimenti, che so essere i veri sentimenti del Vostro cuore, i migliori auspici per l’avvenire dell’Opera Vostra. Questa festa, nella quale siete circondato dall’affetto e dall’ammirazione di tutti i Vostri figli, di quanti Vi conoscono e 29 stimano, viene a coronare cinquant’anni di lavoro indefesso, illuminato e pieno di fede, rafforzato ad ogni istante dall’esempio delle Vostre salde e modeste virtú, fecondato dalle sofferenze e dalle avversità, che non sono mai mancate a Voi e alla Vostra Opera, come non mancano ad alcuna opera, contrassegnata dalla benedizione di Dio. Non so se abbiate nulla a rimproverarvi, sebbene ciò sarebbe umano in chi ha tanto vissuto e tanto lavorato; ma c’è una cosa che Vi assolve dinanzi alla coscienza ed innanzi a Dio, ed è la fede e la rettitudine con cui avete sempre lavorato. Si può talora errare nel proseguimento di un’opera di bene; ma il cuore retto, che cerca in ogni cosa Dio, è una forza che tutto redime, che nobilita tutto. Sarei indiscreto se volessi toccare anche da lontano i dolori e le lacrime che hanno spesso nutrito l’anima Vostra, i martirii che avete consumati in silenzio: essi sono scritti in cielo e ciò Vi basta. Una sola cosa voglio aggiungere, e la dico con legittima soddisfazione, e con la convinzione sicura che essa corrisponde a verità, e che nessuno potrebbe smentire. Esaminando l’Opera alla quale la Vostra vita fu ed è tutt’ora congiunta, non si può fare a meno di riconoscere in essa i contrassegni di un’opera voluta e benedetta da Dio. È insegnamento di fede che ogni opera buona richiede un concorso Divino: nella Vostra, quest’azione Divina ha lasciato delle orme visibili. È questa la più legittima soddisfazione che Vi possa arridere in questo giorno, così ricco di ricordi del passato, di ansie pel presente, di propositi per l’avvenire. A Voi che avete posto cosí in alto, in cielo, le Vostre ambizioni, poco cale dell’elogio degli uomini. Vi basta l’approvazione Divina; e questa, anche attraverso alle inevitabili lacune e difetti, l’Opera Vostra la possiede, e noi siamo lieti di riconoscerlo, lieti anche che essa formi la Vostra gioia più bella, perché nessuno potrà rapirvela. Con questa certezza, io raccolgo tutte le voci e i ricordi del passato, iniziative conseguite, ideali raggiunti, sacrifici compiuti, lotte superate: raccolgo tutti i sentimenti che si affollano in tumulto nel Vostro cuore; i desideri che agitano la Vostra anima; il pensiero di quanti con Voi furono uniti negli stessi ideali e negli stessi propositi; la voce degli scomparsi che Vi furono compagni di lavoro ed ancora supplicano per Voi, e li porgo per le mani del Frassinetti a Dio, pregandolo di accoglierli, benedirvi e continuarvi la sua assistenza nelle asprezze del presente e negli inevitabili dolori dell’avvenire. E Voi, innalzando l’Ostia di propiziazione al cielo, degnatevi di ricordarvi di quanti l’Opera Vostra hanno seguito con intelletto d’amore; di quanti oggi si stringono attorno a Voi, e supplicano l’Onnipotente a prolungare la Vostra vita, a fecondare la Vostra pel rifiorimento dell’Opera Vostra, pel bene che se ne attende la Chiesa, per il contributo prezioso che i nuovi tempi aspettano da Voi. 30 NEL RICORDO DELLA SUA MORTE 31 In die trigesimo MONS. GIACOMO GHIO VESCOVO DI URBINO Roma Chiesa S. Giovanni Battista dei Genovesi 3 dicembre 1925 Ai RR. PP. della Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata A Voi dedico queste poche pagine che parlano del vostro, del comune nostro Padre. Sono state scritte con lo stesso dolore che voi avete sofferto e sono bagnate delle stesse lacrime. Altri meglio di me avrebbe potuto dire di Lui, delle sue virtú e delle sue opere; nessuno, oso pensarlo, l’avrebbe potuto fare con piú amore e devozione. La sua dolce figura, che riverbera quella del Fondatore, sia sempre presente ai vostri sguardi; la sua anima non si allontani mai dalla vostra; il suo spirito dimori in voi e vi sia di incitamento ad emularne le virtú e a far progredire la Congregazione verso quei maggiori incrementi, verso quelle mete lontane che Egli ha sognato nel suo pensiero e che da voi si attende. E tutti ci benedica dal cielo con quell’amore e con quell’affetto paterno di che in terra ci diede ognora le prove piú soavi. Roma, nella Festa dell’Immacolata, 1925. + GIACOMO GHIO Arcivescovo di Urbino. V’è chi ha lasciato un nome e se ne possono celebrare le lodi. (Sir. 44, 8). In questa chiesa stessa, or è poco piú di un lustro, alla presenza della maggior parte di voi, si celebrava una festa il cui ricordo non è peraltro spento. Ricordate: tutto era letizia allora a noi d’intorno: il sorriso era sui volti, e lieti pensieri fiorivano nel nostro animo nel seguire un vegliardo venerando che nel cinquantesimo del suo sacerdozio, fra gli incensi e i fiori, ascendeva all’altare per immolarvi la vittima di pace. Ricordi soavi, echi di eventi 32 lontani si affollavano nella nostra mente ed i voti piú cari salivano a Dio per lui dai nostri cuori. Oggi l’amico, il Padre incomparabile non è piú, e noi ci troviamo ancora convenuti qui dove già assistemmo al suo trionfo, per tributargli l’estrema, la mestissima testimonianza del nostro affetto, che è riconoscenza, che è preghiera e suffragio, è speranza cristiana che ci congiunge a lui al di là delle barriere del tempo e dello spazio. E tocca ancora a me di prendere la parola, non piú per rivolgerla a lui con gli accenti dell’esultanza, ma per dare una voce al nostro dolore e per raccogliere i sentimenti che agitano il nostro cuore dinanzi alla tomba di colui che tanto amammo e venerammo. Egli appartiene al novero di coloro ai quali si possono applicare le parole dell’Ecclesiastico: V’è chi ha lasciato un nome e se ne possono celebrare le lodi. La sua giornata fu intera, fu piena, fu operosa: la sua lampada non cessò un istante di tramandare la sua luce benefica: l’opera che la Provvidenza gli aveva affidato egli la compí per intero, per cui ben merita l’elogio che lo Spirito Santo fa di coloro nei quali Iddio operò delle grandi cose: egli lascia un nome, che è un’eredità spirituale; la ricca, la opulenta eredità delle sue virtú, dei suoi esempi, delle sue istituzioni. Dupanloup rimpiangeva amaramente la scarsità delle vocazioni nelle classi superiori e chiamava questo un male grande per la Chiesa, per la Nazione, per la dignità e il prestigio stesso del Clero. Temeva il grande Vescovo che, allontanatosi da ciò che forma la forza e la testa di un popolo, dall’élite che possiede e governa, il sacerdozio sarebbe decaduto nella considerazione pubblica; e d’altra parte stimava altamente i vantaggi che al clero possono derivare dalla posizione sociale e dall’educazione, quando siano divenute ausiliari della virtú e fattori potenti per il bene. Padre Piccardo proviene appunto dalla classe agiata. La sua famiglia era delle piú ragguardevoli, onde egli poté godere il vantaggio di una educazione che sviluppò in lui i preziosi germi profusi a dovizia da Dio nel suo cuore e stampò nel suo carattere quella finezza di tratto, quella distinzione di modi, quella misura e delicatezza di sentimenti che erano in lui un’attrattiva e una forza. E dalla famiglia ereditò ancora l’abitudine alla serietà e al lavoro, una felice disposizione alla virtú, la fermezza antica della fede e l’amore alla Vergine che sarà una delle caratteristiche piú spiccate della sua fisionomia morale. Già vecchio amava ritornare col pensiero agli anni soleggiati della sua fanciullezza e li trovava illuminati dallo sguardo di una madre terrena che egli amava quanto un figlio può amare la genitrice, e da quello della madre celeste, che aveva sorriso a lui sul limitare della vita. E ricordava con piacere i suoi pellegrinaggi all’Acqua Santa, là dove si uní per la prima volta con Gesú Eucaristia, là dove udí il primo appello Divino, là ancora dove sentí per la prima volta nel suo cuore i palpiti dell’apostolato. Egli fu conquistato al sacerdozio dalla Vergine; è nelle sue mani che si diede a Dio; è a Lei che volle consacrata la sua vita e da Lei inspirato ognora il suo zelo, essa l’astro benefico che illuminò l’alba della sua esistenza, che ne irradiò di luce ineffabile il meriggio, che scese a consolare le ombre meste della sera della sua giornata sacerdotale. E Padre Piccardo fu modello di sacerdote. In lui purezza integerrima che cinse di un’aureola veneranda la sua figura: in lui saldezza e tenacia di propositi protese in uno sforzo continuo e mai smentito verso il bene: in lui un’umiltà che sorgeva spontanea dal suo cuore alieno da ogni sentimento altiero ed ambizioso. In lui spirito di preghiera che gli faceva considerare ogni cosa in quella visione soprannaturale che è propria dei santi, per cui non era ritardato dai beni, né abbattuto dai mali del tempo: spirito di preghiera che si manifestava in tanti modi, che si traduceva nel suo contegno esterno, che irradiava dal suo volto. 33 Che dirò poi del suo spirito di sacrificio e del suo cuore? Egli sapeva estendersi a tutti; non rigettò mai alcuno; aveva l’arte di medicare le piaghe, conosceva la scienza del consiglio, e al consiglio sapeva a tempo opportuno accoppiare il soccorso, onde si può dire che si fece tutto a tutti. Ed un’altra virtú possedette in grado eminente: la modestia: Praticò costantemente il detto evangelico: nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua: amava velare i suoi atti di virtú: faceva il bene tacitamente e cercava di nasconderlo non solo agli sguardi indiscreti, ma, per quanto possibile, anche a quelli dei suoi piú intimi: non si prevalse mai del diritto che conferisce il beneficio: non curò i giudizi degli uomini e ne disprezzò le lodi, solo contento dell’approvazione di Dio. A lui si possono applicare le parole che un grande Urbinate e un gran Papa, Clemente XI, soleva dire di se stesso: Suum esse recte agere, non cogitare quid homines de recte factis inique proferrent vel iudicarent. Ma ciò che piú spicca nella fisionomia morale del carissimo estinto, la qualità che ne fissa con maggiore precisione la caratteristica, è la fortezza. Padre Piccardo fu un uomo forte nel senso piú bello e piú cristiano puro della parola. È cosí che si spiega come egli sia potuto uscire vittorioso da ogni cimento ed abbia superato ogni procella. E quante procelle non si abbatterono contro la sua navicella nel corso della sua lunghissima navigazione fino a minacciarne il naufragio! La sua fede, la sua preghiera, la sua fortezza sempre lo salvarono: egli sapeva navigare sulle grandi acque. Io mi sento compreso di ammirazione quando penso a questo meraviglioso nocchiero, che la tempesta non impaurisce, che in faccia al pericolo non trema, che davanti all’ostacolo si esalta, che attraverso a tutte le bufere, di cui fu feconda la sua lunga esistenza, seppe compiere arditamente la sua navigazione e arrivare al porto integris rate et mercibus. Sono queste le figure che si impongono; questi gli uomini forti che San Giovanni Crisostomo voleva coperti di fiori, perché, a detta del grande Dottore, hanno dato la prova massima della forza d’animo. E questa forza d’animo, fatta di preghiera e di unione con Dio, nutrita di dolcezza e di umiltà, è anche il segreto della fecondità del suo apostolato. È vero che l’uomo da sé solo non può nulla ed invano scaverà profondo il solco e vi nasconderà la semente se Iddio non infonderà la fecondazione; ma pure quel Dio che si è riservato di prestare l’incremento a tutte le forze operanti per il bene, reclama la cooperazione della sua creatura. E Padre Piccardo questa cooperazione la portò generosamente, disinteressatamente; onde in lui si verificarono le parole di San Paolo: Colui che fornisce il seme al seminatore ed il pane che lo nutrisce, darà anche a voi il buon seme e lo moltiplicherà, e farà crescere frutti della vostra giustizia, e sarete arricchiti a dovizia sotto ogni riguardo (2 Cor. 9, 10 -11) Sí, Iddio ha fatto crescere i frutti della sua giustizia; li ha moltiplicati e l’ha arricchito abbondantemente. Le sue istituzioni sono là per renderne testimonianza. Vi furono dei santi che dovettero attendere e pregare a lungo prima di conoscere l’opera alla quale Iddio li destinava. Di Padre Piccardo invece si può dire che la Provvidenza lo collocò subito nel campo del suo apostolato. Ordinato appena sacerdote, per volontà dei suoi superiori, si trovò a capo di un’istituzione che attendeva da lui tutto: l’assetto, la vita, lo sviluppo avvenire. La via però era tracciata con precisione, né era possibile ingannarsi: Iddio lo voleva l’apostolo della gioventú ed è per questo che aveva arricchito mirabilmente la sua anima e gli aveva dato un cuore dal palpito possente e dal respiro largo e generoso. Nessuno ignora che i destini di un popolo sono nelle mani dei giovani e già il poeta pagano piangeva sul rilassamento della giovane generazione, temendone per l’avvenire dell’impero. Formare una gioventú sana, che senta la forza delle idee superiori, che ad esse sappia votarsi, scrivendo nella sua divisa il motto: Facere et pati fortia, ecco il segreto di 34 rendere grande un popolo. E quello che si dice nell’ordine sociale e politico, a ben piú forte ragione vale nel campo morale e religioso. Santi dunque e mille volte benedetti i lavori intrapresi, i sacrifizi compiuti, le lacrime versate per questa nobilissima fra tutte le cause: santi e mille volte benedetti coloro che a questo apostolato hanno consacrato se stessi. I popoli dovrebbero riservare un posto di onore a questi uomini veramente benefici, affinché ìl loro esempio serva di incitamento ai venturi. Ma se ciò non sempre avviene, né sempre è possibile, la Chiesa, giusta estimatrice della virtú e memore della predilezione del suo Fondatore per i piccoli, questo posto di onore lo tiene serbato e, additando la legione delle anime da essi salvate, va ripetendo: Omnium divinorum divinissimum est cooperari Deo in salutem animarum. È cosí che Padre Piccardo ha sempre inteso l’uffizio di educatore, e nessuno stenterà a crederlo. Ah, non è per un calcolo materiale o per un vantaggio terreno che si vanno raccogliendo i giovanetti della piú umile condizione, quelli che sarebbero rimasti senza istruzione, che forse sarebbero stati vittime del male, che mai avrebbero potuto elevarsi fino a compiere una funzione utile ed onorata nella società; in una parola i meno provvisti dalla fortuna, i poveri! Questi disegni di carità non li può ispirare che Colui che ha proclamato beati i poveri: Egli solo può accendere nel cuore dell’uomo questa fiamma del cielo. E questa fiamma ardeva gagliarda nel cuore di Padre Piccardo: rivelare ai giovani Gesú e farlo da essi amare: ecco tutto il suo programma, il suo spirito, la sua sapienza. Non cercate in lui, educatore, delle teorie astratte: anima profondamente pratica rifuggiva dalle astrazioni e prediligeva i mezzi semplici, ma sicuri e provati dall’esperienza. Per lui il collegio è il prolungamento del focolare paterno e l’educatore degno di un tal nome è quello che sa continuare, completare e all’uopo raddrizzare l’opera dei genitori, onde nelle sue case vuole che regni sovrano lo spirito di famiglia. Anche il corredo morale e religioso dei giovani è dei più semplici; da essi richiede lo splendore della purezza, una devozione filiale alla Ss.ma Vergine, l’amore verso i Superiori e specialmente verso il Papa, la fraternità fra gli eguali. Questo programma è molto semplice, ma era attuato, specie negli anni piú belli della sua direzione, in modo da renderlo, direi quasi, tangibile; fino a costituire un’atmosfera nella quale i giovani cuori si dilatavano e crescevano mirabilmente alla virtú. I risultati hanno abbondantemente dimostrato la genialità del metodo, la bontà dello strumento e soprattutto l’abilità della mano che sapeva sapientemente adoperarlo. Ed un altro compito piú arduo e piú alto riservava la Provvidenza a Padre Piccardo: quello di formatore del giovane Clero. Questa missione l’ebbe in eredità dal Frassinetti, l’uomo piú illuminato del clero genovese, e in essa fu incoraggiato e sorretto dall’Arcivescovo Mons. Magnasco e poi da Mons. Reggio, il quale lo volle anche Rettore del Seminario. L’Archidiocesi genovese, per un complesso di cause, cui non furono estranei gli sconvolgimenti politici della prima metà del secolo XIX, scarseggiava di sacerdoti. Il clero era insufficiente per numero, né tutti avevano avuto il tempo e il modo di temprare l’animo ed il cuore alle nuove difficoltà. Ciononostante, superato il periodo di turbamento e di agitazioni, la pace e la tranquillità tornavano a poco a poco negli animi e giorni migliori andavano lentamente preparandosi. L’opera piú urgente era la formazione di un nuovo clero, che al contatto dei grandi principi della disciplina e della devozione alla Chiesa, ritrovasse piena ed intera la fiamma e la fecondità dell’apostolato, quale la vagheggiava quella eletta schiera di Sacerdoti che con l’Alimonda e il Frassinetti formavano il decoro della Chiesa genovese. Compito storico alla cui riuscita era legata la rinascita e la floridezza religiosa dell’Archidiocesi. E questo compito fu assolto con chiaroveggenza, con fortezza, con pieno 35 successo dal grande Arcivescovo Salvatore Magnasco e da Padre Piccardo, che ne fu il saggio e sagace cooperatore. Non sempre i posteri, lontani dagli avvenimenti, sono in grado di misurare le difficoltà di un’impresa e la somma di sacrifici che ne richiese il compimento; comunque i nomi di Mons. Magnasco e di Padre Piccardo rimarranno in benedizione, come rimangono in benedizione i nomi di coloro che riedificano la casa, che nel piú grave del pericolo apportano la salute; e verso di essi si eleverà sempre con gratitudine il pensiero dei genovesi. Ma qui non si arrestò l’opera di Padre Piccardo: essa tendeva verso una meta prefissa dal cielo ed alla quale Iddio aveva preordinato in modo ammirabile gli avvenimenti per cui a noi non rimane che esclamare: O quam incomprehensibilia sunt iudicia eius, et investigabiles viae eius (Rom. 9, 33) A Padre Piccardo era infatti riservata la sorte di tradurre in pratica il disegno piú bello e piú grande del Frassinetti: quello di dare alla Chiesa una nuova famiglia con la fondazione di una Congregazione religiosa. È questa un’impresa di tanta grandezza da far tremare i piú ardimentosi. Il Lacordaire nella sua apologia degli Ordini religiosi, domandava a se stesso, al cospetto della Francia perché mai si accingeva a ristabilire l’ordine di S. Domenico. “Forse ci verrà domandato egli scrive - per qual ragione abbiamo preferito di ristabilire un Ordine antico, piuttosto che crearne uno nuovo. Noteremo due cose: in primo luogo, che la grazia di essere fondatore di un Ordine è la piú sublime e la piú rara che Iddio conceda ai suoi santi e noi non l’abbiamo ricevuta ...”. L'umile e grande domenicano, che riconosceva di non aver ricevuto da Dio questa grazia di privilegio, aveva però coscienza dell’opera a cui si accingeva: richiamare a vita un Ordine non è meno difficile di quello che sia crearlo, e l’uno e l’altro è impossibile all’uomo, l’uno e l’altro non può essere effetto che di quella divina germinazione posta da Dio nella sua Chiesa. “Siamo noi i primi a esser vinti dalla sovrabbondanza della vita che è in noi: noi siamo innocenti della nostra immortalità, come la ghianda che cresce al piede della quercia annosa è innocente del vigore che la spinge al cielo. Non è né l’oro né l’argento che ci ha richiamato a vita, ma una germinazione spirituale posta dal Creatore nel mondo, indistruttibile al pari della germinazione della natura” (Lacordaire). Ed è a questa forza divina che si deve la fondazione della Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata. II Frassinetti lanciò il seme, collocò i fondamenti spirituali, creò l’anima della nuova istituzione. Padre Piccardo, che fu il savio esecutore dei disegni del Frassinetti, le adattò un corpo, e l’opera si trovò un bel giorno mirabilmente costituita. Essa porta manifestamente il sigillo divino. Le circostanze in cui nacque, la rapidità con cui ottenne il riconoscimento canonico, la benevolenza di che la circondò il santo Pontefice Pio X ed i suoi Successori, ne fanno luminosa testimonianza. Essa in qualche modo è nata adulta, e Padre Piccardo amava ritornare su questo passato a lui tanto caro per ammirare la misericordiosa condotta della Provvidenza ed incitare i suoi figli alla riconoscenza. “Se è obbligo di tutti - scriveva egli nel maggio del 1913 - di ringraziare sempre il Signore per i benefici che ci comparte, quanto piú incombe a noi questo dolcissimo dovere! A noi che da Lui piú di tanti altri abbiamo sperimentato favori e grazie. Proprio in questi giorni devono ritornare alla nostra mente e al nostro cuore alcune date per noi preziose. Quella del 21 maggio, vigilia della Pentecoste del 1904, quando la nostra Congregazione ebbe il suo primo riconoscimento canonico e, cosa inaudita, il Decretum Laudis nello stesso Rescritto Pontificio: e quella del 3 giugno 1910, che coincideva con la festa del Ss.mo Cuore di Gesú, quando la Sacra Congregazione dei Religiosi, in sua seduta plenaria, proponeva l’approvazione dell’Istituto e delle nostre costituzioni ad sexennium al Santo Padre Pio X, il quale il giorno dopo, 4 giugno, subito si degnava concederla”. 36 Con la fondazione e il consolidamento della Congregazione l’opera dei Figli di Maria, alla quale Padre Piccardo dedicò tutta la sua vita, si può dire compiuta e perfetta, come l’edificio che ha ricevuto il suo fastigio, come la pianta che, raggiunto il suo pieno sviluppo, si copre di fiori prima e poi di frutti. E Dio, nella sua bontà, volle conservare a lungo il carissimo Estinto all’affetto, all’edificazione, alla direzione dei suoi figli spirituali, affinché la loro gioia fosse piú completa e piú abbondante la grazia che per mezzo suo su di essi si trasfondeva, onde piú ardito anche potesse essere lo slancio che doveva spingerli verso l’avvenire, da lui sognato, da lui invocato in vita, da lui benedetto nel suo tramonto come una gioia ed una speranza. Ora egli ha deposto il velo terreno ed è salito al cielo a ricevere il premio dei suoi lavori e dei suoi sacrifici. Egli gode presso Dio di quelle ricchezze e di quei beni che l’occhio non ha mai veduti, che l’orecchio non ha mai uditi, che il cuore dell’uomo non ha mai gustati. Nos nostram vicem dolemus et invidere potius gloriam eius videbimur si voluerimus diutius flere regnantem (S. Gerolamo, Epitaph. Paulae). Egli ci ha lasciato dopo di aver dato ai suoi, a noi, a quanti l’hanno amato e venerato, alla Chiesa, a Dio, le sante audacie della sua giovinezza, le forti virtú della sua virilità ed i frutti di saggezza e di consiglio della sua vecchiaia. Il suo tramonto fu placido come un cielo limpido, come un lago tranquillo: serenamente egli seppe vivere, serenamente egli morí, ed i suoi ultimi istanti sulla terra erano già irradiati dalla luce superna. Presso Iddio egli continuerà ad amarci, perché, come disse un’anima santa, in cielo non si conosce l’oblio. Continuerà con piú efficacia la sua missione: veglierà sopra la Congregazione; le impetrerà gli incrementi che la dilatino, la ingrandiscano, che ne facciano quel potente strumento di bene che egli vagheggiò nel suo pensiero. Piccolo seme ancora, ma che porta in sé la potenzialità dì un albero gigante. Veglierà su quanti furono suoi figli, su quanti in qualche modo gli appartennero; veglierà sulla sua patria, sull’Archidiocesi genovese di cui fu e si sentí sempre figlio amantissimo e che onorò con lo splendore delle sue virtú, del suo nome, delle opere sue. Egli ha ritrovato in cielo l’anima santa del Frassinetti. E chi potrà ridire la dolcezza di quell’incontro e la santa tenerezza di quel primo amplesso? Ben grande è già la famiglia spirituale dei Figli di Maria in cielo, ed in questo istante essa guarda e sorride a noi, ci benedice e ci incoraggia nel combattimento e ci invita a raccogliere anche noi la stessa palma. Sulla tomba di Padre Piccardo piú che sterili lacrime si addicono i forti sentimenti, i saldi propositi, i palpiti generosi, e su di essa si potrà ognora apprendere come si zela l’onore della Chiesa, come si ama il Papa, come si servono le grandi cause. No, il suo spirito non si allontanerà mai da noi: la morte non vale a spezzare i vincoli dell’affetto che si annodano in Dio, per cui possiamo ripetere di lui le parole che San Gerolamo pronunciava sulla tomba di una grande figlia di Roma, Santa Paola: Non moeremur quod talem amisimus, sed gratias agimus quod habuimus immo quod habemus. Deo enim vivunt omnia, et quidquid revertitur ad Dominum in familiae numero computatur. Sí, la tua memoria, o Padre amatissimo, non perirà, non sarà mai che oblianza la ricopra, ma fiorirà ognora come albero presso il corso delle acque. Vivrà e sarà come una voce che incita a grandi e magnanime imprese, che suscita nuove energie, che sprona, che ammonisce per il bene. Vivrà eterna nell’affetto dei tuoi figli, di quelli specialmente che ti appartengono in modo particolare, che sono gli eredi del tuo spirito, i continuatori della tua opera, ì depositari delle tue volontà; essi che dalle tue mani, come già tu da quelle del Frassinetti, hanno ricevuto la fiaccola ardente e che hanno giurato di non lasciar estinguere mai, per quanto possano soffiare violente le tempeste e volgere contrari gli eventi. 37 Permetti che sulla tua tomba, che tu eleggesti nel caro santuario della Vergine, io deponga a nome mio, a nome dei tuoi figli spirituali, a nome della tua patria, la corona olezzante dei fiori del nostro affetto, della nostra venerazione, della nostra ricordanza. Tu lo sai quanto sinceri sono questi nostri sentimenti: te lo dicono le lacrime che bagnano i nostri occhi, te lo dice la voce tremante, te lo dice il grido del cuore che si spegne nel pianto. Tu li accetta e sorridi e benedici ancora a noi: benedici ai presenti, benedici ai venturi; e sia la tua benedizione un annunzio di pace, un auspicio di bene, un presagio del cielo. NEL RICORDO DEI SUOI ALUNNI 38 Numero speciale di “RISONANZE” Bollettino dell'Unione ex Allievi In memoria del P. ANTONIO PICCARDO In morte del nostro P. Antonio Piccardo Egli tornò santamente al Signore. dopo lunga ed operosa giornata. Lo benedissero gli uomini; lo premiò Iddio! Il suo nome divenne strumento di opere sante nelle mani della Provvidenza divina; sarà in memoria eterna, perché è il nome di un Giusto. Ed anche per questo le sue opere si moltiplicarono e fiorirono. - justus ut palma florebit. Attorno al suo nome, attorno alla sua immagine, noi intrecciamo le palme di tante sue vittorie, e ne formiamo una corona. La deponiamo sulla Sua tomba, con molto amore. Cosí come figli al padre, piú che come discepoli al maestro: con molto amore, e con molto dolore. Ma, insieme, con la bella e serena visione di una luce immortale, nella quale avvolto e sublimato noi d'oggi in poi ricorderemo Lui - il Direttore che amammo perché tanto ci aveva amati. “RISONANZE” per gli ex-allievi dell'Unione Don A. PICCARDO. Il P. Piccardo e i Figli di Maria Eravamo sullo scorcio del 1872, quando lo vidi la prima volta. Egli era in tutto il flore dei suoi vent’otto anni: giovinetto io sui quindici mi presentavo a lui a chiedergli di essere accolto 39 tra i suoi. Orfano e povero, piccolo e sparuto da non affidare troppo di reggere a lungo agli studi, potevo ben io aspettarmi per lo meno un cortese diniego. Eppure quel sorriso amorevole che gli era abituale temperò tosto in me quella timidezza che il suo nobile e dignitoso contegno m'ispirava. “Ma tu sei già troppo vecchio, mi disse celiando, per cominciare lo studio del latino”. Ed io a lui, preso coraggio “Lo so: e se non comincio mai ?” M'accorsi che non avevo chiesto invano. Quel primo incontro fu il primo anello di una catena in lui di benefizi e di riguardi, in me di gratitudine e d'affetto che doveva tenerci avvinti per cinquantatre anni, e che solo la morte avrebbe spezzati. Mi si dirà: a che questi ricordi personali? Perché molti degli ex allievi a cui sono piú particolarmente diretti questi fuggevoli cenni, leggendo di me, rievocheranno ancor essi qualche caro ricordo. *** Ma quel giovane sacerdote cosí buono con i poveri giovanetti a cui le scarse fortune precludevano la via al Santuario, e che si faceva loro padre, e con loro viveva alla povera mentre di casa in casa, e per loro andava chiedendo ai facoltosi soccorso, aveva pur sortito distinti natali. Dalla patria Voltri veniva fanciullo ancora con il fratello Tommaso collocato nel Collegio Nazionale di Genova, ove percorse con lode di bontà e d'ingegno il Ginnasio e il Liceo. Di quei tempi serbava affettuosa memoria, e volentieri li ricordava, nei suoi ultimi anni, e prese parte con slancio come vecchio ex alunno alle onoranze che l'Istituto rendeva ai suoi giovani caduti sul campo della gloria. Dall' Istituto passò al Seminario obbedendo alla voce del Signore che da tempo lo chiamava al Sacerdozio. L' ingegno perspicace, e lo spirito pronto e un senno precoce gli aprivano certo con gli studi teologici una via luminosa alle ecclesiastiche dignità. Ma una missione in apparenza piú umile, di fatto piú alta gli preparava la Provvidenza. Aveva da poco il venerando Priore di Santa Sabina dato principio all' Opera per l'avviamento dei giovanetti poveri alla carriera Ecclesiastica, e non potendo per le sue cure parrocchiali, attendervi come avrebbe voluto e il bisogno richiedeva, cercava chi lo sostituisse in quell'ufficio. Il diacono Gio. Batta Semino compagno del Piccardo in Seminario, conoscendo l'abilità e lo zelo di lui, e la singolare attitudine nella direzione dei giovanetti – era il Piccardo allora Prefetto dei Piccoli – lo propose al Frassinetti il quale lo accettò ben di buon grado. Ma mentre ancora si stava aspettando che il giovane diacono fosse ordinato sacerdote il Priore morí. Ed il Piccardo fatto appena sacerdote pose tosto la mano all'opera con un amore con un trasporto, che ben si parve aver fatto di quella il programma della sua vita. Per parecchi anni fu un tramutarsi da un luogo all'altro: prima in Via Lata, poi in Via Mylius, quindi in Via delle Cappuccine, finché con l'aiuto dei pii benefattori poté egli fare acquisto di una casa propria, piccola palazzina da villeggiatura nei pressi di S. Giacomo trasformata poi con il correre degli anni grazie all’operosità, instancabile di lui e la generosità di mons. Magnasco e cresciuta nelle proporzioni che oggi ammiriamo. *** Ed eccolo nella sua Casa il Piccardo come un piccolo re; e re assoluto, perché tutto da lui dipendeva e tutto a lui si riferiva ; ma era regno paterno il suo; e i Figli di Maria l'ebbero sempre come un padre. Il suo sembiante dignitoso e ad un tempo amabile incuteva rispetto, ma non scemava l'amore: rara dote in chi governa la gioventú. Anche la sua ombra, si direbbe, era temuta; eppure era una festa quando scendeva nella ricreazione. E amava che i suoi giovani fossero allegri, perché fossero buoni, e a quando a quando li premiava con straordinarie passeggiate, a cui finché poté volle sempre prendere parte. E nei divertimenti 40 collegiali, sapeva cosí ben contemperare l'indulgenza con la severità, che il favore ottenuto riusciva a mille doppi piú caro. Il suo portamento, i suoi modi corretti, 1a sua parola misurata sempre e circospetta, erano per tutti una scuola di quel nobile riserbo che è tanto bello in un sacerdote. E voleva che nei suoi giovani gareggiasse con lo studio la pietà; che non si rifiutassero anche ai piú umili servizi di casa. Ed era bello vedere nell'imminenza di qualche grande solennità, come tutti erano al lavoro, animati da un solo pensiero, che la festa dovesse riuscire bella. Ed egli con una parola, con un cenno, tutto ordinare, tutto disporre e a festa finita, i giovani a rallegrarsi con lui, ed egli a mostrare il suo compiacimento ai suoi bravi figlioli. Oh i bei tempi che erano quelli! Contemporaneamente alla Casa dei Figli di Maria, egli amò veder sorgere altre Case e Collegi, che pur mirando alla educazione cristiana e civile dei giovanetti, fossero come felici vivai donde trarne buoni soggetti per la Casa di Genova, o almeno vi si iniziassero i giovani a vita onesta ed onorata nel mondo. E fondò nel 1870 a San Giuliano il piccolo Collegio di S. Giuseppe, che per il ritorno dei Benedettini all' antica Badia, traslocò per parecchi anni in Serrea nei dintorni di Voltri. Venuto a cessare questo, e rifusi i pochi rimasti nella Casa di Genova, ne fondò uno nuovo a Pra, pure sotto gli auspici di S. Giuseppe, e come non bastasse, un altro ne fondò a breve intervallo a Rivarolo, l'attuale floridissimo Collegio della Sacra Famiglia. E all' impianto di ogni nuova Casa voleva esser lui a tutto disporre, e si moltiplicava di attività, dividendo le sue cure tra l'antica Casa e la nuova fondazione. Non fu vita di studio la sua; fu. vita d' azione; pure i momenti che il governo delle Case gli lasciavano liberi li dava alla lettura. Si dilettava particolarmente di cose storiche; erano suoi libri la Storia della Chiesa, la Storia patria, le Vite dei Santi. E dei libri fu appassionato: e ne raccolse due copiose biblioteche una in Genova e l' altra in Roma. Degli studi fu sempre nei suoi Figli di Maria caldo fautore, dei letterari in specie; e molti ricorderanno le annuali Accademie di poesia che si tenevano alla presenza dell'Arcivescovo, di benefattori e di amici nella Pia Casa. Amante della musica sacra la volle coltivata fra i suoi; e cosí nelle Accademie come nelle Sacre Funzioni ne diedero non spregevoli saggi i Figli di Maria ammaestrati con tanto zelo e perizia da quel compianto D. Giambattista Mantero, a cui il Piccardo aveva fin dai giovani anni schiusa la via alla ben meritata fama che godette in Genova tra i cultori dell'arte sacra. Amante delle patrie memorie, raccolse quante gliene venne di trovare, Vite di S. Caterina Fieschi; tanto che a giudizio di competenti non se ne trova altra piú. completa collezione. E delle feste centenarie che se ne fecero in San Lorenzo nel 1887 fu egli l'ispiratore e l'anima. Per tal modo e in Genova e per tutta l'Archidiocesi Genovese il Piccardo era stimato e venerato. L' Opera godeva le simpatie del clero e del laicato, degli Arcivescovi sopratutto, che si succedettero; da mons. Charvaz che per primo l'approvò e la benedisse e raccomandò ai suoi diocesani, a mons. Magnasco che si compiaceva del suo sviluppo e l'aiutava generosamente: a mons. Reggio che stimava ed amava il Piccardo e l' Opera sua, cosí da affidargli in momenti difficili, il Seminario Diocesano. Ma vennero i giorni tristi... E il Piccardo vide un istante vacillare l'edificio che con tanta fatica ed amore aveva innalzato. Non fu malanimo, fu eccesso di zelo, fu precipitazione di consiglio forse, che suscitò la tempesta. Egli adorò in segreto le arcane disposizioni della Provvidenza, e rivolse l'animo ad avviare l' Istituzione per il nuovo cammino che gli avrebbe tracciato il Signore. *** Già da qualche anno si stava studiando il modo di dare all' Opera dei Figli di Maria una base giuridica. Si era essa venuta formando a poco a poco in un modo cosi fuori dell' ordinario, che fatta ormai grande e prosperosa richiedeva un definitivo assetto. E le vie erano 41 due: o la si incorporava al Seminario, ed era questa la soluzione a cui teneva mons. Pulciano; o la si trasformava in Congregazione, ed era questo lo scioglimento che, date le condizioni speciali dell' Opera, la quale già di fatto da anni viveva ed operava quasi fosse vera Congregazione, si imponeva. Mons. Reggio incoraggiava il Piccardo a risolversi, assicurandolo che la nuova Congregazione avrebbe egli onorata della sua fiducia, affidandole in diocesi delicate mansioni. La venuta di mons. Pulciano determinò la risoluzione. Il Piccardo, recatosi a Roma per aver lume e consiglio, trovò la piú favorevole accoglienza. L'em. Cardinale Respighi e mons. Giustini lo consigliavano di fondare prima la Congregazione come diocesana di Roma con gettare le basi di un Istituto Ecclesiastico pei sacerdoti e chierici che in gran numero accorrono a Roma per compiere i loro studi e procurarsi i gradi accademici, Istituto di cui Roma sentiva assoluto bisogno. Piacque la cosa a S. Santità Leone XIII che di cuore l'approvò, e il Piccardo con due o tre dei suoi fermò in Roma la sua nuova sede, alternando tra Roma e Genova le sue parziali dimore. L'assunzione di Pio X al Pontificato, che seguí di lí a poco, fu per la nuova Congregazione veramente provvidenziale. Sotto di lui poté rassodarsi e da diocesana divenire pontificia; e il Piccardo che ne fu il fondatore ne tenne fino alla morte il governo come Superiore Generale. L' Istituto dell' Immacolata in Roma dopo le difficoltà inevitabili in tutte le nuove fondazioni pose stabile sede in Via del Mascherone, ed ora fiorisce, la Dio mercé con generale soddisfazione delle autorità ecclesiastiche di Roma. Altre Case furono in questo tempo fondate; l'una a Lugnano in Teverina, per gli aspiranti alla Congregazione, romito recesso tanto caro al Piccardo, e dove, già vecchio, gli pareva di rivivere gli anni prima della sua missione; l'altra a Siena, dove fu ripristinato sotto nuovi auspici l'antico Collegio del Sacro Cuore, che oggi accoglie giovinetti che si avviano al Santuario, ed altri ancora che frequentano le scuole industriali, e gode in Siena le simpatie della cittadinanza e delle autorità. *** Il Piccardo, ormai vecchio, poté vedere l'opera sua consolidata; un drappello dei suoi cari discepoli lavorarvi indefessi, memori dei suoi insegnamenti e dei suoi esempi. E già fin di quaggiú ebbe, lui felice, a godere delle piú entusiastiche e cordiali manifestazioni d'affetto di quanti nel corso della sua lunga missione aveva beneficato. Le sue nozze d'oro sacerdotali furono celebrate in Roma e piú ancora all'Acquasanta presso la sua cara Madonna, con grande giubilo del suo cuore con l'intervento di un numero grandissimo di sacerdoti e di ex allievi. Ma fu un vero trionfo quello del suo ottantesimo. Chi vide nella Casa di Carignano in quel giorno l'affollamento di alunni e di ex allievi sacerdoti e laici e di ammiratori, e l'entusiasmo di tanti cuori intorno a quel vecchio venerando che piangeva di tenerezza e di gioia, non poté che esclamare: Oh quanti, oh quanto l'amavano! Era quello un saggio del trionfo che il Signore e l' Immacolata Madre gli preparavano in cielo. P. Carlo Olivari La Casa di Roma Nel 1902 P. Piccardo lasciò la Direzione del Seminario Arcivescovile di Genova, e venne a Roma per assumere informazioni onde iniziare le pratiche per erigere in Congregazione religiosa l'Istituto dei Figli di Maria, il cui seme era stato gettato dal Priore Frassinetti. 42 Il Card. Respighi, Vicario Gen. di S. S., saputo dall'allora mons. Giustini, poi Cardinale di S.R.C. della presenza a Roma di D. Piccardo e dello scopo della sua visita, lo fece chiamare a sé, e gli disse: “Ho sentito che voi avete aperto diversi Collegi a Genova, ora bisogna ne apriate uno qui a Roma. Il Santo Padre Leone XIII vorrebbe, e lo desiderava già da tempo, che si aprisse un Collegio per i Chierici e Sacerdoti studenti che vengono a Roma dalle province e abitano in case private, affinché siano aiutati nella loro vocazione e sia ovviato a tanti inconvenienti”. “Come posso - rispose D. Piccardo - assumere questa impresa?” “Voi - aggiunse il Card. Vicario - siete l'uomo della Provvidenza, e dovete assumervi questa impresa; parlatene con i vostri sacerdoti della Casa di Genova e poi mi darete una risposta. All'Arcivescovo direte che il Cardinale Vicario vi ha pregato di aprire una casa a Roma, e non potrà avere nessuna difficoltà”. “Io, veramente, ero venuto per avere le norme onde fondare la Congregazione ...” “Si farà anche questa, ma prima occorre che apriate il Collegio: poi si penserà alla Congregazione”. D, Piccardo tornò a Genova, espose la proposta del Card. Vicario giusta il desiderio del Papa e i Sacerdoti risposero: “A Roma non si dica mai di no”. E il Collegio fu senz'altro aperto, prima nell'ospizio dei Cento Preti al Lungotevere Vallati, e poi nella grande casa di Via del Mascherone, antico palazzo dei Cavalieri Teutonici. Il Papa, a dimostrare la sua benevolenza, volle che il Card. Vicario pro tempore, fosse il Protettore particolare dell'Istituto e della nuova Congregazione che si formava. Dal 1902 ad oggi un numero straordinario di Chierici e Sacerdoti di tutte le diocesi d'Italia e dell'Estero furono alunni di questo Istituto, e tra questi alcuni furono insigniti della dignità vescovile o assursero a cariche importanti in Curia o nelle diocesi. Ecco un po' di elenco di ex alunni della Casa di Roma: S. E. Mons. Gaetano Cicognani, Arcivescovo tit. di Ancira. Nunzio Apost. in Bolivia, S. E. Mons. Carlo M. De la Torre, Vescovo di Riobamba (Equatore), S. E. Mons. Nicola M. Di Girolamo, Vescovo di Chiazzo, S. E. Mons. Sigismundo Loyinski, Vescovo di Minsk (Polonia Russa), Vi abitò pure per due anni come ospite S. E. Mons. Ermenegildo Pellegrinetti, Arcivescovo tit. di Adana (Nunzio Apostolico a Belgrado, Mons. Licinio Refice, Maestro della Cappella Liberiana, Mons. Egidio Lari, Uditore della Nunziatura a Berna ; Mons. Carlo Chiario, Uditore della Nunziatura a Varsavia (Polonia), Mons. Aldo Laghi, addetto alla Segreteria di Stato, Mons. Alberto Levame, Uditore della Nunziatura in Venezuela, Mons. Amleto Cicognani, Sostituto della Concistoriale, Mons. Enrico Agostini, Aiutante di studio ai Religíosi, Mons. Giulio Chiavoni, Minutante a Propaganda, Sac. prof. Ugo Bertini, Vice Segretario alla Propagazione della Fede, Mons. Nigrini, Aiutante di Studío alle Università e Seminari, Mons. Farolfi, Aiutante Studio al Concilio, Mons. Del Carlo Vicario Gen. di Lucca, Mons. Tabanelli, Vic. Gen. di Imola, Mons. Santori, Vic. Gen. di Todi, Mons. Francesco Bracci, Promotore di Giustizia alla S. Romana Rota. 43 Dal testamento di P. Piccardo In osculo Domini! Justus “Raccomando l'anima mia al mio Dio, ut palma mio Creatore, mio Redentore, mio florebit. ultimo fine. La raccomando alla SS. Vergine Maria Immacolata, a S. Giuseppe, al mio Angelo Custode a Sant’Antonio Abate e a tutti gli Angeli e Santi del Paradiso. Imploro dalla misericordia di Dio il perdono di tutti i miei peccati voglio morire nelle braccia della Santa Romana Chiesa, protestandomi di voler essere fino all'ultimo istante della mia vita figlio obbedientissimo di tanta Madre, sottomesso con piena e tutta sincerità di mente e di cuore a tutti gli insegnamenti precetti e consigli del Sommo Pontefice, Vicario di Dio in terra, rifiutando e abominando tutto ciò che a questi insegnamenti e in qualunque maniera si oppone. Cosi il buon Dio mi aiuti e la SS. Vergine Immacolata ... Mi raccomando a tutti i Confratelli ed alunni che non si dimentichino di pregare per me nella Santa Messa ed orazioni. A tutti poi in generale e a ciascuno in particolare domando perdono dei torti e dispiaceri che io posso loro avere arrecato. (Dal suo testamento) Il P. Piccardo e il Papa Il Frassinetti nel 1837 nelle sue “Riflessioni proposte.agli Ecclesiastici” scriveva: “O Vaticano, a te mi prostro e bacio, adorandoti, le sante tue falde. Io non allontanerò mai i miei occhi da te: tu sei quel monte da cui mi aspetto ogni aiuto, tu mi dai luce, tu mi dai lena e speranza”. Queste parole furono veramente per Padre Piccardo, parva favilla a cui gran fiamma seconda. Erede dello spirito del Frassinetti, come lo fu della sua opera nascente, egli ebbe sempre per il Papa una venerazione particolare, tanto che possiamo ben dire fu questa una delle note piú caratteristiche della sua vita. Rapiva quando nella sua paterna, soave amabilità raccontava le sue visite al Papa: ne numerava le parole, estasiandosi nel suo bianco volto cercando di far godere nei figli l'ora gaudiosa da lui gustata e la parola semplice che gli sgorgava dal cuore inondato di gioia, commoveva profondamente. Non formavano i racconti delle sue visite al Papa, il centro delle sue conversazioni? Chi ebbe la fortuna di stargli a fianco lo sa. E il motivo di questi continui racconti era perché voleva che i suoi alunni avessero per il Papa eguale amore. Non lasciava passare occasione, anzi le cercava, per vedere il Papa. Appena sacerdote nel 1868, toccato il suolo di Roma si affretta a correre ai piedi di Pio IX per ricevere la sua 44 benedizione, ed ogni sera ne aspetta la vettura dalla Via delle Fondamenta per ricreare il suo spirito nella candida visione dell’angelico Pio. Come godeva il suo cuore quando raccontava le meraviglie dél Pontificato di Leone XIII! Quante volte venne da Genova per vederlo? Nemmeno lui se lo poteva ricordare. L'anno Santo 1900 fu una nuova e potente vampata che alimentò il fuoco del suo cuore: venne per le visite giubilari nello stesso gennaio con molti dei Figli di Maria, ed essendo allora anche Rettore del Seminario Arcivescovile organizzò i pellegrinaggi dei Seminaristi, spronandoli a recarsi a Roma; e dove non arrivava la borsa dei suoi giovani alunni, arrivava sempre la sua paterna generosità: non badava a questo sacrificio finanziario pur che fosse conosciuto, amato, venerato il Papa. La Provvidenza dispose che questo figlio, tanto amante del padre comune, stabilisse la sua dimora presso il trono pontificio. Da questo periodo, 1902, la figura del Padre Piccardo era divenuta cosí popolare in Vaticano, che dallo svizzero al portone di bronzo agli intimi della famiglia pontificia correvano intorno a lui e lo salutavano come un amico di casa. Non vi era funzione, cerimonia, ricevimento senza che egli vi partecipasse: la famigliarità con gli intimi del Pontefice e con il Pontefice stesso, lo aveva reso caro a tutti. Questa benevolenza e quasi preferenza era originata dal fatto che si era conosciuto il grande amore, la profonda venerazione che egli aveva per il Papa. I Papi stessi da Pio IX a Pio XI si dimostrarono oltremodo benevoli con lui. Quante volte lo abbiamo visto con le lagrime agli occhi, quando con la sua voce tremante per la commozione, narrava qualche atto di benevolenza del Papa! Pio IX benedisse la sua opera e gli inviò un prezioso autografo che tutti abbiamo ammirato e letto nel suo studio della Casa di Carignano. Leone XIII volle affidargli il giovane clero che veniva a Roma per perfezionarsi negli studi e piú d'una volta lo mandò a chiamare per informazioni, come per la nomina del Can. Gavotti a Vescovo di Casale, mandando a lui mons. Della Chiesa, poi Papa Benedetto XV. Pio X lo amò e protesse come un padre protegge un figlio e sanzionò con la sua apostolica autorità la canonica erezione dell'Opera dei Figli di Maria in regolare congregazione religiosa. Anche nei pubblici ricevimenti, quando egli vedeva P. Piccardo, a lui rivolgeva sempre la sua parola, e nello scherzo arguto che spesso usciva dal labbro del Santo Pontefice si vedeva di quale affetto lo circondava. Benedetto XV non lasciava passare occasione senza ricordarsi di lui: lo riceveva spesso di sera, quando era piú libero dalle occupazioni del suo apostolico ministero, gli mandava qualche dono per la sua festa onomastica e per le sue nozze d'oro sacerdotali nel 1918 gli mandava a mezzo di mons. Migone una sua splendida fotografia racchiusa in ricca cornice con il seguente autografo : “Al diletto figlio P. Antonio Piccardo porgiamo affettuosi rallegramenti per i dieci lustri di operoso Sacerdozio che il Signore gli ha fatto compiere e con la benedizione apostolica che gli inviamo di cuore, esprimiamo non solo la benevolenza del padre, ma anche l'augurio che veda crescere il numero e non diminuito lo zelo dei Figli di S. Maria Immacolata”. Pio XI gli ha sempre, dal suo avvento al trono pontificio, mandato la medaglia commemorativa degli anni del suo pontificato; e tutte le volte che vedeva qualche membro dell' Istituto, o qualche vescovo, ospite dell'Istituto a Roma, diceva sempre: “E P. Piccardo come sta?...” Il 2 febbraio dell'anno scorso presentandogli, secondo la tradizione, il cereo il giorno della Purificazione, al P. Minetti prostrato ai suoi piedi, diceva: “P. Piccardo, è a Genova? Come sta? Scrivetegli che il Papa lo saluta e gli manda una particolarissima benedizione”. Durante l'ultima malattia, incaricava l'Arcivescovo di Benevento “a portargli la sua paterna, affettuosissima benedizione”. Lo scorso anno mentre a Genova i suoi alunni si stringevano attorno a lui, ricorrendo 1'80° di sua età, gli faceva pervenire con la facoltà di 45 impartire l'apostolica benedizione ai presenti, la sua fotografia, con le autografe seguenti parole : “Pius P. P. XI, gratulabundus, augurabundus permanter in Domino”. Questo atto di sovrana bontà consigliò il P. Piccardo, appena ritornato a Roma a chiedere un'udienza particolare, e Pio XI si degnò ancora donargli quattro grosse medaglie due in argento e due in bronzo. L'ultimo atto però che suggellò la benevolenza veramente paterna del Papa e fu insieme la dimostrazione piú bella della venerazione del P. Piccardo al dolce Cristo in terra fu nel settembre scorso. Presagiva forse egli prossima la sua fine? Improvvisamente una sera capitò a Roma da Genova il Veneratissimo Padre e alle nostre domande per sapere come mai si era deciso a far simile viaggio, rispose che era venuto per acquistare il giubileo con il pellegrinaggio genovese e prendere ancora una benedizione dal Papa. E difatti, nonostante le forze gli mancassero, andò anche lui all'udienza pontificia. Quando Pio XI passando in rassegna i pellegrini arrivò al nostro Padre: “Ecco un pellegrino carissimo e desideratissimo” e dicendo queste parole passò sopra le sue spalle, quasi in paterno amplesso, la sua augusta mano. In questo abbraccio e in queste parole vi é il riconoscimento piú augusto e solenne della profonda, sentita, figliale venerazione e devozione al Vicario di Cristo in terra. Il pellegrino aveva finito il suo mortale pellegrinaggio e la benedizione del Papa unita al perdono giubilare gli schiudeva la porta del Cielo. P. Piccardo e il Priore Frassinetti Chi conobbe il Priore di S. Sabina in Genova sia pure attraverso i suoi scritti, chi conobbe ed ebbe famigliarità con il compianto P. Piccardo, è costretto a confessare che queste due anime sante si sono davvero incontrate spiritualmente nel cammino della vita e che lo spirito dell'una si è trasfuso in quella dell'altro. P. Piccardo, è vero, conobbe solo di vista il Priore di S. Sabina per averlo veduto qualche volta di sfuggita andando a passeggio con i compagni del Seminario, come lui stesso ebbe a dichiarare: ma dal 1867, anno in cui fu con il pieno consenso di lui prescelto a suo successore nella direzione dell'Opera di S. Maria Immacolata, allora appena nascente e ancora in cerca di fissa e stabile dimora, la sua vita di persona agiata divenne come quella del Priore, la vita del secondo buon Padre in quella piccola famiglia sorta dalla povertà e cresciuta all'ombra della protezione della Vergine Immacolata e che egli era destinato dalla Provvidenza con l'aiuto delle persone caritatevoli a farla crescere a quello stato di floridezza in cui ora si trova. Animato dallo spirito di Dio che tutte le cose rende facili e pronte, sorretto dall' esempio dell'uomo santo che lo aveva preceduto nella non facile impresa e che non poteva mancargli di aiuto con le sue preghiere, egli, il Piccardo, da ammiratore divenne subito il piú studioso e zelante emulatore del Frassinetti. Passarono gli anni e furono molti quanti ne trascorsero dal 1868, anno in cui moriva il Priore ed egli era ordinato, sacerdote, fino al 1925, ed il secondo Padre dei Figli di Maria fu e si conservò sempre lo stesso: quell'uomo di vero spirito, e di soda pietá, di eminente virtú come apparve a tutti noi che lo abbiamo conosciuto, di quello spirito, di quella pietà, di quella virtú che seppe attingere dalla lettura costante e diuturna delle vite dei santi e dalla vita e dagli scritti del santo suo predecessore. Opera questa di facile santificazione per lui che fin dal Seminario aveva cominciato con il piegare con ferma volontà la sua anima, il suo spirito a tutte le operazioni e le illustrazioni della grazia del cielo, e che completò poi nella sua lunga 46 vita di sacrificio e di abnegazione come Moderatore della Casa dei Figli di Maria; opera di santificazione che si prefisse inoltre da realizzare nell'anima dei suoi figli spirituali che nel periodo di quasi 60 anni sono cresciuti in larga falange sotto la sua paterna direzione e di cui molti sono riusciti vero decoro della chiesa genovese diffondendovi il buon odore delle virtú del santo Fondatore. L'opera di personale santificazione si tramutò cosí, come per incanto, in quell'opera di santificazione o restaurazione sociale cristiana, cui mirava il Priore di S. Sabina quando fondò la prima Congregazione dei Figli di Maria e quando imprese a scrivere quei molteplici libri che furono una vera provvidenza in tanto pervertimento del suo tempo e lasciarono nell'anime la piú profonda impronta di santità. E il Padre Piccardo volle continuata, anzi direi quasi centuplicata l'azione di quegli scritti destinati a fomentare un nuovo e grande risveglio di pietà nel mondo e lo fece con la ristampa dell'intera collezione delle opere edite ed inedite di Giuseppe Frassinetti, realizzando cosí, dopo tanto tempo, il desiderio del pio autore che pur ne aveva tentato la prova fin dal 1865 con una ristampa dedicata al Card. Patrizi ma che dovette troncarsi quasi all'inizio per la sopravvenuta morte il 2 gennaio 1868. La nuova Collezione, dedicata dal Piccardo a Pio X, il grande Papa restauratore della dottrina cattolica, e recante in fronte una lunga prefazione del Card. Svampa, Arcivescovo di Bologna, in cui magistralmente sono illustrati i singoli scritti frassinettiani, venne pubblicata con i tipi della Vaticana dal 1905 al 1912. Consta di 13 volumi di nitidissima veste in ottavo grande e comprende: due volumi di spiegazioni del Vangelo, tre volumi di Istruzioni Catechistiche, quattro volumi di Ascetica, due di Discorsi e Novene della Vergine, dei Santi, e delle principali festività dell'anno; uno di Esercizi Spirituali ed uno finalmente di operette varie predicabili ed ascetiche, con il quale si chiude la serie. Era bello il vedere il venerando Padre Piccardo vegliare le lunghe ore del giorno e della notte, con la pazienza di un certosino, sui manoscritti preziosi del Frassinetti per controllarli con la stampa, per coordinare la materia dei vari volumi con nesso logico, per leggersi e rileggersi piú volte le prove di stampa per correggere le bozze di ben 5704 facciate, quante ne comprende l'intera Collezione e far del suo meglio onde l'opera riuscisse meno indegna del venerando Autore e del Grande Mecenate del Vaticano, a cui egli con sentimento di figlio devotissimo la volle dedicata. Andava in giubilo ogni qualvolta parlava di quell'opera cosí bella ed era raggiante quando il suo pensiero considerava il gran bene che avrebbe fatto nel mondo delle anime questa raccolta di scritti, pieni di dottrina e di santa unzione. Sancta sanctis, diceva egli con senso di grande umiltà e da uomo, come era ornato dello spirito di Dio, trattava veramente le cose del Frassinetti come cose di santo e le trattava in modo santo. E non si chiamò contento finché non vide coronati i suoi desideri con il Processo della Causa di Beatificazione del Frassinettí, che egli aveva ormai cosí ben conosciuto attraverso i meravigliosi suoi scritti. A noi, che, per somma sua degnazione, volle partecipi del suo lungo lavoro, dava con grande contentezza e commozione la notizia che il Consiglio Superiore della sua Congregazione, in seduta plenaria del 13 aprile 1909, aveva deliberato l' introduzione del Processo Canonico per la Causa del Fondatore e che ne era stato lui stesso eletto Postulatore. Si mise subito all’opera tanto da lui vagheggiata, ma per varie vicende, benché fin dal 1° agosto 1913 ne avesse inoltrato formale domanda all'amministratore della Diocesi mons. Pio Boggiani, e ripetuta nel luglio 1915 all'Arcivescovo mons. Ludovico Gavolti, non si poté iniziare il Processo Ordinario se non il 26 gennaio 1916; giorno in cui con tutte le solennità di rito fu definitivamente costituito il Tribunale Diocesano. Non è a dire quanta cura mettesse in questa bisogna e in ogni piú minuto particolare che riflettesse la detta Causa. Si interessò di ogni singola sessione del Tribunale, di ogni singolo teste e dal Vice Postulatore voleva frequenti e minuti ragguagli di quanto accadeva, dimostrando cosí, con quale amore e calore caldeggiasse la causa del servo di Dio. Volle lui 47 stesso essere il portatore del Processo a Roma e, presentandolo alla Sacra Congregazione dei Riti, sembrò che egli facesse la consegna di tutto se stesso all'Autorità Apostolica. Gli rimaneva ancora come spina al cuore il Processo de non cultu che egli avrebbe desiderato compiere prima di finire i suoi giorni, e la Vita del venerando Priore che ardentemente bramava uscisse alla luce compilata da penna maestra che egli stesso volle prescelta ; ma la morte lo colse quando già le cose si avviavano a felice soluzione. Pieno di meriti volò sereno in braccio a Dio e là, giova sperare, sarà sazio il suo cuore di aver goduto in anticipo la gloria del santo Priore e fondatore dei Figli di Maria! Sancta sanctis. Ducarpo L’uomo forte Ciò che spicca maggiormente nella fisionomia morale del lacrimato Superiore Generale, la qualità che in qualche modo fissa con maggior precisione la sua caratteristica è la fortezza. Padre Piccardo fu un uomo forte nel senso piú bello e piú cristianamente puro della parola. È cosí che si spiega conie egli sia potuto uscire vittorioso da ogni cimento e abbia potuto superare ogni procella. E quante procelle non urtarono contro la sua navicella nel corso della sua lunga navigazione, fino a minacciarne il naufragio! La sua fede, la sua preghiera, la fortezza sempre lo salvarono. Egli sapeva navigare sulle grandi acque. Io mi sento compreso di ammirazione quando penso a questo meraviglioso nocchiero che la tempesta non impaurisce, che in faccia al pericolo non trema, che davanti all'ostacolo si esalta, che attraverso le bufere di cui fu feconda la sua lunga esistenza, seppe compiere arditamentc la sua navigazione e arrivare al porto integris rate et mercibus. Sono queste le figure che si impongono, questi gli uomini forti che San Giovanni Grisostomo voleva coperti di fiori, perché a detta del grande Dottore essi hanno dato la prova massima della forza d'animo. Ed in questa forza d'animo fatta di preghiera e di unione con Dio, di dolcezza e di umiltà è riposto il merito della fecondità del loro apostolato. Dire queste cose del carissimo Estinto è fare un elogio giusto e doveroso e piú che un elogio una constatazione, e ciò può servire di conforto e riuscire di incitamento a quanti cammineranno sulle sue orme, a quanti sono gli credi della sua opera e del suo spirito. Urbino, 18 novembre l925. + Giacomo Ghio, Arcivescovo d'Urbino Dolce visione Il Padre Antonio Piccardo! Dolce visione cara ed angusta figura che sempre viva, sorridente ed amabile si delinea ai mesti sguardi dei beneficati e diletti suoi figli! Ah sí! Era casa, vera famiglia sua Istituzione, che Egli la reggeva coronato dall'aureola di Padre. La casa significa ambiente la cui atmosfera è imbalsamata di affetti santi, irradiata da luce superna, ed ove aleggia e si rispecchia la gioia e la pace del buon Dio e là nell'Opera del compianto Personaggio si ammirava il vero Santuario di Dio. 48 Cara e singolare Famiglia! Vi si era amati senza debolezze, corretti senza asprezza, sorvegliati senza affettazione, e l'anima nutrita di verità, di confidenza, di rispetto e di schiettezza si sentiva attratta, senza avvedersene, ai sacri doveri di pietà, del sapere e della disciplina. Il venerabile D. Giuseppe Frassinelti aveva davvero trovato il vero depositario, il degno custode e valente artefice dei concepiti disegni e dell' opera da lui iniziata. Il compianto P. Antonio Piccardo l’accolse nella sua giovine e sacerdotale anima di Apostolo con slancio ed entusiasmo; vi consacrò le sue energie, le sue sostanze e la vita per coltivarla, darle impulso fertile e consistenza duratura. Sí, sono undici lustri di attività senza. tregua, alternata da qualche gioia mista a sofferenze. Egli ricordava che controllo e garanzia delle grandi virtú sono i grandi sacrifici. Li amò con il generoso Fiat. Il Getsemani è noviziato al Tabor. Di là, spirito eletto e venerando, ove Ti avvolge nube lucida di beata trasfigurazione, Tu aleggia avvocato e patrono su quei figli che guidasti al santuario e sulla tua religiosa Famiglia. Che essa, grazie alla tua superna assistenza, viva sempre del caldo e possente battito del Cuore di Cristo. In tal maniera, mentre a lode del compianto Padre Antonio Piccardo sarà incisa sul marmo o nel bronzo del suo tumulo la grande e scultorea parola “VIR” si registrerà anche nella storia: Bella, immortal, benefica fede ai trionfi avvezza scrivi ancor questo: L'Opera dei Figli dl S. Maria Immacolata altamente benemerita e della Religione e della Patria. Albenga. 18 novembre 1925 + Angelo, Vescovo. La sua bontà La virtú caratteristica del nostro venerato Superiore era la bontà. Si riconoscevano e si apprezzavano le altre doti, di cui il Signore lo aveva arricchito: l'intelligenza, la prudenza, il raro buon senso, l'attività, lo zelo, la fermezza e, quando occorreva, l'energia; ma ce n'era una che quasi assorbiva tutte, dando a tutte un colore ed un sapore speciale, la bontà. Per questo, quando si parlava di Lui, non si pensava quasi mai a chiamarlo intelligente prudente, attivo, zelante; ma si diceva sempre: Quanto è buono! E la stessa signorilità ed affabilità, cui subito si avvinceva gli animi, non si chiamava cortesia, ma bontà per questo, appena sparsasi la notizia della sua morte, il tributo dato alla sua memoria, piú ancora che di ammirazione e di lodi, è stato di dolore e di lacrime. Verona, 31 novembre 1925 + Gerolamo Cardinale ELEGIA 49 Per quale nostalgico senso o lusinga d'Autunno cedesti, Padre, al cenno della sorella Morte, onde ai sussurri dell’Alba al lento vanir delle stelle, stanco, piegasti il capo al margin della via? Forse tra foglie stormenti, che Autunno ramingo distacca all'arbori pensose, ricacciandole ai venti, piovve il Mattino chiaro leggiadre ghirlande di gigli e il fior dell'asfodelo che la tua fronte imperla? O d'angioli osannanti, dai roridi cieli, una schiera a Te volò nell' attimo del transito supremo, e su le candide ali sorresse lo Spirito eterno perché all'empiree soglie beatamente approdi? Triste e solenne, in queste raccolte serate autunnali, eteree visioni m’offre la fantasia; Ond'io fanciullo, evoco dal Tempo memorie sopite, a cui s' intreccia il fiore di Giovinezza spenta. Ah! non per ansie vane di gloria e di effimeri onori ripiega in cuor la fiamma che Amor di se alimenta: Né per estranei lidi, o borghi o città tumultuose s'avvolge la memoria del drappo dell'oblio; ché a’ tuoi Figli dispersi, appena velaron le ciglia il lume evanescente de le pupille smorte il tremolo sorriso, tra lieve sospir di preghiere, s' irrigidí, marmoreo, sul tenue labbro esangue, e giacque la tua spoglia, supina sul candido letto, fulgendo d'aurea luce nel vespero di Roma; dai lor commossi petti ruppe il figliale compianto, mentre migravi, Padre, a' regni alti di Dio. ₪₪₪ Su lo specchio dell'urna che il misero frale ora accoglie tra verd'ombre di lauri e sorrisi di rose, un Viator poeta, passando in pensier d'amore, sosti un mattin d'Autunno, e v'incida il tuo Nome con punta d'oro: e, sotto, sul marmo polito, in graffito: '' Ei fu Seminatore d' amore e di bontà. Donò gli averi ai poveri, ché a lui fu inesausto forziere l’Evangel cristiano, fonte di carità. Dai mattutini albori, fin oltre la sera calante, arò perseverando e seminò con fede: Onde a la Religione sacrò sacerdoti trecento e offrí a l'Italia madre nobili cittadini. Lo Spirto a Dio: a la Terra la spoglia; a gli umani venturi l'esempio e la memoria, fin che la vita duri”. Amen. GIUSEPPE PIERUCCI. 50 P. Piccardo Rettore del Seminario Arcivescovile S. Ecc. Mons. Tomaso Reggio, prima Rettore del Seminario di Chiavari, poi Abate di S. M. in Carignano, aveva seguito fin dal suo primo sviluppo l'Opera di Don Piccardo: e aveva con crescente simpatia, anche quando, Vescovo di Ventimiglia, veniva nella sua Genova, notata la vita di vera vita di famiglia che la caratterizzava, e la cordialità che che continuava a stringere inalterabilmente i figli al Padre, e i fratelli fra di loro anche quando o fatti sacerdoti o rimasti nel mondo si sarebbe potuto temere che le vicende della vita e la lontananza li allentasse. Passato al governo della Archidiocesi genovese, non solo continuò all'opera tutto quel favore che essa aveva già avuto cosi grande dal veneratíssimo mons. Magnasco, ma dopo tre anni di governo, nel 1895, chiamò alla Direzione del Seminario Arcivescovile P. Piccardo in persona. Cosí Egli oltre all'opera sua che era nel massimo del suo rigoglio e della sua efficienza (erano gli anni in cui dava alla Chiesa il numero piú considerevole di sacerdoti e preparava alla vita civile negli altri collegi tanta gioventù) si vide a capo della Istituzione piú importante della Archidiocesi. Non se ne sgomentò: la fiducia in Dio e nell'Immacolata lo confortò all'arduo cimento: tanto piú arduo in quanto che la sua elezione coincideva con uno dei periodi piú critici, economicamente parlando, che il Seminario avesse avuto. Ed Egli, che per lo sviluppo dell'Opera sua aveva sempre avuto dalla Provvidenza, strumento efficace di Lei presso tanti ricchi, quanto era necessario, riuscí in poco tempo a ricostruirne il patrimonio. E non solo, ma nei sette anni che durò in carica dovette anche affrontare e recò a compimento anche molti importanti lavori di urgente necessità. Mentre curava cosí efficacemente la parte materiale, con pari efficacia curava la piú importante, la spirituale; facendo base di questa quella serenità inalterabile, e quella bontà di cuore che da tutti fu ammirata sempre e venerata come la dote caratteristica che attirava i cuori. E i problemi spirituali attinenti alla conoscenza e allo sviluppo delle vocazioni, che già aveva affrontato cosí felicemente nei Figli di Maria, li affrontò efficacemente anche in Seminario. Si preoccupò fin da principio di avere stabile in Seminario un Direttore spirituale, cosa tanto importante, e si preoccupò molto di una scelta felice. Seguí anche il cumulo di tante occupazioni i suoi seminaristi, non impedito assolutamente, nelle funzioni sacre; quanto fece singolarmente per ciascuno, molti lo sentono ancora e solo loro potrebbero dire quanto valse a confermarli nella vocazione, una sola parola, un solo cenno, un solo sorriso, un solo ... stringimento di labbra ... E in fatto di studi? anche di questi si interessò con grande larghezza di vedute: rese possibile con il concorso suo la società di S. Paolo fra i professori del seminario e degli istituti cattolici, società che durò attiva tutto il tempo che egli fu Rettore; riordinò con sistemi moderni la ricca Biblioteca del Seminario, rendendola con prudente oculatezza accessibile agli studenti seminaristi; incoraggiò per i bisogni della scuola non solo del Seminario, ma anche degli istituti cattolici l'accesso alle scuole universitarie di chi appariva capace. Merito speciale della sua attività è la visione che ebbe chiara delle esigenze della vita cristiana, che furono poi tanto sentite dai sommi Pontefici, la necessità cioè di animare la pietà cristiana alla liturgia e specialmente al canto sacro, con la istituzione nel Seminario della cattedra di Canto fermo a cui chiamò uno dei primi suoi alunni il P. A. Minetti, attuale Vicario Generale dei Figli di Maria; cattedra che fu l'inizio d'un cosí largo sviluppo in diocesi e nelle parrocchie per la applicazione del Motu proprio di Pio X; e per il miglior decoro delle funzioni del Seminario lo dotava d'un buon organo, al cui collaudo chiamava il già da allora celebre Maestro Perosi. E come fu l'anima nelle principali circostanze di feste a volerne far 51 sentire ai suoi seminaristi la bellezza! Nessuno certo dei seminaristi di allora dimenticò fra l'altro le feste solenni della inaugurazione della statua del Redentore nel cortile del Seminario. Passati sette anni di tanta attività, nei quali non dimenticò mai i suoi Figli di Maria, quando il nuovo Arcivescovo di Genova mons. Pulciano ritenne che tornasse fra essi lasciando il Seminario, egli come serenamente e pienamente aveva risposto “obbedisco” a mons. Reggio, lo ripeté a lui. E la Provvidenza aveva disposto che ciò che poteva parere una limitazione alle sue attività dovesse aprirgli la via ad apostolato piú vasto, piú duraturo. L' educatore Gli studiosi di Pedagogia s' arrabattano per trovare la legge, la norma, il vade-mecum del perfetto educatore. E tutti i pedagogisti, tutti i riformatori sono molto efficaci nella critica del pedantismo, del formalismo, salvo poi a creare per loro conto un nuovo genere di pedantismo, una nuova sottospecie di formalismo. È un fatto che il vero educatore, come il poeta vero, l'artista vero, non si plasma con espedienti d'arte o con formule di scienza: egli nasce tale ed il suo istinto lo guida, ed il suo istinto gli serve al di sopra d'ogni trattato e d'ogni sistema. Il vero educatore capisce subito lo spirito dell'educando, penetra al di sotto della superficie, scopre il buono che si nasconde sotto la scorza rude ed anche un po' magagnata, sa trovare subito la medicina che risana l'imperfezione superficiale e ne ricava vigorosi germogli. Pur quando la midolla é infetta, purché la infezione non sia radicale e contagiosa, non c'é da disperare e l' accorto giardiniere sa abilmente curare e salva la pianta. Ma è necessario l'intuito che scopra il male ed indovina il rimedio e guida la mano che non deve troppo infierire per non irritare la parte malata e diffondere la magagna. Questo intuito é mirabile dote che la Provvidenza dà alle anime privilegiate, destinate a guidare le anime dei giovani, specialmente quando di queste giovani anime é necessario formare non soltanto dei buoni cristiani, ma anche dei buoni pastori di anime. Questi educatori non di rado ascendono all' onore degli altari, perché toccano le vette della cristiana perfezione. ₪₪₪ D. Piccardo fu una di queste anime privilegiate. Egli fu un educatore nato, conobbe i segreti di un'arte che non si insegna, capí i giovani, li protesse, li guidò, li trasformò, li rese sacerdoti, degni della loro sublime missione. E questo ottenne senza rigori eccessivi, senza formalismi ingombranti, senza mortificanti costrizioni all'anima del giovane che ha bisogno di vita, di entusiasmo, di ardore. Seppe comprendere e compatire, seppe correggere senza irritare, dirigere senza mortificare, perché amò la gioventú e dall' amore per essa trasse una ispirazione costante all'opera sua. Chi guarda alla superficie delle cose e concepisce l'educazione dei giovani solo dal lato della disciplina esteriore può anche trovare materia di critica nella concezione educativa di Padre Piccardo. Nei suoi Collegi, nella sua Casa, in quella benedetta Casa dei Figli di Maria che ha dato alla Liguria tanti Sacerdoti colti e zelanti ed alla Chiesa illustri presuli, può taluno non approvare quella famigliarità che ne costituisce la caratteristica piú simpatica. Ma chi concepisce l' educazione come azione, come influenza d' uno spirito elevato su spiriti in formazione, deve approvare incondizionatamente, quel sistema che consiste 52 nell'avvicinare famigliarmente i figli al padre spirituale; realizzando l'ambiente ideale dell' istituto d'educazione: il collegio famiglia. Qui veramente lo spirito del Padre si trasfonde nei figli; qui i giovani alunni apprendono non una disciplina meccanica che deve abbandonarsi nella vita attiva, specialmente nella sacerdotale, ma una disciplina che è abito al bene, abnegazione, sacrificio, amore. Noi ci auguriamo vivamente che lo spirito di P. Piccardo aleggi sempre nella Sua Congregazione e nei suoi Collegi; ci auguriamo che i suoi metodi educativi continuino ad essere attuati dai suoi successori. GIULIO MARCHI. Don Piccardo e il Santuario dell'Acquasanta L’aura mariana della famiglia e la fede del popolo, in mezzo a cui il P. Piccardo passò la fanciullezza e l'adolescenza, testimoniano la tenerissima devozione cui il P. Piccardo giovinetto venne educato. Aveva quasi otto anni, ci ricorda il P. Profumo nella vita del P. Benedetto Piccardo, quando accompagnò nella visita al Santuario dell'Acquasanta lo zio P. Benedetto S. J. che si disponeva a partire per le Missioni dell' America ed ebbe la sorte di servirgli la S. Messa. Don Piccardo ricordava sempre i suoi pellegrinaggi con i parenti ed in special modo con il padre suo, sig. Pasquale Piccardo, che per essere stato varie volte Sindaco di Voltri, fu Amministratore al nostro santuario. Quando il giovinetto Antonio sentiva sbocciare i primi segni della vocazione ecclesiastica, e non aveva che undici anni, lo zio P. Benedetto scriveva dall'America alla madre sua di porre la vocazione del figlio sotto la protezione della Vergine Immacolata. Fu egli profeta intravedendone il futuro Fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata? Assertore convinto ed aperto della secolare devozione dei Voltesi alla loro Madre, il giovinetto Piccardo volle porre sotto la protezione della Vergine Santa le prime speranze del suo Sacerdozio, pellegrinò, tante volte al nostro Santuario per implorare, come egli amava dire, per l'intercessione della Madonna dell'Acquasanta, la grazia di corrispondere alla Missione cui Iddio, cosí fecondamente, lo preparava. Il Santuario e l'Opera dei Figli di Maria “Noi, nati presso il Santuario di Maria dell'Acquasanta, dovremmo prendere a cuore i titoli e gli Istituti in onore della SS. Vergine” gli scriveva lo zio Missionario: fu perciò che nel 1868, il novello Sacerdote Antonio Piccardo accettava entusiasticamente la provvidenziale missione di continuare l'Opera dei Figli di Maria del Ven. Frassinetti. Gli sembrò questo un segno evidente della protezione della Madonna e fu cosí che nella vita del Padre e nella storia dell'Istituto il nostro Santuario gli apparve come la "meta di fede,, donde egli aveva tratto le forze prime, animatrici della sua vocazione, il tempio di intimi e soavi ricordi, cui volentieri e spesso, da Pra, da Rivarolo e da Genova, riportava gli alunni dei suoi collegi. Il Padre Piccardo si compiaceva veder fiorire queste care memorie attorno alla sua Congregazione e ricordava spesso l'Acquasanta come Santuario di meditazione e di preghiera per il Pio Frassinetti, per la Ven. Paola Frassinetti (sorella del Priore di S. Sabina in Genova) fondatrice delle Suore Dorotee, per la piissima Suor M. Ravasco, fondatrice delle Suore che 53 da Lei presero il nome. Questi Istituti, affini all'Opera dei Figli di Maria e tenuti in tanta venerazione dal P. Piccardo, animavano di religioso affetto il suo amore per il Santuario dell'Acquasanta, rendendolo sempre piú caro al suo zelo sacerdotale. Ogni anno, Egli veniva con tanta bontà, e spesso con tanto sacrificio, a visitare la "SUA MADONNA” ed anche sul declinare della vita amava passare alcuni giorni presso di noi, nelle piú care funzioni del Santuario. Tutti qui lo ricordano ospite gradito e venerato presso il rev. Rettore del Santuario; tutti gli Ex allievi ricordano il convegno della sua Messa d'oro (nel 1919) quando l'allora Rettore Don Piana preparò per Lui una Festa solenne e memoranda ed i Sacerdoti e i Figli di Maria convenuti a fargli corona consacrarono, negli scritti, in una riuscitissima accademiola, in tante memorie a Lui care, l'omaggio simbolico dei figli al Padre, nel Santuario tanto diletto. Il Santuario dell'Acquasanta suo desiato riposo Il Santuario dell'Acquasanta è, per il suo Istituto, perché lo era per Lui, un "Monumento di vita”, ma Don Piccardo desiderò vivamente, ed a molti piú volte ha manifestato il desiderio che diventasse il suo mausoleo di morte. Non è che Egli abbia voluto tener lontano il suo sepolcro dalla Casa dei Figli, pur potendo riposare anche in Roma, ma Egli, con atto di suprema devozione verso Maria dell'Acquasanta, ha voluto legare la sua memoria ed il suo esempio al Santuario, come per riallacciare ad una fonte di mariana pietà il cuore dei Figli, eredi del suo patrimonio spirituale. Gli ex allievi e compagni ricordano il primo convegno degli ex-allievi (dopo quello tenuto in Genova, per la fondazione) che, con felice divisamento, si fece ad Acquasanta, il 7 Giugno di quest'Anno Santo. Quel giorno il saluto del Padre, trattenuto per impegni a Roma, fu un telegramma che ci richiamava alla preghiera per la sua Madonna. Era l'espressione di un pio volere, era voce sacra come di testamento, il doverlo ricordare qui, all’altare della Madre sua e nostra? ... L'epilogo della sua vita mostrò che tutto ciò non era una sola intenzione occasionale, ma Egli voleva si pregasse la sua Madonna sentendosi venir meno il vigore delle forze. L'Asilo venerato di tante memorie del Padre, oh ! non sarà la tomba di un amore immemore, ma diverrà per tutti noi l'umile altare della nostra riconoscenza. Tutti i Figli della sua Congregazione, i Sacerdoti e Laici ex Allievi, le persone che lo hanno amato ed aiutato nella vita conosceranno il nome del nostro Santuario, ne erediteranno l' amore; al suo sepolcro, che speriamo presto potrà, qui avere, verranno attratti dal doveroso ricordo, spinti dal desiderio del suffragio per il nostro caro Padre Piccardo. La preghiera ci unirà ancora, in Dio, al suo Spirito eletto, il suo esempio ci mostrerà l'idealità della devozione a Maria Santissima, sentiremo il suo amore rivivere con l'intensa fedeltà delle opere ed il suo Nome, qui, al Santuario dell'Acquasanta, ci spronerà ad attrarre a Dio ed alla Vergine il cuore di tanti altri Figli di Maria. Noi ci ispireremo cosí, come la la miglior forma di suffragio, dopo la preghiera, a tener viva l'opera sua, per il bene di tante anime, con altezza di pensiero e continuità di fede. Sac. DOMENICO RAZZORE Rettore del Santuario N. S. dell'Acquasanta Anime generose Erano entrati ai Figli di Maria con un dolce, con un santo sogno nel cuore: un giorno sarebbero stati Sacerdoti! Oh essi avrebbero lavorato tanto, avrebbero predicato, avrebbero 54 salvate tante anime! Ma ... quale sarebbe stato il campo del loro lavoro? Essi non lo sapevano. Avevano sentita nel cuore soave e vivissima la voce di Dio che li chiamava, avevano sentita la Vocazione; e accompagnati chi dal parroco, chi dalla mamma erano venuti alla Casa dei Figli di Maria. C'era un Direttore tanto buono! Egli li avrebbe guidati, li avrebbe aiutati. Entrati in Casa, compresero subito il programma: studiare, pregare e stare allegri. Servite. Domino in laetitia: ecco lo spirito del Regolamento che informava la comunità. Ed essi pregavano, studiavano e stavano allegri. Che bei giorni, che bei anni passarono! Nella Casa dei Figli di Maria avevano trovate fiorenti tre devozioni, tre forze vive dalle quali si sentivano presi e pervasi: la devozione alla Santissima Eucaristia, la devozione alla Madonna e un grande amore al Papa. Quanta luce, quanta forza scendeva ai loro giovani cuori accanto a quel piccolo altare della linda cappella, sotto lo sguardo materno e la benedizione della Madonna, sorridente dalla sua nicchia! Oh sí, la vocazione maturava, si schiariva, si decideva. Nelle quotidiane orazioni recitate in comune in cappella, vi era anche un'invocazione particolare e una preghiera a S. Francesco Saverio, al santo missionario, al santo dallo zelo apostolico e dalla fortezza dell'eroe di Cristo. E il santo fu propizio alle loro invocazioni ed essi promisero: saremo missionari. L'occasione di intrattenersi sulle missioni, di alimentare la fiamma, era del resto frequente: tutti gli alunni della Casa erano ascritti all'Opera della Santa Infanzia e a quella della Propagazione della Fede e ne leggevano tanto volentieri gli Annali. E giunta l' ora di Dio, il dolce, il caro sogno vagheggiato nei bei anni giovanili, maturato accanto all'Altare della Madonna divenne una gioconda realtà: e uno e poi due e poi altri partirono per il campo delle apostoliche fatiche. E sono una ventina i generosi che sparsi in Australia, in Cina, nel Brasile, nel Messico, negli Stati Uniti lavorano nel campo del Signore. S. Francesco Saverio continua ad essere invocato ogni giorno nella Congregazione dei Figli di .Maria, che lo ha scelto come uno dei suoi Protettori ed altre anime é sperabile, accanto all'altare, sotto lo sguardo di Maria Immacolata sentiranno la grande chiamata di Dio. De minimis C’è uno solo degli ex-allievi dei collegi di Don Piccardo o degli amici suoi, o dei 35° preti usciti dai suoi collegi, che non abbia rievocato il “Direttore” all'annuncio della sua morte, ricordando questo o quell'episodietto personale? Forse no. Ma fu un richiamare mille piccole cose, insignificanti se prese cosí staccate una ad una, ma che per noi richiamavano qualche luce della bella figura scomparsa. Piccole tinte di un mirabile quadro: svariate tinte di minuscoli fiori addensati in un campo sterminato, cui donano, tutti ed ognuno, il meraviglioso sorriso della primavera. Ed ho pensato: “Perché l’Unione D. Piccardo” non inviterà gli ex-allievi a scrivere gli episodi che ricordano? Il foglio “Risonanze” li potrebbe accogliere con indicibile compiacenza di tutti; e ne verrebbe richiamata sotto tutti gli aspetti l'indimenticabile figura del nostro “Direttore”. Ecco: ne faccio formale proposta a “Risonanze”. Vedete! Ho appena accennato a ciò ... e sono certo che con me, gli ex-allievi che leggono sono già balzati nel mondo dei ricordi ... Non lo rivedete il “Direttore” quando veniva ai vari collegi e la sera, dopo cena, s'intratteneva a chiacchierare? Quella sera il campanaro doveva lasciarci trascorrere il limite consueto per mandarci in Cappella e poi a dormire. Il direttore veniva in ricreazione e sedeva sui gradini, od in 55 Carignano su una certa colonna di marmo rovesciata a mo' di sedile ... E tutti noi gli eravamo attorno. Si dilettava a chiamarci per nome, uno ad uno, e la memoria non gli falliva. Poi narrava qualche amena storiella ... Ricordate quando narrava del viaggio di “Togno” a Roma? Allorché alla comitiva che cercava un ristorante: “sciò direttò! chi gh'è 'na locanda ...” E indicava una “ex-locanda” ... Ed allorché arrivato in Piazza S. Pietro, esclamava: “Che ciassà! ...” O quando ci narrava degli sposi di Voltri, lo ricordate?, la sposa faceva vedere i dintorni al marito: ' chi gh'è tutto Mé ..." e la sera non avevano dove andare a dormire! O quando narrava dei due vecchietti? L'uno, con il labbro superiore cosí cadente che, se soffiava. il fiato andava in giú e l'altra con il labbro inferiore cosí in avanti che, respirando faceva vento in su; e nessuno dei due poteva spegner la candela! Quanto ridere, noi, alla soluzione: soffiavano a tempo, onde le due correnti d'aria incontrandosi, potevano spegnere la fiamma. Si passavano ore lietissime e, benché ritardata, la campanella ci chiamava ancora troppo presto! Si stava bene, vicino ad un direttore cosi paterno, buono, sempre buono con noi! Che non aveva rimprovero da fare se non accompagnandolo con infinita dolcezza. Ci sapeva capire, ecco! Mi narrava, di questi giorni un ex-allievo ora arciprete, d'un giorno che aveva ricevuto da casa un po' di vino. Pensate! Un bottiglione da tre litri! E se lo portava su, in dormitorio, con la ... coscienza incerta, perché era un piccolo contrabbando. Quand' ecco nel salire la scala, si vede innanzi il Direttore. C'era da lasciarsi cascare il bottiglione, mal celato tra le pieghe del soprabito ... e che certo il Direttore aveva veduto. Ed ora bisognava ben salire: pensate con quale tremarella! e passargli davanti ... Ma, nel punto critico, il direttore si volge a un tratto e contempla un quadro che è sulla parete, dando le spalle all'allievo confuso ... che se la svignò rapidissimamente. Ma ecco, sto scendendo a particolari; e non é questo il momento. Ma se le pagine di “Risonanze” vorranno (ripeto l'invito) aprirsi agli “episodi” che gli ex-allievi non mancheranno di rievocare, dinanzi agli occhi nostri tornerà a rivivere de minimis istis la figura del direttore buono, tanto buono! I funerali di P. Piccardo In Roma Scriveva l’ “Osservatore Romano” il 7 novembre: “Una solenne e commovente manifestazione di compianto sono riusciti i funerali in suffragio del P. Piccardo, Superiore Generale dei Figli di S. Maria Immacolata. La triplice cassa contenente la salma é stata trasportata a braccia dalla Casa Generalizia di Via del Mascherone sino alla Chiesa Parrocchiale di S. Caterina della Rota. Il corteo, preceduto dai PP. Cappuccini e dal Clero della Parrocchia. con a capo il Parroco e seguito dai membri della Congregazione dal P. Piccardo, da molti sacerdoti del Mascherone, dalle Piccole Suore della Sacra Famiglia e da numerosi Prelati e personalità, anche in rappresentanza di fuori Roma. Il P. Minetti, Vicario Generale e Rettore dell' Istituto di S. M. Immacolata ha celebrato la Messa di “requiem”, assistito all'altare dai membri della Congregazione e dagli alunni del Pontificio Seminario Lombardo. Egli stesso infine ha impartito l'assoluzione. Dai buoni e veramente bravi cantori della Schola cantorum di Musica Sacra é stata eseguita scelta musica del maestro Perosi, sotto la direzione del giovane maestro Curatola. Alla funebre cerimonia sono intervenuti. l'Ill.mo e Rev.mo Mons. Giuseppe Palica Vice Gerente di Roma, l'Abate Ferretti dei Benedettini, Mons. Pacini in rappresentanza di Mons. 56 Pellegrinetti Nunzio Apostolico di Belgrado, Mons. Boer in rappresentanza di Mons. Francesco Pascucci Segretario al Vicariato di Roma, Mons. Baranzini, rettore del Seminario Lombardo con gli alunni, Mons. Agostini in rappresentanza di Mons. La Puma Segretario della S. Congr. dei Religiosi con Mons. Sposetti e Saini della stessa S. Congr., Mons. Zerba della Congr. dei Sacramenti, Mons. Farolfi della Congreg. del Concilio, Mons. Negrini della Congr. degli studi e dei Seminari, piú ancora i Monsignori Conte, D'Agata, Tartaglia, Silvestri, Ercoli e molti altri. Notavasi pure Mons. Refice, maestro della Cappella di musica in S. Maria Maggiore, il Fratel Samuele, rettore della Casa dei Cento Preti, Mons. Ferri ed il comm. Sconi in rappresentanza dell'Arciconfraternita dei Genovesi con insieme uno stuolo di Signori e Signore della medesima città. Vi erano poi il cav. Berardi della Segreteria di Stato ed il cav. Trifogli dell'Elemosineria Apostolica. Dei secolari notammo; il Comm. Avv. Corsanego, Presidente Generale della G. C. I., il prof. Comm. D' Agata, direttore della Clinica Chirurgica nella R. Università di Messina, il cav. prof. Ancarani, il signor Miglia e tanti altri di cui ci sfugge il nome. Vi era poi una larga rappresentanza dei Padri Scolopi e dei Padri Somaschi di S. Girolamo della Carità con a capo P. Muzzitelli proc. gen. dei medesimi; piú una rappresentanza dei Minori Conventuali con il P. Ignudi, piú ancora Padri Cappuccini e di altri Ordini Religiosi. Cosí pure rappresentanze di Suore ed Istituti femminili come delle Dorotee e delle Figlie dei SS. CC. Istituto Ravasco di Genova, cosí pure vi era una rappresentanza dell'Associazione ex allievi “Don Piccardo” in persona del sig. Cavanna. Terminata la cerimonia la salma é stata lasciata in Chiesa vegliata amorosamente dai Figli di S. M. Immacolata in attesa di essere trasportata oggi nelle ore pomeridiane alla stazione di Roma per essere trasportata a Genova dove la accompagneranno le benedizioni dei buoni, che unendosi ai suoi concittadini tributeranno l'ultimo e reverente saluto al buon Padre c grande benefattore. *** Nella Chiesa dei Genovesi in Roma, per cura dell'Arciconfraternita, ebbero luogo giovedí 3 dicembre altri solenni funerali con intervento di numerose personalità ecclesiastiche e del laicato. L' elogio funebre venne recitato da Mons. Giacomo Ghio, Arcivescovo d' Urbino. In Genova Nella Chiesa Parrocchiale del S. Cuore e S. Giacomo, in Carignano, si fecero i funerali presente cadavere sabato 8 novembre. Ci é impossibile notar qui le innumerevoli rappresentanze ed i presenti al funerale di un Sacerdote tanto noto ed amato in Genova nostra. Diremo soltanto che la vasta chiesa era stipata e benché numerossimi sacerdoti non abbiano potuto trattenersi fino al termine della funzione, pure circa duecento sacerdoti si allinearono in corteo e seguirono la cara salma dopo il sacro rito. Celebrò il P. Mlinetti, erano presenti Mons. G. M. De Amicis ed il Vescovo d'Albenga Mons. Angelo Cambiaso, che prima delle esequie tessé l'elogio funebre. La salma venne accompagnata e tumulata a Staglieno, in attesa di essere poi trasportata al Santuario dell'Acquasanta, dove il P. Piccardo aveva manifestato desiderio di essere .seppellito *** I solenni funerali d trigesima vennero fissati in Genova il venerdí 11 dicembre, nella Chiesa di S. Ambrogio, tessendo l'elogio funebre Mons. Gerolamo Cardinale, vescovo di Verona. I tre vescovi che furono allievi dei Figli di Maria sono appunto Mons. G. Gllio, Mons. A. Cambiaso e Mons. G. Cardinale. 57 I funerali di trigesima celebrati in S. Ambrogio furono una rinnovazione anche in piú larga misura delle manifestazioni di cordoglio e di venerazione già avutasi nel giorno 7 novembre ai funerali nella Chiesa del S. Cuore in Carignano. Impossibile segnalare tutti gli intervenuti. Citeremo oltre i due Ecc.mi Vescovi Mons. De Ainicia e Mons. Cardinale e oltre il Vicario Generale Mons. Canessa intervenuto in nome proprio e in rappresentanza di .Mons. Arcivescovo, il Venerando capitolo Metropolitano quasi al completo, quasi al completo anche le altre colleggiate della città e il collegio dei Parroci urbani, numerosissimo il clero della città e della Diocesi anche delle piú lontane parrocchie, la rappresentanza del Seminario Arcivescovile, al completo naturalmente la Comunità della Casa dei Figli di. Maria di Genova e i due Collegi di Rivarolo e di Pra, Comunita maschili e femminili al completo o rappresentate, una folla di personalità cittadine e di fuori e di popolo. Anche questa volta il Municipio di Voltri era rappresentato dal pro Sindaco. Il parroco Don Bruzzone, nostro socio, aveva con amorevole zelo curato l'addobbo severo e l'ordine della funzione. Celebrò il nostro socio Mons. Giacomo Moglia assistito da Padri e chierici della Congregazione. La musica diretta dai maestri Firpo e Ferro ed eseguita da ex allievi e seminaristi fu per scelta ed esecuzione pari alla circostanza. Recitò con tutto l'affetto e tutta l'emozione di antico Figlio di Maria l'elogio del Padre, che con tanta esultanza lo aveva visto ascendere alla cattedra episcopale veronese, Mons. Cardinale. Non ci soffermiamo a un pallido sunto, speriamo che come si sta gia stampando a Roma l'elogio là recitato da Mons. Ghio, si possa fare lo stesso qui a Genova di quel di Mons. Cardinale. Ad entrambi ripetiamo i piú sentiti ringraziamenti e ad essi associamo quelli a Mons. Vescovo di Albenga per quello che con pari calore ed affetto improvvisò ai primi funerali. Partecipazioni nel dolore La morte del P. Piccardo ebbe larghissima eco di rimpianto. Furono Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, istituzioni, personalità d'ogni genere che vollero scrivere ai Padri della Congregazione esprimendo il proprio dolore. Primo tra tutti fu S. Em. Rev.ma il Cardinale Vicario che scriveva al P. Minetti il 6 novembre: Mi è stato impossibile per piú motivi di venire personalmente a portare alla Congregazione dei F. S. M. I. le mie condoglianze per la morte del loro benemerito Superiore Generale P. Piccardo. Non ho però mancato di accompagnare con le mie povere preghiere la malattia di Lui, di suffragarne poi l'anima ed ora di prendere parte al dolore che sentono i membri della Congregazione per la perdita fatta. Ella voglia partecipare ai suoi Confratelli le mie condoglianze!. Confortiamoci con il pensiero che il buon P. Piccardo nella sua lunga vita aveva lavorato molto per la gloria di Dio, ed il bene delle anime; ciò che ci fa sperare che egli abbia già ricevuto in Cielo il premio delle sue buone opere. La benedico e con particolare stima ed affetto mi raffermo suo in G. C. B. Card. Pompili Giungevano intanto le condoglianze degli Em.mi Cardinali: Il Card. Maffi, con telegramma. Il Card. P. Tommaso Boggiani, per mezzo del suo Segretario. 58 Il Card. C. Laurenti con lettera in cui dice: “Prometto suffragi per l'anima benedetta, per affrettarle il premio eterno all'opera di santo apostolato esercitato con tanto zelo sulla terra”. Dalle lettere degli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi stralciamo alcune frasi. L' Arcivescovo di Genova scriveva: “Presento a Lei e a tutta la Famiglia religiosa le mie condoglianze per la perdita del Ven.do P. Piccardo. È mio dovere il suffragarne l'anima per quanto possiamo essere sicuri sia già al possesso del premio meritatosi con la sua buona e laboriosa giornata. Accolga Rev.mo Padre i miei ossequiosi saluti e mi creda dev.mo + C. Dalmazio Minoretti Mons. A. Caron Arcivescovo Titolare di Calcedonia: “Con il sentimento piú puro e piú santo presento alla cara Congregazione di S. M. I. le piú angosciose condoglianze. Il perdere un amico per chi scrive è cosa dura; ma il perdere il Fondatore e Padre per una Famiglia religiosa è dolore senza pari. Ci conforti il pensiero che all'Amico e ai Figli il Lacrimato diventi patrone e sorriso di cielo”. Monsignor Garigliano Vescovo di Biella: “Leggo sui giornali l’annuncio tristissimo della dipartita del buon P. Generale. Mi metto anche io tra i suoi figli in lacrime perché sento lo stesso dolore che hanno i loro cuori. Ancora non era per tutti noi abbastanza vecchio il buon Padre e sentiamo tutta la durez.za di questo schianto. Voglia per me baciare la mano della Salma venerata mentre io unisco alla loro la umile mia preghiera piú che di suffragio d’invocazione”. Aff.mo Giovanni Garigliano Vescovo di Biella Nella lettera del Vescovo di Ozieri si dice : “La sua amabile e veneranda figura, la sua cara giovialità, le sue squisite attenzioni l'avevano reso anche per me oggetto di profonda venerazione e sentito riverente affetto”. Il Vescovo di Foligno Mons. Corbino: “Fra tante manifestazioni di dolore per la grave perdita del Rev.mo P. Piccardo non può mancare la mia che in tanti anni di affettuosa relazione con lui ho conosciuto quanto tesoro di bontà, di pietà, di carità e di santo zelo si racchiudesse in quella bell’anima. Era veramente l'uomo di Dio a cui bastava accostarsi per sentirsi presi di venerazione e amore come verso un Santo. La Congregazione ha perduto in Lui un vero padre, un esempio di Sacerdote perfetto. Ma dal Cielo continuerà ad amarla e proteggerla. Lunedì sarò tra loro, ma sarà per me un vero dolore il non trovarvi il caro Padre Piccardo anche infermo per chiedergli la benedizione”. Aff.mo + Stefano Vescovo L’abate di San Paolo Idelfonso Schuster: “Dunque il buon Padre Piccardo ha terminato la sua missione e ne ha conseguito il premio da Dio! Ne sia lode al Signore ed al Suo servo fedele che ha travagliato per Lui. Ora continui dal cielo l'opera e ai Figli di Maria sia ora il Celeste Patrono dopo esserne stato il Fondatore”. L’Arcivescovo di Rossano Calabro:: 59 “La morte di P Piccardo mi straziato l’animo. Mi pareva che il Signore dovesse conservarlo molti anni ancora per l’esempio di tutti. Fin dalla prima volta che ho avuto la fortuna di conoscerlo l’ho amato fino alla venerazione. Ne ho suffragato e ne suffragherò ancora l’anima buona”. + Giovanni Scotti Arcivescovo S. E. il Card. Mistrangelo, Arcivescovo di Firenze : “Seppi della morte di P. Piccardo e ho pregato per Lii e per l' Istituto. Indisposto per un attacco di artrite da un mese e mezzo, non potei farmi vivo allora; porgo ora condoglianze e faccio voti perché la Congregazione prosperi benedetta dal Cielo ...” Mons. Guido Conforti, Arcivescovo di Parma: “Tra i vari ricordi della mia vita resterà sempre quello di avere conosciuto personalmente ed avvicinato il santo sacerdote a cui chiesi consiglio piú di una volta intorno a cose delicate ed importanti che molto mi stavano a cuore, ammirando la saggezza e la pietà singolare dell'uomo di Dio. Prendo viva parte al lutto della Congregazione per l’incomparabile perdita”. S. Ecc. Mons. Romita.i, Vescovo di Boriano e Campobasso: “Ho appreso la dolorosa notizia da qualche giorno. L'lio pianto come un padre mio e gli ho celebrato subito una Messa. Non posso dimenticare il bene che mi ha voluto contro ogni mio merito e l'assistenza speciale che egli mi usò allorché, dopo il pellegrinaggio, io mi ammalai in cotesta venerabile Casa. Fin da quando ebbi l’onore e la fortuna di conoscerlo mi convinsi d'aver conosciuto un santo ... sia per loro valido protettore di lussú ... Benedica e prosperi la loro Congregazione che fa tanto bene al povero clero che in loro trova tanta. carità....” Mons. Luigi Martinelli, Vicario generale di Subiaco: “ … in P. Piccardo io avevo trovato il vero padre ed amico...” Mons. A. Levame, Uditore della Nunziatura in Argentina: “L'anima eletta richiamata da Dio al premio della .vita eterna e che tante memorie di virtú e fecondità di santo esempio lascia a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di avvicinarlo, veglia ora amoroso dal cielo sull'opera di apostolato alla quale dedicò ogni momento della sua vita terrena ... Memore della bontà che il P. Piccardo e con lui i Figli di S. M. S. mi hanno tante volte dimostrato, l’ultimo forse a causa dello spazio e del tempo, a nessuno secondo nella gratitudine e simpatia vengo a unirmi al consenso di preci e di affetto con tutto il mio cuore”. Mons. Carlo Maria De la Torre Vescovo di Rio Bamba (Ecuador) ex alunno dell' Istituto di Roma: “La Congregazione ha perduto il padre ... unisco anche io le mie alle lagrime dei Figli. Non dimenticherò l’amato defunto nelle mie orazioni”. L’Ill.mo Conte Lombardo Ernesto, legato da moltissimi anni da. cordialissima amicizia con il compianto Superiore, che voleva spesso con sé a ritemprarsi la salute nella sua villeggiatura di Varallo Sesia e benefattore insigne dei Figli di Maria telegrafava: “Spiacentissimo che imprevisto e improrogabile impegno impediscemi trovarmi Genova per unirmi alla schiera degli ammiratori e beneficati nell’accompagnare la salma del nostro santo che piangiamo invio ai suoi addolorati figli sincere condoglianze”. 60 E l’Ill.mo Comm. Carla rettore del Collegio Nazionale che con tanto gentile animo lo aveva festeggiato nella rievocazione degli ex allievi del Collegio stesso e nell'occasione della festa del suo ottantesimo anno: “La famiglia del Collegio Nazionale si associa commossa all’unanime compianto per la morte del suo illustre allievo …” e mandando un’offerte per le onoranze funebri aggiungeva: “Con la piú fervida e piú devota adesione del Convitto Nazionale di Genova alle onoranze all’illustre suo alunno P. Antonio Piccardo di venerata memoria”. In memoriam Nel nostro numero speciale, omaggio filiale la Padre partito per la migliore vita, sono stati illustrati,.con la multiforme, intelligente e feconda opera sua tanti lati della sua personalità, tante caratteristiche sue e tante sue benemerenze … non tutte. Confidiamo che le varie lacune che vanno perdonate per la fretta che si imponeva e insieme per la tanta mole di lavoro e di bene da lui attuato saranno via via colmate dalle nostre “Risonanze” con il concorso di quanti vorranno prestarsi volenterosi, in.attesa che il materiale accumulato e riordinato possa preparare gli elementi per stenderne la vita. Un simile concorso noi speriamo e domandiamo. Intanto crediamo doveroso tessere, sia pure in brevi tratti il ricordo degli. ultimi suoi giorni, mentre già nel numero-omaggio si riportò la cronaca dei funerali di Roma e dei funerali di Genova e si accennò a quelli che si preparavano di trigesima. Per rivivere nella sua prediletta Lugnano fra i piccoli aspiranti della Congregazione le ore piú belle dei primi anni dell'opera sua, per l'annuale festa di S. Francesco aveva con ardimento giovanile affrontato il viaggio; aveva passato là la settimana di metà settembre; tornato a Roma aveva avuto la compiacenza di ospitare S. Em. il Card. Maffi, compiacenza che parve ringiovanirlo. Ma il mattino del 24 settembre stesso, P. Minetti entrando nella sua camera lo trovava bocconi a terra. Messo a letto fu trovato con forte febbre e in grande depressione intellettiva. Si apprestarono le piú urgenti cure e riceveva il S. Viatico. Fu telegrafata la notizia alle Case della Congregazione specie quando in giornata il male accennò ad aggravarsi e a Roma e in tutte le Case si fecero preghiere speciali. L' interessamento per la preziosa esistenza fu generale e il S. Padre inviò l'Apostolica benedizione. Molte personalità del clero e del laicato di Roma furono e reiteratamente, a visitarlo. Il male alle varie alternative gli lasciava saltuariamente qualche lucido intervallo, specie nei momenti di visite delle persone piú care. In uno di questi fortunati momenti il 26, con piena conoscenza poté confessarsi un'ultima volta e ricevere nuovamente con trasporto il S. Viatico, dopo il quale esclamò: “Sono tanto contento d'aver fatto la S. Comunione”. Il giorno dopo gli fu somministrata, rispondendo anche lui alle preghiere, l'Estrema Unzione. 61 A Mons. Baranzini che gli diceva: “P. Piccardo, confidi nell' Immacolata alla quale ha voluto tanto bene” rispondeva con voce alta e risoluta: “Sempre!” A P. Bruzzone che si accomiatava da lui ripeteva: “Lavorate, fate, fate, fate del bene”. Il giorno l approfittando di un momento di lucido intervallo il P. Profumo. S.J. professore del Pontificio Seminario di Anagni, uno dei primi alunni dai. Figli di Maria gli chiede una benedizione speciale e il Superiore con largo gesto lo benedice e in lui benedice tutta la falange dei suoi alunni e figli sparsi per ogni dove. Nella notte dal 2 al 3 entra in agonia. P. Minetti gli rinnova l'assoluzione, si recitano le ultime preghiere e alle ore 1.40 il Veneratissimo Superiore serenamente spira nel bacio del Signore. Ebbe le piú amorevoli e le piú filiali cure dalla Famiglia religiosa di Roma, dal nipote D. Antonio accorso alle prime notizie del male, dalle Piccole Suore della Sacra Famiglia e dal Dottore curante Comm. Cesare Riatti. Festa sociale É stabilita al Collegio di Rivarolo per il 21 aprile prossimo. Tale data era già stata suggerita nella assemblea dell'Acquasanta e realmente è quella che può offrire la possibilità di trovarci nel maggior numero, sacerdoti e secolari. I sacerdoti non hanno obbligazioni festive, i secolari hanno tutti o quasi giornata libera per la commemorazione della natività di Roma. Attendiamo quindi un diluvio di aderenti non solo, ma di interventi ... La riunione dei soci, ed eventualmente anche di simpatizzanti, offrirà occasione di suffragare con una funzione religiosa tutti i nostri superiori, soci e compagni defunti e di commemorare in modo speciale il compianto Superiore generale. Si raccomanda quindi di intervenire in massa e di rimandare intanto con sollecitudine la unita cartolina compilata. ORARIO Ore 10,30 - S. Messa di suffragio per Superiori e compagni defunti. » 11 - Assemblea generale soci. » 12,30 - Pranzo Sociale (Quota Lire 12). » 16,30 - Commemorazione dell'amato e compianto Superiore Generale tenuta dal socio Prof. Giulio Marchi. Ai benefattori dei Figli di Maria Il nostro Rev.mo P. Antonio Minetti assumendo la carica di Vicario Generale, diramava ai benefattori la circolare che crediamo bene riprodurre anche per coloro degli ex-allievi a cui non fosse pervenuta. Ill..mo Signore, la S. V. avrà certo inteso della dolorosissima perdita del nostro venerando e amatissimo Superiore Generale, il P. Antonio Piccardo e ne avrà suffragata l'anima benedetta con quella generosità, con che fu a lui largo in vita di incoraggiamenti o di aiuti. A noi, che ha lasciati a continuare quaggiú l'opera sua, egli ha affidato morendo, il dolce incarico. di esprimere alla S. V. e a tutti quanti hanno beneficato l'opera sua il sentimento della piú profonda riconoscenza, sentimento che si è fatto certo piú vivo ora che egli si trova piú vicino a Dio; ed insieme la preghiera che la bontà, della S. V., per quell'amorevolezza che 62 gli ha dimostrato in vita, voglia, anche lui morto, continuare verso dei suoi figli la medesima benevolenza. Fidando pertanto, come il nostro buon Padre Generale, nella divina Provvidenza e confortati dal pensiero che la S. V. e tutti quanti ci furono fin qui generosi benefattori, non vorranno venirci meno nell'avvenire, proseguiamo con rinnovata alacrità l'opera santa a cui egli i ha. dato vita ed impulso, promettendo fin d'ora da parte nostra e da parte dei nostri giovani fedele corrispondenza di gratitudine e di preghiere. A nome della Congregazione tutta, ossequiandola Roma 21 novembre 1925 Dev.mo Servo P. ANTONIO MINET'I'I, Vic. Gen. Il suo ritorno alla Casa Madre 63 Nella traslazione della salma del Padre Antonio Piccardo 11 novembre 1937 P. GIACOMO CHIESA Tip. G. Mascarello Via Colombo, 21 Genova Per il ritorno del Padre alla Casa che fu sua non poteva restar muto il labbro dei Figli; proruppe il saluto commosso e riverente salí dal cuore la preghiera. E nell’ora a lungo sospirata, dal cuore di tutti fu un rampollare di dolci ricordi, un effondersi gaudioso di tenerezze, un ringagliardire di propositi: perché il Padre, benché muto, ammoniva ancora e confortava al lavoro. Tra i figli parlò uno per tutti, rievocando con gioia, sperando con fiducia, proponendo con sincerità grande. Queste brevi pagine vogliono essere l’eco delle voci di quel giorno auspicato, il ricordo di quell’ora intima, soave cosí come la godette il cuore. Dinanzi ad una tomba Non di lutto e di pianto è per noi questo giorno benché ci incontriamo dinanzi ad una tomba. A parte che noi ravvisiamo nella tomba il principio di una vita novella che si perpetua in Dio e i nostri morti non sono estinti, ma, solo ad un cenno divino hanno cambiato dimora, vita mutatur, non tollitur, noi qui ci raccogliamo per un caro doveroso tributo d’amore riconoscente. C’intratteniamo a parlare d’un Padre la cui memoria è in noi tutti per la fede e per un affetto inestinguibile sempre viva e perenne. Compita secondo le dottrine e lo spirito della Chiesa la sacra ufficiatura, che non poteva non esser funebre, noi ora amiamo daccanto alla novella tomba parlare di vita: della sua vita, dell’opera sua che vive fresca e rigogliosa e ricca di tante promesse di sempre piú gagliarda vitalità. Noi oggi non andiamo dalla casa al cimitero, ma dal cimitero veniamo alla Casa. 64 Ed egli torna “il Padre” torna in mezzo ai figli suoi in questa Casa sua che fu per oltre mezzo secolo il campo del suo nobile indefesso amoroso lavoro; in questa Casa ove non solo i cuori. degli antichi e dei nuovi figli parlano ancora e sempre di lui, ma le pareti stesse, le scuole, la chiesa, i mille ricordi cantano la sua memoria. Sí, perché se egli non è piú tra noi visibilmente per l’intervento di quel fatto che tutti chiamiamo la morte, egli è però sempre tra noi, con noi, per quel principio ricordato dai Libri Santi e ripetuto nella sacra liturgia: in memoria aeterna erit justus, la memoria del giusto non muore; non solo, ma il suo ricordo non è muto né semplicemente ammirativo, ma è accompagnato dalle incessanti benedizioni di cento, di mille beneficati, cujus memoria in benedictione est! L’affetto e la venerazione che ci legano al dilettissimo Padre hanno una loro ragione tutta superiore nella carità che Dio stesso si compiace di accendere nelle anime, e che dà codest’affetto e a codesta venerazione carattere di perennità. Deo enim vivunt omnia, come scriveva San Girolamo, et quidquid revertitur ad Dominum, in familiae numero computatur. Non dunque commemorazione funebre la nostra e nemmeno sterile parata fatta di vuote cerimonie o di fatue finzioni ma tributo sincero e cordiale di omaggio riverente di filiale gratitudine a chi passò quaggiú e visse la sua lunga giornata amando, illuminando, compatendo e, ad imitazione del divino Maestro, facendo sempre e in svariate forme, del bene: pertransiit benefaciendo. Primi albori Sono circa settant’anni. Questa stessa casa che oggi ci aduna, benché allora in piú ristrette dimensioni, si apriva ad accogliere un piccolo drappello di giovani guidati da un uomo dall’aspetto amabile e dal tratto signorile. Era tradizione che tempo addietro una nobile famiglia del nostro patriziato attratta dalla amenità del sito in questa incantevole zona di Carignano, allora assai piú di oggi suggestiva ed attraente per una vergine bellezza di natura, l’avesse scelta a suo soggiorno per la villeggiatura. Le tracce di uno scudo marmoreo, scalpellato dall’insana furia dei napoleonici, ne ha tramandata la memoria. Era fama pure che qui, passata la casa ad altre mani, vi si dessero convegno in un tempo non troppo remoto certi signori che, sotto l’innocente parvenza di uno svago amicale, vi passassero spesso le serate dando concerti di chitarra e di mandole. Capo di quella banda di chitarristi, era Giuseppe Mazzini, il quale promovendo quegli incontri, andava qui come piú altrove, scaldando con la sua infuocata parola gli animi dei cospiratori. Ma passarono i signori e passarono i chitarristi cospiratori ... e per uno di quelli che noi volentieri chiameremmo scherzi della Provvidenza, la palazzina diveniva un asilo di pace, di studio e di preghiera. Guidatovi dallo spirito di Dio ne prendeva pieno e definitivo possesso quell’uomo dall’aspetto amabile cui accennavo dianzi, per allogarvi quel drappello di giovani che la Provvidenza affidava al suo cuore. Quell’uomo era il giovine sacerdote Antonio Piccardo e s’egli non si fregiava dello stemma nobiliare, recava però seco un bel patrimonio di beni elargiti da Dio alla sua famiglia e, meglio ancora che questo, recava un patrimonio incomparabilmente piú grande di ricchezze spirituali e morali. Un intelletto sagace addestrato ai buoni studi nel liceo, all’Università e nella scuola di filosofia e di teologia; un animo retto e buono, tale da attirarsi un’irresistibile simpatia e una spontanea benevolenza da chiunque avesse a fare con lui; uno spirito equilibrato e un’assennatezza naturale che gli conferivano un che di venerabilità, un cuore sensibilissimo a tutto ciò che possa indicare sofferenza o disagio, segnatamente nei piccoli e nei poveri, un’anima sacerdotale ardente di zelo per fare a qualunque modo del bene e poi un grande fervido desiderio di lavorare per un compito altissimo per divina disposizione affidatogli dai suoi Superiori maggiori: favorire, svolgere, 65 ravvalorare la santa vocazione nell’animo della gioventú specialmente povera, che man mano il Signore avrebbe affidato al suo cuore. Ecco i tesori, i requisiti e le disposizioni con le quali il giovine sacerdote che contava appena 24 anni si accinse all’opera sua. Quel drappello di giovani venuti con lui? Nemmeno essi possono fregiarsi del blasone nobiliare e diversamente dal Piccardo, non hanno quelle che a comune giudizio sono considerate ricchezze: sono, anzi, piuttosto sforniti di mezzi di fortuna. Recano però in cuore tanta tanta bontà e un gran desiderio di farsi sempre piú buoni ... perché Dio s’è fatto loro sentire nell’intimo e ha fatto loro comprendere ch’Egli li vuole suoi, tutti suoi nel servizio dell’Altare, ove, solo, si accumulano, si godono e si dispensano i tesori del cielo e avendo Iddio messo sui loro passi quel caro sacerdote, oh quanta speranza sentono fervere nei loro cuori giovanili! Oh essi saranno un giorno Sacerdoti ... ! Il caro il dolce ideale arride radioso allo sguardo e la speranza canta gioiosa il suo inno nei cuori, lo studio e il lavoro sono una gioia, la preghiera è un balsamo che conforta ogni ora piú, e la gaia e bella giovinezza procede d’incanto. Ma quando e come venne il Piccardo a questa Casa? Legittima domanda che merita una risposta, e ci porta spontaneamente nel campo di quella che è omai storia, e, sia detto senza superbia, gloriosa storia della Chiesa genovese, proprio al centro del secolo XIX. Gli emissari del male Eccoci dunque alla metà del secolo passato e per un complesso e un groviglio di cause che qui dobbiamo necessariamente, per quanto rapidamente accennare, in Italia, un po’ dappertutto, ed in Liguria, ove è passato nefasto non è molto anche il colera, è una desolazione nel campo religioso e nel campo delle idee. Se le scintille rivoluzionarie disseminate per tutta l’Italia dal giacobinismo francese sono state dal dispotismo napoleonico e dalla restaurazione della Santa alleanza represse e soffocate, non sono però spente; cova sotto la cenere il fuoco, che s’incaricano di mantenerlo vivo nell’ombra, le società segrete. Sotto colore di voler fare l’Italia una, libera e indipendente dall’Austria e retta a forme repubblicane, si cospira a rovesciare gli antichi governi, dipingendoli come odiosi e tirannici e si cerca intanto di menomare l’influenza della Chiesa, combattendola come centro e scuola di superstizione, nemica di progresso e di libertà, sostegno dell’odiata tirannide. Gli strascichi poi e le ripercussioni delle successive guerre del ’48, del ’59, del ’66, i vari intermittenti sommovimenti politici, le ingannevoli e perniciose teorie del Gioberti, i facili entusiasmi suscitati dal Mazzini e piú che tutto, la guerra, dove piú guardinga, dove piú sfacciata, della massoneria contro il clero e tutto quanto sa di religioso, hanno creato un’atmosfera di diffidenza intorno al Sacerdote e s’è venuto determinando tale uno stato di cose da produrre un disorientamento degli spiriti. Sono i giorni dell’apoteosi del “Primato civile e morale degli italiani”, dei “Prolegomeni”, del “Gesuita moderno” e dell’apostata settario loro autore, incensato come un nume. Che guazzabuglio di idee! Che fermento di passioni! Che ferocia di propositi! È la congiura armata del sofisma, del liberalismo, della calunnia e della violenza contro Roma papale. Sono i giorni in cui la Carboneria mette in giuoco le sue arti e la Giovine Italia le sue congiure; è l’ora dell’infausta disfatta di Novara; è l’ora dell’assassinio di Pellegrino Rossi primo ministro di Pio IX; è l’ora della forzata fuga del Papa da Roma e del suo rifugio a Gaeta. In Genova nostra è l’ora della cacciata dei Gesuiti a furia di popolo da Sant’Ambrogio, l’ora di Don Sturla cercato a morte insieme con il Priore Frassinetti e tutti i Gesuiti e gesuitanti. Quadro fosco invero e avvenimenti tutt’altro che consolanti! Ma, mettendo al bando ogni considerazione che non si addica qui al mio compito e restringendoci alla constatazione degli eventi nel puro campo religioso, troviamo che dappertutto in Italia sono divenute rarissime le 66 vocazioni sacerdotali. Fenomeno questo quanto mai impressionante, i1 quale se può sfuggire allo sguardo di spiriti superficiali o noncuranti, non può certo sfuggire a chi sentendosi figlio devoto della Chiesa, non solo condivide i dolori della Madre, ma cerca di recare il piú fervido contributo per sollevarla; si cruccia per il danno immenso che ne viene alle anime. Non mancano certo i buoni che si rammaricano d’un tale stato di cose; e non mancano nemmeno i soliti sterili piagnoni che senza muovere un dito, vanno deplorando: “Che tempi, mio Dio! Che tempi!” Ma a Genova se si era verificata, segnatamente nel periodo del massimo furore giobertiano, qualche defezione e s’era giunti a tale infatuazione a tale ubriacatura da sedurre persino alcuni professori e prefetti del Seminario, grazie a Dioci furono i forti di caratteri, le tempre adamantine di ecclesiastici nutriti di sana e profonda dottrina, illibati come nella fede cosí nella vita sacerdotale. Gli uomini di Dio Questa è storia della Chiesa genovese e ne sono attori una pleiade di Sacerdoti e di Vescovi, veri spiriti magni, il cui ricordo ci esalta e ci commuove. Si tratta di uomini insigni, eccellenti letterati, esimi cultori di studi biblici e profani, maestri appassionati, apostoli instancabili, geni poliedrici. E pensare che proprio contro questi eminenti personaggi, su queste perle luminose del Clero genovese nel parossismo delle politiche passioni si volle gettare a piene mani il fango! Il Ministro della Provvidenza Ma voi mi permetterete, miei buoni fratelli ed amici, di completarvi il quadro poiché manca in esso una figura di prim’ordine il Priore di S. Sabina Giuseppe Frassinetti; quel sacerdote che Pio IX additava come “vir spectatae virtutis et doctrinae”. Egli con quello spirito vigilante ed alacre che lo spinge a svariatissime opere di zelo, osserva con intima pena il persistente diradarsi delle file del clero e senza perdersi in vane querimonie sui tempi, detestando quel cullarsi in una comoda e inoperosa fiducia che egli chiama “ascetismo dell’infingardaggine”, pensa e scrive: “Inutilmente noi staremo a piangere sulla frase -che tempi, che tempi!- se non porteremo il nostro valido contributo alla restaurazione, agire bisogna; i tempi, del resto, li facciamo un po’ noi”. A convincere e a muovere i neghittosi, ad incitare i buoni al soccorso, riporta un dato statistico. Nel decennio che corre dal 1856 al 1865 nell’Archidiocesi di Genova risulta essere stati i sacerdoti morti 247 e gli ordinati appena 85, una media di 9 ordinati e di 25 morti per anno. Ed eccolo pronto all’opera. La grande idea che gli è rampollata dal suo cuore di Sacerdote è certamente una ispirazione del cielo: la Madonna che è la sua consigliera e la sua sicura tutela lo aiuterà. Per venire al pratico, già fin dal 1861 l’instancabile e industrioso Priore che ha già dato alle stampe tante opere di varia mole, di varia indole, tutte tendenti a provvedere alle esigenze delle varie categorie di fedeli e ad aiutar il Clero ha pubblicato il suo manuale del Parroco novello e un poderoso trattato di morale, ha pensato anche ad istituire una Pia Unione dei “Figli di Maria” o Religiosi al secolo. Prepara per essi un sapiente Regolamento. Vi è una gerarchia costituita, vi sono i Novizi e i Professi e sono stabilite le adunanze. Il programma è semplice e preciso: risoluzione di farsi santi, proposito di castità perfetta, zelo per la salvezza delle anime. Essi non avranno una veste che li contraddistingua ma vivendo in mezzo al 67 mondo nell’esercizio dei loro mestieri o professioni, dovranno attendere alla pratica delle virtú proprie della vita religiosa. Promettente aurora Ed eccoci a un primo episodio. Il 16 novembre 1861 si dà principio al pio Sodalizio all’altare dell’Immacolata Concezione nella Chiesa di S. Sabina. Il Priore impone la medaglia di aspiranti ad alcuni giovani, è fra essi quel Pietro Olivari che tanto viva parte dovrà poi avere nello svolgimento delle cose dell’Istituto. Passano due anni e dinanzi alla stessa immagine i giovani sono ammessi tutti alla Professione. Cantano il Veni Creator, il Tota pulcra e l’Ave maris stella, il Priore chiama ad uno ad uno quei cari giovani, ai quali raggianti di contentezza, presenta un giglio che essi prendono e depongono sull’Altare di Maria. Indi leggono la formula della loro Professione. Sono presenti alla bella cerimonia il prof. Don Marco Oliva che tiene ai nuovi Professi un discorso di felicitazione e di esortazione e Don Luigi Sturla che viene eletto Superiore. Minutaglie, forse queste, lontane dal tema del nostro discorso? Tutt’altro, miei buoni amici! Elementi necessari ad illustrare quella che sarà poi l’opera del P. Piccardo. Veniamo a un secondo episodio. Siamo al 1866, al 19 gennaio, la seconda domenica dopo l’Epifania: giorno solenne per i genovesi, poiché è sacro alle glorie di N. Signora della Provvidenza. Tre giovani salgono di buon mattino al Santuario della Madonnetta per le loro devozioni. Sono tre “Figli di Maria” che dopo avere implorata la benedizione della Madre Celeste, si raccolgono da quel giorno a fare vita comune in alcune stanzette attigue alla canonica di S. Sabina. Pietro Olivari è a capo della piccola comunità e il Frassinetti non ha che a rallegrarsi nel visitare e vigilare quel piccolo cenacolo ove alla scuola dell’Olivari riscontra cosí bene trasfuso il suo spirito. Ma ecco un bell’incontro che sotto l’apparenza del fortuito, si vedrà poi che è una disposizione del Cielo. Un ragazzetto, certo Nicolò Ferretti, che frequenta la sacristia di S. Sabina, esprime un giorno il desiderio di volersi far prete. Il suo portamento modesto e la sua assiduità alla Chiesa sembrano dare buon affidamento ma egli è poverissimo. Come fare? La carità è pronta e generosa: l’Olivari, o sia un moto del suo buon cuore o sia una ispirazione dall’alto, dice senz’altro: “Lo prenderemo noi e lo manterremo con i nostri risparmi”. Il Frassinetti approva e ringrazia il Signore. Il nuovo venuto, egli pensa, ed altri che venissero, potranno allogarsi presso questi “Figli di Maria” come fratelli minori; i maggiori potranno assisterli, essi saranno in grado di, applicarsi agli studi e incamminarsi alla carriera ecclesiastica. Per tal modo, egli dice in tono di dolce presagio, si avvierà un’opera che benedetta da Dio darà felicissimi risultati per l bene della Chiesa. Detto fatto, il ragazzo è accolto con gioia: è il primo alunno della Pia Casa dei Figli di Maria! A lui ne segue ben tosto un secondo, poi un terzo e si arriva a sei. Il Frassinetti, felice insieme e trepidante, eccolo aggirarsi nel suo minuscolo Seminario, con quello sguardo sagace che legge in fondo ai cuori, con quella bontà che incoraggia, con quella prudenza che guida e rassicura. Oh se avesse tempo di allargare e consolidare l’opera sua! Che dolce che caro sogno al suo cuore di apostolo! Quante speranze vede sorridergli allo spirito e quali propositi di nuovo e piú vasto lavoro per l’avvenire! Intanto la famigliola aumenta, occorre pensare ad un asilo piú conveniente. L’Olivari, di concerto con il Frassinetti, dopo una breve sosta presso l’Istituto degli Artigianelli, appena aperto da quell’uomo di Dio che è Don Montebruno, trasporta le tende in Via Lata, ove il pio Fondatore si reca in determinati giorni a portare la sua parola ed il profumo delle sue virtú a quei giovinetti, a esortarli all’amore di Gesú in Sacramento, a spronarli alla bella pratica della Comunione quotidiana, a incitarli sempre piú alla devozione alla Madonna. 68 A chi domanda al Frassinetti notizie dei suoi “Figli di Maria”, egli risponde: “Sono contento, si regolano bene ma bisogna vigilare attentamente che il diavolo non ci metta la coda”. Ma se la coda del diavolo non può entrare tra i “Figli di, Maria”, ecco giungere però inattesa e inesorabile la morte, che spezza l’esistenza del santo Priore. Ora triste Quale schianto per la piccola famiglia dei Figli di Maria! Al dolore ineffabile dei Figli s’aggiunge la desolante prospettiva di vedere in un istante crollare dalle basi la nascente Istituzione. A mitigare il cordoglio, a risollevare le speranze, ecco per il momento l’intervento cordiale di due egregi Sacerdoti che l’opera del pio Priore hanno seguito con tanta simpatia e con amore di fratelli: il Magnasco e l’Alimonda. Vi si aggiunge, naturalmente, il figlio maggiore Pietro Olivari e un piissimo Chierico, il suddiacono Giambattista Semino. Ma ad impedire che illanguidisca e muoia uno che ha fame, non basta porgergli un pezzo di pane o dargli magari un buon pranzo una volta; come un’accurata meditazione o un magnifico discorso non bastano a salvare, ad assicurare e svolgere una vocazione. Il sorriso del Cielo La Provvidenza interviene visibilmente. Non vi è in Seminario quel bravo Diacono che con tanta buona maniera ed altrettanto senno dirige la camerata dei piccoli? Quegli, pensa l’Alimonda, può essere la nuova guida e il sostegno della piccola famiglia mariana. È buono, è pio, è saggio, ricco e generoso e mostra un gran desiderio di lavorare, particolarmente in mezzo alla gioventú. Chi migliore di lui si potrebbe desiderare? E ne fa senz’altro proposta all’Arcivescovo Charvaz, che volentieri approva e benedice. Sicché ciò che il Semino accortamente aveva già per conto suo proposto al Priore, che se n’era grandemente rallegrato, cioè che il Piccardo appena prete potesse essere chiamato a dirigere la piccola Comunità, avviene ora per l’intervento dell’Autorità Superiore. Ecco il primo anello di quella catena d’oro che idealmente e moralmente congiunge e fonde l’opera del Frassinetti con quella del Piccardo. Riassumendo: il 16 novembre 1861 il Frassinetti istituisce in S. Sabina il sodalizio dei Religiosi al secolo, il 19 gennaio 1866 fonda l’opera dei “Figli di Maria”, il 2 gennaio 1868 muore. Il 6 giugno dello stesso anno il Piccardo è ordinato Sacerdote e al successivo luglio assume il governo del nuovo Istituto. Da questo punto la vita di Don Piccardo si immedesimerà con quella dell’Opera dei “Figli di Maria”, vita di generosa e intera dedizione al bene: Direttore della Pia Casa per 44 anni, cioè fino al 1902; indi Superiore Generale della Congregazione fino alla sua morte, 3 novembre 1925. L’erta luminosa Chiuso il primo periodo dell’opera ideata, fondata e incamminata dal Frassinetti, un altro se ne schiude nel quale il compito del novello Direttore non è come ognuno comprende né facile né leggero. 69 Il colore del tempo fuori e d’intorno non è mutato, tutt’altro! Ne sono prova i feroci armeggi della setta tenebrosa, la quale, se dappertutto in Italia è in movimento e tiene deste le idee anticlericali, anche a Genova non dorme e porta in Roma ai tristissimi avvenimenti del settembre 1870. Don Piccardo soffre e si rammarica per gli affronti recati al Papa e alla Chiesa. Don Piccardo è uomo di fede, guarda fidente in alto: la pace e la tranquillità torneranno a poco a poco negli animi e spunteranno giorni migliori. Dai dolorosi avvenimenti egli trae anzi una ragione di maggiore incitamento alla sua nobile impresa. Egli vede sempre meglio come l’opera piú urgente nell’ora che volge è per l’appunto quella di fomentare, di favorire, di fortificare le vocazioni nei giovinetti; informarli alla vera vita dello spirito e preparare un nuovo Clero che educato ai grandi principi della sana dottrina e della devozione alla Chiesa, si accenda di zelo e s’infiammi di ardore di fecondo apostolato. Questo il compito che il Piccardo comprende essergli assegnato dalla Provvidenza e nello slancio del suo nobile cuore, nella freschezza delle sue energie, con la genialità d’un metodo personale tutto suo, eccolo sul campo del suo lavoro. L’ambiente ove egli si aggira con i suoi giovanetti già lo conosciamo: è la palazzina di Carignano. Essa per l’affluire dei candidati ha bisogno una, due e piú volte, d’essere adattata e ingrandita. Sono ormai oltre 40 gli alunni e proprio in questa Casa giungeranno un giorno a toccare il centinaio. Nessuna meraviglia pertanto, se lo sviluppo dell’Opera, che ha del prodigioso, ravviva le speranze del nuovo Arcivescovo Magnasco, il quale segue con paterna benevolenza il crescere di quella Casa provvidenziale; non s’accontenta di rallegramenti con il bravo Direttore ma incita i benefattori ad aiutarla, scrive in proposito una nota di calda raccomandazione e fa costruire a sue spese un’ala intera della casa. Che si fa dunque in questi belli anni nella Casa dei “Figli di Maria”? Ecco: i giovani entrandovi hanno subito compreso il programma: studiare, pregare e stare allegri: Servite Domino in laetitia: è lo spirito del Regolamento che guida ed informa tutta la comunità. Sono fiorenti in Casa tre devozioni, tre forze vive dalle quali quei cari figlioli si sentono presi e innamorati: la devozione alla SS. Eucaristia, la devozione alla Madonna Immacolata e un grande amore al Papa. Quanta luce, quanta forza scende ai loro giovani cuori dinanzi a quel grazioso Altare della linda Cappella, sotto il guardo materno e la benedizione della Madonna sorridente dall’alto della sua nicchia! I frutti del mistico giardino, maturati in un clima cosí caldo e felice non tardano a venire. Nel dicembre del 1875 salgono l'Altare i primi 4 novelli Sacerdoti; altri ne seguono ormai ogni anno, segno che il terreno è ben coltivato, che il giardino è ben custodito e il solerte giardiniere oltre ad avere buon occhio e spirito vigile, ha saputo anche provvedersi di buone braccia d’aiuto. Alcuni alunni, infatti, arrivati al Sacerdozio, restano con il beneplacito dell’Arcivescovo accanto al Direttore a dividere con lui le fatiche dell’educazione e dell’istruzione dei fratelli minori. In tal modo nel 1887 la Casa può rallegrarsi d’un Corso letterario completo e tre dei suoi Sacerdoti sono laureati in Lettere alla Regia Università di Genova. Per lo studio della filosofia e della teologia i giovani frequentano regolarmente come esterni le scuole del Seminario. Poesia e vita Qui s’io posso un momento solo cedere all’onda dei ricordi che mi tumultua nell’animo e m’incalza e mi commuove (giacché noi allora adolescenti eravamo parte viva nelle varie feste della Casa) devo almeno accennare come in quell’epoca che saremmo quasi tentati di chiamare la nostra età dell’oro, “i “Figli di Maria” sogliono ogni anno in occasione delle premiazioni scolastiche o in altre solenni ricorrenze preparare dei simpatici trattenimenti e accademie letterarie e musicali alle quali volentieri si degna intervenire l’Arcivescovo, 70 circondato dai maggiorenti del Clero, dai benefattori dell’Istituto e da amici e aderenti della Casa. E, particolare non trascurabile, in codeste Accademie i componimenti poetici, vari di tono e di lingue, con frutto dell’ingegno degli alunni stessi, che lavorano sotto la guida sapiente del modesto ma valentissimo direttore degli studi, il professore Don Carlo Olivari. Or tutto questo che potrebbe forse sembrare un autopanegirico ed uno sforzo di vana compiacenza, vuol essere invece una dimostrazione dei criteri educativi seguiti da Don Piccardo con i suoi giovani. Ad essi se inculca la pietà e la devozione, sa pur suscitare nei loro animi, quel sentimento del bello e dell’arte che, mentre innalza lo spirito ad alte e nobili concezioni nella vita, serve mirabilmente a completare ed abbellire quella cultura di cui è desiderabile sia adorno un Sacerdote. A proposito di cultura, egli la vuole non solo varia e completa, ma tutta improntata allo spirito della Chiesa, e rigorosamente ossequente alle prescrizioni di Roma. La Casa ha quindi le sue scuole regolari di liturgia, di sacre cerimonie, di canto gregoriano e di musica sacra: scienze tutte nelle quali non pochi degli alunni riescono eccellenti e ne divengono apprezzati cultori e maestri. Chi di noi piú anziani non ricorda con affetto e riconoscenza i cari nomi di Don Gaggero, di Don Minetti e di Don Mantero? Pedagogia sapiente Ma una cosa ancora non abbiamo detto, che è la ragione dei lusinghieri e benefici risultati susseguiti all’operato di Don Piccardo. Occorre anzitutto rilevare quel concetto cosí alto e preciso ch’egli ha del Sacerdote, concetto che gli è sempre presente e da cui trae ispirazione e forza per il suo difficile e delicato lavoro. Crescit eundo Don Piccardo dunque allietato dai consolanti risultati di cui s’è parlato e incamminata ormai su buona e sicura via la Casa di Genova, nel 1887 apre un nuovo Collegio in Pra. Ivi si accoglieranno i piccoli fanciulli per avervi una cristiana educazione e un avviamento agli studi; se qualcuno mostrerà di sentire la vocazione al Sacerdozio, passerà alla Casa di Genova. In meno di cinque anni, il Collegio S. Giuseppe arriva ad accogliere una settantina di alunni. Lo zelo industrioso del bravo lavoratore non può fermarsi lí. Egli ha in mente un suo disegno da svolgere. Perché non pensare anche a quelle famiglie di civile condizione che volendo incamminare i loro figli alla vita commerciale o alla carriera di professionisti vogliono prepararveli oltre che con un conveniente corredo di scienza, sopra tutto nutriti dei saldi principi della morale cristiana? Ed apre a tal fine a Rivarolo (1892) il bel Collegio Sacra Famiglia in cui l’affluire a folte schiere gli alunni e il lavoro intenso degli studi che hanno poi una onorifica sanzione ai pubblici esami dello Stato, dimostrano come il Piccardo sia stato indovino nella provvida istituzione. Sono ormai centinaia gli alunni medici, avvocati, ingegneri, ragionieri, professori e sacerdoti usciti da quel Collegio che oggi essi rammentano con nostalgico e riconoscente ricordo. Non sorprende quindi nessuno in Genova, anzi il fatto è notato con deferente simpatia, quando si viene a conoscere che il nuovo Arcivescovo Monsignor Tommaso Reggio dovendo provvedere alla direzione del Seminario, con quell’accorgimento che gli è proprio, vi chiama per l’appunto Don Piccardo. Don Piccardo è l’uomo dal fine intuito, pensa l’Arcivescovo, ha ormai una larga esperienza, segue un suo metodo educativo che attira ed apre i cuori e i giovani leviti sa temprare a virtú virili e sacerdotali il cui riflesso si ammira nei sacerdoti usciti dai “Figli di 71 Maria” e sono ormai in trecento e piú sparsi nell’Archidiocesi. Ben venga dunque ed effonda il suo spirito e il suo zelo nel Seminario grande e nel Piccolo Seminario del Chiappeto. Altri forse al posto del Piccardo si sarebbe trovato sgomento nel sentirsi cadere sulle spalle un tanto peso. Ma egli, lo abbiamo già visto, è l’uomo della fede e nell’arduo cimento tutta la sua fiducia ripone in Dio e nell’Immacolata; alacre e fidente si accinge alla sua missione. Il suo apparire in Seminario dà tosto a tutti, grandi e piccoli, l’impressione di un’ondata carezzevole improvvisa di freschezza e di gioia; sentono che è arrivato il padre! Ne godono e ne parlano e fanno a gara per avvicinarlo, per gustare la dolcezza d’una sua parola. Primo suo pensiero è quello di procurare al Seminario uno stabile Direttore Spirituale e chiama a quell’ufficio una perla di Religioso, il P. Luigi Persoglio, che ancora oggi è ricordato in venerazione. Per tutti e per ciascuno il nuovo Rettore ha uno sguardo vigilante che li segue e una parola che li conforta. Molti oggi lo sentono ancora e solo essi potrebbero dire quanto valse a confermarli nella vocazione un solo abboccamento con lui, una sola frase, un cenno solo, un sorriso... Ma il Seminario è, naturalmente, un centro di studi e degli studi il Piccardo si interessa con larghezza di vedute. Riordina con sistemi moderni la ricca biblioteca, la rende con prudente oculatezza accessibile agli studenti seminaristi ed incoraggia e favorisce per i bisogni delle scuole, non solo del Seminario, ma anche degli Istituti cattolici, l’accesso alle Scuole Universitarie di quegli alunni che egli stima piú capaci. È gran merito suo se ad animare la pietà cristiana nello spirito della liturgia e del canto sacro, sorge in Seminario la cattedra di canto gregoriano; iniziandosi cosí quel largo sviluppo di tali importanti discipline in diocesi e nelle parrocchie, per l’applicazione del “Motu proprio” di Papa Pio X. Questo spiega come Genova allora fu tra le diocesi d’Italia delle piú attive in questo campo e fu all’avanguardia per l’attuazione del programma voluto dal Papa. Per il miglior decoro poi delle funzioni nel Seminario egli provvede alla Cappella un buon organo, chiamandovi a collaudarlo il già celebre Maestro Perosi. Passano cosí sette anni di feconda attività, finché suona l’ora del suo ritorno alla casa di Carignano. La ragione di un’ulteriore permanenza al Seminario sembra cessata: la Provvidenza gli apre la via ad un apostolato anche piú vasto e duraturo. Ed eccoci sulla via di Roma. Verso Roma Il disegno già vagheggiato e studiato dal Piccardo e dai suoi figli maggiori di dar carattere canonico all’Opera dei “Figli di Maria” sta per avere la sua felice attuazione. Il Frassinetti nel solco da lui aperto nel campo della Chiesa aveva lanciato il seme, aveva gettati i fondamenti spirituali, creata l’anima della nuova Istituzione, tocca ora al Piccardo, il savio esecutore dei disegni del santo Priore, adattarle un corpo conveniente. L’Opera sarà stabilmente costituita, assumendo, per decisione di Roma, forma definitiva. E che codest’Opera porti manifestamente il sigillo divino lo dimostrano luminosamente le circostanze in cui sorge: la rapidità con cui ottiene il riconoscimento canonico, la singolare benevolenza di cui la circondano il santo Pontefice Pio X e i suoi successori, i frutti di benedizione che va producendo. L’avrebbe mai pensato il Piccardo là in quel lontano 1868, quando, appena ordinato Sacerdote, si reca festante a Roma nell’acceso desiderio di prostrarsi, ai piedi del Pontefice Pio IX e implorare la sua benedizione, l’avrebbe mai immaginato che un giorno, nei suoi anni maturi, proprio dal Pontefice, successore di Pio IX, avrebbe avuta un’altra benedizione per un’opera che proprio in Roma il Papa gli avrebbe affidato? Graziosi scherzi della Provvidenza! 72 E qui bisogna ricordarli. Il Piccardo è dunque in Roma per trattare le pratiche relative alla costituzione della nuova Congregazione. Una chiamata improvvisa del Cardinale Pietro Respighi Vicario Generale di Sua Santità porta a questo dialogo: “Ho sentito che voi avete aperto diversi Collegi a Genova, ora bisogna ne apriate uno qui a Roma. Il Santo Padre Leone XIII vuole e lo desidera già da tempo che si apra un Collegio per i Chierici e Sacerdoti studenti che vengono a Roma dalle province e abitano in case private, affinché siano aiutati nella loro vocazione e sia ovviato a tanti inconvenienti”. “Come posso assumere quest’impresa?” “Voi siete l’uomo della Provvidenza e dovete voi assumervi quest’impresa; parlatene con i vostri Sacerdoti della Casa di Genova e poi mi darete risposta. All’Arcivescovo direte che il Cardinale Vicario vi ha pregato di aprire una casa a Roma e non potrà avere nessuna difficoltà”. “Io, veramente, ero venuto a Roma per avere le norme onde fondare la Congregazione...” “Si farà anche questa ma prima occorre che apriate il Collegio, poi si penserà alla Congregazione”. Che fare? Obbedire e far presto poiché l’anno scolastico è alle porte. Il Collegio voluto dal Papa è aperto; provvisoriamente ai Cento Preti sul Lungo Tevere Vallati, poi alla grande casa di via del Mascherone, antico palazzo dei Cavalieri Teutonici. Ma si fa presto a dire: “Aprite un Collegio!” Solo per chi è un po’ addentro alla partita può comprendere qualche cosa di quel complesso di esigenze che ne nascono. Don Piccardo però è uomo navigato e riesce presto e bene. Papa Leone XIII gli aveva detto in un’udienza susseguita all’abboccamento con il Cardinale Vicario: “Con l’aiuto della Madonna Immacolata voi farete il miracolo!” E il miracolo ci fu. Ma quanto laborioso per lo strumento che doveva compierlo! Testimoni e attori di quello che il Papa scherzosamente aveva chiamato “miracolo” furono lo stesso Cardinale Vicario e quel Monsignor Faberi, Segretario del Vicariato, che fu di grande aiuto nell’apertura e nei primordi del Collegio; la cui opera intelligente solerte e tenace, se poté non garbare a qualche spirito riottoso o a qualche pusillanime, riuscí però di un incalcolabile beneficio per la disciplina specialmente del giovane Clero convergente in Roma. Il sigillo divino Mentre si svolgono le cose che qui narriamo, viene a morire il Pontefice Leone XIII, 20 luglio 1903 e il 4 agosto è eletto Papa Pio X. A lui non è nuovo il Piccardo ne l’Opera sua, avendolo egli conosciuto in Genova mentre egli era Vescovo di Mantova. L’assunzione di Pio X al Pontificato è per l’Opera dei “Figli di Maria” una vera benedizione. Pio X avuto a sé piú volte il Piccardo e, informatosi minutamente di quello che ha fatto l’Istituto in Genova e altrove e dicendosi già informato dal suo Cardinale Vicario del bene che si va facendo in Roma: “voi, gli dice, avete già lavorato assai ed eravate già Religiosi senza averne la forma! Potete dunque sperar bene”. Con Rescritto Pontificio in data 21 maggio 1904 viene notificato il riconoscimento canonico della Congregazione dei “Figli di S. M. Immacolata”: e, consolante sorpresa, con lo stesso Rescritto è concesso alla Congregazione il Decretum laudis. Piú: il Papa a dimostrare la sua augusta benevolenza vuole che il Cardinale Vicario pro tempore sia Protettore e dell’Istituto di Roma e della Congregazione. Avanti dunque in nomine Domini! Vengono i Chierici e accorrono i giovani Sacerdoti, inviati dai Vescovi di varie Diocesi d’Italia ed anche dell’Estero e il Cardinale Vicario segue con vivo e affettuoso interessamento 73 lo svolgersi dell’Istituto, il Papa riceve ogni anno i collegiali che vanno a fargli omaggio guidati dal Padre Piccardo e non li accomiata mai senza porgere loro di sua mano un paterno ricordo. Un po’ di bilancio morale. Come in Genova questa nostra Casa ha dato alla Chiesa circa 400 Sacerdoti e fra essi tre Vescovi, parecchi ne ha incamminati alle Missioni Estere, cosí in Roma: dal 1902 un buon numero di Chierici e Sacerdoti furono alunni dell’Immacolata; tra questi sono oggi, una quindicina insigniti della dignità vescovile e moltissimi di loro assursero a cariche importanti nella Curia Romana, nelle Curie Diocesane, nelle Nunziature all’Estero e nei Seminari. Quando poi sotto Pio X per fare il concentramento degli studenti Chierici al Laterano furono soppressi il Seminario Pio, il Collegio Leoniano ed il Lombardo, anche il nostro Collegio seguí le superiori disposizioni: ma per espresso desiderio di Pio X e del Vicariato di Roma, la Casa continuò come prima ad accogliere i Sacerdoti che si recano a Roma per gli studi superiori. Opera quanto mai benefica, tanto apprezzata al Vicariato e alle stesse Università Pontificie, perché concorre a disciplinare la giornata e la condotta dei giovani Sacerdoti con i suoi orari, con le pratiche di pietà con i Ritiri mensili, con la direzione del Padre Spirituale. In grazia poi di quel fare aperto semplice e cordiale che è un po’ una caratteristica dei Figli di Maria, convengono spesso all’Istituto, per cortese ospitalità Sacerdoti in buon numero; sono una buona cinquantina di eccellentissimi Vescovi che, onorandoci della loro santa amicizia nei loro viaggi a Roma vengono alla nostra Casa, trovandocisi a tutto loro agio, come in famiglia e godendo la pace della Casa Religiosa. A questo punto mi piace ricordare come proprio dalla nostra Casa il Cardinale Achille Ratti partiva il 12 settembre 1922 per il Conclave dal quale uscí con il nome di Papa Pio XI. Fra le benemerenze poi del Piccardo in Roma una ve n’è che non va dimenticata, della quale il Papa Pio X gli si mostrò sempre grato. Era noto come il P. Piccardo era tutto felice quando potesse in qualunque modo concorrere non solo a fare un po’ di bene, ma anche quando gli riuscisse di favorire una buona iniziativa, particolarmente se vi fossero in giuoco i giovani e tutto quanto potesse portare una contentezza al Papa. Cosí, per ricordare uno dei tanti episodi: come a Genova aveva festosamente aperte le sale della Casa per il ricevimento e per il pranzo a 90 poveri della città che un comitato dell’Opera San Vincenzo de’ Paoli loro offriva in omaggio al Pontefice Leone XIII, nel compiersi del suo felice novantesimo, cosí a Roma quando dopo varie adunanze e congressi nei quali erano stati formulati dei voti per la istituzione d’una Scuola Superiore di musica sacra, in attuazione della riforma voluta da Pio X e mancavano intanto le aule per codesta scuola, il P. Piccardo fu ben lieto e onorato di offrire la sua Casa. Proprio lí nell’autunno del 1910 con l’intervento dell’E.mo Cardinale Rampolla, del Maestro Perosi, dei maestri Casimiri, Refice, Boezi ed altri molti insigni personaggi, si inaugurava solennemente la Scuola; celebrando la Messa dello Spirito Santo il nostro P. Minetti. La nuova istituzione con le sue varie sezioni rimase in Casa nostra quattro anni, usufruendo anche d’un organo che il P. Piccardo generosamente mise a disposizione della scuola. Verso la patria Parallelamente alla vita del Collegio e della Casa di Roma si va svolgendo quella della Congregazione. Per il suo cammino ascensionale il P. Piccardo se la vede avanzare silenziosa e modesta ma sicura e operosa sotto i suoi occhi e con la visibile benevolenza della Santa Sede. Confortato dalla presenza di sí promettente figliolanza, contemplando con legittima soddisfazione il cammino percorso, pregustando la gioia del lavoro che si va preparando, come un patriarca antico, nella sua serena e vivida vecchiezza si dispone alla chiamata di Dio. 74 Questa chiamata gli giunge in un momento solenne per la Chiesa e per la cristianità: nel giubileo del 1925. Fra i mille e mille pellegrinaggi alla tomba di S. Pietro egli sa esserne giunto uno dei suoi genovesi. Non vi sarà dunque anche lui? Oh poter pregare ancora una volta sulla tomba del primo Apostolo, poter ricevere ancora una benedizione dal Papa! Che consolazione per lui che sente ormai venirgli meno la vita! E quando il Pontefice Pio XI passando in rassegna i pellegrini arriva al suo buon Padre Piccardo, “oh ecco, esclama, un pellegrino carissimo e desideratissimo!” E a modo di paterno amplesso si piega e gli passa dolcemente sulle spalle l’augusta mano. Il pellegrino canterebbe volentieri in quel momento il suo nunc dimittis; ma non tarderà l’ora solenne. Prima ch’egli parta si aduneranno intorno al suo letto i figli maggiori in rappresentanza di tutti i fratelli lontani: dovrà dar loro una larga benedizione e lasciare la sua parola d’ordine; dice infatti al p. Giacomo Buzzone, l’attuale nostro venerato P. Generale, (intimo presagio degli eventi futuri?) “Lavorate: fate, fate: fate del bene!” E a modo dei Patriarchi antichi, pregando e sperando se ne parte. Siamo al 3 novembre dell’Anno Santo. Ma dunque sul cammino avventurato del Padre Piccardo hanno sempre fiorito e in abbondanza, le rose e gli allori? potrà forse pensare qualcuno, e la nave dell’Opera sua filò sempre tranquilla sul mare calmo ed un buon vento in poppa!...? Eh, veramente, no! E qualche cosa può saperne, ma qualche cosa appena, chi come noi visse lunghi anni in continuità di rapporti con lui ... Però se dolori ed amarezze non gli mancarono, grazie alla nobiltà dell’animo suo e a quell’arte sapiente ch’egli usava di saperle nascondere, tutto seppe sopportare forte e tranquillo; nel silenzio paziente e nella confidente preghiera seppe aspettare l’ora immancabile del sereno e della pace. La parola d’ordine La parola d’ordine fu religiosamente raccolta: i Figli di Maria, grazie a Dio, lavorano e si studiano di far del bene. Allargando anzi il loro campo di azione, non attratti dal fatale luccichio dell’oro, ma spinti dalla sete di lavoro per il bene delle anime, già vanno lavorando da dieci anni in tre residenze alla Plata in Argentina; e in Italia vanno intensificando sempre piú il lavoro nelle opere di ministero e nelle varie Case con circa una quarantina di Religiosi. Giovani leviti ogni anno entrano nel campo; altri novizi attendono, altri attendono d’entrare in Noviziato. E’ il seme gettato dal Frassinetti e innaffiato dal Piccardo che sotto il caldo afflato della divina Provvidenza si va sviluppando. Auspice l’Immacolata la messe biondeggia nel campo del Signore. Un antico alunno del nostro Collegio di Rivarolo in una sua delicata e profonda Elegia scrisse fra l’altro del Padre Piccardo cosí: “Ei fu seminatore d’amore e di bontà. Donò gli averi ai poveri che a lui fu inesausto forziere l’Evangel cristiano, fonte di carità. Dai mattutini albori, fin oltre la sera calante, arò perseverando e seminò con fede: onde a la Religione sacrò Sacerdoti a falangi, e offrí a l’Italia madre nobili cittadini. Lo Spirito a Dio: a la Terra la spoglia; a gli umani venturi l’esempio e la memoria, fin che la vita duri”. 75 E il nostro venerando ed amatissimo P. Olivari, unico superstite di quel drappello che entrò primo in questa Casa, e cui rivolgiamo in questo giorno un riconoscente affettuoso saluto, scrisse per una immaginetta-ricordo questo perfetto ritratto: RICCO DEI PIÚ BEI DONI DI NATURA SENTÍ PER TEMPO LA VOCE DI DIO CHE LO VOLLE SACERDOTE A POPOLAR DI SAMUELI NOVELLI LE DESERTE FILE DEL SANTUARIO L’OPERA DEI FIGLI DELL’IMMACOLATA CHE IL FRASSINETTI FONDÒ EGLI RACCOLSE NASCENTE E FECE SUA PER LEI DI LEI VISSE SACRIFICANDO AGI ED ONORI PER LEI CHIEDENDO L’OBOLO CON QUEL SORRISO DI AMABILE SIGNORILITA’ CHE MAI SUL SUO LABBRO SI SPENSE E VIDE PRIMA DI SALIRE AL PREMIO LA BELLA PIANTA DA DIO BENEDETTA GIÀ ONUSTA DI PREZIOSI FRUTTI METTER COI SANTI VOTI PIÚ SALDE E PROFONDE RADICI SPIRITO EQUILIBRATO E FERMO VERA TEMPRA DI EDUCATORE ESERCITÒ SUI GIOVANI IL FASCINO Dl UN IMPERO FORTE E SOAVE E DI VENERAZIONE E D’AFFETTO FU RIPAGATO DAI GIOVANI CHE UOMINI FATTI LA CARA IMMAGINE PATERNA SERBAN NEL CUORE, SCOLPITA DA QUELL’AMORE CHE VINCE LA MORTE E noi da codesto amore, che vince la morte, guidati e confortati, non piú in lacrime, ma con il cuore effuso in preghiera, verremo a questa tomba venerata che da questo giorno riesce per noi circonfusa di quella luce soave onde si ammanta un Altare. Sarà l’Altare della nostra venerazione per le preclare virtú onde fu adorna quell’anima sacerdotale; sarà l’Altare della nostra riconoscenza al Padre dolcissimo per l’amore sapiente di cui fu prodigo il suo buon cuore. La tomba severa e modesta porta scolpita questa epigrafe dettata dallo stesso P. Carlo Olivari. HEIC AB URBANO COEMETERIO TRANSLATUS III IDUS NOV. AN. MCMXXXVII AD SACROS JOSEPHI FRASSINETTI CINERES MERITA IN LUCE QUIESCIT ANTONIUS PICCARDO SAC. FILIORUM S. M. IMMACULATAE PARENS ALTER AB ILLO CUJUS OPUS VIX INCEPTUM 76 SUSCEPIT MIRIFICE AUXIT PERFECITQUE UNDE HOC NOVUM EXSTITIT SODALICIUM QUOD IPSE XXII PROPE ANNOS MODERATOR PRIMUS SANCTISSIME REXIT QUODQUE E COELO PATERNO NUMINE SOSPITAT. Indice A mo’ di introduzione………………………………………………pag Note personali…………………………………….. S. Pio X e il Piccardo……………………… Il suo giubileo sacerdotale Nel ricordo della sua morte Nel ricordo dei suoi ex alunni In morte del nostro P. Antonio Piccardo……. Il P. Piccardo e i Figli di Maria… La Casa di Roma…. Dal testamento di P. Piccardo Il P. Piccardo e il Papa… P. Piccardo e il Priore Frassinetti L’uomo forte Dolce visione La sua bontà Elegia P. Piccardo Rettore del Seminario Arcivescovile L’educatore Don Piccardo e il Santuario dell’Acquasanta Anime generose De minimis I funerale di P. Piccardo Partecipazione nel dolore In memoriam Festa sociale Ai benefattori dei Figli di Maria Il suo ritorno alla Casa Madre…… Dinanzi ad una tomba Primi albori Gli emissari del male Gli uomini di Dio Il Ministro della Provvidenza Promettente aurora Ora triste Il sorriso del Cielo L’erta luminosa 77 Poesia e vita Pedagogia sapiente Crescit eundo Verso Roma Il sigillo divino Verso la patria La parola d’ordine Indice 78