Istituto MEME s.r.l. di Modena
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
Dar voce al dolore
Scuola di Specializzazione:
Relatore:
Correlatore:
Contesto di Project Work:
Musicoterapia
Dott. Roberto Barbieri
Dott.ssa Roberta Frison
Ambito clinico
San Giacomo, Ospedale di
Medicina Riabilitativa, Ponte
dell’Olio- PC, Italia
Tesista specializzanda:
Anno di corso:
Ana Spasić
Secondo
Modena, 12-05-2007
Anno accademico 2006-2007
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BRUXELLES
ANA SPASIĆ – SST IN MUSICOTERAPIA – SECONDO ANNO –A.A. 2006/07
Indice dei contenuti
1. Premessa ......................................................................................... 4
2. Il dolore ........................................................................................... 8
2.1 Definizione ................................................................................ 8
2.2 Il dolore passato, presente e futuro ............................................ 9
2.2.1 Nel passato....................................................................... 9
2.2.2 Nel presente ..................................................................... 10
2.2.3 Nel futuro......................................................................... 11
2.3 Fisiopatologia/ Le vie del dolore ............................................... 13
2.3.1. Il sistema nocicettivo periferico .......................................... 14
2.3.2. Le vie della sensibilità dolorifica nel sistema nervoso centrale 16
2.4 Le teorie sul dolore ................................................................... 17
2.4.1 Le teorie della specificità .................................................... 18
2.4.2 Le teorie di modello ........................................................... 19
2.4.3 La teoria del controllo del cancello...................................... 19
2.4.4 La teoria dei recettori oppioidi ............................................ 20
2.5 Tipi di dolore ............................................................................. 21
2.6 Le diverse dimensioni del dolore .............................................. 23
2.7 Dolore e fattori demografici ...................................................... 28
2.8 L’accertamento e la misurazione del dolore.............................. 30
2.9 Trattamento del dolore................................................................ 35
2.9.1 Il trattamento farmacologico ........................................... 36
2.9.2 Il trattamento non farmacologico .................................... 39
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3. Epidemiologia.................................................................................. 46
4. Esperienza lavorativa = Project Work ......................................... 47
4.1 Introduzione ..................................................................... 47
4.2 Prospettive aperte e obiettivi sostenibili........................... 49
4.3 Rassegna della letteratura scientifica................................ 51
4.4 Metodologia e strumenti................................................... 54
4.5 Frequenza degli incontri e setting......................................... 61
4.6 Criteri di conduzione individuale ......................................... 62
4.7 Contenuti musicali .............................................................. 63
4.8 Valutazione ........................................................................ 68
ƒ
Valutazione iniziale......................................................................... 68
ƒ Valutazione intermedia .............................................................. 72
4.9 Partecipanti agli incontri ........................................................... 73
5. Conclusioni ..................................................................................... 86
5.1 Conclusioni della mia osservazione .................................... 86
5.2 Conclusioni generali ........................................................ 88
6. Bibliografia ..................................................................................... 89
7. Sitografia ........................................................................................ 90
8. Riferimenti ..................................................................................... 91
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Premessa
Un infermiere professionale, in qualsiasi branca clinica egli operi spesso ha a
che fare con la sofferenza umana e il dolore fisico che può sconfinare e confondersi con
il dolore psichico; ai quali, altresì, si potrebbe associare il disagio spirituale. Proprio per
questo motivo, a nessuna persona così strettamente a contatto con esso può sfuggire il
pensiero, per quanto a volte possa sembrare difficile o persino impossibile di trovare
una soluzione per svolgere il proprio lavoro, di applicare la propria conoscenza tecnica
(per quanto essa sia raffinata, perfezionata o portata agli estremi della possibilità
umana), senza ricorrere ai soliti stratagemmi e sistemi di ritenzione e/o aggressione
fisica traumatizzanti verso la persona. Come se la paura stessa di star male venisse
fomentata e amplificata dall’atteggiamento del personale sanitario. Nel caso di
resistenze fisiche, o difficoltà nel riuscire da solo, l’operatore può usare i mezzi
contenitivi o ricorrere all’ausilio di colleghi presenti nel turno per bloccare il malato
fermandolo con forza, con la scusa di proteggerlo. Gli atteggiamenti di questo tipo sono
frequenti all’interno degli ospedali e il dilemma morale è causa di tante preoccupazioni
per chi da poco si è inserito nel mondo clinico, per poi essere sommerso dalla routine e
dall’assuefazione a questa specie di dolore morale professionale. Esso viene taciuto
ufficialmente o comunemente accettato come qualcosa di ordinario.
La stessa afflizione d’animo, ho trovato e sto trovando io nelle mie ore di lavoro
clinico e proprio questo project work deriva dalla ferita morale e personale
infermieristica dalla quale, naturalmente, è nato il bisogno di cercare di superare la
maggior parte di questi momenti oltrepassando “la norma” nel modo di trattare e
applicare la terapia. In questo caso, in questo modo, il presidio musicale ed artistico (il,
canto, la recitazione, la recita et similia quando e quanto basta) diventa una vera e
propria alleanza nella via e nella gestione del dolore di ogni genere e sorta. Mi sembra
in tali momenti che sia la musica a prendersi cura della persona (abitualmente chiamato
paziente, utente o cliente), a darmi forza interiore e che io stessa diventi uno strumento,
veicolata dal suono stesso: la buona tecnica e la preparazione infermieristica, invece, le
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percepisco come necessarie ma non bastanti e quindi solo dei complementi ad un senso
più ampio, quello di prendersi cura del prossimo nella totalità senza nuocere.
Le immagini di un dolore spezzato
Nel corso dell’esperienza canto-infermieristica degli ultimi mesi in me improvvisamente
scaturì in mente una serie di vivide immagini della mia, probabilmente prima, esperienza del dolore
acuto. Rendendomi conto che la mia odierna pratica clinica non è altro che la giusta conseguenza del
germe di un pensiero seminato, all’incirca, ventisette anni fa, in questa sede cercherei di esporvi il suo
contenuto.
Il dolore procurato e il disagio pertinente alla tecnica infermieristica che si stava applicando su
di me, indirettamente fu suscitato dall’ago (forse, sarebbe il nesso logico che proprio in questo periodo lo
fece riportare alla luce del momento presente) che aveva un preciso scopo, a me allora ignoto e che
nessuno cercò di farmi capire, di cucire la grossa abrasione sulla zona frontale destra del mio capo. La
ferita, invece, derivò da un mio illogico tentativo nell’asilo di prendere la palla, che con un calcio fu
intrappolata in mezzo alle sbarre di un termosifone, con la testa. I suoi segni cutanei sono ancora oggi
visibili. La presa in considerazione che ero ancora nel nido, magari potrà giustificare un pensiero cosi
irrazionale che io ricordo vividamente. E quando, dopo un po’ di tentativi di forza, decisi di rinunciare a
questa insolita impresa prendendo, alla fine, la palla in modo “tradizionale”, girandomi verso i compagni
notai che improvvisamente questi sospendevano i loro giochi, da prima pietrificandosi per poi irrompere
in forte pianto. Provai una sensazione di spavento e il mio pensiero, allora, si sforzò di capire le loro
ragioni di fissarmi con gli sguardi reagendo in quel modo, ma invano fu il mio tentativo perché non
sentendo nessun dolore e non potendo vedermi dei fiotti di sangue sul volto, non potei constatare nulla di
strano. Poi, la memoria delle immagini e di vaghi ricordi dei pensieri si spezza, e per cui percorrendole
mi rendo conto che sono come un rullino che fissa in se solo i momenti “scattati” per aiutarci un giorno a
ripristinare i ricordi, le sensazioni ed eventuali pensieri di un tempo “diviso”,”in pezzi” e oramai lontano.
Riesco a vedere la maestra dell’asilo mentre lasciava cadere giù le lacrime, ma anche lì non capisco il
motivo di questa sua reazione. In prossimità di un pensiero cosi vivo riesco a rivivere la situazione dove
ci avevano messo tutti allo stesso modo, seduti per terra con la schiena appoggiata contro l’armadio
lungo la sua parete oppure era il muro, creando una fila di “burattini”: fatti muti e immobili. A questa
scena si sussegue un’altra con le facce dei miei genitori che sulla porta parlavano con la maestra che era
evidentemente preoccupata per qualcosa, si vedeva dal volto: a quei tempi, forse, questa immagine non
mi era del tutto chiara come oggi, ma mi colpiva la sua espressione diversa dal solito.
Segue ancora un buco mnestico per arrivare al momento di cui sto per raccontare gli eventi e dai
quali un intero percorso di vita implicitamente ha tratto la sua direzione e le conclusioni. I risultati di
questa elaborazione mentale inconscia ed inoltrata sarebbero l’oggetto della mia “innovativa”, magari
“spavalda” (usando il termine delle mie colleghe seguaci e aderenti alla convenzione) pratica clinica nel
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prelievo di sangue.
In questa specie di cronologia delle immagini spezzate, nell’immagine che viene dopo,
vedo una parete di vetro a sinistra dal letto dove ero coricata; paragonandola alla mia
percezione odierna forse era un lettino. Dall’altra parte della vetrata stavano in piedi delle
persone “grandi” che come in uno spettacolo stavano osservando la scena che si stava
svolgendo all’interno. Mi si avvicinò con un congelato sorriso, dal di sopra e davanti,
un’infermiera cercando di trasmettermi l’idea di benevolenza, ma bloccandomi con il suo corpo
ed avvicinandomi l’ago vicino alla faccia. Indi, subito mi misi ad insultarla: “Lasciami stare, tu
non sei normale…”; ripetendolo svariate volte a squarciagola che ancora la mia memoria
uditiva ne subisce delle torture solo cosi ricordandomi, ma non saprei raccontare come si
sentirono le orecchie dell’ infermiera. Potrebbe essere stata nulla di meno che una forma
musicoterapica, come il primo “ahi” dell’uomo primordiale, come una specie di Urschrei
ovvero urlo primitivo1; sennò era l’unica affilata arma che cosi impedita mi rimase per cercare
di aguzzare le sue orecchie per comunicarle qualcosa di forte nel tentativo di fermarla.
In seguito, riesaminando e riassumendo i significati dei miei ricordi chiesi a mia madre
di dirmi l’esatta età che ebbi in quel momento e le precise parole degli insulti che scatenai
contro gli infermieri: una che mi stava contenendo con forza e l’altra che cercando di
sorridermi in faccia continuava a ripetermi: “Stai tranquilla, non ti farò del male!”
Per quanto riferito da mia madre avevo tre anni di età e il contenuto delle mie parole,
per le quali loro dietro il vetro arrossivano di fronte agli altri genitori era:
- Tu sei pazza, questo fa male!
Nessuno aveva provato a trattarmi da homo sapiens, essere in grado di pensare,
parlare, elaborare una serie di cognizioni, cercando di prepararmi per quello che si
faceva in seguito. Io non sapevo nemmeno di avere una ferita alla fronte che doveva
essere suturata. L’unica informazione che mi fu consegnata era completamente erronea,
“quello che faccio non ti procurerà del dolore” e ricorrere ai mezzi contenitivi di una
collega nel mio intimo procurò un senso di molestia. In effetti, non è il dolore fisico
che mi permane in mente, quello l’avevo probabilmente soppresso (“chiuso al
cancello“) con le urla, ma le immagini di corpi delle persone vestite in bianco che si
1
Primal Therapy, a volte erroneamente chiamata Primal Scream Therapy, è stata ideata da Arthur Janov, PhD. InThe
Primal Scream (uno dei suoi 12 libri) del 1970, Janov sostiene che nella Primal Therapy, i pazienti possono trovare i
propri bisogni e le emozioni reali nel processo di sperimentazione dei tutti i loro “dolori”.
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porgevano verso di me invadendo tutto il mio spazio visivo, per non so quale ragione.
Deve essere stata una grossa evoluzione interna alla personalità di scegliermi
nella vita proprio quel “mestiere mostruoso”, abbracciarlo, invece di evitarlo, ed una
volta averlo compreso, con la musica, stravolgere il suo significato; trasformando tutto
ciò che in esso potrebbe minacciare e/o invadere l’integrità del prossimo.
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2
Dolore
Cartesio riteneva che i nervi, che immaginava come corde che muovono le campane,
poiché sono stati tagliati, entrino in agitazione e quindi possano fare suonare le loro
campane.
(René Descartes, nel 1644)
Si tratta di un esperienza multidimensionale altamente soggettiva, che consiste
non solo negli stimoli fisici bensì nell’interpretazione psicologica del dolore. Svolge
un’importante funzione di protezione funzionando come un segnale d’allarme azionato
dal nostro sistema di vigilanza. Può stimolare la persona a immobilizzarsi o a fuggire,2 a
evitare o a proteggersi. Potrebbe essere considerato un meccanismo che presiede alla
sopravvivenza e che spinge al ripristino dell’equilibrio.3
2.1 Definizione
Il dolore a tutt’ oggi rimane uno dei fenomeni naturali senza una definizione da
considerare veramente scientificamente soddisfacente e completa. L’Associazione
internazionale per lo studio del dolore (IASP - International Association for the Study of Pain,
1975) definisce tale sintomo come ”un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva,
2
Fight-or-flight response noto anche come acute stress response (la risposta allo stress acuto), per la
prima volta fu descritta nel 1927 da Walter Cannon. La sua teoria sostiene che gli animali reagiscono ai
trattamenti con le generali scariche del sistema nervoso simpatico, che preparano l’animale a combattere
o a fuggire. In seguito, questa risposta è stata riconosciuta come il primo stadio dell’adattamento generale
che regola le reazioni allo stress dei vertebrati e degli altri organismi.
3
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg.28.
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associata a un danno tessutale reale e potenziale a carico di un tessuto o che viene
descritta in termini di tale danno”. Si aggiunge, inoltre, che l’incapacità del soggetto di
comunicare verbalmente non nega la possibilità che stia provando dolore e che ha
bisogno di un trattamento che gli procuri sollievo (IASP 2002). Nell’occidente, tra i
tentativi di spiegare il (“togliere le pieghe” al) dolore partendo dalle lontane prove nel
tempo, troviamo:
“Un emozione opposta al piacere” (Aristotele).
“Un campanello d’allarme che avverte l’anima di un pericolo imminente”
(Cartesio nel ‘600).
“Il male”, (Milton, causato dal peccato originale).
“Uno stato di necessità” (Wall).
“L’avvenuta presa di coscienza di un messaggio nocicettivo” (Tiengo).
2.2 Il dolore passato, presente e futuro
Il significato del dolore, della sofferenza, della malattia e della morte mutano nel
tempo.
2.2.1
Nel passato
Nell’antichità il dolore, la morte e la malattia erano interpretate come la
dimostrazione dell’intrusione nella vita fisica di qualcosa (spirito, maledizione…)
dell’altro mondo, quindi, con la presentazione di offerte e sacrifici si cercava di
riguadagnarsi il favore degli dèi. A poco a poco i fenomeni naturali cominciano essere
razionalizzati e all’epoca di Ippocrate (V sec.A.C.), la malattia diventa un segno di
rottura dell’equilibrio tra individuo ed ambiente.
Nella cultura greca coesisterono i seguaci di due grandi correnti culturali:
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- epicurei: ogni piacere deve essere goduto, ogni dolore respinto.
- stoici: sopporta e rimani impassibile.
Con il diffondersi del cristianesimo cominciano ad affermarsi nuove concezioni
del dolore: un disordine creato dall’uomo rispetto all’ordine stabilito da Dio. Il dolore
viene inviato da Dio per mettere alla prova lo spirito, indi, il dolore diventa un possibile
mezzo di redenzione, come lo è stato per Gesù Cristo. Per questa ragione il dolore
veniva accettato e sopportato con rassegnazione.
Dopo l’anno mille, con la nascita delle prime università, il dolore e la malattia
tornano ad essere considerati effetti di cause naturali. Nel Rinascimento con Galileo
entra in vigore il cosiddetto
metodo scientifico. La precedente metafisica viene
soppiantata dalla metodologia analitica e dalle osservazioni sperimentate e
rigorosamente razionali.
La convinzione dell’uomo nell’aldilà viene scardinata dall’illuminismo e poi dal
positivismo, e tutto ciò causerà profonde modificazioni nella visione del dolore e il
progresso dell’industria chimica da lì a poco permetterà di isolare dalle sostanze
tradizionali alcuni principi attivi, tra cui la morfina (nel 1803). Negli ultimi decenni
dell’800, viene prodotta un’altra sostanza analgesica, ancora più efficace, la cocaina,
erroneamente pensando di aver trovato la soluzione per guarire la dipendenza che
causava la morfina.
Per Freud, che fece largo uso della cocaina per combattere la depressione e la
dispepsia, la sofferenza psichica e quella psicosomatica sarebbero il risultato di un
conflitto tra le tre istanze psichiche e la psicanalisi comincia a divenire una cura del
dolore fisico e morale. Per Jung, invece, la sofferenza sarebbe il tentativo dell’inconscio
(Id) di prevalere sulla persona (Io)4.
2.2.2
Nel presente
Un simbolo significa mettere insieme e di solito collega materiale e spirituale, corpo ed
anima . Il serpente è il simbolo di lunga vita, ma, come la medicina, ha una
doppia valenza, positiva e negativa: è simbolico di salute e di insidia,
(3° il palo di Mosè con il serpente in bronzo)
4
Bellucci G., Tiengo M. (1996), Revisione storica dei tentativi umani di sedare il dolore. Momento
medico (edizione fuori commercio). Salerno Rey.R. (1998), Storia del dolore, Ed. Tema.
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di rigenerazione e resurrezione, di astuzia e di prudenza, di dominio, di perfidia e di tradimento; rappresenta la sequenza
malattia-guarigione.
(1° e 2° la verga di Esculapio e il caduceo mercuriale)
Nell’epoca attuale l’Organizzazione Mondiale della Sanità attraverso la
definizione scientifica riportata all’inizio di questo capitolo ci descrive il dolore come
un’esperienza sempre molto soggettiva. Non a caso, poi, l’odierna definizione
semantica della parola dolore è arrivata alla massima indeterminatezza. Come nel
termine inglese pain, che arriva a significare ogni dolore, sofferenza o disagio, ma
anche il semplice fastidio.
2.2.3
Nel futuro
“Il dolore non deriva solo dagli stimoli periferici,
ma anche dall’esperienza emotiva dell’anima,
che ha sede nel cuore” (Platone)
Si potrebbe cercare di attingere dall’unicum ovvero,
provare a percorrere la multidimensionalità del significato nel corso della storia umana,
andare indietro nel tempo per riprendere le matrici originarie attraverso l’etimo che sta
dietro la parola dolore, partendo dai tempi nostri come il precursore di un presente
futuro fino ad arrivare alle antiche civiltà e viceversa. L’etimo in pratica starebbe a
significare il vero, originario significato della parola stessa, la forma più antica,
documentata o ricostruita cui si possa ricostruire a ritroso la storia di una parola5. In
italiano, la lingua più vicina alla fonte che ci permane in latino, il sostantivo dolor
deriva dal dolere ovvero sentir dolore. Ancor oggi provare il dolore vorrebbe dire
percepirlo, sentirlo, assaporarlo con i sensi (esclusa la vista). Dunque pure udirlo; la
stessa ambiguità verbale del sentire e udire che la lingua italiana ancora sta
5
Devoto Oli, “Il dizionario della lingua italiana”, Felice Le Monnier (edizione 2002-03), Firenze.
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racchiudendo in sé. È a questo punto del codice storico linguistico che per me si apre la
porta per una tesi di sinergia, complementarietà ed alleanza musicale nella via del
dolore e potrebbe essere un indizio della nuova e probabile svolta storica, tracciata già
nel momento che stiamo vivendo noi adesso.
Sostanzialmente non si può negare la presenza della musica per alleviare e
trattare il dolore dalle antiche civiltà in poi. Apollo, il dio mitologico, in effetti ci
rimane in mente come il dio che ci donò la medicina e la musica. La lettura di una
visione futura potrebbe essere prevista dalle tracce presenti delle visioni passate.
Sembrerebbe una rinnovellata coesistenza questa fusione delle arti, e delle scienze. Un
diretto e ciclico confluire verso le origini della parola mousiké (“arte delle muse”): sotto
la quale i Greci posero non soltanto l’arte dei suoni, ma tutto un complesso di attività e
di esperienze diverse comprendenti le arti sorelle (la poesia e la danza), come pure la
medicina e le pratiche magiche6.
Dalla riflessione e l’osservazione attenta sugli eventi che stiamo percorrendo
come civiltà odierna, quale possibili previsioni potremmo formulare per i giorni a
venire? Stanno le scienze, le religioni e le arti piano piano creando l’esistenza di un
triumvirato curativo? E non sta sbocciando fuori un fiore, un fascio unico, stavolta
compreso nella sua interezza e il potenziamento sinergico nel quale ogni elemento è
correlato, interdipendente? Questa situazione odierna non sta forse celando in sé una
promessa di ritorno all’ancestrale senso di perfezione, alla trinità benefica in grado di
sostituire i problemi per cui in medicina negli ultimi tempi la scienza, sembra non
reggere più da sola ed è cresciuta soprattutto attraverso la tecnologia?
Il corpo e l’anima per molti secoli furono visti discernibili. Una separazione
netta tra di loro, in parte causata dall’influenza pervasiva delle idee di René Descartes,
portava il pensiero scientifico ad oggettivare il tutto, ma l’abisso e il vuoto che si
celavano in questo tipo di prospettiva sta diventando sempre più evidente proprio nella
gestione e nel trattamento del dolore. In questo caso, e il dolore è una sindrome
complessa e totalizzante, l’esperienza sapiente da sola non può interagire con l’identità
personale del curato salvo assecondando le ragioni implicite che infliggono la sua
personalità, ovvero personalizzando il trattamento stesso. La situazione futura sembra di
prevedere l’umanità nella ricerca di veicolare la psiche e il vissuto umano, approdando
6
E. Surian, Manuale di storia della musica, Rugginenti (1991), Milano. pg.44.
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alle cause soggettive ed agendo in seguito con i principi oggettivi scientifici sulla
persona (un aspetto pluridinamico nel multidimensionale); allo stesso tempo rispettando
le sue scelte e le decisioni.
In altre parole, il nostro presente futuro sembra intravvedersi nella comparsa e
nella sempre più grande accettazione delle “nuove-vecchie” discipline, come lo è la
musicoterapia, in diversi contesti sociali fino ad entrare nell’ ambito clinico. Pensiamo
che solo fino a qualche decennio fa questo sarebbe stato inimmaginabile. Solamente nel
1997 American Medical Association richiamò le scuole di medicina per incrementare lo
studio nelle pratiche complementari ed alternative, includendo l’uso della musica. In
Italia, invece, le scuole infermieristiche negli ultimi 3-4 anni stanno aggiungendo la
musicoterapia come una delle materie di scelta; e nonostante tutto, in ambito clinico la
disciplina è ancora poco consueta a confronto della realtà americana e nordeuropea.
Sembra chiaro che prima che questa situazione ideologicamente venga divulgata
ed entri a far parte della coscienza e del senso comune della nostra società, passeremo
ancora assieme molte stagioni invernali, prima che la tiepida primavera definitivamente
ci investa di una luce per la quale lungo i secoli stavamo risentendo l’intensa e la
continua nostalgia.
2.3
Fisiopatologia / le vie del dolore
“L’opinione comune, che vuole le ferite inevitabilmente associate al dolore
e che più grande è la ferita peggiore è il dolore, non era sostenuta da osservazioni fatte
il più acutamente possibile nella zona di combattimento…non c’è alcuna relazione semplice o
diretta tra la ferita in sé e il dolore provato.
Il dolore è in gran parte determinato da altri fattori, e in questo caso è di grande
importanza il significato della ferita. Nei soldati feriti [la risposta al danno] era sollievo,
gratitudine di essere usciti vivi dal campo di battaglia, perfino euforia; nei civili, l’intervento
chirurgico era un evento deprimente, disastroso.” (Henry K. Beecher, 1959)7
7
Beecher H. K. (1959), Measurment of Subjective Responses, Oxford University Press, New York; trad.
it. in E. Tiberi (1988), Il primato delle emozioni, Giuffrè, Milano.
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Il dolore percepito è il risultato di un insieme di processi complessi che possano
avvenire ad opera di strutture sia periferiche (sistema nocicettivo), sia centrali (vie
ascendenti e discendenti).
2.3.1 Il sistema nocicettivo periferico
I recettori sensoriali del dolore, o nocicettori, sono dei recettori sensibili
preferenzialmente a stimoli nocivi, o a stimoli che potrebbero diventare nocivi, se
protratti. Si presentano come le terminazioni libere presenti nei tessuti (pelle, sottocute,
muscolo, vasi sanguigni, articolazioni, visceri ed altre strutture) e gli è deputato di
rispondere a stimoli che danneggiano i tessuti stessi. Esistono termorecettori,
chemiorecettori come dei recettori meccanici che rispondono ai cambiamenti di
pressione.
A titolo di sintesi, in letteratura vengono individuate due principali vie del
dolore, una lenta e una rapida che in conseguenza stanno a identificare l’esistenza di due
tipi di dolore. Questo per quanto dimostrato dagli studi di Ganong, 1971; Guidetti,
1976; Fields, 1988; Woolf, 1994. Si parla quindi di dolore primario e dolore secondario,
oppure del dolore immediato e del dolore tardivo, secondo il tipo di fibre che sono state
coinvolte.
I nocicettori si localizzano su due tipi di cellule nervose afferenti:
- fibre mieliniche di tipo A-delta, di piccolo diametro (2-5 μ) e a conduzione
veloce (5-30 m/s) che si attivano da stimoli meccanici e meccanico-termici, mentre
sembrano insensibili agli stimoli di natura chimica. Questo tipo di fibre sono
responsabili della percezione del dolore di tipo acuto, pungente, ben localizzato,
immediatamente associato ad un danno.
- fibre amieliniche C, di diametro molto piccolo (o,3 -3,0 μ) e a lenta conduzione
(o,5-2 m/s). Vengono definiti polimodali, in quanto rispondono a stimoli nocivi di tipo
meccanico (punture e schiacciamento circoscritto), termico (temperature superiori a 45°
C e inferiori ai 12° C) e chimico. Sono responsabili della percezione del dolore di tipo
sordo, diffuso e persistente anche dopo il danno.
- fibre mieliniche di tipo A-alfa di largo diametro, invece, non sono in grado di
segnalare la presenza di stimoli nocivi. Corrono accanto alle fibre A–delta e C e
vengono eccitate da stimoli meccanici deboli quali il tocco leggero e superficiale e la
14
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flessione dei peli (Fields, 1988).8 Tra le fibre di grande diametro di tipo mielinico
troviamo anche le fibre di tipo A-beta e L e ad essa viene attribuita la conduzione delle
sensazioni tattili; hanno una velocità di conduzione molto più elevata confronto agli
altri tipi di fibre (intorno ai 70 m/s).
La teoria del gate control si basa sull’idea che se riusciamo a stimolare le fibre di
grande diametro senza interessare le altre, viene attivata, a livello del midollo spinale,
l’inibizione delle fibre a piccolo diametro e quindi una specie di blocco della via del
dolore verso il cervello (la via ascendente).9
8
Cit. in Minuzzo S., Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. p. 29.
9
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. p. 28.
15
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2.3.2 Le vie della sensibilità dolorifica nel sistema nervoso centrale
Tra la stimolazione dolorosa a livello tessutale e l’esperienza soggettiva del
dolore interviene una seria di eventi complessi conosciuti sotto il nome nocicezione.
Essa può essere suddivisa in 4 eventi (fasi):
- Trasduzione: è un processo chimico-fisico di depolarizzazione di recettori
nervosi periferici (di stimoli chimici, temici ecc.) e la loro conversione in impulsi
elettrici che vengono trasmessi al midollo spinale.
È stata avanzata l’ipotesi che, nel meccanismo della trasduzione, le terminazioni
di nocicettori siano attivate da mediatori o sostanze chimiche algogene. Queste sono di
diversa origine: possono provenire dal liquido intracellulare uscendo dalle cellule
danneggiate (il potassio, l’istamina, l’acetilcolina e la serotonina); sintetizzate
localmente, per via enzimatica dopo un travaso di plasma o la migrazione di linfociti
(tipo bradichinina), sintetizzate in sede della lesione (prostaglandine, leucotrieni) e
solitamente presenti negli essudati infiammatori.10 Gli stessi nocicettori producono delle
sostanze in grado di produrre il dolore come la sostanza P che determina
vasodilatazione ed edema, il rilasciamento dell’istamina e della serotonina.
- Trasmissione: gli impulsi raggiungono l’encefalo attraverso i nervi sensitivi;
le fibre nervose afferenti giungono nelle corna posteriori (dorsali) del midollo spinale e
da cui, attraverso i neuroni connettori, il segnale viene trasmesso al sistema nervoso
centrale, lungo le vie ascendenti e i tratti spinotalamici.
- Modulazione: il segnale doloroso può essere modificato (amplificato o
attenuato) a vari livelli di circuito algico, sia prima sia dopo della proiezione dello
stimolo alle arie corticali specifiche, dando luogo a una varietà di possibili risposte. Si
ritiene che il controllo, in senso inibitorio o facilitatorio, del terzo processo del circuito
algico, avviene a livello delle corna posteriori del midollo spinale, attraverso le modalità
diverse. La modulazione è attivata da sostanze endogene, degli stati emotivi, dallo
stress, dai processi emotivi e dallo stesso stimolo doloroso.11
10
Kandel, Schwartz, Jessel (1994), Principi di neuroscienze, Ambrosiana, Milano.
11
Dossier inFad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Ed. Zadig. Milano. pg. 1.
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- Percezione: è il meccanismo, ancora poco chiaro, attraverso il quale viene
percepito lo stimolo doloroso, mediato da una serie di fattori fisici o psicologici (lo
stress, la paura, il condizionamento, la suggestione ecc) tali da renderlo un’esperienza
estremamente variabile da individuo a individuo. Tuttora esistono numerose incertezze
sui meccanismi di elaborazione corticale dei messaggi dolorosi e non si può escludere
che esistono le loro diverse e parallele elaborazioni corticali. Studi sperimentali hanno
confermato l’importanza della corteccia somatosensitiva nella nocicezione. Quando il
messaggio doloroso arriva a questo livello, si ha la chiara e precisa percezione del
dolore e la capacità di discriminarne la localizzazione, l’intesità e la natura.12
2.4
Le teorie sul dolore
“Secondo la tradizione, ad ogni essere umano sono affidati tre Angeli Custodi. Il primo
domina la sfera spirituale, il secondo influenza l’aspetto morale, la mente, le nostre emozioni ed i
nostri sentimenti; il terzo estende il proprio influsso sul piano fisico, la salute, e le nostre azioni
quotidiane. L’operato di questi tre Angeli non è così rigorosamente suddiviso, ma soltanto i valori
espressi all’unisono dai tre Angeli sono in grado di integrarlo e valorizzarlo perfettamente.”
12
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 42.
17
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Come già accentato in precedenza, da un momento storico in poi si è
aperta la porta ad una concezione oggettiva, osservabile, discernibile della natura
umana, creandosi un netto divario tra l’anima e corpo, la netta separazione tra i
sistemi, meccanismi, organi del corpo dell’essere umano. L’enfasi viene posta
sulla natura meccanicistica nelle ricerche e nel pensiero sul dolore visto come un
sintomo ignorando i fattori psichici in quanto distinti dal dolore “reale”. Di
conseguenza si cercavano le cause dirette, escludendo ogni pensiero sulla
possibilità di modulazione tra lo stimolo e la risposta (la causa e l’effetto).
L’egemonia filosofica di Cartesio e le teorie della specificità ricalcate dalle sue orme in
seguito e soprattutto nel XIX sec., sarà infranta dal lavoro di Ronaldo Melzack e Patrick
Wall e la loro teoria del controllo del cancello (Gate Control Theory)13 secondo quale
l’esperienza del dolore coinvolge tre dimensioni della persona. Di conseguenza, dagli
anni sessanta del secolo scorso, comincia augurarsi ed avviarsi un nuovo punto di vista.
Il riduzionismo scaturito dalla rigorosità scientifica che ha regnato per secoli comincerà
a prendere una nuova piega aprendosi e spiegandosi in una visone medica sempre più
olistica.
2.4.1 Le teorie della specificità
Le teorie della specificità affermavano che la causa del dolore era lineare, il
danno o la lesione erano direttamente equivalenti al dolore percepito e i fattori
psicologici in conseguenza venivano ignorati (già proposta nel III sec a.C. da Epicuro). I
dolori che non rientravano in questo modello non venivano valutati reali e i malati
cronici di conseguenza erano considerati malati psichiatrici.
Le moderne teorie della specificità ebbero il loro massimo sviluppo tra la metà
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. L’incredibile intuito scientifico cartesiano e la
sua illustrazione delle vie afferenti del dolore nei testi furono confermate da Müller, nel
suo Physiologie des Menschen del 1840, successivamente sviluppata da von Frey (nel
1894) in una più completa teoria della specificità del dolore (parlava dei recettori
sensoriali per il tatto, caldo, il freddo, il dolore…). L’estensione di questa prospettiva
13
Melzack R., Wall P.D. (1965), Pain mechanisms: a new theory. Science. 19;150(3699):971-9.
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porterà all’individualizzazione delle fibre per il dolore: le fibre A-delta e C, seguita
dalla identificazione del tratto spinotalamico, che comincia essere considerato la “via
del dolore”.
2.4.2 Le teorie di modello
La debolezza del modello di von Frey fu resa evidente da Goldscheider alla fine
del XIX secolo che pur riconoscendo alcune sue scoperte si concentrò sul pensare a una
qualche forma di processo centrale di sommazione degli stimoli sensoriali e dolorosi a
livello delle corna posteriori del midollo. Con questa teoria si tentò a spiegare alcune
situazioni del dolore patologico, come il dolore dell’arto-fantasma. Il fenomeno di
sommazione finalmente sarà proposto come modello nel 1943 da Livingstone e la sua
estensione in seguito prevederà che, in soggetti normali, viene instaurato un sistema di
stimolo-modulazione. Il principio si basa sul pensiero che le fibre che conducono le
informazioni del dolore (A delta e C) vengono inibite dalla contemporanea conduzione
di altre informazioni da parte delle fibre di grande diametro. Quello che viene trasmesso
al sistema nervoso centrale è il risultato dell’equilibrio (“competizione”) dell’attività dei
due gruppi di fibre.14
2.4.3 La teoria del controllo del cancello
Il precedente modello è stato sviluppato dalla teoria del cancello (Gate Control
Theory)15 che oltre alla dimensione fisiologica sensitivo-discriminativa prende in
considerazione altre due dimensioni stavolta psicologiche: una cognitiva e una affettivomotivazionale. L’aspetto cognitivo prende spunto sul fatto che ciascuno di noi
spontaneamente compie una valutazione cognitiva sul significato della sensazione
dolorosa. La terza dimensione o il processo affettivo-motivazionale riguarda
14
S. Minuzzo, Nursing del dolore Carocci Faber, Roma, pg. 51-54.
15
MELZACK, R.; WALL, P. D., "Pain mechanisms. A new theory (Gate control system role in pain
mechanism, noting specificity and pattern theories)", Science, vol. 150, Issue 3699 (19 Nov. 1965), pp.
971-979.
19
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essenzialmente il significato che il soggetto, in base ai suoi valori, credenze,
convinzioni, personalità, esperienze precedenti e in base alla particolare situazione,
attribuisce alla propria esperienza di dolore. Gate Control Theory è un tentativo di
individuare tutti i fattori specifici e individuali che sembrano influenzare in modo
determinante la percezione e la risposta al dolore. La novità assoluta di questa teoria è
proprio “il cancello” ipotizzato a livello delle corna dorsali del midollo, che
funzionerebbe come un filtro in grado di facilitare o impedire il passaggio dello stimolo
doloroso e la trasmissione del segnale al SNC.
L’apertura del cancello è determinata dal prevalere dell’attività delle fibre a
piccolo diametro (A-delta e C) su quelle a grande diametro (A-alfa e beta) la chiusura è
invece determinata dal prevalere dell’attivazione delle fibre a grande diametro, delle vie
inibitorie discendenti e anche dalla corteccia.16
2.4.4 La teoria dei recettori oppioidi
L’oppio è un antichissimo rimedio algico. Il suo recente
ritrovamento
in
un’anfora sigillata, trasportata da una nave fenicia naufragata, è una vera testimonianza
della sua commercializzazione nel bacino Meditteraneo nei tempi antichi. Tuttavia la
civiltà umana ha dovuto aspettare l’anno 1803 prima che Serturner da esso isolasse un
analgesico attivo, noto come la morfina. Nonostante la sua diffusione era ampia, fino
agli anni sessanta del XX secolo, il meccanismo d’azione della morfina a livello del
sistema nervoso centrale non era ben chiaro. Negli anni sessanta, a opera di Hughes e
Kosterlitz, sono stati per la prima volta isolati gli oppioidi endogeni e i recettori
oppioidi. I loro studi furono condotti prima sugli animali e poi sull’uomo. Si tratta di
una teoria biochimica della percezione e della modulazione del dolore (Summers,
2000).
Gli oppiacei, dopo il riconoscimento del proprio recettore specifico, si legano ad
esso producendo una serie di risposte biologiche. Oltre all’analgesia, essi inducono
anche una serie di azioni biologiche non desiderate come la depressione respiratoria,
20
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letargia, sedazione, allucinazioni, diminuzione della temperatura corporea e intestinale
ecc.
Gli oppioidi endogeni sono sostanze endogene morfino-simili sintetizzate dal
cervello in grado di agire con i recettori oppioidi specifici. Di fatto hanno un’azione
farmacologia simile a quella della morfina. La più conosciuta tra gli oppioidi endogeni è
sicuramente l’endorfina che viene rilasciata nel torrente sanguigno dalla ipofisi.
La teoria dei recettori oppioidi rispetto ad una interdipendenza psicologica
pervenutaci da Beecher (citato al punto 2.3.), sull’esperienza di dolore dei soldati
americani al fronte, di proposito ci fornisce delle spiegazioni complementari rispetto al
nudo correlato fisiologico.
2.5
Tipi di dolore
“Di due dolori che appaiono insieme non nello stesso punto quello più veemente oscura l’altro.”
Ippocrate “Scritti scelti”
Non esistono due individui che reagiscono al dolore allo stesso modo e perciò
attualmente il dolore non è più considerato una manifestazione unifattoriale, ma una
complessa esperienza multidimensionale. Nonostante le descrizioni della persona
variano da quella di un’altra sottoposta a stimoli dolorosi simili, tuttavia, ci sono alcune
caratteristiche sensoriali comuni nella localizzazione, nella durata e nella qualità (la
dimensione fisiologico-sensoriale), quando si provano tipi simili del dolore.
A seconda della sede il dolore può essere:
- superficiale è quello che colpisce la cute, il più studiato ed è solitamente acuto,
pungente, immediato, ben distinto, circoscritto. Il paziente è in grado di riferire con
precisione la sua localizzazione, mentre in esso le reazioni emozionali e i segni
vegetativi sono generalmente assenti.
- profondo è quello che interessa le strutture profonde (muscoloscheletriche e i
visceri). Si presenta in modo diverso, raramente è così acuto e ben localizzato come
dolore superficiale; è relativamente sordo e generalmente la sua insorgenza è graduale.
Può essere crampiforme, costrittivo, lacerante, urente, gravativo, pulsante. In questo tipo
21
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la reazione personale generalmente si esprime meglio nell’immobilizzazione piuttosto
che la fuga dell’altro caso, per prevenire ulteriori danni.
Esiste un altro tipo di dolore che dai precedenti due si distingue perché
accompagnato dalle reazione neurovegetative: nausea, vomito, sudorazione, alterazione
della frequenza cardiaca. Spesso il dolore viscerale può essere trasferito ossia percepito
anche dalle aree diversi dalla sede dell’organo colpito. Questo fenomeno viene chiamato
il dolore riferito.
Rispetto alla modalità di insorgenza, all’intensità e alla durata è possibile
distinguere tra:
- dolore acuto viene considerato un dolore “utile”, un’importante segnale di
presenza di una lesione. Dura un breve periodo e il paziente si aspetta che non sia a
lungo termine.
Lo stato emozionale che caratterizza questo tipo di dolore, nel caso di un dolore
acuto e intenso, è la presenza d’ansia, ma man mano che l’intensità cresce, tende a
diventare lo spavento, la paura, l’angoscia. A volte possono essere attivati le risposte di
combattimento e fuga o potrebbe causare dei cambiamenti psicologici.
- dolore cronico è un dolore che perdura per lunghi periodi ed esiste senza una
patologia desumibile. Il tempo che viene considerato a partire dal quale il dolore
comincia essere considerato cronico, secondo molti esperti, è assolutamente arbitrario.
Spesso troviamo indicato seguenti linee divisorie 6 settimane, tre mesi oppure 6 mesi. In
ogni modo “dura più di un normale tempo di guarigione previsto e si protrae oltre il
normale decorso della malattia” (come ci afferma la definizione della IASP).
È considerato un dolore “inutile”, perché spesso non è segno di un danno
incombente. Ed è tendenzialmente irrisolvibile con le conseguenti associazioni di
sentimenti di rassegnazione, sconforto, ansia, depressione e senso di impotenza.
Nell’aggiornamento FAD per gli infermieri, secondo la patogenesi, il dolore
cronico viene considerato come la particolare mescolanza di tre principali categorie di
dolore:
• dolore nocicettivo, a sua volta diviso in dolore muscolare e dolore meccanico
compressivo (o lo stiramento).
22
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• dolore neuropatico: causato da un danno o una disfunzione del sistema nervoso
centrale o periferico (ad es. sciatalgia da compressione di nervi, neuropatia diabetica)
• dolore idiopatico (psicogeno o la sofferenza psicologica): di origine non nota,
l’intensità e la durata non corrispondono ad una motivazione organica.17
2.6
Le diverse dimensioni del dolore
Il dolore viene oggi considerato una complessa esperienza multidimensionale. In
esso vi è una compresenza e una stretta connessione tra gli aspetti fisiologico-sensitivi,
affettivo-motivazionali, cognitivi, culturali e comportamentali.
La dimensione sensoriale si esprime attraverso la localizzazione, l’intensità, la
qualità, la durata e la modalità di insorgenza del dolore.
In questa sede mi occupo di apportare alcune definizioni che inevitabilmente
vengono utilizzate come i parametri linguistici della differenziazione dei diversi
fenomeni comportamentali legati alla risposta alle sensazioni dolorifiche:
La soglia del dolore rappresenta la quantità minima di stimoli richiesti perché
una persona percepisca dolore.
La tolleranza del dolore rappresenta il più alto livello di dolore che il soggetto è
in grado di tollerare.
La dimensione emotivo-affettiva costituisce la parte sofferta dell’esperienza.
Nell’esperienza di ciascuno è possibile distinguere e misurare la componente
sensitiva dalla componente emotivo affettiva manifestata nel senso di disagio, di
spiacevolezza, di sgradevolezza, fino all’ansia, alla paura o all’angoscia che possono
accompagnare la sensazione dolorosa. La conferma della presenza di un elemento
emotivo accanto a quello sensitivo e facilmente rilevabile raccogliendo il racconto dei
pazienti che provano dolore. Melzack e Torgeson18 registrarono le parole utilizzate dai
pazienti per descrivere il loro dolore e nel 1975 ne derivò un questionario dove Melzack
predispose venti categorie di aggettivi. È conosciuto con il nome il questionario McGill.
17
Dossier in Fad, Dolore cronico, 2007, Zadig, Milano. pg. 2,3.
18
Melzack R. (1975), The McGill Pain Questionnaire (MPQ): Major Properties and Scoring Methods, in
Pain, 1, p. 277-99.
23
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Gli aggettivi in esso contenuti descrivono, da una parte le caratteristiche della
sensazione (prude, pulsa, tira, stringe, formicola, vibra, schiaccia, brucia…) e dall’altra
quelle dell’emozione (noioso, disturbante, spaventoso, allarmante, terrificante…). I
termini usati per descrivere la componente emotivo-affettiva non dicono nulla sul
dolore, ma rappresentano il vissuto e la sofferenza che il soggetto sta provando.
Il dolore e la sofferenza non sono la stessa cosa. La sofferenza è associata a
eventi che mettono in pericolo l’integrità della persona il dolore è associato a eventi che
mettono in pericolo l’integrità dei tessuti. Le persone, indi, possono soffrire senza
dolore, oppure provare il dolore e non soffrire, o ancora provare dolore e soffrire allo
stesso tempo (Ferrell, 1993; IASP, 2002).19 La percezione del dolore infatti viene
esacerbata dalla sofferenza. Emozioni positive o stati d’animo come gioia, serenità e
ottimismo possono invece diminuirla. Un determinato stato emozionale, presente a
priori, è in grado di influire sulla percezione e sulla risposta al dolore fino al punto di
favorire, a volte, la sua cronicizzazione. Ci sono anche dei soggetti particolarmente
predisposti al dolore (dolore psicogeno): solitamente, si tratta dei individui con grandi
sensi di colpa, che essi riescono a mitigare attraverso il dolore. In questi casi, il sede di
dolore assume spesso un significato simbolico.20
La dimensione cognitiva e cognitivo-comportamentale riguarda i processi
mentali come percepire, ricordare, ragionare e le interazioni tra questi processi ed il
comportamento.
Il modo in cui viene valutata una determinata situazione, la valutazione
dell’evento emotigeno, la valutazione delle reazione emotive, l’insieme di pensieri ed
opinioni che accompagnano l’emozione nel pensiero della psicologia cognitiva
principalmente viene suddiviso in due tipi di valutazioni:
- la valutazione primaria: esplora il grado di pertinenza e di importanza della
situazione per il benessere dell’individuo;
- la valutazione secondaria: esamina le diverse modalità con cui l’individuo può
far fronte e gestire l’emozione, strategie di coping.21
19
IASP (1999), A Virtual Pocket Dictionary of Pain Terms
(http://www.db.uth.tmc.edu/faculty/vlewis/Vahnspage/pain/pocket_dictionary_of_pain.htm)
20
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg.64-67.
21
Psicologia Cognitiva (la dispensa in FAD musicoterapia), Istituto MEME, di C. Iani, p. 36.
24
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I significati e i valori che i soggetti attribuiscono al dolore e all’evento che lo
produce derivano dalle conoscenze possedute e dalle credenze personali, e influenzano
sia la percezione soggettiva, sia la risposta al dolore.
Le credenze personali di tipo pessimistico che il dolore significa sempre un
danno, che il soggetto ha uno scarso controllo sul dolore e che sarà un elemento stabile
della sua vita futura influiscono direttamente sulla disabilità, influenzando formazione
di particolari strategie di coping. Le strategie di coping più attive vengono attivate dalle
convinzioni e credenze di versante ottimistico come il dolore non è un fenomeno
duraturo o misterioso e la convinzione che esso può essere debilito. Si tratta
dell’autoefficacia ossia l’aspettativa di un soggetto, in termini di fiducia, rispetto al esito
di un’azione.
Il termine coping è stato introdotto in psicologia nel 1966 da R. S. Lazarus con il
saggio Psychological stress and the coping process.22 Nei testi di argomento scientifico
in lingua italiana compare spesso non tradotto, oppure tradotto con le espressioni
"fronteggiamento" o, più raramente, "gestione attiva". È un concetto strettamente
connesso con quello di stress, e indica l'insieme delle strategie cognitive e
comportamentali messe in atto da una persona per fronteggiare una situazione di
stress23. Esso si riferisce sia a ciò che un individuo fa effettivamente per affrontare una
situazione difficile, fastidiosa o dolorosa o a cui comunque non è preparato, sia al modo
in cui si adatta emotivamente a tale situazione. Nel primo caso si parla di coping attivo,
nel secondo di coping passivo. In generale il coping attivo è più efficace, dal punto di
vista dell'adattamento, quando la fonte dello stress può essere modificata o eliminata,
mentre il coping passivo lo è quando la fonte di stress non è evitabile o il soggetto non
ha alcuna influenza su di essa. Nella realtà, il fronteggiamento efficace comprende sia la
soluzione del problema che la gestione dello stress. La valutazione della situazione e
delle risorse a disposizione per fronteggiare l'evento, condizione o situazione stressante,
quindi, sono di primaria importanza per comprendere la qualità emotiva e l'intensità
stessa dello stress negativo della persona.24
22
Lazarus, R.S. (1966). Psychological stress and the coping process. New York: McGraw-Hill.
23
“Lo stress risulta dallo squilibrio tra le attese del mondo e le risorse personali.” (trad. it. da ingl.)
Lazarus R.S. and S. Folkman (1984). Stress, Appraisal and Coping. New York: Springer.
24
La presentazione - STRATEGIE DI COPING E PROBLEM SOLVING PER UNA MIGLIORE
QUALITÀ DELLE CURE E DELL’A SSISTENZA
25
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Keefe e collaboratori25 considerano il catastrofizzare come uno dei predittori del
dolore cronico suggerendo che questa strategia di coping, assieme all’ansietà relazionata
al dolore, contribuisce all’innalzamento della percezione dolorosa.
Per quanto riportato negli studi dei programmi multidisciplinari di gestione del
dolore, i loro risultati dipendevano dalle rispettive risposte cognitive, l’autoefficacia, il
locus of control (luogo del controllo) e i tipi di strategie di coping addottati dagli
individui. Gli interventi basati sul modello bio-psico-sociale del dolore e gli interventi
di tipo cognitivo-comportamentale con i appositi programmi multidisciplinari per la
gestione del dolore si stanno mostrando efficaci nella riduzione del distress.26 Un
aspetto essenziale di questi interventi è la riconcettualizzazione, cioè la rielaborazione
del concetto di dolore che l’operatore cerca di far compiere al paziente, fornendogli un
modello di dolore coerente con il trattamento offerto.27
Diversi studi hanno messo in evidenza che la convinzione (erronea) che un
aumento al livello dell’attività sia potenzialmente dannoso determina associazione della
disabilità al dolore.
Dallo studio di Philips28, in seguito sviluppato da Vlaeyen29 si deduce che i
pazienti con dolore rischiano di imboccare una spirale discendente di evitamento,
disabilità e dolore sempre maggiori. Il modello postula che, quando le sensazione
corporee sono interpretate in modo catastrofico (dolore significa pericolo), la paura
legata al dolore aumenta, seguita da un numero di comportamenti di sicurezza che
http://www.cuoa.it/fc/cuoasanita/scarica/d4coping.pdf
25
Keefe F. J. et al. (2004), Psychological aspects of persistent pain: current state of the science. J Pain.
5(4):195-211.
26
In medicina distress è lo stress suscitato dagli eventi avversi. Il suo antonimo che viene considerato
salutare perché si esibisce nel senso di appagamento, in inglese viene nominato eustress.
27
Walsh D. A., Radcliffe J. C. (2002), Pain Beliefs and Perceived Physical Disability of Patients with
Chronic Low Back Pain, Pain, 97 (1-2):23-31.
28
Philips H. C. et al. (1987), Avoidance behaviour and its role in sustaining chronic pain.
Behav Res Ther; 25(4):273-9.
29
Vlaeyen J. W. et al. (1995), Fear of movement/(re)injury in Chronic Low Back Pain and its Relation to
Behavioral Performance. Pain. 62(3):363-72.
26
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comprendono evitamento e movimenti intesi alla difesa/protezione.30 In altri casi, la
paura associata all’esperienza di dolore porta ad elevare il grado di attenzione
(ipervigilanza) ai segnali di dolore.31
Per catastrofizzare si intende un comportamento esageratamente negativo nei
confronti di dolore, aspettarsi generalmente il peggio da una certa situazione. Gli
interventi che mirano alla riduzione o miglioramento della catastrofizzazione, lavorano
sulle variabili dell’autoefficacia (self-efficacy) e la percezione di controllo sul dolore. Il
concetto di self-efficacy si riferisce alle valutazioni del soggetto in merito alla propria
capacità di far fronte a una data situazione (ad es. riuscire a controllare il proprio
dolore). I livelli più alti di autoefficacia risultano spesso collegati a livelli più bassi di
dolore e di altri sintomi.32 Un altro aspetto della personalità che può influire sulla
percezione e sulla risposta al dolore e il cosiddetto luogo del controllo - locus of
control.33 Si tratta in sostanza di un concetto derivante dalle teorie di apprendimento
sociale. I sistemi di attese strutturati di ciascun individuo che vengono categorizzate in
due tipologie personologiche: a controllo interno e a controllo esterno. I soggetti con un
controllo interno si giovano di informazioni specifiche e preferiscono essere
responsabilizzati in modo da esercitare un’influenza diretta sull’esito dell’operazione,
mentre i soggetti con un controllo esterno preferiscono informazioni generiche e
tendono a percepire gli eventi come dovuti a fattori scarsamente controllabili dalla
volontà della persona, quali il fato o la fortuna. Nel primo caso si tratta di persone con il
sistema di attribuzione dei problemi alle proprie cause, nell’altro vi è presente la
tendenza di attribuire e/o colpevolizzare le cause esterne dalla persona.
30
Vlaeyen J. W., Linton S. J. (2000), Fear-avoidance and its Consequences in Chronic Musculoskeletal
Pain: a State of the Art. Pain. 85(3):317-32.
31
Arntz A., Dreessen L., Merckelback H. (1991), Attention, not Anxiety, Influences Pain. Behav Res
Ther; 29(1):41-50.
32
Keefe F. J. et al. (1997), Pain Coping Strategies that Predict Patients’ and Spouses’ Ratings of
patients’’ Self-efficasy, Pain;73(2):191-9.
33
Rotter J.B., Mulry R. C. (1965), Internal versus external control of reinforcement and decision time. J
Pers Soc Psychol. 2(4):598-604.
Rotter J.B. (1966), Generalized expectancies for internal versus external control of reinforcement.
Psychol Monogr. 80 (1):1-28.
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I primi modelli di dolore vengono appresi nei primi anni di vita, mediante
l’osservazione dell’espressione, del grado e del tipo di attenzione che i familiari
riservano al dolore.34
Nel campo della psicologia comportamentista Fordyce nel 196835 creò la
distinzione tra il dolore rispondente e il dolore operante.
Inoltre è da riconoscere e comprendere il contributo della dimensione culturale:
appartenenza a una certa classe sociale e a una determinata etnia e cultura; i valori e gli
scemi comportamentali di vari contesti culturali con le conseguenti diversità culturali
nell’espressione del dolore.
2.7
Dolore e fattori demografici
Sono stati svolti molti studi su quanto l’età, il sesso o il genere, la razza o l’etnia
siano in grado di influire sulla percezione e sulla risposta al dolore, ma senza giungere a
un grado di sufficiente chiarezza e i risultati di questi studi spesso risultano contrastanti.
Il senso comune e le credenze (la scienza ingenua) a proposito sostengono che
gli anziani avvertono meno il dolore rispetto ai giovani, le donne molto di più degli
uomini che i neri tollerino il dolore meno dei bianchi. Nonostante i risultati offerti dalla
scienza sperimentata e oggettiva siano poco univoci e definitivi in essi non sono state
confermate i pensieri-credenze comuni.
Riguardo l’età i vari studi hanno riscontrato che la differenza tra i giovani ed
anziani sarebbe nella qualità del dolore – nel senso che questi soggetti utilizzano meno
aggettivi per descrivere il loro dolore, ma non nella sua intensità (Gagliese e Melzack,
1997). Questa situazione viene messa in relazione alle perdite neuronali e cambiamenti
degenerativi ovvero i cambiamenti nell’integrità. Inoltre, questa ricerca riferisce che
alcune delle differenze potrebbero essere dovute anche alle scale utilizzate per
l’accertamento per quanto esse possano essere meno semplici e facilmente manovrabili
per questo tipo di utenza.
34
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg.72-76.
35
Fordyce W. E. et al. (1968), An application of behavior modification technique to a problem of chronic
pain. Behav Res Ther. 6(1):105-7; Some implications of learning in problems of chronic pain. J Chronic
Dis. 1968; 21(3):179-90.
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Essi hanno sperimentato anche le differenze legate all’età nell’inibizione
endogena del dolore e sembravano dare la prova all’ipotesi che i meccanismi analgesici
endogeni subissero un decremento funzionale progressivo con l’età.
La letteratura sulla soglia del dolore da pressione indotto sperimentalmente
sostiene che le differenze tra i sessi sono notevoli: le femmine esibiscono una soglia più
bassa rispetto ai maschi.36 Berkley sostiene, invece, che le differenze tra i generi sono
insignificanti e che derivano da particolari condizioni sperimentali e dai diversi
protocolli sperimentali usati.37
D’altro canto, un'altra corrente di pensiero, sembra avere delle prove che gli
estrogeni modifichino la produzione di sostanze che regolano la percezione del dolore
come prostaglandine e ossido nitrico (una sostanza che è implicata nella sensazione del
dolore acuto). Inoltre gli estrogeni certamente regolano il tono vasale e probabilmente
influiscono sul controllo del sistema degli oppioidi endogeni ovvero i controllori delle
sensazioni dolorifiche. Essi concludono che pertanto le donne in età fertile presentano
probabilmente una sensibilità dolorifica che è diversa da quella degli uomini.38
La proposta fatta da Myers39 in questo specifico campo di ricerca e di
considerare la distinzione tra sesso e genere: il termine sesso denota la distinzione
biologica tra maschio e femmina, mentre l’altro termine si riferisce alla mascolinità e la
femminilità appresi. Il ruolo del genere appreso, in fine, in questo studio sperimentale
nel 2001, viene correlato alla tolleranza, ma non alla soglia di dolore: una più alta
mascolinità viene associata alla più alta tolleranza agli stimoli di dolore.
È probabile che i maschi e le femmine facciano l’esperienza del dolore in modo
differenziato, sviluppando diversi stili di coping.40 I maschi hanno dimostrato un effetto
benefico nel tentativo di focalizzare la sensazione che difficilmente veniva riscontrata
come un atteggiamento preferito anche dalle donne.
Tutti gli studi ribadiscono la necessità di ulteriori ricerche.
36
Fillingim R. B. (2000) Sex, gender, and pain: women and men really are different. Curr Rev Pain.
4(1):24-30.
37
Berkley K. J. (1997), Sex differences in pain. Behav Brain Sci. 20(3):371-80; discussion 435-513.
38
L.A. Pini, L. Restuccia Saitta, Diamo parole al dolore, pg.149.
39
Myers C. D. et al. (2001), Sex, gender, and blood pressure: contributions to experimental pain report.
Psychosom Med. 63(4):545-50.
40
Robinson M. E. , Riley J. L., Myers C. D., (2001), Gender role expectations of pain: relationship to sex
differences in pain. J Pain. 2(5):251-7.
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Tra i diversi gruppi etnici o razziali, fino ad ora, le ricerche non hanno trovato
delle significative differenze biologiche. Sembra che la diversità, ove sussiste, sia di
natura culturale, e che il comportamento nei confronti e in risposta al dolore sia appreso
e non innato.
L’etnia dei pazienti può avere un impatto importante sul modo in cui gli
operatori sanitari valutano e trattano il dolore.41
2.8
L’accertamento e la misurazione del dolore
Il dolore è per definizione un sintomo soggettivo e multidimensionale e può
essere misurato solo da chi lo prova. Una misurazione basata esclusivamente sui
comportamenti o sui indici fisiologici non può essere affidabile. Gli strumenti semplici
che ci offre la letteratura sono le diverse scale di valutazione riguardo l’intensità, la
qualità e la durata del dolore:
™ Numerical rating scale (NRS).
™ Visual Analogical Scale (VAS).
™ Verbal rating scale (VRS).
™ McGill Pain Questionnaire (MPQ).
Se ne potrebbe facilmente dedurre che l’accertamento del dolore del paziente
dipenda da quanto egli stesso riesce a comunicare, sia con la parola che con il
comportamento. Nella letteratura medica si avverte che la scala di valutazione va scelta
in base alle preferenze del paziente, alla sua età, alle sue funzioni cognitive e alla
modalità di comunicazione. Inoltre, in essa si esorta a considerare la misurazione del
dolore alla stregua ai parametri vitali: frequenza cardiaca, pressione arteriosa,
temperatura, frequenza respiratoria e diuresi.
41
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Roma. pg. 83-95.
30
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La scala numerica (NRS) è costituita da una linea e una serie di numeri (da 0 a
10, o da 0 a 100) a intervalli costanti, i gradi crescenti di intensità del dolore. Il soggetto
deve indicare il numero che corrisponde all’intensità del dolore che percepisce. In
quanto semplice da applicare questa scala è valida e attendibile per la valutazione del
dolore sia negli adulti sia negli anziani.
La scala analogico visiva (VAS) è costituita da una linea, orizzontale o verticale,
a un’estremità della quale è indicato “nessun dolore” e all’altra “il peggior dolore
possibile.” L’operatore provvede a tradurre in termini numerici la scelta indicata con un
segno trasversale alla linea dal paziente, servendosi di un righello. Per le problematiche
di deterioramento visivo con gli anziani è preferibile l’orientamento della linea verticale
(VAS-V) invece che orizzontale (VAS-H), più utilizzato negli adulti. Questo tipo di
scala è stato usato anche con i bambini di 5 anni di età.42
La scala verbale (VRS) è una scala ordinale, prefissata spesso a 4, 5, 6, 12 e 15
categorie o aggettivi disposti in sequenza crescente (dal meno intenso al più intenso): le
varianti della Verbal Rating Scale contemplano quindi da un minimo di 3 fino a 15
42
Dossier in Fad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Zadig, Milano. pg. 2.
31
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aggettivi. Il soggetto deve indicare l’aggettivo che corrisponde alla sensazione
percepita.
Gli strumenti multidimensionali (doppia VAS e McGill) I precedenti tre tipi
di scala misurano solo l’intensità, pur essendo una dimensione saliente del dolore,
sicché essi trascurano un’infinita varietà di qualità pertinenti al dolore. Descrivere il
dolore esclusivamente in termini di intensità sarebbe come cercare di descrivere una
musica solo in termini di vibrazione sonora: senza considerare il suo organico, la
timbrica, la dinamica, il ritmo, i rapporti tonali e tante altre dimensioni dell’esperienza
uditiva.
Nel tentativo di compensare questo svantaggio la scala VAS è stata usata per
valutare, oltre all’intensità, anche la spiacevolezza, cioè il grado di sgradevolezza,
disagio e di sofferenza che accompagna la percezione del dolore.
La doppia dimensione della VAS:
a)
________________________________________________________________
Nessun dolore
Il peggior dolore che
io possa immaginare
b) ________________________________________________________________
Nessun fastidio
Il peggior fastidio che
io possa immaginare
Il questionario di McGill (McGill Pain Questionnaire, o MPQ), elaborato da
Melzack nel 1975 presso l’Università McGill di Montreal (Canada), è uno strumento
multidimensionale composto da 20 categorie di aggettivi che descrivono la qualità del
dolore e fornisce tre indici di misura:
* Pain Rating Index (PRI) ossia il punteggio del dolore.
* Number Words Choice (NWC) ossia il numero di parole scelte.
* Present Pain Index (PPI) la combinazione numero-parola scelta per indicare l’intensità
del dolore in quel preciso momento.
L’MPQ è stato tradotto in molte lingue, anche in italiano da Majani e Giorni (1984) e
De Benedittis e collaboratori (1988).
32
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Gli aggettivi descrittori del Questionario italiano del dolore
CLASSE : SENSAZIONE
Periodico
Penetrante
Dà indolenzimento
Persistente
Come un pugnale
Sordo
Pulsante
Come un peso
Bruciante
Martellante
Costrittivo
Trafigge
Come un cane che morde
Dilaniante
Mutevole
Diffuso
Rende la parte più sensibile al tatto
Fisso
Vivo
CLASSE 2: EMOZIONE
Debilitante
Mette in agitazione
Snervante
Angosciante
Dà nausea
Fa lamentare
Soffocante
Deprimente
Oppressivo
CLASSE 3: VALUTAZIONE
Noioso
Fastidioso
Indefinbile
Disturbante
Preoccupante
Invalidante
Assillante
Insopportabile
CLASSE 4: MISCELLANEA
Insistente
Acuto
Ostinato
Rode
Esasperante
Torturante
33
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I comportamenti di dolore
Vocalizzazione
gemiti, brontolii, pianto, sospiri, grida
Verbalizzazione
imprecazioni, preghiere, frasi senza senso
Interrogativi
Cosa mi sta succedendo? Perché proprio a me?
Espressioni facciali
smorfie, stringere i denti, serrare le labbra, aggrottare la fronte,
battere in continuazione le palpebre
Azioni del corpo
zoppicare, battersi, strofinarsi, massaggiarsi, proteggersi, muoversi in
continuazione, immobilizzarsi, assumere posizioni rigide o particolari o cambiarle frequentemente
Attività motoria
estremamente lenta
Limitazioni funzionali
doversi sdraiare più volte al giorno e/o per lunghi periodi di tempo;
doversi fermare più volte durante la deambulazione
Relazioni sociali
isolamento
Forma breve del questionario McGill (traduzione italiana)
Nome del paziente _________________
Pulsante
Tira
Data __________________
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
0) __________ 1) __________ 2) __________
3) __________
Lanciante
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Tagliente
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Crampiforme
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Rose
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Scotta/Brucia
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Fa male
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Forte
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Dà indolenzimento
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Strappa/Lacera
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Stancante/Spossante
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Nauseante/Disgustoso
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Pauroso/Spaventoso
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
Punisce/Crudele/Spietato
0) __________ 1) __________ 2) __________ 3) __________
34
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____________________________________________________________________________________
Nessun
Il peggior
dolore
dolore possibile
PPI
0 Nessun dolore
__________
3 Stressante
__________
1 Leggero
__________
4 Orribile
__________
2 Fastidioso
__________
5 Straziante
__________
N.B. i termini descrittori sono stati tradotti liberalmente dall’inglese (S. Minuzzo, Nursing del dolore, p. 109).
Le misure obiettive del dolore Alcune situazioni cliniche richiedono la
valutazione delle misure oggettive fisiologiche e comportamentali del dolore. È
importante considerare che queste possono confermare le misure soggettive, mai
smentirle e che rimangono l’unica modalità possibile per i pazienti non in grado a
comunicare.
I comportamenti stereotipati negli uomini e negli animali possono essere di due
tipi:
Tra le risposte verbali distinguiamo: a) la vocalizzazione: gemiti, brontolii,
pianti, sospiri, grida; b) la verbalizzazione: imprecazioni, preghiere, frasi senza senso.
Le risposte non verbali sono costituite dalle espressioni fisiche di dolore (del
viso o del corpo).43
2.9
Trattamento del dolore
Nella letteratura degli ultimi tempi la terapia antalgica viene sempre vista in due
rami, farmacologia e non, preferibilmente applicati in modo associativo e in relazione ai
compensi dei limiti e degli effetti collaterali prodotti dai farmaci.
43
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, Zadig, Milano. pg. 97-115.
35
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2.9.1
Il trattamento farmacologico
Farmaci
Attività
Farmaci
Inducono una minor produzione di prostaglandine a livello
antinfiammatori
centrale e periferico. Possono essere utilizzati negli
non steroidei
interventi chirurgici di lieve entità o in associazione con gli
oppioidi deboli per interventi di moderata entità. L?utilizzo
dei farmaci antinfiammatori non steroidei deve sempre
tener conto dei limiti alla somministrazione nei soggetti
con pregresse gastropatia, coagulopatia, intolleranza
accertata ai farmaci antinfiammatori non steroidei,
bronchite asmatica, insufficienza renale. I FANS non
dovrebbero essere utilizzati per più di 5 giorni consecutivi
e non oltre il dosaggio consigliato.
Paracetamolo
Inibisce il rilascio delle prostaglandine a livello del
midollo spinale e influisce sui meccanismi serotoninergici
dell’inibizione spinale del dolore. Il suo effetto antalgico è
strettamente dose-dipendente, ma deve essere utilizzato
con massima attenzione nei soggetti con insufficienza
epatica e renale.
Oppioidi
Gli oppioidi gli alcaloidi dell’oppio naturali e sintetici,
mentre gli oppiacei sono gli alcaloidi naturali del oppio.
Agiscono sui recettori specifici presenti sulla membrana
del neurone (µ,κ,δ). Sono utilizzati per dolore di entità
elevata, ma non sono privi di effetti collaterali; i più
comuni sono la nausea e vomito, depressione respiratoria,
sedazione, prurito, allucinazioni, ritenzione urinaria e
ipotensione. Tra gli oppioidi viene usato il tramadolo che
inibisce
la
ricaptazione
della
serotonina
e
della
noradrenalina e si lega ai recettori µ. Le dosi di
somministrazione devono essere ridotte nei soggetti con
insufficienza renale ed epatica. L’uso del tramadolo può
comportare nausea e vomito, tuttavia è possibile ridurre
l’incidenza
di
questi
effetti
collaterali
preferendo
l’infusione continua e somministrando in almeno 30 minuti
il carico iniziale.
Anestetici locali
Bloccano i canali del sodio presenti sui nervi impedendo la
propagazione dello stimolo lungo l’assone, possono
determinare ipotensione, reazioni allergiche e debolezza
muscolare; in caso di sovradosaggio possono favorire
36
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l’insorgenza di reazioni tossiche cardiovascolari o a carico
del SNC.
Clonidina
Svolge un’azione del potenziamento degli oppioidi, oltre a
un’azione anestetica intrinseca. I possibili effetti collaterali
sono rappresentati da ipotensione e bradicardia, ma la loro
manifestazione è rara a bassi dosaggi.44
Spesso, per il trattamento del dolore, viene impostata una terapia con i diversi
tipi di farmaci analgesici (a dosi ridotte):
- gli antinfiammatori agiscono sul dolore somatico del trauma chirurgico e
riducono la reazione infiammatoria;
- gli oppioidi impediscono la trasmissione degli impulsi nocicettivi a livello
spinale e sovraspinale;
- gli anestetici locali impediscono la trasmissione del dolore a livello periferico,
spinale e centrale;
- gli adiuvanti aumentano l’efficacia dell’analgesia e riducono il consumo dei
farmaci e di conseguenza gli effetti collaterali.
Gli effetti negativi del trattamento farmacologico
Alcuni principali effetti collaterali debilitanti nell’uso dei farmaci sarebbero:
™ Nausea e vomito.
™ Stitichezza.
™ Letargia, sedazione e depressione respiratoria.
™ Allucinazioni.
™ Miocolonie e convulsioni.
™ Prurito.
™ Disforia.
™ Ritenzione urinaria.
™ Ipotensione.
™ Parestesie e debolezza.
™ Irritazione gastrointestinale.
44
Dossier in Fad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Zadig, Milano. pg.3-7.
37
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™ Danno epatico e/o renale.
™ Aumento di tempi di coagulazione.
Inoltre, ricorrendo alla terminologia specialistica, si distinguono:
9 “effetto tetto” ovvero la caratteristica del dosaggio massimo dei farmaci;
9 dipendenza fisica insorgenza di sintomi e segni di astinenza quando viene
interrotto bruscamente il trattamento con l’oppioide o se viene somministrato
un’oppioide antagonista (la riduzione della dose avviene quindi gradualmente);
9 dipendenza psicologica comportamento da abuso di farmaci caratterizzato dalla
necessità compulsava di avere ed assumere il farmaco;
9 tolleranza ovvero lo stato in cui, per mantenere l’effetto analgesico, occorre
aumentare la dose del farmaco. È un fenomeno fisiologico che si manifesta di
più con alcuni oppioidi (morfina) rispetto ad altri (metadone) e comporta la
necessità di aumentare la dose degli oppioidi;
9 tossicità può essere causata dai dosaggi diversi a seconda della tolleranza del
paziente e delle sua condizioni cliniche (per es. i pazienti con diminuita
funzionalità renale sono a rischio).
I farmaci adiuvanti nel trattamento del dolore
Si tratta dei farmaci che, pur non essendo propriamente analgesici, vengono
utilizzati assieme agli analgesici tradizionali per il trattamento di particolari sindromi
dolorose. Tra quelli più comunemente usati ci sono: gli anticonvulsivanti, gli
antidepressivi, gli anestetici locali, i corticosteroidi, i neurolettici, gli psicostimolanti,
gli antistaminici, i rilassanti neuromuscolari, i bifosfonati, gli anticolinergici, la
clonidina, antipsicotici, ansiolitici e corticosteroidi.45
45
Dossier in Fad, Dolore cronico, 2007, Zadig, Milano. pg. 9.
38
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2.9.2
Il trattamento non farmacologico
Numerose sono le tecniche non farmacologiche che la letteratura medica
propone per lenire il dolore.
Cognitivo-comportamentali
•
Tecniche fisiche
Educazione, preparazione
ƒ
Applicazione caldo/freddo
all’intervento
ƒ
Massaggi
•
Distrazione/Attenzione selettiva
ƒ
Tocco terapeutico
•
Rilassamento (rilassamento profondo,
ƒ
Riflessologia
training autogeno, bio-feed-back)
ƒ
Agopuntura
•
Immaginazione, visualizzazione
•
Musica
Nonostante lo stimato potere e un largo uso dei farmaci, considerati sempre
come la strategia più efficace per il controllo del dolore fisico, gli effetti negativi del
trattamento farmacologico hanno costretto le ricerche e sempre maggiore accettazione
nei confronti dei trattamenti non farmacologici. Questo genere di trattamenti, in pratica,
non sostituisce gli interventi farmacologici tradizionali ma serve ad coadiuvarli. Da
sottolineare che non si possono escludere del tutto possibili, anche se in rilevante modo
meno presenti e gravi, i loro effetti collaterali.
I trattamenti non farmacologici vengono adoperati con i pazienti che:
- mostrano interesse verso le terapie complementari;
- esprimono ansia e paura (non oltre i limiti fisiologici);
- possono beneficiare di una riduzione della terapia (reazioni allergiche a farmaci
in anamnesi, paura di tossicomania e sim.);
- insufficiente o parziale beneficio dei trattamenti tradizionali.
Possono essere usati da soli come strategia primaria per il controllo del dolore
leggero o breve, mentre presentano un effetto sinergico in aggiunta ai farmaci: sono
usati in modo complementare e non alternativo. Per la loro sempre più grande futura
accettazione, riconoscimento ufficiale e legislativo, la necessaria condizione essenziale
sarebbe la significativa conferma della loro efficacia attraverso le ulteriori ricerche. Il
39
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concetto di salute della medicina ufficiale che è stato messo in discussione negli ultimi
decenni, in quanto in esso non sono contemplati i bisogni e i disagi del soggetto, sembra
trovare una sua nuova concezione nella complementarietà sinergica dei mezzi e delle
tecniche non convenzionalmente dette mediche. Gli “altri” approcci e tecniche sono in
procinto di integrare le procedure convenzionali, colmando parte delle loro lacune,
arrivando dove esse non arrivano e facendosi carico della persona nella sua totalità.
Nelle terapie complementari, secondo Cecchini,46 il protagonista è il soggetto,
mentre il terapista svolge il ruolo di facilitatore. I suoi interventi saranno
necessariamente focalizzati sulla connessine mente-corpo-spirito, recuperando quella
globalità tanto auspicata anche all’interno dell’infermieristica. Il principio che sta alla
base di questo pensiero è che quando il soggetto trova l’armonia e l’equilibrio, in lui si
innesca un processo di autoguarigione. E non si può trascurare il fatto che le tecniche
complementari hanno il vantaggio di non essere invasive né cruente, di non comportare
i pericoli o effetti collaterali debilitanti, di avere un basso costo economico e di ridurre
gli eccessivi costi riducendo il consumo dei farmaci. Inoltre, nel suo libro, Cecchini
aggiunge che la terapia migliore per un paziente è quella che nel suo caso funziona.
Gli
interventi
non
farmacologici
comprendono
tecniche
cognitivo-
comportamentali e le tecniche fisiche.
46
Cecchini S. (2002), Terapie complementari nelle donne operate, Attualità in senologia, 35:17-20.
40
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Tecniche di approccio fisico
Sono quelle che più appartengono alla cultura e alla pratica dell’infermiere e
non.
La tecnica più utilizzata e una delle più semplici in generale di approccio fisico
sarebbe la stimolazione cutanea.
Applicazioni calde e fredde: l’applicazione di calore superficiale incrementa la
soglia di stimolazione dei nervi periferici, producendo l’analgesia prossimale
all’applicazione. Le applicazioni fredde possono aumentare la soglia del dolore, ridurre
l’edema locale e gli spasmi muscolari. L’applicazione di caldo tiepido possono essere
applicate 48 ore dopo l’intervento chirurgico, ma assieme ad altri trattamenti viene usata
nelle tromboflebiti. Per tutti gli altri casi di origine infiammatoria, viene solitamente
preferito il freddo.
Per il sollievo del dolore, rispetto al caldo, nonostante sia più efficace, il freddo è
meno usato autonomamente dai pazienti, che prediligono il calore che porta in sé una
connotazione di rilassamento e di comfort che il freddo non ha.
Massaggi: ci sono degli studi che suggeriscono l’uso del massaggio nel
trattamento del dolore. In Cina il massaggio era praticato 3000 a.C. Greci e Romani lo
usavano per la preparazione fisica dei gladiatori e soldati. Nel periodo medievale per i
diversi atteggiamenti nel confronto del corpo dettati dalla chiesa in occidente il
massaggio fu abbandonato.
Stimolazione elettrica transcutanea (TENS-transcutaneous electrical nerve
stimulation) si è dimostrata efficace nella riduzione della percezione del dolore e del
consumo di farmaci dopo vari interventi. È una tecnica che si avvale di
un’apparecchiatura che trasmette impulsi elettrici, a basso voltaggio, per mezzo di
elettrodi applicati sulla cute.
41
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Tocco terapeutico: sono le abilità sviluppate con quali il terapeuta con le sue
mani dirige o regola consapevolmente l’energia umana.47 Si tratta di un’antica pratica
su quale, fino d’oggi, sono stati fatti pochi e discordanti studi.
Riflessologia: l’uso terapeutico della pressione alle mani e ai piedi per il
trattamento del dolore e di altre problematiche esisteva in Cina e India già 5000 anni fa.
Era conosciuto in Egitto, come ci dimostrano alcuni dipinti su una parete di una tomba
risalente a 4300 anni fa ed era usato anche dai nativi americani. Più recentemente, la
riflessologia viene studiata ed applicata, all’inizio dell’900, da un otoiatra William
Fitzgerald. Anche in questo caso le ricerche eseguite sono insufficienti e incomplete, ma
sono state ippotizate diverse teorie per quanto riguarda il meccanismo d’azione.
Agopuntura: una revisione sistematica di 16 studi controllati e randomizzati ha
concluso che l’agopuntura è probabilmente efficace nel dolore dopo interventi di
chirurgia dentale. Gli altri studi hanno prodotto dei risultati discordanti.48
Tecniche cognitivo-comportamentali
Approcci psicologici al controllo del dolore si sono sviluppati solo negli ultimi
decenni. Le caratteristiche che accomunano le tecniche cognitivo-comportamentali
riguardano il presupposto che le emozioni e i comportamenti siano fortemente
influenzati dalle cognizioni.
Siccome è difficile che un intervento modifichi le “cognizioni” senza che questo
di conseguenza implichi una modifica del comportamento, la distinzione tra gli
interventi cognitivi, comportamentali e cognitivo-comportamentali è stata considerata
arbitraria.
Educazione pre-intervento: sono state studiate diverse modalità educative:
opuscoli informativi, audiovisivi e colloqui strutturati. L’educazione sanitaria prima del
47
Krieger D. (1991), Il contatto terapeutico, Edizioni Mediterranee, Roma.
48
Dossier in Fad, Dolore postoperatorio nell’adulto, 2006, Zadig, Milano. pg. 7,8.
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ricovero si è mostrata efficace in quanto riduce il tempo necessario ad eseguire
specifiche abilità.
Le informazioni possono essere procedurali (riguarda gli aspetti e le fasi
dell’evento) e sensoriali (riguardo le sensazioni che il soggetto si deve aspettare di
provare).
Distrazione: probabilmente esiste dal primo “ahi” umano, ma solo di recente è
considerato come oggetto di studio. Si basa sulla logica che se i pazienti sono
concentrati su qualcos’altro non possono prestare troppa attenzione al dolore (contare
alla rovescia, ripetere le parole di una canzone ecc). Le modalità della distrazione sono
utili sul dolore acuto e breve come iniezione, prelievo, la medicazione di una ferita ecc.
ma non sono molto efficaci per il dolore cronico e nemmeno per il dolore acuto più
prolungato. Nell’ ultimo caso sembra essere più efficace l’attenzione selettiva. Alcuni
studi hanno verificato una riduzione dell’esperienza dolorosa dopo interventi di
chirurgia addominale, isterectomia e bypass coronarico ed è stata rilevata una
significativa riduzione dei farmaci nel postoperatorio.
Rilassamento: in letteratura vi sono presenti diversi metodi utilizzabili per
ottenere il rilassamento.
La respirazione profonda, anche se sostituisce la prima fase di tutte le tecniche
di rilassamento, può essere usata come tecnica di rilassamento a se stante. Per essa serve
pochissimo addestramento e si apprende velocemente. Nell’ultimo decennio è stata
elaborata la teoria vascolare dell’efferenza emotiva, secondo la quale il ritmo e la
modalità della respirazione assicurano il raffreddamento termico della regione talamica.
Gli stati emotivi sono influenzati in modo rilevante dai cambiamenti termici
dell’ipotalamo. Innalzamento termico ipotalamico suscita le reazioni emotive negative,
mentre un loro abbassamento è connesso con le emozioni positive.49
Nel “rilassamento muscolare progressivo”, teoria di Edmund Jacobson, dalla
prima metà del Novecento, il rilassamento consiste nel produrre uno stato di calma
emozionale. Il neurologo americano attraverso registrazioni elettromiografiche dimostrò
49
Anolli L. (2002), Le emozioni, UNICOPLI, Milano.
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come le emozioni e ogni processo mentale siano associati a manifestazioni
neuromuscolari, misurabili in termini di contrazioni dei muscoli stessi. Questa tecnica
prevede tre fasi: tensione del muscolo, localizzazione mentale della tensione,
distensione.
Un’altra modalità di tecniche di rilassamento chiamata rilassamento frazionato
fu escogitata da un neurofisiologo tedesco di nome Oskar Vogt. Da essa Johannes
Schultz, neurologo e psichiatra tedesco, elaborò il training autogeno (autorilassamento
concentrativo).
Tra le diverse strategie di rilassamento che evocano le risposte fisiologiche
analoghe alla riduzione soggettiva del dolore, si trovano anche l’ipnosi e il biofeedback.
Il biofeedback si basa sull’apprendimento volontario del controllo delle funzioni
organiche. Il suo concetto base è l’integrazione tra mente e corpo. A questo scopo
vengono usati degli specifici dispositivi elettronici per rilevare e amplificare le risposte
biologiche che poi vengono elaborate dalla persona. Sulla base di questa informazione
“esterna” (stimoli visivi e uditivi) il soggetto apprende a controllare meglio le proprie
risposte fisiologiche. Si è dimostrato utile per ridurre l’ipertensione in maniera
significativa,50 anche se per adesso viene utilizzata esclusivamente come supporto ad
altre forme di terapia.
Immaginazione, visualizzazione: le due parole stanno a significare le due
tecniche distinte e con le proprie connotazioni significative implicite. L’immaginazione
è vista come la rappresentazione mentale di realtà e fantasia, riferendosi più a
esperienze sensoriali e percettive. Nel caso si trattasse della pura rivisitazione delle
immagini, luoghi e le situazioni di cui si è già fatto l’esperienza si potrebbe parlare della
visualizzazione. In pratica i due sinonimi sostanzialmente vengono utilizzati in modo
integrato.
Le immagini evocano un’attività neurale associata alla memoria, alla percezione
e al pensiero che a sua volta è in grado di stimolare delle risposte fisiologiche e
comportamentali. In questo modo esse rappresentano un ponte tra la mente e il corpo. Il
50
Yucha (2001), The effect of biofeedback in hypertension. Appl Nurs Res. 14(1):29-35.
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principio di base, anche in questo caso, lavora mediante un’azione distraente oppur
l’attenzione selettiva che impedisce allo stimolo nocivo di “passare” (trasmettere i
segnali dolorosi a livello centrale come nella teoria del cancello).
Gli studi con gli esiti significativi dimostrano l’efficacia della visualizzazione
guidata nel ridurre l’ansia e il dolore postoperatorio.51
Musica: da alcuni studi emerge che la musica produce numerosi effetti:
distrazione, rilassamento, riduzione dell’ansia e dell’angoscia, diminuzione della
percezione del dolore, stimolazione della memoria e apertura alla comunicazione.
Secondo la teoria di Beck l’azione della musica si esplica attraverso tre tipi di
stimoli:
o Affettivo: promuove il rilassamento e diminuisce la tensione e l’ansia.
o Cognitivo: provvede a distrarre dalla sensazione dolorosa, facilita il processo di
creatività e l’immaginazione, aiuta a sviluppare il controllo di sé a ad aprire la
comunicazione con i familiari e con i curanti.
o Sensoriale: agisce sulla componente sensitiva del dolore attraverso una
stimolazione/inibizione delle fibre sensitive.
A questi tre meccanismi è delegata la responsabilità della modulazione endogena
del dolore.52
51
Kresevic D., Antall G. F. (2004), The use of guided imagery to manage pain in elderly orthopaedic
population, Orthop Nurs. 23(5):335-40.
52
S. Minuzzo, Nursing del dolore, Carocci Faber, pg. 171-196.
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3 Epidemiologia
“Ogni giorno nel mondo si eseguono migliaia di interventi chirurgici; sfortunatamente
le indagini continuano a indicare l’insuccesso della terapia antalgica post operatoria. I fattori
che indicano maggiormente sono: l’insufficiente conoscenza del problema da parte degli
operatori sanitari, la mancanza di presidi e farmaci idonei e la mancata personalizzazione dei
trattamenti.”53
Credo che questa citazione, ufficialmente riconosciuta ed uno degli ultimi
aggiornamenti infermieristici in Italia sul tema del dolore, sia sufficiente a mettere in
risalto la situazione odierna e il problema da essa emerso, oramai troppo evidente per
essere ignorato. In essa vengono proposte delle strategie non farmacologiche per il
controllo e la personalizzazione della terapia del dolore, complementari ai trattamenti
tradizionalmente utilizzati, compreso la musicoterapia.
Uno studio finlandese ha stabilito che il 40% delle visite al medico di famiglia
(su 5000 visite) è dovuto al dolore. Un quinto dei pazienti dichiarava di provare il
dolore da oltre ai 6 mesi.54 Da aggiungere che le indagini epidemiologiche, almeno in
Europa, risultano troppo scarse per poter essere riferite ad una situazione più generale.
Anche se poche persone muoiono a causa del dolore, ogni giorno, tante persone
muoiono nel dolore e parecchie persone continuano vivere con il dolore.
D’altro canto, la musica è onnipresente in tutte le culture umane ed è ascoltata
dalle persone di ogni età, razza e in tutti gli ambienti etnici, paragonabile con la ubiquità
del dolore (tenuto conto, naturalmente, dell’antiteticità di queste due esperienze).
Una ricerca semplice effettuata da me in questo periodo sul motore di ricerca
Google, per avere l’idea e il confronto della popolarità di alcune parole, usando i termini
in inglese, in o,o7 s mi ha procurato l’elenco di 1 miliardo e 200 milioni di siti internet
che contengono la parola musica confronto a “soli” 442 milioni (un po’ di più di un
terzo in o,o4 s), che contengono la parola sesso. Credo che questo risultato semplicistico
e generalizzante sia sufficiente a dimostrare, almeno, la misura dell’importanza che la
53
Dossier in Fad infermieristico, Dolore post operatorio nell’adulto (2006), Zadig, Milano.
54
Mantyselka P. et al. Pain as a reason to visit a doctor: a study in Finnish primary health care. Pain
2001; 89:279-91.
46
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musica assume nel mondo, la pervasività delle sue sembianze e l’importanza che essa
assume nella civiltà umana.
4 Esperienza lavorativa = Project work
La musica mi trasporta in un mondo in cui dolore non cessa
d’esistere, ma si allarga, si rasserena, diventa insieme più calmo e più
profondo, come un torrente che si trasformi in lago…
4.1 Introduzione
Il seguente progetto nacque durante il mio iter di infermiera professionale
ospedaliera. Esso rispecchia esattamente un percorso dello sviluppo e l’applicazione di
qualcosa di ancora insolito, quasi “trasgressivo” per un ambiente del genere.
In quanto solo i fattori incombenti passeggeri e in parte già stati previsti e
prevedibili, intendo evitare qualsiasi racconto sulle ostilità incontrate dal personale,
dagli altri dipendenti della stessa clinica, durante questa specie di avventura che, a mio
parere, ha apportato il bagaglio utile allo sviluppo e per le nuove visioni della
professionalità stessa, concentrando la mia attenzione alle risposte finali ed agli obiettivi
più o meno raggiunti e/o attesi. Gli esiti dei miei incontri musico-tecnico infermieristici
ovvero l’intervento del prelievo di sangue accompagnato da un canto, che preferisco
chiamare l’intervento del canto-prelievo ematico, a essere sincera, non erano previsibili
e lungimiranti. Essi principalmente nascevano dalla soddisfazione dei bisogni inerenti al
superamento, alla risoluzione delle difficoltà riscontrate e vissute al momento con il
curante. I quesiti erano sempre più numerosi e, man mano che si stavano aprendo di
fronte a me diverse soluzioni benefiche, le risposte teoriche dei differenti campi di
ricerca le traevo di conseguenza e a posteriori.
La reazione al dolore che inevitabilmente viene percepito da qualsiasi individuo
(salvo i portatori della rara mutazione in un gene, chiamato SCN9A, non in grado di
cogliere le sensazioni dolorose le quali io, fino ad ora, non ho incontrato nella prassi) è
assolutamente soggettiva; da aggiungere che la mappa venosa personale è in ciascuno
diversamente disposta, condizionata anche dalle condizioni fisiche e dalle patologie
47
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precedenti e/o in corso. La percezione, la tolleranza, la soglia di dolore e la conseguente
risposta clinica negli stessi individui e diversa dall’una all’altra e che parzialmente
varia, di volta in volta, nella stessa persona. Da queste ultime considerazioni si può
evincere che la gestione e la pratica di qualsiasi operatore sanitario nello stretto contatto
con gli individui (che a sua volta è sottoposto alla periodicità delle giornate più o meno
predisposte alla buona prontezza d’animo di offrire una risposta adeguata), variano e
vengono influenzate dagli “umori correlati e collettivi” della giornata. Inoltre che
tuttavia, queste, non potrebbero in nessun modo, essere considerate tra le attività
semplici e poco impegnative.
Per rendermi conto che la mia attività stava prendendo “una nuova piega”, che
gradatamente stavo sempre di più aggiungendo delle “altre” conoscenze apprese nella
vita: la formazione di una cantante lirica e la specializzazione, ancora in corso, in
musico terapia, ci sono voluti ben tre mesi. Da allora, tutti gli approfondimenti teorici
della scienza medica, quindi le metodologie, le tecniche e le procedure musicoterapiche
e persino le competenze e le esperienze musicali con le loro forme, tecniche, teorie; li
ho cominciati a vivere in un fascio conglobato, con un senso unico che le accomuna. In
seguito all’ideazione della confluenza medico-musicale, la mia esperienza clinica,
rinforzata dalla nuova vigoria, instancabilmente continua a mirare allo stesso scopo
ippocratico di prendersi cura del prossimo senza nuocere.
La mia idea, al principio, era che il mondo degli musicoterapeuti dovrebbe stare
al posto suo senza molti contatti e tanto meno provare a mischiarsi con le competenze
tecniche della scienza infermieristica. La gerarchia piramidale è ben consona al pensiero
clinico, dove i musicoterapeuti sembrano essere arrivati tra gli ultimi, essi non vengono
presi ancora come una parte dell’intera immagine del complesso che rappresenterebbe
la cura medica, e questo, soprattutto da parte di chi sta più in alto nel sistema
gerarchico.
Nei cantanti, invece, trovando il loro posto sul palco, tra i begli abiti, i gioielli, le
maschere e i costumi, a mio parere, la loro espressione del dolore e della sofferenza
sembrava essere esclusivamente dispiegata sul palcoscenico ovvero per un pubblico “in
vigore fisico”, attraverso le forme musicali come lo è per es. il melodramma italiano,
perciò, in ambito clinico, in veste professionale, un cantante sarebbe ancor meno
pensabile. Adesso mi rendo conto che un’ idea così lineare, categorizzante e
riduzionistica, confronto la completezza circolare della multidimensionalità delle nuove
prospettive mediche, non era altro che un retaggio del ben radicato pensiero cartesiano.
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Nelle circostanze di necessità, dal momento che la buona tecnica e le procedure
abituali mi ponevano dei limiti, cominciai a frammischiare le cognizioni e nella
disperata confusione dell’incombenza di rendere al meglio, di portare avanti il compito
che mi era assegnato, rispettando contemporaneamente i principi e le forze interne che
mi caratterizzano come persona, fondendo tutte le conoscenze sinora apprese, cominciai
a cantare alle persone.
Infine, ad un estraneo potrà sembrare più complicato cantare e prelevare il
sangue del tradizionale intervento tecnico unifattoriale, ma a tale obiezione prontamente
risponderei che, come per gli scopi più totalizzanti verso la persona, ossia sul versante
olistico dell’approccio medico, questa sembra essere una delle soluzioni ottimali.
In questa sede sto per descrivere gli effetti musicali dell’ impatto prodotto
nell’individuo dal canto-prelievo di sangue e per gli altri che si trovarono nei suoi
sonori paraggi, nel corso di 8 mesi della sua applicazione: di cui, sei mesi di lavoro
clinico con la qualifica di infermiera prelievista, dall’ottobre del 2006 sino ad aprile del
2007, più i due mesi (aprile e maggio) della, in pratica stessa, attività considerata il
tirocinio di formazione in musicoterapia.
4.2
Le prospettive aperte e gli obiettivi sostenibili
Gli obiettivi che dall’esperienza dopo poco tempo si stavano individuando,
potrebbero essere esplicati attraverso un semplice schema mentale: secondo la loro
generalità e in relazione alla loro specificità applicativa.
9
Obiettivi generali:
1) Eseguire ed applicare qualsiasi tecnica infermieristica, e nello specifico quella
del prelievo di sangue, con l’apporto musicale in persone di ogni età che presentino
evidenti traumi e difficoltà ad affrontare l’intervento, prendendo in considerazione la
loro personale esperienza del dolore ed ansia che da esso scaturisce.
2) Evitare che tale trauma venga sviluppato negli individui all’esordio delle loro
esperienze cliniche.
49
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3) Umanizzazione e personalizzazione del trattamento stesso.
9
Obiettivi specifici:
1) Uso di musica come palliativo nel trattamento non farmacologico del dolore
acuto.
2) Apporto musicale come uno stimolo distrattore antalgico nella gestione
infermieristica del prelievo di sangue.
3) Fare in modo che non vengano sviluppati traumi dalla stimolazione dolorosa
attraverso l’incisione cutanea dell’ago e/o evitare il peggioramento dello stato di salute
psicofisica.
4) Energizzazione, innalzamento e ispirazione di tutti i livelli del benessere
dell’individio.
5) Favorire il mantenimento nei range i valori dei parametri che nei casi di
svenimento solitamente risultano compromessi: la frequenza cardiaca (FC), la frequenza
respiratoria (FR), la pressione arteriosa (PA), nonché gli aspetti del sistema nevoso
periferico (autonomo: simpatico) come il colorito cutaneo, la sudorazione e cosi via.
6) Favorire una situazione non traumatica nel bambino cercando di sviluppare un
buon sistema di coping indicandogli contemporaneamente diverse strategie cognitive e
comportamentali da mettere in atto per fronteggiare una situazione di stress.
7) Favorire il miglioramento delle strategie di coping già insiti e/o sviluppati
nella persona.
8) Dove le condizioni lo rendano attuabile, influire sul paziente con la musica in
modo indiretto attraverso gli effetti nei comportamenti e le attitudini del caregiver.55
9) Superare e attenuare i livelli d’ansia prodotti nel disagio che spesso scaturisce
dal silenzio: l’effetto di modificazione nella percezione di spazio e di tempo, come una
delle caratteristiche musicali.
55
Caregiver, termine inglese traducibile con “chi si prende cura” di un malato, sia esso un familiare, un
amico, un operatore, una badante o un volontario.
50
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10) Favorire la vasodilatazione venosa e la distensione dei muscoli, il
rilassamento della persona che come feedback determina un effetto di maggior
agiatezza nell’infermiere.
11) Interferire e stimolare la modalità di attenuazione della percezione algica
nella terza e quarta fase nel circuito della nocicezione.
12) Facilitare l’esecuzione tecnica e/o l’applicazione terapica, disponendo
l’operatore sanitario nelle condizioni favorevoli alla più grande soddisfazione personale
della propria riuscita e il benessere psicofisico che da esso può conseguire.
Rassegna della letteratura scientifica (alcune delle ricerche
4.3
scientifiche svolte e gli studi randomizzati).56
L’uso della medicina alternativa e complementare (CAM) è cresciuto nell’ultima
decade. Un recente studio su più di 31 000 adulti ha stabilito che 36% di loro
riportavano l’uso di alcune delle terapie CAM (complementary and alternative
medicine) negli ultimi 12 mesi, e da quando la preghiera è stata aggiunta come la
modalità; questo numero è stato alzato al 62%.57 Tra esse, assieme all’uso della musica,
si possono trovare gli studi e le tecniche di rilassamento, il massaggio, Stress balls,
l’ipnosi, la Tens, l’agopuntura, l’aromaterapia ecc.
Tendendo ad essere orientata attorno a dei problemi clinici e patologici molto
specifici, per il campo della Musica in Medicina si potrebbe asserire che sia meno
dispersivo di quello della musicoterapia. Dall’esordio del nuovo millennio in poi,
l’applicazione della musica in campo medico sta diventando sempre più precisa e
definita e nel Web vi si possano trovare numerosissimi PDF degli studi e degli articoli
scientifici pubblicati delle ricerche svolte. Particolare attenzione viene posta all’ambito
della chirurgia (pre, intra e post-operativa), indi, andando verso più specifico, la
gestione, gli interventi, il trattamento e il supporto dei problemi in: oncologia, pediatria,
56
Vedi elenco di riferimenti delle ricerche scientifiche ed alcuni degli articoli pubblicati presenti in
letteratura.
57
Barnes, Powell-Griner, McFann&Nahin (2002), Complementary and alternative medicine use among
adults: United States.
51
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cardiologia, psichiatria e psicoterapia, neurologia, stomatologia; con il loro ampio
ventaglio delle rispettive patologie cliniche possibili da includere e trattare nella ricerca.
Ci sono diversi modi attraverso i quali la musica si assume il compito di
modulare le risposte fisiologiche. Può agire come uno stimolo non verbale che potrebbe
colpire la corteccia uditiva e in seguito essere ricollegata alle più profonde strutture
influendo le connessioni neuronali emotive oltre al sistema nervoso autonomo.
La musica è uno stimolo singolare in grado di tranquillizzare ma anche attivare
in modo benefico con conseguenze positive per l’interazione futura.58
Essa si è stata dimostrata un efficace ansiolitico per coloro che venivano
sottoposti a indagini diagnostiche particolarmente stressanti. Altre ricerche, invece,
sottolineavano l’efficacia musicale nel promuovere il rilassamento, indicato dalla
riduzione della frequenza cardiaca e respiratoria oppure, in altri casi, un miglioramento
dello stato d’animo in pazienti in Unità di cure intensive che si sottoponevano
all’ascolto delle cassette di musica da loro stessi selezionata. L’effetto rilassante della
musica è stato altresì usato con successo per trattare l’insonnia.59
Ralph Spintge, il direttore esecutivo della Società Internazionale della Musica in
Medicina con sede in Germania, ha studiato gli effetti della musica su incirca 97.000
pazienti prima, durante e dopo intervento chirurgico. Il 97% di loro ha riportato che la
musica li aiuta nel rilassarsi durante il ricovero e molti hanno riferito di aver sentito
meno bisogno dell’anestesia. “La musica dolce, tonale è particolarmente efficace.
L’ascolto della lenta musica barocca o della musica classica diversi giorni prima
dell’intervento ed ascoltarla di nuovo nella sala intensiva riduce il loro disorientamento
postoperativo”.
Oltre a ciò, la musica da sola, in generale, possiede la positiva influenza sul
ritmo e il battito della mente e del corpo. E questo potrebbe avere delle attinenze
primitive, considerando che il battito del feto deriva da quello del cuore materno, un
intima relazione che noi possediamo con il ritmo e il suono dell’umano battito cardiaco.
58
Standley J.M., Hanser S. B. (1995), Music therapy research and applications in pediatric oncology
treatment. J Pediatr Oncol Nurs. 1995 Jan;12(1):3-8; discussion 9-10.
59
Fletcher D.J., (1986), Coping with insomnia. Helping patients manage sleeplessness without drugs.
Postgrad Med. 1986 Feb 1;79(2):265-74.
52
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L’ascolto della musica scelta dal paziente, in aggiunta alla terapia antiemetica, si
è dimostrato efficace per ridurre la nausea e il vomito derivanti dal trattamento
chemioterapico.60
Sembra infatti che la musica, o almeno una parte di essa, abbia la capacità di
stimolare la produzione e la circolazione di endorfine, in pratica le morfine naturali che
il nostro organismo sviluppa per difenderci dal dolore.
In seguito riporterei le discussioni finali di alcune ricerche disposte per ambito di
cura tra i pazienti, in seguito, randomizzati:
- gli interventi ortopedici (al ginocchio e la proteisazzione dell’anca - T. Pellino
ed al., Orthopedic Nursing, 2005): questo studio ha dimostrato la significante
correlazione tra l’intensità del dolore post-operatorio, la quantità degli oppioidi assunti e
l’ansietà nel gruppo che aveva scelto di utilizzare il kit delle strategie non
farmacologiche confronto al gruppo di controllo che non l’aveva assunto. Nelle
conclusioni tratte, i ricercatori ribadiscono che nel gruppo che in aggiunta al trattamento
era fornito dal kit non farmacologico è stato riportato l’uso parsimonioso degli oppioidi
durante il primo giorno, la significata riduzione nel uso degli analgesici nel corso del
secondo giorno postoperativo e la tendenza alla minore ansietà rispetto al gruppo di
controllo. Non è stata valutata significante la differenza statistica nell’intensità del
dolore, tuttavia, in ultimo, questo studio conclude con la domanda (visto che il gruppo
provvisto di un kit non farmacologico ne aveva assunto meno) se l’intensità del dolore
sarebbe stata pressa poco simile anche se i pazienti di tutti e due gruppi avessero
assunto la stessa quantità di oppioidi.
- la chirurgia laparoscopica ginecologica (Ikonomidou E. e col., 2005): nello
studio è stata esaminata l’ipotesi che l’ascolto pre e postoperativo musicale avrebbe
influenzato l’esperienza del dolore nelle pazienti, la sensazione di nausea e di benessere,
e che avrebbe avuto l’impatto sui parametri vitali. In base ai risultati, l’intervento di
ascolto del cd con le musiche suonate dal flauto di pan, ha procurato altamente
significativa riduzione dei valori della frequenza respiratoria nel periodo preoperativo
come la diminuzione del consumo postoperativo degli oppioidi (sparing effect).
60
Ezzone S. et al, (1998), Music as an adjunct to antiemetic therapy. Oncol Nurs Forum. 25(9):1551-6.
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- la cute (Khalfa S. e col. 2001): misurando l’attività elettrodermica sono stati
resi accessibili gli indici autonomici, come la risposta della conducibilità della pelle
(SCR, skin conductance response) agli eventi relazionati alle emozioni indotte con la
musica. Lo studio ha misurato i livelli della tonicità dell’attività elettrodermica
attraverso lunghe durate degli ascolti musicali (30s-6min) ed essa risultava essere più
alta nelle melodie poste per rappresentare la felicità e la paura rispetto alle altre due
categorie emotive prese in esame, la tristezza e la tranquillità. Questo studio non è
riuscito a dimostrare nessuna significativa differenza nella modalità di risposta tra le
copie di 4 categorie emotive prese in considerazione (tra la felicità e la paura ad es.).
- operazione dell’ernia (Nilsson U., 2005) con una prova randomizzata i pazienti
sottoposti a questo tipo di intervento sono stati assegnati a tre gruppi diversi: musica
rilassante intraoperativa, m. rilassante postoperativa (per un ora di rilassante musica
New Age in tutti e due gruppi sperimentali) e il silenzio (gruppo di controllo). Il livello
di stress veniva stabilito misurando il livello di cortisolo nella plasma e i livelli del
glucosio nel sangue. In più, è stata valutata la risposta immunologica attraverso lo
studio dei livelli dell’immunoglobulina A (IgA è l’anticorpo salivare che ci protegge
dalle tossine e i batteri nocivi ed è un importante marcatore della migliorata resistenza
umana alle malattie).
Le conclusioni tratte da questo studio, per l’importante riduzione sierica del
livello del cortisolo rispetto al gruppo di controllo, hanno riportato l’efficacia della
musica nel periodo intra e postoperativo nel ridurre: il dolore, il consumo della morfina
e la risposta stressata all’intervento. Gli altri due parametri (IgA e glucosio) non hanno
dato dei risultati che potrebbero essere considerati una dimostrazione dell’influenza
della musica e rimangono ancora solo dei termini di speculazione.
4.4
Metodologia e strumenti
Durante questo percorso esperienziale nell’integrazione musicale, avvenuta
spontaneamente, alle tecniche e ai tradizionali comportamenti attinenti al lavoro
dell’infermiere, diverse volte mi sono posta la seguente domanda: se il mio operato
potrebbe essere considerato dell’ambito della Musicoterapia oppure della Musica in
Medicina e quale sarebbe la misura o il criterio che porterebbe alla loro migliore
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demarcazione nel senso di una loro più marcata differenziazione o verso una loro più
perfetta integrità e la correlatività disciplinare.
In quanto, la mia concentrazione e gli sforzi sono posti alla energizzazione ed
ispirazione di tutti i livelli del benessere personale, ma dove la musica funge da stimolo
per una determinata funzione (tecnica co-antalgica ed ansiolitica eterodossa) e
costituisce il modello formale al cui interno questa funzione si articola; alla luce di
questa considerazione, si potrebbe costatare che il mio approccio musicale tecnico
complementare agli interventi infermieristici appartenga più alla sfera della musica in
medicina.
Nell’applicabilità pratica che si è potuta realizzare in questo periodo del
percorso, le condizioni relative ai tempi di gestione, in misura dell’efficacia e la sempre
maggiora tendenza ospedaliera alla riduzione del numero del personale sanitario con il
rischio di grave compromissione dell’aspetto assistenziale clinico del paziente; sarebbe
inimmaginabile e dispersivo, e in modo non meno professionale svolgere una ricerca
metodologica approfondita che porterebbe allo sviluppo e/o applicazione di un vero e
proprio modello musico-terapico. I tempi organizzativi nel contatto con i curati
risultano troppo risicati e ridotti all’essenziale perché nel loro concepimento non vi è
ancora una previsione dell’attuazione organizzativa che si avvierebbe in direzione alla
realizzazione degli orientamenti d’approccio olistico verso la persona.
Tuttavia, ho avuto l’opportunità di assistere di persona al realizzarsi e al
tratteggiarsi dei preliminari alla nascita metodologica,
in forma di procedure, di
variazioni e tecniche che sembrano essersi concretizzate in alcune forme, strategie e i
parametri precisi del mio operato.
Inizialmente, il canto veniva adoperato, nelle situazioni di problematiche di
stress, scontrate nei meccanismi di preoccupazione manifestati nelle condizioni
ansiogene come lo è l’intervento di prelievo ematico: con gli evidenti segni di disagio
psicologico nei confronti di una situazione di potenziale “pericolo” verso la persona;
ovvero come una specie di ansiolitico non farmacologico.
La paura dell’ago e l’istintiva reazione umana nel rifiutare il dolore acuto, per
quanto esso ad altri potrebbe risultare qualcosa di piccolo ed irrilevante, in alcuni
soggetti viene portata alle estreme tensioni e problematiche psicologiche fino a produrre
degli evidenti segni destabilizzatori e debilitanti alla salute psico-fisica, oggettivamente
identificabili nell’eccedere ai range dei parametri vitali (tachicardia oppure calo
pressorio) oltre agli evidenti segni cutanei neurovegetativi (sudorazione, cambiamenti di
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colorito) e nel comportamento manifestato o verbalizzato. Lo stress del dolore, per
quanto viene espresso in letteratura sul questo argomento, può causare la ipertensione,
tachicardia e potrebbe contribuire allo sviluppo dell’ischemia del miocardio. I suoi
effetti negativi, oltre nel sistema cardiovascolare, si manifestano sulla funzionalità
polmonare, gastrointestinale ed endocrino-metabolica, nonché sulla sfera psicosociale.
La paura, per di più, abbassa la soglia di dolore e ne aumenta la percezione.
La cute è un tessuto molto innervato e alcuni stimoli esterni, avvertiti come
pericolosi dall’organismo, devono produrre una reazione immediata di fuga: la velocità
di percezione e quindi essenziale, al fine di proteggere l’individuo dai possibili danni.
Il solito stratagemma tecnico infermieristico, per adeguarsi e stare nei tempi
ottimali alla velocità della percezione neurofisiologica in termini della sua attenuazione
nella trasduzione (la prima fase della nocicezione) e la susseguente sua trasmissione
dell’impulso elettrico lungo le vie sensitivi ascendenti fino all’encefalo, consiglia di
effettuare qualsiasi puntura in tempi molto rapidi. Il suggerimento, nonostante la sua
provata efficacia, in molti casi (e dipende anche dai livelli di concentrazione e le
condizioni psicofisiche dell’operatore nelle diverse giornate), non è realizzabile e
certamente non sufficiente ad oltrepassare il problema del disagio che solo il pensiero
ad un intervento invasivo all’integrità naturale corporea della persona può suscitare,
oltre alle difficoltà di trovare un accesso venoso che potrebbe esserci.
La presa in considerazione di altri due livelli, la valenza affettivo-motivazionale
e cognitivo-comportamentale che vengono aggiunte, per reagire con altre modalità di
intervento, si è dimostrata realmente necessaria, a rigore di logica e di conseguenza. Da
prima intuitivamente ed in seguito anche coscientemente includendoli nel mio piano e
l’organizzazione mentale di questi propositi complementari allo svolgimento della
procedura del prelievo stesso ho cominciato ad aggiungere le tecniche, fino adesso,
“estranee” ed “altre” al piano di cura medica: il canto, le proposte di elementi distrattori
verbali, la prossemica e le discipline e/o atteggiamenti affini. In quanto desumibile, gli
elementi aggiunti, diventano dei complementi o dei captatori dell’attenzione nella
direzione di una percezione e visione più selettiva e mirata. Il silenzio, siccome,
direttamente relazionato alla percezione psicologica del tempo e potenziale
fiancheggiatore degli alti livelli percettivi somatici individuali, viene trattato con le
tendenze alla soppressione. Da subito si cerca di influenzare, interagire con, le strategie
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di coping già sviluppate nella persona e cercando di coinvolgerla, accompagnarla e
indurla a fronteggiare lo stress (le strategie più attive) verso i criteri ritenuti ottimali.
Dopo l’individuazione del dolore come la causa scatenante di una molteplicità di
effetti, gli obiettivi che si stavano aprendo e definendo di fronte a me stavano
moltiplicandosi ed improvvisamente, il pensiero sul fenomeno complesso come è il
dolore suscitò la formazione di un’intera costellazione di possibilità da mettere in atto
per cercare di superare le condizioni di ostacolo.
Nell’incombenza di tali difficoltà, di eseguire l’intervento di prelievo, e
propensa verso l’evitamento delle strategie contenitive tradizionali, lo strumento che per
destinazione e natura mi si addice e che per condizioni fortuite da sempre porto con me
come bagaglio, la voce e la sua forma artistico espressiva di estensione melodica ovvero
il canto, ho trovato come un grande alleato utile ad adempire agli scopi.
Per quanto in seguito riscontrato anche in letteratura negli studi di Brown e
Spintge, che negli anni novanta pubblicarono diversi testi sugli studi effettuati riguardo
le valutazioni degli attributi musicali per il controllo del dolore, ho potuto avere
ulteriore conferma degli effetti musicali positivi che emergevano già fuori dalla mia
pratica.
Brown61 assegna alla musica due principali qualità che possono essere usate per
sviluppare strategie efficaci per far fronte al dolore: dimensione attenzione/distrazione e
dimensione affettiva.
La musica, per quanto riferisce questo studioso, ha la capacità di catturare
l’attenzione impegnando l’intelletto e modificando lo stato emozionale al di la delle
preferenze personali o delle competenze musicali richiedendo all’individuo di
impegnarsi nell’esperienza momento per momento. Essa ha la potenzialità di alterare la
percezione del tempo e la sensazione del dolore può non essere necessariamente
diminuita ma la sofferenza provata potrebbe essere decisamente inferiore. Per quanto
riguarda invece la dimensione affettiva, la musica è in grado di influenzare l’umore e
può stimolare esperienze emozionali in grado di dare un maggior significato ad una
situazione, rievocare le memorie del passato, o permettere un’auto-catarsi.
61
Brown C. J., Chen A. C. N., Dworkin S. F. (1991), Music in the control of human pain. Music Therapy
8: 47-60.
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Lo studioso tedesco Ralph Spintge,62 invece, nel 1993 descrive l’uso di quella
che lui chiama “musica ansioalgolitica” nelle procedure mediche e chirurgiche per
ridurre l’angoscia, l’ansia e il dolore provato dai pazienti. Egli segnala una significativa
riduzione della necessità d’anestesia durante l’operazione, in particolare, in quelle
situazioni in cui l’anestesia non è totale.
Spintge osservò gli elementi musicali che stava osservano definendo le differenze
nella musica definibile come rilassante da quella che lui chiama ansioalgolitica.
La seguente tabella rappresenta i parametri specifici da lui segnalati per poter
distinguere tra la semplice musica rilassante e quella ansioalgolitica:63
Elementi musicali
Musica rilassante
Musica ansioalgolitica
Frequenza
600 Hz – 900 Hz
20 Hz – 10.000 Hz
Dinamica
Piccolo cambiamento
Piccolo cambiamento
Melodia
Prevedibile
Prevedibile
Tempo
60-80
50-70
Ritmo
Costante con pochi contrasti
Fluttuante senza contrasti
Lo strumento musicale:
La voce umana come la fonte sonora viene eseguita o somministrata in
estemporanea proiettandola verso e sulla cute del paziente, durante lo svolgimento del
prelievo. Secondo la classificazione di base, proposta da Kenneth Bruscia,64 la musica
dunque viene realizzata nel paziente come la musica in terapia: in quanto il suo ruolo è
quello di agire come stimolo e rinforzo di un comportamento non musicale.
62
Spintge R. (1985-1986), Some neuroendocrinological effects of socalled anxiolytic music. Int J Neurol.
19-20:186-96; Spintge R. (1993), Music and Surgery and Pain Therapy. Unpublished paper given to the
NAMT/AAMT/CAMT. Conference on Music Therapy: Crossing Borders, Joining Forces in Toronto.
63
T. Wigram, I. N. Pedersen e L. O. Bonde (2004), Guida generale alla musicoterapia, ISMEZ Editore.
64
Bruscia Kenneth E. (1993), Definire la musicoterapia – Percorso epistemologico di una disciplina e di
una professione. Gli archetti, Ismez, Roma.
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A quanto sembra derivare dalle mie conoscenze, il mio operato pratico
attraverso l’esperienza che viene proposta e attuata sulla persona potrebbe essere
considerato un intervento (la tecnica) di musica ricettiva: basata sul processo di ascolto
e volta a risvegliare l’interesse, aprendo un canale di comunicazione alternativo rispetto
a quello verbale e influenzando una serie di risposte fisiologiche in favore agli scopi
terapeutici. Il canto come l’esaltazione di espressione e del sentire umano, insito nella
voce, diventa un mezzo comunicativo, un ponte, un bozzolo sonoro allargato e
proiettato per lasciare intendere alla persona i sentimenti di accoglienza e benevolenza.
Questo aspetto, vale a dire la mentalizzazione di un "eccitamento corporeo",
costituisce una importante finalità dell'intervento recettivo, finalità che lo distingue dalle
tecniche di musicoterapia attiva dove invece prevalgono obiettivi espressivi e creativi.
La procedura metodologica di un intervento recettivo presuppone inoltre la proposta di
specifiche audizioni, preliminari al trattamento, volte a definire le peculiari
caratteristiche delle individuali modalità di fruizione musicale. Appare però evidente
come tale prassi, che possiede aspetti direttivi e potenzialmente "indagatori", possa
sollevare in alcuni pazienti fantasmi intrusivi e persecutori, compromettendo la
successiva fase di trattamento. La linea divisoria tra l’aspetto sonoro invasivo verso la
persona e la fondamentale idea di umanizzare un tipo di tecnica infermieristica già di
per se risultante e istintivamente colta come “aggressiva” verso l’individuo, è davvero
sottile e facilmente sconfinabile nel trasgredire al lato “distruttivo”o “decostruttivo” che
il suono possa assumere e manifestare. Onde evitare questi momenti mi preoccupo di
creare inizialmente uno spazio sonoro/musicale rassicurante, un bagno sufficientemente
cullante con l'ausilio di musiche familiari al paziente, oltre alla loro introduzione
graduale, testandolo attraverso le dimensioni del piano e dalle durate limitate oppure, a
volte, seguendo le reazioni del vicino del letto, mentre essa viene somministrata ad altro
individuo.
La musica occupa un ruolo essenziale nella creazione di un'alleanza terapeutica
in quanto cagiona all'interno di una relazione il sentirsi di essere immersi in un bagno di
calore, di dolcezza e di nutrimento. Il successivo articolarsi dell'intervento e la
conseguente selezione musicale saranno poi determinati dall'obiettivo terapeutico, il
quale, a seconda dei casi, potrà limitarsi alla soddisfazione della aspettativa di una
relazione rassicurante e nutriente, o viceversa potrà promuovere un lavoro di
elaborazione psichica, che, nasce nella situazione di confronto.
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Nei casi in cui la musica non risulta gradita, accolta con l’interesse o desiderata,
il trattamento musicale può essere completamente sospeso e ridotto alla essenzialità
dello scopo dell’intervento del prelievo ritornando ai metodi e ai comportamenti
convenzionalmente accettati come ordinari.
I contenuti canori si sono delineati con le seguenti caratteristiche:
- sono melodici (poco dissonanti);
- prevedibili;
- usando la terminologia benenzoniana dell’ISO si potrebbe dire che
appartengono all’identità sonora universale, all’identità sonora culturale di questa parte
dell’Europa (come anche nell’uso della lingua prevalentemente italiana) e nell’incontro
con altre etnie ho cercato di proporre delle modalità musicali etniche più possibilmente
vicine alla determinata cultura, per quanto i miei limiti e le conoscenze umane siano in
grado di rispondere al tale compito;
- sono prevalentemente, (per così dire) in “maggiore”, ovvero con il marcato
trasporto delle sensazioni d’allegria;
- la scelta dei testi, con i messaggi stimolanti verso i pensieri costruttivi e
ottimistici, legati alla stagione, alle feste, nomi, circostanze, parole dette, frasi
pronunciate, significati tratti e pertinenti alle caratteristiche personali, proposte o scelte
dal paziente stesso e cosi via;
- la costruzione ritmica è regolare e tendenzialmente moderata;
- il tempo musicale è direttamente collegato al polso del curato, la frequenza
cardiaca viene stimolata verso la direzione ritenuta ideale: il progressivo rallentamento
nelle situazioni di ansia, i tempi velocizzanti graduali nel risveglio, situazioni
dell’ipotensione ecc.;
- le dinamiche vocali sono molteplici e direttamente influenzabili dalle variabili,
tutti gli altri parametri musicali contingenti;
- la vocalità utilizzata aderisce allo stile della canzone applicata (voce leggera
nelle canzoni popolari, lirica nelle arie d’opera, da musical ove occorre).
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Con l’intento di mettere e far sentire la persona a proprio agio la posizione ed
atteggiamento corporeo di chi esegue l’intervento musicale, quando c’è la possibilità di
separare le due tecniche operando contemporaneamente, è mettersi al livello fisico
inferiore, al di sotto della testa della persona seduta in poltrona, stando accovacciati.
Nelle situazioni dove il curante sta coricato nel letto, l’atteggiamento corporeo dovrebbe
tendere a occupare meno possibilmente il campo visivo della persona, con la maggior
possibile distanza fisica, per lasciar l’idea dello spazio sufficiente per rassicurare,
placare l’istinto di fuga, solitamente insorgente nelle reazioni inerenti al dolore acuto.
4.5
Frequenza degli incontri e il setting
In questi casi non può essere stabilita una frequenza e continuità dei e negli
incontri
semplicemente
perché
le
analisi
ematochimiche
vengono
eseguite
sporadicamente e in media una volta l’anno (per i pazienti esterni), una volta ogni dieci
giorni (per gli interni); anche se ho trovato delle persone anziane ricoverate in ospedale
per la prima volta con scarsa o quasi nulla esperienza di questo genere di intervento. In
alcuni specifici casi, come nelle persone in trattamento anticoagulante, il prelievo
ematico viene eseguito una o più volte al mese tra i pazienti esterni, due o tre volte la
settimana tra quelli interni.
Il setting è quello ospedaliero, accettato per quello che è e secondo le circostanze
cliniche concomitanti trovate sul posto. San Giacomo65 come clinica, in particolare, ha
una buona acustica in tutti i suoi spazi interni: dalle camere, corridoi all’ambulatorio (in
quale vengono eseguiti prelievi di sangue per i pazienti esterni). Le stanze non sono
sonorizzate e quindi il materiale musicale vocale, di una voce impostata (anche se
abbastanza contenuta ovvero non spiegata con tutti i mezzi tecnici vocali, in quanto non
occorrenti al bisogno) traspare e viene accolta anche fuori camera o ambulatorio. La
comunicabilità con l’esterno non si è dimostrata come una circostanza aggravante,
piuttosto affermerei il contrario, è una condizione facilitante, spesso invitante e
65
San Giacomo, Ospedale di Medicina Riabilitativa, Ponte dell’Olio – Piacenza (Italia).
http://www.san-giacomo.it/
61
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stimolante per gli altri. In qualche senso si presta come anticipazione per ciò che può
essere trovato e in seguito vissuto all’interno dell’ambulatorio. Può essere un modo per
diminuire l’effetto sorpresa che in alcuni casi, al primo impatto e senza tali esperienze,
viene vissuto come una specie di imbarazzo contingente (per quanto in seguito riferito
dalle persone coinvolte nell’intervento del canto-prelievo). Tuttavia, la sorpresa
musicale non deve per forza essere vissuta o assumere i connotati o sembianze negative.
In quanto, può direttamente essere accettato come stimolo distrattore antalgico, esso si
afferma, pure, come stimolo positivo per la riduzione del dolore.
4.6
Criteri di conduzione individuale
La persona, dunque, non viene “invasa” dalle vibrazioni sonore se essa stessa
non acconsente a livello verbale o comportamentale una situazione del genere. La
musica semplicemente viene proposta nelle situazioni in cui il paziente dichiara la
propria paura e disagio (oppure questi sono già stati registrati in precedenza) ed egli
attraverso il canto viene invitato a partecipare, in forma passiva e qualche volta attiva,
richiamando l’attenzione e la reazione della persona. Anche se nella maggior parte dei
casi l’invito viene positivamente accolto e poi, in seguito, continuamente richiesto; in
alcuni casi viene visto con la paura che l’operatore possa essere distratto con la
conseguente scarsa riuscita della tecnica stessa. Per rassicurare la persona, in tale caso,
la scelta potrebbe essere quella di ritornare al metodo tradizionale.
Nonostante la percentuale di pazienti con trattamento musicale rispetto al
complessivo numero di pazienti col prelievo, previsti in una giornata sia pur basso
(circa un decimo), la voce del ‘canto-prelievo’ viene riecheggiata velocemente in modo
che anche incontrandomi senza il camice verde le persone anticipatamente a volte
richiedano di partecipare a un prelievo cantato, elencando persino le canzoni che essi
vorrebbero sentire.
A posteriori, ho potuto constatare che i brevi canti, le melodie, i ritornelli, che
sono stati utilizzati negli interventi di canto-prelievo ematico e nelle situazioni dove
c’era effettivo bisogno della sua messa in atto (esistendo la comunicabilità nei diversi
spazi per le porte solitamente tenute aperte), adempievano la funzione di “pubblicità
62
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ambulante”. In altre stanze, anche dopo qualche giorno, a volte, succedeva che un
paziente al quale non avevo mai cantato mi chiedesse una canzone da lui sentita,
raccontandomi persino il momento della vita alla quale egli lo riconnetteva. Siccome
queste persone non rientravano proprio tra quelle che consideravo potessero averne
bisogno o persino la necessità, in quanto non provavano disagio nell’incontro con l’ago,
in questi casi, la successiva attuazione del canto-prelievo cominciava ad avere funzione
ed essere a servizio ed apertura dei nuovi spazi di ricerca, degli inaspettati e nuovi
obiettivi.
Tuttavia, rendere chiaro alle persone che il canto era direttamente legato
all’intervento del prelievo e che fuori di quel contesto non poteva essere fruito, ovvero
insegnarle le regole di “quel gioco”, innovativo, per me non si è mostrato come
un’impresa difficile. La situazione si manteneva sotto controllo, anche se, per quanto si
è potuto sentire dopo i miei interventi, le persone ogni tanto andavano imperterrite
dietro la scia della melodia, alzando la quantità dei suoni organizzati nel tempo
dell’ambiente ospedaliero solitamente abituato ad esserne sprovvisto.
4.7 Contenuti musicali
Oh, iniziando un grande lamento di grandi sofferenze,
quale compianto levare potrò?
A quale musica volgermi con lacrime e voci di dolore? Aaah!
165, Elena, la tragedia di Euripide
I contenuti musicali canori che sono stati “somministrati” nelle diverse giornate
dei mesi trascorsi, e che in seguito hanno potuto essere razionalmente distinti nelle varie
categorie, si potrebbero suddividere:
9 in senso generico come canti di diversi repertori: classico-operistico, musical,
repertorio popolare ed etnico, standard jazz; prevalentemente in italiano e in
inglese, una piccola percentuale nelle “altre” lingue, più o meno comunitarie,
ma di ceppo indoeuropeo (serbocroata, rom, norvegese, ceco, russo e francese)
oppure in forma vocalizzata ovvero senza testo.
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9 nello specifico:
-
i brani, a volte, a livello testuale vengono adattati alla richiesta
della situazione stessa assieme ad un modo, direi, quasi scenico e
teatrale nel coinvolgimento della persona ad un intervento clinico
del genere.
Alcuni esempi:
(aria di Rodolfo, La Boheme, Puccini)
Che gelida manina
Se la lasci riscaldar
*(che)
Cercar non* giova
*(al buio)
Quando vena*non si trova.
(aria di Rosina, Il barbiere di Siviglia, G. Rossini)
Ma se mi pungono*
*(toccano)
dov’è il mio debole
Una vipera sarò
Di cento trappole
Prima di cedere
Farò giocar…
-
le proposte di vocalizzi: le lunghe melodie di tempo lento
assomiglianti alle nenie, cullanti e rilassanti, già esistenti o
composte al momento.
-
nei bambini, l’oggetto o l’immagine (presente sulla maglietta, il
giocatolo che tiene in mano ecc) diventano lo spunto e il tema
della breve seduta nata e svoltasi nell’immediatezza.
I due esempi di questa modalità dell’intervento musicale tra i casi ricevuti in
ambulatorio:
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1) Ad un ragazzino di cinque anni, che aveva presente l’immagine del Topolino sulla
maglietta ho cantato:
Mickey Mouse March (Viva Topolin)
Topolino, Topolino,
come noi bambini tu sei tanto piccolin.
Mickey Mouse, Mickey Mouse, detto Topolin!
Rassomigli a tutti noi sei furbo e birichin
E perciò noi gridiam’ viva Topolin.
Solo tu, Topolin! Puoi capir, Paperin!
I mille e mille sogni d’un bambin.
Noi gridiam in coro evviva, hip hip, hurrà, cin-cin!
Topolin, Topolin, viva Topolin!
Ad un altro ancora che aveva in mano un giocattolo fatto di gomma delle sembianze di
un coccodrillo ho subito iniziato il canto di:
E il coccodrillo come fa!
Oggi tutti insieme cercheremo di imparare
Come fanno per parlare fra di loro gli animali
Come fa il cane? Bau Bau!
E il gatto? Miao!
L'asinello? Hi! Ho!
La mucca? Muu!
La rana? Cra cra!
La pecora? Beee!
E il coccodrillo? E il coccodrillo? Boh!
Il coccodrillo come fa,
non c'è nessuno che lo sa.
Si dice mangi troppo,
Non metta mai il cappotto,
Che con i denti punga,
che molto spesso pianga,
però quando è tranquillo come fa sto coccodrillo....
Il coccodrillo come fa,
non c'è nessuno che lo sa.
65
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Si arrabbia ma non strilla,
sorseggia camomilla
e mezzo addormentato se ne va.
-
con il criterio delle preferenze musicali (dichiarate); le musiche
che facevano parte dei tempi della giovinezza del facilitante
(curante) che viene stabilità all’incirca attraverso l’età della
persona: la media in un centro riabilitativo sarebbe intorno a 70
anni; a volte viene richiesta oppure proposta con la voce del
paziente stesso.
Tra esse sono state accolte in modo significativo (in quanto, poi, ripetutamente richieste
da me oppure sentite cantare persino dai ricoverati che direttamente non erano coinvolti
nell’intervento di prelievo di sangue cantato), le seguenti canzoni italiane (TOP 10
senza un ordine numerico preciso):
i.
Il valzer dell’allegria (Cantato da Claudio Villa, Autori: Vigevani - E. Frati ).
ii.
Luna malinconica - Titolo originale: Blue Moon (Cantata da Carlo Buti, Autori: R.
Rodgers - L. Hart - A. Bracchi).
iii.
Besame mucho (Cantata da Dea Garbaccio, Autori: Velasquez - Fecchi - Nati).
iv.
Volare (Cantata da Domenico Modugno, Autori: D. Modugno - Migliacci).
v.
Ciliegie rosa (Cantata da Nilla Pizzi, Autori: Larue, J.Leonardi-Louiguy).
vi.
Il Tango delle capinere (Cantata da Nilla Pizzi, Autore: C. A. Bixio).
vii.
Bella ciao (Canzone dei partigiani, Autore: Anonimo).
viii.
Rose rosse (Cantata da Massimo Ranieri, Autori: E. Polito - G. Bigazzi).
ix.
O sole mio ( Autori: G. Capurro - E. Di Capua - 1898).
x.
Parlami d’amore Mariù (Autori: Neri - Bixio).
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Alcuni ritagli testuali come esempi dei contenuti delle melodie utilizzate:
I.
Dice un proverbio:
"Nel mondo chi vive cantando
morrà sorridendo".
Anche il destino ch'è cieco
puoi fartelo amico
prendendolo in giuoco.
La vita é fatta di sogni,
disegni e di segni,
speranze e guadagni.
Perciò al domani
non devi pensar
se vuoi tranquillo campar.
Questo è il valzer che
tutti dobbiamo cantar
allegramente.
Per le strade del mondo
lo deve ascoltar
tutta la gente.
Se un dolore ti assale
tu devi restar
indifferente.
Per campare cent'anni
tu devi cantar
allegramente.
II.
Ma tu,
pallida luna, perchè
Vola, colomba bianca, vola,
diglielo tu che tornerá.
sei tanto triste, cos'è,
che non risplendi per me.
Dio del ciel se fossi una colomba
vorrei volar laggiù dov'è il mio amor,
Lassù,
che inginocchiata a San Giusto
tu puoi vederlo il mio cuore,
prega con l'animo mesto:
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la delusione d'amore,
Fá che il mio amore torni, ma torni presto.
questo mio grande dolore.
Vola, colomba bianca, vola,
Tu sai che baci sapeva dare
diglielo tu che tornerò.
ed anche tu non puoi dimenticar.
Dille che non sarà più sola
Forse tu senti la malinconia,
e che mai più la lascerò.
forse tu sai che non ritorna più.
III.
Besame,
IV.
E volavo
besame mucho.
volavo felice
In questo bacio
più in alto del sole
la vita ti voglio donar.
ed ancora più su.
Besame mucho,
Mentre il mondo pian piano
in questa ebbrezza
spariva lontano laggiù
di tutto
una musica dolce suonava
mi voglio scordar.
soltanto per me.
Pensa che un giorno lontano,
Volare, oh oh!
un dolce ricordo solo resterà.
Cantare, oh oh oh oh!
E le parole "Io t’amo"
Nel blu dipinto di blu,
il labbro tremante mai più ti dirà.
felice di stare lassù.
4.8 Valutazione
9
Valutazione iniziale
Compilazione di un modulo strutturato, utilizzando le scale validate per lo stato
di ansia e di dolore: NRS, VRS, VAS-H (qualità sensitiva) e un breve STAI form
adattato per lo scopo e tale applicazione clinica (qualità affettiva):
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STAI FORM:
IN PRECEDENZA SI è MAI SENTITo-a A DISAGIO DURANTE UN PRELIEVO DI SANGUE?
1
2
3
4
Quasi mai
Qualche volta
Spesso
Quasi sempre
OGGI IL PRELIEVO DI SANGUE HA INFLUENZATO IL SUO STATO D’ANIMO?
1
2
3
4
Per nulla
Abbastanza
Moderatamente
Moltissimo
COME SI SENTE ADESSO?
A. Mi sento a mio agio
1
2
3
4
B. Mi sento a disagio
1
2
3
4
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Riguardo al modulo, esposto nella pagina che precede, che in alcuni casi
chiedevo di compilare da parte del paziente66, e con delle condizioni pratiche trovate sul
posto: i tempi, l’età, le funzioni cognitive delle persone, il fatto che tutto svolgevo da
sola ovvero senza un’equipe che lo avrebbe accompagnato con i protocolli ritenuti più
adeguati strumenti alla più approfondita indagine clinica ecc.; avrei da esprimere alcune
cose:
a) è stato mirato con i criteri di una fondamentale semplicità
compilativa e per essere rapidamente e facilmente spiegato al
paziente il suo scopo e il modo di utilizzo;
b) basato sugli strumenti o le scale di valutazione già validate e
conosciute per essere state utilizzate nell’ambito clinico (come
esposto nel capitolo 2.8 di questo scritto);
c) l’oggetto della mia potenziale indagine era bimodale, in quanto,
ha osservato le due misure soggettive, le più rilevanti perché più
distintive del fenomeno trattato, prese in considerazione: il
dolore (espresso in tre modalità diverse) e l’ansia (di tratto
ovvero caratteristica per quel individuo e di stato ossia al
momento stesso del prelievo).
Tuttavia, non potrei asserire che questo foglio di lavoro, concepito nelle mie
modeste conoscenze dell’ ambito della strutturazione, osservazione e la progettazione di
una ricerca, almeno nel modo come è stato svolta da me, è potuto esserne utile, servire
ad un’osservazione a pieno titolo riconosciuta come scientifica o oggettiva. Sicuramente
non potrebbe essere considerato come un parametro che avrebbe potuto abolire
l’efficacia della validità di procedure e tecniche svolte da me e nemmeno a confermare
la rilevanza dei suoi risultati, in termini dell’effetto positivo che sembra aver procurato.
A mio parere, esso solo parzialmente sta a rappresentare tutti e due gli aspetti, per il
fatto che non ha avuto una completa strutturazione e la programmazione
scientificamente validata per un’analisi convincente che fosse basata e coinvolta sulla
chiave dei seguenti componenti: la misura efficace, la significanza, la tipologia e il
numero dei soggetti.
66
Nonostante la sua apparente semplicità, pochi pazienti erano disposti a (in grado di) effettuare
la compilazione.
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Nelle possibili future indagini in questo campo di ricerca, prevederei alcune
modifiche nella sua struttura tra cui: una variazione o ampliamento dello STAI form
(State-Trait Anxiety Inventory for Adults),67 lo sviluppo e la presentazione della scala
analogico visiva per il dolore nella sua forma bidimensionale (capitolo 2.8.4) ed riterrei
importante eventuale aggiunta di qualche
versione modificata di CSQ (Coping
Strategies Questionnaire di Rosenstiel & Keefe, 1983, sviluppata da Lin, 1995),68 come
la più utilizzata misura delle strategie di coping per il controllo del dolore. Inoltre,
sicuramente cercherei l’aiuto degli psicologi con le competenze nell’ambito di ricerca
che seguirebbero monitorando con più successo gli effetti della pratica a quale io, in tale
caso, mi potrei occupare a pieno e senza dispersioni, per offrire un’analisi più seria e
consistente.
La mia discreta ricerca su 15 diversi individui ha prodotto seguenti risultati:
-
il livello percepito dalle persone sulla scala numerica del dolore
(dall’1 al 10), non ha mai superato il numero 2;
-
dal risultato letto dalla scala verbale consegue in modo paritario:
“nessun dolore” e “dolore leggero”;
-
l’utilizzo della VAS non si è discostato molto dai risultati della
scala numerica, eppure in alcuni casi rappresentava i valori poco
di più o di meno da quelli segnati nella NRS; 69
-
nessuno dei partecipanti ha riferito di essersi trovato a disagio
durante l’intervento del prelievo di sangue cantato, fra essi, solo 4
67
Spielberger C. (1970), Manual for the State-Trait Anxiety Inventory (Self-Evaluation Questionnaire).
Palo Alto, CA, Consulting Psychologists press; Spielberger C. (1979), Preliminary manual for the StateTrait Personalità Inventory (STPI) University of South Florida.
68
Rosenstiel A.K., Keefe F. J.(1983), The use of coping strategies in chronic low back pain patients:
relationship to patient characteristics and current adjustment. Pain. 1983 Sep;17(1):33-44. Lin C. (1995),
A comparison of the effects of perceived self-efficacy on coping with chronic cancer pain and coping
with chronic non-malignant pain. University of Wisconsin, Madison. Unpublished doctoral dissertation.
69
Questo potrebbe essere spiegato da diverse cause e problematiche di quest’analisi. A me non risulta
rilevante da prendere in considerazione in quanto già dichiarato di non aver trovato questo modulo
sufficientemente utile ad una potente analisi e da essere ritenersi un mezzo di maggiore validità.
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non hanno indicato i valori più bassi del 4 ovvero il massimo nella
piccola scala del benessere personale;
-
solo tre di loro, riguardo la caratteristica dell’ansia di tratto,
avevano segnato di non essersi quasi mai trovati a disagio durante
il prelievo di sangue tradizionale;70
-
nella seconda domanda posta nel breve modulo di tipo STAI,
nonostante la sua potenziale ambiguità nel come potrebbe essere
compreso il termine influenzato, tutti, escluso due, avevano
risposto per nulla. In un caso, tra altri due che hanno risposto
abbastanza, per quanto riferito in seguito dalla persona stessa era
inteso come un’influenza positiva; in altri invece le persone con
influenzato intendevano sottintesa l’ansia ovvero il versante
negativo di tale parola. Uno dei punti che certamente dovrà essere
corretto (chiarito) nelle prossime indagini di questo tipo.
9
Valutazione intermedia
Con la valutazione intermedia intendo il proseguimento nell’uso del
modulo nelle persone lungo un arco di tempo che avesse potuto permettere il
caso stesso, con traguardo di monitorare eventuali cambiamenti e le modifiche
percettive del dolore e lo stato d’ansia che ne conseguirebbe.
Solo in due casi, Silvia e Marco, tutti e due trentaquattrenni, ho
considerato sensato e utile proseguire con gli accertamenti strumentali dell’automisurazione dei valori dell’intensità del dolore e l’ansia.
Tratterò i loro casi in altra occasione, ma direi che oltre all’età erano
accomunati anche dal trattamento anticoagulante in corso e dalla significativa e
alta caratteristica d’ansia di tratto nei confronti del prelievo di sangue. Mentre nel
caso di M. che incontravo, per due settimane, ricoverato in cardiologia (paziente
70
I criteri di scelta della persona per la compilazione del modulo erano: che già mostrasse problematiche
legate all’intervento in corso e che l’individuale funzionalità cognitiva permettesse la comprensione e la
compilazione del foglio.
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interno), l’INR (i tempi di coagulazione) doveva essere monitorato spesso per
l’impostazione di un coretto schema terapeutico e si svolgeva ogni due, tre
giorni; in S. che veniva in ambulatorio (cosiddetto paziente esterno), gli
accertamenti venivano svolti una sola volta al mese: ho stabilito e proposto il
modulo solo partendo dal mese di gennaio.
Per le altre persone, come valutazione provenuta potrebbe risultare
valevole e/o legittima la presa in considerazione delle osservazioni e conclusioni
che ho tratto dal feedback della persona, coinvolta in un intervento musicale nella
situazione di prelievo di sangue.
4.9 Partecipanti agli incontri
“Usignolo che in contrade selvose
abiti le dimore delle Muse,
te invocherò. Il più canoro degli uccelli,
melodioso, lacrimoso.
Deh, vieni vibrando con la gola sonora;
collabora nei lamenti con me
che canto i lamenti di Elena sventurata
e il destino lacrimoso delle donne d’Ilio
sotto le lance degli Achei ...”
(1107) il primo stasimo di Elena, tragedia di Euripide
Non era passata nemmeno una settimana prima che qualcuno dei ricoverati mi
dicesse: “Canti, allora sei contenta!”, “Tu hai un bel carattere, perché sei sempre qui a
cantare”, “Stamattina è di buon umore” e così via. In alcuni giorni passando da una
camera ad altra, succedeva che me lo dicessero diversi pazienti nella stessa giornata e io
non mi sono mai provata a smentire questo riecheggiare del senso comune.
Sostanzialmente, ho trovato come un ottimo compagno del mio operato la loro
immediata associazione del canto come qualcosa di positivo, allietante, la visione
ottimistica di un nuovo giorno che per loro sembrava iniziasse con la promessa di
qualcosa di buono. Personalmente, studiando il canto con finalità professionali non
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potrei dire che non si canta anche quando si è immersi con i pensieri nelle difficoltà
della vita. Tuttavia posso ammettere che, in tali condizioni, il canto sgorghi più
difficilmente. In particolare è difficile cominciare a cantare, ma una volta quando il
canto trova una sua via d’uscita, o sa rendere l’espressione più intensa o sa stravolgere i
pensieri non costruttivi regalando una nuova luce alla giornata.
In conferma di quando appena scritto, tra diversi racconti emersi nelle
condizioni del mio intervento cantato, riferitimi dalle persone, uno di loro mi disse: - Un
giorno ero arrivato al lavoro cantando e il mio capo sentendomi disse, Giuseppe, stai
cantando vuol dire che la situazione problematica la supererai di sicuro.
Oggi, il diciassette aprile, in cardiologia, mentre stavo cantando il prelievo di
sangue ad uomo, quest’ultimo mi disse: “Una volta cantavo molto, ma da quando mi
sono ammalato non canto più.””E come mai?!”, gli chiesi: “Ma non so, semplicemente
non mi viene più di cantare.” “E cosa cantava una volta.?”, mi rivolsi a lui concludendo
con la mia pratica e andando avanti con il discorso. “Mi piacevano le arie d’opera.”
”Ah, sì, allora prossima volta le canterò qualcosa dal repertorio tenorile, Una furtiva
lacrima, per esempio?! In questi giorni vorrei che lei cercasse di ritrovare il canto nel
suo cuore”, mettendo il carrello con gli aghi e le provette in ordine, ma poi, volgendo lo
sguardo verso i suoi occhi, per vedere la risposta alla mia proposta, rimasi colpita
dall’evidente commozione che non ha cercato di nascondermi.
Prima di questa esperienza succedeva raramente che qualcuno cercasse di
condividere con me qualcosa della sua vita. Con il canto, la comunicazione è diventata
fluida e scorre senza fine. Essa scaturisce dal nulla, dall’assenza di domanda e
d’interesse. Non avendo un inizio, né un traguardo preciso, spesso la storia rimane lì, a
vivere nell’aria di per sé, di una vita di liberazione e senza sgomento. Non mi sono mai
sentita di aver estrapolato qualcosa da qualcuno e nemmeno, questi, mi facevano
percepire che si sentissero in imbarazzo. Le canzoni di una volta, riportavano al
presente le situazioni in quel frangente di una volta che nessuno cercava di trattenere o
controllare. Così, succedeva spesso, che dopo aver aperto gli occhi chiedessi alla
persona di raccontarmi il motivo del bel sorriso che io ho potuto constatare sul viso
oppure iniziava da sola a raccontare. Le risposte, a dir poco, mi sorprendevano. Erano
veri e propri coaguli di vita, un estratto del contenuto emotivo intensamente vissuto, a
volte, nemmeno condiviso con i loro familiari.
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Il naso di Giuseppe Verdi
L’altro giorno era la terza volta in una settimana che mi sono trovata da Luigi. Nei primi
incontri sembrava più incuriosito dalla mia risposta di essere ancora cittadina di uno
stato che non esiste più sulla carta geografica che dal mio canto, ma stavolta
improvvisamente pronunciò la seguente frase: “Di tutto ciò che io avrei potuto ereditare,
ho ereditato proprio il suo naso! Non l’orecchio, ma il naso!” Non sembrava che si
rivolgesse a me perchè non mi guardava. Poi, improvvisamente mi guardò in volto
dicendomi: “Ma lei, il canto lo ha studiato, quando canta in quel modo?” “Si, lo studio
da parecchi anni! E lei da chi non ha ereditato l’orecchio?”, gli chiesi. “Da Giuseppe
Verdi”, mi rispose proseguendo, “La bisnonna di mio papà era una Uttini ossia sorella
di sua madre.” La mia reazione fu:”Allora prossima volta le potrò cantare, Va pensiero,
se le andrà.”
Va pensiero che va come il gelato
E il giorno che come un legittimo diritto spettava al pronipote di un grande compositore
era arrivato. Essendo ricoverato nella stanza 101, letto B, toccava prima proprio a lui,
come un improvviso risveglio mattiniero delle mie corde vocali. Ancora tutti in
cardiologia stavano dormendo e la prima tapparella che si alzò era proprio di quella
stanza. Io avevo già in mente di proporgli le parole melodizzate del suo antenato, ma le
cose non andarono completamente lisce perché il pensiero del prelievo lo turbava e
quando gli proposi un canto, non svelando ancora quale, lui mi rispose che il pensiero
dell’ago gli dava fastidio e che sarebbe stato meglio non cantarci sopra. Per come lo
capii io, egli intese che i due momenti avrebbero dovuto stare separati uno dall’altro.
Ma io non intendevo ancora “deporre le mie armi pacifiche” prima di aver provato a
trovare il canale comunicativo con cui egli avrebbe potuto rivalutare la possibilità che il
fastidio potesse essere debellato proprio attraverso la “imposizione” di qualcosa di
piacevole. Gli dissi allora gentilmente che la musica, secondo me, ha proprio questo
potere di facile approccio in diversi stati d’animo e gli dicevo che io già in testa sento
una melodia che potremmo provare ad associare assieme. E a bassa voce attaccai le
parole di Va pensiero.
Non ho dovuto aspettare a lungo la risposta o qualche parere perché Luigi già
dall’istante successivo mi rispondeva cantando le parti orchestrali del basso. Non
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potevo neppure – è questo l’imperdonabile vizio di quasi tutti cantanti, omettere le parti
strumentali e ritmiche perché nella sua testa, meglio che nella mia, scorreva l’incisione
vera e propria, chi sa quante volte udita, diretta da Riccardo Muti, nella quale questa
aria corale non è un inno, per quanto comunemente accettato, ma una preghiera. Mi
raccontò pure un episodio della sua vita di una crociera sui fiumi russi, dove da turisti,
un gruppo di italiani, rispondendo ai canti degli altri gruppi e delle altre nazioni,
cantarono proprio questo pezzo.
Entrai nella stanza tre e le signore mi aspettavano con i sorrisi e canticchiando la
melodia che, come un buon e fresco profumo di una pasticceria di vecchi tempi, era
entrata prima di me. Non potevo non assecondare le due donne continuando con la
stessa musica.
Proseguendo lungo il corridoio il mio canto come un’epidemia si stava spandendo,
invadendo tutti gli spazi fino ad un punto dove anche io, probabilmente stavo perdendo
il controllo sul suo uso dinamico più appropriato; la collega che nei miei paraggi stava
somministrando la terapia per bocca, mi chiese di abbassare il volume perché
cominciava a sentirsi troppo distratta (se si riprendessero gli specifici obiettivi
individuati da me, come effetto distrattore non è affatto sottointeso di deconcentrare
pure gli operatori sanitari). Ho cercato immediatamente di esaudire questa richiesta
cercando di riprendere il controllo di una melodia che energizzava e distraeva anche
troppo, abbassando il tono. I pazienti comunque richiedevano quasi tutti proprio il gusto
di “gelato al pistacchio”, o meglio, nella terra verdiana cosa poteva toccarli più da
vicino che la melodia del Nabucco che gentilmente li invitava di sospendere ogni
pensiero e posarlo sulle bellissime colline, gli inizi degli Appenini che potevano
scorgere con uno solo sguardo volgendo lo sguardo verso la finestra. Quando ero nella
ultima stanza domandai al sig. Donato cosa avrei potuto cantargli quest’oggi, al posto
del solito Claudio Villa, egli mi sorprese con Verdi. Era troppo forte questa richiesta e
io subito mi misi a sorridergli cantando la canzone della giornata.
Il giorno seguente quando chiesi a Donato se si ricordava cosa avessimo cantato il
giorno prima, lui mi rispose: - Non mi ricordo, ma andava bene! Sinceramente avrei
sperato che mi dicesse anche il nome della canzone o l’autore che lui stesso aveva
richiesto, ma ho dovuto accontentarmi che la musica almeno, di certo, ogni volta
risveglia in lui la serenità e la voglia di sentirla e qualche volta, quando viene a lui, pure
cantarla.
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Un giorno oltrepassando la camera 114
Sulla provetta stava scritto 115A e di conseguenza stavo per arrivare in quella stanza,
ma oltrepassando la stanza accanto sentii una voce dire: “Eccola, sta arrivando da noi.”
Sono entrata nella camera che avevo segnata sulla prima provetta che avevo in mano
iniziando già a canticchiare a bassa voce e il sig. Ettore, un uomo di un’ottantina d’anni,
mi si rivolse con un tono semi-serio e non offensivo: “Ma come possono tenere una
persona matta qui.” ”E chi sarebbe?” ”Come chi, è lei che canta sempre.” “Ma sig.
Ettore per le persone matte si dice che non facciano delle cose ragionevoli, ed io come
ho fatto i prelievi a lei?” ”Bene, me li aveva fatti già da un paio di volte.” ”E non mi
pare di averla torturata; prendevo la vena subito, non rimanevo a lungo qui! È vero?”
“Sì, è vero, ma lei continua a cantare!”, ripeteva lui come se fosse ovvio che qualcosa
non quadrasse in quella situazione. “E allora, io davvero non capisco cosa cerca di
comunicarmi, guarderò di non cantare durante il prelievo nelle prossime volte!”, gli
dissi uscendo dalla stanza.
Già dal primo incontro con lui mi ero accorta che apparteneva a quella minoranza di
persone che vivono il mio cantare come l’eventualità che io mi possa distrarre dal
prelievo, e in effetti, durante il prelievo, nelle volte successive non cantavo, ma solo
immediatamente prima e subito dopo l’intervento, cercando di abituarlo alla situazione
capendo che era il contesto in cui era inserito che era insolito, e non il canto, che gli
procurò quel pensiero. Negli ultimi giorni del suo ricovero in clinica, la situazione si era
capovolta, cantavo esclusivamente durante il prelievo e lui stesso mi faceva notare che
non avevo proprio iniziato a cantare prima della puntura, ricordandomi di cercare di
applicarlo meglio durante il prossimo.
Nella stanza in cui arrivavo dopo, la 114, invece, ho ricevuto una specie di conferma,
che ho vissuto come giusta sollecitazione per ritrovare e cercare di rinnovare le energie
per poter proseguire serenamente la strada oramai intrapresa. Uno di due pazienti mi
aveva accolto con un fischietto dicendomi: “L’aspettavo, per fischiettare assieme al suo
canto.” Ero sorpresa perché non conoscevo ancora né l’uno né l’altro. Di solito era il
mio canto a sorprenderli, ma mi resi conto che il canto che viaggia sull’onda sonora ha
una propria vita, e che inaspettatamente e liberamente mi fa conoscere dalle persone
prima di averle ancora incontrate. E così, Antonio si mise ad accennare la mia canzone
con il suo pulito ed intonato fischiettio. Confesso che io non sarei in grado di fischiare
così bene. Mi aveva raccomandato delle canzoni efficaci da studiare e come ricompensa
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per questa specie di ricarica morale (che lui e il suo compagno di stanza mi avevano
donato senza saperlo), ho fatto loro un concertino di refrain e strofe di diverse canzoni a
loro ben note.
Quando Antonio fu dimesso, entrando nella stanza dove in quel momento vi era solo
Giuseppe, quest’ultimo sorridendo mi si rivolse con le seguenti parole: “Eccola,
finalmente è arrivata l’allegria.”
A proposito dei nomi che cambiano
Nei primi mesi del mio lavoro nel ruolo di un’infermiere prelievista, mentre ancora non
osavo cantare molto e risultavo cantare “abusivamente”, spesso e volentieri capitava che
qualcuno mi si rivolgesse con: “Ah, eccola che è arrivata, la vampira”, oppure
“Vampirella oggi quante provette deve riempire.” Man mano l’introduzione del canto
prendeva piede, o invece si stava consolidando in forma di tecniche e procedure oramai
consolidate; così anche i nomignoli a me riferiti cominciarono ad assumere altri
connotati espressivi. Sostanzialmente questi possono rappresentare o testimoniare
l’impatto e l’influenza musicale delle peculiarità fortemente affettive (o altrimenti di
spiccata fantasia) che si stavano realizzando nelle relazioni e i collegamenti
interpersonali canori sul posto.
Espongo di seguito alcuni tra questi:
“Sei tu la gallina che canta ogni mattina?” (un paziente, dagli altri operatori già ritenuto
di non facile carattere nell’assistenza e cura, che in me, al primo impatto, provocò un
improvviso senso di imbarazzo quanto passeggero che ho dovuto combattere e superare
al momento per non viverlo come un’offesa: fino a quando, attraverso le domande ed
altre frasi, non avevo capito che la gallina era legata al senso di risveglio mattutino,
corrispettivo femminile del gallo e non legata allo stereotipo, nell’idioma corrente, di
carenza intellettiva solitamente associata a questa parola);
“E oggi niente serenata?” (mi disse una volta un paziente mentre stavo per individuare
un accesso venoso);
“L’usignolo oggi non canta?” (in una situazione simile) oppure la stessa persona
“Eccolo, è arrivato il nostro usignolo”; similmente, una signora durante il periodo del
ricovero della sua parente continuò a chiamarmi fringuellina;
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“Puntina, oggi hai cambiato la puntina, ma non il disco” (uno dei pazienti cardiologici
che spesso attraversava il corridoio accompagnando ogni mio passo, osservando e
canticchiando a debita distanza);
“Sei veloce e precisa come Guglielmo Tell!” (Mi disse Luigi, pronipote di Verdi, dopo
aver accompagnato il fastidio che solitamente prova nel prelievo ematico con il canto e
le parole di Addio del passato).
“Ecco l’aurora che sta arrivando…” (dietro le mie spalle mentre stavo svolgendo il
canto-prelievo con un altro paziente era arrivata la voce della cugina di una paziente).
La bella ciao
Giancarlo, un paziente ricoverato in neurologia diversi mesi fa, mi aveva fatto riflettere
e rivalutare il significato dei mezzi contenitivi normalmente usati nelle situazione di
laboriosa applicazione tecnica. Nei momenti in cui il paziente, per qualche ragione,
rifiutava il trattamento stesso che l’operatore al momento dovrebbe applicare su di lui,
davanti ai miei occhi crollava l’immagine di un loro effettivo bisogno e necessità d’uso.
Il conflitto personale che io provai in questa circostanza come risultato ha prodotto un
approccio tecnico infermieristico diverso dal solito e il risultato, in questo preciso caso
era più che suggestivo. Mi faceva inorgoglire il pensiero che avevo dominato le
resistenze di “un omone” così particolare e, nei momenti del genere, solitamente di non
facile approccio, con una semplice canzone dai tempi dei partigiani e di esser riuscita da
sola e senza sensazione della fatica psicofisica.
Giancarlo, con gli esiti della lesione ischemica, non sempre sembrava comprendere il
senso delle parole e degli ordini che gli si ponevano. Inoltre, sulla sua cartella clinica
c’era scritto che presenta dei momenti di aggressione fisica nei confronti degli operatori
ed io l’avevo vissuta di persona durante il mio secondo incontro con lui.
Il primo prelievo ematico, per ragioni a me sconosciute, era andato abbastanza bene,
anche se, siccome si era mosso di scatto, ho dovuto eseguire un’altra incisione cutanea.
Nella seconda situazione lo trovai girato con la schiena verso di me e non rispondeva
affatto ai miei saluti e richieste. Ho provato ad avvicinarmi a lui e liberandogli la mano,
tanto quanto era il minimo indispensabile per cercare di individuarvi una vena, e nel
momento dell’incisione ho visto venirmi verso la faccia il pugno della sua mano destra.
Ero riuscita evitarlo per poco, ma il prelievo anche ritornando dopo mezz’ora non si
poteva eseguire semplicemente. I due operatori tecnico sanitari che cercavano di
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svolgere con lui l’assistenza mi proposero di contenermelo. Il prelievo è stato eseguito,
con molta fatica ed io psicologicamente mi sentivo quasi esaurita. Ho pensato che se in
seguito incontrassi un altro caso simile avrei rinunciato prema di provare, chiedendo il
cambio di qualcuno.
Nei giorni successivi, temevo il prossimo nostro incontro e come potesse reagire,
arrivando al punto di pensare se Dio me la manderà buona o meno. Ma, canticchiando al
suo compagno di camera, che per le lesioni ischemiche cerebrali rimase afasico e
rispondeva con il canto al mio canto, notai che Giancarlo, il suo vicino di letto,
rispondeva intonando ad alta voce i versi della canzone che stavo proponendo all’altro.
E così, nella volta successiva io arrivai preparata, munita dalle prime due strofe di Bella
ciao ed entrando nella sua stanza come se fosse un palcoscenico gli dissi:
“Giancarlo è ora di svegliarsi perché sono arrivata per cantarle una canzone.“
Immediatamente si girò verso di me. “Però, Giancarlo, io dovrei anche prelevarle il
sangue, spero che lei farà il bravo in tutti e due i modi.” E cominciai a cantargli: “Una
mattina, mi son svegliata…” Non ho dovuto proseguire perché era lui che completava i
miei versi, mentre, nel frattempo, con l’altra mano, cercavo di assicurami di tenergli ben
fermo il braccio nel caso egli si fosse mosso). Indi, io proponevo un verso e lui lo
completava, ma poi, avevo esaurito le parole di due strofe che conoscevo e gli chiesi
aiuto per proseguirle, lui prontamente mi rispose melodizzando i versi.
Egli si dimostrò rilassato e disponibile, senza muovere il braccio. Di conseguenza io mi
ero trovata a mio agio e nelle condizioni ottimali per applicare la tecnica del prelievo. E
il canto, in questo caso funse da invisibile, ultra-tradizionale ausilio contenitivo.
Anche nei successivi incontri con lui non ho mai incontrato ostacoli o situazioni
difficoltose. Nel suo caso il canto si dimostrò indispensabile per una soddisfacente
riuscita tecnica.
Madre e figlia
Vorrei fare un accenno sull’impatto del mio prelievo e l’effetto sul caregiver riportando
in particolare l’esempio della sig. Giuseppina e sua figlia che alle sette di mattino,
quando io mi recavo nella stanza 103, era quasi sempre presente. Dal primo giorno,
come anche normalmente faccio di fronte ai familiari o alle persone che ritengo i
caregiver (e non di fronte alle persone di passaggio), non ho cercato di allontanarla. La
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rendevo partecipe in quanto non sapevo se potesse risultare eventualmente di aiuto.
Considero quei momenti come i momenti di scambio delle informazioni legate
all’educazione sanitaria.
Il rapporto che si era instaurato tra di noi era interessante perché tutte e due avevano una
forte convinzione che io facessi bene il mio lavoro solo mentre canto. Sua madre non
aveva un facile accesso venoso ed una volta (era arrivata in cardiologia dopo
l’operazione già con la superficie cutanea coperta da ecchimosi) proprio quando non
cantavo mi è capitato di “bucarla” due volte. Forse fu la causa della loro opinione in
favore del canto e il sempre forte incoraggiamento che io prima di prendere l’ago in
mano devo necessariamente anche avviarmi al canto. Questa attribuzione, direi quasi
magica, al potere che il suono avrebbe sulla persona, e in questo caso riferita a me, l’ho
trovata più incline alle donne che al genere maschile. Tuttavia, riprendendo i primordi
storici sul dolore non si potrebbe a non trovare una radice che possa giustificare questa
posizione di pensiero, oggidì tanto poco comune.
Per la mancanza della proteina C
Incontrai Silvia, per la prima volta, al mese di ottobre. Quel giorno ha consegnato le
urine chiedendo di posticipare i tempi di pro-trombina, il suo prelievo ematico per il
dosaggio del farmaco anticoagulante che lei, secondo le odierne conoscenze
scientifiche, portando in sé una carenza genetica di proteina C, sarà vincolata ad
eseguire mensilmente per tutta la vita. Nei mesi successivi, pian piano, ho avuto
possibilità di conoscere sua madre, sorella, zii ecc., ma solo lei aveva un rilevato disagio
nei confronti del prelievo ematico.
Da subito la collega cercò di informarmi che la ragazza, allora trentatreenne, è un caso
particolare, che deve stare sempre coricata e che non sempre si sente di eseguirlo.
Il primo canto non era partito da me come proposta, ma fu lei stessa ad entrare
nell’ambulatorio nel mese di dicembre, poiché precedentemente, aspettando nella sala
d’attesa, sentendomi cantare ad un altro, è entrata dicendo che lei era venuta per “un
intervento musicale”. In pratica, mi aveva preceduto nella proposta, ma aveva anche
anticipato la mia successiva domanda che le avrei posto sulle preferenze musicali
dicendomi che preferiva “la musica etnica.”
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“Anche di altri spazi e nelle altre lingue?”, le chiesi e lei mi rispose: “Soprattutto in altre
lingue!” Immediatamente avevo pensato di offrirle Ederlezi, la canzone in lingua rom,
abbastanza conosciuta nell’occidente attraverso un film di Emir Kusturica, con gli
arrangiamenti musicali di Goran Bregović.
In breve riporto cosa mi riferì quella volta:
Ho chiuso gli occhi e ho visto Brad Pitt, nella scena del film The Snatch, dove lui
interpreta la parte dello zingaro che in ginocchio piange per la morte di sua madre,
davanti alla roulotte che sta bruciando. In questa scena si era inserita un’altra dove
una“zingara” vestita in una gonna di color viola, e cucita d’oro, danzava ruotando
intorno a se stessa.
In quel modo cominciò la nostra corrispondenza con il mio ruolo di musico-prelievista
che si svolgeva, al massimo, in 5 minuti complessivi di tempo. Lei invece di
concentrarsi sull’ago volgeva lo sguardo a me continuando a sorridermi. Non è mai
svenuta come riferito nel suo passato clinico, non rimaneva mai sdraiata oltre la durata
del prelievo stesso e si alzava velocemente, cercando di condividere con me una parte
della sua esperienza.
Forse, l’unico aspetto potenzialmente non positivo, rispetto all’intervento tradizionale,
era che S. con la musica tendeva a distrarsi così tanto che spesso e volentieri si
dimenticava di tenere ben premuto il cotone. In persone sottoposte a trattamento
anticoagulante, se si trascura questo passaggio, facilmente può rimanere per qualche
giorno, il segno.
E così, un mese dietro l’altro pensavo in anticipo a quale canzone etnica, di che paese e
in che lingua, applicare su di lei. In questo caso, avendo una collega accanto io
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abitualmente preparo, dispongo le provette e somministro il canto, mentre l’altra esegue
la parte infermieristica. Nell’ultimo mese ci siamo messe d’accordo di farle partecipare
a questo intervento, ma stavolta, completamente eseguito da me sola,71 come nei
ricoverati interni dove non ho altra scelta.
Tuttavia, ritengo che sia molto importante che lei si renda conto che la musica sta fuori
di lei, ma l’effetto musicale, l’immaginazione, la sensibilità e la capacità di far fronte al
disagio storcendolo nel benessere psicofisico, sono risorse insite e nell’individuo.
Una volta, durante i mesi trascorsi ed era avvenuto con la proposta dell’altra infermiera,
le recitai la poesia di Sarah Brown (in italiano) Antologia di Spoon River di Edgar Lee
Masters72 che lei richiese anche dopo qualche mese di risentire ancora.
Partendo dal mese di gennaio le chiesi di compilarmi ogni volta il modulo di
valutazione dell’intensità del dolore e dell’ansia.
Ritengo che la sua testimonianza, che io ho cercato di trascrivere dalla registrazione del
nostro dialogo, di cui lei ha consentito anche l’emissione pubblica, e che riporterò in
seguito, sia utile per comprendere quanto, in persone giovani e con buone capacità
cognitive, un prelievo ematico, un intervento apparentemente così piccolo e banale
possa causare delle problematiche significative.
Giovedì, 19 Aprile 2007: Praticamente, la nostra è una malattia ereditaria, e quindi c’è
questa mancanza di proteina C nel sangue. L’abbiamo scoperto perché mia nonna ha
avuto un ictus e in giovane età mia sorella ha avuto questa tromboflebite, una cosa un
po’ insolita. E quindi, siamo stati sottoposti agli esami. Sono venuti degli americani
nell’ospedale di Parma perché avevano questo sospetto che fosse una carenza a livello
genetico, di tutto il ceppo familiare. E infatti, poi, da questi risultati è scaturito che
tutta la famiglia T. ha questa carenza di proteina C, con il sangue molto denso. La mia
nipotina, figlia di mia sorella, pure.
Fatto sta che siamo andati a Parma a fare questi esami e lì diciamo che è stato il mio
primo prelievo.
71
solo come, proposta di un piccolo e temporaneo cambiamento e non per cercare di sostituire la mia
espertissima collega, che lavora da 30 anni e a quelle io devo molto per la buona tecnica infermieristica
che lei ha voluto trasmettermi ed io ho potuto assimilare ed in seguito anche applicare.
72
Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio la vita di una delle persone sepolte nel cimitero di un
piccolo paesino della provincia americana.
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- A quanti anni?
Ma, ero già sù perchè avrò avuto, 15 anni, ed ero gia con la fobia. Cosa feci? Io, come
adesso dici anche tu, prova con l’immaginazione. Io mi presento con il walkman, mi
sdraio sul lettino, faccio finta di essere distesa su un prato, musica un po’ alta.
- Quindi, tu avevi paura già prima di fare quel prelievo?
Praticamente i cinque giorni prima di questo intervento io li ho vissuti da incubo. Cioè,
io volevo fermare il tempo, non volevo, avevo un rigetto verso questa cosa.
-Ho capito.
Poi, quando sono arrivata là, ho detto con me stessa, mi metto il walkman con la
musica che mi piace, faccio finta di non essere in un ospedale, faccio finta di essere in
un campo. Volevo proprio cancellare, estraniarmi da tutto.
- E dunque, com’è andata?!
Ho fatto il prelievo ed andava bene, ma al momento quando ho aperto gli occhi,
mettendo i piedi per terra vedendo veramente dove mi trovavo, ti ripeto, sudorazioni in
una vampata di tre secondi, cioè tremolio da freddo, sudorazioni, fino a perdere
praticamente i sensi.
Poi, ho fatto pochi prelievi nella mia vita, anche… va bè, adesso guarda cosa mi è
capitato, Fatti forza ragazza perché…
E niente, andavo anche a Piacenza in ospedale, qui avrò avuto diciassette anni, ma
anche lì lo svenimento e dovevano chiamare proprio il medico. Mi alzava le gambe, mi
provava i battiti, perché era proprio un collasso, proprio una forma nervosa, che ne so
io.
- Cioè, ti sembrava più forte di te?
Ma io non volevo assolutamente che capitasse, ma non riuscivo a fare altrimenti.
Facevo forza, facevo forza, poi, alla fine, magari facevo forza e poi come mi alzavo
“boom”, per terra.
Niente, rimanevo lì distesa, loro lasciavano aperte tutte le finestre mentre mia madre
fuori
aspettava, vedeva che uscivano tutti gli altri dicendo “e mia figlia”.
Dopo, i prelievi non li ho più fatti fino a quando non devo subire questo intervento alla
cisti ovarica. Quindi, figurati, un intervento chirurgico, quanti prelievi mi faranno,
flebo, no!!
- Ma non avevi paura dell’intervento che è più grave delle incisioni con l’ago?
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No, perché pensavo, sono completamente anestetizzata. Dicevo, oh, la flebo quando mi
mettono l’ago fisso lì e quando mi giro lo guarderò, averlo conficcato nella vena.
Perché, quello proprio che mi provoca la fobia è l’ago dentro la vena che tira fuori il
mio sangue. Per dirti le punture sulla natica assolutamente io ne potrei far cento.
Faccio il
vaccino sulla spalla, è proprio l’ago in vena e il tirar fuori il sangue. Anche la vista
del sangue.
Infatti nel primo prelievo che ho fatto, questi americani, non mi avevano tolto una
siringa, praticamente mi hanno messo la farfallina e hanno dovuto riempire un bel po’,
una boccetta bella grossa, quindi è stata un soffocare questa emozione che tenevo
dentro. Non era nemmeno tanto la quantità, ma più il tempo che ci mettevano. Più una
cosa è veloce e quindi dici, ma sì, dura talmente poco che resisto, invece sapere già a
priori che sarebbe durato un po’ di più, ha aumentato l’ansia ed è arrivato proprio
a…E niente, poi quando sono stata ricoverata, non ti dico quanti prelievi mi avevano
fatto perché con questa carenza della proteina C, mi hanno dovuto preparare
all’intervento. Mi hanno iniettato la proteina C che mi manca e ogni tre secondi per
fare gli esami del laboratorio per vedere se…
-Che destino...
E sì! Sai che, poi mi accorgo che se poi ci sono in mezzo, devo affrontarlo. Per
esempio adesso sono vincolata al prelievo per il resto dei miei giorni, ho questa
pastiglia, allora mi faccio forza.
- Cosa prendi tu?
Il Coumadin.
Faccio forza e mi dico, ma sì, cosa vuoi, un prelievo e poi avendone fatti cosi tanti, mi
ha un attimo aperta la mente. Però, era molto importante che venivo a farlo perché poi
mi era capitato di essere ricoverata per una tromboflebite ed una ragazza nel mettermi
la flebo mi aveva rotto la vena, facendomi diventare il braccio così (grande). Quindi
per me è molto importante chi fa il prelievo. Devo familiarizzare molto, devo
sdrammatizzare molto, quindi se mi capita già una paurosa, con la mano che le trema,
che vedi che sbaglia, io degenero, vado su tutte le furie.
Per me è molto importante, mi deve dare prima di tutto la fiducia, e poi se mi
sdrammatizza, o appunto come hai fatto tu, con questo canto, per me è la pace più
totale.
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5
Conclusioni
“Una sola è la forza e non una sola con la quale tutte queste cose
e quelle d’altra specie vengono governate;
l’una serve per la vita del tutto e di parte,
l’altra che non è una sola
per le sensazioni del tutto e di parte.”
Ippocrate “Scritti scelti”
5.1 Conclusione della mia osservazione
Durante il periodo della mia esperienza clinica focalizzata alla gestione dei
disagi e delle problematiche, nella mente ferita da avvenimenti traumatizzanti, pertinenti
al dolore e all’ ansia con apporto musicale, ho potuto constatare che avere il dolore è
avere la “certezza” (per chi lo prova), mentre il sentire parlare del dolore è avere dei
“dubbi” (per chi lo ascolta). Il dolore, essendo un fenomeno altamente soggettivo è
misurabile solo da chi lo vive, deve essere sempre preso in considerazione, mai
screditato. In sostanza esso resiste alle obiezioni verbali e non mi stancherò mai di
ripetere che il dolore è un’intensa esperienza umana che ha l’impatto su tutte le
dimensioni della qualità della vita.
Il dolore è l’emozione, la musica è l’emozione e la musica e le immagini mentali
girano assieme. La musica, perciò, si dimostra come un sicuro rifugio contro il dolore.
L’immagine come un flash sensoriale codificando la percezione traduce le emozioni.73
E ancora facendo il giro della catena dolore-musica-immagine, è proprio la musica
l’agente che può aiutare ad eliminare il dolore servendosi dell’immaginazione come un’
“asilo della psiche”. Inoltre, inducendo al rilassamento aiuta a ridurre lo stress e le
tensioni, in quanto l’ansietà incrementa la tensione muscolare che è usualmente il
fattore che aggrava il dolore.
La musica, dunque, attiva la produzione delle endorfine e aiuta il cervello nella
creazione delle immagini, permettendo la temporanea fuggita in un mondo senza dolore,
73
L. Casadio, (la dispensa in FAD musicoterapica dell’Istituto Meme), Psicologia clinica: Dalla
Psicologia dell’Arte, all’Arte-Terapia.
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dietro il riparo dell’immaginazione. Le immagini mentali, in questo senso, sono dovute
alla sensazione estetica che l’arte produce. E la mente è pensata come contestuale,
estetica, con un pensiero “poetico” che non descrive “realtà oggettive”, ma pensa
“artisticamente”.74
Che il succo della musicoterapia è proprio nell'influenza psicologica della
musica, dei suoi influssi sul sistema nervoso, i correlati affettivi che si mettono in atto e
sul tutto quanto può essere governato da questo, sto trovando confermarsi ogni giorno
nella mia pratica clinica. Per di più, ho potuto riconoscere che non tutti i partecipanti
hanno la stessa reazione umorale agli stessi stimoli sonori (pezzi), ma esiste un tipo
modale comune della risposta, che è predicibile in diversi tipi di musica. Si potrebbe
parlare altresì di una loro risponsività innata, assimilata e formata dall’esperienza e
sensibilità individuale, della quale tener conto; anche se il principio base del criterio di
prima scelta nella somministrazione sonora sarebbe l’identità sonora universale della
persona.
Tra le teorie citate per spiegare i meccanismi dell’effetto musicale nel
sollevamento del dolore sono state incluse: la distrazione e/o l’attenzione selettiva,
l’alterazione della focalizzazione percettiva, la teoria del cancello, la liberazione delle
endorfine, il rilassamento e l’abreazione o la catarsi.75 Oltre ciò, in nome di una visione
olistica del cervello l’approccio cognitivistico prevede la non-distinzione fra
l’elaborazione corticale del dolore e quella più prettamente limbica.76
In ultimo, vorrei sottolineare che trovo un dovere personale e professionale
prendermi cura del paziente nella sua totalità, cercando di occuparmi dell’intero
“universo” della persona, perché riconosco e cerco di valorizzare la dignità e l’integrità
umana. Non solo “fare” per loro, ma pure “esserci” e questo non è affatto facile (al di
là dei limiti e la non costanza nelle risorse umane personali) a causa delle condizioni
74
Ivi.
75
Da Aristotele chiamata la catarsi. In psicoterapia, la scarica emozionale attraverso la quale un soggetto
si libera di un trauma antico i cui termini essenziali sono rimasti inconsci.
76
Bertirotti A., Cobianchi S., La musica nel trattamento del dolore. Società, medicina e neuroscienze
(vedi biblio.).
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organizzative cliniche e dei tempi, che spesso risultano sfavorevoli alla sua
realizzazione.
5.2 Conclusioni generali
Il dolore è una delle esperienze umane più complesse. La valutazione e il
trattamento del dolore devono essere indirizzati verso gli aspetti psicologici, sensoriali,
affettivi, cognitivi, comportamentali e socio culturali. Il più efficace trattamento per tutti
i dolori è un approccio bilanciato e polimodale il quale combini tutte e due le strategie,
farmacologica e non.
Chiaramente, la gestione del dolore è da considerare come un processo
interdisciplinare; tuttavia, in quanto sta a raffigurare un collegamento chiave
nell’assistenza, molte organizzazioni professionali hanno riconosciuto l’infermiere nel
ruolo centrale, nell’amministrazione degli interventi e nell’evoluzione dell’impatto di
questi nell’individuo. La scienza infermieristica degli ultimi tempi è stata integrata con
le discipline complementari non farmacologiche, compreso lo studio degli effetti potenti
della musica sulla salute umana. Anche la pioniera del nursing, Florence Nightingale, in
uno suo scritto riconobbe il potenziale curativo della musica nel trattamento della
malattia.77
Nella modificazione e nel controllo del dolore attraverso le tecniche
psicologiche come lo è la musicoterapia, appunto, per quanto richiesto dalle nuove
prospettive di cura, viene presa in considerazione e valutata, non solo la salute fisica,
ma anche il benessere emotivo, la funzione sociale, più la comunicazione, le capacità
cognitive e le abilità dei pazienti. L’approccio olistico alla cura e alla gestione del
dolore, la sua mancanza degli effetti avversi, spesso e volentieri contingenti e
“compagni” della chirurgia e dei farmaci, nonché l’apertura della possibilità,
finalmente, di personalizzazione del trattamento sono le ragioni primarie perché la
musica in e come terapia cominci ad attrarre e, a mio parere, possa e debba essere
valorizzata sempre di più.
77
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88
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