CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,70 SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/ BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158 ANNO XL . N. 261 . GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 EURO 1,30 IL PRESIDENTE AMERICANO NELLA CASA BIANCA DOPO LA CONFERENZA STAMPA POST-ELEZIONI/FOTO REUTERS ALL’INTERNO OBAMA DIMEZZATO ULTIMO FANGO Il Copasir convoca Berlusconi Marco d’Eramo Sul caso Ruby il comitato presieduto da D’Alema chiede di sentire il premier. L’«imbarazzo» del Forum delle famiglie per lo stile di vita del Cavaliere. E il Pdl perde altri pezzi PAGINA 6 L’ America non sa dove sbattere la testa; ecco l’identikit degli Stati uniti che emerge dal voto di martedì. È andata alle urne una società che ha pignorato la casa e sbattuto per strada 2,8 milioni di famiglie solo nel 2009 (e quest’anno va peggio), che ha licenziato 15 milioni di cittadini e altri 15 ne ha relegati in lavoretti, e sta per privare del sussidio di disoccupazione una decina di milioni di persone. E che è bombardata dai messaggi più contraddittori: accusa i banchieri di Wall Street per la crisi attuale e poi vota per il partito di questi banchieri. Una società che si sente impotente contro una fatalità che attribuisce via via agli immigrati illegali, alle esportazioni cinesi, al fosco mondo dei politicanti di Washington, al complotto socialista e anticoloniale di un nero come Barack Obama. Una società manipolata dai finanziamenti occulti dei multimiliardari (in dollari), dal martellio delle tv di destra come Fox news, dal trapanamento cerebrale dei radiopredicatori, dalla retorica del capro espiatorio. Se non fosse per questo contesto, verrebbe da dire «calma e sangue freddo» ai democratici e ai progressisti che si vedono relegati a minoranza dopo appena due anni di potere, e che paventano per Obama la disfatta nel 2012. Da sempre le elezioni a metà del mandato presidenziale segnano la sconfitta del partito al potere (unica eccezione recente nel 2002, un anno dopo l’11 settembre e in pieno clima di guerra). La batosta fu brutale per Bill Clinton nel 1994. Clinton fu poi rieletto nel 1996: però allora l’economia tirava. Nel 1982 invece era recessione, e alla Camera i repubblicani di Reagan furono schiacciati (166 contro 269 democratici), un rapporto peggiore di quello – inverso – che regna da oggi: 185 democratici e 239 repubblicani (11 seggi non sono ancora attribuiti). Al Senato invece, come i repubblicani sotto Reagan, così i democratici sotto Obama mantengono il controllo (anche se con un margine più esiguo): hanno già 51 senatori, contro 46 dei repubblicani, e restano ancora 3 seggi da attribuire. E nel 1984 Reagan fu rieletto trionfalmente. Da oggi, al di là degli ostentati propositi di aperture bipartisan e disponibilità al compromesso, nei palazzi di Washington si combatterà una guerriglia di corridoio, si trameranno imboscate legislative, trappole procedurali per aggirare una sostanziale situazione di stallo istituzionale. I democratici sono stati puniti – soprattutto dall’astensione dei propri elettori – per aver tradito il mandato che era stato loro affidato, per non aver difeso la piattaforma su cui erano stati eletti, per – diciamola tutta – la loro smisurata viltà politica. Ma a essere sconfitta in modo ancor più irreparabile è l’economia statunitense. Con il rapporto di forze istituzionale emerso dalle urne, non si vede come sarà possibile generare quei milioni di posti di lavoro che soli potrebbero rendere più respirabile l’atmosfera politica. E la stagnazione economica rischia di precipitare il collasso culturale che il voto di ieri fotografa. FINANZIARIA No a Tremonti, i finiani stanno con l’opposizione Alla camera maggioranza spaccata in commissione Bilancio. Sulla manovra finiani pronti a votare con Pd, Udc e Idv su editoria, università, fondi per il Sud e tagli agli enti locali. PAGINA 7 SINDACATO Arriva Camusso E tutti sperano in «un’altra Cgil» Con il 79% dei consensi Susanna Camusso è la nuova segretaria. Ma i 12 astenuti segnalano un disagio che va oltre la minoranza interna. Cisl, Uil e imprese sperano nel «dialogo» PAGINA 9 I Repubblicani conquistano la Camera e dieci nuovi governatori, il Senato ai Democratici. Obama: «È colpa mia, la gente non ha capito il cambiamento, è frustrata dalla crisi». Ai vincitori: «Lavoriamo insieme». Tea Party, nasce in Florida la stella Rubio PAGINE 2, 3, 4, 5 Notte americana CRISI ITALIANA GIUSTIZIA Uscire dall’era berlusconiana Magistrati a sinistra, l’eresia da ritrovare Alberto Asor Rosa Livio Pepino on sono certo che l’era berlusconiana sia finita. Sono invece certo, certissimo, che ogni giorno che passa il proseguimento dell’era berlusconiana porta il paese sempre più verso la catastrofe. Perché non proviamo a ragionare per punti, secondo le regole di una buona sequenza logica? Ora, il punto iniziale di ogni corretto ragionamento oggi, quale che ne sia poi lo sbocco finale, - quale che ne sia, ripeto, lo sbocco finale, - è che il proseguimento dell’era berlosconiana porta il paese sempre più verso la catastrofe: catastrofe politica, istituzionale, economica, sociale, civile, morale. CONTINUA |PAGINA 10 redevo non fosse una notizia. Ma visto che è diventata tale non ho difficoltà a spiegare. Sì, dopo oltre quarant’anni e senza esservi costretto da ragioni di età, lascio la magistratura e Magistratura democratica. C’è, in questa scelta, la curiosità intellettuale e pratica di esplorare altre strade per contribuire a tutelare (spero in modo più incisivo) i diritti e l’uguaglianza di chi non ha diritti ed è meno uguale. Ma c’è anche una componente politica. Dal gennaio 1970, quando entrai in magistratura (era l’indomani della strage di piazza Fontana), la società e la magistratura sono profondamente cambiate. CONTINUA |PAGINA 6 BELLA CIAO A SANREMO Una par condicio da piano bar Alberto Piccinini N BRESCIA l PAGINA 8 C FESTIVAL DI ROMA l PAGINE 12, 13 A trenta metri sopra il cielo «Boardwalk Empire», il ritorno la protesta di cinque immigrati gangster di Martin Scorsese C ome diceva quella vecchia battuta di Nanni Moretti? «Rossi e neri tutti uguali?! Ma che siamo in un film di Alberto Sordi?». Più o meno. Il prossimo presentatore del Festival di Sanremo Gianni Morandi rivela ai giornalisti che una serata della kermesse sarà dedicata all’Unità d’Italia attraverso le canzoni e «si tornerà a sentire Bella ciao». Il direttore artistico del Festival Gianmarco Mazzi si affretta ad aggiungere che «un big canterà pure Giovinezza», che nacque – aggiunge – come canzone della goliardia toscana dei primi del Novecento. Per non strumentalizzare. E ci mancherebbe altro. Se così si prepara lo scenario culturale del dopo-Berlusconi (che a Bella ciao si è sempre detto allergico), stiamo freschi. Va bene che Bella Ciao è risuonata nella versione rock dei Modena City Ramblers pure al Congresso di Sinistra e Libertà, dopo l’intervento di Nichi Vendola. CONTINUA |PAGINA 13 pagina 2 il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 CONTROPIANO terraterra M anca meno di un mese al vertice mondiale sul clima che si riunirà a Cancun, in Messico (29 novembre-10 dicembre), dove i governi di circa 200 paesi cercheranno di riprendere i cocci di quello di un anno fa a Copenhagen per elaborare un nuovo accordo mondiale su come fermare il riscaldamento globale del Pianeta. Copenhagen era stato un fallimento: nessun accordo, a parte una «dichiarazione» di intenti che non fu neppure fatta propria da tutti gli stati presenti. Neanche questa volta un accordo è scontato: e uno dei nodi è l’opposizione tra molti paesi «in via di sviluppo» (tra cui la Cina, paese dall’evidente peso politico oltre che economico) e la gran parte di quelli industrializzati (Stati uniti e Unione europea in testa) sulla natura del nuovo trattato: dovrà continuare la formula di Kyoto, con obblighi vincolanti per i paesi industrializzati e impegni volontari per quelli «in via di sviluppo»? O al contrario prevarrà quello che gli Stati uniti chiamano «nuovo paradigma», in cui tutti i paesi «grandi emettitori» di gas di serra (quindi industrializzati ma anche grandi nazioni in via di sviluppo come Cina, India o Brasile) si impegnano a prendere misure volontarie ma verificabili per tagliare le emissioni, investire in economia sostenibile eccetera? Lo stato dei negoziati preliminari fa pensare che neppure il vertice di Cancun riuscirà ad approvare un accordo. Il vertice messicano però potrebbe portare a decisioni importanti in materia di politiche ambientali globali, e per questo molti pezzi di società civile organizzata hanno deciso di esserci e farsi sentire. Un segnale è la riunione organizzata dal International Forum on Globalisation (Ifg), rete internazionale di attivisti emersa negli anni ’90 come centro di riflessione oltre che di collegamento tra movimenti sociali (quelli che hanno avuto un ruolo importante nel condizionare il famoso vertice del Wto a Seattle, dicembre ’99). Alle alleanze globali costruite allora faceva appello la riunione organizzata dal Ifg in Messico a fine settembre, in vista del vertice di Cancun. L’idea è rilanciare il «movimento dei movimenti» per imporre reali limiti ecologici all’economia globale, leggiamo in un resoconto messo in rete da Victor Menotti, che ha rappresentato il Forum alla riunione di settembre a Felipe Carrillo Puerto, non lontano da Cancun, dove si sono incontrati rappresentanti di organizzazioni contadine e di popolazioni indigene, sindacati, organizzazioni studentesce e rappresentanti di enti locali, dal Messico e da paesi come Kenya, Filippine, Bolivia, Brasile. Tre giorni di confronto hanno fatto emergere come e perché le comunità rurali, contadini, indigeni vedono il cambiamento del clima come una questione urgente. Ad esempio nel Messico rurale, dove i raccolti di mais stanno fallendo per un’ondata decennale di siccità (nonostante le recenti alluvioni e uragani, accompagnati da frane, che stanno anche distruggendo le foreste della regione maya). L’intento era sottolineare il legame tra le decisioni dei governi e l’impatto reale del cambiamento climatico sulle economie rurali e urbane. Dice Menotti: una delle priorità a Cancun sarà imporre il riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità che dipendono dalla foresta e dalle economie rurali, ad esempio quando si tratta di definire i meccanismi di «riduzione delle emissioni da deforestazione» (Redd) - si pensi che quasi il 20% delle emissioni globali di anidride carbonica è attribuibile proprio alla distruzione di foreste tropicali. Insomma: a Cancun le organizzazioni indigene e rurali del globo intendono farsi sentire. MID TERM Marina Forti Il Forum globale sul clima Valanga repubblicana, Obama «anatra zoppa» La destra ribalta la situazione alla Camera, dove diventa maggioranza con 239 deputati contro i 185 dei democratici. Anche al Senato i conservatori guadagnano posizioni, ma il partito del presidente mantiene 51 seggi su 100. Dopo il terremoto, la stagione di Barack è a un bivio Marco d’Eramo il manifesto DIR. RESPONSABILE norma rangeri VICEDIRETTORE angelo mastrandrea CAPOREDATTORI marco boccitto, micaela bongi, michelangelo cocco, sara farolfi, massimo giannetti, giulia sbarigia, roberto zanini, giuliana poletto (ufficio grafico) Consiglio di amministrazione PRESIDENTE valentino parlato CONSIGLIERI miriam ricci emanuele bevilacqua ugo mattei gabriele polo (direttore editoriale) DIR. GENERALE claudio albertini il manifesto coop editrice a r.l. REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 roma via A. Bargoni 8 fax 06 68719573, tel. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB: www.ilmanifesto.it TELEFONO: 06 68719.1 TELEFONI INTERNI AMMINISTRAZIONE 690 SEGRETERIA 576, 579 LETTERE 578 - PROMOZIONE 330 ARCHIVIO 310 - POLITICA 530 MONDO 520 - CULTURE 540 TALPALIBRI 549 - VISIONI 550 SOCIETÀ 590 - ECONOMIA 580 SEDE MILANO AMMINISTRAZIONE-ABBONAMENTI via ollearo 5 20155 (h.9-13) TELEFONO 02 45071452 REDAZIONE via pindemonte, 2 20129 milano TELEFONO 02 77396240 [email protected] SEDE FIRENZE via maragliano, 31a 50144 firenze TELEFONO 055 363263 FAX 055 354634 iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo euro 260 semestrale euro 135 i versamenti c/c n.00708016 intestato a “il manifesto” via A. 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E quando gli hanno chiesto come si sentiva dopo questa sconfitta, ha risposto con una sola, sincera, efficace parola: «Male». E starà peggio nei prossimi mesi. Basta ricordare le commissioni d’inchiesta su Bill Clinton che i repubblicani vararono nel 1994, dopo aver conquistato la maggioranza schiacciante alla Camera, investigazioni che si conclusero con un tentativo di impeachment. C’è da aspettarsi che la nuova maggioranza repubblicana istituirà organismi simili, con obbiettivi affini, per spargere fango su Obama, sul suo «comportamento anticoloniale». Ma questo è solo uno dei tanti problemi politici che emergono dal voto. Che la vittoria sia repubblicana e la sconfitta democratica, è fuori di dubbio. Ecco i numeri: alla Camera i repubblicani hanno conquistato 60 seggi, ribaltando i rapporti di forza: nella legislatura precedente i democratici avevano una maggioranza di 257 seggi contro 178 repubblicani; ora i repubblicani sono 239 e i democratici 185, ma 11 seggi restano da attribuire, quindi alla fine l’elettorato avrà sancito un sostanziale capovolgimento. Al Senato i repubblicani hanno guadagnato sei seggi, i democratici ne hanno perso sei, ma conservano la maggioranza perché hanno 51 senatori su 100 (sui tre seggi ancora indecisi, i democratici sono in leggero, precario vantaggio in due – Colorado e stato di Washington sulla costa del Pacifico – mentre in Alaska, dove è in vantaggio una repubblicana, ci vorranno settimane per conoscere il risultato). Martedì si votavano anche i governatori di 37 stati: i repubblicani ne hanno guadagnati 8 e altrettanti ne hanno persi i democratici. Ora, su 50 stati i democratici ne governano 16, i repubblicani 29, gli indipendenti 1: 4 stati sono ancora incerti. Rinnovati anche molti parlamenti statali. Queste due elezioni avranno un enorme peso, perché gran parte dell’attuazione della riforma sanitaria è affidata ai singoli stati. Se questi stati si rifiutano di applicarla – come ha già fatto il Missouri –, la riforma diventa lettera morta ed è vanificata senza neanche bisogno di abrogarla a Washington. La domanda di fondo è se il terremoto politico di martedì lascerà o meno in macerie il governo federale degli Stati uniti. C’è da capire cioè quale sarà nel nuovo parlamento il peso reale del Tea Party che i mass media hanno descritto come il vero trionfatore di questo voto: riuscirà a imporre la sua filosofia inarco-reazionaria a tutto il partito repubblicano? Ancora è presto per valutare quanti dei 93 candidati che il Tea Party presentava alla Camera sono stati poi eletti. E se è vero che al Senato delle figure di primo piano del Tea Party sono state elette, come Rand Paul in Kentucky e Marco Rubio in Florida, è anche vero che sono state sconfitte clamorosamente altre esponenti famose come Christine O’Donnell in Delaware e Sharron Angle in Nevada, mentre rischiano di perdere altri candidati di questa formazione, come Joe Miller in Alaska e Ken Buck in Colorado. Contro la retorica dominante, si potrebbe persino dire che se i democratici hanno mantenuto un (fievole) controllo sul Senato, è solo grazie al Tea Party che gli ha lasciato quei due o tre seggi decisivi. Va detto anche che in Illinois la presenza del candidato verde è stata decisiva per la sconfitta democratica: Alexis Giannoulias ha perso per 46,1% contro 48,3% a Mark Kirk, con uno scarto (del 2,2%) inferiore ai voti raccolti dal candidato verde (3,2%). La vera domanda è quindi : cosa succederà in seno alla destra? Ci sarà una presa di controllo totale del Tea Party sul partito repubblicano? Già il 14 novembre si terrà a Washington un summit di questa coalizione di movimenti. L’egemonia del tea Party vorrà forse dire un muro contro muro con il presidente democratico? L’obiettivo già dichiarato dei repubblicani è «fare di Obama il presidente da un solo mandato», un nuovo Jimmy Carter. Oppure i cosiddetti repubblicani moderati giocheranno il gioco della triangolazione? Bisogna ricordare che già molte volte i repubblicani avevano usato come ascari le precedenti incarnazioni del Tea party: la Moral majority per Ronald Reagan, i Christian conservatives per George Bush jr.: ogni volta, li avevano usati come «utili idioti», utili per le elezioni, da tenere al guinzaglio nella gestione degli affari. Riusciranno a imbrigliarli anche stavolta? E che prezzo dovranno pagare? Lato democratici, il senatore del Nevada Harry Reid è probabilmente riuscito a salvare la sua poltrona di presidente del Senato (così si può tradurre la figura di Speaker della maggioranza). Invece almeno uno scopo il Tea Party l’ha già raggiunto ed è quello di cacciare la (fino a gennaio) presidente della Camera, la deputata californiana Nancy Pelosi. E già si fanno i nomi per il profondo rimpasto che questo voto provocherà nella Casa bianca. Prima del voto erano già usciti di scena nell’ordine il direttore della National Intelligence ed ex ammiraglio Dennis Blair, la presidentessa del Council of Economic Advisers, Christina Rohmer, il direttore del Bilancio Peter Orszag, il consigliere speciale per l’economia Larry Summers e infine il capo dello staff della casa bianca Rahm Emanuel che ha lasciato il suo posto per candidarsi a sindaco di Chicago. Per la sinistra del partito democratico la sconfitta più dolorosa è quella – dopo 3 mandati – del senatore del Wisconsin, Russ Feingold, e per una duplice ragione: perché il questo stato è proverbialmente di sinistra, tanto che è diventata un modo di dire l’espressione «spirito del Wisconsin», e poi perché Feingold è il senatore più indipendente, più razionale e determinato della sinistra democratica: è l’unico che nel 2001, appena dopo l’11 settembre, votò contro il Patriot Act che instaurava una legge d’emergenza e aboliva molti diritti civili tra cui l’Habeas corpus, e l’anno dopo fu uno dei soli 28 senatori che votarono contro la guerra in Iraq. La sua sconfitta mostra lo sconquasso che sta sconvolgendo la geografia politica Usa. L’ultimo problema che quest’elezione apre riguarda il presidente Barack Obama: il rischio di Obama è di continuare a ripetere la sua solfa bipartisan, come ha già fatto a sue spese, e vanamente, nei primi due anni del suo mandato. La conferenza stampa di ieri lo ha confermato. Obama continua a credere (o a far finta di credere) che i repubblicani siano interessati alla prosperità dell’America, mentre invece a loro importa solo di maciullarlo a cannonate. Come dovrà constatare assai presto. 29 REPUBBLICANI In 37 stati si eleggono i governatori Ohio a destra Il partito repubblicano ottiene importanti vittorie anche nella corsa per l'elezione dei governatori (si votava 37 stati). Secondo i primi risultati, i repubblicani avrebbero conquistato 10 mandati che prima erano dei democratici. In Iowa si rivede Terry E. Branstad (governò per 4 mandati dal 1983 al 1999). In Kansas Sam Brownback ha trionfato su Tom Holland (63.4% contro un 32.1%). In Michigan il moderato Rick Snyder ha avuto la meglio su Virg Bernero. Nel democratico New Mexico battendo Diane Denish (attuale vice-governatrice) l’ispanica Susana Martinez diventa la prima donna a governare lo stato. In Ohio si è consumata una delle più pesanti sconfitte per i democratici: John R. Kasich ha scalzato l’uscente Ted Strickland che il presidente Obama era andato ad appoggiare a Cleveland, nella ultima tappa del suo giro elettorale, domenica. In Oklahoma con il 60% delle preferenze Mary Fallin (assennata nel sostenere la legge dell’Arizona contro l’immigrazione e contro la riforma sanitaria) diventa la prima donna a governare lo stato. In Pennsylvania debacle dei democratici: passa Tom Corbett, perdono un seggio in senato e 5 al Congresso. Repubblicani anche Tennessee, Wisconsin e Wyoming. Si confermano a destra: Idaho, Nevada, Utah, Arizona, Alaska, South Dakota, Nebraska, Texas, Alabama, Georgia, South Carolina, Maine. In Florida passa Rick Scott appoggiato dai Tea Party. In bilico Connecticut e Oregon. Il Rhode Island passa il candidato indipendente conservatore Lincoln Chafee. TENDENZE Ha votato il 41% Sale l’astensione di neri e latinos M. d’E. N egli Usa nessun giornale, nessuna tv fornisce le cifre dell’affluenza al voto. Dopo qualche ricerca si scopre che dovrebbe aver votato il 41,4% degli aventi diritto (ma solo il 38,2% degli aventi l’età: infatti tra i maggiorenni ci sono 4,6 milioni di americani che non possono votare perché stanno scontando una pena in galera o in libertà vigilata). Per fare un paragone, nella presidenziale del 2008 votò il 62,2% degli aventi diritto, una buona metà in più. Ovvero, ieri hanno votato 90 milioni di americani, contro i 131 milioni del 2008: mancano all’appello ben 41 milioni di votanti (praticamente tutto il corpo elettorale italiano). Di questi 41 milioni che hanno deciso l’elezione, 6 milioni di astenuti in più hanno tra i 19 e i 29 anni, e 11,6 milioni tra i 20 e i 44 anni d’età. Nel 2008 questi due gruppi insieme rappresentavano il 36 % dei votanti, quest’anno sono solo il 33 %. I repubblicani hanno guadagnato perché, con la maggiore astensione dei sotto i 45, è aumentato il peso relativo dei sopra i 45, fascia di età che da sempre vota repubblicano. Neri e ispanici hanno continuato a votare in massa per i democratici, al 90% i neri, al 66% i latinos, ma il loro peso è rimasto identico, il che vuol dire che la loro astensione è cresciuta come quella dell’elettorato generale. I democratici sono stati penalizzati dalla maggiore astensione relativa degli elettori più disagiati: quelli con un reddito annuo di meno di 50.000 dollari lordi (36.000 euro) sono stati il 37% dei votanti quest’anno, mentre erano il 40% due anni fa. All’inverso, i redditi di più di 50.000 dollari sono stati il 63% dei votanti, contro il 60% nel 2008. il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 CONTROPIANO BARACK OBAMA IERI ALLA CASA BIANCA. A DESTRA, LA CANDIDATA TEA PARTY CHRISTINE O’DONNELL, SCONFITTA IN DELAWARE, CONSOLATA DALLA MADRE/FOTO REUTERS CRISI Quel vicolo cieco dell’economia Joseph Halevi L ULTRADESTRA · Batoste in Nevada e Delaware Il tea party non sfonda, s’appanna la stella Palin Giulia d’Agnolo Vallan NEW YORK È Le donne si sono astenute meno degli uomini: nel 2008 erano il 51% dei votanti, quest’anno sono il 53%. Ma è nel voto femminile che i democratici hanno perso di più. Le donne sono infatti storicamente un loro bacino elettorale: nelle tornate precedenti le donne bianche si dividevano alla pari tra democratici e repubblicani, le donne nere votavano massicciamente democratico, come pure le single (di tutte le razze), mentre le madri di famiglia pendevano più a destra. Quest’anno, ed è soltanto la seconda volta in 28 anni, le donne si sono divise a metà, mentre i repubblicani hanno raccolto il consenso di una sostanziale (57%) maggioranza di donne bianche. Per il resto, le indicazioni confermano le tendenze tradizionali. I repubblicani hanno un forte appoggio dai bianchi maschi, dai redditi sopra i 100.000 dollari, dai protestanti bianchi ed evangelici. Interessante è che i cattolici, dopo aver preferito i democratici nelle ultime due elezioni, si sono riportati quest’anno sul Gop (Grand Old Party), i repubblicani. Ancora più illuminanti sono le motivazioni che hanno determinato il voto: il 62 % degli elettori è stato spinto alle urne dall’economia, solo il 18% dalla questione della riforma sanitaria, un misero 8% dall’immigrazione clandestina e sempre un 8% dalla guerra in Afghanistan. Le risposte più sconcertanti sono quella alla domanda: «Chi è da biasimare di più per l’attuale crisi economica?». I banchieri di Wall street sono i più rimproverati dal 35% degli intervistati, seguiti da George Bush (30%) e Obama (23%): queste percentuali sono del tutto incoerenti con la vulgata secondo cui il disastro di ieri esprime lo scontento su come Obama gestisce la crisi. Infatti gli elettori hanno premiato proprio il partito di Bush finanziato da Wall street, i due che considerano più responsabili. La confusione mentale è ancora più stridente se queste percentuali si dividono tra i votanti dei due partiti. Mentre è scontato che i repubblicani biasimino più Obama (41 % dei biasimi) che Bush (7%), e che i democratici biasimino più Bush (55%) che Obama (3%), è il giudizio su Wall street che colpisce di più: è più negativo quello degli elettori repubblicani (37%) che quello dei democratici (32%): si vede qui l’influenza del Tea Party. Ed è proprio l’ispirazione antipolitica e di tipo leghista del Tea Party a spiegare come mai i suoi aderenti e i suoi oppositori sono più trasversali di quanto si possa pensare: tra i repubblicani c’è un 7 % che li rifiuta e un 24 che è neutrale, mentre tra i democratici c’è un 10% che ne ha un’opinione positiva e un 26 % neutrale. 16 DEMOCRATICI Tutto su New York E la California ritorna all’asinello Si votava anche per eleggere 39 governatori (inclusi quelli di Guam e delle Isole Vergini americane) su 50. Mentre in alcuni stati ancora prosegue lo spoglio dei voti per il momento si annettono ai democratici: California dove Jerry Brown ha sconfitto la candidata repubblicana Meg Whitman con il 49% contro il 46%, secondo i primi risultati. Brown è già stato governatore della California nel 1970 succedendo a Ronald Regan. Allora era stato il governatore più giovane dello stato, oggi, a 72 anni, sarà il più anziano. E di nuovo succede a un ex attore repubblicano, questa volta Arnold Schwarzenegger. Scontata la vittoria nello stato di New York dell'ormai ex procuratore generale Andrew Cuomo che ha battuto l’improbabile Tea Party Robert Paladino. Votano democratico anche: New Hampshire (John Lynch), Massachusetts (David Patrick), Maryland (Martin O'Malley), Arkansas (Mike Beebe), Colorado (John Hickenlooper), Vermont (Peter Shumlin), alle Hawaii, paese natale di Obama, dopo otto anni di repubblicani, Neil Abercombie succede a Linda Lingle. In Maryland riconfermato Martin O’Malley. Ancora in bilico: il Minnesota (Mark Dayton è in leggerissimo vantaggio) e l’Illinois dove potrebbe essere riconfermato Patrick J. Quinn. Ma qui Obama registra una personale sconfitta: il suo ex seggio senatoriale è passato ai repubblicani. RECORD Cicilline va al Congresso Mai così tanti omosex eletti Una successo che è anche un record: il Gay & Lesbian Victory Fund annuncia che queste elezioni di medio termine hanno segnato la vittoria del maggior numero di candidati che si sono dichiarati apertamente lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Centosei su centosessantaquattro: è un primato nella storia degli Stati uniti. Una delle sorprese viene da Lexington in Kentucky, lo stato è andato al neofita Rand Paul, il primo senatore eletto dei Tea Party antitasse. Ma lui, Jim Gray, è diventato sindaco della sua città, che ha dato i natali a George Clooney. Quando nel 2002 si candidò per la prima volta perse, ma ancora non c’era stato il coming out. In un altro stato del sud, il North Carolina (dove si conferma il repubblicano Richard Burr), ce l’ha fatta Marcus Brandon, rappresenta Greensboro (cittadina universitaria) e High Point, si era speso molto per la stata quella di Rand Paul, uno dei «poster boy» del Tea Party, la prima vittoria annunciata della serata: un seggio al Senato per la «nuova onda» populista di destra, sulla cresta del cui scontento il partito repubblicano ha giocato gran parte della sua campagna elettorale. «Siamo venuti a riprenderci il governo» ha annunciato, durante le celebrazioni per la vittoria l’oftalmico del Kentucky, figlio dell’ex candidato libertario alla presidenza Ron Paul. Ma, esaminato alla luce del mattino dopo, il contributo dei Tea Parties al successo repubblicano del medio termine sembra molto meno determinante. Certo, le vittorie di Rand Paul e Marc Rubio in Florida significano due seggi in più al Senato. Ma a quelle vittorie vanno contrapposte alcune clamorose sconfitte: prima di tutto quella di Sharron Angle, che sembrava pronta a battere in Nevada il leader del senato Harry Reid. A sorpresa invece Reid è riuscito a spuntarla, non tanto, dicono i sondaggi, perché, in corner, l’elettorato abbia riacquistato fiducia in lui ma perché Angle – una delle candidate più bizzarre di questa iperbizzarra elezione - deve essere parsa all’elettorato un salto nel buio troppo grosso. Altra dura sconfitta per il Tea Party è quella subita in Delaware, dove dopo aver agilmente battuto alle primarie un candidato dell’establishment repubblicano, martedì sera, Christine O’Donnell, una creatura modellata sul prototipo di Sarah Palin, ha perso grosso con- riforma sanitaria, oggi è il primo legislatore Lgbt dello stato e il quinto afro-americano di tutto il paese. Nickie Antonio, soccer mom e lesbica dichiarata si è guadagnata un seggio in Ohio (stato chiave per le presidenziali del 2012 dove il repubblicano John Kasich ha battuto il governatore uscente Ted Strickland), mentre Laurie Jinkins segna il suo record alla camera nello stato di Washington (al momento la senatrice democratica Patty Murray ha un piccolo vantaggio sullo sfidante Dino Rossi). Victoria Kolakowski, avvocato dal background solidissimo per i diritti degli omosessuali, è stata eletta alla corte suprema dell’Alameda County (California, nella zona della San Francisco Bay Area), è la prima giudice transgender degli Stati uniti. David Cicilline, democratico, sindaco di Providence (Rhode Island) dal 2002, andrà al Congresso occupando il posto lasciato alla Camera dal repubblicano Patrick Kennedy che si ritirò pochi mesi dopo la morte del padre, Edward Kennedy. È il quarto openly gay a conquistare una poltrona a Capitol Hill. Governatore del piccolo stato è diventato Lincoln D. Chaffee, anche qui un piccolo record, è il primo indipendente ad essere eletto. Ha battuto il repubblicano John F. Robitaille e il democratico Frank T. Caprio. tro il democratico Chris Coons. E, in Connecticut, le carenze dell’ex presidentessa della World Wrestling Federation Linda McMahon, candidata repubblicana al senato sponsorizzata dal Tea Party (che ha investito 50 milioni di tasca sua per essere eletta), sono sembrate nulla rispetto a quelle del ministro della giustizia dello stato, il democratico Dick Blumenthal, che si è aggiudicato il seggio. Stando ai conteggi di martedì mattina, anche il candidato del Tea Party in Colorado, Ken Buck, avrebbe perso la corsa al senato contro il democratico Michael Bennett. Mentre sono ancora in alto mare i dati dell’Alaska (un’elezione a tre), dove però la stagionata ex senatrice repubblicana Linda Murkowski sembra destinata ad avere la meglio su un candidato sponsorizzatissimo dalla «madrina» del Tea Party Sarah Palin, Joe Miller (il democratico Scotto McAdams è per ora al terzo posto). Alla luce di questi risultati, in stati dove si è combattuto fino all’ultimo momento, qualcuno sta cominciando a chiedersi se dei repubblicani più moderati avrebbero avuto maggiori possibilità di vincere. E quindi se, in un certo senso, non siano stati proprio quegli stessi candidati del Tea Party a cui è stato riconosciuto di aver dato nuova linfa al partito, e che per mesi hanno fatto furore nei media, ad essere costati ai repubblicani la conquista del Senato e aver quindi impedito loro di replicare la vittoria a 360 gradi del 1994. In questo quadro pesano anche le responsabilità di Sarah Palin, che si è buttata a tappeto dietro a candidati teapartisti e che anche in California ha appoggiato ad oltranza quella che in definitiva si è rivelata una perdente, Carly Fiorina. Erano circa 140 in totale i candidati esplicitamente affiliati al Tea Party in queste elezioni. Circa la metà correva in distretti a maggioranza democratica e aveva quindi poche chance. Almeno una dozzina erano dati come vincitori martedì mattina con in più una ventina di casi ancora indecisi. L’impatto di questi nuovi arrivati al Congresso è ancora tutto da valutare. Tra le loro priorità ci sono la riduzione del deficit e il taglio della spesa pubblica – due traguardi su cui la leadership repubblicana tradizionale beneficerà del loro appoggio. Ma anche obbiettivi molto meno condivisi dalla maggioranza dell’elettorato (repubblicano e non) come l’eliminazione del social security, e del popolarissimo programma di assistenza sanitaria per anziani, Medicare, o la revoca della legge sulla sanità. a presidenza di Barack Obama non ha creato alcuna prospettiva concreta per la popolazione statunitense colpita dalla crisi. Appena eletto gli si poteva augurare good luck, buona fortuna, ma con un’intonazione un po’ scettica. Troppo potenti sono gli interessi delle corporations Usa per poter essere scalfiti e riorientati in maniera radicale. Troppo integrato a questi interessi è il partito democratico per poter essere a sua volta riposizionato nella direzione degli intenti dichiarati da Obama. In tale contesto il neopresidente si è arreso subito ai fautori della crisi, collocando gli interessi delle banche e delle società finanziarie più grandi al vertice della politica economica. Dal 2008 la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’organismo federale preposto alla regolamentazione dell’attività delle banche, è intervenuto più volte sciogliendo consigli d’amministrazione e nominando elementi di sua scelta, ma ciò è avvenuto solo per le piccole banche colpite dalla crisi. Nel caso delle grandi, il peso della Fdic è stato molto leggero. Il rifiuto consapevole di Obama di scontrarsi con gli interessi del sistema bancario, spostando l’attenzione sull’aspetto moralistico degli ingenti bonus pagati ai dirigenti, ha inficiato fino ad annullarla la politica di rilancio, in verità già varata sul finire della presidenza Bush. La spesa di sostegno alle banche, senza cambiarne l’orientamento economico, è ricaduta sul debito pubblico dando luogo ad almeno due effetti negativi. Il primo è stato quello di rendere altamente inefficacie una buona parte della spesa pubblica stessa, sprecata appunto nel regalare soldi ai malfattori. Il secondo e connesso effetto è stato di precludere ulteriori politiche di rilancio da parte di Washington. Ne è scaturito un quadro in cui i singoli stati erano abbandonati a se stessi e non potevano che procedere a tagli di spesa tali da rendere risibili i proclami di Obama sulla volontà di intraprendere vaste politiche di investimenti infrastrutturali. Programmato per estinguersi verso l’autunno di quest’anno, con l’intento di passare il bastone nuovamente alla ripresa basata sulla crescita dei patrimoni finanziari, il rilancio Bush-Obama si è spento senza effetti positivi sull’occupazione e sulla bancarotta di un crescente numero di famiglie. A Obama, al ministro del tesoro Geithner e al governatore della Federal Reserve Bank, Ben Bernanke, non rimane altro che la politica denominata QE2. Si tratta di una nuova ondata di creazione di liquidità monetaria da consegnare alle banche. Ma ciò non produrrà niente di positivo, sono proprio i mercati a dircelo, interpretando ogni dato reale negativo come indicatore di una QE2 ancora più generosa. Le banche incamerano questi soldi, ricevuti dallo stato non per prestare alle imprese, che soffrono da scarsezza di domanda, ma per prestarli allo stato collocandoli in titoli pubblici. Il vicolo cieco in cui si è cacciato Obama riflette il vicolo cieco in cui si trova l’economia statunitense. La crescita fondata sulla finanza è finita mentre non c’è un’alternativa. Rimangono però tutte le tare del periodo ormai morto. Oltre al dominio politico della finanza, permane il cancro dello squilibrio dei conti esteri degli Usa, che per gli Stati uniti è ormai strutturale ed è affrontabile solo in maniera industrialmente pianificata e politicamente coordinata con paesi come Cina, Germania, Francia, Giappone. Ma Obama è ora lontano anni luce dall’affrontarlo. pagina 3 pagina 4 il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 CONTROPIANO COUNTERPUNCH · Alexander Cockburn «Per Obama comincia la guerra di posizione» M. d’E. A lexander Cockburn, fondatore, editore e direttore di Counterpunch, la più graffiante pubblicazione della sinistra Usa, e columnist di The Nation, risponde al telefono dalla sua casa rurale nella California settentrionale. Come ti senti dopo questi risultati? Non sono per niente sorpreso. Era tutto previsto. L’unica conclusione da trarre è che gli americani non hanno una benché minima idea di cosa vogliono. Dicono che vogliono più occupazione, ma vogliono anche meno deficit, vogliono la ripresa ma non vogliono che lo stato intervenga. Il discorso più demenziale ieri sera è stato quello di Rand Paul, il candidato del Tea Party che ora è senatore del Kentucky: ha fatto una sparata contro il debito pubblico e ha detto che andrà a Washington per opporsi con tutte le sue forze a una proroga di questo debito. Immagina: basta uno come lui che fa ostruzionismo (filibustery), e gli Stati uniti diventano morosi sul servizio del debito e si scatena una crisi mondiale. Ma ci pensi? Ma che succede adesso? Con la Camera passata ai repubblicani e il senato ancora democratico si avrà probabilmente uno stallo. E lo stallo è la cosa migliore che poteva succedere, perché certo non produrrà niente di buono, ma ci evita anche tutto quel che di cattivo ci avrebbe riservato un parlamento interamente repubblicano nei suoi due rami. Tutti fanno il paragone con la sconfitta bruciante di Bill Clinton dopo i primi due anni del suo primo mandato, sottintendendo che anche Obama può vincere nel 2012 come fece Clinton nel 1996. Il risultato del 1994 fu che Clinton divenne ancora più repubblicano di quanto non fosse già, «snellì» la Social Security, riformò al ribasso lo stato sociale, ridusse le prestazioni di Medicaid e Medicare. È quel che qui si chiama «triangolazione». Ma Obama ha spazio per triangolare? Per questo c’è sempre spazio. Obama può innalzare l’età pensionabile a 70 anni o ridurre ancora un po’ Medicaid o, più probabile, acconsentire all’estensione dei tagli di Bush – che scadono quest’anno – alle tasse dei ricchi. Quello che ci aspetta è una guerra di posizione, manovre e contro-manovre tra Casa bianca e leadership repubblicana. Obama è stato indebolito. E se lo meritava, perché gran parte del disastro di ieri gli va addossato: da quando è entrato alla Casa bianca non ha mai articolato un tema politico convincente, non ha mai lanciato un’offensiva efficace, si è affidato a un gruppo di consiglieri di dubbia competenza, ha mandato messaggi ambigui sul deficit pubblico, ha perso la fiducia dei giovani e di una fetta essenziale degli indipendenti. Insomma, dopo ieri, per lui sono migliori o peggiori le prospettive di essere rieletto alla presidenzanel 2012? Lui esce indebolito e oggi rischia più di ieri di essere il presidente da un solo mandato, un nuovo Jimmy Carter. Perché la differenza tra Obama e Clinton è che tra il ’94 e il ’96, quando Clinton riuscì a debellare tatticamente i repubblicani, l’America era in pieno boom economico. Invece ora la situazione è pessima, la disoccupazione è alta. E soprattutto non si vede all’orizzonte nessun segno di una praticabile strategia economica. Con questi risultati elettorali, qualunque misura di stimolo dell’economia diventa impossibile. Perciò, dal punto di vista economico, il voto è un disastro, ci condanna alla stagnazione. Certo, se la situazione precipitasse, allora Obama potrebbe lanciare delle iniziative, proprio come fece Roosevelt che all’inizio aveva adottato misure di stampo repubblicano e solo dopo lanciò il New Deal. Ma Obama ne avrà l’audacia? Forse, ma finora ne ha dimostrata poca. MID TERM IL REPUBBLICANO JOHN BOEHNER SARÀ IL NUOVO LEADER DELLA CAMERA/AP A SINISTRA, CORTEO CONTRO LA LEGGE ANTI-MIGRANTI IN ARIZONA/REUTERS A DESTRA, LA SEDUTA DI IERI A WALL STREET/AP NANCY PELOSI La presidente uscente della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi si è detta «orgogliosa» di quanto i deputati democratici sono stati capaci di fare «in particolare per quanto riguarda l'approvazione della riforma sanitaria». Nel suo discorso di addio ha invitato i deputati, repubblicani e democratici, a impegnarsi per trovare «un terreno comune» su cui lavorare. Poi si è allontanata dal palco sulle note di «Simply the best» di Tina Turner. Nancy Pelosi è riuscita a conservare il suo seggio democratico nell'ottavo distretto della California, ma si accinge a lasciare la carica di Speaker della Camera dopo quattro anni, passando l'incarico a John Boehner che si insedierà formalmente a gennaio. Secondo indiscrezioni Pelosi potrebbe ritirarsi dalla politica ufficiale. Realizzato il sogno di cacciare dalla Camera Nancy Pelosi, il nuovo speaker sarà John Boehner. Per la Casa bianca rappresenterà l’interlocutore numero uno, ma lui è pronto a remare contro, su tutta la linea Boehner, al presidente dirà solo no G. d. V. NEW YORK I n un tripudio di gioia – chiaramente visibile a chi si sintonizzasse su Fox News - martedì sera, poco dopo la chiusura dei seggi elettorali, sono state superate con facilità le 39 vittorie che servivano ai repubblicani per mandare a casa la detestata presidentessa della Camera, Nancy Pelosi. Signora tostissima, eletta «speaker» nel 2006 e principale artefice della strategia per la vittoria democratica di quell’anno, insieme a quella del 2008, donna senza la quale Obama non sarebbe riuscito a passare parecchie delle sue leggi, in particolare la riforma sanitaria e il pacchetto dello stimolo economico. A sostituire l’elegante nonna californiana dal sorriso di plastica ma dalla determinazione di ferro (è discendente di una grossa dinastia politica del Maryland), in una poltrona che lo collocherà al terzo posto in linea con la presidenza, sembra essere destinato l’attuale leader della minoranza alla Camera John A. Boehner, un deputato dell’Ohio noto fino a poco tempo fa per la sua costante – e innaturale - abbronzatura e per una notevole propensione alla teatralità. Come da tradizione, in quanto ’90 DA VENTI ANNI Il nuovo speaker della Camera, John Boehner, è presente stabilmente al Congresso dal 1990 e si è finora opposto a qualsiasi iniziativa di Obama leader della Camera, Boehner diventerà non solo rappresentante ufficiale al governo dello zoccolo duro del partito repubblicano, ma anche l’avversario/interlocutore numero uno del presidente: quello che Newt Gingrich fu per Bill Clinton. Proprio con Gingrich, infatti Boehner è uno degli autori del «Contratto con l’America», il programma elettorale con cui i repubblicani travolsero la maggioranza democratica al Congresso nel 1994, conquistando sia Camera che Senato per la prima volta in quarant’anni. Stabilmente presente alla Camera fin dal 1990, nonostante la sua retorica populista Boehner ha più il profilo di un professionista della burocrazia di Washington che di un outsider alla Sarah Palin o Rand Paul. Le sue credenziali sono solidamente conservatrici, come è stata solida fino a oggi la sua opposizione a qualsiasi iniziativa di Barack Obama. Nell'autunno del 2008, Boehner era stato a favore del «bailout», il salvataggio di Wall Street orchestrato dal ministro del Tesoro di Bush Hank Paulson. Ma, una volta eletto Obama, ha votato contro il nuovo presidente su budget, stimolo economico, sanità ed è stato uno dei più feroci detrattori di qualsiasi iniziativa pro ambiente. Tra le cose che cercherà di mandare avanti: un congelamento della spesa pubblica, la messa in permanenza delle riduzioni fiscali per ricchi istituite da Bush, la privatizzazione del social security. Se, come ha detto il leader della minoranza al senato Mitch McConnell, l’obiettivo repubblicano dei prossimi due anni è «fare di Barack Obama un presidente da un solo mandato», quindi bloccare tutto, Boehner non potrebbe essere un alleato migliore. Anche se va ricordato che fu proprio un blocco del governo a far precipitare le fortune del suo mentore New Gingrich, e a permettere a Clinton di essere rieletto. FLORIDA Marco Rubio, la «rising star» della destra ultrà Maurizio Matteuzzi P er il momento si è già trovato «il nuovo Obama repubblicano». Poi si vedrà. E’ vero che Marco Rubio, il «golden boy», l’ultra-conservatore del Tea party della Florida che ha ha vinto il seggio al senato stracciando, con 2.5 milioni di voti (quasi il 50%), i candidati conservatore (Charlie Crist, l’ex-governatore costretto a uscire dal Grand Old Party per l’irresistibile ascesa della «rising star» ispanica e presentarsi come indipendente) e democratico (Kendrick Meek, il democratico che sperava di diventare il primo senatore nero dello «stato del sole», dei cubani e dei pensionati ebrei), ha tutto per incarnare «il sogno americano». Come Obama è stato il primo afro-americano, Rubio sembra avere le carte per essere il primo «latino». Dove? Per ora al senato degli Stati uniti, poi, nel 2012, alla Casa bianca, in un ticket ultrà tutto da definire, con o insieme a Sarah Palin, Mitt Romney, Jim DeMint, Rand Paul e chissà chi altri che sognerà ancor più a destra. Obama incarnava quel sogno a «sinistra»? Rubio lo incarna a destra (senza virgolette). 39 anni, avvocato, uscito dalla scuola pubblica, deputato (poi speaker) dell’assemblea della Florida a 29 anni, nato a Miami ma figlio di esiliati cubani di modestissima estrazione - il padre, appena deceduto, cameriere, la madre che rifaceva le stanze negli hotel -, bella presenza e facile eloquio «fatto per la televisione», dicono -, cattolico fervoroso, sposato con Jeanette, una colombiana di origine ex-cheerleader dei Miami Dolphins, la squadra di il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 pagina 5 CONTROPIANO a cura redazione esteri USA · 600 miliardi per stimolare la ripresa La Fed puntella la sconfitta Maurizio Galvani A football di Miami, la famiglia con i 4 figli sempre in primo piano. Non solo. La sua ascesa è stata facilitata - come per altre stelle del tea party - da una poderosa macchina di donatori, specialmente di origine ispanica e in particolare della fetta ricca e potente della comunità anti-castrista di Miami e della Florida (Rubio ha avuto 18.2 milioni per la sua campagna elettorale, Crist 13.3 milioni e Meek 8.2), su di lui hanno puntato, e investito, la U.S. Chamber of Commerce e il Club for Growth, e a gestire la sua campagna c’era il famoso rasputin di Bush, Karl Grove. Lui offriva garanzie. Era nell’entourage più stretto di Ileana Ros-Lehtinen, deputato federale repubblicana per la Florida nata a Cuba e assatanata contro il regime castrista. Prenderà il posto del senatore Bob Menéndez, anche lui cubano-americano ma democratico (anti-castrista naturalmente), dimessosi nel 2009. Miami e la Florida sono il brodo di coltura ideale per Rubio. Ros-Lehtines, il deputato Lincoln Diaz-Balart tutti oltranzisti a cui sembra che la linea dell’amministrazione Obama su Cuba sia sempre troppo accomodante e leggera. Adesso è il turno di Rubio, anche lui per la «mano di ferro» verso Cuba. Parlando domenica notte dall’hotel Bilti- more di Coral Gables, fra i ritmi della salsa e i mojitos ha dato il meglio di sè: «Sono cresciuto in una famiglia di esiliati cubani alla quale ho l’orgoglio di appartenere, questa notte il figlio degli esiliati entra nel senato degli Stati uniti» e «non importa quale carica io possa raggiungere, sarò sempre il figlio di esiliati e sarò sempre l’erede di due generazioni di sogni non realizzati» (il sogno di andare a riconquistare Cuba). Il suo credo e il suo programma sono semplici: meno Stato - perché la politica di spese statali e la (modesta) riforma sanitaria di Obama sono «un disastro» -, meno tasse, «meno socialismo» - perché lui è sicuro che Obama voglia fare degli Stati uniti «una nuova Cuba» -, naturalmente no all’aborto, no al matrimonio gay, sì all’uso indicriminato della armi per difesa personale, si alla mano dura contro l’immigrazione illegale (ma favorevole alla riforma migratoria). Nonostante questo ha avuto la gran parte del voto latino della Florida. Grazie a Rubio la Florida, repubblicana con Reagan e i Bush, democratica con Clinton e Obama, è tornata ai repubblicani. L’ «uomo giusto al momento giusto, sono orgoglioso di lui», ha detto Jeb Bush, l’ex-governatore fratello dell’expresidente). I TIMORI DI TOKYO · L’oriente uscirà dall’agenda Il Giappone teme che la sconfitta dei democratici Usa possa spingere il presidente Obama e la sua amministrazione a concentrare le energie sul fronte interno, per fermare l’avanzata dei Repubblicani, piuttosto che a prestare attenzione all’estremo oriente, in un momento in cui Tokyo è alle prese con la pressione esercitata dalle rivali Cina e Russia. Il governo nipponico ipotizza che Washington «non abbia altra scelta che spendere gran parte delle proprie energie per risolvere i problemi domestici». Il ministro degli Esteri, Seiji Maehara, ha detto, nel corso di una conferenza stampa convocata ieri pomeriggio sullo scontro diplomatico con la Russia sui Territori del Nord, che gli Stati Uniti «hanno collaborato con il Giappone al miglioramento dell'alleanza» anche nelle fasi di cambiamento o assestamento di potere. «Spero - ha osservato ancora Maehara - di poter continuare a rafforzare i legami bilaterali con l'amministrazione Obama». Tokyo, in particolare, punta molto sul sostegno americano nella duplice controversia territoriale con Pechino (per le isole Senkaku/Diaoyu) e Mosca (Territori del Nord/Curili del Sud). REFERENDUM Bocciati petrolieri, marijuana libera, legge islamica e agenzia per gli Ufo Gli elettori Usa si sono espressi anche su una serie (160) di referendum. Quello sulla marijuana in California era il più noto. Nello stato occidentale, dove la marijuana è già legale per motivi medici, gli elettori dovevano esprimersi sulla «Proposta 19» per la completa liberalizzazione del suo uso e coltivazione. Contro questa ipotesi si era creato un fronte bipartisan, con il no di tutti i candidati locali. La «Proposta 19» è stata bocciata con il 56% contro il 44%. Bocciata in California anche la «Proposta 23», sostenuta dall’industria petrolifera, che voleva abolire gli stretti limiti imposti all’emissione di gas inquinanti. In Oklahoma ha invece avuto grande successo il referendum per inserire nella costituzione dello Stato il divieto per i tribunali locali di far ricorso alla sharia, la legge islamica. Il 70% degli elettori ha votato a favore. Secondo il deputato repubblicano Rex Duncan, che ha presentato la proposta, si è trattato di un «attacco preventivo», ma i musulmani locali - appena 30mila persone su una popolazione di oltre tre milioni e mezzo - denunciano un clima di islamofobia e sottolineano che nessuno ha mai pensato di avvalersi della sharia. Più dell’84% degli elettori ha bocciato in Colorado il quesito più assurdo: la proposta di istituire a Denver un’agenzia per interagire con gli extraterrestri nel caso arrivino in città. lla giornata amara di Barack Obama ha cercato di dare uno zuccherino il presidente della Fed Ben Bernanke sotto forma di nuovi acquisti di titoli di stato a lungo termine, inondando il mercato con 600 miliardi di dollari attraverso una politica monetaria ultra-espansiva, definita quantative easing 2. La misura era attesa e si aspettava unicamente l’esito delle elezioni di mid-term. Il cui esito, in realtà, non ha modificato la decisione della Federal reserve (già prevista) che si è assunta fino in fondo il compito di dare un nuovo stimolo all’economia statunitense. Semmai si doveva decidere la quantità di questo liquidità ma non si dubitava sulla sua necessità e si preannunciava come unico possibile intervento considerato che, ormai da tempo, il tasso di interesse Usa è vicino allo zero e anche ieri è stato confermato a questo livello. Alla fine si è deciso per 600 miliardi di dollari (75 miliardi al mese fino a giugno) per cercare di stimolare la domanda. Bernanke e il Comitato monetario della Fed hanno ritenuto questa cifra sufficiente per un rilancio dell’economia. Questi soldi si aggiungono ai 1.750 miliardi di dollari già pompati dal Fed nel sistema, in un recente passato. In attesa di una ripresa ancora anemica - la crescita tra luglio e settembre è stata solamente del 2% annualizzato - e, soprattutto, di una disoccupazione molto elevata ( 9,6%) dopo che era stato toccato un picco del 10,1%. La mancanza di lavoro ed il buco federale sono stati i cavalli di battaglia attraverso il quali il partito repubblicano e la sua ala più oltranzista, Tea Party, hanno ottenuto il successo nella consultazione di metà mandato. Ora il presidente Obama deve fare in fretta, ad invertire la rotta, se non vuole perdere la carica presidenziale alla fine del 2012. La Casa Bianca e la Fed dovranno, inoltre, saper dimostrare che i 600 miliardi verranno utilizzati per la ripresa e non finiscano nelle mani della speculazione, come accadde in un triste precedente alla fine degli anni ’20. Da notare che questa nuova immissione di liquidità tenderà a deprimere il dollaro, spingendo a una rivalutazione delle yuan cinese e dello yen giapponese. Oltre che dell’euro. L’annuncio di Bernake è stato preceduto dalla dichiarazione del governatore della Banca centrale giapponese di «volere adottare una contromossa»; comprare dollari per sostenere lo yen. Occorrerà aspettare per capire cosa verrà deciso nell’incontro, oggi, della Banca centrale europea e, a seguire, cosa accadrà - tra due settimane circa - nell’incontro di Seul del G20. Cina, Brasile ed India non sono così apertamente disponibili a rivalutare le loro monete per favorire l’export Usa e sono state manifestamente contrarie alla richiesta avanzata dal segretario al tesoro Tim Geithner di controllare i surplus commerciali a favore dei paesi più deboli. In questo caso gli Stati uniti che hanno una bilancia commerciale in rosso. Alcuni osservatori economici hanno suggerito a Geithner di non insistere in questa richiesta che fu tentata alla fine degli anni venti quando il paese più forte era l’Inghilterra - ma non servì a salvare Londra dal suo declino. La Federal reserve con questa mossa tenta di salvare la poltrona a Obama ma deve auspicarsi quello che è accadde a precedenti presidenti Usa alcuni anni fa. Reagan, ad esempio, approfittò della seconda vittoria elettorale, quando la disoccupazione precipitò dall’10,8% del 1982 al 7,4% del 1984. Forse il capo della Casa Bianca spera in questa stessa cosa e cerca l’aiuto di Bernanke. Salvo che questa misura è anche molto contraddittoria perché uno stato che ha un deficit enorme, anziché controllarlo magari con aumenti mirati delle imposte, «stampa» nuovo moneta per ricomprarlo tramite la banca centrale. Così facendo con il rischio di alimentare l’inflazione. Gli effetti della Fed sul mercato sono stati per ora limitati e Wall street e il Nasdaq a due ora dalla chiusura erano ancora in negativo. ISRAELE NETANYAHU SOSPENDE DIALOGO STRATEGICO CON LONDRA Il governo Netanyahu ha deciso di sospendere il «dialogo strategico» con Londra e ha scelto per l’annuncio il giorno della visita in Israele del ministro degli esteri britannico William Hague. Si tratta di una protesta contro l’esecutivo guidato da David Cameron che non ha ancora fatto modificare, così come pretende Tel Aviv, la «giurisdizione universale» che consente ai cittadini britannici di invocare l’arresto di dirigenti politici e militari stranieri per «crimini di guerra». Nei giorni scorsi il vicepremier israeliano Meridor era stato costretto ad annullare un viaggio a Londra, dove avrebbe rischiato l’arresto. La Gran Bretagna avrebbe condizionato la modifica della propria legislazione all’assicurazione, mai arrivata, che il servizio segreto Mossad non avrebbe più usato passaporti britannici per le operazioni come quella dello scorso gennaio a Dubai in cui fu ucciso un dirigente di Hamas. COLOMBIA VIOLAVANO E ASSASSINAVANO BAMBINE: 7 MILITARI DESTITUITI Un altro scandalo di abusi dei diritti umani scuote le forze armate colombiane, l’orgoglio dell’ex presidente Uribe e del suo successore Santos. Sette ufficiali e sottufficiali dell’esercito sono stati «ritirati dal servizio attivo» nonostante l’inchiesta sullo stupro e assassinio di bambini nell’Arauca sia ancora in uno stadio preliminare. Nell’ottobre scorso hanno stuprato due ragazzine di 13 anni e poi hanno ucciso una di loro e due suoi fratelli. È stato «il risultato di una condotta individuale», si è giustificato l’esercito. In realtà è il risultato della guerra totale lanciata da Uribe e proseguita da Santos contro le Farc. Come dimostrano i casi venuti alla luce, il più clamoroso quello dei «falsi positivi», il sequestro di civili (più di 2000) da parte dei soldati poi uccisi e vestiti da guerriglieri per mostrare i «successi» della guerra. La procura sta attualmente indagando più di 1300 casi di «abuso sistematico dei diritti umani da parte di unità militari in tutto il paese». HAITI COLERA: ALTRI 105 MORTI 442 IN TOTALE L’epidemia di colera a Haiti ha causato 105 nuovi decessi da sabato scorso, che portano il numero delle vittime a 442. Lo hanno annunciato le autorità haitiane, che hanno riferito anche di 1.978 nuovi ricoveri, per un totale di 6.742. L’epidemia di colera è esplosa ad Haiti alla metà di ottobre. Secondo analisi effettuate in laboratori Usa, il batterio responsabile è di origine asiatica e si ipotizza sia stato portato a Haiti dai militari nepalesi della Missione Onu. IRAN SETTIMANE DI SCIOPERI OPERAI PER IL SALARIO NON PAGATO Circa 1.300 operai di una fabbrica di copertoni nella periferia industriale di Tehran sono in sciopero da una settimana per rivendicare, tra l’altro, il pagamento di sei mesi di stipendio arretrato. Rappresentanti della fabbrica Alborz hanno incontrato funzionari del ministero dell’industria per sostenere le proprie richieste, ma i negoziati finora sono stati vani. Oltre ai salari non pagati, dicono che lo stabilimento non riceve la materia prima per mandare avanti la produzione; la rabbia degli operai era esplosa la settimana scorsa con picchetti in cui vecchie gomme erano state bruciate. Quello della fabbrica Alborz è solo l’ultimo di decine di casi analoghi negli ultimi anni: spesso aziende in crisi non pagano i salari per mesi consecutivi. E dove il salario minimo equivale a 300 dollari mensili, le famiglie non hanno molti margini per tirare avanti. MEDIO ORIENTE · I governi israeliano e palestinese tacciono, ma i coloni brindano alla sconfitta del «nemico musulmano travestito da cristiano» La pace torna impossibile, ora il Congresso è tutto dalla parte di Tel Aviv Michele Giorgio GERUSALEMME B enyamin Netanyahu ieri si è ben guardato dal commentare il risultato delle elezioni Usa di medio termine. Ma il premier - atteso il 7 novembre negli Stati Uniti per il congresso annuale delle comunità ebraiche - arriverà a Washington più forte, consapevole di avere l’appoggio pieno di un Congresso dove, nonostante Barack Obama e i democratici si siano salvati al Senato, i repubblicani fedeli sostenitori di Israele faranno sentire il peso del loro successo elettorale. Le reazioni alla vittoria repubblicana da parte dei vertici della politica sono pacati, ma ieri in Israele molti hanno brindato al tonfo di Obama che pure finora non aveva mai messo in discussione l’alleanza strategica con Tel Aviv. Netanyahu e i suoi ministri sanno che la destra americana, «tea party» in testa, spingerà per dare pieno appoggio a Israele e per mettere da parte il «dialogo» avviato con Siria e Iran. Gli americani, scriveva ieri Herb Keinon sull’edizione online del Jerusalem Post, hanno indicato a Obama che vogliono una politica volta a risolvere i problemi interni, non quelli internazionali. Pertanto, ha aggiunto Keinon, il presidente Usa avrà più comprensione per il «no» opposto da Netanyahu a una nuova sospensione delle costruzioni nelle colonie ebraiche in Cisgiordania. Altri analisti, come Shimon Schiffer, di Yediot Ahronot, escludono che il premier – favorevole da sempre a un attacco militare contro le centrali nucleari iraniane - decida in piena autonomia, senza coordinarsi con Washington, «cosa fare» contro Tehran ora che anche la li- nea del «dialogo» Stati uniti-Iran è uscita sconfitta dal voto midterm. Se gli analisti fanno il loro mestiere e il governo celebra in silenzio la batosta subita da Obama, i coloni israeliani invece festeggiano alla grande. I settler considerano il presidente Usa un «nemico», un «musulmano travestito da cristiano», malgrado Obama, dopo aver pronunciato un iniziale «stop» alla colonizzazione israeliana, abbia poi ingranato la retromarcia. Per Tzvi Ben Gedalyahu, dell’agenzia stampa dei coloni Arutz 7, il risultato del voto americano modificherà la linea di Obama verso israeliani e palestinesi. E non solo quello. Ben Gedalyahu ieri sottolineava con piacere che Jstreet, il gruppo lobbista ebraicoamericano favorevole alla politica dell’Amministrazione Usa in Medio Oriente, ha subito un duro colpo, perché il suo principale sostenitore, il senatore democratico Joe Sestak (Penssylvania), è stato sconfitto dallo sfidante repubblicano Pat Toomey, e che la repubblicana Ileana Ros-Lehtinen, un’accanita sostenitrice di Israele, avrà con ogni probabilità la presidenza della Commissione Affari Esteri della Camera. Un’euforia che non sorprende se si considera che rappresentanti dei coloni e alcuni deputati del Likud (il partito di Netanyahu) domenica avevano dato vita a un «tea party» locale per contrastare eventuali «concessioni» ai negoziati. In casa palestinese prevale la cautela, ma ai vertici dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) sanno che l’Amministrazione Usa non alzerà più la voce con Israele. Secco il commento dell’attivista Hanan Ashrawi: «Obama sino ad oggi è stato così morbido con Netanyahu, non capisco cosa si intenda per cambiamento di politica». pagina 6 il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 POLITICA E SOCIETÀ LA SCORTA DEL CAPO PREMIER D’EGITTO Servizi e sicurezza Il Copasir chiama, il cavaliere non va ROMA I l Copasir vuole sentire Berlusconi per accertare se lo «stile di vita» del presidente del Consiglio ha messo a rischio la sicurezza sua e del paese. Ma è certo che il cavaliere non si farà interrogare in parlamento sulle sue vicende e gli ultimi scandali. Eppure che fosse il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti ad occuparsi della sicurezza di Silvio Berlusconi in origine era una richiesta degli stessi fedelissimi del premier, preoccupati nell’estate del 2009 di fermare le incursioni dei fotografi a villa Certosa. Massimo D’Alema, presidente del Copasir eletto a gennaio con il voto unanime di tutti i parlamentari, anche quelli del Pdl, ieri ha ripetuto la richiesta del Comitato, specificando che si tratta di una vecchia esigenza perché «il Copasir ha chiesto fin dalla sua costituzione di ascoltare il presidente del Consiglio ma finora ciò non è stato possibile». «A occuparsi della sicurezza di Berlusconi sono i servizi segreti e noi intendiamo tornare su questo tema e riteniamo che sarebbe giusto sentire, su questo e su altri temi, il presidente del Consiglio», ha spiegato D’Alema. Lasciandosi andare poi a una battuta a proposito di un articolo uscito ieri sul Fatto quotidiano che riferiva la frustrazione dei carabinieri di scorta al cavaliere per il via vai di ragazze nella villa di Arcore. «Esprimo un sentimento di solidarietà - ha detto D’Alema - nei confronti dei carabinieri di cui comprendo la stanchezza». «Vogliamo informazioni dettagliate sull’utilizzo del personale dei servizi segreti a disposizione del presidente del Consiglio», ha riassunto il commissario del Pd Ettore Rosato, lasciando bene intendere la strategia dell’opposizione. Anche secondo Italia dei valori, lo «stile di vita» del cavaliere mette a rischio la sua persona e anche la sicurezza del paese, esponendolo a potenziali ricatti da parte dei frequentatori della sua villa. Non è da dimenticare, poi, che il caposcorta di Berlusconi, inquadrato nei servizi segreti, è rimasto coinvolto nella telefonata in questura con la quale Berlusconi intervenne sull’affido della minorenne Ruby. Ma è chiaro che il primo ministro che per due anni e mezzo ha evitato il Copasir - a differenza dei suoi predecessori che come lui hanno avuto la responsabilità ultima dei servizi - non si sottoporrà adesso a domande imbarazzanti. Anche se di nuovo dopo l’agguato di piazza Duomo a Milano nel dicembre 2009 era stato il Pdl a chiedere che della faccenda si occupasse il comitato parlamentare. Comitato che, secondo il commissario finiano Briguglio, si dovrebbe occupare anche dell’ipotetico ruolo dei servizi nella diffusione di notizie riguardanti Gianfranco Fini e la famosa casa di Montecarlo. Ieri il Copasir ha finalmente fornito la sua interpretazione sulla legge del 1990, del resto chiarissima, che impone la cancellazione del segreto di stato a 30 anni dai fatti. Una legge per nulla applicata in attesa di ipotetici «filtri di secondo livello» che secondo il comitato non devono esistere. Dopo 30 anni tutto dovrebbe essere conoscibile, ma non è ancora così. «UNO STILE DI VITA MOLTO SEMPLICE». SI PRESENTAVA COSÌ, TUTTO LAVORO E FAMIGLIA, SILVIO BERLUSCONI NELL’OPUSCOLO «UNA STORIA ITALIANA» SPEDITO IN TUTTE LE CASE PER LA CAMPAGNA ELETTORALE DEL 2001. MA LO «STILE DI VITA» DI OGGI DEL CAVALIERE NON PIACE AL FORUM DELLE FAMIGLIE Imbarazzo in famiglia Iaia Vantaggiato ROMA C aro presidente la sua presenza ci onora ma non troppo. Potrebbe rissumersi così l’imbarazzata posizione del Forum delle famiglie sempre più agitate via via che si avvicina la data della Conferenza nazionale alla quale, lunedì prossimo, dovrebbe partecipare anche Silvio Berlusconi. «Il presidente del Consiglio è una grande valore per la conferenza - spiega Francesco Belletti - ma la nostra preoccupazione è che alla conferenza non ci si concentri sugli stili di vita personali dei politici ma sui problemi del sostegno alle famiglie». Nessuna risposta da parte di Berlusconi tutto preso, ieri, dall’organizzazione della Direzione nazionale del Pdl convocata per oggi e votato al «no gossip» per l’intera giornata. Coesione interna, azione di governo, rilancio dei cinque punti del programma - che a furia di chiamarli «cinque punti» finisce che nessuno si ricorderà più di che si tratta - e riorganizzazione del partito. Niente sparate sulla giustizia, nemmeno un invettiva contro i magistrati, quanto al legittimo impedimento guai a chi lo nomina. Alla fine Silvio Berlusconi si è deciso e al muro contro muro ha preferito una linea morbida, almeno all’apparenza. Già perché in un momento come questo far finta di occuparsi del governo del paese «abbandonando i falsi scandali per «ritornare alle esigenze della gente» è pura ipocrisia. In realtà la scelta di fare della Direzione del Pdl convocata per oggi un innocuo rosario di bilanci positivi e buoni propositi è dettata solo dall’esigen- SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Livio Pepino La magistratura di quegli anni era ancora, prevalentemente, un corpo burocratico chiuso, cementato da una rigida ideologia di ceto: un corpo separato dello stato, collocato culturalmente, ideologicamente e socialmente nell’orbita del potere, avvertito come ostile dalle classi sociali subalterne e, a sua volta, diffidente e ostile nei confronti di quelle classi. Non mancavano, certo, i magistrati progressisti, ed erano talora personaggi di prestigio; ma la loro presenza non bastava a intaccare il sistema. Contro quella magistratura e contro il relativo contesto istituzionale era nata, da poco, Magistratura democratica, avvertita dai più come una eresia all'interno delle istituzioni. Negli anni l’eresia ha messo radici, è cresciuta, ha prodotto cultura, ha contribuito a cambiare la magistratura, rendendola più indipendente e capace di interventi in altre epoche impossibili. Penso al diritto del lavoro, alla tutela degli interessi diffusi e dei diritti dei più deboli, al contrasto della criminalità organizzata e delle diverse forme di eversione, al controllo di legalità Il Forum chiede a Berlusconi di non farsi vedere alla Convention di Milano. Lui incassa e tira dritto: «Rilanciamo il governo, non diamo pretesti per rompere». Il Pdl prova a ricompattarsi per la direzione di oggi. Ma il carrozzone è sfasciato CAMBI DI CASACCA Altri due deputati vanno a Fli Ma la partita è tra i senatori Altri due deputati lasciano il Pdl e si trasferiscono alla corte di Gianfranco Fini. Si tratta di Daniele Toto (subito nominato coordinatore regionale del movimento finiano in Abruzzo) e Roberto Rosso (che riceve l’incarico di coordinatore in Piemonte). Ieri li hanno presentati Italo Bocchino e Adolfo Urso nella sede della fondazione Farefuturo. Bocchino ha sottolineato che «il gruppo ne guadagna in termini non solo parlamentari ma anche di radicamento». I deputati finiani diventano così 37. E potrebbero aumentare, visto che sta decidendo se restare nel Pdl o andare via il deputato toscano Alessio Bonciani e l’emiliano Giancarlo Mazzucca. Acque agitate anche al senato dove Berlusconi sta provando a trattenere il genovese Enrico Musso e il sardo Piergiorgio Massidda. Il coordinatore del Pdl Denis Verdini, ha minimizzato l’esodo di parlamentari: «È un assestamento naturale, ognuno si assume le sue responsabilità», ha detto. diffuso e via elencando. È un processo che si è sviluppato attraverso un conflitto talora aspro tra chi ha burocraticamente accettato lo status quo e chi ha tenuto aperta la prospettiva della indipendenza reale della giurisdizione e della eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Di questa vicenda ho avuto la ventura di essere partecipe: nell’esercizio quotidiano della giurisdizione (come pretore prima e, poi, come pubblico ministero, come giudice minorile, come giudice di legittimità) e nel percorso di Magistratura democratica (che di quel processo di cambiamento è stata motore instancabile). Quarant’anni dopo alcune cose sono acquisite. In particolare, la magistratura e la giurisdizione hanno fatto passi avanti significativi sul piano culturale, su quello della consapevolezza di sé e della propria indipendenza, sul versante organizzativo e su altri punti ancora. E, tuttavia, la situazione che ci circonda è gravemente insoddisfacente: il sogno di uguaglianza predicato dall’articolo 3 capoverso della carta fondamentale (impegnativo anche per i magistrati) è in crisi apparentemente irreversibile; il sistema del welfare e dei diritti subisce attacchi senza precedenti; le relazioni industriali vengono quotidianamente riscritte all’inse- za di non «provocare» i finiani fornendo loro il pretesto per una rottura. Una Direzione buonista ma non troppo che agli uomini di Gianfranco Fini oggi cederà volentieri e per l’ennesima volta il cerino. Chi rompe paga e se ne assume la responsabilità. Ma il gioco diventa sempre più surreale tanto che a fine giornata si scopre pure che la Direzione di oggi ad altro non servirà se non che a mettere a punto un «nuovo» documento programmatico da approvare in una «nuova» direzione prevista tra quindici giorni. Resteranno a bocca asciutta anche stavolta i finiani che prima di prendere decisioni su un eventuale appoggio esterno al governo aspettavano da Berlusconi e dalla direzione del Pdl «risposte sulle riforme annunciate, per le quali aspettiamo ancora l'agenda, e sul patto di legislatura con le altre forze di maggioranza» a partire da Pdl e Lega. Addirittura - a sentire Italo Bocchino - da parte di Futuro e Libertà non ci sarebbe nemmeno un po’ di malanimo nei confronti del premier: «Berlusconi deve governare - dice il capogruppo Fli alla Camera - e il nostro dovere non è stacca- gna del primato dell’economia; il diritto penale diseguale (uno per i galantuomini e uno per i «briganti», o anche solo per i poveri o i migranti) è ormai oggetto finanche di sistemazioni teoriche; lo sfascio organizzativo generale della giurisdizione non ne esclude i tradizionali caratteri selettivi (come dimostrano la composizione e la tragedia del carcere); l’intervento giudiziario ha una cifra contraddittoria; la questione morale (anche) in magistratura è più che mai acuta e rimanda non a casi isolati ma a un sistema di potere rimasto invariato negli anni; la costruzione di un ceto di giuristi capace di interlocuzione con la politica sui temi del diritto e delle regole si allontana; l’«antipolitica» ritorna a contagiare la cultura dei magistrati. Tutto ciò interpella la giurisdizione e richiede una nuova eresia, una nuova capacità di rompere equilibri consolidati, una critica forte di orientamenti giurisprudenziali che, mentre i riflettori stanno altrove, riprendono vigore e avallano doppi livelli di cittadinanza (sostenendo, per esempio, che la vita di un albanese vale meno di quella di un italiano...) o contribuiscono a trasformare la lotta alla povertà in lotta ai poveri (riempiendo all’inverosimile e senza necessità il carcere). È, dunque, necessaria una ripresa forte dell’iniziativa di re la spina ma ricordare al premier che il suo dovere è appunto questo, governare». Bisogna capire cosa vuole fare, insiste Bocchino, ancora piccato per il «picche» al patto legislativo proposto da Fini a Mirabello. E intanto, proprio mentre Berlusconi è riunito coi suoi a palazzo Grazioli, altri due deputati di Forza Italia lasciano il partito per passare a Fli: sono Daniele Toto (nominato coordinatore regionale in Abruzzo) e Roberto Rosso (che assume l'incarico di coordinatore dei finiani in Piemonte). Un ingresso il loro, ha sottolineato l’onnipresente Bocchino, importante non tanto dal punto di vista numerico quanto da quello politico: «Si tratta di esponenti di rilievo di Forza Italia a a dimostrazione che questo che stiamo realizzando non è la rirpoposizione di Alleanza nazionale ma un nuovo, grande, arioso, plurale soggetto politico di centro-destra». Mnimizza Verdini che taglia corto: si tratta solo di un «assestamento naturale, nel passato abbiamo assisto anche a defezioni più grandi. Ognuno si assume le sue responsabilità». E’ la liturgia del giorno. Più attento, o più sincero il presidente del consiglio che invece afferma: «Ormai la Camera è andata, stiamo attenti a non perdere l’autosufficienza anche al Senato». Altro che sereno governo del paese, qui tutto si sfalda e l’esodo non accenna a bloccarsi tanto che il premier, in questi giorni, sta incontrando uno per uno i potenziali «transfughi» per costringerli a rimanere. Tra questi spuntano i nomi di Giancarlo Mazzuca e Piergiorgio Massidda. Anche loro, che per prendere una decisione aspettavano la direzione di oggi, resteranno delusi. Magistratura democratica che resta, per i giuristi progressisti, una irrinunciabile «stella polare» ma che, a volte, mostra preoccupanti cedimenti al pensiero dominante, alle sirene della gestione del potere, alla sicurezza corporativa (come accade alle eresie quando diventano partecipi di un nuovo ordine). Ma se è così - mi chiedono in molti (dentro e fuori la magistratura) - perché andarsene, farsi da parte, lasciare il campo? Non è forse, questo, il segno di una sconfitta? No. Non lo è. È, al contrario, un segno di fiducia nella possibilità che una nuova stagione, coraggiosa e lungimirante, si apra. Non sarà facile, ma di essa vedo, anche nella magistratura, attori e protagonisti intelligenti e generosi. Giovani e meno giovani. Dalla Calabria al Piemonte, dalla Sardegna all’Emilia e via seguitando. Ma una nuova stagione richiede, insieme, fermezza nei princìpi e nuovi interpreti. Solo così si possono vincere resistenze, pigrizie, alibi di chi vuole che nulla (o poco) cambi. Questa è - io credo - la buona politica. Anche per quanto riguarda la giurisdizione e Magistratura democratica. Ma non basta proclamarlo. Occorre praticarlo. Con gesti coerenti (ovviamente senza abbandonare il campo, ma affrontando nuove sfide nella stessa direzione). il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 pagina 7 POLITICA E SOCIETÀ ACQUA PUBBLICA Vendola blinda l’Acquedotto pugliese e sfida i democratici La trasformazione dell’Acquedotto pugliese in «bene comune» al servizio dei pugliesi e non dei privati è un traguardo che la giunta Vendola insegue da oltre 5 anni. La giunta ha già approvato il ddl di pubblicizzazione che però giace da mesi in consiglio regionale. Una lentezza che contraddice gli impegni della maggioranza di centrosinistra. Il presidente allora rompe gli indugi e cambia direttamente lo statuto dell’Aqp. «Un cambiamento che ha un significato politico e culturale perché anticipa quello che faremo con la nuova legge che impedisce ad Aqp di poter diventare soggetto privato», spiega Vendola accanto all’assessore Amati (Pd). Oltre al divieto di ingresso dei privati il nuovo statuto prevede tariffe per i meno abbienti e coinvolge «progressivamente» gli enti locali nella gestione. «Ci sono idee diverse - sferza Vendola la sua maggioranza - su questo è bene che i cittadini siano consapevoli che ci sono conflitti politici e culturali. Io milito dalla parte di chi è contrario all'acqua mercificata e privatizzata». Fini avvisa Tremonti: cambia la finanziaria Fli voterà con Pd e Udc su editoria, università e Sud Matteo Bartocci L a maggioranza non c’è più. E la finanziaria «tabellare» targata Tremonti rischia grosso. In una Montecitorio deserta luci accese soltanto in commissione Bilancio. Dove la resa dei conti sulla legge di stabilità (la nuova finanziaria) fa consolidare, per la prima volta, il terzo polo: Fli, Mpa, Udc e Api. Da giorni i «finiani» (insieme all’opposizione) si sgolano per alcune modifiche alla manovra. In particolare su università e ricerca, editoria, fondi Fas per il Sud e tagli agli enti locali. Visto che il governo non ci sente hanno annunciato il voto insieme all’opposizione. «Ho comunicato al capogruppo del Pdl che noi voteremo il nostro emendamento a prima firma di Italo Bocchino che prevede 270 milioni in tre anni per l'università», fa sapere prima dell’inizio dei lavori pomeridiani il capogruppo finiano in commissione Antonino Lo Presti. «Voteremo poi - aggiunge - gli emendamenti che servono a implementare i fondi per l'emittenza locale e l'editoria». In questo caso si tratta di emendamento firmato da Richi Levi e altri 13 deputati del Pd: un aumento di 150 milioni di euro che ripristina il fondo editoria azzerato da Tremonti. L’unico emendamento salvagiornali (misteriosamente) scampato alla ghigliottina della «non ammissibilità» azionata con la massima solerzia dal presidente della commissione Giorgetti (Lega) e dal relatore Milanese (Pdl, braccio destro di Tremonti in parlamento). Di fronte a tutte le richieste il governo, tramite il sottosegretario all’Economia Vegas, ha ribadito che non c’è nessuno spazio a modifiche nella finanziaria. «Questa legge di stabilità, in questo momento storico, non è emendabile», chiosa a fine giornata Milanese. Un muro contro muro che però invece di intimidire i rivoltosi allarga le crepe anche nel Pdl. Maria Teresa Armosino, ex sottosegretario all’economia e presidente della provincia di Asti, annuncia il suo voto contrario alla manovra se non saranno mitigati i tagli agli enti locali (in particolare, ovvio, alle province). Mentre l’Mpa conferma che sui fondi per il Sud non farà più «sconti» a Tremonti. Quattro fronti aperti tra governo e parlamento e tutti di prima SECOLO D’ITALIA Oggi riunione decisiva dei garanti di An Berluscones contro finiani anche sul Secolo d’Italia. L’assemblea sulle sorti della testata diretta da Flavia Perina che doveva tenersi ieri è stata rinviata a stasera alle 20, dopo la direzione nazionale del Pdl. I «garanti» del patrimonio di An, com’è noto, si sono rifiutati di concedere i 700mila euro necessari a chiudere il bilancio. Soldi senza i quali il giornale vicino a Fini rischia la chiusura. L’ultima parola sarà detta oggi. In subbuglio la redazione: «Da una settimana ormai è in atto un braccio di ferro che vede il comitato dei garanti di An diviso sulla necessità di garantire al giornale le risorse economiche necessarie per andare avanti si legge in un comunicato - una vera e propria babele che si traduce in decisioni contrastanti: assemblee che non si capisce se e quando si terranno veramente, finanziamenti disponibili solo sulla carta, versioni che suonano come reciproci atti di accusa». Per rendersi conto direttamente della questione, «contro lo scaricabarile», il cdr ha chiesto di essere presente alla riunione di stasera. Mentre Enzo Raisi, deputato finiano e amministratore del Secolo, confida che la soluzione arrivi oggi. grandezza. Tanto più se si dovesse andare al voto anticipato. Vegas prova a metterci una pezza: promette che per l’università ci sarà qualcosa nel decreto milleproroghe (annunciato dal governo per il 18 novembre) e alla Armosino risponde che forse qualcosa sarà fatto sui tagli agli enti locali con «un meccanismo sulla pluriennalità atto a smorzare i picchi». «La collaborazione tra governo e parlamento - aggiunge Vegas - sarà richiesta ma su un altro tavolo, perché questo tavolo si presenta come vetrina internazionale» per l’Europa. Impegni talmente vaghi se non bugiardi che non smuovono di una virgola il fronte dei contrari. Anche perché il passo avanti dei finiani è tutto politico, come dimostra la presenza alla riunione sulla finanziaria del «terzo polo» di Della Vedova (Fli) e Galletti (Udc), plenipotenziari di Fini e Casini nella trattativa. Secondo i finiani dal governo «serve un segnale politico adesso». I numeri, per una volta, non sono dalla parte di Tremonti. Anzi. Sulla carta Pdl e Lega contano 21 membri (il presidente Giorgetti non vota) e possono arrivare a 22 col sostegno dell’ex Pd ed ex Api Cesario. Anche senza contare la riottosa Armosino, l’opposizione più finiani e Mpa conterebbe invece su 24 voti. Il pericolo di andare sotto alla prima votazione per il governo è serio, tanto che Giorgetti ha dovuto rinviare l’esame a stamattina alle 10, sperando che la notti porti consiglio. Il via libera in commissione alla manovra resta comunque fissato a venerdì. «No alla politica dei due tempi - avverte il capogruppo del Pd in commissione Pierpaolo Giaretta - il governo anticipi nella legge di stabilità alcuni degli annunci che saranno oggetto dei prossimi provvedimenti. In particolare sul patto di stabilità, sul fisco, sulla famiglia, sull'università e ricerca, sull'editoria e sui Fas. Sui quali si è registrato un largo consenso che va oltre gli schieramenti. Non si capirebbe un rifiuto oggi e un nuovo decreto tra una settimana». Sulla stessa linea l’Idv. Sono 12 (su 17) i deputati Pdl in commissione Bilancio ad aver firmato lo scorso febbraio un appello al governo per ripristinare il diritto soggettivo e i fondi all’editoria. Oggi devono decidere se passare dalle parole ai fatti. DEMOCRACK Incontro Bersani-Renzi, il leader non va a Firenze Forse neanche Zingaretti Daniela Preziosi ROMA A lla fine della giornata Matteo Renzi non manca di far sapere ai suoi cinquemila amici di facebook che «torna a casa soddisfatto degli incontri romani». Non è chiaro di cosa sia soddisfatto, il sindaco di Firenze impegnato negli ultimi dettagli dell’organizzazione di «Prossima fermata Italia», la convention dei ’rottamatori’ del Pd in programma alla Stazione Leopolda di Firenze da venerdì a domenica. Il segretario Bersani non ci sarà, anche perché, ha spiegato, «non ho capito se sono stato invitato». È improbabile che ci vada anche Nicola Zingaretti, il presidente della provincia di Roma che invece era stato invitato e corteggiato (con Renzi ha avuto qualche scontro, poi chiarito), di solito non va a iniziative interne, tanto più di una parte del partito. E così, con poche partecipazioni di peso di casa Pd - eccetto il segretario regionale Manciulli che ha già annunciato un intervento tutto contro -, e in competizione con l’incontro nazionale dei circoli Pd a Roma, l’iniziativa di Firenze rischia di diventare l’esordio dell’ennesima corrente, con il solito corredo di negazioni degli organizzatori, «né corrente né spiffero». L’incontro con Bersani, su richiesta di Renzi dopo una settimana di richieste di rottamazioni ad ampio spettro (le ultime su Chi ai danni di D’Alema e Bindi), non è andato un granché. Sarà stato anche «cordiale», come ha riferito il leader, ma alla fine resta il freddo. Si rivedranno. Il segretario gli fa la ramanzina: «In questa vicenda c’è stata qualche parola di troppo e in un partito occorre rispetto». Quanto ai contenuti «tutte le novità che vengono potranno essere inserite nel Progetto Italia e ascolteremo tutte le energie utili al rinnovamento». Ma, per dire, l’applicazione tassativa del limite dei tre mandati ai parlamentari, richiesta.-manifesto degli innovatori, non lo convince, «c’è lo statuto del partito», ribatte, che però ammette un’ampia casistica di deroghe. E alla fine «il rinnovamento è un obiettivo della mia segreteria, sono già stati raggiunti risultati indiscutibili». Bersani vorrebbe essere sicuro che in piena crisi Pdl i giovanotti fiorentini non offrano l’ennesima rappresentazione di un Pd spaccato. E che la’ carta di Firenze’ non finisca per essere una specie di documento dei 75: e cioè un’altra linea politica per il Pd. Renzi non è tipo da farsi impressionare, ha spiegato al segretario che la «spinta dell’innovazione che viene dalla base» è autentica e non un’espediente mediatico, che la presenza del segretario «ci fa piacere» ma non è indispensabile, visto che «non è una classica iniziativa con le conclusioni del segretario, ognuno avrà cinque minuti, me compreso». Eppure da programma si prevedono le conclusioni di Beppe Civati, l’altra anima dell’iniziativa. Bersani o no, Renzi annuncia che «va avanti», anche se assicura di non aver ambizioni di andare oltre il suo impegno da sindaco, per ora. Quanto alle preoccupazioni per la ’ditta’, «disogna capire che noi a Firenze non parleremo di persone, ma di temi, di idee per l’Italia, dai piani regolatori agli investimenti per la banda larga. Non è un battaglia personale, non c’è bisogno di visiblità ma di vivibilità per il Paese. Dire queste cose non è voler male al Pd, ma volergli bene». Difficile crederci, per i vecchi leoni (e non) della politica, abituati a dissensi meno maleducati. E poco convinti, per esempio, da un programma che prevede, per la domenica all’alba un’americanissima corsetta alle Cascine prima dell’inizio lavori alle 9. Così ieri Franco Marini ha dato una zampata: «Renzi? Dice che a volte sembra un po’ cazzone. A un ragazzo valido come lui do un consiglio: se per 3-4 anni ti dedicassi a Firenze, fai dire che sei un grande sindaco, non penseranno che sei quella cosa lì». SEMBRA UN CAZZONE a volte, per non apparirlo Renzi deve «per 3-4 anni dedicarsi a Firenze». È il consiglio di Franco Marini al sindaco di Firenze PRIMARIE · Intervista al segretario Il nuovo Pd milanese fino all’ultimo respiro Luca Fazio MILANO R oberto Cornelli, giovane segretario provinciale del Pd a Milano, 36 anni, sindaco di Cormano, rivendica un ruolo che è quasi impossibile associare al partito che è stato chiamato a governare, «stiamo facendo qualcosa di nuovo e diverso». Le primarie, ovviamente, ma non solo. E la sensazione è che il destino delle nuove leve del Pd sia appeso all’esito della consultazione del 14 novembre. Cornelli, e gran parte del Pd, sta con Boeri. Ammetterai che il vostro candidato ha diviso il Pd. Il problema esiste, ma non la chiamerei spaccatura. Da una parte il gruppo dirigente ha consultato la base e ha scelto Boeri a larghissima maggioranza, dall’altra alcune persone hanno deciso di scegliere altri candidati. Questo non vuol dire che tutti gli elettori del Pd staranno con Boeri, lo verificheremo presto. Noto però che c’è una sorta di pregiudizio nei confronti del Pd, dicevano che non avremmo fatto le primarie e invece le abbiamo fatte, si diceva che sarebbero state blindate e invece la partita è aperta, ci hanno criticato perché non avevamo un candidato e invece ne abbiamo uno molto valido... Non mi dire che Penati faceva i salti di gioia per le primarie, era arrivato al punto di felicitarsi per la candidatura di Pisapia caldeggiata dai partiti della sinistra. Io avevo detto che le primarie si sarebbero fatte e così è stato, sono segretario provinciale del partito, la mia non era un’opinione personale. Si sta giocando una partita tra vecchi e giovani del Pd. Invece che logorarsi in guerre intestine, non sarebbe meglio prendere coraggio e dire le cose come stanno, insomma tentare uno strappo per rilanciare il partito? Non è questione di strappi, e non è nella mia cultura, a me interessa vincere la sfida NADIA MACRÌ RACCONTA La escort e il ministro Brunetta «A tutti i fannulloni un bel tiè» CIRCOLO DI VITERBO SABATO 6 NOVEMBRE ALLE ORE 17 Università popolare di tutte le età via del Giglio, 3, VITERBO I circoli Amici de “il manifesto” e il Cp Anpi Viterbo promuovono l’incontro pubblico: LA COSTITUZIONE, UN BENE COMUNE Intervengono: Sante Cruciani (Università degli studi della Tuscia) Andrea Fabozzi (“il manifesto”) Domenico Gallo (magistrato) www.domenicogallo.it Introduce: Alfio Cortonesi (Cp Anpi Viterbo) Per info: anpi.vt(at)libero.it - Claudia 347/5257661 Terrà una conferenza stampa oggi a Reggio Emilia Nadia Macrì, la 28enne che ha raccontato ai magistrati di Palermo di festini e di sesso a pagamento nelle ville di Berlusconi ad Arcore e in Sardegna. La ragazza sostiene di essere stata portata da Lele Mora ed Emilio Fede da Berlusconi e di aver avuto con lui due rapporti a pagamento, e uno con il ministro Brunetta conosciuto attraverso Perla Genovesi, ex assistente di un parlamentare di Forza Italia che una volta finita coinvolta in un’inchiesta per traffico internazionale di droga ha raccontato ai pm della sua amica Nadia. Brunetta ha negato e ha detto di aver incontrato solo una volta la Macrì e di essersi limitato a metterla in contatto con l’avvocato Taormina, che però lo ha smentito: «La conosce molto bene», ha detto. Evidentemente rivolta al ministro, Macrì ieri ha scritto su Facebook: «A tutti i fannulloni un bel tiè». SEGRE’ ASPETTA IL PD Dopo Sel e Idv, sulla corsa a sindaco di Andrea Segré c’è il sì dei verdi. Ma lui vuole l’appoggio del Pd, che decide nel week end CIRCOLO DI ALESSANDRIA venerdì 5 novembre 2010, alle ore 20 Al Circolo Matteotti, via Faà di Bruno 39 - Alessandria Liberamente, laboratorio di analisi & politica organizza una cena a sostegno del quotidiano il manifesto con l’intervento del giornalista Luca Fazio Antipasto, primo, secondo, vino e caffè, 25 euro Info e prenotazioni: liberamente(at)fastwebnet.it - cell. 3357302986 con la Moratti. Più che tra vecchi e giovani direi che c’è ancora qualcuno che nel partito pensa che a Milano non si possa vincere, invece io – o il gruppo dei giovani – penso che la vittoria sia alla nostra portata. Considero l’altro atteggiamento come una battaglia di retroguardia. Rifaccio la domanda: se Boeri perde ti fanno fuori? Non lo so, vedremo... In ogni caso non è un problema, il destino personale di questo o di quel politico non è rilevante. Se dovesse andare così, significherà che non abbiamo capito quale tipo di politica serviva per vincere a Milano. Onida è in rotta col Pd, vi accusa di aver trasformato le primarie in una lotta tra partiti e farà una sua lista civica. Parte del mondo cattolico e non solo potrebbe convergere sulle sue posizioni. Per il Pd è un problema. I profili dei due candidati sono diversi e noi abbiamo scelto Boeri, crediamo che con lui si possa battere la Moratti. Boeri ha una visione della città più europea, aperta, internazionale. Ai candidati che hanno perso toccherà decidere come sostenere il vincente, se Onida deciderà di fare una lista spero solo che sia utile a far vincere il centrosinistra. E se vince Pisapia? Se succederà, dovrà dire grazie a chi ha voluto le primarie. Il partito lo sosterrà lealmente, anche se al nostro interno si aprirà un problema. Altroché. Se Pisapia, il candidato della micro sinistra, batte il candidato del Pd per voi sarebbe una disfatta. Per te, anche peggio Può essere, in politica succede così, ma io ho cercato di mettere in piedi una strategia per vincere non per rappresentare me stesso. Vorrà dire che avrò buttato via mesi di lavoro, ma sono convinto che questa occasione non verrà sprecata. Boeri è un ottimo candidato, non è un pericoloso reazionario. Non mi far dire i nomi su cui ha puntato il centrosinistra in passato... Cosa manca ai giovani del Pd per fare il salto di qualità e proporsi come dirigenti più credibili rispetto al vecchio modo di fare politica? Difficile rispondere. Direi che ai giovani che fanno politica manca una massa critica giovane che li sostenga, e poi mancano anche i giornali che sostengono le buone politiche dei giovani dirigenti. Battute a parte, la realtà è che la disaffezione verso la politica è tale per cui diverse generazioni, soprattutto a Milano dove la sinistra non governa da vent’anni, sono convinte che la politica non c’entri nulla con la loro vita quotidiana. E’ difficile attirare energie, ma penso che il Pd sia l’unico partito che dà segnali di tenuta. Stimo molto Vendola, ma senza di lui Sel non esiste. Come attirare le energie? Governando. pagina 8 il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 POLITICA E SOCIETÀ TOR BELLA MONACA Periferie, il piano d’oro di Alemanno Tra le proteste dei movimenti di lotta per la casa, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha presentato ieri il «masterplan sulla riqualificazione urbanistica di Tor Bella Monaca». E, contrariamente a quanto preannunciato e propagandato, lo ha fatto nella cornice più rassicurante dell’auditorium dell’università Tor Vergata, non certo nel cuore del quartiere tra i più degradati dell’estrema periferia est della capitale. Il piano, affidato «a titolo gratuito» all’architetto lussemburghese Leon Krier, prevede la «demolizione programmata» del quartiere, in particolare le cosiddette "torri", il peggio dell’edilizia popolare anni ’80, preceduta dalla costruzione «nelle aree libere esterne» al quartiere «di nuovi alloggi pubblici, la cui altezza non supererà i quattro piani, destinati ai residenti». Al posto degli edifici demoliti, secondo il masterplan, saran- Giorgio Salvetti BRESCIA A lice porta un sacco pieno di vestiti. «Con la pioggia dei giorni scorsi i ragazzi sulla gru erano sempre zuppi, dovevamo portargli il cambio asciutto ogni tre ore». Sono lassù da cinque giorni e cinque notti e non hanno nessuna intenzione di scendere. «Non abbiamo più nulla da perdere. Restiamo qui. E se qualcuno ci vuole far scendere con la forza ci buttiamo di sotto». Lo gridano in tutte le lingue con il megafono. Sotto applaudono, suonano, cantano e non se ne vanno mai. Vogliono il permesso di soggiorno. Per questo hanno presidiato per 34 giorni la prefettura di Brescia. Per questo sabato scorso hanno manifestato. E quando la polizia li ha caricati e le ruspe hanno distrutto il loro presidio, in 9 hanno deciso di salire a 35 metri di altezza, sulla gru del cantiere della metropolitana. Dopo giorni di pioggia sono rimasti in cinque, infreddoliti, febbricitanti, con il mal di gola. Ma senza nessuna voglia di farsi fregare un’altra volta. Dal 2009 chiedono di essere regolarizzati. Per questo hanno presentato tutti i documenti per la sanatoria di colf e badanti. Hanno pagato fino a 500 euro di spese. Ma è bastata un circolare del capo della polizia Manganelli a tagliarli fuori. Il motivo? Nel corso della loro permanenza in Italia hanno ricevuto un provvedimento di espulsione. E da quando la «clandestinità» è un reato, questo solo fatto costituisce un precedente penale che non permette la loro regolarizzazione. Un circolo vizioso contro il quale questi stranieri si battono da mesi senza avere risposte. Adesso le pretendono. Arun, pachistano 24 anni. Jimi, egiziano 25 anni. Rachid, marocchino, 35 anni. Sajad, pachistano, 27 anni, Singh, indiano, 26 anni. Fanno gli operai, volantinaggio e altri lavori saltuari, ovviamente in nero. Non sono colf e badanti, ma lavorano eccome. L’unico modo che avevano per vedersi riconosciuti i loro diritti era partecipare alla sanatoria delle colf. E invece sono stati imbrogliati dallo stato e spesso anche dai loro datori di lavoro che hanno lucrato sulle domande di regolarizzazione e poi sono spariti. Sono stati fregati anche dal Comune e dal prefetto. Prima li hanno scaricati e hanno distrutto il loro presidio, poi quando ormai disperati sono saliti su quella gru, fanno proposte che loro non vogliono neppure ascoltare. «Sono salito con uno della questura - racconta Mohamed, egiziano che tutti chiamano Mimmo – hanno detto che ci davano la possibilità di fare un presidio di 15 giorni sotto tutela della Curia, di Cigl e Cisl e che poi avrebbero aperto un tavolo sul nostro problema. Ma che cosa ci raccontano? È un anno che lottiamo, cosa ce ne facciamo di 15 giorni in più». Noureddine è marocchino: «La gru è la nostra ultima carta da giocare e non vogliamo perdere. A questo punto vogliamo che ci sia un incontro al ministero degli interni, che si apra una trattativa seria su tutta la questione della sanatoria e del reato di clandestinità e nel frattempo vogliamo poter continuare a fare il nostro presidio, perché queste cose sono un nostro diritto. Abbiamo incontrato il sindaco e lui dice solo che diamo no realizzate aree verdi, strade, piazze, servizi, «allo scopo di far riscoprire il valore dello spazio pubblico». Bello no? E allora vediamo i numeri: rispetto ai 629 mila metri quadri di Superficie utile lorda (Sul) attualmente costruiti su 77,7 ettari di territorio, con una volumetria complessiva di oltre 2 milioni di metri cubi, tra «cinque anni» la superficie lorda utilizzata sarà quasi il doppio (1.100.000 mq), l’area edificata salirà fino a 96,7 ettari, e la volumetria arriverà addirittura a 3.520.000 metri cubi. Altro che villette: cemento quasi raddoppiato. Al posto degli attuali 28 mila abitanti su 78 ettari circa (300 abitanti a ettaro), il piano prevede un incremento della popolazione fino a 44 mila abitanti. Che su 100 ettari circa fa 440 abitanti a ettaro. Altro che «tipologia abitativa meno densa»: qualcosa che assomiglia più alla speculazione edilizia anni ’60 di viale Marconi, per esempio. Il tutto a costo zero per l’amministrazione, malgrado per «l’intera operazione» si spenderanno 1.045 miliardi di euro. Ma, spiega Alemanno tra le grida dei cittadini che protestano, sarà tutto pagato dai privati. (eleonora martini) BRESCIA · Cinque stranieri resistono sulla gru e mettono sotto scacco la Lega Trenta metri sopra il cielo per il permesso di soggiorno GLI IMMIGRATI SULLA GRU A BRESCIA/FOTO LIVIO SENIGALLIESI 5 DA CINQUE GIORNI e cinque notti cinque stranieri vivono a 30 metri di altezza su una gru del cantiere a Brescia. Vogliono il permesso di soggiorno cui hanno diritto e non hanno intenzione di scendere fino a che non lo avranno. fastidio ai bresciani. Ma qui con noi ci sono tantissimi cittadini di Brescia». Alice lascia i vestiti nel vicino oratorio. È lì che si raccolgono gli aiuti per gli uomini sulla gru. Nelle stanzette dell’asilo a misura di bambino i bresciani portano cibo, vestiti, soldi. «Li useremo per comprare abbigliamento da montagna». È tutto pulito, eppure la notte stranieri e italiani in presidio sotto la gru vengono qui a riposarsi e rifocillarsi. «Dicono che strumentalizziamo la protesta, ma non è così. Sono loro che decidono tutto, noi del movimento antirazzista diamo solo una mano. E da quando sono saliti sulla gru c’è molta più solidarietà», spiega Umberto Gobbi dell’associazione Diritti per tutti. «È veramente razzista pensare che noi siamo sempre sotto qualcuno anche quando protestiamo. Noi abbiamo la nostra testa». Sanno che la loro protesta è disperata. Il sindaco Adriano Paroli (Pdl) è sempre a Roma in parlamento. A Brescia spadroneggia il vicesindaco leghista Fabio Rolfi. È l’uomo che regge le fila del Carroccio nel bresciano, il capo del sindaco Lancini di Adro. E su questo vicenda si gioca la faccia. Ma non bisogna cadere nella retorica del «profondo nord». Brescia è la provincia con più stranieri d’Italia (160 mila circa su un milione e 200 mila abitanti). L’integrazione qui è una realtà. E per questo lo scontro con i leghisti è duro ma si può vincere. Sabato a Brescia si manifesta perché la lotta della gru non sia vana. L’appuntamento è alle 15 in piazza della Loggia. NAPOLI · Nuovo richiamo da Bruxelles: «Servono azioni immediate» Ancora scontri a Taverna del Re, 8 feriti A. Po. NAPOLI S ulla piazzola E12 di Taverna del Re ieri pomeriggio sono arrivate 4mila tonnellate di rifiuti talquale, un viaggio costato una decina di feriti. All’arrivo dei 20 autocompattatori la polizia ha caricato i manifestanti, che hanno reagito con il lancio di pietre e masserizie. Cinque poliziotti e tre del presidio rimasti contusi. Uomini e donne presi di peso e scaraventati sul ciglio della strada. «Ho ricevuto una manganellata in testa e un calcio nei testicoli. Stavamo tentando di rallentare il passaggio dei mezzi, eravamo circa 200, ma era una protesta pacifica. E’ in atto un’escalation di violenza delle forze dell'ordine» racconta Giovanni Russo, giovane consigliere Pd di Giugliano. Ieri 9 suoi colleghi del centrosinistra hanno rassegnato le dimissioni, si attendono adesioni anche da destra, al governo della cittadina, contro la giunta responsabile di «una linea morbida sulla riapertura del sito». Intanto a Terzigno restano i presidi contro l'accordo firmato dal governo con i 18 sindaci del vesuviano. I dimostranti dicono no alla riapertura di Cava Sari perché non c’è stata nessuna seria rassicurazione rispetto ai livelli d'inquinamento (diossine e metalli pesanti). Così attendono l’intervento della procura di Nola, a cui è già stato fatto un esposto, per ottenerne il sequestro e si preparano a un’altra notte di veglia, non si esclude un nuovo blocco degli autocompattatori. Situazione calda anche sul fronte comunitario. La Ue ieri è tornata a chiedere all'Italia «azioni immediate» per far fronte all'emergenza rifiuti. «Noi continuiamo a monitorare - ha detto il commissario europeo all'Ambiente, Janez Potocnik - ma devono essere prese misure per cambiare la situazione». Si profila una seconda sentenza di condanna che, secondo fonti europee, «costerà cifre infernali all'Italia e renderà la situazione ancora più grave». A urtare la commissione anche il piano di uscita dalla crisi della regione Campania: «fuori discussione» sono stati definiti i 20 anni proposti, dopo l’ultima ispezione sul territorio regionale, per lo smaltimento delle ecoballe, ormai mummificate a Taverna del Re e in altri siti. Per la Commissione si tratta di «uno scherzo di cattivo gusto». LE VOCI «Non abbiamo più nulla da perdere» G.Sal. «N on chiediamo un miracolo, vogliamo solo una vita regolare e serena». Arun è un fiume in piena. Il suo italiano è perfetto. Ha voglia di parlare, sa il fatto suo e non vuole assolutamente scendere. Come stai? C’è finalmente il sole. Oggi non è stata una brutta giornata. Abbiamo la forza per restare quassù. Sì, però non avete ancora ottenuto nulla, fin quando pensate di resistere? Se non avremo risposte positive resteremo qui. Piuttosto mi butto di sotto. Sono in Italia da 7 anni, a lavorare in nero, 10-12 ore al giorno per 25 euro. Il mio datore di lavoro è scomparso. Se n’è andato anche da casa. Ma ti sembra il caso di buttarti di sotto per questo? La nostra non è vita. Abbiamo già perso troppi anni della nostra vita. Non possiamo perdere. Oppure perdiamo tutto. Quando mi è giunta voce che ci volevano fare scendere con la forza ho preso il megafono è l’ho gridato. Tu non hai al permesso di soggiorno perché hai ricevuto un provvedimento di espulsione. Come è successo? Stavo lavorando vicino a Crema. Portavo i volantini. Si tratta di fare chilometri a piedi carichi come muli per mettere volantini nelle caselle delle lettere, tutte le caselle delle lettere. Non c’è orario, si lavora alla giornata, hai finito quando ti dicono che hai finito. Mentre camminavo mi hanno fermato per un controllo, siccome non sono in regola e lavoravo in nero mi hanno dato il decreto di espulsione. Ma questo non può essere un reato. Stavo solo lavorando. Io da qui non scendo. ROMA CAPITALE Riqualificazione? No: debiti pagati col cemento Paolo Berdini E ra apparso subito misterioso il motivo per cui il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, avesse deciso di realizzare case a bassa densità al posto del quartiere di Tor Bella Monaca, proprio ora che i comuni non hanno un soldo per fare alcunché. Ci sarà tempo per valutare nel merito il "piano direttore" presentato ieri alla città. Ma fin d’ora è possibile rendere chiari quali siano le motivazioni della estemporanea proposta. Le motivazioni stanno nella deliberazione n. 3 del 5 ottobre 2009 presa dallo stesso sindaco Alemanno nella veste di Commissario straordinario di governo per il piano di rientro del comune di Roma. Come si ricorderà, nel primo periodo di vita della giunta di centrodestra ci fu una forte polemica riguardo l’ammontare del buco economico lasciato dall’amministrazione precedente: per questo il governo Berlusconi affidò poteri speciali al sindaco proprio per definire tempi e modalità di rientro. La deliberazione in questione è un riconoscimento di debito nei confronti degli eredi Vaselli, famiglia di grandi proprietari terrieri. A seguito di espropri mai perfezionati proprio per la realizzazione di Tor Bella Monaca il comune fu chiamato in causa dai Vaselli e perse la prima causa civile. L’amministrazione presentò appello, ma avviò contemporaneamente procedure riservate per la chiusura bonaria del debito. Così nel 2007 – amministrazione Veltroni – furono stanziati quasi 76 milioni di euro per chiudere le controversie con i Vaselli ed una parte di essi furono pagati. Mancavano altri creditori e così il sindaco-commissario deliberava di pagare i restanti 55 milioni di euro: per capire di quale folle buco stiamo parlando, in un solo anno sono stati riconosciuti ai Vaselli 1.343.000 euro di interessi per ritardato pagamento! Ecco perché durante la scorsa estate il sindaco ha avuto l’idea di “recuperare” Tor Bella Monaca. Se si demoliscono anche parzialmente le attuali abitazioni, occorrerà trovare terreni liberi per costruire quelle nuove. E, guarda caso, le aree libere intorno a Tor Bella Monaca sono di proprietà degli eredi Vaselli. Costruisco nuove case sui terreni dei creditori del comune e tutto finisce in gloria. Una considerazioni finale. Da conteggi attendibili e rigorosi sembra che il debito contratto dal comune di Roma con la rapace proprietà dei suoli è stimato nell’ordine di 1,5 – 2 miliardi di euro. Se applichiamo il metodo Tor Bella Monaca, e cioè riconoscere cubature in cambio della cancellazione del debito, dovremmo costruire in ogni centimetro della città. Una follia. Ma come mai, chiediamo, negli ininterrotti 15 anni di amministrazione di centrosinistra nessuno ha mai lanciato l’allarme su questa situazione inedita nel panorama europeo? Non se ne è accorta nemmeno l’Anci che con il presidente Leonardo Domenici non ha mai posto la questione con la dovuta forza, forse perché nella veste di sindaco di Firenze era troppo impegnato nelle trattative della peggiore urbanistica contrattata. Nessuno ha dunque fiatato e i comuni italiani sono stati lasciati in preda ai proprietari dei terreni. Non ci sono più leggi e i comuni che vogliono fare qualsiasi opera pubblica sono costretti a regalare milioni di metri cubi di cemento. E’ così anche nell’ultimo caso della Formula 1 da svolgersi all’Eur. Il tanto mitizzato privato non ci mette un soldo: è il comune che paga l’operazione vendendo aree pubbliche che ospiteranno una nuova colata di cemento. Sono anni che il manifesto lo denuncia con forza ma il palazzo fa finta di nulla, impegnato a discutere d’altro. Come il finto recupero di Tor Bella Monaca. Finto perché i documenti consegnati ieri dicono che ai privati verranno "regalati" 1.500.000 metri cubi di cemento e che la densità abitativa passerà dagli attuali 300 abitanti ettaro a 440: una mostruosa speculazione edilizia. Come alla Magliana o viale Marconi. Altro che villette! il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 pagina 9 CAPITALE E LAVORO FIAT POMIGLIANO Accordo separato anche per la cassa in deroga. Pronta una «newco» L e vie dell’accordo separato sono infinite. Al ministero del lavoro, ieri mattina, è stata siglata l’intesa sulla cassa integrazione «in deroga» per otto mesi per i 4.812 lavoratori di Pomigliano. La Fiom non ha firmato, perché – persino secondo l’accordo-capestro fatto votare sotto ricatto in giugno – dal 15 novembre avrebbe dovuto partire la «cig straordinaria per ristrutturazione». Com’è noto, la prima non garantisce l’occupazione; la seconda sì. La motivazione addotta dalla Fiat e avallata dal governo è anche peggiore: «Siamo in presenza di una nuova società», ha spiegato il ministro Sacconi, «ci sarà sostanzialmente continuità nell’erogazione dei trattamenti di protezione del red- dito». Ma tra una copertura per 24 mesi prorogabile, e una di otto e poi basta la differenza è tanta. La Fiat si è così limitata a garantire l’anticipazione degli assegni in attesa che il ministero emani il provvedimento, delegando l’Inps ad erogare le somme necessarie. In pratica, Sacconi ha confermato che il Lingotto – su Pomigliano – metterà in campo una newco, come a suo tempo fece Alitalia, assumendo ex novo uno per uno i lavoratori «fino a saturazione» (che è cosa ben diversa dal riassumere tutti). Anche Fim, Uil, e Fismic (i «complici» che firmano sempre senza discutere) hanno così deciso che non faranno più assemblee con i lavoratori (a Mirafiori e altrove); si limiteranno a sottoporre «questionari individualmente» per sapere cosa pensano. Cestinandoli, vien da supporre, se il parere espresso non piacerà. Una voce stonata è subito arrivata dalla neosegretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, la quale pur dicendo che «la Fiom non è un problema», ha evitato accuratamente di stigmatizzare l’accordo separato. Anzi, ha invitato la Fiom stessa a passare «dalla difesa alla proposta». Giorgio Airaudo, delegato della segreteria Fiom per l’auto, ha dovuto per un verso spiegare che «mancano le condizioni e le garanzie sufficienti al mantenimento occupazionale». Per l’altro, far notare anche alla Camusso che «noi non facciamo accordi cattivi per i lavoratori». La Fiom «non deve dimostrare nulla, siamo la categoria che ha fatto più accordi, anche in tempi di crisi. Ma abbiamo l’onere del consenso dei lavoratori; e a questo credo che neanche la Cgil si può sottrarre». Fr. Pi. L’ELEZIONE · Una donna per la prima volta segretario generale. Oggi l’addio di Epifani dopo 8 anni LE REAZIONI IL NUOVO CORSO Cgil, è scoccata l’ora Camusso Sacconi, la Cisl, il Pd e le imprese Tutti ora sperano nel «dialogo» Senza unanimità, e la minoranza chiede democrazia Riparte il confronto con Confindustria, Cisl e Uil: «Il contratto è centrale» Antonio Sciotto U na standing ovation del direttivo ha salutato ieri l’elezione di Susanna Camusso a primo segretario generale donna nella storia della Cgil. Milanese, 55 anni, succede a Guglielmo Epifani, che lascia per scadenza del suo secondo mandato, dopo 8 anni. È stata eletta con il 79% dei consensi (125 sì, 21 no e 12 astenuti). La sua ascesa al seggio più alto della Cgil è stata accolta, come di prammatica, da messaggi positivi provenienti un po’ da tutte le direzioni, dalla politica di destra e sinistra fino allo stesso governo, dalle imprese ai colleghi-avversari di Cisl e Uil. Un po’ tutti si attendono un «cambio di rotta», perché la Cgil insomma sia più «aperta al dialogo». Diverso il fronte della minoranza interna, «La Cgil che vogliamo», che invece sottolinea subito le divergenze e dice no alla linea del neo eletto segretario generale: in particolare, denuncia il leader dell’area Gianni Rinaldini, la nuova dirigenza Cgil avrebbe già firmato, «senza consultare democraticamente tutti gli organismi della confederazione», intese sul modello contrattuale con la Confindustria, per legare maggiormente i salari alla produttività. Accettando dunque il modello che la vecchia Cgil , quella di Epifani, aveva rigettato non siglando il nuovo modello contrattuale concordato nel 2009. Prima delle votazioni, Camusso ha letto davanti alla platea del direttivo la sua dichiarazione programmatica, come prevede il rito, anche se l’elezione era ormai scontata e peraltro preannunciata da mesi. Soprat- /FOTO EMBLEMA tutto dopo che in giugno, un mese dopo il Congresso Cgil, Guglielmo Epifani l’aveva designata sua vicesegretaria generale, indicandola quindi nel ruolo (ufficioso) di Delfina. Camusso ha aperto il suo discorso criticando le politiche del governo Berlusconi: «Con i suoi provvedimenti ha diviso il Paese, dal reato di clandestinità al Collegato lavoro. Ha attuato uno smantellamento dei diritti, contro la politica di attuazione della Costituzione e del welfare come rete di protezione universale». SEVEL · Fabbrica Italia? Basta l’accordo del 2005 «L'accordo 2005 aumenta i diritti dei lavoratori, mentre Fabbrica Italia di Marchionne toglie i diritti». Questa la nota della Fiom Cgil provinciale di Chieti ai lavoratori Sevel (Atessa), dopo che l'ufficio economico del sindacato ha analizzato i bilanci economici 2008-2009 della Sevel. «Lo studio e l'analisi dei bilanci smentiscono quanto affermato da Sergio Marchionne, secondo cui Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia. Non è così. La Fiat realizza nel 2008 un utile operativo netto di 56.516.308 euro e, nel 2009, nonostante un calo di fatturato di oltre 1.700.000.000 euro, realizza un utile operativo netto di 2.737.601 euro. Anche quest'anno la Sevel avrà un importante utile operativo netto. Tutto questo grazie ad accordi sindacali importanti e condivisi dai lavoratori. Nel 2005 i sindacati hanno sottoscritto un accordo importante per lo sviluppo dello stabilimento, senza derogare in peggio le condizioni di vita dei lavoratori. La Sevel non ha bisogno di aderire a Fabbrica Italia, ma di portare a termine l'accordo del 2005, dove si prevedeva una salita produttiva fino a 300.000 vetture da realizzare» Successivamente ha ricordato la manifestazione del 27 novembre, indetta dalla Cgil «per il futuro dei giovani e il lavoro», per una reale estensione a tutti e un rafforzamento degli ammortizzatori sociali, per una politica di sviluppo che crei occupazione. Dopo il 27 novembre, «decidremo in un direttivo come proseguire la mobilitazione, immaginando che ciascuna forma, incluso lo sciopero generale, deve essere vissuta e preparata positivamente dai lavoratori». Al centro delle politiche della Cgil, come sancito al Congresso di maggio, per Camusso «deve restare la contrattazione: no alle deroghe e sì alle regole, per un contratto nazionale più universale, che riesca a includere i deboli e i giovani». Nello stesso tempo, il contratto nazionale auspicato da Camusso dovrà essere «più largo e meno prescrittivo, più inclusivo e universale, affermando la necessità di una contrattazione di secondo livello sempre più ampia e diffusa». «Un modello che riapra una prospettiva per i meccanici, come hanno rivendicato nella loro autorevole e grande manifestazione del 16 ottobre, contrastando le deroghe». «Difficile», secondo il nuovo segretario Cgil, «risulta oggi pensare a un’unità sindacale nel breve». «Sono venute meno le normali relazioni: anche piattaforme comuni, come quella del fisco, sono utilizzate da Cisl e Uil nella divisione e appaiono qualche volta a sostegno del governo». Per trovare un terreno comunque, dunque Camusso rilancia il tema delle regole su rappresentanza e rappresentatività: «Una nostra proposta sarà il tema di una prossima riunione del direttivo: non ci si può affidare alla sola legge, peraltro con questo Parlamento di difficile attuazione. Serve una proposta che sfidi Cisl, Uil e le nostre controparti a decidere insieme regole e procedure». Per Camusso è superata l’idea contenuta nella piattaforma del 2008, «designata in una stagione in cui la rottura era l’eccezione e le regole erano condivise, c’erano l’autonomia dal governo e dalle controparti di tutti i sindacati». La nuova formula dovrebbe «favorire l’idea di coalizione, andando oltre il 51%: per questo motivo vorremmo favorire il mandato e non solo il voto dei lavoratori». Il primo appuntamento del nuovo anno sarà «l’assemblea delle camere del lavoro», mentre Camusso chiude il suo discorso chiedendo «maggiore unità interna dentro la Cgil». «Spero che con l’arrivo di Susanna Camusso cambi qualcosa – afferma il ministro del welfare Maurizio Sacconi - Ci sarà certamente continuità nell'organizzazione, ma io mi auguro che ci sarà una maggiore disponibilità alla mediazione con le altre organizzazioni, con Cisl e Uil. La disponibilità mediale con esse costituisce il presupposto per più avanzate relazioni industriali». Una dichiarazione più scarna e istituzionale, ma comunque speranzosa di «dialogo», viene anche dalla Confindustria: «Ci auguriamo che il suo mandato possa tradursi in uno spirito di collaborazione tra tutte le parti sociali e le Istituzioni, nel rispetto dei reciproci ruoli, ma con il comune obiettivo della crescita. In questo momento difficile per il paese è importante, nell'interesse di tutti, dialogare in modo costruttivo, rimettendo al centro il tema della competitività e i problemi reali dei lavoratori e delle imprese», scrive l’associazione. E così Raffaele Bonanni, segretario Cisl, anche lui per riallacciare i nodi: «Spero che con Susanna Camusso sia più facile trovare punti d'intesa: quando avviene un avvicendamento ci può essere il germe di un cambiamento». All’unità del mondo del lavoro guarda il Pd, con Pierluigi Bersani: «Sono convinto che la freschezza e l'energia di una donna porteranno qualcosa di nuovo nel mondo del lavoro e nella prospettiva della sua unità. Ne abbiamo un grandissimo bisogno non solo per il lavoro ma per il Paese. Sono sicuro che Susanna Camusso sentirà l'impegno e la responsabilità e avrà la capacità di difendere al meglio gli interessi dei lavoratori e dare quel contributo, in un momento così cruciale dalla vita del Paese, che i sindacati hanno sempre dato per superare i momenti di crisi». DIARIO DELLA CRSI Cina, esplode il Pil. Usa, tante auto e poca occupazione O cchi puntati sul grande malato, gli Stati uniti, la cui congiuntura seguita a battere la fiacca. Ieri sono stati diffusi alcuni dati positivi, ma anche uno decisamente negativo: la concessione di mutui che nell’ultima settimana di ottobre hanno fatto registrare una caduta del 5,0% a conferma di un mercato immobiliare ancora in crisi. Anche se la crisi riguarda soprattutto i rifinanziamenti scesi del 6,4%, mentre le nuove concessioni hanno segnato un aumento dell’1,4%. Il dato positivo più rilevante riguarda, invece, il lavoro: in ottobre, secondo la Adp, società specializzata nella gestione in outsourcing di risorse umane. sono stati creati dal settore privato 43 mila posti di lavoro. Il problema è che, probabilmente, il settore pubblico seguiterà a distruggere posti, visto che stanno scadendo i contratti a termine con i quali sono erano stati assunti centinaia di migliaia di disoccupati per la preparazione del censimento. Ne sapremo di più venerdì quando saranno diffusi dal dipartimento al lavoro i dati ufficiali sull’occupazione in ottobre. In ogni caso, il dato dell’Adp, seppure positivo, non appare numericamente adeguato al riassorbimento della disoccupazione che sfiora il 10%, 15 milioni di senza lavoro. Altro dato positivo è quello degli ordini all’industria in settembre: sano saliti del 2,1% e si tratta del terzo rialzo mensile consecutivo. A trainare la ripresa è soprattutto il comparto auto, al netto del quale gli ordini sono saliti solo dello 0,4%. Gli ordini di beni capitali, escludendo difesa e aerei, sono diminuiti dello 0,2%. A propositi di auto, ieri sono stati diffusi i dati sulle immatricolazioni in ottobre che confermano il proseguimento del trend positivo (sette mesi consecutivi) per la Chrysler (+37%), un buon aumento (+20%) per la Ford e uno più contenuto (3,5%) per la Gm. Bene anche l’indice Ism dei servizi salito in ottobre a 54,3 punti. Oltre la soglia dei 50 punti l’indice indica che si è in presenza di una fase espansiva. Passando ai «nemici» economici degli Usa, cioè alla Cina, la Banca mondiale ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita del Pil per il 2010: sarà del 10% contro il 9,5 precedentemente stimato. La Word Bank tuttavia ha messo in guardia Pechino contro i rischi indotti dai disequilibri negli scambi mondiali. Le partite correnti dovrebbero segnare quest’anno un surplus in crescita a 320 miliardi di dollari nel 2010, contro 260 miliardi della precedente stime, mentre per il 2011 il surplus potrebbe ampliarsi a 356 miliardi di dollari. Le riserve in valuta estera saliranno per fine anno a 2.765 miliardi di dollari da 2.705 miliardi della stima precedente. La banca mondiale ritiene che i tassi di interesse cinesi hanno bisogno di crescere ancora e giudica che la liquidità internazionale sia messa a dura prova della politica monetaria cinese. Secondo l'economista della Banca Mondiale, Ardo Hansson, la Cina dovrebbe stabilire il valore dello yuan contro un paniere di divise, piuttosto che sulla base di scambi bilaterale e recenti segnali nella fluttuazione dei tassi di cambio dello yuan suggeriscono che la Cina potrebbe muoversi questa direzione. Galapagos Francesco Piccioni I problemi in Cgil non cominciano ora. L’andamento del Congresso concluso a Rimini, in maggio, ne aveva mostrato con chiarezza i contorni. E sono ancora lì, più forti di prima, in una congiuntura economica durissima, con un sistema delle imprese che sembra pensare la competizione solo in termini di meno diritti e minori salari, con due sindacati (Cisl e Uil) che sembrano ormai controparte, un governo che solo nella distruzione del valore del lavoro e nella divisione del sindacato può vantarsi di «aver fatto». E molto. A loro modo, anche quei 12 astenuti, prima imprevisti, segnalano un disagio che va oltre i confini della minoranza interna, l’area «La Cgil che che vogliamo», che ha votato compattamente contro (21 voti). È stato Gianni Rinaldini, coordinatore dell’area e unico ad intervenire dopo la «dichiarazione programmatica» della Camusso. Non è stato un intervento diplomatico. Ha preso di mira intanto il «confronto in corso tra le parti sociali» sulla produttività, «cui la Cgil – la segreteria confederale, ndr – partecipa senza nessun coinvolgimento né mandato del Comitato Direttivo». Persino «il primo blocco di intese» lì sottoscritto risulta «del tutto sconosciuto agli organismi della Cgil». Al punto che se ne sa qualcosa solo perché «pubblicati sui siti delle controparti», mentre «non se ne trova traccia alcuna nell’informazione interna». Se si trattasse di questioni accessorie, il problema ci sarebbe, ma non devastante. Ma se «le parti sociali ritengono siano rese strutturali tutte le scelte normative volte a incentivare la contrattazione di secondo livello che collega gli aumenti retributivi all’aumento della produttività e redditività», allora «si assume una parte significative del modello contrattuale» che «la Cgil non ha firmato». La domanda è semplice: «dove e quando abbiamo assunto questa decisione?». È la stessa opportunità del «confronto» a esser messa in discussione. «Aprirlo mentre il Collegato lavoro distrugge il diritto del lavoro, mentre il governo blocca la contrattazione nel pubblico impiego, mentre Federmeccanica e Confindustria annullano il contratto nazionale, rappresenta una scelta sbagliata e subalterna». Anche le frasi sullo «sciopero generale» , da proclamare «sulla base dello stato di avanzamento delle risposte delle nostre controparti», alla fin fine, «cosa significano?». L’indeterminatezza lascia spazio a qualsiasi ipotesi. «Se ci riferisce solo al patto sulla produttività, che il presidente di Confindustria chiama "il patto sociale"», beh, «si apre un gigantesco problema di democrazia in Cgil». Che non è solo un problema di «pratiche interne», ma anche di proposte. Se «le coordinate del progetto Cgil» sono «quelle espresse oggi, se non c’è nessun riferimento ai referendum», allora «non sono d’accordo». Altra cosa, indubbiamente, è la «consultazione certificata». L’ultima questione rimasta in dubbio era sull’ammissione di un rappresentante della minoranza in segreteria confederale. respinta sulla base del principio «partecipa solo chi converge sulla strategia». Brutta soluzione. «è decisamente la meno rispettosa delle diversità, la meno autenticamente democratica». Nella storia secolare della Cgil. pagina 10 il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 LETTERE E COMMENTI PER MAGGIORI INFORMAZIONI CONSULTATE IL SITO WWW.ILMANIFESTO.IT ECCO COME POTETE PARTECIPARE ALLA NOSTRA CAMPAGNA DI SOTTOSCRIZIONE : on line, versamenti con carta di credito sul sito www.ilmanifesto.it, ed è il metodo più veloce ed efficace. Telefonicamente, sempre con carta di credito, allo 06-68.719.330, o via fax allo 06-68.719.689. Potete telefonare anche DA RUBY A Silvio [email protected] per segnalare, suggerire e organizzare iniziative di sostegno. Con bonifico bancario presso la banca sella intestato a: il manifesto Coop. Ed. a r.l. IBAN IT18 U 03268 03200 052879687660. Con conto corrente postale numero 708016 intestato a: il manifesto Coop. Ed. ar.l., via Bargoni 8 - 00153 Roma. Non è finita l’era berlusconiana Precario a 41 anni. Che ne dici? Ho saputo che tramite questo giornalaccio si può arrivare direttamente al cuore del santuomo che ci governa. Dopo undici anni di precariato e con una borsa di studio alla tenera età di 41 anni, mi piacerebbe essere finalmente stabilizzato. Come migliaia e migliaia di miei colleghi e coetanei, tutti figli di Mubarak, non disdegnerei una casa nella città in cui lavoro, le malattie retribuite, la tredicesima, la pensione. L'Audi non m'interessa. Ma a questo punto ci conto, eh? Lorenzo Mi trovi un posto da ricercatore? Caro Silvio, colgo l'occasione per chiederti aiuto perché qui butta male. Ho 41 anni, sono uno storico dell'arte specializzato e addottorato ed ho esperienze di lavoro alla National Gallery di Washington ed al Victoria& Albert Museum di Londra. L'università italiana mi riserva contratti di insegnamento per• 2mila euro lordi annui. Da tempo provo concorsi per ricercatore di cui puntualmente conosco in anticipo il nome del vincitore. Non ti chiedo tanto: potresti mica telefonare a qualsivoglia rettore di una università del regno per un posticino? Ti ringrazio in anticipo, so che sei un uomo di cuore... Cristiano M’ama o non m’ama? Forse no Silvio Berlusconi ama le donne. Io sono una donna e quindi Silvio mi ama. È importante sentirsi amati da qualcuno, e non da un qualcuno qualsiasi, ma dal Cavaliere Silvio Berlusconi presidente del Consiglio. Contenta sì, però, dannazione, mi sorge un maledetto dubbio: poiché non sono più bella di Rosy Bindi, e neppure più giovane di Rosy Bindi, e il Cavaliere presidente del Consiglio non ama Rosy Bindi, significa che non ama neppure me. Eccomi distrutta, delusa, amareggiata. Il Cavaliere non mi ama. Ma forse si è espresso male, il Cavaliere presidente del Consiglio. Forse voleva dire che a lui piace fare sesso con le donne giovani e belle. Forse neppure sa che cosa significa il verbo amare. Altrimenti avrebbe continuato ad amare la moglie, oppure avrebbe trovato una nuova compagna con la quale vivere e invecchiare serenamente e tranquillamente. Francesca Ribeiro In Questura per i migranti Signor Presidente, visto che è «una persona di cuore», come lei stesso ha affermato a proposito del suo intervento presso la Questura di Milano per far liberare la bella marocchina minorenne Ruby, sono certo che ora interverrà presso tutte le Questure italiane anche a favore dei tanti fratelli e sorelle migranti che chiedono di poter restare in Italia. Lei saprà certamente che purtroppo alcuni sono maschi, e le donne spesso sono brutte, sporche e cattive, come le confermeranno i suoi alleati di governo leghisti. Ma «una persona di cuore» come lei non terrà conto di queste piccolezze. Con cristiana franchezza e ironia. Vitaliano Della Sala – Parliamo di acqua? Non di quella che ha invaso le città del Veneto o provocato frane omicide in Toscana, di cui ha già scritto in modo limpido – è il caso di dire – Gianfranco Bettin sul manifesto di mercoledì: troppo cemento e troppo asfalto, sparizione della campagna e corsi d’acqua presi in ostaggio, montagna abbandonata. È il meccanismo dello «sviluppo» in stile italiano. No, qui parliamo dell’acqua da bere, per la cui salvezza un milione e mezzo di cittadini, o quasi, hanno firmato per i referendum promossi dal Forum nazionale dei movimenti per l’acqua. Il Forum ha ora indetto una mobilitazione, il 4 dicembre prossimo, per ottenere una moratoria, in attesa del voto referendario, alla privatizzazione dell’acqua, e per dare un segnale del fatto che anche in Italia si guarda al vertice di Cancun, in Messico, dove si discuterà di clima dopo il fallimento di Copenhagen. Quel che ha colpito la mia immaginazione, parlando di acqua, è lo spot di Coop, interprete la simpatica Luciana Littizzetto. La co- POSTA Prioritaria [email protected] Chi ci racconterà l’America? concetto, peraltro!) le alte cariche di uno Stato è pensabile e ammissibile, forse, in una situazione di totale normalità istituzionale ed etico.-politica. Ma una legge che cala su di un paese disastrato nel momento stesso in cui un’ondata di sporcizia e di fango sommerge, ormai strutturalmente e direi geneticamente, alcune di quelle figure, anzi una, quella per cui tutto l’osceno teatrino è stato immaginato e montato, - come può essere giustificata, accettata e tranquillamente votata? Il cosiddetto Lodo Alfano dunque non è più votabile in nessuna delle forme più o meno attenuate in cui è stato presentato e discusso. Più esattamente: chiunque voti oggi il Lodo Alfano è fuori da qualsiasi ipotesi di ricostruzione democratica. Anche qui, a qualcuno può dispiacere, ma è così. Il punto successivo è una domanda: esistono le condizioni per cui questa scelta possono, anzi dovrebbero partecipare senza esclusione alcuna, tutti gli altri, o per meAlberto Asor Rosa glio dire, tutti quelli che in un modo o nell’altro, prima o poi, hanno contribuito a (Intendo «catastrofe» nel suo senso mettere la parola fine, all’era berlusconiapiù vasto: dissoluzione dei legami na. di unità nazionale; sfascio dei mecInsisto: un governo siffatto dev’essere canismi decisionali; incapacità ormai defiestremamente serio e robusto, altrimenti nitiva di risollevarsi dal baratro). non reggerà all’urto. Se non sarà così, - lo Vorrei proprio vedere gli argomenti di dico molto sinceramente, - meglio imbocchi si provi a dimostrare che le cose non care dall’inizio un’altra sequenza logica. stanno così (anzi, è proprio su questo fonUn «governicchio» che nasce deliberatadamentale discrimine dell’analisi che si vemente a tempo, quali che ne siano le finalirifica la prima, grande e per ora decisiva setà, non serve a niente, anzi è destinato a parazione dei due elementari, generalissipeggiorare le cose. Per essere un governo mi fronti: fra chi è tuttora a favore della proserio e robusto, non potrà limitarsi alla risecuzione dell’era berlusconiana; e chi le è scrittura della legge elettorale, misura per ormai decisamete contrario). Ma se le cose altro da prendere fra le prime: la gente non stanno così, come non arrivare rapidamencapirebbe, penserebbe che un gigantesco te (e quasi facilmente: naturalmente non terremoto è stato provocato solo per far vinne ignoro le immense difficoltà, come dirò, cere i perdenti. E allora cosa? Esiste innanzi ma per ora m’interessa fissare il tutto l’amplissimo e praticabilispunto logico) alla seguente riflessimo campo delle regole, nel sione: per tentare di evitare la caquale forze eterogenee dal punVUOTI DI MEMORIA tastrofe (se siamo ancora in temto di vista della tradizione e delpo), non c’è che da mettere fine le prospettive, possono trovare il più rapidamente possibile alun’intesa, diciamo, «costituziol’era berlusconiana. nal-repubblicana»: i problemi Mettere fine seriamente aldella comunicazione e della lil’era berlusconiana dipende, bertà (sostanziale) di espressioAlberto Piccinini non c’è dubbio, da molti fattori ne; la separazione dei poteri; la «Non è abbastanza praticare l’astinenza con gli altri. Si deve praticae da molte forze, se guardiamo difesa della legalità e il rispetto re l’astinenza anche con noi stessi. La Bibbia dice che soltanto desialle cose in profondità, e cioè della magistratura; la lotta alla derare significa commettere adulterio, non puoi masturbarti senza agli innumerervoli germi portacorruzione e all’evasione fiscale; desiderio». «Abbiamo tolto la Bibbia e la preghiera dalle scuole pubtori di catastrofe, che l’era berlula rivendicazione e la difesa delbliche. E ora abbiamo sparatorie ogni settimana. Abbiamo avuto la sconiana ha generato, proliferal’unità nazionale (non sarebbe rivoluzione sessuale e ora la gente muore di Aids». «Dio può sceglieto e scatenato in tutte le direzioauspicabile che per il 150˚, il quare di guarire qualcuno dal cancro, e questa persona può risparmiare ni e con molteplici travestimenle attende finalmente da una in spese mediche. Ma le spese mediche non determinano se quel ti. Ma nell’immediato dipende qualche parte un soffio vitale di paziente sarà salvato da Dio o no». «Oggi l’America è un’economia innanzi tutto dalle scelte parlaentusiasmo e di condivisione, ci socialista. La definizione di un’economia socialista è: quando il mentari del partito finiamo. Ho sia un governo italiano autenti50% o più dell’economia dipende dal governo federale». «Nessuno manifestato all’inizio simpatia co di patriottismo repubblicapuò masturbarsi senza peccato. Sono una donna di trent’anni e soper il complesso di ripensamenno?). Insomma, i prodromi della no casta». «La compagnie scientifiche americane stanno incrocianti, non solo politici ma culturali, «ricostruzione democratica», do umani e animali, e presto produrranno topi con cervelli umacui la nascita di questo tentativo che precedono e condizionano ni». «Sapete cosa? L’evoluzione è un mito. Perché le scimmie di creare una destra autentica e tutto il resto. Ma forse non è imhanno smesso di evolversi in esseri umani?» «Durante le primapulita, si è richiamata (andando possibile pensare, con il medesirie ho sentito la voce di Dio. Mi ha detto: «Credibilità» (dichiaraincontro, anche a molti mugumo spirito, che anche la lotta zioni di Christin O’Donnell raccolte dall’«Huffington Post»; la gni di sinistra). Ora però provo per la difesa e il rilancio della candidata dei Tea Party è stata sconfitta ieri nel Delaware) lì’impressione di un avvitamenscuola pubblica, dell’Università to dell’esperimento intorno a rae della ricerca, possa essere ingioni fondamentalmente tattiscritto in questo capitolo, dopo che e di opportunità. Se ciò dovesse avveniche si preannuncia dirompente (perché, bila vergognosa stagione gelminiana. re, l’esperimento rivelerebbe di avere fiato sogna saperlo, di una scelta dirompente si E l’economia? Sì, è vero, in quel campo corto e prospettive poco ambiziose: male, tratta) si realizzi e faccia fronte agli innumeeterogeneo di forze, di cui stiamo parlanmolto male, per un movimento nascente revoli ostacoli che le saranno frapposti? (Il do, esistono, per dirla con estrema appros(o rinascente su nuove basi). Il secondo ricorso alla piazza ventilato più volte negli simazione, sia i sostenitori di Marchionne punto della sequenza logica, dunque, è affiultimi giorni disegna un ulteriore scenario sia i sostenitori della linea Fiom. Ma forse dato essenzialmente alle decisioni prossidella catastrofe nazionale: quello eversivo). nell’immediato anche questa contraddiziome future del Fli. Mi rendo conto che a Le condizioni parlamentari esistono. Anne si può ragionevolmente affrontare, se il qualcuno possa dispiacere, ma è così. che in questo caso con un ulteriore requisiproblema è, come dicevo, evitare la cataDel resto, io credo che, non solo per Fini to: a un governo, per quanto provvisorio, di strofe, la catastrofe non giova agli operai, di e i finiani ma un po’ per tutti sia ormai arri«ricostruzione democratica» non possono sicuro molto meno che ai padroni; oggi più vato l’hic Rhodus hic salta. Non è vero che in nessun modo essere chiamati a partecidi sempre, direi. E forse, sempre nell’immeincombe ancora, sulle aule del sempre più pare quanti hanno costituito in questi anni diato, salvare l’economia nazionale, che malmesso Parlamento italiano, il cosiddetil tessuto solidale dell’era berlusconiana, e sta andando anch’essa come tutto il resto to Lodo Alfano? Allora, il terzo punto della cioè (et pour cause) il medesimo Berluscoverso la catastrofe, si può, al tempo stesso sequenza logica è: una legge che protegga ni, qualsiasi altro esponente del Pdl in frenando, impedendo, invertendo di rotta dalla «persecuzione giudiziaria» (strano quanto rappresentative del Pdl e in Lega: la débâcle operaia. DALLA PRIMA – – Credibilità DEMOCRAZIA CHILOMETRO ZERO L’acqua e la Coop Pierluigi Sullo mica preferita di Fabio Fazio riempie un bicchiere d’acqua, dice qualcosa come «ma lo sapete quanta strada deve fare l’acqua per arrivare sulla vostra tavola?», e la si vede che cammina su una strada, soffocata dai gas di scarico di un brutto camion. Poi Luciana entra in casa, e dice: hanno inventato i tubi, si può bere l’acqua del rubinetto oppure si può andare alla Coop. E perché si può andare alla Coop? Ma perché i supermercati Coop si impegnano a mettere in vendita solo acqua minerale proveniente da fonti vicine al punto vendita. In poche parole, acqua minerale a chilometro zero. Ecco, in casi come questo non è facile sbrogliare le intenzioni di chi ha prodotto lo spot. Se si tratta cioè della resa alle tesi del movimento per l’acqua, che da anni va spiegando come portare in giro miliardi di bottiglie di acqua minerale contribuisce corposamente alla super-produzione di gas serra, o se si tratta di un modo per assorbire, diciamo così, la pressione che un numero crescente di consumatori esercita sulla grande distribuzione: ad esempio, non comprando più acqua minerale. Una micro-rivoluzione passiva, come direbbe quel tale. Ad attirare l’attenzione è quell’«oppure», che stabilisce una equivalenza: acqua del rubinetto uguale minerale della Coop. Il messaggio è però amputato di una serie di altri problemi che l’acqua minerale provoca. Va bene, c’è il trasporto a lunga distanza, ma c’è anche l’imbottigliamento nella plastica, il cui smaltimento è una delle cause – insieme al «packaging» demenziale di una infinità di altri prodotti – delle crisi dei rifiuti come quella di Napoli. E c’è appunto l’appropriazione privata delle fonti, per le quali le multinazionali – proprietarie di gran parte delle acque minerali in Italia – pagano diritti di sfruttamento irrisori, a confronto con i profitti. Tipico è il caso dell’acqua battezzata «Lilia», che proviene dalle fonti del Vulture, in Basilicata, cedute a Coca Cola Company da una giunta regionale di centrosinistra assetata di «progresso». Una enorme campagna pubblicitaria ha imposto il marchio e se ora su un treno chiedete un po’ d’acqua vi allungano bottigliette di «Lilia» a prezzi da usura. Ma non è finita. Vicino a casa mia, a Roma, c’è un supermercato che ha da poco cambiato insegna: prima era Gs e ora è Doc. Sugli scaffali, un mucchio di prodotti targati Co- Caro direttore, un giornale come il manifesto di oggi non può scomparire e non solo per i giusti motivi ricordati da Vittorio Arrigoni, ma per gli interessanti articoli di Luigi Cavallaro e Maria Turchetto, di Alessandro Portelli e di Marco d’Eramo. Quest’ultimo ci racconta la desolazione di un quartiere ghetto (Chicago South Side), quartieri che raramente ci vengono raccontati. A noi viene raccontato il sogno americano, non la realtà di milioni di americani, senza diritti sociali e quindi senza diritti umani. Nelle librerie si incontrano molti libri che parlano dei gulag sovietici, ma non se ne trovano sulla vita nei ghetti americani, forse la differenza sta nel pensare che nei gulag ci eri mandato come in una prigione, mentre nei ghetti ci si va liberamente per una scelta o per una responsabilità personale. Portelli mette il dito sulle conseguenze negli Stati Uniti dell’immigrazione sul mercato del lavoro statunitense, quelle stesse conseguenze si verificano quando le imprese delocalizzano. I bassi salari che ne conseguono e la crescita della produttività (come rileva Cavallaro) sono all’origine dell’attuale devastante disoccupazione, crisi sociale e politica nei paesi occidentali. In altri termini crisi e disuguaglianze crescenti sono il risultato della liberalizzazione dei mercati a livello globale, in particolare di quello del lavoro che ha messo a disposizione un enorme ed infinito esercito industriale di riserva. Ecco, credo che il manifesto dovrebbe porsi il problema di come rompere la liberalizzazione del mercato del lavoro, ma forse al manifesto la si pensa diversamente. Allora perché non aprire un dibattito? Cavalieri Tiziano Unitevi con Liberazione Care/i compagne/i, rilfettendo da lettore, sia de il manifesto che di Liberazione, sulla grave minaccia di chiusura incombente su entrambi i quotidiani, ritengo che forse l’unica via di uscita da un’emergenza che rischia di diventare cronica ed inestinguibile risieda nella sola condizione che,storicamente, abbia consentito al movimento operaio ed alla sinistra di continuare ad esistere e resistere: l’unità. Perché dunque non unire i due quotidiani di fronte al pericolo comune? Perché non iniziare ad unire la Sinistra da questo punto? Non sto ipotizzando una fusione ma, molto più semplicemente, magari un unico contenitore cartaceo double-faces in cui, studiate le dovute proporzioni e fermo restando l’assoluta indipendenza di una redazione dall’altra, proporre un doppio quotidiano fronte-retro. Penso che forse una soluzione del genere condurrebbe a risparmi ed economie di scala su voci di costo significative (penso alla distribuzione, alla carta, alla tipografia ecc...), forse anche ad una maggiore appetibilità pubblicitaria e, soprattutto, al fatto che nessun lettore perderebbe il suo giornale (mentre ognuno dei due quotidiani ne guadagnerebbe invece migliaia). Se usare lo stesso megafono (e senza nemmeno il rischio di confondersi), servisse a farci continuare l’ascolto delle due voci di cui non possiamo fare a meno, penso dovreste farci un pensierino. Sarebbe anche un bell’esempio. Saluti comunisti. Gianni Fagnoli, Forlì – op. Ero contento, là per là, mi pareva quasi di essere andato a vivere a Firenze. Faccio una rapida ricerca e scopro (fonte Wikipedia) che hanno cambiato bandiera, acquistati da Unicoop Firenze, «14 tra minimercati, supermercati e superstore già a marchio Gs e Dì per Dì, situati a Roma e provincia». Prima appartenevano al Gruppo Luciani, che «detiene una quota residuale del 5 per cento nella nuova società: per questo motivo i punti vendita non portano ancora l’insegna Coop ma l’insegna fantasia Doc. Al termine di un periodo di transizione, Unicoop Firenze acquisirà l’intero capitale sociale e i punti vendita passeranno a insegna Coop» (e l’insegna Doc, ha scoperto qualcuno, non è altro che il marchio Coop a testa in giù e amputato). Ottimo. Però sono andato a vedere che acqua minerale vende il Doc vicino a casa mia: ci sono proprio tutte, vicine e lontanissime, compresa la «Lilia». Dipenderà da quel 5 per cento? [email protected] il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 I L M A N I F E S T O C U La tribù DEI CITTADINI L T U R A & V I S I O pagina 11 N I UNA STATUA DEL MARATONETA NELLE STRADE DI ATENE / FOTO REUTERS Un’intervista con lo studioso Engin Isin. La prospettiva di una cittadinanza cosmopolita dopo che si è consumata quella basata sui confini certi dello stato-nazione e su appartenenze come la razza, il genere e la classe sociale Teresa Pullano E ngin Isin ha una cattedra in Studi sulla cittadinanza ed è professore di scienze politiche alla Open University di Londra, dove ha diretto il «Centro di ricerca su cittadinanza, identità e governo». Di origini molteplici, ha lavorato per quindici anni all’Università di York, in Canada, prima di tornare in Europa. Affondando le radici in un’esperienza cosmopolita, il lavoro di Isin si concentra sulla possibilità di superare l’orizzonte, spesso angusto, della nazione per sperimentare forme di comunità più intense e libere. Lo incontriamo a Londra, in occasione di un incontro in onore del filosofo francese Étienne Balibar su come pensare la cittadinanza al di là della comunità nazionale. L’idea di una cittadinanza al di là della nazione è appannaggio sia del pensiero liberale che, in misura minore, di quello radicale. Lei concepisce la filosofia politica come una forma di attivismo e di impegno politico, in che modo dunque l’esigenza di oltrepassare i confini nazionali si coniuga con un progetto di emancipazione politica e sociale? Il mio obiettivo è pensare tutti gli uomini e le donne come soggetti politici, ed evitare di ridurli a gruppi nazionali, identificati ad elementi naturali, razziali, etnici o di genere, come essere nero, essere una donna, essere omosessuale. Le costruzioni nazionali sono l’effetto perverso della genericità di nozioni come umanità e Stato. Si tratta di ripensare l’idea, formulata da Hannah Arendt, del «diritto ad avere diritti». Per Arendt, il cittadino deve essere pensato al di fuori delle idee di nazione e di umanità, e all’interno della cornice statuale. Lo stato è il protettore supremo del soggetto politico. Arendt nota come stato e la nazione siano stati associati e appiattiti l’uno sull’altro, creando dei problemi rilevanti. Gli apolidi sono di conseguenza privi di ogni protezione. Ne deriva la sua critica ai diritti umani, che non danno protezione politica alle persone quando e dove ne hanno bisogno. Nella vita politica, quando si è sprovvisti di nazionalità, essere «umani» non aiuta molto. Anche se è fantastico riconoscere i diritti civili, si continua a trattare un «negro» come un «negro». Ciò che Arendt non riesce a chiedersi è come trattare un «negro» come soggetto politico. La nozione di cittadinanza può essere una nozione ambigua, in grado di giustificare lo status quo e le differenze di classe e ceto, ma anche capace di essere forza di rivendicazione di eguaglianza e diritti. Come conciliare questi due aspetti? La finzione alla base della cittadinanza occidentale è quella di un soggetto politico che va oltre ogni appartenenza a tradizioni, tribù e relazioni di sangue. L’autonomia dell’individuo liberale è la ragione della superiorità dell’Occidente sul resto del mondo, secondo la lettura classica di Max Weber. Il liberalismo, la borghesia ed il capitalismo sono un triangolo che struttura la fondazione dello stato, in particolare dello stato-nazione. Si tratta quindi della storia di una classe dominante, che ha descritto il suo soggetto dominante come il soggetto ideale della politica. Presentato co- UNA POLITICA RADICALE DOPO L’ECLISSE DELLA POLIS me al di sopra di ogni affiliazione, è invece un soggetto molto specifico e radicato. All’inizio, era solo maschile, quando le donne non erano considerate come un soggetto politico, questo è stato il risultato di lotte. Era proprietario: l’inclusione nella sfera politica della classe dei lavoratori o di coloro che non hanno proprietà è un’altra acquisizione recente, il risultato di conflitti sociali e politici. Era eterosessuale, rispettoso della morale borghese. Era bianco. Questa grande teoria rivela alla fine un soggetto determinato e affiliato ad una specifica «tribù». Dire questo implica però incorporare le lotte per tutte le cittadinanze «altre» rispetto alla cittadinanza liberale, ovvero per l’apertura alle questioni ecologiche, di genere e sociali. Non è possibile pensare la cittadinanza senza i suoi «altri». Il progetto è dunque quello di disegnare una genealogia della cittadinanza per ridefinirla. La cittadinanza può in questo modo essere pensata come la soggettività politica che permette agli altri, ai gruppi dominati e assoggettati, di avanzare delle richieste. Questa deve essere la fonte di una nuova inflessione nel significato del «diritto ad avere diritti» alla città, alla polis. Nel tentativo di ridefinire la soggettività politica contemporanea, lei ha cercato di sviluppare un’idea nuova, quella di «atti di cittadinanza». Si tratta di un tentativo di pensare l’azione collettiva e l’impegno politico. Ci può spiegare cosa intende con questo termine? La domanda che ci dobbiamo porre è: cosa fa sì che nuovi soggetti si costituiscano come soggetti politici? La nozione di «atti» è una delle meno teorizzate nell’ambito della teoria sociale. Io ho iniziato precisamente a pensare alla nozione di atti di cittadinanza. Aven- SCAFFALI Dallo Stato-nazione alla politica cosmopolita Engin Isin ha una cattedra in «Studi sulla Cittadinanza» ed è docente di «Scienze Politiche e relazioni internazionali» presso la Open University di Londra. Ha diretto il centro di studi sulla «Cittadinanza, Identità e Governance» nella stessa università. Prima di rientrare in Europa nel 2007, ha insegnato e fatto ricerca per quindici anni presso la York University di Toronto, in Canada. Si è laureato presso la Facoltà di architettura all’Università tecnica mediorientale di Ankara, in Turchia, nel 1982, ed ha ottenuto il dottorato in geografia presso l’Università di Toronto, nel 1990. Tra i corsi più originali che Engin Isin ha condotto, citiamo Il «Cittadino Nevrotico, Cittadinanza Queer et Teorizzare gli Atti». Engin Isin ha pubblicato vari libri e articoli sulle politiche della cittadinanza, tra cui «Cities Without Citizens» (1992) e «Being Political» (2002). Il suo obiettivo è stato quello di documentare storicamente come la cittadinanza è stata contestata dai suoi «altri» (gli stranieri e gli esclusi) e come la rivendicazione di diritti li abbia costituiti come soggetti responsabili. I suoi progetti attuali includono «The Gift of Law», «Enacting European Citizenship» e «Governing Affects». Sta inoltre lavorando ad un progetto, finanziato dall’agenzia europea per la ricerca, su come pensare la cittadinanza al di là di ogni «orientalismo», ovvero in dialogo con le esperienze e le teorie della cittadinanza in Africa, Asia, India, Australia e le Americhe. do un passato da attivista, mi chiedevo: cosa spinge le persone, cosa le motiva a dire: non è solo ingiusto quello che sto osservando, bensì è intollerabile, quindi passo all’azione. Prendiamo il caso paradigmatico di Rosa Park, l’attivista afro-americana che nel 1965 rifiutò di cedere il posto riservato ai bianchi sull’autobus. Il mio punto di vista è psicoanalitico-politico: mentre molte persone riconoscono le ingiustizie, cosa mobilita Rosa Park e nessun altro? Non è sufficiente constatare l’ingiustizia, ma è necessario rischiare qualcosa. Questo significa «agire». In questo senso, un’opinione non è un atto. Come attivista, se non senti che stai rischiando qualcosa, sai che ciò che fai non è genuino. Dobbiamo distinguere tra azione ed opinione, tra fatto e parola. Non si tratta di svalutare la parola, il che sarebbe ipocrita, ma di dare all’azione un potere autonomo ed irriducibile. Cosa costituisce un atto? Non può essere compiuto individualmente, ma necessita di un lavoro collettivo. Quali sono le alternative all’idea occidentale di cittadinanza? Oggi, la comunità politica ermeticamente chiusa, ovvero lo stato nazionale, è inadeguato all’organizzazione delle pratiche nel mondo e questo appare nelle numerose crisi che sta attraversando. A questo, ci sono varie risposte possibili: una consiste nel ravvivare varie forme di neo-nazionalismo, oppure si può cercare di riprodurre la nazione ad un’altra scala, secondo l’idea della democrazia cosmopolitica. In alternativa, si può provare a pensare a partire dal momento presente come quello in cui è possibile pensare in modo diverso a cosa significa essere politico oltre la dominazione della teoria politica occidentale ed eurocentrica. Saltare direttamente alla democrazia cosmopolitica significa reinscriversi all’interno della tradizione politica eurocentrica, greca e giudeo-cristiana. Ci stiamo muovendo verso uno spazio ed un tempo di sperimentazione; l’idea di una cittadinanza cosmopolita e mondiale chiude questo spazio. Questo è il tempo di ripensare cosa significa l’azione politica. La domanda è: è possibile pensarlo insieme agli studiosi e agli attivisti cinesi o indiani? È possibile costruire delle pratiche genuinamente transnazionali senza aprire a nuove forme di dominazione occidentale? Se vogliamo un pensiero critico, dobbiamo prendere il linguaggio sul serio. In questo senso, mi chiedo se abbia senso usare il termine di cittadinanza, che è un termine del lessico occidentale, per parlare del soggetto politico. Al contempo, è impossibile trovare un altro termine senza confrontarsi seriamente con la nozione di cittadinanza. In un contesto di trasformazione delle frontiere nazionali e di riposizionamento dei paesi occidentali in un contesto internazionali in cui si profilano nuove potenze, come legge la crisi che l’Europa sta attraversando in questo periodo? Oggi, l’Europa è un campo di battaglia importante. È necessario pensare l’Europa come uno spazio di lotte e, in quanto tale, è aperta a varie rivendicazioni. Dobbiamo capire quali sono le forze specifiche che stanno cercando di prendere il controllo dell’Europa. Possiamo distinguere tra forze interne ed esterne. È indispensabile però chiedersi cos’è l’Europa per chi non è europeo, pensare l’Europa a partire dai suoi altri. L’Europa in sé non è sigillata ermeticamente, ma si insinua in Asia, in Turchia, si perde nell’Africa e nell’America del nord. È amorfa, e le sue estensioni vanno oltre i confini geografici del continente. Bisogna guardare all’Europa non come ad un’entità geografica, ma come ad un campo, non limitato in se stesso. Ciò che è in gioco è la riorganizzazione delle varie forme del capitalismo. Non dobbiamo pensare al capitalismo con la «C» maiuscola, bensì come frammentato, multiplo, caratterizzato da tensioni e contraddizioni. Tra le forze interne all’Europa ci sono senza dubbio gli stati membri. Sono loro ad organizzare gli interessi e a fare rivendicazioni sull’Europa e sono loro che costituiscono una sorta di collettivo che domina l’Europa, ovvero l’Unione europea. Il dilemma della sinistra è quello di come organizzare i diritti al tempo del neoliberismo. Possiamo parlare di diritti a livello europeo, in termini generali, ma alla fine dobbiamo fare i conti col modo in cui ogni stato membro organizza concretamente diritti e interessi in Europa. Tuttavia, io non penso che l’Europa debba essere identificata con l’Unione Europea. Questa è un attore tra gli altri e non esaurisce il progetto europeo, anche se non dobbiamo sottovalutarne l’importanza. Non c’è un solo modo di mettere in atto una politica europea. L’Europa contemporanea sembra ben lontana da ogni ideale di avanguardia cosmopolita, e oltre a diventare sempre più isolata e provinciale sembra inoltre avviarsi verso nuovi nazionalismi e populismi. Come si può cambiare prospettiva? La crisi finanziaria arriva in un momento in cui il neoliberismo ha già infiammato i nazionalismi nei vari stati europei in vario modo. Neoliberalismo e reazione securitaria vanno inesorabilmente a braccetto. La Grecia non è che uno dei punti di intensità della crisi, che poi si sposterà, per esempio in Portogallo, Spagna, Regno Unito, Italia etc. Ciò che è in gioco è quello che significa pensare ai cittadini europei come soggetti di diritti europei. È importante riarticolare la questione in questi termini: anziché pensare alla zona euro come luogo della finanza, dobbiamo chiederci cosa deve la zona euro ai greci in quanto cittadini europei. Questa non è la domanda che è posta ai burocrati e ai politici che si occupano della zona euro e di come stabilizzarla. Oltre e al di fuori dei partiti, chi può porre queste domande? Quali soggetti della storia possiamo immaginare oggi che ci permettano di porre queste domande non in termini finanziari ma politici? Torniamo qui al tema degli atti politici: cosa mobilita le persone, cosa permette loro di vedere la questione come politica? Io tendo a pensare la politica in termini drammaturgici. Come iniziare a fare apparire gli eventi come diversi da ciò che sembrano? INCONTRI A Roma le opere marxiane entrano nel XXI secolo BenOld M arx nel ventunesimo secolo. È questo il titolo di un seminario che si apre oggi a Roma presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma 3 (Aula Magna della Facoltà di Scienze Politiche, via G. Chiabrera 199, ore 15). Al di là dell’immaginifico titolo, l’obiettivo dell’incontro è di proporre una analisi critica del capitalismo contemporaneo; ma anche di fare i conti con la griglia analitica marxiana che in tempi recenti ha conosciuto gli interessati e elogiativi interessi di riviste e opinion makers che marxisti non sono. È infatti diventato un luogo comune l’evocazione degli scritti di Jacques Attali o degli editoriali del «Wall Street Journal» o dell’«Economist» all’interno dei quali, l’opera di Marx è stata indicata come opera profetica sulla crisi globale che sta paralizzando l’economia degli Stati Uniti e del continente europeo. (Diverso è il caso della Cina e dell’India, dove l’immane produzione di merci non sta certo conoscendo battute d’arresto). Argomenti tutti che costituiranno il filo rosso delle relazioni di Mauro Magatti, Vanni Codeluppi, Enrica Tedeschi, Francesco Antonelli e Maria Luisa Maniscalco. Magatti infatti metterà al centro della sua riflessione su quel «sistema tecnico» che sembra aver acquisito una radicale autonomia e potere di indirizzo nell’agire sociale. Ma se lo studioso milanese cercherà di dipanare la matassa di un determinismo che assegna alla tecnologia il ruolo di locomotiva dello sviluppo economico, Vanni Codeluppi proverà a svelare nuovamente il feticismo delle merci che tanto appassionò Marx. A Carlo Formenti e Benedetto Vecchi il compito di capire se l’analisi marxiana del lavoro può essere usata per svelare l’arcano dei contemporanei atelier della produzione. Francesco Antonelli, invece, cercherà di vedere come le analisi degli intellettuali maturate in ambito marxista e non solo reggono la prova del confronto con le tesi sulla «classe creativa» di Richard Florida e con le trasformazione della comunicazione politica alimentate dai mass-media e dalla Rete. Infine, Enrica Tedeschi proporrà un’immersione negli scritti «maturi» di Marx dove le nozioni come modo di produzione asiatico, comunismo primitivo svolgono un ruolo dirimente per delineare come lo sviluppo capitalistico non debba seguire sempre le stesse traiettorie. pagina 12 il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 «Boardwalk Empire» presentato fuori concorso alla kermesse capitolina, primo episodio diretto dal regista italo-americano di una serie televisiva prodotta dalla Hbo. Anni Venti ad Atlantic City, inizia il proibizionismo e il sodalizio mafia/politica La fantasmatica luce di Joseph O’ Connor ISABEL MUNOZ, SENZA TITOLO 1990 LIBRI: JOSEPH O’ CONNOR, UNA CANZONE CHE TI STRAPPA IL CUORE, TRADUZIONE DI MASSIMO BOCCHIOLA, GUANDA, PP. 280 EURO 17 Silvia Albertazzi C i sono tutti gli elementi del mélo nell’ultimo romanzo di Joseph O’ Connor, Una canzone che ti strappa il cuore: amore contrastato, passione, abbandono, sofferenza fisica e morale, alcool e solitudine, guerra, metropoli inospitale e natura incontaminata, le luci della ribalta e l’oscurità dei camerini nei teatri di quart’ordine, viaggi intercontinentali e passeggiate romantiche, scontri generazionali e conflitti familiari, biografia e finzione, personaggi reali e figure immaginarie e, naturalmente, un ineluttabile sentore di morte. Ce ne sarebbe abbastanza per confezionare il più trito dei polpettoni sentimentali: e invece lo scrittore irlandese, miscelando questi elementi scontati, è riuscito a realizzare uno tra i migliori romanzi in lingua inglese pubblicati quest’anno. Uno di quei romanzi che ti prendono alla gola, una storia d’amore che, per parafrasare l’azzeccato titolo scelto dalla traduzione italiana (il titolo originale è Ghost Light, ovvero, Luce fantasma)letteralmente, ti strappa il cuore. Non è necessario conoscere le biografie dei protagonisti, il commediografo John Synge e l’attrice Molly Allgood (alias, Maire O’ Neill), per apprezzare questa vicenda, per lasciarsi incantare, soprattutto, dalla voce di lei, narratrice stranita che, logorata dalla vita e dall’alcool, quarant’anni dopo la morte dell’amato, con una carriera distrutta, una guerra, un marito e due figli alle spalle, ancora ne insegue il fantasma, ancora vive nel suo ricordo. È proprio la narrazione di Molly, un monologo che la donna rivolge a se stessa, a volte frantumato da intromissioni in prima persona, più raramente commentato con distacco nella terza, che impedisce cadute nel romanticismo FOTOGRAFIA Addio a Sibylle Bergemann, dalla moda al giornalismo La fotografa tedesca Sibylle Bergemann è morta a Berlino, all’età di 69 anni. Nata a Berlino nel 1941, Bergemann lavorò tra il 1965 e il 1967 nell'ufficio editoriale della rivista «Das Magazin». Avvicinatasi alla fotografia nel 1966 (era l’assistente di Arno Fischer, uno tra i più stimati docenti di fotografia nella ex Germania dell’est), l’anno successivo iniziò a lavorare come freelance per la rivista «Sibylle» che, nella Germania comunista, ebbe un’enorme influenza sulla percezione collettiva nel campo della moda, della cultura e dei modi di vivere. Bergemann ha lavorato per le case editrici «Der Morgen» e «Der Greifenverlag». Oltre alle fotografie di moda, ha realizzato molti ritratti di attori e artisti, reportage e immagini documentarie. Nel 1990 è stata tra le fondatrici dell'agenzia tedesca OstKreuz. più languido e patetico. Dandosi del tu, parlando a se stessa come a un’altra persona, Molly commenta i fatti banali della propria meschina vita londinese, in cui fame, freddo e alcool la fanno da padroni, e rievoca i giorni del suo amore poco più che adolescente per il drammaturgo già allora minato dal cancro e tanto più anziano di lei. La narrazione procede in una sorta di montaggio incrociato sul doppio binario del presente – il cupo dopoguerra inglese – e del passato ormai remoto – l’Irlanda d’inizio secolo, i giorni dell’Abbey Theatre, di Dublino, di Yeats e di Augusta Gregory. La vecchia Molly, alcolizzata e sola, parla all’attrice Maire con voce piana, senza indulgere alla lacrima facile, senza nostalgia; altre volte, sembra piuttosto essere Maire, la Musa di Synge, a parlare al suo doppio ormai distrutto dalla vita e dalle sofferenze. Le due identità della donna si fondono e confondono in una narrazione in cui il ricordo e il sogno emergono dal presente come fantasmi che si materializzano all’improvviso (o come entità reali che si smaterializzano), senza tuttavia creare alcuna confusione nel lettore, che, anzi, viene travolto dal flusso di immagini evocate dalla fame, dai fumi dell’alcool e dalla solitudine, fino ad accettare la possibilità di una ossimorica realtà fantastica in cui i concetti di passato e presente, ma anche di morte e vita, finiscono per annullarsi. Sorta di Mrs Dalloway al contrario, Molly, la figlia del rigattiere, «cresciuta fra il ciarpame che nessuno più voleva», si trascina in una cupa giornata di novembre, attraverso una Londra plumbea, inseguendo l’unica luce che può illuminare il grigiore autunnale, la luce fantasma, quella che gli attori lasciano sempre accesa nel teatro buio, «in modo che i fantasmi possano recitare i loro drammi». È questa luce – alla quale, non per caso, fa riferimento il titolo originale – a offrire la chiave interpretativa di tutta la storia. Se la vita è un teatro – in cui spesso gli attori appaiono fuori parte perché, non comprendendo le battute che altri hanno scritto, le recitano nell’unica maniera conosciuta – la relazione clandestina tra il drammaturgo alto borghese alle soglie della mezza età e l’attrice proletaria diciassettenne somiglia a un dramma le cui prove sono andate avanti troppo a lungo: «e le prove troppo lunghe non vanno a buon fine». Eppure, a distanza di quattro decenni, richiamato dalla luce fantasma, John Synge torna nel dialogo di Molly con se stessa, torna ad accompagnarla, da ultimo, verso quella morte che prima di ghermirla dovrà «arretrare contrariata tra le fessure del parquet» e «attendere fino ai monologhi conclusivi, perché è ambizione di tutti quelli del tuo mestiere morire con le scarpe ai piedi». A proposito di Yeats, Molly osserva che il grande poeta non aveva mai visto «la quotidianità, la trama e l’ordito di una vita, i dialoghi senza importanza e i barlumi privi di significato che pochi narratori potrebbero mettere dentro una storia». Come la sua protagonista, invece, Joseph O’ Connor è «arrivato a sentire che queste nullità sono la storia». Se Yeats, secondo Molly, «aveva paura di una vetrina di tessuti, di un dialogo sul tram, dei discorsi sconclusionati di un vecchio», O’ Connor sceglie di raccontare una grande storia d’amore attraverso la voce di una donna che si sente simile «a una vecchia barca a remi gettata in una torbiera»; una donna così sola da parlare «con la radio … con la pioggia … con i cani e con i fiori nei giardini altrui … con i vestiti che non vanno più bene e con i piatti che andrebbero lavati … E con Shakespeare e con il primo ministro e con il capo dell’opposizione e con chiunque abbia inventato il reggipetto, e Mozart, Stalin e Franco e il Santo Bambino di Praga …» Nell’avvertenza finale, O’ Connor dichiara che Una canzone che ti strappa il cuore «è un’opera d’invenzione che spesso si prende grandissime libertà rispetto ai fatti». In effetti, Yeats e O’ Casey nel suo romanzo sono poco meno che comparse: del primo si legge addirittura che aveva «poco sugo». E secondo la nota esplicativa premessa al romanzo, la trama di O’ Connor non è neppure costruita intorno a John Synge, «il più importante drammaturgo irlandese del Novecento». È Molly la vera, unica protagonista della storia: «Una donna affamata che attraversa le strade sferzate dalla neve. Non è un dramma degno di andare in scena?» festival di roma ROMANZI · L’ultima prova narrativa dello scrittore irlandese MARTIN SCORSESE, SOTTO FOTO DA «BOARDWALK EMPIRE». IN BASSO A DESTRA GIANNI L’età dei gangster di Martin Scorsese Mariuccia Ciotta L uce radiante di Atlantic City, anni Venti, gli anni del jazz, di Francis Scott Fitzgerald e delle sue «maschiette», antidoto alle dame della santa temperanza che aprono Boardwalk Empire, primo episodio diretto da Martin Scorsese della serie targata Hbo, la tv via cavo americana, leader nella produzione di altissima qualità. Il «pilot» delle dodici puntate (in onda su Sky dal gennaio 2011) è stato presentato ieri fuori concorso al Festival di Roma, dopo il red carpet del regista dell’Età dell’innocenza, arrivato nella capitale per presentare la copia restaurata di La dolce vita. Italoamericano amante dei Goodfellas, Scorsese torna agli scenari della malavita sul lungomare della città del gioco d’azzardo, ricostruita (l’episodio è costato 18 milioni di dollari, 60 l’intera serie) nei colori sgargianti di un’epoca euforica che finirà il decennio con la Grande Crisi e la perdita del «sogno». L’incubo si annuncia già nella bellissima passeggiata al sole, sul bordo dell’Atlantico dove si specchia malinconico Enoch «Nucky» Thompson, politico fradicio di corruzione interpretato da uno Steve Buscemi mai così perfetto, in bilico tra delicatezza e criminalità, sensibile ai ricordi di un passato tragico (la moglie è morta giovane). Lo sguardo perso dietro la vetrina di una nursery, fisso sul fagottino dove scalpita un neonato... Porterà un mazzo di fiori a una povera signora finita in ospedale per le botte del marito che le hanno procurato un aborto mentre, in montaggio alternato, l’uomo viene pestato a sangue e gettato in mare dai poliziotti agli ordini del «benefattore». Un delinquente delicato, promotore della collusione mafia/politica che squaderna la sua mitologia, e ci presenta un Al Capone in erba, autista e guardiaspalle del boss ebreo di Chicago Arnold Rothstein (Nichael Stuhlbarg), seguito da «Big Jim» Colosimo (Frank Crudele), Lucky Luciano (Vincent Piazza) e il fratello sceriffo di «Nucky», congressman sotto l’amministrazione Wilson. Countdown nella notte (tra il 15 e il 16 gennaio 1920) che inaugurò il «regime secco» e il più florido mercato nero degli alcolici. Il proibizionismo rese allegri i gangster (come sempre), riuniti ad Atlantic City per un festoso brindisi che finirà solo nel 1933 con Franklin D. Roosevelt. L’epopea gangster scorre come un whisky al malto nello sguardo di Scorsese che abbandona i toni scuri delle allucinazioni maccartiste di Shutter Island e disegna un’America pop dalle tinte cangianti come i completi azzimati di «Nucky», promotore della nuova era, disinvolto nel trattare con la generazione dei gangster «moderni», cinici, sanguinari, dotati di uno slang incomprensibile per il vecchio padrino di Little Italy. Broccati, salotto dalle rifiniture dorate, un giradischi a tromba che spande musica operistica... arredamento cliché del mafioso di un tempo, socio della banda degli spacciatori di alcool illegale, distillato nelle cantine e nei retrobottega dei casinò. Sarà sparato alla testa in una pioggia di sangue perché non capisce cosa vuol dire «lattuga», verdone, dollaro e non ama il jazz. Tra le mani dei neo-mafiosi circola la bibbia di Henry Ford, The International Jew The World’s Foremost Problem (L’ebreo internazionale) fresco di stampa (esce nel 1920), guida antisemita e anticomunista prediletta da Hitler che nel 1938 insignì l’industriale di Detroit della Gran croce del supremo ordine dell’aquila tedesca. Filosofia di vita alla catena di montaggio, auto e alcool per tutti sotto la legge dei «capitani d’industria» in ghette e abiti gessati che in quegli anni si allenavano a governare l’impero. Ideata da Terence Winter (I Soprano), prodotta da Scorsese (che firma solo il pilot) e da Mark Whalberg (attore in Departed), Boardwalk Empire, la serie, comincia in crescendo, accompagnata dal successo di critica e pubblico americani, e pronta a una seconda stagione. Difficile però mantenere la polifonia di Scorsese, le sfumature, i rimandi sociali in questo affresco crudele, un’altra «nascita di una nazione» alla maniera di Gangsters of New York. L’America dei mitra condita con l’innocenza perduta sul fronte della grande guerra del giovane allievo di Enoch «Nucky» Thompson, il biondino Jimmy Darmody (Michael Pitt, Dreamers di Bertolucci), moglie dolce e figlioletto, che aspira al vertice dell’associazione e che finirà per farsi killer autodidatta e doppiogiochista al servizio dell’agente dell’Fbi Nelson Van Alden (Michael Shannon). Occhi cerulei e ridenti compromessi da una smorfia depravata, «hanno fatto di me un assassino» - la guerra produce mostri - confesserà al suo paterno capo, «Nucky», che Buscemi rende sempre più ineffabile, sospeso, distratto. Personaggio enigmatico, rivolto a un altro cinema, alla New Hollywood e alla New Wave, alla scuola newyorkese, all’iperrealtà. Martin immagina la sua giovinezza di fuorilegge della cinepresa, alle lezioni degli amici Corman, Cassavetes, De Palma, Coppola, e all’humour amaro del cinema delle origini, muto come Roscoe «Fatty» Arbuckle, una tonnellata di comicità, che appare in un filmino anni Venti proprio a commentare il proibizionismo. E se pistole e cadaveri inondano la scena, lui in bianco e nero annusa una bottiglia vuota - «odore dell’amata» - la sotterra e la cosparge di fiori. Non è solo un gangster-movie Boardwalk Empire, ma un film di pura marca Scorsese il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 pagina 13 CULTURA&VISIONI FESTA DI ROMA NASCE LA PIATTAFORMA ON THE DOCKS Gli italiani lo sanno fare ancora Thriller spaghetti formato famiglia. Una vita tranquilla Una nuova piattaforma digitale (già in funzione) per il documentario italiano: si chiama «on the docks» è stata presentata oggi da Mario Sesti (Extra) al Festival del cinema di Roma e si rivolge ai produttori indipendenti, ai fruitori e ai compratori internazionali interessati al prodotto italiano secondo lo slogan «Italians still do it...» gli italiani lo sanno ancora fare... il cinema. È infatti proprio il documentario ad essere oggi il prodotto più vitale della produzione italiana, con il limite che i film non si riescono a vedere se non nei festival. Giusto Toni che ha creato i primi canali satellitari in Italia, la regista Monica Repetto e il produttore Dario Formi- Luke Ciannelli ROMA C MICHAEL PITT «L’American Dream resta sempre un tratto costante del nostro paese» Michael Pitt, 30 anni del New Jersey, già «sognatore» per Bernardo Bertolucci, è l’unico testimonial arrivato a Roma a presentare l’episodio pilota diretto da Martin Scorsese della serie tv «Boardwalk Empire» prodotta dal regista con l’attore Mark Whalberg per Hbo e da gennaio in esclusiva su Sky. Ed è più sveglio della faccetta d’angelo dagli occhi blu che si porta dietro. Non a caso vorrebbe fare il boxeur. «Il mio personaggio, Jimmy Darmody, ha 22 anni ma negli anni Venti era già un uomo. Non come oggi, con noi giovani così lenti a crescere. Lui è un veterano della prima guerra mondiale, ha moglie e figlio, trae vantaggio dalla neo legge proibizionista per fare una carriera da gangster di prim’ordine». E, infatti, diventerà il partner di Al Capone, affrontando il «padrino» di Atlan- tic City, Enoch «Nucky» Thompson, alias Steve Buscemi. «Lavorare con Marty è pazzesco. Assurdo confrontarlo con un cineasta come Bertolucci: sono fortunato ad aver girato con entrambi. Il pilot esce dalla macchina da presa di Scorsese, gli altri 11 episodi sono diretti alternativamente da Timothy van Patten e Allen Coulter, ma questo non ha impedito a Martin Scorsese di sovrintendere all’intero progetto, visionando tutti i daily, presenziando con carisma e leadership, come solo pochi sanno fare». L’attore, protagonista anche in «Last Days» di Gus Van Sant e nel remake hollywoodiano di «Funny Games» di Haneke, dice la sua anche sulle «economie» di cinema e televisione. «Chiedermi se un pilota tv come questo sarebbe costato di più se destinato al cinema equivale a chiedermi se un attore è più pagato per un film o per una serie televisiva. Volete sapere quanto sono stato pagato?». Naturalmente non lo dice, ma è «certo che dei sessanta milioni di dollari di budget dell’intera serie, il pilot non ne assorbe 18 come è stato riportato: credo siano di meno». Il famigerato proibizionismo dei Twenties protagonista di «Boardwalk Empire» è specchio di attualità. Perché in ogni crisi regna l’imposizione a ripristinare l’American Dream. «Nessuno ti impedisce di crearti la tua fortuna. Siamo in America, dice Nucky a Jimmy. Il sogno dell’uomo qualunque che, nel bene o nel male, riesce a emergere è il carattere portante del nostro paese, allora come oggi». A. M. P. DALLA PRIMA Alberto Piccinini E che prima di allora è stato il clou di innumerevoli Primo Maggio rock in piazza San Giovanni, e naturalmente il filo conduttore della manifestazione di Milano il 25 aprile 1994. Mettiamoci anche Santoro che la canta in diretta, e consideriamo pure che nella estemporanea polemichetta sanremese sono intervenuti anche leghisti che hanno lamentato l’assenza del Va’ Pensiero dai temi del dibattito. Ma c’è un limite a tutto. Persino all’uso distorto del termine «par condicio», che in casi come questi è peggio che «un attimino» o «quantaltro». Le canzoni hanno una storia, e tutte le storie sono interessanti. Se Sanremo vuole raccontare i 150 anni dell’Unità d’Italia attraverso le canzoni, rischia il pianobar, ma faccia pure. Una cosa è certa: le canzoni non sono tutte uguali. Bella ciao è stata incisa negli anni ’60 annes ci ha messo 20 anni per diventare il festival. Roma può attendere. Forse nel 2020, con le Olimpiadi, riuscirà a raggiungere il prestigio di altri festival eurometropolitani come Monaco di Baviera o Parigi, (che Luca Zaia, podestà del Veneto, ignora, se paradossalmente dichiarò a inizi settembre: «con la crisi Roma non può attentare alla leadership di Venezia, sarebbe come se Monaco volesse scippare il festival di Berlino o Parigi quello di Cannes»). Roma, come Monaco e Parigi, pesca da Sundance, Cannes, Londra, Berlino, San Sebastian e Rotterdam... non anticipa «tendenze». Però chi aggiorna all’estero sulla «meglio produzione», con budget simili, esibisce più apertura mentale, rispetto dei cineasti eccentrici e di un pubblico quotidianamente sollecitato, e non scippato di conoscenza (per esempio dei doc pregiati). Da decenni promuovono i prototipi internazionalmente più innovativi di cinema, anche se ancora privi di distribuzione nazionale. Incappata oltretutto in una contingenza politico-culturale davvero sciagurata, che impone meno eleganza e più «maniacalità tricolore» in nome di una demagogia anti-hollywoodiana e dell’umorismo troglodita che impera e imbarazza, il festival di Roma «RondiDetassis» rimane sostanzialmente festa veltroniana azzoppata, con meno entusiasmo naif e pop e surplus di classicismo istituzionale. Certo il nuovo sindaco, ossessionato come il vecchio dal «record di presenze» può contare su un sistema mediatico più ruffiano. Record di presenze vuol dire assecondare l’assetto feudale dell’offerta e del consumo audiovisivo omologato in basso da una cupola autoritaria che ha in pugno sale e piccoli schermi. Il massimo è lanciare giovani autori (i più controllabili dal sistema, e per questo aiutati dalle nuove leggi di finanziamento), paralizzati però dal referencesystem che impone standard creativi, una censura arrogante e corpi consacrati a star (la prossima è Ruby?) che dal piccolo schermo giganteggiano, grazie al monopolio Rai-Mediaset, in copioni pesantemente scremati e catechisticamente corretti. Come la proposta «noir di famiglia», tra Garrone e Sorrentino di Raicinema, Una vita tranquilla di Claudio Cupellini (ex Centro Sperimentale). Un indocile (anche al copione) Toni Servillo, boss camorrista pentito e transfuga, abbandonato il figlio sicario in Campania, svanisce in Germania, cambia identità e moglie, e ricomincia come papà (di una bimba bionda), mediocre ristoratore all’italiana e tenutario d’albergo. Mr. Senso di Colpa però strappa la cinepresa di mano al cineasta, pentito commediante, che vorrebbe innalzarsi alla dimensione tragica e insegue, fino a farlo deragliare nel grottesco futile, l’ex boss Servillo, annientato dall’incontro fatale col figlio dimenticato. È lì per una questione di termovalorizzatori o per l’esecuzione di papà? Del thriller si deturpano codici, logica narrativa e strategia extra familiare, del noir non si regge l’abisso della rivoluzione immaginaria. La sceneggiata però non si dimentica: anche i «papà sono pezzi ’e core». da Giorgio Gaber, Yves Montand, Milva, Anna Identici. È musica leggera più che musica politica, se le parole hanno un senso. È una delle canzone popolari più famose di tutte, in tutto il mondo. È una canzone triste, il lamento per la morte di un partigiano, che contrasta con una musica stranamente allegra. Nessuno ha ancora capito da dove arrivi, se dalle mondine o da una melodia yiddish. Non è escluso che il buon Gianni Morandi, bravo ragazzo di sinistra, l’abbia cantata in uno dei Festival dell’Unità nei quali ha fatto gavetta sempre al principio degli anni 1960. Auguri invece al big che vorrà interpretare una difficile versione pop (o hard rock) di Giovinezza. Chi sarà? Non sarà Valerio Scanu, ultimo vincitore del Festival di Sanremo, che senza fantasia ha dichiarato: «Preferisco l’inno di Mameli». Vabbè. Giovinezza venne composta effettivamente nel 1909 come inno dei goliardi torinesi già mezzo interventisti, poi riscritta tre volte fino alla versione finale di Salvator Gotta («E per Benito Mussolini/ eja eja alallà»). «Basta avere la coda di paglia» ha detto ieri La Rus- sano hanno ideato la piattaforma (con il supporto della Regione Lazio): trenta titoli sono già a disposizione (www.onthedocks.it) per essere comprati in visione (a 2.99 euro a film) e si pensa di inserirne dieci ogni mese. «In Italia siamo ancora molto arretrati, in testa al pirataggio e in coda all’uso delle nuove tecnologie, avverte Giusto Toni, il cinema del reale è quasi invisibile, inoltre non c’è l’abitudine a pagare i film: all’interno di questo scenario abbiamo immaginato uno scenario di tipo nuovo. L’iniziativa è interessante soprattutto verso l’estero, dove il consumo su internet è in crescita e abbiamo trovato partner interessati in Canada, Usa, Inghilterra, Francia, Austria». Infatti all’estero si possono vedere solo documentari italiani di moda, auto e cucina, mentre i nostri cineasti hanno una visione sempre diversa, approfondita, originale e di carattere. MANIFESTANTI «PER IL CINEMA» a cura di Alberto Caerio FRANCIA Scacco matto alla legge antipirateria MOBILITAZIONE · Un oscuro cambio di gestione Le mani sulla città e sulla Casa del Cinema Silvana Silvestri N ell’assemblea generale del movimento «Tutti a casa» ( venerdì ore 21 sala De Luxe) il destino della Casa del cinema sarà uno dei punti da mettere in discussione. Da lì è partita simbolicamente la protesta e non è un caso perché per circa dieci anni è stato punto di riferimento per il pubblico e per i cineasti. La Casa del Cinema di Roma si trova a Villa Borghese, era in pessime condizioni quando Veltroni la individuò per il progetto di Laudadio di creare un punto di riferimento per il cinema, oggi è diventato un luogo invidiabile. Da dieci anni produce cultura, proiezioni gratuite per il pubblico, anteprime, festival, mostre fotografiche, incontri specialistici per le maestranze. Ora arriva una lettera dal tono perentorio dall’assessorato alla cultura del Comune che indica il 15 novembre come data in cui dovrebbero insediarsi i nuovi 7 commissari indicati dalla burocrazia comunale e che dovrebbero occuparsi perfino della programmazione culturale, industriali che verserebbero una certa somma per fronteggiare il debito della Casa dovuto per lo più al ritiro di uno sponsor come Lottomatica proprio quando si ventilò il cambio di gestione. A mettere in crisi il bilancio è stata anche la richiesta da parte del Comune di ben 22 manifestazioni da svolgersi a titolo «assolutamente» gratuito (10 giorni di affitto equivalgono a 40 mila euro). Questa manovra non ci è sconosciu- ta, sappiamo bene qual è la strategia, azzerare la cultura tagliando in ogni modo i fondi, come è successo oltre che nel cinema anche nell’editoria e nella scuola (lo ha sottolineato anche Laudadio). È per questo che lo straordinario movimento «Tutti a casa» ha unito i vari settori per fare fronte comune. Alla Casa del cinema martedì sera Gregoretti presidente dell’Anac, Ettore Scola, Giorgio Arlorio, Bruno Torri presidente del sindacato critici, produttori, direttori della fotografia, sceneggiatori, rappresentanti dei Cento autori, registi si sono riuniti per valutare la situazione, che non è solo pratica ma anche decisamente simbolica, un luogo che svuotato dell’attività del cinema non avrebbe più senso. Si è saputo infatti che la si vorrebbe utilizzare addirittura per la celebrazione dei matrimoni laici. «Non è stata data una risposta adeguatamente sdegnata da parte nostra», ha detto Ettore Scola. «La casa del cinema è un banco di prova del movimento, dice Arlorio, può diventare il luogo in cui le associazioni possono discutere del progetto di legge di sistema sul cinema». Il regista Massimo Spanu afferma: «La manifestazione è stata un momento importante, siamo partiti da questa Casa e qui ritorneremo perché questa è la nostra casa». Interviene anche Gennaro Migliore: «non credo che si tratti di un caso di cambiamento di gestione, è il tentativo di chiudere la Casa che si è sempre autogestita. Credo che sia intenzione di questi politici prosciugare i bacini di riflessione di questo paese». sa commentando il montare della piccola polemica sanremese, «Giovinezza la cantavano milioni di italiani». Certamente non venne suonata da Arturo Toscanini il 14 marzo 1934 al Teatro Comunale di Bologna. Lo sgarbo compiuto al cospetto dei gerarchi Ciano e Arpinati valse a Toscanini uno schiaffo nel retropalco da parte di una giovane camicia nera, Leo Longanesi, e la decisione quasi istantanea del maestro di emigrare negli Stati uniti. Ancora. Pensi a Bella ciao al Festival e ti viene in mente che per lo spettacolo Bella Ciao, presentato al Festival di Spoleto nel 1964, esordio in grande spolvero del nostro folk revival, arrivarono in sala fascisti e carabinieri per impedire non la versione (sublime) della ex mondina Giovanna Daffini, ma per l’esecuzione di Gorizia tu sei maledetta, con il verso «Traditori signori ufficiali/ che la guerra avete voluta». Denunciati per vilipendio delle forze armate, tutti gli autori. Pensi a Giovinezza e ti viene in mente la suoneria del cellulare di Lele Mora. Che non è Giovinezza, ma Faccetta nera, però fa lo stesso. Mentre la Francia procede nella sua campagna antipirateria, e spedisce mail di avvertimenti ai file sharers illegali 25 mila copie al giorno, i gestori di un sito pirata, Torrent tracker Smartorrent, hanno già messo in atto una contormossa. Un network virtuale che consente a chi vi accede (a pagamento) di scambiarsi in rete ma con la garanzia di continuare a scambiarsi canzoni in rete con la garanzia dell’anonimato. Smartorrent ha già un numero altissimo di iscritti, 1,7 milioni di utenti registrati: e secondo TorrentFreak sono 2.500 quelli che hanno già deciso di abbonarsi al servizio Vpn pagando 5 euro al mese. CINEMA BEHESHTI, VISTO NEGATO Al regista iraniano Faramarz Beheshti, che da quindici anni vive in Nuova Zelanda, è stato negato il visto per poter andare a Milano a ritirare il premio «Diritti umani» assegnato nell'ambito del FictsSport Movies & Tv 2010 al suo film «Salam rugby». Il visto è stato negato attraverso l’ambasciata del suo paese. La pellicola racconta la storia di 24 donne iraniane diventate ambasciatrici del rugby in Iran nel 2004 e capaci, in soli due anni, di avvicinare a questo sport oltre mille ragazze. ARTE MODIGLIANI RECORD Record per Modigliani all'asta di «Impressionist Art» da Sotheby's a New York: «La bella romana», dipinto del 1917, è stata venduta per 68,9 milioni di dollari (49,1 milioni di euro). Di Amedeo Modigliani nella stessa asta è stato venduto per 19,1 milioni di dollari (13,6 milioni di euro) anche il ritratto di Jeanne Hebuterne, sempre del 1917, che era stato quotato tra i 9 e i 12 milioni di dollari. Tra i capolavori aggiudicati ieri sera da Sotheby's anche «Le Bassin aux Nympheas» di Claude Monet, venduto a 24,7 milioni di dollari (17,6 mln euro) e la «Danseuse dans le Fauteuil», «Sol en Damier» di Henry Matisse, del 1942, venduta a 20,8 milioni di dollari. Nel complesso è stato venduto il 75,4% delle opere in asta. INTERNET SOCIAL NETWORK AUDIO È nato in Italia il primo social network in audio, si chiama Freerumble. Permette di registrare e archiviare pensieri e riflessioni, conferenze, racconti, interviste, testimonianze. È possibile scegliendo tra una serie di argomenti in un elenco: dall’ambiente al jazz, ai nonni, dall’omosessualità alla poesia e ai ricordi. Collegandosi al sito http://www.freerumble.com è possibile anche accedere alla Rumblepedia, un’enciclopedia libera in Mp3 alla quale tutti possono contribuire. È anche possibile creare un proprio canale caricando i file. NUOVA COPPIA ROCK ALBARN & FLEA Il frontman di Blur e Gorillaz Damon Albarn ha fondato un nuovo gruppo con il bassista dei Red Hot Chili Peppers Flea: la band, ancora senza nome, ha già completato per tre quarti il proprio album di debutto che non ha ancora una data di uscita. pagina 14 il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 MAGICO MEDIA&SPORT CLASSICO Nicola Sellitti POMIGLIANO S marrita. Con un ottimismo verso il futuro dello stabilimento esile quanto la busta paga degli ultimi due anni. Pomigliano vive la cassa integrazione imposta dalla Fiat da realtà industriale vedova di stipendi fissi, non avvezza al saliscendi economico dei vicini centri agricoli di Acerra o Nola. Un’incertezza che corrode la tranquillità, economica e psicologica, delle famiglie. Sonnolento anche l’indotto, l’unico antidepressivo in città è la squadra di calcio, che gioca in serie D. «Il nostro obiettivo è salire di categoria - dice il presidente del Pomigliano, Antonio Romano, titolare di un’azienda che produce gpl satellitari anche per automobili della casa di Torino - anche noi risentiamo della crisi, che ha ridotto il potere d’acquisto in città del 30/40%. La crisi Fiat ci avvolge». La sua squadra è seguita da 400-500 tifosi tra ex dipendenti dell’Alfa Romeo e dell’Avio. E’ l’argenteria di casa, coccolata quasi fosse l’ ultimo pezzo del motore della antica Alfa Romeo. Nel 1944 il club si chiamava Juve Alfa Pomigliano, dopolavoro sportivo per gli operai dello stabilimento. Trent’anni prima le prime avvisaglie di calcio in città, con sfide tra studenti locali contro colleghi dei paesi limitrofi. Nel 1920 nasce il gruppo sportivo Pomiglianese, composto da atleti anche di altre discipline. Dieci anni dopo, durante il regime mussoliniano, ecco il Gruppo sportivo fascista Pomiglianese. Pionieri del pallone. Con i calciatori costretti a cambiarsi in una stanza dell’ex clinica San Felice - l’attuale caserma dei carabinieri di Pomigliano - distante quasi un chilometro dal campo di gioco, la Vasca del Carmine, che nel frattempo è diventata un parco pubblico che porta il nome di Papa Giovanni Paolo II. In maglia granata, i calciatori attraversavano correndo Corso Vittorio Emanuele seguiti dai tifosi ed entravano in campo, erano i tempi del campionato Propaganda. Poi, la nuova denominazione (Associazione calcio Pomigliano) e l’esordio nella Seconda Divisione Campania della Figc, fino all’intervento dell’Alfa che nel ’44 iscrive la squadra al Torneo della Liberazione, nel quale arriva uno storico successo sul camLA po del Napoli, 3-1 grazie a una dopFORMAZIO pietta del centravanti Nicolosi. L’anNE DEL no successivo a Milano fu assassinato POMIGLIAN il direttore generale dell’Alfa, Ugo O IN Gobbato, che nella cittadina napoletaCAMPO na fece edificare per atleti, dirigenti e PRIMA manodopera in missione per le proDI UNA duzioni, il complesso di palazzine PARTITA. che circonda lo stadio, poi acquistato IN ALTO, dall’azienda milanese. Pomigliano deI TIFOSI cise di dedicargli l’impianto mentre la GRANATA squadra viveva due brevi avventure E UNA in serie C. Riverenza che difficilmente VECCHIA toccherà mai all’amministratore deleFIGU DI gato Fiat e Chrysler, Marchionne. «Mi GENNARO offende leggere che si sente meVITOLO I, talmeccanico. Provi lui a lavorare sotCALCIATOR tostress guadagnando sei-settecento E euro mensili in meno per gli errori di DELL’ALFA altri». Carlo ha 56 anni, decenni alle JUVE ALLA spalle nella lastrosaldatura in fabbriFINE DEGLI ca. Turni di notte tra stampe e caffè. ANNI ’40 Grande tifoso della squadra della sua città, «più del Napoli» sottolinea, ne segue gli allenamenti a Tavernanova, piccola enclave industriale tra Pomigliano e Casalnuovo. «Quest’anno possiamo fare il salto di categoria. Guardi la partitella a due tocchi, sono davvero forti». Ha scelto la mobilità circa due anni fa. «Quando ho lasciato l’azienda anche le pause erano controllate. I miei colleghi dicono che la Tra cassa integrazione e incubo Marchionne, l’unico anti-depressivo per gli operai sotto il Vesuvio è la squadra che un tempo si chiamava Juve Alfa Pomigliano e oggi dopo una breve parentesi di calcio champagne zemaniano tenta la risalita in serie D BELLO COSÌ COSÌ SOPORIFERO RIVOLTANTE film LETALE INSOSTENIBILE CULT la radio Dal microscopio al letto del malato: la ricerca oncologica avanza tutti i giorni grazie all’impegno di migliaia di ricercatori di tutto il mondo. Se ne parla oggi a «Radio3 scienza» dalle 11 alle 11.30. RADIO3 situazione sia peggiorata». Insiste sulle cattive condizioni lavorative all’interno della fabbrica. «La Fiat mi ha consentito una vita senza stenti, ma ai tempi dell’Alfa Romeo l’azienda era la nostra seconda casa. Lavoravamo, e ci consentivano di farlo, in armonia, senza restrizioni. Ora avviene l’opposto». Mentre l’occhio segue il riscaldamento dei portieri, Carlo si scaglia contro la nuova programmazione sulla pausa lavorativa - tre turni da dieci minuti anziché due da venti che «non migliora assolutamente la capacità produttiva. Possono fare la differenza quei dieci minuti in più oppure modelli in grado di conquistare il mercato?». Accorrono suoi amici all’allenamento. Alcuni lavoratori dell’indotto, altri direttamente dalla catena di montaggio. Si discute davanti a un caffè sul ruolo «politico» dei sindacati nella fabbrica. «Urge una politica sindacale più dura. Chi ci deve tutelare, se non loro? La qualità lavorativa nella nostra fabbrica è sempre stata alta, senza fare accenno agli enormi problemi di manutenzione», spiega ancora Carlo. Per lui, per tutti i presenti, la proprietà mirava a ridimensionare se non serrare - Pomigliano. La discussione vira sulla sfida casalinga contro il Grottaglie finita 1-1, che poteva valere per il club l’aggancio alle parti nobili della classifica (la squadra al mo- mento è quinta), mentre i ricordi cadono sull’ultima amichevole del Napoli da queste parti. Era il 1984, Rudy Krol con la sua eleganza conquistava il palato operaio. Sarebbe poi arrivato il fallimento e la scomparsa dal panorama calcistico nazionale negli anni novanta, la rinascita in seconda categoria, una nuova proprietà, lo stregone di Eboli Mario Pietropinto fino al grande circo di Zemanlandia nel 2007. Sulla panca si siede infatti Giovanni Bucaro, siciliano, caratterista del Foggia dei miracoli. Uno dei figli adottivi del 4-3-3, il verbo del boemo. Con lui il Pomigliano raggiunge la fase finale dei playoff, miglior piazzamento della società granata negli ultimi sessant’anni di storia. Gradoni e centrocampisti in allenamento legati con la corda, con gli insegnamenti appresi nel laboratorio del tecnico di Praga, Bucaro esalta gli animi grigi della tifoseria granata. «Con lui abbiamo visto lampi di spettacolo puro. Ma la fase difensiva era un vero mistero, la squadra attaccava dal 1’ al 90’», ripetono in coro i supporter-operai presenti all’allenamento. «Per due anni abbiamo giocato un calcio-champagne a Pomigliano - spiega il presidente Romano - ora con la nuova guida tecnica di Luigi Corino (ex difensore di Lazio e Brescia, ndr) proviamo a essere meno belli ma più pratici». Bucaro si è accomodato sulla pan- china delle giovanili della Juventus e chissà come l’avrà presa mastro Zdenek. Di sicuro, non benissimo il tifo pomiglianese. Poi si ricade di nuovo sulle uscite di Marchionne. Imitazione del modello serbo e messicano, produttività polacca, stipendio da equiparare ai colleghi tedeschi. «Ma di cosa stiamo parlando, ci prendono solo in giro, Marchionne ci ricatta da tempo sapendo che non abbiamo alternative. Alle spalle della Fiat c’è solo la camorra per arrivare a fine mese», s’infervora Felice Castaldo, altro supporter storico, una vita nella catena di montaggio, in pensione da appena venti giorni. «La Fiat ha distrutto l’Alfa Romeo di Pomigliano. Con la Panda aumenteranno la produttività dimezzando il personale. Per Pomigliano sarà la morte economica e sociale». Smentisce, Felice, le voci sulla scarsa produttività dell’azienda. Sull’assenteismo anomalo, doppio lavoro e improvvise epidemie di massa, con tute blu che diventano rappresentanti di lista. «Ho lavorato a Melfi e Torino, qui non accade nulla di diverso». Sullo sfondo della discussione un vento gelido, come la crisi che avvolge la città. «E’ il motivo per cui tanta gente ci chiede di vincere in campo per provare finalmente un po’ di gioia», dice Giuseppe Ausiello, capitano granata, tornato quest’estate alla base dopo una stagione nel Pianura. «Ascoltando i problemi di tanti lavoratori mi vien da ridere a pensare allo sciopero dei calciatori, specie se le rimostranze giungono da atleti plurimilionari. Se s’intende tutelare i colleghi delle serie inferiori, il mio appoggio è totale. Siamo precari anche noi, anche se la mia società è un modello di professionalità. In serie D possiamo sottoscrivere solo accordi annuali, basta scendere di rendimento per poche partite e il futuro è in bilico». Domenica intanto, si va in trasferta a sfidare la capolista Arzanese. Fino al 6 novembre in programma a «Radio3 Suite» alle 20.15 Giulietto Chiesa, sfoglierà le pagine di «Tolstoj è morto» di Vladimir Pozner, recentemente pubblicato da Adelphi. Domenica 7 alle 20.30 «Resurrezione«, dramma lirico in quattro atti di Franco Alfano, orchestra sinfonica e Coro di Torino della Rai, del Coro Ruggero Maghini, Direttore Elio Boncompagni. Rai1 Rai2 Rai3 Rete4 Canale5 16:10 LA VITA IN DIRETTA Attualità Conduce Lamberto Sposini, Mara Venier 16:50 TG PARLAMENTO - TG1 CHE TEMPO FA Notiziario 18:50 L’EREDITÀ Gioco Conduce Carlo Conti. 20:00 TG1 Notiziario 20:30 SOLITI IGNOTI Gioco Conduce Fabrizio Frizzi. 18:45 EXTRA FACTOR Reality show Conduce Francesco Facchinetti con Alessandra Barzaghi 19:30 SQUADRA SPECIALE COBRA 11 Telefilm 20:25 ESTRAZIONI DEL LOTTO Programma generico 20:30 TG2 - 20.30 Notiziario 19:00 TG3 Notiziario 19:30 TG REGIONE - METEO Notiziario 20:00 BLOB Varietà 20:10 SECONDE CHANCE Telefilm Con Caroline Veyt, Sebastien Courivaud, Isabelle Vitari 20:35 UN POSTO AL SOLE Soap opera Con Patrizio Rispo, Riccardo Polizzy Carbonelli 18:55 TG4 - METEO Notiziario 19:35 TEMPESTA D’AMORE Soap opera Con Martin Gruber, Lorenzo Patané, Dirk Galuba, Judith Hildebrandt, Sepp Schauer 20:05 WALKER TEXAS RANGER Telefilm Con Chuck Norris, Clarence Gilyard, Sheree J. Wilson 18:50 CHI VUOL ESSERE MILIONARIO Gioco Conduce Gerry Scotti 20:00 TG5 - METEO 5 Notiziario 20:30 STRISCIA LA NOTIZIA - LA VOCE DELL’IMPROVVIDENZA Varietà Conduce Ezio Greggio ed Enzo Iacchetti 21:05 ANNOZERO Attualità Conduce Michele Santoro. Con la collaborazione di Sandro Ruotolo, Corrado Formigli e di Stefano Maria Bianchi. Regia di Alessandro Renna 23:20 TG2 - TG2 PUNTO DI VISTA Notiziario 23:35 RAI 150 ANNI LA STORIA SIAMO NOI Documentario Conduce Giovanni Minoli 00:35 RITRATTI MUSICALI Rubrica Conduce Cristina Ravot 01:10 TG PARLAMENTO Attualità 01:20 EXTRA FACTOR Reality 21:05 THE CODE FILM Con Morgan Freeman, Antonio Banderas, Radha Mitchell, Robert Forster, Rade Serbedzija, Michael Hayden, Marcel Iures, Gary Werntz, Katie Chonacas 23:00 PARLA CON ME Varietà Conduce Serena Dandini 00:00 TG3 LINEA NOTTE Attualità 00:10 TG REGIONE - METEO 3 Notiziario 01:10 RAI EDUCATIONAL MAGAZZINI EINSTEIN Rubrica 20:50 UEFA EUROPA LEAGUE 2010/2011 LIVERPOOL - NAPOLI Evento sportivo 23:05 UEFA EUROPA LEAGUE SPECIALE Rubrica sportiva 23:50 CINEMA FESTIVAL Rubrica 23:55 LA MALA EDUCACIÓN FILM Con Bernal, Fele Martinez, Daniel Giménez Cacho, Fran Boira, Nacho Pérez, Leonor Watling 01:55 TG4 NIGHT NEWS Notiziario 21:10 CHI HA INCASTRATO PETER PAN? Varietà Conduce Paolo Bonolis con la partecipazione di Luca Laurenti 23:30 CHIAMBRETTI NIGHT - SOLO PER NUMERI UNO Varietà Conduce Piero Chiambretti 01:30 TG5 NOTTE - METEO 5 NOTTE Notiziario 02:00 STRISCIA LA NOTIZIA - LA VOCE DELL’IMPROVVIDENZA Varietà Conduce Ezio Greggio ed Enzo Iacchetti Italia1 19:30 BIG BANG THEORY Telefilm Con Johnny Galecki, Jim Parsons, Kaley Cuoco, Simon Helberg, Kunal Nayyar 20:05 I SIMPSON Cartoni animati 20:30 MERCANTE IN FIERA Gioco Conduce Pino Insegno 21:10 C.S.I. MIAMI Telefilm Con David Caruso, Emily Procter, Adam Rodriguez, Khandi Alexander, Rex Linn 23:00 THE MENTALIST Telefilm Con Simon Baker, Robin Tunney, Tim Kang, Owain Yeoman, Amanda Righetti, Elizabeth Dennehy 00:50 FLASH FORWARD Telefilm Con Lee Thompson Young, Joseph Fiennes, John Cho, Jack Davenport 02:30 STUDIO APERTO - LA GIORNATA Notiziario La7 18:00 ADVENTURE INC. Telefilm Con Michael Biehn, Karen Cliche, Jesse Nilsson 19:00 THE DISTRICT Telefilm Con Jonathan LaPaglia, Craig T. Nelson, Roger Aaron Brown, Sean Patrick Thomas, Elizabeth Marvel, Wayne Duvall 20:00 TG LA7 Notiziario 20:30 OTTO E MEZZO Attualità Conduce Lilli Gruber 21:10 IMPERO Documentario Conduce Valerio Massimo Manfredi. Regia di Riccardo Mazzon 23:30 TG LA7 Notiziario 23:40 VICTOR VICTORIA Varietà Conduce Victoria Cabello. Regia di Cristian Biondani 01:00 LA 25A ORA – IL CINEMA ESPANSO Attualità Conduce Roberto Cotroneo 03:00 OTTO E MEZZO Attualità Conduce Lilli Gruber 03:40 CNN NEWS Notiziario Rainews 19:13 MERIDIANA/DECODER Rubrica 19:27 AGRIMETEO Notiziario 19:30 TG3 Notiziario 20:00 IL CAFFÉ - NOI E LORO Rubrica 20:30 CONSUMI E CONSUMI Rubrica 20:57 AGRIMETEO Notiziario 21:00 NEWS LUNGHE DA 24 Notiziario 21:27 METEO Previsioni del tempo 21:30 TEMPI DISPARI Rubrica 22:30 NEWS LUNGHE DA 24 Notiziario 22:57 METEO Previsioni del tempo 23:00 IL PUNTO Rubrica 23:27 METEO Previsioni del tempo 23:33 INCHIESTA Attualità 23:57 METEO Previsioni del tempo 00:00 NEWS LUNGHE DA 24 Notiziario CASINÒ di Martin Scorsese Usa 1995 (180’) ORE 21.15 - PREMIUM CINEMA 1973, Sam «Asso» Rothstein, giocatore d’azzardo e pregiudicato, è scelto da una famiglia mafiosa di Kansas City come direttore di una casa da gioco di Las Vegas, ma la sua ambizione di diventare un rispettabile manager è rovinata dalla moglie, avida e infedele, e da un amico gangster. Geniale miscela di melodramma e film gangsteristico sotto il segno della dismisura per durata, violenza, nevrosi. 8 LA FINESTRA DI FRONTE di Ferzan Ozpetek Italia 2003 (115’) ORE 21 - CULT Giovanna e Filippo, giovane coppia in crisi, incontrano un vecchio solo e smemorato. I primi tentativi di capire chi sia risultano vani, finché in aiuto di Giovanna viene Lorenzo, un giovane bancario che abita proprio di fronte a loro, che la donna spia da mesi. Tra i due nasce una relazione. Un film che si perde, a volte, nel sentimentalismo. Con Giovanna Mezzogiorno e Raoul Bova. 6 RADIO2 Lunedì 18 novembre alle ore 23 la mostra «Salvador Dalí» Il sogno si avvicina» prende vita in radio con un appuntamento inedito e sperimentale, un esperimento crossmediale che miscela arte e musica. Su radio2, e in contemporanea sul sito raitunes.rai.it, Alessio Bertallot e il suo nuovo programma Raitunes racconteranno con musica e immagini l’esposizione del pittore catalano. RADIO1 «Baobab» il contenitore pomeridiano di informazione che racconta l'Italia e gli italiani approfondendo le notizie del giorno e le testimonianze dei protagonisti. Si alternano al microfono, insieme a un esperto musicale, Francesco Graziani e Tiziana Ribichesu. Dal lunedì al venerdì dalle 15.35. RADIO CAPITAL HO SPOSATO UNO SBIRRO 2 Fiction Con Flavio Insinna, Christiane Filangeri, Antonio Catania, Barbara Bouchet, Luisa Corna, Serena Rossi, Francesco Arca, Luca Calvani, Vittoria Piancastelli. E con la partecipazione di Giovanna Ralli 23:24 TG1 60 SECONDI Notiziario 23:25 PORTA A PORTA Attualità Conduce Bruno Vespa 01:00 TG1 NOTTE - TG1 FOCUS Notiziario 6 RADIO3 Sogni di cuoio a Pomigliano 21:10 THE CODE di Mimi Leder Usa/D 2009 (104’) ORE 21.05 - RAITRE Keith Ripley (Morgan Freeman) è un inafferabile ladro d’arte. Dopo la morte - forse ad opera della mafia russa - del suo socio, è costretto a trovare un nuovo partner per il colpo più audace che abbia mai messo a segno: trafugare due uova Fabergé dal caveau di New York. La sua scelta ricade su Gabriel Vasquez (Antonio Banderas), da poco rifugiatosi nella Grande Mela. Mercoledì 10 novembre Radio Capital si trasforma in «Radio Fossati», per celebrare il lavoro dell’artista genovese. Tutti suoi dischi rivivono in un sofisticato e accurato progetto di remastering, da «La casa del serpente» del 1977 fino a «L’arcangelo» uscito nel 2003. Progetto a cura di Marty Jane Robertson. RADIO KISS KISS Dal 4 al 8 novembre, , l’anteprima del nuovo album di James Blunt «Some kind of trouble» la cui uscita è prevista per martedì 9 novembre. FAME di Kevin Tancharoen Usa 2009 (107’) ORE 21 - SKY CINEMA 1 Un pallido remake del «Saranno famosi» cui 25 anni orsono diede vita Alan Parker. La trama è poco più di un pretesto e la sceneggiatura di Allison Burnett mette insieme delle storielline da tv dei teenager per provare a intessere qualche numero musicale. Il film cerca di raccontare le difficoltà per arrivare al successo, la strada lastricata di lacrime e sudore che ogni artista deve affrontare. 6 programmi ANNOZERO ATTUALITÀ ORE 21.05 - RAIDUE «L'amore ai tempi di B» è il titolo della puntata, ovviamente dedicata al tema «politico» della settimana... Ospiti di Santoro l'avvocato del premier Niccolò Ghedini; la deputata del Pdl Nunzia De Girolamo; il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro; la direttrice dell'Unità Concita Di Gregorio; il presidente di Rcs Libri Paolo Mieli. IMPERO DOCUMENTI ORE 21.10 - LA7 Attraverso documenti e interviste la prima puntata di Impero ricostruisce la carriera di Eugenio Pacelli, dagli anni drammatici dell’ascesa al potere di Hitler fino alle leggi razziali, alla guerra e alla deportazione di milioni di ebrei, anche dalla città di Roma. Che cosa poteva fare Pio XII e che cosa fece? Il programma è condotto da Valerio Massimo Manfredi. LA MUSICA DI RAI3 CONCERTI ORE 1.40 - RAITRE Concerto n.1 in re maggiore op. 6 per violino e orchestra di Niccolò Paganini nell’esecuzione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (all'Auditorium di Torino). Composto nel 1816 è un lavoro dal quale emerge l’influenza del melodramma: l’orchestra introduce un’aria affidata alla voce del violino, la cui parte solista è affidata allo Stradivari «Elman» del 1729 suonato da S. Shoji. il manifesto GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010 pagina 15 TERRITORI altra italia La città DELLE ECOBALLE Il nuovo fronte caldo dell’emergenza rifiuti si chiama Taverna del Re. Dove una piazzola di 20 mila mq è diventata una megalopoli di 2,5 chilometri di spazzatura avvolta nel cellophane che non si sa come smaltire. Tutto in nome dell’emergenza e delle riaperture provvisorie. Per questo i cittadini sono tornati in piazza. Ieri di nuovo proteste, cariche e feriti QUI TERZIGNO «Intervenga la magistratura» I comitati antidiscarica confidano nell'intervento della procura di Nola per ottenere il sequestro della discarica Sari di Terzigno. Lo dice Franco Matrone, della rete dei comitati vesuviani, dopo la presentazione di una serie di denunce alla magistratura. «Ci sono - dice - elementi incontrovertibili. L'Asia, insieme con la Provincia, ha effettuato delle analisi che hanno evidenziato la presenza di materiali inquinanti come metalli pesanti e percolato. Successivamente l'Asia è stata rimossa dalla gestione della discarica, a dimostrazione del fatto che qualcosa di serio non andava. Inoltre, Bertolaso e l'Asia stesso hanno detto che a Terzigno sono state portate 25 tonnellate di rifiuti tossici da Lo Uttaro che erano sotto sequestro e andavano bonificati. La protesta continuerà. Chiediamo ai sindaci di dirci chi controlla i camion che vanno alla discarica, da dove vengono, perchè c'è ancora puzza». Non ha dubbi Enzo Iandolo, del movimento popolare per la difesa del territorio dell'area vesuviana. «Stiamo studiando una serie di nuove ed ulteriori iniziative di lotta che metteremo in atto nei prossimi giorni. Stiamo coinvolgendo tutte le comunità locali interessate alla discarica. Di sicuro cercheremo ancora di bloccare o rallentare i camion. Noi non lasciamo il campo». Luisa Lettieri, una delle portavoce delle mamme vulcaniche, riferisce di un incontro avuto ieri con il sindaco di Boscoreale, Gennaro Langella (Pdl). «Abbiamo saputo che per alcuni giorni i camion che arrivano alla discarica Sari conferiranno rifiuti indifferenziati perchè la prima necessità è quella di ripulire le strade. Si parla di una settimana, speriamo che non si prolunghi come accade di solito. Inoltre, non abbiamo risposte certe sulle analisi condotte nella discarica. La nostra impressione è che si voglia andare comunque avanti». UN DEPOSITO DI STOCCAGGIO DELLE ECOBALLE IN CAMPANIA /FOTO CLAUDIO VITALE-GRAZIA NERI PICCOLA, GLI SCONTRI A TERZIGNO DEI GIORNI SCORSI /AGENZIA CONTROLUCE 36 DISCARICHE Erano quelle censite nel ’97 nel "triangolo della morte" Qualiano Villaricca - Giugliano. Molte di queste erano abusive. Il decreto Ronchi le chiuse. Adriana Pollice GIUGLIANO (NAPOLI) C ariche della polizia, il presidio che rimane in strada per bloccare con ogni mezzo pacifico il transito degli autocompattatori verso Taverna del Re. Sembra una guerra infinita tra lo stato e i signori del no, come li definisce il governatore campano, Stefano Caldoro. Ma se ogni giorno si prendono la loro dose di manganellate vuol dire che un motivo c’è. Un setto nasale rotto martedì, tre contusi ieri, popolazioni inermi gettate di peso sul ciglio della strada. I camion devono passare. «Il giuglianese è un territorio di 94 chilometri quadrati, solo in piccola parte abitati – spiega Domenico Di Gennaro, del Presidio permanente Taverna del Re Tra un quartiere e un altro c’è uno spazio infinito di campagna». Quella che una volta dava raccolti rigogliosi più volte l’anno. Il primo cambiamento arriva con il dopoguerra: il paese deve essere ricostruito e allora si sfruttano le cave, tufo e pozzolana per le nuove abitazioni. «Con l’estrazione si comincia a dover fare i conti con la camorra – prose- CHILOMETRI DI MONNEZZA IL MOSTRO DI GIUGLIANO gue Domenico – ma la situazione peggiora dopo il boom della ricostruzione, con il boom industriale degli anni ’80. Le imprese del nord, soprattutto quelle chimiche, non sanno dove stoccare i loro rifiuti inquinanti e cominciano a mandarle nel giuglianese, con la complicità dei clan. Hanno riempito i nostri fossi con rifiuti illeciti di ogni genere, a località Tre ponti, vicino Taverna del Re, l’acqua prende fuoco. La stessa roba è finita nei laghi ricavati dall’estrazione della sabbia». Poi nel 1997 arriva il decreto Ronchi, si chiudono le discariche per fare posto all’impiantistica in grado di smaltire i rifiuti in linea con le direttive comunitaria, quell’impiantistica che stiamo ancora aspettando. Nella zona vengono censite 36 cave a discarica, tra quelle aperte dallo stato (ma che si fa fatica a definire a norma) e quelle completamente illegali. Ulteriori quindici, dismessa l’attività estrattiva, possono essere ancora convertite in sversatoi e la solita Fibe (quella che, con la casa madre Impregilo, ci ha confezionato la filiera di smaltimento peggiore dell’emisfero occidentale) per prima fiuta l’affare. Così nella zona diventata famosa come ‘triangolo della morte’, Qualiano–Giugliano–Villaricca, dove si registra un aumento delle mortalità per tumore pari al 14%, tra i picchi massimi in Italia, si piazzano due discariche in attesa che il termovalorizzatore di Acerra bruci i rifiuti, a Settecainati e Cava di Conta: sversatoi dove ci finisce di tutto, immondizia urbana mista a rifiuti speciali (fanghi di prove- nienza industriale, ceneri volatili, scaglie di alluminio e ferro). Accanto cominciano ad accatastarsi le ecoballe non a norma prodotte dagli impianti cdr, poi sequestrati dalla magistratura, ecoballe che la Fibe ha dato in garanzia alle banche per costruire l’impianto di Acerra. «Tutto è iniziato con un ordinanza che permetteva lo stoccaggio temporaneo nelle piazzole del cdr di Giugliano – ricorda Domenico di Gennaro - Quando cominciammo a protestare si spostarono su Villa Literno, che è al confine ma in provincia di Caserta, in località Lo Spesso. Questo è il primo nucleo della cittadella dell’immondizia di Taverna del Re. In origine era una piazzola di 20mila metri quadrati che è diventata una megalopoli di 2 chilometri e mezzo. Una città con vie, piazze, strade su cui incombono edifici di immondizia, adesso ci fanno anche i sensi unici». Il mostro è stato prodotto da 51 ordinanze di ampliamento, teoricamente avrebbero potuto andare avanti ancora per anni ma nel 2007 la battaglia del Presidio permanente ottiene una vittoria, con la chiusura del sito. «Così scoppia l’emergenza rifiuti del 2008 – spiega ancora – con la ricerca di nuovi fossi dove buttare tutto la spazzatura indifferenziata. La cosa grave è che un presidente eletto dal popolo, Luigi Cesaro, firma la riapertura di Taverna de Re, 8mila metri quadrati da riempire per 40 giorni, camion in viaggio per 20 chilometri ogni giorno da Napoli. Ma se si tratta di un fatto temporaneo, non c’era un posto più vicino? Un ca- 51 ORDINANZE Tante volte è stato deciso dai commissari straordinari all’emergenza rifiuti l’ampliamento del sito di Taverna del Re. Fino ad arrivare al mostro attuale pannone industriale dismesso proprio a Napoli? La verità è che stanno provando a verificare il livello della protesta e la disponibilità degli amministratori, alla fine sarà una delle nostre cave e prendere il posto della Vitiello di Terzigno». L’assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Romano, precisava lunedì che, in attesa di due nuovi termovalorizzatori, ci vuole un’altra discarica e deve essere nel napoletano. Il presidio di Giugliano si preparano a combattere ancora per la sopravvivenza del territorio. Si tratta dello stesso territorio per cui la Procura di Napoli ha accertato il disastro ambientale. Nel 2064 il percolato di 341 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi (a cominciare dai fanghi dell’Acna di Cengio), di 160 mila e 500 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, di 305 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, precipiterà definitivamente nella falda e avvelenerà decine di chilometri quadrati di terreno. Tutto nero su bianco accanto ai 35 capi d’imputazione contestati ai sei indagati nel processo sulla gestione delle società Resit di Cipriano Chianese. GROTTAMMARE · Politiche, pratiche e prospettive. Una due giorni organizzata dalla rete «Democrazia chilometro zero», per connettere l’altra politica «Cambiare l’Italia senza prendere il potere». Si incontra la cricca delle 3P Sergio Sinigaglia ASCOLI PICENO C’ è attesa nelle Marche per l’appuntamento di Grottammare del 6/7 novembre, promosso dal circuito “Democrazia chilometri zero”. Ad un anno dall’incontro tenutosi nel quartiere delle Piagge di Firenze, le due giornate saranno un momento prezioso per confrontarsi e discutere. “Cambiare l’Italia senza prendere il potere” è il “titolo” che si è scelto, ma in realtà le persone che dalle 10,15 di sabato si riuniranno nella Sala Kursal della cittadina a pochi chilometri da San Benedetto del Tronto, cercheranno di capire come poter rafforzare la rete tra le varie espe- rienze di base presenti nel nostro Paese. È per questo che dopo gli interventi della mattina e i gruppi di lavoro del pomeriggio sulle tre parole chiave individuate, “politiche”, “pratiche” e “prospettive” (ironicamente definite le 3P a fronte della P3), la domenica mattina verrà dato ampio spazio, oltre al resoconto degli incontri nelle “commissioni” del giorno prima, alla riflessione con le altre realtà nazionali invitate, dal Forum nazionale dell’acqua a Libera, dalla Rete del Nuovo Municipio alla Rete “A sinistra”. Per capire come connettersi, nel rispetto dello specifico percorso, e cercare di allargare sempre più quel fronte di “altra politica diffusa” presente nel nostro Paese. Dicevamo dell’attesa nei gruppi di base marchigiani, anche qui attivi su più fronti. È infatti prevista una partecipazione ampia dai diversi luoghi della regione, soprattutto dal Piceno e non solo per la vicinanza a Grottammare, ma perché, come ci spiega Olimpia Gobbi del gruppo “Luoghi Comuni” di San Benedetto del Tronto, associazione che si è accollata l’organizzazione dell’evento, «in quest’area della regione, forse più che altrove, è grande lo spaesamento dei cittadini di fronte alle modalità con cui, con approcci piuttosto uniformi fra centrodestra e centrosinistra, le istituzioni governano questa fase di transizione socio/economica: green economy intesa come assalto spesso distruttivo al terri- torio da parte di poteri forti; cementificazione e consumo di suolo fra i più alti d’Italia; nonostante i proclami, strisciante e nascosta privatizzazione dei beni comuni, compresa l’acqua; sostegno regionale alle scuole private ma non a quelle pubbliche, ormai allo stremo; delocalizzazione di industrie storiche sane, dotate di mercato e di saperi; massicci investimenti per la grande viabilità e pressoché niente per la mobilità sostenibile». In realtà è una situazione diffusa un po’ ovunque nelle Marche, lo sanno bene a Falconara dove da anni si battono contro lo strapotere dell’Api che con la sua raffineria ha da decenni imposto uno sviluppo economico nocivo e devastante per il terri- torio circostante. Carlo Brunelli, architetto e ambientalista doc, da sempre in prima fila nel movimento di base falconarese che si batte per un “progetto locale” alternativo, sottolinea come «viviamo l’incontro di Grottammare come occasione formativa, momento importante per consolidare operativamente il cantiere di democrazia dal basso già attivo da tempo; per rinforzare le reti locali e nazionali, mettere insieme pratiche, saperi e politiche; per costruire nuovi strumenti di connessione, comunicazione, autoformazione, autorganizzazione, autogoverno». Insomma una preziosa opportunità non solo per provare a “cambiare l’Italia senza prendere il potere”, ma per cambiare anche se stessi e la propria vita. CAMPAGNA ABBONAMENTI 2011 PRINCIPALI TARIFFE PER IL MANIFESTO + ALIAS + LE MONDE DIPLOMATIQUE Sostenitore Postale Coupon ANNUALE 500 euro 260 euro 330 euro ABBONATI ENTRO IL 31 DICEMBRE 2010 E TI REGALEREMO IL PACCO SORPRESA DEL MANIFESTO www.ilmanifesto.it Non costringeteci a farlo. Abbonatevi al manifesto. Con i tagli all’editoria, il manifesto rischia seriamente di scomparire. Per rilanciare e rinnovare 40 anni di storia, serve il vostro sostegno. Anche perché, piuttosto che snaturarci, preferiamo chiudere.