CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,70
SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/
BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158
ANNO XL . N. 261 . GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
EURO 1,30
IL PRESIDENTE AMERICANO NELLA CASA BIANCA DOPO LA CONFERENZA STAMPA POST-ELEZIONI/FOTO REUTERS
ALL’INTERNO
OBAMA
DIMEZZATO
ULTIMO FANGO
Il Copasir
convoca
Berlusconi
Marco d’Eramo
Sul caso Ruby il comitato
presieduto da D’Alema
chiede di sentire il premier.
L’«imbarazzo» del Forum
delle famiglie per lo stile di
vita del Cavaliere. E il Pdl
perde altri pezzi PAGINA 6
L’
America non sa dove
sbattere la testa; ecco
l’identikit degli Stati
uniti che emerge dal voto di
martedì. È andata alle urne una
società che ha pignorato la casa
e sbattuto per strada 2,8 milioni
di famiglie solo nel 2009 (e quest’anno va peggio), che ha licenziato 15 milioni di cittadini e altri 15 ne ha relegati in lavoretti,
e sta per privare del sussidio di
disoccupazione una decina di
milioni di persone. E che è bombardata dai messaggi più contraddittori: accusa i banchieri
di Wall Street per la crisi attuale e poi vota per il partito di
questi banchieri. Una società
che si sente impotente contro
una fatalità che attribuisce via
via agli immigrati illegali, alle
esportazioni cinesi, al fosco
mondo dei politicanti di
Washington, al complotto socialista e anticoloniale di un nero come Barack Obama. Una
società manipolata dai finanziamenti occulti dei multimiliardari (in dollari), dal martellio delle tv di destra come Fox news,
dal trapanamento cerebrale
dei radiopredicatori, dalla retorica del capro espiatorio.
Se non fosse per questo contesto, verrebbe da dire «calma e
sangue freddo» ai democratici e
ai progressisti che si vedono relegati a minoranza dopo appena due anni di potere, e che paventano per Obama la disfatta
nel 2012. Da sempre le elezioni
a metà del mandato presidenziale segnano la sconfitta del
partito al potere (unica eccezione recente nel 2002, un anno
dopo l’11 settembre e in pieno
clima di guerra). La batosta fu
brutale per Bill Clinton nel
1994. Clinton fu poi rieletto nel
1996: però allora l’economia tirava. Nel 1982 invece era recessione, e alla Camera i repubblicani di Reagan furono schiacciati (166 contro 269 democratici),
un rapporto peggiore di quello
– inverso – che regna da oggi:
185 democratici e 239 repubblicani (11 seggi non sono ancora
attribuiti). Al Senato invece, come i repubblicani sotto Reagan, così i democratici sotto
Obama mantengono il controllo (anche se con un margine
più esiguo): hanno già 51 senatori, contro 46 dei repubblicani, e restano ancora 3 seggi da
attribuire. E nel 1984 Reagan fu
rieletto trionfalmente.
Da oggi, al di là degli ostentati propositi di aperture bipartisan e disponibilità al compromesso, nei palazzi di Washington si combatterà una guerriglia di corridoio, si trameranno
imboscate legislative, trappole
procedurali per aggirare una sostanziale situazione di stallo istituzionale. I democratici sono
stati puniti – soprattutto dall’astensione dei propri elettori
– per aver tradito il mandato
che era stato loro affidato, per
non aver difeso la piattaforma
su cui erano stati eletti, per – diciamola tutta – la loro smisurata viltà politica. Ma a essere
sconfitta in modo ancor più irreparabile è l’economia statunitense. Con il rapporto di forze
istituzionale emerso dalle urne, non si vede come sarà possibile generare quei milioni di
posti di lavoro che soli potrebbero rendere più respirabile
l’atmosfera politica. E la stagnazione economica rischia di precipitare il collasso culturale
che il voto di ieri fotografa.
FINANZIARIA
No a Tremonti,
i finiani stanno
con l’opposizione
Alla camera maggioranza
spaccata in commissione
Bilancio. Sulla manovra finiani pronti a votare con Pd,
Udc e Idv su editoria, università, fondi per il Sud e tagli
agli enti locali. PAGINA 7
SINDACATO
Arriva Camusso
E tutti sperano
in «un’altra Cgil»
Con il 79% dei consensi
Susanna Camusso è la nuova segretaria. Ma i 12 astenuti segnalano un disagio
che va oltre la minoranza interna. Cisl, Uil e imprese sperano nel «dialogo» PAGINA 9
I Repubblicani conquistano la Camera e dieci nuovi
governatori, il Senato ai Democratici. Obama: «È colpa
mia, la gente non ha capito il cambiamento, è frustrata
dalla crisi». Ai vincitori: «Lavoriamo insieme». Tea
Party, nasce in Florida la stella Rubio PAGINE 2, 3, 4, 5
Notte
americana
CRISI ITALIANA
GIUSTIZIA
Uscire dall’era
berlusconiana
Magistrati a sinistra,
l’eresia da ritrovare
Alberto Asor Rosa
Livio Pepino
on sono certo che l’era berlusconiana sia finita. Sono invece certo, certissimo, che ogni giorno che passa il
proseguimento dell’era berlusconiana porta
il paese sempre più verso la catastrofe.
Perché non proviamo a ragionare per
punti, secondo le regole di una buona sequenza logica? Ora, il punto iniziale di ogni
corretto ragionamento oggi, quale che ne
sia poi lo sbocco finale, - quale che ne sia, ripeto, lo sbocco finale, - è che il proseguimento dell’era berlosconiana porta il paese sempre più verso la catastrofe: catastrofe politica, istituzionale, economica, sociale, civile,
morale.
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redevo non fosse una notizia. Ma visto che è diventata tale non ho difficoltà a spiegare. Sì, dopo oltre quarant’anni e senza esservi costretto da ragioni di età, lascio la magistratura e Magistratura democratica. C’è, in questa scelta, la curiosità intellettuale e pratica di esplorare altre strade per contribuire a tutelare (spero
in modo più incisivo) i diritti e l’uguaglianza di chi non ha diritti ed è meno uguale.
Ma c’è anche una componente politica. Dal
gennaio 1970, quando entrai in magistratura (era l’indomani della strage di piazza Fontana), la società e la magistratura sono profondamente cambiate.
CONTINUA |PAGINA 6
BELLA CIAO A SANREMO
Una par condicio
da piano bar
Alberto Piccinini
N
BRESCIA l PAGINA 8
C
FESTIVAL DI ROMA l PAGINE 12, 13
A trenta metri sopra il cielo
«Boardwalk Empire», il ritorno
la protesta di cinque immigrati gangster di Martin Scorsese
C
ome diceva quella vecchia battuta di Nanni Moretti? «Rossi e
neri tutti uguali?! Ma che siamo in un film di Alberto Sordi?». Più o
meno. Il prossimo presentatore del
Festival di Sanremo Gianni Morandi
rivela ai giornalisti che una serata della kermesse sarà dedicata all’Unità
d’Italia attraverso le canzoni e «si tornerà a sentire Bella ciao». Il direttore
artistico del Festival Gianmarco Mazzi si affretta ad aggiungere che «un big
canterà pure Giovinezza», che nacque
– aggiunge – come canzone della goliardia toscana dei primi del Novecento. Per non strumentalizzare. E ci
mancherebbe altro. Se così si prepara
lo scenario culturale del dopo-Berlusconi (che a Bella ciao si è sempre detto allergico), stiamo freschi. Va bene
che Bella Ciao è risuonata nella versione rock dei Modena City Ramblers pure al Congresso di Sinistra e Libertà,
dopo l’intervento di Nichi Vendola.
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pagina 2
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
CONTROPIANO
terraterra
M
anca meno di un mese al
vertice mondiale sul clima
che si riunirà a Cancun, in
Messico (29 novembre-10 dicembre),
dove i governi di circa 200 paesi cercheranno di riprendere i cocci di quello di un anno fa a Copenhagen per
elaborare un nuovo accordo mondiale
su come fermare il riscaldamento globale del Pianeta. Copenhagen era stato un fallimento: nessun accordo, a
parte una «dichiarazione» di intenti
che non fu neppure fatta propria da
tutti gli stati presenti. Neanche questa
volta un accordo è scontato: e uno dei
nodi è l’opposizione tra molti paesi «in
via di sviluppo» (tra cui la Cina, paese
dall’evidente peso politico oltre che
economico) e la gran parte di quelli
industrializzati (Stati uniti e Unione
europea in testa) sulla natura del nuovo trattato: dovrà continuare la formula di Kyoto, con obblighi vincolanti per
i paesi industrializzati e impegni volontari per quelli «in via di sviluppo»? O al
contrario prevarrà quello che gli Stati
uniti chiamano «nuovo paradigma», in
cui tutti i paesi «grandi emettitori» di
gas di serra (quindi industrializzati ma
anche grandi nazioni in via di sviluppo
come Cina, India o Brasile) si impegnano a prendere misure volontarie ma
verificabili per tagliare le emissioni,
investire in economia sostenibile eccetera? Lo stato dei negoziati preliminari
fa pensare che neppure il vertice di
Cancun riuscirà ad approvare un accordo. Il vertice messicano però potrebbe
portare a decisioni importanti in materia di politiche ambientali globali, e
per questo molti pezzi di società civile
organizzata hanno deciso di esserci e
farsi sentire. Un segnale è la riunione
organizzata dal International Forum on
Globalisation (Ifg), rete internazionale
di attivisti emersa negli anni ’90 come
centro di riflessione oltre che di collegamento tra movimenti sociali (quelli
che hanno avuto un ruolo importante
nel condizionare il famoso vertice del
Wto a Seattle, dicembre ’99).
Alle alleanze globali costruite allora
faceva appello la riunione organizzata
dal Ifg in Messico a fine settembre, in
vista del vertice di Cancun. L’idea è
rilanciare il «movimento dei movimenti» per imporre reali limiti ecologici
all’economia globale, leggiamo in un
resoconto messo in rete da Victor Menotti, che ha rappresentato il Forum
alla riunione di settembre a Felipe Carrillo Puerto, non lontano da Cancun,
dove si sono incontrati rappresentanti
di organizzazioni contadine e di popolazioni indigene, sindacati, organizzazioni
studentesce e rappresentanti di enti
locali, dal Messico e da paesi come
Kenya, Filippine, Bolivia, Brasile. Tre
giorni di confronto hanno fatto emergere come e perché le comunità rurali,
contadini, indigeni vedono il cambiamento del clima come una questione
urgente. Ad esempio nel Messico rurale, dove i raccolti di mais stanno fallendo per un’ondata decennale di siccità
(nonostante le recenti alluvioni e uragani, accompagnati da frane, che stanno anche distruggendo le foreste della
regione maya). L’intento era sottolineare il legame tra le decisioni dei governi
e l’impatto reale del cambiamento
climatico sulle economie rurali e urbane. Dice Menotti: una delle priorità a
Cancun sarà imporre il riconoscimento
dei diritti delle popolazioni indigene e
delle comunità che dipendono dalla
foresta e dalle economie rurali, ad
esempio quando si tratta di definire i
meccanismi di «riduzione delle emissioni da deforestazione» (Redd) - si pensi
che quasi il 20% delle emissioni globali di anidride carbonica è attribuibile
proprio alla distruzione di foreste tropicali. Insomma: a Cancun le organizzazioni indigene e rurali del globo intendono farsi sentire.
MID TERM
Marina Forti
Il Forum globale sul clima
Valanga repubblicana,
Obama «anatra zoppa»
La destra ribalta la situazione alla Camera, dove diventa maggioranza
con 239 deputati contro i 185 dei democratici. Anche al Senato
i conservatori guadagnano posizioni, ma il partito del presidente mantiene
51 seggi su 100. Dopo il terremoto, la stagione di Barack è a un bivio
Marco d’Eramo
il manifesto
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del 01-12-2009
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INVIATO A CHICAGO
È
ormai repubblicano anche il seggio del
Senato che era stato occupato da Barack Obama nella sua città, Chicago,
nel suo stato, l’Illinois. Questa perdita dà
l’idea più chiara delle dimensioni simboliche,
ancor più che reali, che ha assunto la sconfitta
democratica nel voto di martedì. Faceva impressione ieri pomeriggio ascoltare Obama
nella sua prima conferenza stampa da «anatra
zoppa», come si chiamano i presidenti che devono coabitare con il partito opposto. Obama
ha ricordato che grandi presidenti come Ronald Reagan e Bill Clinton si erano trovati come lui, nella stessa stanza, a dover rispondere
alle stesse domande perché ambedue sconfitti alle elezioni di metà mandato. E quando gli
hanno chiesto come si sentiva dopo questa
sconfitta, ha risposto con una sola, sincera, efficace parola: «Male».
E starà peggio nei prossimi mesi. Basta ricordare le commissioni d’inchiesta su Bill
Clinton che i repubblicani vararono nel 1994,
dopo aver conquistato la maggioranza schiacciante alla Camera, investigazioni che si conclusero con un tentativo di impeachment. C’è
da aspettarsi che la nuova maggioranza repubblicana istituirà organismi simili, con obbiettivi affini, per spargere fango su Obama, sul suo
«comportamento anticoloniale».
Ma questo è solo uno dei tanti problemi politici che emergono dal voto. Che la vittoria sia
repubblicana e la sconfitta democratica, è fuori di dubbio. Ecco i numeri: alla Camera i repubblicani hanno conquistato 60 seggi, ribaltando i rapporti di forza: nella legislatura precedente i democratici avevano una maggioranza di 257 seggi contro 178 repubblicani;
ora i repubblicani sono 239 e i democratici
185, ma 11 seggi restano da attribuire, quindi
alla fine l’elettorato avrà sancito un sostanziale capovolgimento. Al Senato i repubblicani
hanno guadagnato sei seggi, i democratici ne
hanno perso sei, ma conservano la maggioranza perché hanno 51 senatori su 100 (sui tre seggi ancora indecisi, i democratici sono in leggero, precario vantaggio in due – Colorado e stato di Washington sulla costa del Pacifico –
mentre in Alaska, dove è in vantaggio una repubblicana, ci vorranno settimane per conoscere il risultato).
Martedì si votavano anche i governatori di
37 stati: i repubblicani ne hanno guadagnati 8
e altrettanti ne hanno persi i democratici. Ora,
su 50 stati i democratici ne governano 16, i repubblicani 29, gli indipendenti 1: 4 stati sono
ancora incerti. Rinnovati anche molti parlamenti statali. Queste due elezioni avranno un
enorme peso, perché gran parte dell’attuazione della riforma sanitaria è affidata ai singoli
stati. Se questi stati si rifiutano di applicarla –
come ha già fatto il Missouri –, la riforma diventa lettera morta ed è vanificata senza neanche bisogno di abrogarla a Washington.
La domanda di fondo è se il terremoto politico di martedì lascerà o meno in macerie il governo federale degli Stati uniti. C’è da capire
cioè quale sarà nel nuovo parlamento il peso
reale del Tea Party che i mass media hanno descritto come il vero trionfatore di questo voto:
riuscirà a imporre la sua filosofia inarco-reazionaria a tutto il partito repubblicano? Ancora è presto per valutare quanti dei 93 candidati che il Tea Party presentava alla Camera sono stati poi eletti. E se è vero che al Senato delle figure di primo piano del Tea Party sono state elette, come Rand Paul in Kentucky e Marco Rubio in Florida, è anche vero che sono state sconfitte clamorosamente altre esponenti
famose come Christine O’Donnell in Delaware e Sharron Angle in Nevada, mentre rischiano di perdere altri candidati di questa formazione, come Joe Miller in Alaska e Ken Buck in
Colorado. Contro la retorica dominante, si potrebbe persino dire che se i democratici hanno mantenuto un (fievole) controllo sul Senato, è solo grazie al Tea Party che gli ha lasciato
quei due o tre seggi decisivi. Va detto anche
che in Illinois la presenza del candidato verde
è stata decisiva per la sconfitta democratica:
Alexis Giannoulias ha perso per 46,1% contro
48,3% a Mark Kirk, con uno scarto (del 2,2%)
inferiore ai voti raccolti dal candidato verde
(3,2%).
La vera domanda è quindi : cosa succederà
in seno alla destra? Ci sarà una presa di controllo totale del Tea Party sul partito repubblicano? Già il 14 novembre si terrà a Washington un summit di questa coalizione di movimenti. L’egemonia del tea Party vorrà forse dire un muro contro muro con il presidente democratico? L’obiettivo già dichiarato dei repubblicani è «fare di Obama il presidente da
un solo mandato», un nuovo Jimmy Carter.
Oppure i cosiddetti repubblicani moderati giocheranno il gioco della triangolazione? Bisogna ricordare che già molte volte i repubblicani avevano usato come ascari le precedenti incarnazioni del Tea party: la Moral majority
per Ronald Reagan, i Christian conservatives
per George Bush jr.: ogni volta, li avevano usati come «utili idioti», utili per le elezioni, da tenere al guinzaglio nella gestione degli affari.
Riusciranno a imbrigliarli anche stavolta? E
che prezzo dovranno pagare?
Lato democratici, il senatore del Nevada
Harry Reid è probabilmente riuscito a salvare
la sua poltrona di presidente del Senato (così
si può tradurre la figura di Speaker della maggioranza). Invece almeno uno scopo il Tea Party l’ha già raggiunto ed è quello di cacciare la
(fino a gennaio) presidente della Camera, la
deputata californiana Nancy Pelosi.
E già si fanno i nomi per il profondo rimpasto che questo voto provocherà nella Casa
bianca. Prima del voto erano già usciti di scena nell’ordine il direttore della National Intelligence ed ex ammiraglio Dennis Blair, la presidentessa del Council of Economic Advisers,
Christina Rohmer, il direttore del Bilancio Peter Orszag, il consigliere speciale per l’economia Larry Summers e infine il capo dello staff
della casa bianca Rahm Emanuel che ha lasciato il suo posto per candidarsi a sindaco di
Chicago.
Per la sinistra del partito democratico la
sconfitta più dolorosa è quella – dopo 3 mandati – del senatore del Wisconsin, Russ Feingold, e per una duplice ragione: perché il questo stato è proverbialmente di sinistra, tanto
che è diventata un modo di dire l’espressione
«spirito del Wisconsin», e poi perché Feingold
è il senatore più indipendente, più razionale e
determinato della sinistra democratica: è l’unico che nel 2001, appena dopo l’11 settembre,
votò contro il Patriot Act che instaurava una
legge d’emergenza e aboliva molti diritti civili
tra cui l’Habeas corpus, e l’anno dopo fu uno
dei soli 28 senatori che votarono contro la
guerra in Iraq. La sua sconfitta mostra lo sconquasso che sta sconvolgendo la geografia politica Usa.
L’ultimo problema che quest’elezione
apre riguarda il presidente Barack Obama:
il rischio di Obama è di continuare a ripetere la sua solfa bipartisan, come ha già
fatto a sue spese, e vanamente, nei primi
due anni del suo mandato. La conferenza
stampa di ieri lo ha confermato. Obama
continua a credere (o a far finta di credere) che i repubblicani siano interessati alla prosperità dell’America, mentre invece
a loro importa solo di maciullarlo a cannonate. Come dovrà constatare assai presto.
29
REPUBBLICANI
In 37 stati
si eleggono
i governatori
Ohio a destra
Il partito repubblicano ottiene importanti vittorie anche
nella corsa per l'elezione
dei governatori (si votava
37 stati). Secondo i primi
risultati, i repubblicani
avrebbero conquistato 10
mandati che prima erano
dei democratici. In Iowa si
rivede Terry E. Branstad
(governò per 4 mandati dal
1983 al 1999). In Kansas
Sam Brownback ha trionfato su Tom Holland (63.4%
contro un 32.1%).
In Michigan il moderato
Rick Snyder ha avuto la
meglio su Virg Bernero. Nel
democratico New Mexico
battendo Diane Denish (attuale vice-governatrice)
l’ispanica Susana Martinez
diventa la prima donna a
governare lo stato. In Ohio
si è consumata una delle
più pesanti sconfitte per i
democratici: John R. Kasich
ha scalzato l’uscente Ted
Strickland che il presidente
Obama era andato ad appoggiare a Cleveland, nella
ultima tappa del suo giro
elettorale, domenica. In
Oklahoma con il 60% delle
preferenze Mary Fallin (assennata nel sostenere la
legge dell’Arizona contro
l’immigrazione e contro la
riforma sanitaria) diventa
la prima donna a governare
lo stato. In Pennsylvania
debacle dei democratici:
passa Tom Corbett, perdono un seggio in senato e 5
al Congresso. Repubblicani
anche Tennessee,
Wisconsin e Wyoming. Si
confermano a destra:
Idaho, Nevada, Utah,
Arizona, Alaska, South
Dakota, Nebraska, Texas,
Alabama, Georgia,
South Carolina, Maine. In
Florida passa Rick Scott
appoggiato dai Tea Party.
In bilico Connecticut e
Oregon. Il Rhode Island
passa il candidato indipendente conservatore
Lincoln Chafee.
TENDENZE
Ha votato il 41%
Sale l’astensione
di neri e latinos
M. d’E.
N
egli Usa nessun giornale,
nessuna tv fornisce le cifre dell’affluenza al voto.
Dopo qualche ricerca si scopre
che dovrebbe aver votato il 41,4%
degli aventi diritto (ma solo il
38,2% degli aventi l’età: infatti tra
i maggiorenni ci sono 4,6 milioni
di americani che non possono votare perché stanno scontando
una pena in galera o in libertà vigilata). Per fare un paragone, nella
presidenziale del 2008 votò il
62,2% degli aventi diritto, una
buona metà in più. Ovvero, ieri
hanno votato 90 milioni di americani, contro i 131 milioni del
2008: mancano all’appello ben 41
milioni di votanti (praticamente
tutto il corpo elettorale italiano).
Di questi 41 milioni che hanno
deciso l’elezione, 6 milioni di astenuti in più hanno tra i 19 e i 29 anni, e 11,6 milioni tra i 20 e i 44 anni d’età. Nel 2008 questi due gruppi insieme rappresentavano il 36
% dei votanti, quest’anno sono solo il 33 %. I repubblicani hanno
guadagnato perché, con la maggiore astensione dei sotto i 45, è
aumentato il peso relativo dei sopra i 45, fascia di età che da sempre vota repubblicano.
Neri e ispanici hanno continuato a votare in massa per i democratici, al 90% i neri, al 66% i latinos, ma il loro peso è rimasto identico, il che vuol dire che la loro
astensione è cresciuta come quella dell’elettorato generale.
I democratici sono stati penalizzati dalla maggiore astensione relativa degli elettori più disagiati:
quelli con un reddito annuo di
meno di 50.000 dollari lordi
(36.000 euro) sono stati il 37% dei
votanti quest’anno, mentre erano
il 40% due anni fa. All’inverso, i
redditi di più di 50.000 dollari sono stati il 63% dei votanti, contro
il 60% nel 2008.
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
CONTROPIANO
BARACK OBAMA
IERI ALLA CASA
BIANCA.
A DESTRA,
LA CANDIDATA
TEA PARTY
CHRISTINE
O’DONNELL,
SCONFITTA
IN DELAWARE,
CONSOLATA
DALLA
MADRE/FOTO
REUTERS
CRISI
Quel vicolo cieco
dell’economia
Joseph Halevi
L
ULTRADESTRA · Batoste in Nevada e Delaware
Il tea party non sfonda,
s’appanna la stella Palin
Giulia d’Agnolo Vallan
NEW YORK
È
Le donne si sono astenute meno degli uomini: nel 2008 erano il
51% dei votanti, quest’anno sono
il 53%. Ma è nel voto femminile
che i democratici hanno perso di
più. Le donne sono infatti storicamente un loro bacino elettorale:
nelle tornate precedenti le donne
bianche si dividevano alla pari tra
democratici e repubblicani, le
donne nere votavano massicciamente democratico, come pure le
single (di tutte le razze), mentre le
madri di famiglia pendevano più
a destra. Quest’anno, ed è soltanto la seconda volta in 28 anni, le
donne si sono divise a metà, mentre i repubblicani hanno raccolto
il consenso di una sostanziale
(57%) maggioranza di donne bianche.
Per il resto, le indicazioni confermano le tendenze tradizionali.
I repubblicani hanno un forte appoggio dai bianchi maschi, dai
redditi sopra i 100.000 dollari, dai
protestanti bianchi ed evangelici.
Interessante è che i cattolici, dopo aver preferito i democratici nelle ultime due elezioni, si sono riportati quest’anno sul Gop
(Grand Old Party), i repubblicani.
Ancora più illuminanti sono le
motivazioni che hanno determinato il voto: il 62 % degli elettori è
stato spinto alle urne dall’economia, solo il 18% dalla questione
della riforma sanitaria, un misero
8% dall’immigrazione clandestina e sempre un 8% dalla guerra in
Afghanistan. Le risposte più sconcertanti sono quella alla domanda: «Chi è da biasimare di più per
l’attuale crisi economica?». I banchieri di Wall street sono i più rimproverati dal 35% degli intervistati, seguiti da George Bush (30%) e
Obama (23%): queste percentuali
sono del tutto incoerenti con la
vulgata secondo cui il disastro di
ieri esprime lo scontento su come
Obama gestisce la crisi. Infatti gli
elettori hanno premiato proprio il
partito di Bush finanziato da Wall
street, i due che considerano più
responsabili. La confusione mentale è ancora più stridente se queste percentuali si dividono tra i votanti dei due partiti. Mentre è
scontato che i repubblicani biasimino più Obama (41 % dei biasimi) che Bush (7%), e che i democratici biasimino più Bush (55%)
che Obama (3%), è il giudizio su
Wall street che colpisce di più: è
più negativo quello degli elettori
repubblicani (37%) che quello dei
democratici (32%): si vede qui l’influenza del Tea Party.
Ed è proprio l’ispirazione antipolitica e di tipo leghista del Tea
Party a spiegare come mai i suoi
aderenti e i suoi oppositori sono
più trasversali di quanto si possa
pensare: tra i repubblicani c’è un
7 % che li rifiuta e un 24 che è neutrale, mentre tra i democratici c’è
un 10% che ne ha un’opinione positiva e un 26 % neutrale.
16
DEMOCRATICI
Tutto su New York
E la California
ritorna
all’asinello
Si votava anche per eleggere 39 governatori (inclusi quelli di Guam e delle
Isole Vergini americane)
su 50. Mentre in alcuni
stati ancora prosegue lo
spoglio dei voti per il momento si annettono ai democratici:
California dove Jerry
Brown ha sconfitto la candidata repubblicana Meg
Whitman con il 49% contro il 46%, secondo i primi
risultati. Brown è già stato
governatore della California nel 1970 succedendo
a Ronald Regan. Allora
era stato il governatore
più giovane dello stato,
oggi, a 72 anni, sarà il più
anziano. E di nuovo succede a un ex attore repubblicano, questa volta Arnold
Schwarzenegger. Scontata
la vittoria nello stato di
New York dell'ormai ex
procuratore generale Andrew Cuomo che ha battuto l’improbabile Tea Party
Robert Paladino. Votano
democratico anche:
New Hampshire (John Lynch), Massachusetts (David Patrick), Maryland
(Martin O'Malley),
Arkansas (Mike Beebe),
Colorado (John Hickenlooper), Vermont (Peter Shumlin), alle Hawaii, paese
natale di Obama, dopo
otto anni di repubblicani,
Neil Abercombie succede
a Linda Lingle. In
Maryland riconfermato
Martin O’Malley. Ancora in
bilico: il Minnesota (Mark
Dayton è in leggerissimo
vantaggio) e l’Illinois dove
potrebbe essere riconfermato Patrick J. Quinn. Ma
qui Obama registra una
personale sconfitta: il suo
ex seggio senatoriale è
passato ai repubblicani.
RECORD
Cicilline va al Congresso
Mai così tanti omosex eletti
Una successo che è anche un record: il Gay & Lesbian Victory Fund annuncia che queste elezioni di
medio termine hanno segnato la vittoria del maggior
numero di candidati che si sono dichiarati apertamente lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Centosei
su centosessantaquattro: è un primato nella storia
degli Stati uniti.
Una delle sorprese viene da Lexington in Kentucky, lo
stato è andato al neofita Rand Paul, il primo senatore eletto dei Tea Party antitasse. Ma lui, Jim Gray, è
diventato sindaco della sua città, che ha dato i natali
a George Clooney. Quando nel 2002 si candidò per
la prima volta perse, ma ancora non c’era stato il
coming out.
In un altro stato del sud, il North Carolina (dove si
conferma il repubblicano Richard Burr), ce l’ha fatta
Marcus Brandon, rappresenta Greensboro (cittadina
universitaria) e High Point, si era speso molto per la
stata quella di Rand Paul,
uno dei «poster boy» del Tea
Party, la prima vittoria annunciata della serata: un seggio al
Senato per la «nuova onda» populista di destra, sulla cresta del cui
scontento il partito repubblicano
ha giocato gran parte della sua
campagna elettorale. «Siamo venuti a riprenderci il governo» ha annunciato, durante le celebrazioni
per la vittoria l’oftalmico del Kentucky, figlio dell’ex candidato libertario alla presidenza Ron Paul.
Ma, esaminato alla luce del mattino dopo, il contributo dei Tea Parties al successo repubblicano del
medio termine sembra molto meno determinante.
Certo, le vittorie di Rand Paul e
Marc Rubio in Florida significano
due seggi in più al Senato. Ma a
quelle vittorie vanno contrapposte
alcune clamorose sconfitte: prima
di tutto quella di Sharron Angle,
che sembrava pronta a battere in
Nevada il leader del senato Harry
Reid. A sorpresa invece Reid è riuscito a spuntarla, non tanto, dicono i sondaggi, perché, in corner,
l’elettorato abbia riacquistato fiducia in lui ma perché Angle – una
delle candidate più bizzarre di questa iperbizzarra elezione - deve essere parsa all’elettorato un salto
nel buio troppo grosso.
Altra dura sconfitta per il Tea
Party è quella subita in Delaware,
dove dopo aver agilmente battuto
alle primarie un candidato dell’establishment repubblicano, martedì sera, Christine O’Donnell, una
creatura modellata sul prototipo
di Sarah Palin, ha perso grosso con-
riforma sanitaria, oggi è il primo legislatore Lgbt dello
stato e il quinto afro-americano di tutto il paese.
Nickie Antonio, soccer mom e lesbica dichiarata si è
guadagnata un seggio in Ohio (stato chiave per le
presidenziali del 2012 dove il repubblicano John Kasich ha battuto il governatore uscente Ted Strickland), mentre Laurie Jinkins segna il suo record alla
camera nello stato di Washington (al momento la
senatrice democratica Patty Murray ha un piccolo
vantaggio sullo sfidante Dino Rossi).
Victoria Kolakowski, avvocato dal background solidissimo per i diritti degli omosessuali, è stata eletta alla
corte suprema dell’Alameda County (California, nella
zona della San Francisco Bay Area), è la prima giudice transgender degli Stati uniti.
David Cicilline, democratico, sindaco di Providence
(Rhode Island) dal 2002, andrà al Congresso occupando il posto lasciato alla Camera dal repubblicano
Patrick Kennedy che si ritirò pochi mesi dopo la morte del padre, Edward Kennedy. È il quarto openly gay
a conquistare una poltrona a Capitol Hill. Governatore del piccolo stato è diventato Lincoln D. Chaffee,
anche qui un piccolo record, è il primo indipendente
ad essere eletto. Ha battuto il repubblicano John F.
Robitaille e il democratico Frank T. Caprio.
tro il democratico Chris Coons. E,
in Connecticut, le carenze dell’ex
presidentessa della World Wrestling Federation Linda McMahon,
candidata repubblicana al senato
sponsorizzata dal Tea Party (che
ha investito 50 milioni di tasca sua
per essere eletta), sono sembrate
nulla rispetto a quelle del ministro
della giustizia dello stato, il democratico Dick Blumenthal, che si è
aggiudicato il seggio.
Stando ai conteggi di martedì
mattina, anche il candidato del
Tea Party in Colorado, Ken Buck,
avrebbe perso la corsa al senato
contro il democratico Michael
Bennett. Mentre sono ancora in alto mare i dati dell’Alaska (un’elezione a tre), dove però la stagionata ex senatrice repubblicana Linda
Murkowski sembra destinata ad
avere la meglio su un candidato
sponsorizzatissimo dalla «madrina» del Tea Party Sarah Palin, Joe
Miller (il democratico Scotto McAdams è per ora al terzo posto).
Alla luce di questi risultati, in
stati dove si è combattuto fino all’ultimo momento, qualcuno sta
cominciando a chiedersi se dei repubblicani più moderati avrebbero avuto maggiori possibilità di
vincere. E quindi se, in un certo
senso, non siano stati proprio quegli stessi candidati del Tea Party a
cui è stato riconosciuto di aver dato nuova linfa al partito, e che per
mesi hanno fatto furore nei media, ad essere costati ai repubblicani la conquista del Senato e aver
quindi impedito loro di replicare
la vittoria a 360 gradi del 1994.
In questo quadro pesano anche
le responsabilità di Sarah Palin,
che si è buttata a tappeto dietro
a candidati teapartisti e che anche in California ha appoggiato
ad oltranza quella che in definitiva si è rivelata una perdente, Carly Fiorina.
Erano circa 140 in totale i candidati esplicitamente affiliati al Tea
Party in queste elezioni. Circa la
metà correva in distretti a maggioranza democratica e aveva quindi
poche chance. Almeno una dozzina erano dati come vincitori martedì mattina con in più una ventina
di casi ancora indecisi. L’impatto
di questi nuovi arrivati al Congresso è ancora tutto da valutare.
Tra le loro priorità ci sono la riduzione del deficit e il taglio della
spesa pubblica – due traguardi su
cui la leadership repubblicana tradizionale beneficerà del loro appoggio. Ma anche obbiettivi molto
meno condivisi dalla maggioranza
dell’elettorato (repubblicano e
non) come l’eliminazione del social security, e del popolarissimo
programma di assistenza sanitaria
per anziani, Medicare, o la revoca
della legge sulla sanità.
a presidenza di Barack Obama
non ha creato alcuna prospettiva
concreta per la popolazione statunitense colpita dalla crisi. Appena eletto gli si poteva augurare good luck, buona fortuna, ma con un’intonazione un
po’ scettica. Troppo potenti sono gli interessi delle corporations Usa per poter essere scalfiti e riorientati in maniera radicale. Troppo integrato a questi
interessi è il partito democratico per poter essere a sua volta riposizionato nella direzione degli intenti dichiarati da
Obama. In tale contesto il neopresidente si è arreso subito ai fautori della crisi,
collocando gli interessi delle banche e
delle società finanziarie più grandi al
vertice della politica economica.
Dal 2008 la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’organismo federale preposto alla regolamentazione
dell’attività delle banche, è intervenuto
più volte sciogliendo consigli d’amministrazione e nominando elementi di
sua scelta, ma ciò è avvenuto solo per
le piccole banche colpite dalla crisi.
Nel caso delle grandi, il peso della Fdic
è stato molto leggero. Il rifiuto consapevole di Obama di scontrarsi con gli interessi del sistema bancario, spostando
l’attenzione sull’aspetto moralistico degli ingenti bonus pagati ai dirigenti, ha
inficiato fino ad annullarla la politica di
rilancio, in verità già varata sul finire
della presidenza Bush.
La spesa di sostegno alle banche, senza cambiarne l’orientamento economico, è ricaduta sul debito pubblico dando luogo ad almeno due effetti negativi. Il primo è stato quello di rendere altamente inefficacie una buona parte
della spesa pubblica stessa, sprecata
appunto nel regalare soldi ai malfattori. Il secondo e connesso effetto è stato
di precludere ulteriori politiche di rilancio da parte di Washington. Ne è scaturito un quadro in cui i singoli stati erano abbandonati a se stessi e non potevano che procedere a tagli di spesa tali
da rendere risibili i proclami di Obama
sulla volontà di intraprendere vaste politiche di investimenti infrastrutturali.
Programmato per estinguersi verso
l’autunno di quest’anno, con l’intento
di passare il bastone nuovamente alla
ripresa basata sulla crescita dei patrimoni finanziari, il rilancio Bush-Obama si è spento senza effetti positivi sull’occupazione e sulla bancarotta di un
crescente numero di famiglie. A Obama, al ministro del tesoro Geithner e al
governatore della Federal Reserve
Bank, Ben Bernanke, non rimane altro
che la politica denominata QE2. Si tratta di una nuova ondata di creazione di
liquidità monetaria da consegnare alle
banche. Ma ciò non produrrà niente di
positivo, sono proprio i mercati a dircelo, interpretando ogni dato reale negativo come indicatore di una QE2 ancora
più generosa. Le banche incamerano
questi soldi, ricevuti dallo stato non
per prestare alle imprese, che soffrono
da scarsezza di domanda, ma per prestarli allo stato collocandoli in titoli
pubblici.
Il vicolo cieco in cui si è cacciato Obama riflette il vicolo cieco in cui si trova
l’economia statunitense. La crescita
fondata sulla finanza è finita mentre
non c’è un’alternativa. Rimangono però tutte le tare del periodo ormai morto. Oltre al dominio politico della finanza, permane il cancro dello squilibrio
dei conti esteri degli Usa, che per gli
Stati uniti è ormai strutturale ed è affrontabile solo in maniera industrialmente pianificata e politicamente coordinata con paesi come Cina, Germania, Francia, Giappone. Ma Obama è
ora lontano anni luce dall’affrontarlo.
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il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
CONTROPIANO
COUNTERPUNCH · Alexander Cockburn
«Per Obama comincia
la guerra di posizione»
M. d’E.
A
lexander Cockburn, fondatore, editore e direttore di
Counterpunch, la più graffiante pubblicazione della sinistra
Usa, e columnist di The Nation, risponde al telefono dalla sua casa
rurale nella California settentrionale.
Come ti senti dopo questi risultati?
Non sono per niente sorpreso.
Era tutto previsto. L’unica conclusione da trarre è che gli americani
non hanno una benché minima
idea di cosa vogliono. Dicono che
vogliono più occupazione, ma vogliono anche meno deficit, vogliono la ripresa ma non vogliono che
lo stato intervenga. Il discorso più
demenziale ieri sera è stato quello
di Rand Paul, il candidato del Tea
Party che ora è senatore del Kentucky: ha fatto una sparata contro
il debito pubblico e ha detto che
andrà a Washington per opporsi
con tutte le sue forze a una proroga di questo debito. Immagina: basta uno come lui che fa ostruzionismo (filibustery), e gli Stati uniti diventano morosi sul servizio del debito e si scatena una crisi mondiale. Ma ci pensi?
Ma che succede adesso?
Con la Camera passata ai repubblicani e il senato ancora democratico si avrà probabilmente uno stallo. E lo stallo è la cosa migliore che
poteva succedere, perché certo
non produrrà niente di buono, ma
ci evita anche tutto quel che di cattivo ci avrebbe riservato un parlamento interamente repubblicano
nei suoi due rami.
Tutti fanno il paragone con la
sconfitta bruciante di Bill Clinton dopo i primi due anni del suo
primo mandato, sottintendendo
che anche Obama può vincere
nel 2012 come fece Clinton nel
1996.
Il risultato del 1994 fu che Clinton divenne ancora più repubblicano di quanto non fosse già, «snellì»
la Social Security, riformò al ribasso lo stato sociale, ridusse le prestazioni di Medicaid e Medicare. È
quel che qui si chiama «triangolazione».
Ma Obama ha spazio per triangolare?
Per questo c’è sempre spazio.
Obama può innalzare l’età pensionabile a 70 anni o ridurre ancora
un po’ Medicaid o, più probabile,
acconsentire all’estensione dei tagli di Bush – che scadono quest’anno – alle tasse dei ricchi. Quello
che ci aspetta è una guerra di posizione, manovre e contro-manovre
tra Casa bianca e leadership repubblicana. Obama è stato indebolito.
E se lo meritava, perché gran parte
del disastro di ieri gli va addossato:
da quando è entrato alla Casa bianca non ha mai articolato un tema
politico convincente, non ha mai
lanciato un’offensiva efficace, si è
affidato a un gruppo di consiglieri
di dubbia competenza, ha mandato messaggi ambigui sul deficit
pubblico, ha perso la fiducia dei
giovani e di una fetta essenziale degli indipendenti.
Insomma, dopo ieri, per lui sono
migliori o peggiori le prospettive
di essere rieletto alla presidenzanel 2012?
Lui esce indebolito e oggi rischia
più di ieri di essere il presidente da
un solo mandato, un nuovo Jimmy Carter. Perché la differenza tra
Obama e Clinton è che tra il ’94 e il
’96, quando Clinton riuscì a debellare tatticamente i repubblicani,
l’America era in pieno boom economico. Invece ora la situazione è
pessima, la disoccupazione è alta.
E soprattutto non si vede all’orizzonte nessun segno di una praticabile strategia economica. Con questi risultati elettorali, qualunque
misura di stimolo dell’economia
diventa impossibile. Perciò, dal
punto di vista economico, il voto è
un disastro, ci condanna alla stagnazione. Certo, se la situazione
precipitasse, allora Obama potrebbe lanciare delle iniziative, proprio
come fece Roosevelt che all’inizio
aveva adottato misure di stampo
repubblicano e solo dopo lanciò il
New Deal. Ma Obama ne avrà l’audacia? Forse, ma finora ne ha dimostrata poca.
MID TERM
IL REPUBBLICANO JOHN BOEHNER SARÀ IL NUOVO LEADER DELLA CAMERA/AP A SINISTRA, CORTEO
CONTRO LA LEGGE ANTI-MIGRANTI IN ARIZONA/REUTERS A DESTRA, LA SEDUTA DI IERI A WALL STREET/AP
NANCY PELOSI
La presidente uscente
della Camera dei
rappresentanti Nancy
Pelosi si è detta «orgogliosa» di quanto i
deputati democratici
sono stati capaci di
fare «in particolare
per quanto riguarda
l'approvazione della
riforma sanitaria».
Nel suo discorso di
addio ha invitato i
deputati, repubblicani
e democratici, a impegnarsi per trovare «un
terreno comune» su
cui lavorare. Poi si è
allontanata dal palco
sulle note di «Simply
the best» di Tina Turner. Nancy Pelosi è
riuscita a conservare
il suo seggio democratico nell'ottavo distretto della California,
ma si accinge a lasciare la carica di
Speaker della Camera
dopo quattro anni,
passando l'incarico a
John Boehner che si
insedierà formalmente
a gennaio. Secondo
indiscrezioni Pelosi
potrebbe ritirarsi dalla politica ufficiale.
Realizzato il sogno di cacciare
dalla Camera Nancy Pelosi,
il nuovo speaker sarà John Boehner.
Per la Casa bianca rappresenterà
l’interlocutore numero uno, ma lui
è pronto a remare contro, su tutta la linea
Boehner,
al presidente
dirà solo no
G. d. V.
NEW YORK
I
n un tripudio di gioia – chiaramente visibile a chi si sintonizzasse su Fox News - martedì sera,
poco dopo la chiusura dei seggi elettorali, sono state superate con facilità le 39 vittorie che servivano ai repubblicani per mandare a casa la detestata presidentessa della Camera,
Nancy Pelosi. Signora tostissima,
eletta «speaker» nel 2006 e principale
artefice della strategia per la vittoria
democratica di quell’anno, insieme
a quella del 2008, donna senza la quale Obama non sarebbe riuscito a passare parecchie delle sue leggi, in particolare la riforma sanitaria e il pacchetto dello stimolo economico.
A sostituire l’elegante nonna californiana dal sorriso di plastica ma
dalla determinazione di ferro (è discendente di una grossa dinastia politica del Maryland), in una poltrona
che lo collocherà al terzo posto in linea con la presidenza, sembra essere destinato l’attuale leader della minoranza alla Camera John A. Boehner, un deputato dell’Ohio noto fino
a poco tempo fa per la sua costante –
e innaturale - abbronzatura e per
una notevole propensione alla teatralità. Come da tradizione, in quanto
’90
DA VENTI ANNI Il nuovo
speaker della Camera, John
Boehner, è presente stabilmente
al Congresso dal 1990
e si è finora opposto
a qualsiasi iniziativa di Obama
leader della Camera, Boehner diventerà non solo rappresentante ufficiale al governo dello zoccolo duro del
partito repubblicano, ma anche l’avversario/interlocutore numero uno
del presidente: quello che Newt Gingrich fu per Bill Clinton. Proprio con
Gingrich, infatti Boehner è uno degli
autori del «Contratto con l’America»,
il programma elettorale con cui i repubblicani travolsero la maggioranza democratica al Congresso nel
1994, conquistando sia Camera che
Senato per la prima volta in quarant’anni.
Stabilmente presente alla Camera
fin dal 1990, nonostante la sua retorica populista Boehner ha più il profilo di un professionista della burocrazia di Washington che di un outsider
alla Sarah Palin o Rand Paul. Le sue
credenziali sono solidamente conservatrici, come è stata solida fino a oggi la sua opposizione a qualsiasi iniziativa di Barack Obama. Nell'autunno del 2008, Boehner era stato a favore del «bailout», il salvataggio di Wall
Street orchestrato dal ministro del
Tesoro di Bush Hank Paulson. Ma,
una volta eletto Obama, ha votato
contro il nuovo presidente su budget, stimolo economico, sanità ed è
stato uno dei più feroci detrattori di
qualsiasi iniziativa pro ambiente.
Tra le cose che cercherà di mandare avanti: un congelamento della spesa pubblica, la messa in permanenza
delle riduzioni fiscali per ricchi istituite da Bush, la privatizzazione del social security. Se, come ha detto il leader della minoranza al senato Mitch
McConnell, l’obiettivo repubblicano
dei prossimi due anni è «fare di Barack Obama un presidente da un solo mandato», quindi bloccare tutto,
Boehner non potrebbe essere un alleato migliore.
Anche se va ricordato che fu proprio un blocco del governo a far precipitare le fortune del suo mentore
New Gingrich, e a permettere a Clinton di essere rieletto.
FLORIDA
Marco Rubio,
la «rising star»
della destra ultrà
Maurizio Matteuzzi
P
er il momento si è già trovato «il
nuovo Obama repubblicano».
Poi si vedrà. E’ vero che Marco
Rubio, il «golden boy», l’ultra-conservatore del Tea party della Florida che ha
ha vinto il seggio al senato stracciando, con 2.5 milioni di voti (quasi il
50%), i candidati conservatore (Charlie Crist, l’ex-governatore costretto a
uscire dal Grand Old Party per l’irresistibile ascesa della «rising star» ispanica e presentarsi come indipendente) e
democratico (Kendrick Meek, il democratico che sperava di diventare il primo senatore nero dello «stato del sole», dei cubani e dei pensionati ebrei),
ha tutto per incarnare «il sogno americano». Come Obama è stato il primo
afro-americano, Rubio sembra avere
le carte per essere il primo «latino». Dove? Per ora al senato degli Stati uniti,
poi, nel 2012, alla Casa bianca, in un ticket ultrà tutto da definire, con o insieme a Sarah Palin, Mitt Romney, Jim
DeMint, Rand Paul e chissà chi altri
che sognerà ancor più a destra. Obama incarnava quel sogno a «sinistra»?
Rubio lo incarna a destra (senza virgolette). 39 anni, avvocato, uscito dalla
scuola pubblica, deputato (poi speaker) dell’assemblea della Florida a 29
anni, nato a Miami ma figlio di esiliati
cubani di modestissima estrazione - il
padre, appena deceduto, cameriere, la
madre che rifaceva le stanze negli hotel -, bella presenza e facile eloquio «fatto per la televisione», dicono -, cattolico fervoroso, sposato con Jeanette,
una colombiana di origine ex-cheerleader dei Miami Dolphins, la squadra di
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
pagina 5
CONTROPIANO
a cura redazione esteri
USA · 600 miliardi per stimolare la ripresa
La Fed puntella
la sconfitta
Maurizio Galvani
A
football di Miami, la famiglia con i 4 figli sempre in primo piano.
Non solo. La sua ascesa è stata facilitata - come per altre stelle del tea party
- da una poderosa macchina di donatori, specialmente di origine ispanica e
in particolare della fetta ricca e potente della comunità anti-castrista di Miami e della Florida (Rubio ha avuto 18.2
milioni per la sua campagna elettorale, Crist 13.3 milioni e Meek 8.2), su di
lui hanno puntato, e investito, la U.S.
Chamber of Commerce e il Club for
Growth, e a gestire la sua campagna
c’era il famoso rasputin di Bush, Karl
Grove. Lui offriva garanzie. Era nell’entourage più stretto di Ileana Ros-Lehtinen, deputato federale repubblicana
per la Florida nata a Cuba e assatanata
contro il regime castrista.
Prenderà il posto del senatore Bob
Menéndez, anche lui cubano-americano ma democratico (anti-castrista naturalmente), dimessosi nel 2009. Miami e la Florida sono il brodo di coltura
ideale per Rubio. Ros-Lehtines, il deputato Lincoln Diaz-Balart tutti oltranzisti a cui sembra che la linea dell’amministrazione Obama su Cuba sia sempre troppo accomodante e leggera.
Adesso è il turno di Rubio, anche lui
per la «mano di ferro» verso Cuba. Parlando domenica notte dall’hotel Bilti-
more di Coral Gables, fra i ritmi della
salsa e i mojitos ha dato il meglio di sè:
«Sono cresciuto in una famiglia di esiliati cubani alla quale ho l’orgoglio di
appartenere, questa notte il figlio degli
esiliati entra nel senato degli Stati uniti» e «non importa quale carica io possa raggiungere, sarò sempre il figlio di
esiliati e sarò sempre l’erede di due generazioni di sogni non realizzati» (il sogno di andare a riconquistare Cuba). Il
suo credo e il suo programma sono
semplici: meno Stato - perché la politica di spese statali e la (modesta) riforma sanitaria di Obama sono «un disastro» -, meno tasse, «meno socialismo»
- perché lui è sicuro che Obama voglia
fare degli Stati uniti «una nuova Cuba»
-, naturalmente no all’aborto, no al matrimonio gay, sì all’uso indicriminato
della armi per difesa personale, si alla
mano dura contro l’immigrazione illegale (ma favorevole alla riforma migratoria). Nonostante questo ha avuto la
gran parte del voto latino della Florida.
Grazie a Rubio la Florida, repubblicana con Reagan e i Bush, democratica con Clinton e Obama, è tornata ai
repubblicani.
L’ «uomo giusto al momento giusto,
sono orgoglioso di lui», ha detto Jeb
Bush, l’ex-governatore fratello dell’expresidente).
I TIMORI DI TOKYO · L’oriente uscirà dall’agenda
Il Giappone teme che la sconfitta dei democratici Usa possa spingere il presidente Obama e la sua amministrazione a concentrare le energie sul fronte interno, per fermare
l’avanzata dei Repubblicani, piuttosto che a prestare attenzione all’estremo oriente, in
un momento in cui Tokyo è alle prese con la pressione esercitata dalle rivali Cina e Russia. Il governo nipponico ipotizza che Washington «non abbia altra scelta che spendere
gran parte delle proprie energie per risolvere i problemi domestici». Il ministro degli Esteri, Seiji Maehara, ha detto, nel corso di una conferenza stampa convocata ieri pomeriggio sullo scontro diplomatico con la Russia sui Territori del Nord, che gli Stati Uniti «hanno collaborato con il Giappone al miglioramento dell'alleanza» anche nelle fasi di cambiamento o assestamento di potere. «Spero - ha osservato ancora Maehara - di poter
continuare a rafforzare i legami bilaterali con l'amministrazione Obama». Tokyo, in particolare, punta molto sul sostegno americano nella duplice controversia territoriale con
Pechino (per le isole Senkaku/Diaoyu) e Mosca (Territori del Nord/Curili del Sud).
REFERENDUM
Bocciati petrolieri,
marijuana libera,
legge islamica
e agenzia per gli Ufo
Gli elettori Usa si sono espressi
anche su una serie (160) di
referendum. Quello sulla marijuana in California era il più
noto. Nello stato occidentale,
dove la marijuana è già legale
per motivi medici, gli elettori
dovevano esprimersi sulla «Proposta 19» per la completa liberalizzazione del suo uso e coltivazione. Contro questa ipotesi si
era creato un fronte bipartisan,
con il no di tutti i candidati locali. La «Proposta 19» è stata bocciata con il 56% contro il 44%.
Bocciata in California anche la
«Proposta 23», sostenuta dall’industria petrolifera, che voleva
abolire gli stretti limiti imposti
all’emissione di gas inquinanti.
In Oklahoma ha invece avuto
grande successo il referendum
per inserire nella costituzione
dello Stato il divieto per i tribunali locali di far ricorso alla sharia, la legge islamica. Il 70%
degli elettori ha votato a favore.
Secondo il deputato repubblicano Rex Duncan, che ha presentato la proposta, si è trattato di
un «attacco preventivo», ma i
musulmani locali - appena
30mila persone su una popolazione di oltre tre milioni e mezzo
- denunciano un clima di islamofobia e sottolineano che nessuno ha mai pensato di avvalersi
della sharia. Più dell’84% degli
elettori ha bocciato in Colorado
il quesito più assurdo: la proposta di istituire a Denver un’agenzia per interagire con gli extraterrestri nel caso arrivino in città.
lla giornata amara di Barack Obama ha cercato di
dare uno zuccherino il presidente della Fed Ben Bernanke
sotto forma di nuovi acquisti di titoli di stato a lungo termine, inondando il mercato con 600 miliardi di dollari attraverso una politica monetaria ultra-espansiva, definita quantative easing 2. La misura era attesa e si aspettava unicamente l’esito delle elezioni di
mid-term. Il cui esito, in realtà,
non ha modificato la decisione
della Federal reserve (già prevista) che si è assunta fino in fondo
il compito di dare un nuovo stimolo all’economia statunitense.
Semmai si doveva decidere la
quantità di questo liquidità ma
non si dubitava sulla sua necessità e si preannunciava come unico possibile intervento considerato che, ormai da tempo, il tasso di
interesse Usa è vicino allo zero e
anche ieri è stato confermato a
questo livello. Alla fine si è deciso
per 600 miliardi di dollari (75 miliardi al mese fino a giugno) per
cercare di stimolare la domanda.
Bernanke e il Comitato monetario della Fed hanno ritenuto questa cifra sufficiente per un rilancio dell’economia. Questi soldi si
aggiungono ai 1.750 miliardi di
dollari già pompati dal Fed nel sistema, in un recente passato. In
attesa di una ripresa ancora anemica - la crescita tra luglio e settembre è stata solamente del 2%
annualizzato - e, soprattutto, di
una disoccupazione molto elevata ( 9,6%) dopo che era stato toccato un picco del 10,1%. La mancanza di lavoro ed il buco federale sono stati i cavalli di battaglia
attraverso il quali il partito repubblicano e la sua ala più oltranzista, Tea Party, hanno ottenuto il
successo nella consultazione di
metà mandato. Ora il presidente
Obama deve fare in fretta, ad invertire la rotta, se non vuole perdere la carica presidenziale alla fine del 2012.
La Casa Bianca e la Fed dovranno, inoltre, saper dimostrare che
i 600 miliardi verranno utilizzati
per la ripresa e non finiscano nelle mani della speculazione, come
accadde in un triste precedente
alla fine degli anni ’20. Da notare
che questa nuova immissione di
liquidità tenderà a deprimere il
dollaro, spingendo a una rivalutazione delle yuan cinese e dello
yen giapponese. Oltre che dell’euro.
L’annuncio di Bernake è stato
preceduto dalla dichiarazione del
governatore della Banca centrale
giapponese di «volere adottare
una contromossa»; comprare dollari per sostenere lo yen. Occorrerà aspettare per capire cosa verrà
deciso nell’incontro, oggi, della
Banca centrale europea e, a seguire, cosa accadrà - tra due settimane circa - nell’incontro di Seul del
G20. Cina, Brasile ed India non sono così apertamente disponibili a
rivalutare le loro monete per favorire l’export Usa e sono state manifestamente contrarie alla richiesta avanzata dal segretario al tesoro Tim Geithner di controllare i
surplus commerciali a favore dei
paesi più deboli. In questo caso
gli Stati uniti che hanno una bilancia commerciale in rosso. Alcuni osservatori economici hanno
suggerito a Geithner di non insistere in questa richiesta che fu
tentata alla fine degli anni venti quando il paese più forte era l’Inghilterra - ma non servì a salvare
Londra dal suo declino.
La Federal reserve con questa
mossa tenta di salvare la poltrona
a Obama ma deve auspicarsi
quello che è accadde a precedenti presidenti Usa alcuni anni fa.
Reagan, ad esempio, approfittò
della seconda vittoria elettorale,
quando la disoccupazione precipitò dall’10,8% del 1982 al 7,4%
del 1984. Forse il capo della Casa
Bianca spera in questa stessa cosa e cerca l’aiuto di Bernanke. Salvo che questa misura è anche
molto contraddittoria perché
uno stato che ha un deficit enorme, anziché controllarlo magari
con aumenti mirati delle imposte, «stampa» nuovo moneta per
ricomprarlo tramite la banca centrale. Così facendo con il rischio
di alimentare l’inflazione. Gli effetti della Fed sul mercato sono
stati per ora limitati e Wall street
e il Nasdaq a due ora dalla chiusura erano ancora in negativo.
ISRAELE
NETANYAHU SOSPENDE DIALOGO
STRATEGICO CON LONDRA
Il governo Netanyahu ha deciso di sospendere il «dialogo strategico» con Londra e ha
scelto per l’annuncio il giorno della visita in
Israele del ministro degli esteri britannico
William Hague. Si tratta di una protesta
contro l’esecutivo guidato da David Cameron che non ha ancora fatto modificare,
così come pretende Tel Aviv, la «giurisdizione universale» che consente ai cittadini
britannici di invocare l’arresto di dirigenti
politici e militari stranieri per «crimini di
guerra». Nei giorni scorsi il vicepremier israeliano Meridor era stato costretto ad annullare un viaggio a Londra, dove avrebbe rischiato l’arresto. La Gran Bretagna avrebbe
condizionato la modifica della propria legislazione all’assicurazione, mai arrivata, che
il servizio segreto Mossad non avrebbe più
usato passaporti britannici per le operazioni
come quella dello scorso gennaio a Dubai
in cui fu ucciso un dirigente di Hamas.
COLOMBIA
VIOLAVANO E ASSASSINAVANO
BAMBINE: 7 MILITARI DESTITUITI
Un altro scandalo di abusi dei diritti umani
scuote le forze armate colombiane, l’orgoglio dell’ex presidente Uribe e del suo successore Santos. Sette ufficiali e sottufficiali
dell’esercito sono stati «ritirati dal servizio
attivo» nonostante l’inchiesta sullo stupro e
assassinio di bambini nell’Arauca sia ancora in uno stadio preliminare. Nell’ottobre
scorso hanno stuprato due ragazzine di 13
anni e poi hanno ucciso una di loro e due
suoi fratelli. È stato «il risultato di una condotta individuale», si è giustificato l’esercito. In realtà è il risultato della guerra totale
lanciata da Uribe e proseguita da Santos
contro le Farc. Come dimostrano i casi venuti alla luce, il più clamoroso quello dei
«falsi positivi», il sequestro di civili (più di
2000) da parte dei soldati poi uccisi e vestiti da guerriglieri per mostrare i «successi»
della guerra. La procura sta attualmente
indagando più di 1300 casi di «abuso sistematico dei diritti umani da parte di unità
militari in tutto il paese».
HAITI
COLERA: ALTRI 105 MORTI
442 IN TOTALE
L’epidemia di colera a Haiti ha causato
105 nuovi decessi da sabato scorso, che
portano il numero delle vittime a 442. Lo
hanno annunciato le autorità haitiane, che
hanno riferito anche di 1.978 nuovi ricoveri, per un totale di 6.742. L’epidemia di
colera è esplosa ad Haiti alla metà di ottobre. Secondo analisi effettuate in laboratori
Usa, il batterio responsabile è di origine
asiatica e si ipotizza sia stato portato a Haiti dai militari nepalesi della Missione Onu.
IRAN
SETTIMANE DI SCIOPERI OPERAI
PER IL SALARIO NON PAGATO
Circa 1.300 operai di una fabbrica di copertoni nella periferia industriale di Tehran sono in sciopero da una settimana per rivendicare, tra l’altro, il pagamento di sei mesi di
stipendio arretrato. Rappresentanti della
fabbrica Alborz hanno incontrato funzionari
del ministero dell’industria per sostenere le
proprie richieste, ma i negoziati finora sono
stati vani. Oltre ai salari non pagati, dicono
che lo stabilimento non riceve la materia
prima per mandare avanti la produzione; la
rabbia degli operai era esplosa la settimana scorsa con picchetti in cui vecchie gomme erano state bruciate. Quello della fabbrica Alborz è solo l’ultimo di decine di casi
analoghi negli ultimi anni: spesso aziende
in crisi non pagano i salari per mesi consecutivi. E dove il salario minimo equivale a
300 dollari mensili, le famiglie non hanno
molti margini per tirare avanti.
MEDIO ORIENTE · I governi israeliano e palestinese tacciono, ma i coloni brindano alla sconfitta del «nemico musulmano travestito da cristiano»
La pace torna impossibile, ora il Congresso è tutto dalla parte di Tel Aviv
Michele Giorgio
GERUSALEMME
B
enyamin Netanyahu ieri si è ben guardato dal
commentare il risultato delle elezioni Usa di
medio termine. Ma il premier - atteso il 7 novembre negli Stati Uniti per il congresso annuale delle comunità ebraiche - arriverà a Washington più forte, consapevole di avere l’appoggio pieno di un Congresso dove, nonostante Barack Obama e i democratici si siano salvati al Senato, i repubblicani fedeli sostenitori di Israele faranno sentire il peso del loro successo elettorale.
Le reazioni alla vittoria repubblicana da parte dei
vertici della politica sono pacati, ma ieri in Israele
molti hanno brindato al tonfo di Obama che pure finora non aveva mai messo in discussione l’alleanza
strategica con Tel Aviv. Netanyahu e i suoi ministri
sanno che la destra americana, «tea party» in testa,
spingerà per dare pieno appoggio a Israele e per mettere da parte il «dialogo» avviato con Siria e Iran. Gli
americani, scriveva ieri Herb Keinon sull’edizione
online del Jerusalem Post, hanno indicato a Obama
che vogliono una politica volta a risolvere i problemi
interni, non quelli internazionali.
Pertanto, ha aggiunto Keinon, il presidente Usa
avrà più comprensione per il «no» opposto da Netanyahu a una nuova sospensione delle costruzioni nelle colonie ebraiche in Cisgiordania. Altri analisti, come Shimon Schiffer, di Yediot Ahronot, escludono
che il premier – favorevole da sempre a un attacco
militare contro le centrali nucleari iraniane - decida
in piena autonomia, senza coordinarsi con Washington, «cosa fare» contro Tehran ora che anche la li-
nea del «dialogo» Stati uniti-Iran è uscita sconfitta
dal voto midterm.
Se gli analisti fanno il loro mestiere e il governo celebra in silenzio la batosta subita da Obama, i coloni
israeliani invece festeggiano alla grande. I settler considerano il presidente Usa un «nemico», un «musulmano travestito da cristiano», malgrado Obama, dopo aver pronunciato un iniziale «stop» alla colonizzazione israeliana, abbia poi ingranato la retromarcia.
Per Tzvi Ben Gedalyahu, dell’agenzia stampa dei coloni Arutz 7, il risultato del voto americano modificherà la linea di Obama verso israeliani e palestinesi.
E non solo quello. Ben Gedalyahu ieri sottolineava
con piacere che Jstreet, il gruppo lobbista ebraicoamericano favorevole alla politica dell’Amministrazione Usa in Medio Oriente, ha subito un duro colpo, perché il suo principale sostenitore, il senatore
democratico Joe Sestak (Penssylvania), è stato sconfitto dallo sfidante repubblicano Pat Toomey, e che
la repubblicana Ileana Ros-Lehtinen, un’accanita sostenitrice di Israele, avrà con ogni probabilità la presidenza della Commissione Affari Esteri della Camera.
Un’euforia che non sorprende se si considera che
rappresentanti dei coloni e alcuni deputati del Likud
(il partito di Netanyahu) domenica avevano dato vita
a un «tea party» locale per contrastare eventuali «concessioni» ai negoziati.
In casa palestinese prevale la cautela, ma ai vertici
dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) sanno che
l’Amministrazione Usa non alzerà più la voce con
Israele. Secco il commento dell’attivista Hanan
Ashrawi: «Obama sino ad oggi è stato così morbido
con Netanyahu, non capisco cosa si intenda per cambiamento di politica».
pagina 6
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
POLITICA E SOCIETÀ
LA SCORTA DEL CAPO
PREMIER D’EGITTO
Servizi e sicurezza
Il Copasir chiama,
il cavaliere non va
ROMA
I
l Copasir vuole sentire Berlusconi
per accertare se lo «stile di vita»
del presidente del Consiglio ha
messo a rischio la sicurezza sua e del
paese. Ma è certo che il cavaliere non
si farà interrogare in parlamento sulle
sue vicende e gli ultimi scandali. Eppure che fosse il comitato parlamentare
di controllo sui servizi segreti ad occuparsi della sicurezza di Silvio Berlusconi in origine era una richiesta degli
stessi fedelissimi del premier, preoccupati nell’estate del 2009 di fermare le
incursioni dei fotografi a villa Certosa.
Massimo D’Alema, presidente del
Copasir eletto a gennaio con il voto
unanime di tutti i parlamentari, anche quelli del Pdl, ieri ha ripetuto la richiesta del Comitato, specificando
che si tratta di una vecchia esigenza
perché «il Copasir ha chiesto fin dalla
sua costituzione di ascoltare il presidente del Consiglio ma finora ciò non
è stato possibile». «A occuparsi della sicurezza di Berlusconi sono i servizi segreti e noi intendiamo tornare su questo tema e riteniamo che sarebbe giusto sentire, su questo e su altri temi, il
presidente del Consiglio», ha spiegato
D’Alema. Lasciandosi andare poi a
una battuta a proposito di un articolo
uscito ieri sul Fatto quotidiano che riferiva la frustrazione dei carabinieri di
scorta al cavaliere per il via vai di ragazze nella villa di Arcore. «Esprimo
un sentimento di solidarietà - ha detto D’Alema - nei confronti dei carabinieri di cui comprendo la stanchezza».
«Vogliamo informazioni dettagliate
sull’utilizzo del personale dei servizi
segreti a disposizione del presidente
del Consiglio», ha riassunto il commissario del Pd Ettore Rosato, lasciando
bene intendere la strategia dell’opposizione. Anche secondo Italia dei valori,
lo «stile di vita» del cavaliere mette a rischio la sua persona e anche la sicurezza del paese, esponendolo a potenziali ricatti da parte dei frequentatori
della sua villa. Non è da dimenticare,
poi, che il caposcorta di Berlusconi, inquadrato nei servizi segreti, è rimasto
coinvolto nella telefonata in questura
con la quale Berlusconi intervenne sull’affido della minorenne Ruby. Ma è
chiaro che il primo ministro che per
due anni e mezzo ha evitato il Copasir
- a differenza dei suoi predecessori
che come lui hanno avuto la responsabilità ultima dei servizi - non si sottoporrà adesso a domande imbarazzanti. Anche se di nuovo dopo l’agguato
di piazza Duomo a Milano nel dicembre 2009 era stato il Pdl a chiedere che
della faccenda si occupasse il comitato parlamentare. Comitato che, secondo il commissario finiano Briguglio, si
dovrebbe occupare anche dell’ipotetico ruolo dei servizi nella diffusione di
notizie riguardanti Gianfranco Fini e
la famosa casa di Montecarlo.
Ieri il Copasir ha finalmente fornito
la sua interpretazione sulla legge del
1990, del resto chiarissima, che impone la cancellazione del segreto di stato
a 30 anni dai fatti. Una legge per nulla
applicata in attesa di ipotetici «filtri di
secondo livello» che secondo il comitato non devono esistere. Dopo 30 anni
tutto dovrebbe essere conoscibile, ma
non è ancora così.
«UNO STILE DI
VITA MOLTO
SEMPLICE». SI
PRESENTAVA
COSÌ, TUTTO
LAVORO E
FAMIGLIA, SILVIO
BERLUSCONI
NELL’OPUSCOLO
«UNA STORIA
ITALIANA»
SPEDITO IN
TUTTE LE CASE
PER LA
CAMPAGNA
ELETTORALE DEL
2001. MA LO
«STILE DI VITA»
DI OGGI DEL
CAVALIERE NON
PIACE AL FORUM
DELLE FAMIGLIE
Imbarazzo in famiglia
Iaia Vantaggiato
ROMA
C
aro presidente la sua presenza ci onora ma non troppo. Potrebbe rissumersi così l’imbarazzata posizione del Forum delle famiglie sempre più agitate via via
che si avvicina la data della Conferenza nazionale alla quale, lunedì prossimo, dovrebbe
partecipare anche Silvio Berlusconi. «Il presidente del Consiglio è una grande valore per
la conferenza - spiega Francesco Belletti - ma
la nostra preoccupazione è che alla conferenza non ci si concentri sugli stili di vita personali dei politici ma sui problemi del sostegno
alle famiglie». Nessuna risposta da parte di
Berlusconi tutto preso, ieri, dall’organizzazione della Direzione nazionale del Pdl convocata per oggi e votato al «no gossip» per l’intera
giornata.
Coesione interna, azione di governo, rilancio dei cinque punti del programma - che a
furia di chiamarli «cinque punti» finisce che
nessuno si ricorderà più di che si tratta - e
riorganizzazione del partito. Niente sparate
sulla giustizia, nemmeno un invettiva contro
i magistrati, quanto al legittimo impedimento guai a chi lo nomina.
Alla fine Silvio Berlusconi si è deciso e al
muro contro muro ha preferito una linea
morbida, almeno all’apparenza. Già perché
in un momento come questo far finta di occuparsi del governo del paese «abbandonando i falsi scandali per «ritornare alle esigenze
della gente» è pura ipocrisia. In realtà la scelta di fare della Direzione del Pdl convocata
per oggi un innocuo rosario di bilanci positivi e buoni propositi è dettata solo dall’esigen-
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Livio Pepino
La magistratura di quegli anni era ancora, prevalentemente, un corpo burocratico chiuso,
cementato da una rigida ideologia di ceto: un
corpo separato dello stato, collocato culturalmente,
ideologicamente e socialmente nell’orbita del potere,
avvertito come ostile dalle classi sociali subalterne e, a
sua volta, diffidente e ostile nei confronti di quelle classi. Non mancavano, certo, i magistrati progressisti, ed
erano talora personaggi di prestigio; ma la loro presenza non bastava a intaccare il sistema. Contro quella
magistratura e contro il relativo contesto istituzionale
era nata, da poco, Magistratura democratica, avvertita dai più come una eresia all'interno delle istituzioni.
Negli anni l’eresia ha messo radici, è cresciuta, ha prodotto cultura, ha contribuito a cambiare la magistratura, rendendola più indipendente e capace di interventi in altre epoche impossibili. Penso al diritto del lavoro, alla tutela degli interessi diffusi e dei diritti dei più
deboli, al contrasto della criminalità organizzata e delle diverse forme di eversione, al controllo di legalità
Il Forum chiede a Berlusconi di non farsi vedere
alla Convention di Milano. Lui incassa e tira
dritto: «Rilanciamo il governo, non diamo pretesti
per rompere». Il Pdl prova a ricompattarsi per la
direzione di oggi. Ma il carrozzone è sfasciato
CAMBI DI CASACCA
Altri due deputati vanno a Fli
Ma la partita è tra i senatori
Altri due deputati lasciano il Pdl e si trasferiscono
alla corte di Gianfranco Fini. Si tratta di Daniele
Toto (subito nominato coordinatore regionale del
movimento finiano in Abruzzo) e Roberto Rosso
(che riceve l’incarico di coordinatore in Piemonte).
Ieri li hanno presentati Italo Bocchino e Adolfo
Urso nella sede della fondazione Farefuturo. Bocchino ha sottolineato che «il gruppo ne guadagna
in termini non solo parlamentari ma anche di radicamento». I deputati finiani diventano così 37. E
potrebbero aumentare, visto che sta decidendo se
restare nel Pdl o andare via il deputato toscano
Alessio Bonciani e l’emiliano Giancarlo Mazzucca.
Acque agitate anche al senato dove Berlusconi sta
provando a trattenere il genovese Enrico Musso e
il sardo Piergiorgio Massidda. Il coordinatore del
Pdl Denis Verdini, ha minimizzato l’esodo di parlamentari: «È un assestamento naturale, ognuno si
assume le sue responsabilità», ha detto.
diffuso e via elencando. È un processo che si è sviluppato attraverso un conflitto talora aspro tra chi ha burocraticamente accettato lo status quo e chi ha tenuto
aperta la prospettiva della indipendenza reale della
giurisdizione e della eguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge. Di questa vicenda ho avuto la ventura di essere partecipe: nell’esercizio quotidiano della giurisdizione (come pretore prima e, poi, come pubblico ministero, come giudice minorile, come giudice di legittimità) e nel percorso di Magistratura democratica (che
di quel processo di cambiamento è stata motore instancabile).
Quarant’anni dopo alcune cose sono acquisite. In
particolare, la magistratura e la giurisdizione hanno
fatto passi avanti significativi sul piano culturale, su
quello della consapevolezza di sé e della propria indipendenza, sul versante organizzativo e su altri punti
ancora. E, tuttavia, la situazione che ci circonda è gravemente insoddisfacente: il sogno di uguaglianza predicato dall’articolo 3 capoverso della carta fondamentale (impegnativo anche per i magistrati) è in crisi apparentemente irreversibile; il sistema del welfare e dei
diritti subisce attacchi senza precedenti; le relazioni
industriali vengono quotidianamente riscritte all’inse-
za di non «provocare» i finiani fornendo loro
il pretesto per una rottura. Una Direzione
buonista ma non troppo che agli uomini di
Gianfranco Fini oggi cederà volentieri e per
l’ennesima volta il cerino. Chi rompe paga e
se ne assume la responsabilità.
Ma il gioco diventa sempre più surreale
tanto che a fine giornata si scopre pure che la
Direzione di oggi ad altro non servirà se non
che a mettere a punto un «nuovo» documento programmatico da approvare in una «nuova» direzione prevista tra quindici giorni.
Resteranno a bocca asciutta anche stavolta i finiani che prima di prendere decisioni su
un eventuale appoggio esterno al governo
aspettavano da Berlusconi e dalla direzione
del Pdl «risposte sulle riforme annunciate,
per le quali aspettiamo ancora l'agenda, e sul
patto di legislatura con le altre forze di maggioranza» a partire da Pdl e Lega. Addirittura
- a sentire Italo Bocchino - da parte di Futuro
e Libertà non ci sarebbe nemmeno un po’ di
malanimo nei confronti del premier: «Berlusconi deve governare - dice il capogruppo Fli
alla Camera - e il nostro dovere non è stacca-
gna del primato dell’economia; il diritto penale diseguale (uno per i galantuomini e uno per i «briganti», o
anche solo per i poveri o i migranti) è ormai oggetto finanche di sistemazioni teoriche; lo sfascio organizzativo generale della giurisdizione non ne esclude i tradizionali caratteri selettivi (come dimostrano la composizione e la tragedia del carcere); l’intervento giudiziario ha una cifra contraddittoria; la questione morale
(anche) in magistratura è più che mai acuta e rimanda non a casi isolati ma a un sistema di potere rimasto
invariato negli anni; la costruzione di un ceto di giuristi capace di interlocuzione con la politica sui temi del
diritto e delle regole si allontana; l’«antipolitica» ritorna a contagiare la cultura dei magistrati.
Tutto ciò interpella la giurisdizione e richiede una
nuova eresia, una nuova capacità di rompere equilibri
consolidati, una critica forte di orientamenti giurisprudenziali che, mentre i riflettori stanno altrove, riprendono vigore e avallano doppi livelli di cittadinanza (sostenendo, per esempio, che la vita di un albanese vale
meno di quella di un italiano...) o contribuiscono a trasformare la lotta alla povertà in lotta ai poveri (riempiendo all’inverosimile e senza necessità il carcere). È,
dunque, necessaria una ripresa forte dell’iniziativa di
re la spina ma ricordare al premier che il suo
dovere è appunto questo, governare». Bisogna capire cosa vuole fare, insiste Bocchino,
ancora piccato per il «picche» al patto legislativo proposto da Fini a Mirabello.
E intanto, proprio mentre Berlusconi è riunito coi suoi a palazzo Grazioli, altri due deputati di Forza Italia lasciano il partito per
passare a Fli: sono Daniele Toto (nominato
coordinatore regionale in Abruzzo) e Roberto Rosso (che assume l'incarico di coordinatore dei finiani in Piemonte). Un ingresso il
loro, ha sottolineato l’onnipresente Bocchino, importante non tanto dal punto di vista
numerico quanto da quello politico: «Si tratta di esponenti di rilievo di Forza Italia a a dimostrazione che questo che stiamo realizzando non è la rirpoposizione di Alleanza nazionale ma un nuovo, grande, arioso, plurale
soggetto politico di centro-destra».
Mnimizza Verdini che taglia corto: si tratta
solo di un «assestamento naturale, nel passato abbiamo assisto anche a defezioni più
grandi. Ognuno si assume le sue responsabilità». E’ la liturgia del giorno.
Più attento, o più sincero il presidente
del consiglio che invece afferma: «Ormai la
Camera è andata, stiamo attenti a non perdere l’autosufficienza anche al Senato». Altro che sereno governo del paese, qui tutto
si sfalda e l’esodo non accenna a bloccarsi
tanto che il premier, in questi giorni, sta incontrando uno per uno i potenziali «transfughi» per costringerli a rimanere. Tra questi spuntano i nomi di Giancarlo Mazzuca e
Piergiorgio Massidda. Anche loro, che per
prendere una decisione aspettavano la direzione di oggi, resteranno delusi.
Magistratura democratica che resta, per i giuristi progressisti, una irrinunciabile «stella polare» ma che, a
volte, mostra preoccupanti cedimenti al pensiero dominante, alle sirene della gestione del potere, alla sicurezza corporativa (come accade alle eresie quando diventano partecipi di un nuovo ordine).
Ma se è così - mi chiedono in molti (dentro e fuori
la magistratura) - perché andarsene, farsi da parte, lasciare il campo? Non è forse, questo, il segno di una
sconfitta? No. Non lo è. È, al contrario, un segno di fiducia nella possibilità che una nuova stagione, coraggiosa e lungimirante, si apra. Non sarà facile, ma di essa vedo, anche nella magistratura, attori e protagonisti intelligenti e generosi. Giovani e meno giovani. Dalla Calabria al Piemonte, dalla Sardegna all’Emilia e via
seguitando. Ma una nuova stagione richiede, insieme,
fermezza nei princìpi e nuovi interpreti. Solo così si
possono vincere resistenze, pigrizie, alibi di chi vuole
che nulla (o poco) cambi. Questa è - io credo - la buona politica. Anche per quanto riguarda la giurisdizione e Magistratura democratica. Ma non basta proclamarlo. Occorre praticarlo. Con gesti coerenti (ovviamente senza abbandonare il campo, ma affrontando
nuove sfide nella stessa direzione).
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
pagina 7
POLITICA E SOCIETÀ
ACQUA PUBBLICA
Vendola blinda l’Acquedotto pugliese e sfida i democratici
La trasformazione dell’Acquedotto pugliese in «bene comune» al servizio dei pugliesi e
non dei privati è un traguardo che la giunta Vendola insegue da oltre 5 anni. La giunta
ha già approvato il ddl di pubblicizzazione che però giace da mesi in consiglio regionale. Una lentezza che contraddice gli impegni della maggioranza di centrosinistra. Il
presidente allora rompe gli indugi e cambia direttamente lo statuto dell’Aqp. «Un cambiamento che ha un significato politico e culturale perché anticipa quello che faremo
con la nuova legge che impedisce ad Aqp di poter diventare soggetto privato», spiega
Vendola accanto all’assessore Amati (Pd). Oltre al divieto di ingresso dei privati il nuovo statuto prevede tariffe per i meno abbienti e coinvolge «progressivamente» gli enti
locali nella gestione. «Ci sono idee diverse - sferza Vendola la sua maggioranza - su
questo è bene che i cittadini siano consapevoli che ci sono conflitti politici e culturali.
Io milito dalla parte di chi è contrario all'acqua mercificata e privatizzata».
Fini avvisa Tremonti:
cambia la finanziaria
Fli voterà con Pd e Udc su editoria, università e Sud
Matteo Bartocci
L
a maggioranza non c’è più. E la
finanziaria «tabellare» targata
Tremonti rischia grosso. In una
Montecitorio deserta luci accese soltanto in commissione Bilancio. Dove
la resa dei conti sulla legge di stabilità
(la nuova finanziaria) fa consolidare,
per la prima volta, il terzo polo: Fli,
Mpa, Udc e Api. Da giorni i «finiani»
(insieme all’opposizione) si sgolano
per alcune modifiche alla manovra. In
particolare su università e ricerca, editoria, fondi Fas per il Sud e tagli agli enti locali. Visto che il governo non ci sente hanno annunciato il voto insieme all’opposizione.
«Ho comunicato al capogruppo del
Pdl che noi voteremo il nostro emendamento a prima firma di Italo Bocchino che prevede 270 milioni in tre anni
per l'università», fa sapere prima dell’inizio dei lavori pomeridiani il capogruppo finiano in commissione Antonino Lo Presti. «Voteremo poi - aggiunge - gli emendamenti che servono a implementare i fondi per l'emittenza locale e l'editoria». In questo caso si tratta di emendamento firmato da Richi
Levi e altri 13 deputati del Pd: un aumento di 150 milioni di euro che ripristina il fondo editoria azzerato da Tremonti. L’unico emendamento salvagiornali (misteriosamente) scampato
alla ghigliottina della «non ammissibilità» azionata con la massima solerzia
dal presidente della commissione Giorgetti (Lega) e dal relatore Milanese
(Pdl, braccio destro di Tremonti in parlamento).
Di fronte a tutte le richieste il governo, tramite il sottosegretario all’Economia Vegas, ha ribadito che non c’è nessuno spazio a modifiche nella finanziaria. «Questa legge di stabilità, in questo
momento storico, non è emendabile»,
chiosa a fine giornata Milanese. Un
muro contro muro che però invece di
intimidire i rivoltosi allarga le crepe anche nel Pdl. Maria Teresa Armosino,
ex sottosegretario all’economia e presidente della provincia di Asti, annuncia
il suo voto contrario alla manovra se
non saranno mitigati i tagli agli enti locali (in particolare, ovvio, alle province). Mentre l’Mpa conferma che sui
fondi per il Sud non farà più «sconti» a
Tremonti. Quattro fronti aperti tra governo e parlamento e tutti di prima
SECOLO D’ITALIA
Oggi riunione decisiva
dei garanti di An
Berluscones contro finiani anche sul
Secolo d’Italia. L’assemblea sulle
sorti della testata diretta da Flavia
Perina che doveva tenersi ieri è stata rinviata a stasera alle 20, dopo la
direzione nazionale del Pdl. I «garanti» del patrimonio di An, com’è noto,
si sono rifiutati di concedere i
700mila euro necessari a chiudere il
bilancio. Soldi senza i quali il giornale vicino a Fini rischia la chiusura.
L’ultima parola sarà detta oggi. In
subbuglio la redazione: «Da una settimana ormai è in atto un braccio di
ferro che vede il comitato dei garanti di An diviso sulla necessità di garantire al giornale le risorse economiche necessarie per andare avanti si legge in un comunicato - una vera
e propria babele che si traduce in
decisioni contrastanti: assemblee
che non si capisce se e quando si
terranno veramente, finanziamenti
disponibili solo sulla carta, versioni
che suonano come reciproci atti di
accusa». Per rendersi conto direttamente della questione, «contro lo
scaricabarile», il cdr ha chiesto di
essere presente alla riunione di stasera. Mentre Enzo Raisi, deputato
finiano e amministratore del Secolo,
confida che la soluzione arrivi oggi.
grandezza. Tanto più se si dovesse andare al voto anticipato.
Vegas prova a metterci una pezza:
promette che per l’università ci sarà
qualcosa nel decreto milleproroghe
(annunciato dal governo per il 18 novembre) e alla Armosino risponde che
forse qualcosa sarà fatto sui tagli agli
enti locali con «un meccanismo sulla
pluriennalità atto a smorzare i picchi».
«La collaborazione tra governo e parlamento - aggiunge Vegas - sarà richiesta ma su un altro tavolo, perché questo tavolo si presenta come vetrina internazionale» per l’Europa. Impegni
talmente vaghi se non bugiardi che
non smuovono di una virgola il fronte
dei contrari.
Anche perché il passo avanti dei finiani è tutto politico, come dimostra
la presenza alla riunione sulla finanziaria del «terzo polo» di Della Vedova
(Fli) e Galletti (Udc), plenipotenziari di
Fini e Casini nella trattativa. Secondo i
finiani dal governo «serve un segnale
politico adesso».
I numeri, per una volta, non sono
dalla parte di Tremonti. Anzi. Sulla carta Pdl e Lega contano 21 membri (il
presidente Giorgetti non vota) e possono arrivare a 22 col sostegno dell’ex Pd
ed ex Api Cesario. Anche senza contare la riottosa Armosino, l’opposizione
più finiani e Mpa conterebbe invece
su 24 voti. Il pericolo di andare sotto alla prima votazione per il governo è serio, tanto che Giorgetti ha dovuto rinviare l’esame a stamattina alle 10, sperando che la notti porti consiglio. Il via
libera in commissione alla manovra resta comunque fissato a venerdì.
«No alla politica dei due tempi - avverte il capogruppo del Pd in commissione Pierpaolo Giaretta - il governo
anticipi nella legge di stabilità alcuni
degli annunci che saranno oggetto dei
prossimi provvedimenti. In particolare
sul patto di stabilità, sul fisco, sulla famiglia, sull'università e ricerca, sull'editoria e sui Fas. Sui quali si è registrato
un largo consenso che va oltre gli
schieramenti. Non si capirebbe un rifiuto oggi e un nuovo decreto tra una
settimana». Sulla stessa linea l’Idv.
Sono 12 (su 17) i deputati Pdl in
commissione Bilancio ad aver firmato
lo scorso febbraio un appello al governo per ripristinare il diritto soggettivo
e i fondi all’editoria. Oggi devono decidere se passare dalle parole ai fatti.
DEMOCRACK
Incontro Bersani-Renzi,
il leader non va a Firenze
Forse neanche Zingaretti
Daniela Preziosi
ROMA
A
lla fine della giornata Matteo Renzi non
manca di far sapere ai suoi cinquemila
amici di facebook che «torna a casa soddisfatto degli incontri romani». Non è chiaro di
cosa sia soddisfatto, il sindaco di Firenze impegnato negli ultimi dettagli dell’organizzazione
di «Prossima fermata Italia», la convention dei
’rottamatori’ del Pd in programma alla Stazione Leopolda di Firenze da venerdì a domenica.
Il segretario Bersani non ci sarà, anche perché,
ha spiegato, «non ho capito se sono stato invitato». È improbabile che ci vada anche Nicola
Zingaretti, il presidente della provincia di Roma che invece era stato invitato e corteggiato
(con Renzi ha avuto qualche scontro, poi chiarito), di solito non va a iniziative interne, tanto
più di una parte del partito.
E così, con poche partecipazioni di peso di
casa Pd - eccetto il segretario regionale Manciulli che ha già annunciato un intervento tutto
contro -, e in competizione con l’incontro nazionale dei circoli Pd a Roma, l’iniziativa di Firenze rischia di diventare l’esordio dell’ennesima corrente, con il solito corredo di negazioni
degli organizzatori, «né corrente né spiffero».
L’incontro con Bersani, su richiesta di Renzi
dopo una settimana di richieste di rottamazioni ad ampio spettro (le ultime su Chi ai danni
di D’Alema e Bindi), non è andato un granché.
Sarà stato anche «cordiale», come ha riferito il
leader, ma alla fine resta il freddo. Si rivedranno. Il segretario gli fa la ramanzina: «In questa
vicenda c’è stata qualche parola di troppo e in
un partito occorre rispetto». Quanto ai contenuti «tutte le novità che vengono potranno essere
inserite nel Progetto Italia e ascolteremo tutte
le energie utili al rinnovamento». Ma, per dire,
l’applicazione tassativa del limite dei tre mandati ai parlamentari, richiesta.-manifesto degli
innovatori, non lo convince, «c’è lo statuto del
partito», ribatte, che però ammette un’ampia
casistica di deroghe. E alla fine «il rinnovamento è un obiettivo della mia segreteria, sono già
stati raggiunti risultati indiscutibili». Bersani
vorrebbe essere sicuro che in piena crisi Pdl i
giovanotti fiorentini non offrano l’ennesima
rappresentazione di un Pd spaccato. E che la’
carta di Firenze’ non finisca per essere una specie di documento dei 75: e cioè un’altra linea
politica per il Pd.
Renzi non è tipo da farsi impressionare, ha
spiegato al segretario che la «spinta dell’innovazione che viene dalla base» è autentica e non
un’espediente mediatico, che la presenza del
segretario «ci fa piacere» ma non è indispensabile, visto che «non è una classica iniziativa con
le conclusioni del segretario, ognuno avrà cinque minuti, me compreso». Eppure da programma si prevedono le conclusioni di Beppe
Civati, l’altra anima dell’iniziativa. Bersani o
no, Renzi annuncia che «va avanti», anche se assicura di non aver ambizioni di andare oltre il
suo impegno da sindaco, per ora. Quanto alle
preoccupazioni per la ’ditta’, «disogna capire
che noi a Firenze non parleremo di persone,
ma di temi, di idee per l’Italia, dai piani regolatori agli investimenti per la banda larga. Non è
un battaglia personale, non c’è bisogno di visiblità ma di vivibilità per il Paese. Dire queste cose non è voler male al Pd, ma volergli bene».
Difficile crederci, per i vecchi leoni (e non)
della politica, abituati a dissensi meno maleducati. E poco convinti, per esempio, da un programma che prevede, per la domenica all’alba
un’americanissima corsetta alle Cascine prima
dell’inizio lavori alle 9. Così ieri Franco Marini
ha dato una zampata: «Renzi? Dice che a volte
sembra un po’ cazzone. A un ragazzo valido come lui do un consiglio: se per 3-4 anni ti dedicassi a Firenze, fai dire che sei un grande sindaco, non penseranno che sei quella cosa lì».
SEMBRA UN CAZZONE
a volte, per non apparirlo Renzi
deve «per 3-4 anni dedicarsi a
Firenze». È il consiglio di Franco
Marini al sindaco di Firenze
PRIMARIE · Intervista al segretario
Il nuovo Pd milanese
fino all’ultimo respiro
Luca Fazio
MILANO
R
oberto Cornelli, giovane segretario provinciale del Pd a Milano, 36
anni, sindaco di Cormano, rivendica un ruolo che è quasi
impossibile associare al partito che è stato chiamato a governare, «stiamo facendo qualcosa di nuovo e diverso». Le
primarie, ovviamente, ma
non solo. E la sensazione è
che il destino delle nuove leve
del Pd sia appeso all’esito della consultazione del 14 novembre. Cornelli, e gran parte
del Pd, sta con Boeri.
Ammetterai che il vostro
candidato ha diviso il Pd.
Il problema esiste, ma non
la chiamerei spaccatura. Da
una parte il gruppo dirigente
ha consultato la base e ha scelto Boeri a larghissima maggioranza, dall’altra alcune persone hanno deciso di scegliere
altri candidati. Questo non
vuol dire che tutti gli elettori
del Pd staranno con Boeri, lo
verificheremo presto. Noto però che c’è una sorta di pregiudizio nei confronti del Pd, dicevano che non avremmo fatto le primarie e invece le abbiamo fatte, si diceva che sarebbero state blindate e invece la partita è aperta, ci hanno
criticato perché non avevamo
un candidato e invece ne abbiamo uno molto valido...
Non mi dire che Penati faceva i salti di gioia per le primarie, era arrivato al punto
di felicitarsi per la candidatura di Pisapia caldeggiata
dai partiti della sinistra.
Io avevo detto che le primarie si sarebbero fatte e così è
stato, sono segretario provinciale del partito, la mia non
era un’opinione personale.
Si sta giocando una partita
tra vecchi e giovani del Pd.
Invece che logorarsi in guerre intestine, non sarebbe
meglio prendere coraggio e
dire le cose come stanno,
insomma tentare uno strappo per rilanciare il partito?
Non è questione di strappi,
e non è nella mia cultura, a
me interessa vincere la sfida
NADIA MACRÌ RACCONTA
La escort e il ministro Brunetta
«A tutti i fannulloni un bel tiè»
CIRCOLO DI VITERBO
SABATO 6 NOVEMBRE ALLE ORE 17
Università popolare di tutte le età
via del Giglio, 3, VITERBO
I circoli Amici de “il manifesto” e il Cp Anpi Viterbo promuovono
l’incontro pubblico: LA COSTITUZIONE, UN BENE COMUNE
Intervengono:
Sante Cruciani (Università degli studi della Tuscia)
Andrea Fabozzi (“il manifesto”)
Domenico Gallo (magistrato) www.domenicogallo.it
Introduce:
Alfio Cortonesi (Cp Anpi Viterbo)
Per info: anpi.vt(at)libero.it - Claudia 347/5257661
Terrà una conferenza stampa oggi a Reggio Emilia
Nadia Macrì, la 28enne che ha raccontato ai magistrati di Palermo di festini e di sesso a pagamento
nelle ville di Berlusconi ad Arcore e in Sardegna. La
ragazza sostiene di essere stata portata da Lele Mora
ed Emilio Fede da Berlusconi e di aver avuto con lui
due rapporti a pagamento, e uno con il ministro Brunetta conosciuto attraverso Perla Genovesi, ex assistente di un parlamentare di Forza Italia che una volta finita coinvolta in un’inchiesta per traffico internazionale di droga ha raccontato ai pm della sua amica
Nadia. Brunetta ha negato e ha detto di aver incontrato solo una volta la Macrì e di essersi limitato a
metterla in contatto con l’avvocato Taormina, che
però lo ha smentito: «La conosce molto bene», ha
detto. Evidentemente rivolta al ministro, Macrì ieri ha
scritto su Facebook: «A tutti i fannulloni un bel tiè».
SEGRE’ ASPETTA IL PD
Dopo Sel e Idv, sulla corsa a
sindaco di Andrea Segré c’è il sì
dei verdi. Ma lui vuole l’appoggio
del Pd, che decide nel week end
CIRCOLO DI ALESSANDRIA
venerdì 5 novembre 2010, alle ore 20
Al Circolo Matteotti, via Faà di Bruno 39 - Alessandria
Liberamente, laboratorio di analisi & politica organizza
una cena a sostegno del quotidiano il manifesto
con l’intervento del giornalista Luca Fazio
Antipasto, primo, secondo, vino e caffè, 25 euro
Info e prenotazioni: liberamente(at)fastwebnet.it - cell. 3357302986
con la Moratti. Più che tra vecchi e giovani direi che c’è ancora qualcuno che nel partito
pensa che a Milano non si possa vincere, invece io – o il
gruppo dei giovani – penso
che la vittoria sia alla nostra
portata. Considero l’altro atteggiamento come una battaglia di retroguardia.
Rifaccio la domanda: se Boeri perde ti fanno fuori?
Non lo so, vedremo... In
ogni caso non è un problema,
il destino personale di questo
o di quel politico non è rilevante. Se dovesse andare così,
significherà che non abbiamo
capito quale tipo di politica
serviva per vincere a Milano.
Onida è in rotta col Pd, vi accusa di aver trasformato le
primarie in una lotta tra partiti e farà una sua lista civica. Parte del mondo cattolico e non solo potrebbe convergere sulle sue posizioni.
Per il Pd è un problema.
I profili dei due candidati
sono diversi e noi abbiamo
scelto Boeri, crediamo che
con lui si possa battere la Moratti. Boeri ha una visione della città più europea, aperta, internazionale. Ai candidati che
hanno perso toccherà decidere come sostenere il vincente,
se Onida deciderà di fare una
lista spero solo che sia utile a
far vincere il centrosinistra.
E se vince Pisapia?
Se succederà, dovrà dire
grazie a chi ha voluto le primarie. Il partito lo sosterrà lealmente, anche se al nostro interno si aprirà un problema.
Altroché. Se Pisapia, il candidato della micro sinistra,
batte il candidato del Pd
per voi sarebbe una disfatta. Per te, anche peggio
Può essere, in politica succede così, ma io ho cercato di
mettere in piedi una strategia
per vincere non per rappresentare me stesso. Vorrà dire
che avrò buttato via mesi di lavoro, ma sono convinto che
questa occasione non verrà
sprecata. Boeri è un ottimo
candidato, non è un pericoloso reazionario. Non mi far dire i nomi su cui ha puntato il
centrosinistra in passato...
Cosa manca ai giovani del
Pd per fare il salto di qualità
e proporsi come dirigenti
più credibili rispetto al vecchio modo di fare politica?
Difficile rispondere. Direi
che ai giovani che fanno politica manca una massa critica
giovane che li sostenga, e poi
mancano anche i giornali che
sostengono le buone politiche dei giovani dirigenti. Battute a parte, la realtà è che la
disaffezione verso la politica è
tale per cui diverse generazioni, soprattutto a Milano dove
la sinistra non governa da
vent’anni, sono convinte che
la politica non c’entri nulla
con la loro vita quotidiana. E’
difficile attirare energie, ma
penso che il Pd sia l’unico partito che dà segnali di tenuta.
Stimo molto Vendola, ma senza di lui Sel non esiste.
Come attirare le energie?
Governando.
pagina 8
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
POLITICA E SOCIETÀ
TOR BELLA MONACA
Periferie, il piano d’oro di Alemanno
Tra le proteste dei movimenti di lotta per la casa, il sindaco di Roma
Gianni Alemanno ha presentato ieri il «masterplan sulla riqualificazione urbanistica di Tor Bella Monaca». E, contrariamente a quanto preannunciato e propagandato, lo ha fatto nella cornice più rassicurante
dell’auditorium dell’università Tor Vergata, non certo nel cuore del
quartiere tra i più degradati dell’estrema periferia est della capitale. Il
piano, affidato «a titolo gratuito» all’architetto lussemburghese Leon
Krier, prevede la «demolizione programmata» del quartiere, in particolare le cosiddette "torri", il peggio dell’edilizia popolare anni ’80, preceduta dalla costruzione «nelle aree libere esterne» al quartiere «di nuovi
alloggi pubblici, la cui altezza non supererà i quattro piani, destinati ai
residenti». Al posto degli edifici demoliti, secondo il masterplan, saran-
Giorgio Salvetti
BRESCIA
A
lice porta un sacco pieno di vestiti.
«Con la pioggia dei giorni scorsi i ragazzi sulla gru erano sempre zuppi, dovevamo portargli il cambio asciutto ogni tre
ore». Sono lassù da cinque giorni e cinque
notti e non hanno nessuna intenzione di
scendere. «Non abbiamo più nulla da perdere. Restiamo qui. E se qualcuno ci vuole far
scendere con la forza ci buttiamo di sotto».
Lo gridano in tutte le lingue con il megafono.
Sotto applaudono, suonano, cantano e non
se ne vanno mai. Vogliono il permesso di soggiorno. Per questo hanno presidiato per 34
giorni la prefettura di Brescia. Per questo sabato scorso hanno manifestato. E quando la
polizia li ha caricati e le ruspe hanno distrutto il loro presidio, in 9 hanno deciso di salire
a 35 metri di altezza, sulla gru del cantiere della metropolitana. Dopo giorni di pioggia sono rimasti in cinque, infreddoliti, febbricitanti, con il mal di gola. Ma senza nessuna voglia
di farsi fregare un’altra volta.
Dal 2009 chiedono di essere regolarizzati.
Per questo hanno presentato tutti i documenti per la sanatoria di colf e badanti. Hanno pagato fino a 500 euro di spese. Ma è bastata un
circolare del capo della polizia Manganelli a
tagliarli fuori. Il motivo? Nel corso della loro
permanenza in Italia hanno ricevuto un provvedimento di espulsione. E da quando la
«clandestinità» è un reato, questo solo fatto
costituisce un precedente penale che non
permette la loro regolarizzazione. Un circolo
vizioso contro il quale questi stranieri si battono da mesi senza avere risposte. Adesso le
pretendono.
Arun, pachistano 24 anni. Jimi, egiziano 25
anni. Rachid, marocchino, 35 anni. Sajad, pachistano, 27 anni, Singh, indiano, 26 anni.
Fanno gli operai, volantinaggio e altri lavori
saltuari, ovviamente in nero. Non sono colf e
badanti, ma lavorano eccome. L’unico modo
che avevano per vedersi riconosciuti i loro diritti era partecipare alla sanatoria delle colf. E
invece sono stati imbrogliati dallo stato e
spesso anche dai loro datori di lavoro che
hanno lucrato sulle domande di regolarizzazione e poi sono spariti. Sono stati fregati anche dal Comune e dal prefetto. Prima li hanno scaricati e hanno distrutto il loro presidio,
poi quando ormai disperati sono saliti su
quella gru, fanno proposte che loro non vogliono neppure ascoltare.
«Sono salito con uno della questura - racconta Mohamed, egiziano che tutti chiamano Mimmo – hanno detto che ci davano la
possibilità di fare un presidio di 15 giorni sotto tutela della Curia, di Cigl e Cisl e che poi
avrebbero aperto un tavolo sul nostro problema. Ma che cosa ci raccontano? È un anno
che lottiamo, cosa ce ne facciamo di 15 giorni in più». Noureddine è marocchino: «La
gru è la nostra ultima carta da giocare e non
vogliamo perdere. A questo punto vogliamo
che ci sia un incontro al ministero degli interni, che si apra una trattativa seria su tutta la
questione della sanatoria e del reato di clandestinità e nel frattempo vogliamo poter continuare a fare il nostro presidio, perché queste cose sono un nostro diritto. Abbiamo incontrato il sindaco e lui dice solo che diamo
no realizzate aree verdi, strade, piazze, servizi, «allo scopo di far riscoprire il valore dello spazio pubblico». Bello no? E allora vediamo i numeri: rispetto ai 629 mila metri quadri di Superficie utile lorda (Sul)
attualmente costruiti su 77,7 ettari di territorio, con una volumetria
complessiva di oltre 2 milioni di metri cubi, tra «cinque anni» la superficie lorda utilizzata sarà quasi il doppio (1.100.000 mq), l’area edificata
salirà fino a 96,7 ettari, e la volumetria arriverà addirittura a 3.520.000
metri cubi. Altro che villette: cemento quasi raddoppiato. Al posto degli attuali 28 mila abitanti su 78 ettari circa (300 abitanti a ettaro), il piano prevede un incremento della popolazione fino a 44 mila abitanti.
Che su 100 ettari circa fa 440 abitanti a ettaro. Altro che «tipologia abitativa meno densa»: qualcosa che assomiglia più alla speculazione edilizia anni ’60 di viale Marconi, per esempio. Il tutto a costo zero per
l’amministrazione, malgrado per «l’intera operazione» si spenderanno
1.045 miliardi di euro. Ma, spiega Alemanno tra le grida dei cittadini
che protestano, sarà tutto pagato dai privati.
(eleonora martini)
BRESCIA · Cinque stranieri resistono sulla gru e mettono sotto scacco la Lega
Trenta metri sopra il cielo
per il permesso di soggiorno
GLI IMMIGRATI SULLA GRU A BRESCIA/FOTO LIVIO SENIGALLIESI
5
DA CINQUE GIORNI e cinque notti
cinque stranieri vivono a 30 metri di
altezza su una gru del cantiere a Brescia.
Vogliono il permesso di soggiorno cui
hanno diritto e non hanno intenzione di
scendere fino a che non lo avranno.
fastidio ai bresciani. Ma qui con noi ci sono
tantissimi cittadini di Brescia».
Alice lascia i vestiti nel vicino oratorio. È lì
che si raccolgono gli aiuti per gli uomini sulla
gru. Nelle stanzette dell’asilo a misura di
bambino i bresciani portano cibo, vestiti, soldi. «Li useremo per comprare abbigliamento
da montagna». È tutto pulito, eppure la notte
stranieri e italiani in presidio sotto la gru vengono qui a riposarsi e rifocillarsi. «Dicono
che strumentalizziamo la protesta, ma non è
così. Sono loro che decidono tutto, noi del
movimento antirazzista diamo solo una mano. E da quando sono saliti sulla gru c’è molta più solidarietà», spiega Umberto Gobbi
dell’associazione Diritti per tutti. «È veramente razzista pensare che noi siamo sempre sotto qualcuno anche quando protestiamo. Noi
abbiamo la nostra testa».
Sanno che la loro protesta è disperata. Il
sindaco Adriano Paroli (Pdl) è sempre a Roma in parlamento. A Brescia spadroneggia il
vicesindaco leghista Fabio Rolfi. È l’uomo
che regge le fila del Carroccio nel bresciano,
il capo del sindaco Lancini di Adro. E su questo vicenda si gioca la faccia. Ma non bisogna
cadere nella retorica del «profondo nord».
Brescia è la provincia con più stranieri d’Italia (160 mila circa su un milione e 200 mila
abitanti). L’integrazione qui è una realtà. E
per questo lo scontro con i leghisti è duro ma
si può vincere. Sabato a Brescia si manifesta
perché la lotta della gru non sia vana. L’appuntamento è alle 15 in piazza della Loggia.
NAPOLI · Nuovo richiamo da Bruxelles: «Servono azioni immediate»
Ancora scontri a Taverna del Re, 8 feriti
A. Po.
NAPOLI
S
ulla piazzola E12 di Taverna del Re ieri
pomeriggio sono arrivate 4mila tonnellate di rifiuti talquale, un viaggio costato
una decina di feriti. All’arrivo dei 20 autocompattatori la polizia ha caricato i manifestanti,
che hanno reagito con il lancio di pietre e masserizie. Cinque poliziotti e tre del presidio rimasti contusi. Uomini e donne presi di peso e
scaraventati sul ciglio della strada. «Ho ricevuto una manganellata in testa e un calcio nei testicoli. Stavamo tentando di rallentare il passaggio dei mezzi, eravamo circa 200, ma era
una protesta pacifica. E’ in atto un’escalation
di violenza delle forze dell'ordine» racconta
Giovanni Russo, giovane consigliere Pd di Giugliano. Ieri 9 suoi colleghi del centrosinistra
hanno rassegnato le dimissioni, si attendono
adesioni anche da destra, al governo della cittadina, contro la giunta responsabile di «una
linea morbida sulla riapertura del sito».
Intanto a Terzigno restano i presidi contro
l'accordo firmato dal governo con i 18 sindaci
del vesuviano. I dimostranti dicono no alla riapertura di Cava Sari perché non c’è stata nessuna seria rassicurazione rispetto ai livelli d'inquinamento (diossine e metalli pesanti). Così
attendono l’intervento della procura di Nola,
a cui è già stato fatto un esposto, per ottenerne il sequestro e si preparano a un’altra notte
di veglia, non si esclude un nuovo blocco degli autocompattatori. Situazione calda anche
sul fronte comunitario. La Ue ieri è tornata a
chiedere all'Italia «azioni immediate» per far
fronte all'emergenza rifiuti. «Noi continuiamo a monitorare - ha detto il commissario europeo all'Ambiente, Janez Potocnik - ma devono essere prese misure per cambiare la situazione». Si profila una seconda sentenza di condanna che, secondo fonti europee, «costerà cifre infernali all'Italia e renderà la situazione
ancora più grave». A urtare la commissione
anche il piano di uscita dalla crisi della regione Campania: «fuori discussione» sono stati
definiti i 20 anni proposti, dopo l’ultima ispezione sul territorio regionale, per lo smaltimento delle ecoballe, ormai mummificate a
Taverna del Re e in altri siti. Per la Commissione si tratta di «uno scherzo di cattivo gusto».
LE VOCI
«Non abbiamo più
nulla da perdere»
G.Sal.
«N
on chiediamo un miracolo,
vogliamo solo una vita regolare e serena». Arun è un fiume in piena. Il suo italiano è perfetto.
Ha voglia di parlare, sa il fatto suo e
non vuole assolutamente scendere.
Come stai?
C’è finalmente il sole. Oggi non è stata una brutta giornata. Abbiamo la forza per restare quassù.
Sì, però non avete ancora ottenuto
nulla, fin quando pensate di resistere?
Se non avremo risposte positive resteremo qui. Piuttosto mi butto di sotto. Sono in Italia da 7 anni, a lavorare
in nero, 10-12 ore al giorno per 25 euro.
Il mio datore di lavoro è scomparso. Se
n’è andato anche da casa.
Ma ti sembra il caso di buttarti di sotto per questo?
La nostra non è vita. Abbiamo già
perso troppi anni della nostra vita. Non
possiamo perdere. Oppure perdiamo
tutto. Quando mi è giunta voce che ci
volevano fare scendere con la forza ho
preso il megafono è l’ho gridato.
Tu non hai al permesso di soggiorno
perché hai ricevuto un provvedimento di espulsione. Come è successo?
Stavo lavorando vicino a Crema. Portavo i volantini. Si tratta di fare chilometri a piedi carichi come muli per mettere volantini nelle caselle delle lettere,
tutte le caselle delle lettere. Non c’è orario, si lavora alla giornata, hai finito
quando ti dicono che hai finito. Mentre
camminavo mi hanno fermato per un
controllo, siccome non sono in regola e
lavoravo in nero mi hanno dato il decreto di espulsione. Ma questo non
può essere un reato. Stavo solo lavorando. Io da qui non scendo.
ROMA CAPITALE
Riqualificazione?
No: debiti pagati
col cemento
Paolo Berdini
E
ra apparso subito misterioso il
motivo per cui il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, avesse
deciso di realizzare case a bassa densità al posto del quartiere di Tor Bella Monaca, proprio ora che i comuni
non hanno un soldo per fare alcunché. Ci sarà tempo per valutare nel
merito il "piano direttore" presentato ieri alla città. Ma fin d’ora è possibile rendere chiari quali siano le motivazioni della estemporanea proposta.
Le motivazioni stanno nella deliberazione n. 3 del 5 ottobre 2009 presa
dallo stesso sindaco Alemanno nella
veste di Commissario straordinario
di governo per il piano di rientro del
comune di Roma. Come si ricorderà,
nel primo periodo di vita della giunta di centrodestra ci fu una forte polemica riguardo l’ammontare del buco
economico lasciato dall’amministrazione precedente: per questo il governo Berlusconi affidò poteri speciali
al sindaco proprio per definire tempi
e modalità di rientro.
La deliberazione in questione è un
riconoscimento di debito nei confronti degli eredi Vaselli, famiglia di
grandi proprietari terrieri. A seguito
di espropri mai perfezionati proprio
per la realizzazione di Tor Bella Monaca il comune fu chiamato in causa
dai Vaselli e perse la prima causa civile. L’amministrazione presentò appello, ma avviò contemporaneamente procedure riservate per la chiusura bonaria del debito. Così nel 2007 –
amministrazione Veltroni – furono
stanziati quasi 76 milioni di euro per
chiudere le controversie con i Vaselli
ed una parte di essi furono pagati.
Mancavano altri creditori e così il sindaco-commissario deliberava di pagare i restanti 55 milioni di euro: per
capire di quale folle buco stiamo parlando, in un solo anno sono stati riconosciuti ai Vaselli 1.343.000 euro di
interessi per ritardato pagamento!
Ecco perché durante la scorsa estate il sindaco ha avuto l’idea di “recuperare” Tor Bella Monaca. Se si demoliscono anche parzialmente le attuali abitazioni, occorrerà trovare terreni liberi per costruire quelle nuove.
E, guarda caso, le aree libere intorno
a Tor Bella Monaca sono di proprietà degli eredi Vaselli. Costruisco nuove case sui terreni dei creditori del comune e tutto finisce in gloria.
Una considerazioni finale. Da conteggi attendibili e rigorosi sembra
che il debito contratto dal comune
di Roma con la rapace proprietà dei
suoli è stimato nell’ordine di 1,5 – 2
miliardi di euro. Se applichiamo il
metodo Tor Bella Monaca, e cioè riconoscere cubature in cambio della
cancellazione del debito, dovremmo
costruire in ogni centimetro della città. Una follia.
Ma come mai, chiediamo, negli
ininterrotti 15 anni di amministrazione di centrosinistra nessuno ha mai
lanciato l’allarme su questa situazione inedita nel panorama europeo?
Non se ne è accorta nemmeno l’Anci
che con il presidente Leonardo Domenici non ha mai posto la questione con la dovuta forza, forse perché
nella veste di sindaco di Firenze era
troppo impegnato nelle trattative della peggiore urbanistica contrattata.
Nessuno ha dunque fiatato e i comuni italiani sono stati lasciati in preda
ai proprietari dei terreni. Non ci sono più leggi e i comuni che vogliono
fare qualsiasi opera pubblica sono
costretti a regalare milioni di metri
cubi di cemento. E’ così anche nell’ultimo caso della Formula 1 da svolgersi all’Eur. Il tanto mitizzato privato non ci mette un soldo: è il comune che paga l’operazione vendendo
aree pubbliche che ospiteranno una
nuova colata di cemento. Sono anni
che il manifesto lo denuncia con forza ma il palazzo fa finta di nulla, impegnato a discutere d’altro. Come il
finto recupero di Tor Bella Monaca.
Finto perché i documenti consegnati
ieri dicono che ai privati verranno
"regalati" 1.500.000 metri cubi di cemento e che la densità abitativa passerà dagli attuali 300 abitanti ettaro a
440: una mostruosa speculazione
edilizia. Come alla Magliana o viale
Marconi. Altro che villette!
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
pagina 9
CAPITALE E LAVORO
FIAT POMIGLIANO
Accordo separato anche per la cassa in deroga. Pronta una «newco»
L
e vie dell’accordo separato sono infinite. Al ministero
del lavoro, ieri mattina, è stata siglata l’intesa sulla
cassa integrazione «in deroga» per otto mesi per i
4.812 lavoratori di Pomigliano. La Fiom non ha firmato, perché – persino secondo l’accordo-capestro fatto votare sotto
ricatto in giugno – dal 15 novembre avrebbe dovuto partire
la «cig straordinaria per ristrutturazione». Com’è noto, la
prima non garantisce l’occupazione; la seconda sì. La motivazione addotta dalla Fiat e avallata dal governo è anche
peggiore: «Siamo in presenza di una nuova società», ha
spiegato il ministro Sacconi, «ci sarà sostanzialmente continuità nell’erogazione dei trattamenti di protezione del red-
dito». Ma tra una copertura per 24 mesi prorogabile, e una
di otto e poi basta la differenza è tanta. La Fiat si è così limitata a garantire l’anticipazione degli assegni in attesa che il
ministero emani il provvedimento, delegando l’Inps ad erogare le somme necessarie.
In pratica, Sacconi ha confermato che il Lingotto – su
Pomigliano – metterà in campo una newco, come a suo
tempo fece Alitalia, assumendo ex novo uno per uno i lavoratori «fino a saturazione» (che è cosa ben diversa dal riassumere tutti). Anche Fim, Uil, e Fismic (i «complici» che
firmano sempre senza discutere) hanno così deciso che
non faranno più assemblee con i lavoratori (a Mirafiori e
altrove); si limiteranno a sottoporre «questionari individualmente» per sapere cosa pensano. Cestinandoli, vien da supporre, se il parere espresso non piacerà. Una voce stonata è
subito arrivata dalla neosegretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, la quale pur dicendo che «la Fiom non è
un problema», ha evitato accuratamente di stigmatizzare
l’accordo separato. Anzi, ha invitato la Fiom stessa a passare «dalla difesa alla proposta». Giorgio Airaudo, delegato
della segreteria Fiom per l’auto, ha dovuto per un verso
spiegare che «mancano le condizioni e le garanzie sufficienti al mantenimento occupazionale». Per l’altro, far notare
anche alla Camusso che «noi non facciamo accordi cattivi
per i lavoratori». La Fiom «non deve dimostrare nulla, siamo la categoria che ha fatto più accordi, anche in tempi di
crisi. Ma abbiamo l’onere del consenso dei lavoratori; e a
questo credo che neanche la Cgil si può sottrarre». Fr. Pi.
L’ELEZIONE · Una donna per la prima volta segretario generale. Oggi l’addio di Epifani dopo 8 anni
LE REAZIONI
IL NUOVO CORSO
Cgil, è scoccata l’ora Camusso
Sacconi, la Cisl,
il Pd e le imprese
Tutti ora sperano
nel «dialogo»
Senza unanimità,
e la minoranza
chiede democrazia
Riparte il confronto con Confindustria, Cisl e Uil: «Il contratto è centrale»
Antonio Sciotto
U
na standing ovation del direttivo ha salutato ieri l’elezione di Susanna Camusso a primo segretario generale donna nella
storia della Cgil. Milanese, 55 anni,
succede a Guglielmo Epifani, che lascia per scadenza del suo secondo
mandato, dopo 8 anni. È stata eletta
con il 79% dei consensi (125 sì, 21 no
e 12 astenuti). La sua ascesa al seggio
più alto della Cgil è stata accolta, come di prammatica, da messaggi positivi provenienti un po’ da tutte le direzioni, dalla politica di destra e sinistra fino allo stesso governo, dalle imprese ai colleghi-avversari di Cisl e
Uil. Un po’ tutti si attendono un
«cambio di rotta», perché la Cgil insomma sia più «aperta al dialogo».
Diverso il fronte della minoranza
interna, «La Cgil che vogliamo», che
invece sottolinea subito le divergenze e dice no alla linea del neo eletto
segretario generale: in particolare,
denuncia il leader dell’area Gianni Rinaldini, la nuova dirigenza Cgil
avrebbe già firmato, «senza consultare democraticamente tutti gli organismi della confederazione», intese sul
modello contrattuale con la Confindustria, per legare maggiormente i
salari alla produttività. Accettando
dunque il modello che la vecchia
Cgil , quella di Epifani, aveva rigettato non siglando il nuovo modello
contrattuale concordato nel 2009.
Prima delle votazioni, Camusso
ha letto davanti alla platea del direttivo la sua dichiarazione programmatica, come prevede il rito, anche se
l’elezione era ormai scontata e peraltro preannunciata da mesi. Soprat-
/FOTO EMBLEMA
tutto dopo che in giugno, un mese
dopo il Congresso Cgil, Guglielmo
Epifani l’aveva designata sua vicesegretaria generale, indicandola quindi nel ruolo (ufficioso) di Delfina.
Camusso ha aperto il suo discorso
criticando le politiche del governo
Berlusconi: «Con i suoi provvedimenti ha diviso il Paese, dal reato di clandestinità al Collegato lavoro. Ha attuato uno smantellamento dei diritti, contro la politica di attuazione della Costituzione e del welfare come rete di protezione universale».
SEVEL · Fabbrica Italia? Basta l’accordo del 2005
«L'accordo 2005 aumenta i diritti dei lavoratori, mentre Fabbrica Italia di Marchionne
toglie i diritti». Questa la nota della Fiom Cgil provinciale di Chieti ai lavoratori Sevel
(Atessa), dopo che l'ufficio economico del sindacato ha analizzato i bilanci economici
2008-2009 della Sevel. «Lo studio e l'analisi dei bilanci smentiscono quanto affermato
da Sergio Marchionne, secondo cui Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia.
Non è così. La Fiat realizza nel 2008 un utile operativo netto di 56.516.308 euro e, nel
2009, nonostante un calo di fatturato di oltre 1.700.000.000 euro, realizza un utile
operativo netto di 2.737.601 euro. Anche quest'anno la Sevel avrà un importante utile
operativo netto. Tutto questo grazie ad accordi sindacali importanti e condivisi dai lavoratori. Nel 2005 i sindacati hanno sottoscritto un accordo importante per lo sviluppo
dello stabilimento, senza derogare in peggio le condizioni di vita dei lavoratori. La Sevel
non ha bisogno di aderire a Fabbrica Italia, ma di portare a termine l'accordo del
2005, dove si prevedeva una salita produttiva fino a 300.000 vetture da realizzare»
Successivamente ha ricordato la
manifestazione del 27 novembre, indetta dalla Cgil «per il futuro dei giovani e il lavoro», per una reale estensione a tutti e un rafforzamento degli
ammortizzatori sociali, per una politica di sviluppo che crei occupazione. Dopo il 27 novembre, «decidremo in un direttivo come proseguire
la mobilitazione, immaginando che
ciascuna forma, incluso lo sciopero
generale, deve essere vissuta e preparata positivamente dai lavoratori».
Al centro delle politiche della Cgil,
come sancito al Congresso di maggio, per Camusso «deve restare la
contrattazione: no alle deroghe e sì
alle regole, per un contratto nazionale più universale, che riesca a includere i deboli e i giovani». Nello stesso
tempo, il contratto nazionale auspicato da Camusso dovrà essere «più
largo e meno prescrittivo, più inclusivo e universale, affermando la necessità di una contrattazione di secondo livello sempre più ampia e diffusa». «Un modello che riapra una prospettiva per i meccanici, come hanno rivendicato nella loro autorevole
e grande manifestazione del 16 ottobre, contrastando le deroghe».
«Difficile», secondo il nuovo segretario Cgil, «risulta oggi pensare a
un’unità sindacale nel breve». «Sono
venute meno le normali relazioni: anche piattaforme comuni, come quella del fisco, sono utilizzate da Cisl e
Uil nella divisione e appaiono qualche volta a sostegno del governo».
Per trovare un terreno comunque,
dunque Camusso rilancia il tema delle regole su rappresentanza e rappresentatività: «Una nostra proposta sarà il tema di una prossima riunione
del direttivo: non ci si può affidare alla sola legge, peraltro con questo Parlamento di difficile attuazione. Serve
una proposta che sfidi Cisl, Uil e le
nostre controparti a decidere insieme regole e procedure».
Per Camusso è superata l’idea contenuta nella piattaforma del 2008,
«designata in una stagione in cui la
rottura era l’eccezione e le regole erano condivise, c’erano l’autonomia
dal governo e dalle controparti di tutti i sindacati». La nuova formula dovrebbe «favorire l’idea di coalizione,
andando oltre il 51%: per questo motivo vorremmo favorire il mandato e
non solo il voto dei lavoratori».
Il primo appuntamento del nuovo
anno sarà «l’assemblea delle camere
del lavoro», mentre Camusso chiude
il suo discorso chiedendo «maggiore
unità interna dentro la Cgil».
«Spero che con l’arrivo di
Susanna Camusso cambi
qualcosa – afferma il ministro del welfare Maurizio
Sacconi - Ci sarà certamente continuità nell'organizzazione, ma io mi auguro che
ci sarà una maggiore disponibilità alla mediazione con
le altre organizzazioni, con
Cisl e Uil. La disponibilità
mediale con esse costituisce il presupposto per più
avanzate relazioni industriali». Una dichiarazione più
scarna e istituzionale, ma
comunque speranzosa di
«dialogo», viene anche dalla Confindustria: «Ci auguriamo che il suo mandato
possa tradursi in uno spirito di collaborazione tra tutte le parti sociali e le Istituzioni, nel rispetto dei reciproci ruoli, ma con il comune obiettivo della crescita.
In questo momento difficile
per il paese è importante,
nell'interesse di tutti, dialogare in modo costruttivo,
rimettendo al centro il tema della competitività e i
problemi reali dei lavoratori
e delle imprese», scrive
l’associazione. E così Raffaele Bonanni, segretario Cisl, anche lui per riallacciare
i nodi: «Spero che con Susanna Camusso sia più
facile trovare punti d'intesa: quando avviene un avvicendamento ci può essere
il germe di un cambiamento». All’unità del mondo del
lavoro guarda il Pd, con
Pierluigi Bersani: «Sono
convinto che la freschezza
e l'energia di una donna
porteranno qualcosa di nuovo nel mondo del lavoro e
nella prospettiva della sua
unità. Ne abbiamo un grandissimo bisogno non solo
per il lavoro ma per il Paese. Sono sicuro che Susanna Camusso sentirà l'impegno e la responsabilità e
avrà la capacità di difendere al meglio gli interessi
dei lavoratori e dare quel
contributo, in un momento
così cruciale dalla vita del
Paese, che i sindacati hanno sempre dato per superare i momenti di crisi».
DIARIO DELLA CRSI
Cina, esplode il Pil. Usa, tante auto e poca occupazione
O
cchi puntati sul grande malato, gli Stati uniti, la cui
congiuntura seguita a battere la fiacca. Ieri sono stati
diffusi alcuni dati positivi, ma anche uno decisamente
negativo: la concessione di mutui che nell’ultima settimana di
ottobre hanno fatto registrare una caduta del 5,0% a conferma
di un mercato immobiliare ancora in crisi. Anche se la crisi riguarda soprattutto i rifinanziamenti scesi del 6,4%, mentre le
nuove concessioni hanno segnato un aumento dell’1,4%. Il dato positivo più rilevante riguarda, invece, il lavoro: in ottobre,
secondo la Adp, società specializzata nella gestione in outsourcing di risorse umane. sono stati creati dal settore privato 43
mila posti di lavoro. Il problema è che, probabilmente, il settore pubblico seguiterà a distruggere posti, visto che stanno scadendo i contratti a termine con i quali sono erano stati assunti
centinaia di migliaia di disoccupati per la preparazione del
censimento. Ne sapremo di più venerdì quando saranno diffusi dal dipartimento al lavoro i dati ufficiali sull’occupazione in
ottobre. In ogni caso, il dato dell’Adp, seppure positivo, non
appare numericamente adeguato al riassorbimento della disoccupazione che sfiora il 10%, 15 milioni di senza lavoro.
Altro dato positivo è quello degli ordini all’industria in settembre: sano saliti del 2,1% e si tratta del terzo rialzo mensile
consecutivo. A trainare la ripresa è soprattutto il comparto auto, al netto del quale gli ordini sono saliti solo dello 0,4%. Gli
ordini di beni capitali, escludendo difesa e aerei, sono diminuiti dello 0,2%. A propositi di auto, ieri sono stati diffusi i dati sulle immatricolazioni in ottobre che confermano il proseguimento del trend positivo (sette mesi consecutivi) per la Chrysler (+37%), un buon aumento (+20%) per la Ford e uno più
contenuto (3,5%) per la Gm. Bene anche l’indice Ism dei servizi salito in ottobre a 54,3 punti. Oltre la soglia dei 50 punti l’indice indica che si è in presenza di una fase espansiva.
Passando ai «nemici» economici degli Usa, cioè alla Cina, la
Banca mondiale ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita del
Pil per il 2010: sarà del 10% contro il 9,5 precedentemente stimato. La Word Bank tuttavia ha messo in guardia Pechino contro i rischi indotti dai disequilibri negli scambi mondiali. Le
partite correnti dovrebbero segnare quest’anno un surplus in
crescita a 320 miliardi di dollari nel 2010, contro 260 miliardi
della precedente stime, mentre per il 2011 il surplus potrebbe
ampliarsi a 356 miliardi di dollari. Le riserve in valuta estera saliranno per fine anno a 2.765 miliardi di dollari da 2.705 miliardi della stima precedente. La banca mondiale ritiene che i tassi di interesse cinesi hanno bisogno di crescere ancora e giudica che la liquidità internazionale sia messa a dura prova della
politica monetaria cinese. Secondo l'economista della Banca
Mondiale, Ardo Hansson, la Cina dovrebbe stabilire il valore
dello yuan contro un paniere di divise, piuttosto che sulla base
di scambi bilaterale e recenti segnali nella fluttuazione dei tassi di cambio dello yuan suggeriscono che la Cina potrebbe
muoversi questa direzione.
Galapagos
Francesco Piccioni
I
problemi in Cgil non cominciano
ora. L’andamento del Congresso
concluso a Rimini, in maggio, ne
aveva mostrato con chiarezza i contorni. E sono ancora lì, più forti di prima, in una congiuntura economica
durissima, con un sistema delle imprese che sembra pensare la competizione solo in termini di meno diritti e
minori salari, con due sindacati (Cisl
e Uil) che sembrano ormai controparte, un governo che solo nella distruzione del valore del lavoro e nella divisione del sindacato può vantarsi di «aver
fatto». E molto. A loro modo, anche
quei 12 astenuti, prima imprevisti, segnalano un disagio che va oltre i confini della minoranza interna, l’area «La
Cgil che che vogliamo», che ha votato
compattamente contro (21 voti).
È stato Gianni Rinaldini, coordinatore dell’area e unico ad intervenire
dopo la «dichiarazione programmatica» della Camusso. Non è stato un intervento diplomatico. Ha preso di mira intanto il «confronto in corso tra le
parti sociali» sulla produttività, «cui la
Cgil – la segreteria confederale, ndr –
partecipa senza nessun coinvolgimento né mandato del Comitato Direttivo». Persino «il primo blocco di intese» lì sottoscritto risulta «del tutto sconosciuto agli organismi della Cgil». Al
punto che se ne sa qualcosa solo perché «pubblicati sui siti delle controparti», mentre «non se ne trova traccia alcuna nell’informazione interna».
Se si trattasse di questioni accessorie, il problema ci sarebbe, ma non devastante. Ma se «le parti sociali ritengono siano rese strutturali tutte le
scelte normative volte a incentivare la
contrattazione di secondo livello che
collega gli aumenti retributivi all’aumento della produttività e redditività», allora «si assume una parte significative del modello contrattuale» che
«la Cgil non ha firmato». La domanda
è semplice: «dove e quando abbiamo
assunto questa decisione?».
È la stessa opportunità del «confronto» a esser messa in discussione.
«Aprirlo mentre il Collegato lavoro distrugge il diritto del lavoro, mentre il
governo blocca la contrattazione nel
pubblico impiego, mentre Federmeccanica e Confindustria annullano il
contratto nazionale, rappresenta una
scelta sbagliata e subalterna». Anche
le frasi sullo «sciopero generale» , da
proclamare «sulla base dello stato di
avanzamento delle risposte delle nostre controparti», alla fin fine, «cosa significano?». L’indeterminatezza lascia spazio a qualsiasi ipotesi. «Se ci riferisce solo al patto sulla produttività,
che il presidente di Confindustria
chiama "il patto sociale"», beh, «si
apre un gigantesco problema di democrazia in Cgil».
Che non è solo un problema di
«pratiche interne», ma anche di proposte. Se «le coordinate del progetto
Cgil» sono «quelle espresse oggi, se
non c’è nessun riferimento ai referendum», allora «non sono d’accordo».
Altra cosa, indubbiamente, è la «consultazione certificata».
L’ultima questione rimasta in dubbio era sull’ammissione di un rappresentante della minoranza in segreteria confederale. respinta sulla base
del principio «partecipa solo chi converge sulla strategia». Brutta soluzione. «è decisamente la meno rispettosa delle diversità, la meno autenticamente democratica». Nella storia secolare della Cgil.
pagina 10
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
LETTERE E COMMENTI
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DA RUBY A Silvio
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Non è finita l’era berlusconiana
Precario a 41 anni. Che ne dici?
Ho saputo che tramite questo giornalaccio si
può arrivare direttamente al cuore del santuomo che ci governa. Dopo undici anni di
precariato e con una borsa di studio alla
tenera età di 41 anni, mi piacerebbe essere
finalmente stabilizzato. Come migliaia e migliaia di miei colleghi e coetanei, tutti figli di
Mubarak, non disdegnerei una casa nella
città in cui lavoro, le malattie retribuite, la
tredicesima, la pensione. L'Audi non m'interessa. Ma a questo punto ci conto, eh?
Lorenzo
Mi trovi un posto da ricercatore?
Caro Silvio, colgo l'occasione per chiederti
aiuto perché qui butta male. Ho 41 anni,
sono uno storico dell'arte specializzato e
addottorato ed ho esperienze di lavoro alla
National Gallery di Washington ed al Victoria&
Albert Museum di Londra. L'università italiana mi riserva contratti di insegnamento per•
2mila euro lordi annui. Da tempo provo concorsi per ricercatore di cui puntualmente conosco in anticipo il nome del vincitore. Non
ti chiedo tanto: potresti mica telefonare a
qualsivoglia rettore di una università del regno per un posticino? Ti ringrazio in anticipo, so che sei un uomo di cuore...
Cristiano
M’ama o non m’ama? Forse no
Silvio Berlusconi ama le donne. Io sono una
donna e quindi Silvio mi ama. È importante
sentirsi amati da qualcuno, e non da un
qualcuno qualsiasi, ma dal Cavaliere Silvio
Berlusconi presidente del Consiglio. Contenta sì, però, dannazione, mi sorge un maledetto dubbio: poiché non sono più bella di
Rosy Bindi, e neppure più giovane di Rosy
Bindi, e il Cavaliere presidente del Consiglio
non ama Rosy Bindi, significa che non ama
neppure me. Eccomi distrutta, delusa, amareggiata. Il Cavaliere non mi ama. Ma forse
si è espresso male, il Cavaliere presidente
del Consiglio. Forse voleva dire che a lui piace fare sesso con le donne giovani e belle.
Forse neppure sa che cosa significa il verbo
amare. Altrimenti avrebbe continuato ad
amare la moglie, oppure avrebbe trovato
una nuova compagna con la quale vivere e
invecchiare serenamente e tranquillamente.
Francesca Ribeiro
In Questura per i migranti
Signor Presidente, visto che è «una persona
di cuore», come lei stesso ha affermato a
proposito del suo intervento presso la Questura di Milano per far liberare la bella marocchina minorenne Ruby, sono certo che
ora interverrà presso tutte le Questure italiane anche a favore dei tanti fratelli e sorelle
migranti che chiedono di poter restare in
Italia. Lei saprà certamente che purtroppo
alcuni sono maschi, e le donne spesso sono
brutte, sporche e cattive, come le confermeranno i suoi alleati di governo leghisti. Ma
«una persona di cuore» come lei non terrà
conto di queste piccolezze. Con cristiana
franchezza e ironia. Vitaliano Della Sala
–
Parliamo di acqua? Non di quella che ha invaso
le città del Veneto o provocato frane omicide in
Toscana, di cui ha già scritto in modo limpido – è
il caso di dire – Gianfranco Bettin sul manifesto
di mercoledì: troppo cemento e troppo asfalto,
sparizione della campagna e corsi d’acqua presi
in ostaggio, montagna abbandonata. È il meccanismo dello «sviluppo» in stile italiano. No, qui
parliamo dell’acqua da bere, per la cui salvezza
un milione e mezzo di cittadini, o quasi, hanno
firmato per i referendum promossi dal Forum nazionale dei movimenti per l’acqua. Il Forum ha
ora indetto una mobilitazione, il 4 dicembre prossimo, per ottenere una moratoria, in attesa del
voto referendario, alla privatizzazione dell’acqua,
e per dare un segnale del fatto che anche in Italia si guarda al vertice di Cancun, in Messico,
dove si discuterà di clima dopo il fallimento di
Copenhagen. Quel che ha colpito la mia immaginazione, parlando di acqua, è lo spot di Coop,
interprete la simpatica Luciana Littizzetto. La co-
POSTA Prioritaria
[email protected]
Chi ci racconterà l’America?
concetto, peraltro!) le alte cariche di uno
Stato è pensabile e ammissibile, forse, in
una situazione di totale normalità istituzionale ed etico.-politica. Ma una legge che cala su di un paese disastrato nel momento
stesso in cui un’ondata di sporcizia e di fango sommerge, ormai strutturalmente e direi geneticamente, alcune di quelle figure, anzi una, quella per cui tutto l’osceno teatrino è stato immaginato e montato, - come
può essere giustificata, accettata e tranquillamente votata? Il cosiddetto Lodo Alfano
dunque non è più votabile in nessuna delle
forme più o meno attenuate in cui è stato
presentato e discusso. Più esattamente:
chiunque voti oggi il Lodo Alfano è fuori da
qualsiasi ipotesi di ricostruzione democratica. Anche qui, a qualcuno può dispiacere,
ma è così.
Il punto successivo è una domanda: esistono le condizioni per cui questa scelta
possono, anzi dovrebbero partecipare senza esclusione alcuna, tutti gli altri, o per meAlberto Asor Rosa
glio dire, tutti quelli che in un modo o nell’altro, prima o poi, hanno contribuito a
(Intendo «catastrofe» nel suo senso
mettere la parola fine, all’era berlusconiapiù vasto: dissoluzione dei legami
na.
di unità nazionale; sfascio dei mecInsisto: un governo siffatto dev’essere
canismi decisionali; incapacità ormai defiestremamente serio e robusto, altrimenti
nitiva di risollevarsi dal baratro).
non reggerà all’urto. Se non sarà così, - lo
Vorrei proprio vedere gli argomenti di
dico molto sinceramente, - meglio imbocchi si provi a dimostrare che le cose non
care dall’inizio un’altra sequenza logica.
stanno così (anzi, è proprio su questo fonUn «governicchio» che nasce deliberatadamentale discrimine dell’analisi che si vemente a tempo, quali che ne siano le finalirifica la prima, grande e per ora decisiva setà, non serve a niente, anzi è destinato a
parazione dei due elementari, generalissipeggiorare le cose. Per essere un governo
mi fronti: fra chi è tuttora a favore della proserio e robusto, non potrà limitarsi alla risecuzione dell’era berlusconiana; e chi le è
scrittura della legge elettorale, misura per
ormai decisamete contrario). Ma se le cose
altro da prendere fra le prime: la gente non
stanno così, come non arrivare rapidamencapirebbe, penserebbe che un gigantesco
te (e quasi facilmente: naturalmente non
terremoto è stato provocato solo per far vinne ignoro le immense difficoltà, come dirò,
cere i perdenti. E allora cosa? Esiste innanzi
ma per ora m’interessa fissare il
tutto l’amplissimo e praticabilispunto logico) alla seguente riflessimo campo delle regole, nel
sione: per tentare di evitare la caquale forze eterogenee dal punVUOTI DI MEMORIA
tastrofe (se siamo ancora in temto di vista della tradizione e delpo), non c’è che da mettere fine
le prospettive, possono trovare
il più rapidamente possibile alun’intesa, diciamo, «costituziol’era berlusconiana.
nal-repubblicana»: i problemi
Mettere fine seriamente aldella comunicazione e della lil’era berlusconiana dipende,
bertà (sostanziale) di espressioAlberto Piccinini
non c’è dubbio, da molti fattori
ne; la separazione dei poteri; la
«Non è abbastanza praticare l’astinenza con gli altri. Si deve praticae da molte forze, se guardiamo
difesa della legalità e il rispetto
re l’astinenza anche con noi stessi. La Bibbia dice che soltanto desialle cose in profondità, e cioè
della magistratura; la lotta alla
derare significa commettere adulterio, non puoi masturbarti senza
agli innumerervoli germi portacorruzione e all’evasione fiscale;
desiderio». «Abbiamo tolto la Bibbia e la preghiera dalle scuole pubtori di catastrofe, che l’era berlula rivendicazione e la difesa delbliche. E ora abbiamo sparatorie ogni settimana. Abbiamo avuto la
sconiana ha generato, proliferal’unità nazionale (non sarebbe
rivoluzione sessuale e ora la gente muore di Aids». «Dio può sceglieto e scatenato in tutte le direzioauspicabile che per il 150˚, il quare di guarire qualcuno dal cancro, e questa persona può risparmiare
ni e con molteplici travestimenle attende finalmente da una
in spese mediche. Ma le spese mediche non determinano se quel
ti. Ma nell’immediato dipende
qualche parte un soffio vitale di
paziente sarà salvato da Dio o no». «Oggi l’America è un’economia
innanzi tutto dalle scelte parlaentusiasmo e di condivisione, ci
socialista. La definizione di un’economia socialista è: quando il
mentari del partito finiamo. Ho
sia un governo italiano autenti50% o più dell’economia dipende dal governo federale». «Nessuno
manifestato all’inizio simpatia
co di patriottismo repubblicapuò masturbarsi senza peccato. Sono una donna di trent’anni e soper il complesso di ripensamenno?). Insomma, i prodromi della
no casta». «La compagnie scientifiche americane stanno incrocianti, non solo politici ma culturali,
«ricostruzione
democratica»,
do umani e animali, e presto produrranno topi con cervelli umacui la nascita di questo tentativo
che precedono e condizionano
ni». «Sapete cosa? L’evoluzione è un mito. Perché le scimmie
di creare una destra autentica e
tutto il resto. Ma forse non è imhanno smesso di evolversi in esseri umani?» «Durante le primapulita, si è richiamata (andando
possibile pensare, con il medesirie ho sentito la voce di Dio. Mi ha detto: «Credibilità» (dichiaraincontro, anche a molti mugumo spirito, che anche la lotta
zioni di Christin O’Donnell raccolte dall’«Huffington Post»; la
gni di sinistra). Ora però provo
per la difesa e il rilancio della
candidata dei Tea Party è stata sconfitta ieri nel Delaware)
lì’impressione di un avvitamenscuola pubblica, dell’Università
to dell’esperimento intorno a rae della ricerca, possa essere ingioni fondamentalmente tattiscritto in questo capitolo, dopo
che e di opportunità. Se ciò dovesse avveniche si preannuncia dirompente (perché, bila vergognosa stagione gelminiana.
re, l’esperimento rivelerebbe di avere fiato
sogna saperlo, di una scelta dirompente si
E l’economia? Sì, è vero, in quel campo
corto e prospettive poco ambiziose: male,
tratta) si realizzi e faccia fronte agli innumeeterogeneo di forze, di cui stiamo parlanmolto male, per un movimento nascente
revoli ostacoli che le saranno frapposti? (Il
do, esistono, per dirla con estrema appros(o rinascente su nuove basi). Il secondo
ricorso alla piazza ventilato più volte negli
simazione, sia i sostenitori di Marchionne
punto della sequenza logica, dunque, è affiultimi giorni disegna un ulteriore scenario
sia i sostenitori della linea Fiom. Ma forse
dato essenzialmente alle decisioni prossidella catastrofe nazionale: quello eversivo).
nell’immediato anche questa contraddiziome future del Fli. Mi rendo conto che a
Le condizioni parlamentari esistono. Anne si può ragionevolmente affrontare, se il
qualcuno possa dispiacere, ma è così.
che in questo caso con un ulteriore requisiproblema è, come dicevo, evitare la cataDel resto, io credo che, non solo per Fini
to: a un governo, per quanto provvisorio, di
strofe, la catastrofe non giova agli operai, di
e i finiani ma un po’ per tutti sia ormai arri«ricostruzione democratica» non possono
sicuro molto meno che ai padroni; oggi più
vato l’hic Rhodus hic salta. Non è vero che
in nessun modo essere chiamati a partecidi sempre, direi. E forse, sempre nell’immeincombe ancora, sulle aule del sempre più
pare quanti hanno costituito in questi anni
diato, salvare l’economia nazionale, che
malmesso Parlamento italiano, il cosiddetil tessuto solidale dell’era berlusconiana, e
sta andando anch’essa come tutto il resto
to Lodo Alfano? Allora, il terzo punto della
cioè (et pour cause) il medesimo Berluscoverso la catastrofe, si può, al tempo stesso
sequenza logica è: una legge che protegga
ni, qualsiasi altro esponente del Pdl in
frenando, impedendo, invertendo di rotta
dalla «persecuzione giudiziaria» (strano
quanto rappresentative del Pdl e in Lega:
la débâcle operaia.
DALLA PRIMA
–
–
Credibilità
DEMOCRAZIA CHILOMETRO ZERO
L’acqua e la Coop
Pierluigi Sullo
mica preferita di Fabio Fazio riempie un bicchiere
d’acqua, dice qualcosa come «ma lo sapete
quanta strada deve fare l’acqua per arrivare sulla
vostra tavola?», e la si vede che cammina su una
strada, soffocata dai gas di scarico di un brutto
camion. Poi Luciana entra in casa, e dice: hanno
inventato i tubi, si può bere l’acqua del rubinetto
oppure si può andare alla Coop. E perché si può
andare alla Coop? Ma perché i supermercati Coop si impegnano a mettere in vendita solo acqua
minerale proveniente da fonti vicine al punto vendita. In poche parole, acqua minerale a chilometro zero. Ecco, in casi come questo non è facile
sbrogliare le intenzioni di chi ha prodotto lo spot.
Se si tratta cioè della resa alle tesi del movimento per l’acqua, che da anni va spiegando come
portare in giro miliardi di bottiglie di acqua minerale contribuisce corposamente alla super-produzione di gas serra, o se si tratta di un modo per
assorbire, diciamo così, la pressione che un numero crescente di consumatori esercita sulla
grande distribuzione: ad esempio, non comprando più acqua minerale. Una micro-rivoluzione passiva, come direbbe quel tale. Ad attirare l’attenzione è quell’«oppure», che stabilisce una equivalenza: acqua del rubinetto uguale minerale della
Coop. Il messaggio è però amputato di una serie
di altri problemi che l’acqua minerale provoca.
Va bene, c’è il trasporto a lunga distanza, ma c’è
anche l’imbottigliamento nella plastica, il cui
smaltimento è una delle cause – insieme al
«packaging» demenziale di una infinità di altri
prodotti – delle crisi dei rifiuti come quella di Napoli. E c’è appunto l’appropriazione privata delle
fonti, per le quali le multinazionali – proprietarie
di gran parte delle acque minerali in Italia – pagano diritti di sfruttamento irrisori, a confronto con i
profitti. Tipico è il caso dell’acqua battezzata «Lilia», che proviene dalle fonti del Vulture, in Basilicata, cedute a Coca Cola Company da una giunta regionale di centrosinistra assetata di «progresso». Una enorme campagna pubblicitaria ha imposto il marchio e se ora su un treno chiedete un
po’ d’acqua vi allungano bottigliette di «Lilia» a
prezzi da usura. Ma non è finita. Vicino a casa
mia, a Roma, c’è un supermercato che ha da poco cambiato insegna: prima era Gs e ora è Doc.
Sugli scaffali, un mucchio di prodotti targati Co-
Caro direttore, un giornale come il manifesto di
oggi non può scomparire e non solo per i giusti
motivi ricordati da Vittorio Arrigoni, ma per gli
interessanti articoli di Luigi Cavallaro e Maria
Turchetto, di Alessandro Portelli e di Marco
d’Eramo. Quest’ultimo ci racconta la desolazione di un quartiere ghetto (Chicago South Side),
quartieri che raramente ci vengono raccontati. A
noi viene raccontato il sogno americano, non la
realtà di milioni di americani, senza diritti sociali e quindi senza diritti umani. Nelle librerie si
incontrano molti libri che parlano dei gulag sovietici, ma non se ne trovano sulla vita nei ghetti americani, forse la differenza sta nel pensare
che nei gulag ci eri mandato come in una prigione, mentre nei ghetti ci si va liberamente per
una scelta o per una responsabilità personale.
Portelli mette il dito sulle conseguenze negli
Stati Uniti dell’immigrazione sul mercato del
lavoro statunitense, quelle stesse conseguenze
si verificano quando le imprese delocalizzano. I
bassi salari che ne conseguono e la crescita
della produttività (come rileva Cavallaro) sono
all’origine dell’attuale devastante disoccupazione, crisi sociale e politica nei paesi occidentali.
In altri termini crisi e disuguaglianze crescenti
sono il risultato della liberalizzazione dei mercati
a livello globale, in particolare di quello del lavoro che ha messo a disposizione un enorme ed
infinito esercito industriale di riserva. Ecco, credo che il manifesto dovrebbe porsi il problema
di come rompere la liberalizzazione del mercato
del lavoro, ma forse al manifesto la si pensa
diversamente. Allora perché non aprire un dibattito?
Cavalieri Tiziano
Unitevi con Liberazione
Care/i compagne/i, rilfettendo da lettore, sia
de il manifesto che di Liberazione, sulla grave
minaccia di chiusura incombente su entrambi i
quotidiani, ritengo che forse l’unica via di uscita
da un’emergenza che rischia di diventare cronica ed inestinguibile risieda nella sola condizione che,storicamente, abbia consentito al movimento operaio ed alla sinistra di continuare ad
esistere e resistere: l’unità. Perché dunque non
unire i due quotidiani di fronte al pericolo comune? Perché non iniziare ad unire la Sinistra da
questo punto? Non sto ipotizzando una fusione
ma, molto più semplicemente, magari un unico
contenitore cartaceo double-faces in cui, studiate le dovute proporzioni e fermo restando l’assoluta indipendenza di una redazione dall’altra,
proporre un doppio quotidiano fronte-retro. Penso che forse una soluzione del genere condurrebbe a risparmi ed economie di scala su voci
di costo significative (penso alla distribuzione,
alla carta, alla tipografia ecc...), forse anche ad
una maggiore appetibilità pubblicitaria e, soprattutto, al fatto che nessun lettore perderebbe il
suo giornale (mentre ognuno dei due quotidiani
ne guadagnerebbe invece migliaia). Se usare lo
stesso megafono (e senza nemmeno il rischio
di confondersi), servisse a farci continuare
l’ascolto delle due voci di cui non possiamo
fare a meno, penso dovreste farci un pensierino. Sarebbe anche un bell’esempio. Saluti comunisti. Gianni Fagnoli, Forlì
–
op. Ero contento, là per là, mi pareva quasi di
essere andato a vivere a Firenze. Faccio una rapida ricerca e scopro (fonte Wikipedia) che hanno
cambiato bandiera, acquistati da Unicoop Firenze, «14 tra minimercati, supermercati e superstore già a marchio Gs e Dì per Dì, situati a Roma e
provincia». Prima appartenevano al Gruppo Luciani, che «detiene una quota residuale del 5 per
cento nella nuova società: per questo motivo i
punti vendita non portano ancora l’insegna Coop
ma l’insegna fantasia Doc. Al termine di un periodo di transizione, Unicoop Firenze acquisirà l’intero capitale sociale e i punti vendita passeranno a
insegna Coop» (e l’insegna Doc, ha scoperto qualcuno, non è altro che il marchio Coop a testa in
giù e amputato). Ottimo. Però sono andato a vedere che acqua minerale vende il Doc vicino a
casa mia: ci sono proprio tutte, vicine e lontanissime, compresa la «Lilia». Dipenderà da quel 5
per cento?
[email protected]
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
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DEI CITTADINI
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UNA STATUA DEL MARATONETA NELLE STRADE DI ATENE / FOTO REUTERS
Un’intervista con lo studioso Engin Isin.
La prospettiva di una cittadinanza
cosmopolita dopo che si è consumata
quella basata sui confini certi
dello stato-nazione e su appartenenze
come la razza, il genere e la classe sociale
Teresa Pullano
E
ngin Isin ha una cattedra in Studi sulla
cittadinanza ed è professore di scienze
politiche alla Open University di Londra, dove ha diretto il «Centro di ricerca su cittadinanza, identità e governo». Di origini molteplici, ha lavorato per quindici anni all’Università di York, in Canada, prima di tornare
in Europa. Affondando le radici in un’esperienza cosmopolita, il lavoro di Isin si concentra sulla possibilità di superare l’orizzonte,
spesso angusto, della nazione per sperimentare forme di comunità più intense e libere.
Lo incontriamo a Londra, in occasione di un
incontro in onore del filosofo francese Étienne Balibar su come pensare la cittadinanza al
di là della comunità nazionale.
L’idea di una cittadinanza al di là della nazione è appannaggio sia del pensiero liberale che, in misura minore, di quello radicale.
Lei concepisce la filosofia politica come
una forma di attivismo e di impegno politico, in che modo dunque l’esigenza di oltrepassare i confini nazionali si coniuga con
un progetto di emancipazione politica e sociale?
Il mio obiettivo è pensare tutti gli uomini e
le donne come soggetti politici, ed evitare di
ridurli a gruppi nazionali, identificati ad elementi naturali, razziali, etnici o di genere, come essere nero, essere una donna, essere
omosessuale. Le costruzioni nazionali sono
l’effetto perverso della genericità di nozioni
come umanità e Stato. Si tratta di ripensare
l’idea, formulata da Hannah Arendt, del «diritto ad avere diritti». Per Arendt, il cittadino
deve essere pensato al di fuori delle idee di
nazione e di umanità, e all’interno della cornice statuale. Lo stato è il protettore supremo
del soggetto politico. Arendt nota come stato
e la nazione siano stati associati e appiattiti
l’uno sull’altro, creando dei problemi rilevanti. Gli apolidi sono di conseguenza privi di
ogni protezione. Ne deriva la sua critica ai diritti umani, che non danno protezione politica alle persone quando e dove ne hanno bisogno.
Nella vita politica, quando si è sprovvisti di
nazionalità, essere «umani» non aiuta molto.
Anche se è fantastico riconoscere i diritti civili, si continua a trattare un «negro» come un
«negro». Ciò che Arendt non riesce a chiedersi è come trattare un «negro» come soggetto
politico.
La nozione di cittadinanza può essere una
nozione ambigua, in grado di giustificare lo
status quo e le differenze di classe e ceto,
ma anche capace di essere forza di rivendicazione di eguaglianza e diritti. Come conciliare questi due aspetti?
La finzione alla base della cittadinanza occidentale è quella di un soggetto politico che va
oltre ogni appartenenza a tradizioni, tribù e
relazioni di sangue. L’autonomia dell’individuo liberale è la ragione della superiorità dell’Occidente sul resto del mondo, secondo la
lettura classica di Max Weber. Il liberalismo,
la borghesia ed il capitalismo sono un triangolo che struttura la fondazione dello stato, in
particolare dello stato-nazione. Si tratta quindi della storia di una classe dominante, che
ha descritto il suo soggetto dominante come
il soggetto ideale della politica. Presentato co-
UNA POLITICA RADICALE
DOPO L’ECLISSE DELLA POLIS
me al di sopra di ogni affiliazione, è invece un
soggetto molto specifico e radicato. All’inizio,
era solo maschile, quando le donne non erano considerate come un soggetto politico,
questo è stato il risultato di lotte. Era proprietario: l’inclusione nella sfera politica della
classe dei lavoratori o di coloro che non hanno proprietà è un’altra acquisizione recente,
il risultato di conflitti sociali e politici. Era eterosessuale, rispettoso della morale borghese.
Era bianco.
Questa grande teoria rivela alla fine un soggetto determinato e affiliato ad una specifica
«tribù». Dire questo implica però incorporare
le lotte per tutte le cittadinanze «altre» rispetto alla cittadinanza liberale, ovvero per l’apertura alle questioni ecologiche, di genere e sociali. Non è possibile pensare la cittadinanza
senza i suoi «altri». Il progetto è dunque quello di disegnare una genealogia della cittadinanza per ridefinirla. La cittadinanza può in
questo modo essere pensata come la soggettività politica che permette agli altri, ai gruppi
dominati e assoggettati, di avanzare delle richieste. Questa deve essere la fonte di una
nuova inflessione nel significato del «diritto
ad avere diritti» alla città, alla polis.
Nel tentativo di ridefinire la soggettività politica contemporanea, lei ha cercato di sviluppare un’idea nuova, quella di «atti di cittadinanza». Si tratta di un tentativo di pensare l’azione collettiva e l’impegno politico. Ci può spiegare cosa intende con questo termine?
La domanda che ci dobbiamo porre è: cosa
fa sì che nuovi soggetti si costituiscano come
soggetti politici? La nozione di «atti» è una
delle meno teorizzate nell’ambito della teoria sociale. Io ho iniziato precisamente a pensare alla nozione di atti di cittadinanza. Aven-
SCAFFALI
Dallo Stato-nazione
alla politica cosmopolita
Engin Isin ha una cattedra in «Studi sulla Cittadinanza» ed è docente di «Scienze Politiche e relazioni internazionali» presso la Open University di
Londra. Ha diretto il centro di studi sulla «Cittadinanza, Identità e Governance» nella stessa università. Prima di rientrare in Europa nel 2007, ha
insegnato e fatto ricerca per quindici anni presso
la York University di Toronto, in Canada. Si è laureato presso la Facoltà di architettura all’Università tecnica mediorientale di Ankara, in Turchia,
nel 1982, ed ha ottenuto il dottorato in geografia
presso l’Università di Toronto, nel 1990. Tra i
corsi più originali che Engin Isin ha condotto,
citiamo Il «Cittadino Nevrotico, Cittadinanza Queer et Teorizzare gli Atti». Engin Isin ha pubblicato
vari libri e articoli sulle politiche della cittadinanza, tra cui «Cities Without Citizens» (1992) e
«Being Political» (2002). Il suo obiettivo è stato
quello di documentare storicamente come la cittadinanza è stata contestata dai suoi «altri» (gli
stranieri e gli esclusi) e come la rivendicazione di
diritti li abbia costituiti come soggetti responsabili. I suoi progetti attuali includono «The Gift of
Law», «Enacting European Citizenship» e «Governing Affects». Sta inoltre lavorando ad un progetto, finanziato dall’agenzia europea per la ricerca,
su come pensare la cittadinanza al di là di ogni
«orientalismo», ovvero in dialogo con le esperienze e le teorie della cittadinanza in Africa, Asia,
India, Australia e le Americhe.
do un passato da attivista, mi chiedevo: cosa
spinge le persone, cosa le motiva a dire: non
è solo ingiusto quello che sto osservando,
bensì è intollerabile, quindi passo all’azione.
Prendiamo il caso paradigmatico di Rosa
Park, l’attivista afro-americana che nel 1965
rifiutò di cedere il posto riservato ai bianchi
sull’autobus.
Il mio punto di vista è psicoanalitico-politico: mentre molte persone riconoscono le ingiustizie, cosa mobilita Rosa Park e nessun altro? Non è sufficiente constatare l’ingiustizia,
ma è necessario rischiare qualcosa. Questo significa «agire». In questo senso, un’opinione
non è un atto. Come attivista, se non senti
che stai rischiando qualcosa, sai che ciò che
fai non è genuino. Dobbiamo distinguere tra
azione ed opinione, tra fatto e parola. Non si
tratta di svalutare la parola, il che sarebbe ipocrita, ma di dare all’azione un potere autonomo ed irriducibile. Cosa costituisce un atto?
Non può essere compiuto individualmente,
ma necessita di un lavoro collettivo.
Quali sono le alternative all’idea occidentale di cittadinanza?
Oggi, la comunità politica ermeticamente
chiusa, ovvero lo stato nazionale, è inadeguato all’organizzazione delle pratiche nel mondo e questo appare nelle numerose crisi che
sta attraversando. A questo, ci sono varie risposte possibili: una consiste nel ravvivare varie forme di neo-nazionalismo, oppure si
può cercare di riprodurre la nazione ad un’altra scala, secondo l’idea della democrazia cosmopolitica. In alternativa, si può provare a
pensare a partire dal momento presente come quello in cui è possibile pensare in modo
diverso a cosa significa essere politico oltre la
dominazione della teoria politica occidentale
ed eurocentrica. Saltare direttamente alla democrazia cosmopolitica significa reinscriversi all’interno della tradizione politica eurocentrica, greca e giudeo-cristiana.
Ci stiamo muovendo verso uno spazio ed
un tempo di sperimentazione; l’idea di una
cittadinanza cosmopolita e mondiale chiude
questo spazio. Questo è il tempo di ripensare
cosa significa l’azione politica. La domanda
è: è possibile pensarlo insieme agli studiosi e
agli attivisti cinesi o indiani? È possibile costruire delle pratiche genuinamente transnazionali senza aprire a nuove forme di dominazione occidentale? Se vogliamo un pensiero
critico, dobbiamo prendere il linguaggio sul
serio. In questo senso, mi chiedo se abbia
senso usare il termine di cittadinanza, che è
un termine del lessico occidentale, per parlare del soggetto politico. Al contempo, è impossibile trovare un altro termine senza confrontarsi seriamente con la nozione di cittadinanza.
In un contesto di trasformazione delle frontiere nazionali e di riposizionamento dei paesi occidentali in un contesto internazionali in cui si profilano nuove potenze, come
legge la crisi che l’Europa sta attraversando in questo periodo?
Oggi, l’Europa è un campo di battaglia importante. È necessario pensare l’Europa come
uno spazio di lotte e, in quanto tale, è aperta
a varie rivendicazioni. Dobbiamo capire quali sono le forze specifiche che stanno cercando di prendere il controllo dell’Europa. Possiamo distinguere tra forze interne ed esterne. È indispensabile però chiedersi cos’è l’Europa per chi non è europeo, pensare l’Europa
a partire dai suoi altri. L’Europa in sé non è sigillata ermeticamente, ma si insinua in Asia,
in Turchia, si perde nell’Africa e nell’America
del nord. È amorfa, e le sue estensioni vanno
oltre i confini geografici del continente. Bisogna guardare all’Europa non come ad un’entità geografica, ma come ad un campo, non limitato in se stesso. Ciò che è in gioco è la riorganizzazione delle varie forme del capitalismo. Non dobbiamo pensare al capitalismo
con la «C» maiuscola, bensì come frammentato, multiplo, caratterizzato da tensioni e contraddizioni.
Tra le forze interne all’Europa ci sono senza dubbio gli stati membri. Sono loro ad organizzare gli interessi e a fare rivendicazioni sull’Europa e sono loro che costituiscono una
sorta di collettivo che domina l’Europa, ovvero l’Unione europea. Il dilemma della sinistra è quello di come organizzare i diritti al
tempo del neoliberismo. Possiamo parlare di
diritti a livello europeo, in termini generali,
ma alla fine dobbiamo fare i conti col modo
in cui ogni stato membro organizza concretamente diritti e interessi in Europa. Tuttavia,
io non penso che l’Europa debba essere identificata con l’Unione Europea. Questa è un attore tra gli altri e non esaurisce il progetto europeo, anche se non dobbiamo sottovalutarne l’importanza. Non c’è un solo modo di
mettere in atto una politica europea.
L’Europa contemporanea sembra ben lontana da ogni ideale di avanguardia cosmopolita, e oltre a diventare sempre più isolata e
provinciale sembra inoltre avviarsi verso
nuovi nazionalismi e populismi. Come si
può cambiare prospettiva?
La crisi finanziaria arriva in un momento in
cui il neoliberismo ha già infiammato i nazionalismi nei vari stati europei in vario modo.
Neoliberalismo e reazione securitaria vanno
inesorabilmente a braccetto. La Grecia non è
che uno dei punti di intensità della crisi, che
poi si sposterà, per esempio in Portogallo,
Spagna, Regno Unito, Italia etc. Ciò che è in
gioco è quello che significa pensare ai cittadini europei come soggetti di diritti europei. È
importante riarticolare la questione in questi
termini: anziché pensare alla zona euro come luogo della finanza, dobbiamo chiederci
cosa deve la zona euro ai greci in quanto cittadini europei. Questa non è la domanda che è
posta ai burocrati e ai politici che si occupano della zona euro e di come stabilizzarla. Oltre e al di fuori dei partiti, chi può porre queste domande? Quali soggetti della storia possiamo immaginare oggi che ci permettano di
porre queste domande non in termini finanziari ma politici?
Torniamo qui al tema degli atti politici: cosa mobilita le persone, cosa permette loro di
vedere la questione come politica? Io tendo a
pensare la politica in termini drammaturgici.
Come iniziare a fare apparire gli eventi come
diversi da ciò che sembrano?
INCONTRI
A Roma le opere
marxiane entrano
nel XXI secolo
BenOld
M
arx nel ventunesimo secolo.
È questo il titolo di un seminario che si apre oggi a Roma presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma 3 (Aula
Magna della Facoltà di Scienze Politiche, via G. Chiabrera 199, ore 15). Al di
là dell’immaginifico titolo, l’obiettivo
dell’incontro è di proporre una analisi
critica del capitalismo contemporaneo; ma anche di fare i conti con la griglia analitica marxiana che in tempi recenti ha conosciuto gli interessati e elogiativi interessi di riviste e opinion
makers che marxisti non sono. È infatti diventato un luogo comune l’evocazione degli scritti di Jacques Attali o degli editoriali del «Wall Street Journal» o
dell’«Economist» all’interno dei quali,
l’opera di Marx è stata indicata come
opera profetica sulla crisi globale che
sta paralizzando l’economia degli Stati
Uniti e del continente europeo. (Diverso è il caso della Cina e dell’India, dove
l’immane produzione di merci non sta
certo conoscendo battute d’arresto).
Argomenti tutti che costituiranno il
filo rosso delle relazioni di Mauro Magatti, Vanni Codeluppi, Enrica Tedeschi, Francesco Antonelli e Maria Luisa Maniscalco. Magatti infatti metterà
al centro della sua riflessione su quel
«sistema tecnico» che sembra aver acquisito una radicale autonomia e potere di indirizzo nell’agire sociale. Ma se
lo studioso milanese cercherà di dipanare la matassa di un determinismo
che assegna alla tecnologia il ruolo di
locomotiva dello sviluppo economico,
Vanni Codeluppi proverà a svelare
nuovamente il feticismo delle merci
che tanto appassionò Marx. A Carlo
Formenti e Benedetto Vecchi il compito di capire se l’analisi marxiana del lavoro può essere usata per svelare l’arcano dei contemporanei atelier della
produzione. Francesco Antonelli, invece, cercherà di vedere come le analisi
degli intellettuali maturate in ambito
marxista e non solo reggono la prova
del confronto con le tesi sulla «classe
creativa» di Richard Florida e con le trasformazione della comunicazione politica alimentate dai mass-media e dalla
Rete. Infine, Enrica Tedeschi proporrà
un’immersione negli scritti «maturi»
di Marx dove le nozioni come modo di
produzione asiatico, comunismo primitivo svolgono un ruolo dirimente
per delineare come lo sviluppo capitalistico non debba seguire sempre le
stesse traiettorie.
pagina 12
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
«Boardwalk Empire»
presentato fuori concorso
alla kermesse capitolina,
primo episodio diretto
dal regista
italo-americano
di una serie televisiva
prodotta dalla Hbo.
Anni Venti ad Atlantic City,
inizia il proibizionismo
e il sodalizio mafia/politica
La fantasmatica luce
di Joseph O’ Connor
ISABEL MUNOZ, SENZA TITOLO 1990
LIBRI: JOSEPH O’ CONNOR, UNA CANZONE
CHE TI STRAPPA IL CUORE, TRADUZIONE
DI MASSIMO BOCCHIOLA, GUANDA, PP. 280
EURO 17
Silvia Albertazzi
C
i sono tutti gli elementi del mélo
nell’ultimo romanzo di Joseph O’
Connor, Una canzone che ti strappa il cuore: amore contrastato, passione,
abbandono, sofferenza fisica e morale,
alcool e solitudine, guerra, metropoli
inospitale e natura incontaminata, le luci della ribalta e l’oscurità dei camerini
nei teatri di quart’ordine, viaggi intercontinentali e passeggiate romantiche,
scontri generazionali e conflitti familiari, biografia e finzione, personaggi reali
e figure immaginarie e, naturalmente,
un ineluttabile sentore di morte. Ce ne
sarebbe abbastanza per confezionare il
più trito dei polpettoni sentimentali: e
invece lo scrittore irlandese, miscelando
questi elementi scontati, è riuscito a realizzare uno tra i migliori romanzi in lingua inglese pubblicati quest’anno. Uno
di quei romanzi che ti prendono alla gola, una storia d’amore che, per parafrasare l’azzeccato titolo scelto dalla traduzione italiana (il titolo originale è Ghost Light, ovvero, Luce fantasma)letteralmente, ti strappa il cuore.
Non è necessario conoscere le biografie dei protagonisti, il commediografo
John Synge e l’attrice Molly Allgood
(alias, Maire O’ Neill), per apprezzare
questa vicenda, per lasciarsi incantare,
soprattutto, dalla voce di lei, narratrice
stranita che, logorata dalla vita e dall’alcool, quarant’anni dopo la morte dell’amato, con una carriera distrutta, una guerra,
un marito e due figli alle spalle, ancora
ne insegue il fantasma, ancora vive nel
suo ricordo. È proprio la narrazione di
Molly, un monologo che la donna rivolge
a se stessa, a volte frantumato da intromissioni in prima persona, più raramente commentato con distacco nella terza,
che impedisce cadute nel romanticismo
FOTOGRAFIA
Addio a Sibylle Bergemann,
dalla moda al giornalismo
La fotografa tedesca Sibylle Bergemann è morta
a Berlino, all’età di 69 anni. Nata a Berlino nel
1941, Bergemann lavorò tra il 1965 e il 1967
nell'ufficio editoriale della rivista «Das Magazin».
Avvicinatasi alla fotografia nel 1966 (era l’assistente di Arno Fischer, uno tra i più stimati docenti di fotografia nella ex Germania dell’est),
l’anno successivo iniziò a lavorare come freelance per la rivista «Sibylle» che, nella Germania
comunista, ebbe un’enorme influenza sulla percezione collettiva nel campo della moda, della
cultura e dei modi di vivere. Bergemann ha lavorato per le case editrici «Der Morgen» e «Der
Greifenverlag». Oltre alle fotografie di moda, ha
realizzato molti ritratti di attori e artisti, reportage
e immagini documentarie. Nel 1990 è stata tra
le fondatrici dell'agenzia tedesca OstKreuz.
più languido e patetico. Dandosi del tu,
parlando a se stessa come a un’altra persona, Molly commenta i fatti banali della
propria meschina vita londinese, in cui fame, freddo e alcool la fanno da padroni, e
rievoca i giorni del suo amore poco più
che adolescente per il drammaturgo già
allora minato dal cancro e tanto più anziano di lei. La narrazione procede in una
sorta di montaggio incrociato sul doppio
binario del presente – il cupo dopoguerra
inglese – e del passato ormai remoto – l’Irlanda d’inizio secolo, i giorni dell’Abbey
Theatre, di Dublino, di Yeats e di Augusta
Gregory. La vecchia Molly, alcolizzata e
sola, parla all’attrice Maire con voce piana, senza indulgere alla lacrima facile,
senza nostalgia; altre volte, sembra piuttosto essere Maire, la Musa di Synge, a parlare al suo doppio ormai distrutto dalla vita e dalle sofferenze. Le due identità della
donna si fondono e confondono in una
narrazione in cui il ricordo e il sogno
emergono dal presente come fantasmi
che si materializzano all’improvviso (o come entità reali che si smaterializzano),
senza tuttavia creare alcuna confusione
nel lettore, che, anzi, viene travolto dal
flusso di immagini evocate dalla fame,
dai fumi dell’alcool e dalla solitudine, fino ad accettare la possibilità di una ossimorica realtà fantastica in cui i concetti
di passato e presente, ma anche di morte
e vita, finiscono per annullarsi.
Sorta di Mrs Dalloway al contrario,
Molly, la figlia del rigattiere, «cresciuta
fra il ciarpame che nessuno più voleva»,
si trascina in una cupa giornata di novembre, attraverso una Londra plumbea, inseguendo l’unica luce che può illuminare il grigiore autunnale, la luce fantasma,
quella che gli attori lasciano sempre accesa nel teatro buio, «in modo che i fantasmi possano recitare i loro drammi». È
questa luce – alla quale, non per caso, fa
riferimento il titolo originale – a offrire la
chiave interpretativa di tutta la storia. Se
la vita è un teatro – in cui spesso gli attori
appaiono fuori parte perché, non comprendendo le battute che altri hanno
scritto, le recitano nell’unica maniera conosciuta – la relazione clandestina tra il
drammaturgo alto borghese alle soglie
della mezza età e l’attrice proletaria diciassettenne somiglia a un dramma le
cui prove sono andate avanti troppo a
lungo: «e le prove troppo lunghe non vanno a buon fine». Eppure, a distanza di
quattro decenni, richiamato dalla luce
fantasma, John Synge torna nel dialogo
di Molly con se stessa, torna ad accompagnarla, da ultimo, verso quella morte che
prima di ghermirla dovrà «arretrare contrariata tra le fessure del parquet» e «attendere fino ai monologhi conclusivi, perché è ambizione di tutti quelli del tuo mestiere morire con le scarpe ai piedi».
A proposito di Yeats, Molly osserva che
il grande poeta non aveva mai visto «la
quotidianità, la trama e l’ordito di una vita, i dialoghi senza importanza e i barlumi privi di significato che pochi narratori
potrebbero mettere dentro una storia».
Come la sua protagonista, invece, Joseph
O’ Connor è «arrivato a sentire che queste nullità sono la storia». Se Yeats, secondo Molly, «aveva paura di una vetrina di
tessuti, di un dialogo sul tram, dei discorsi sconclusionati di un vecchio», O’ Connor sceglie di raccontare una grande storia d’amore attraverso la voce di una donna che si sente simile «a una vecchia barca a remi gettata in una torbiera»; una
donna così sola da parlare «con la radio
… con la pioggia … con i cani e con i fiori
nei giardini altrui … con i vestiti che non
vanno più bene e con i piatti che andrebbero lavati … E con Shakespeare e con il
primo ministro e con il capo dell’opposizione e con chiunque abbia inventato il
reggipetto, e Mozart, Stalin e Franco e il
Santo Bambino di Praga …»
Nell’avvertenza finale, O’ Connor dichiara che Una canzone che ti strappa
il cuore «è un’opera d’invenzione che
spesso si prende grandissime libertà rispetto ai fatti». In effetti, Yeats e O’ Casey nel suo romanzo sono poco meno
che comparse: del primo si legge addirittura che aveva «poco sugo». E secondo la nota esplicativa premessa al romanzo, la trama di O’ Connor non è
neppure costruita intorno a John Synge, «il più importante drammaturgo irlandese del Novecento». È Molly la vera, unica protagonista della storia:
«Una donna affamata che attraversa le
strade sferzate dalla neve. Non è un
dramma degno di andare in scena?»
festival di roma
ROMANZI · L’ultima prova narrativa dello scrittore irlandese
MARTIN SCORSESE, SOTTO FOTO DA «BOARDWALK EMPIRE».
IN BASSO A DESTRA GIANNI
L’età dei gangster
di Martin Scorsese
Mariuccia Ciotta
L
uce radiante di Atlantic City, anni
Venti, gli anni del jazz, di Francis
Scott Fitzgerald e delle sue «maschiette», antidoto alle dame della santa
temperanza che aprono Boardwalk Empire, primo episodio diretto da Martin
Scorsese della serie targata Hbo, la tv via
cavo americana, leader nella produzione
di altissima qualità. Il «pilot» delle dodici
puntate (in onda su Sky dal gennaio
2011) è stato presentato ieri fuori concorso al Festival di Roma, dopo il red carpet
del regista dell’Età dell’innocenza, arrivato nella capitale per presentare la copia
restaurata di La dolce vita.
Italoamericano amante dei Goodfellas,
Scorsese torna agli scenari della malavita
sul lungomare della città del gioco d’azzardo, ricostruita (l’episodio è costato 18
milioni di dollari, 60 l’intera serie) nei colori sgargianti di un’epoca euforica che finirà il decennio con la Grande Crisi e la
perdita del «sogno». L’incubo si annuncia già nella bellissima passeggiata al sole, sul bordo dell’Atlantico dove si specchia malinconico Enoch «Nucky» Thompson, politico fradicio di corruzione interpretato da uno Steve Buscemi mai così
perfetto, in bilico tra delicatezza e criminalità, sensibile ai ricordi di un passato
tragico (la moglie è morta giovane). Lo
sguardo perso dietro la vetrina di una
nursery, fisso sul fagottino dove scalpita
un neonato... Porterà un mazzo di fiori a
una povera signora finita in ospedale per
le botte del marito che le hanno procurato un aborto mentre, in montaggio alternato, l’uomo viene pestato a sangue e
gettato in mare dai poliziotti agli ordini
del «benefattore». Un delinquente delicato, promotore della collusione mafia/politica che squaderna la sua mitologia, e ci
presenta un Al Capone in erba, autista e
guardiaspalle del boss ebreo di Chicago
Arnold Rothstein (Nichael Stuhlbarg), seguito da «Big Jim» Colosimo (Frank Crudele), Lucky Luciano (Vincent Piazza) e il
fratello sceriffo di «Nucky», congressman sotto l’amministrazione Wilson.
Countdown nella notte (tra il 15 e il 16
gennaio 1920) che inaugurò il «regime
secco» e il più florido mercato nero degli
alcolici. Il proibizionismo rese allegri i
gangster (come sempre), riuniti ad Atlantic City per un festoso brindisi che finirà
solo nel 1933 con Franklin D. Roosevelt.
L’epopea gangster scorre come un
whisky al malto nello sguardo di Scorsese che abbandona i toni scuri delle allucinazioni maccartiste di Shutter Island e disegna un’America pop dalle tinte cangianti come i completi azzimati di
«Nucky», promotore della nuova era, disinvolto nel trattare con la generazione
dei gangster «moderni», cinici, sanguinari, dotati di uno slang incomprensibile
per il vecchio padrino di Little Italy. Broccati, salotto dalle rifiniture dorate, un giradischi a tromba che spande musica
operistica... arredamento cliché del mafioso di un tempo, socio della banda degli spacciatori di alcool illegale, distillato
nelle cantine e nei retrobottega dei casinò. Sarà sparato alla testa in una pioggia
di sangue perché non capisce cosa vuol
dire «lattuga», verdone, dollaro e non
ama il jazz.
Tra le mani dei neo-mafiosi circola la
bibbia di Henry Ford, The International
Jew The World’s Foremost Problem
(L’ebreo internazionale) fresco di stampa (esce nel 1920), guida antisemita e anticomunista prediletta da Hitler che nel
1938 insignì l’industriale di Detroit della
Gran croce del supremo ordine dell’aquila tedesca. Filosofia di vita alla catena di
montaggio, auto e alcool per tutti sotto la
legge dei «capitani d’industria» in ghette
e abiti gessati che in quegli anni si allenavano a governare l’impero.
Ideata da Terence Winter (I Soprano),
prodotta da Scorsese (che firma solo il pilot) e da Mark Whalberg (attore in Departed), Boardwalk Empire, la serie, comincia in crescendo, accompagnata dal successo di critica e pubblico americani, e
pronta a una seconda stagione. Difficile
però mantenere la polifonia di Scorsese,
le sfumature, i rimandi sociali in questo
affresco crudele, un’altra «nascita di una
nazione» alla maniera di Gangsters of
New York. L’America dei mitra condita
con l’innocenza perduta sul fronte della
grande guerra del giovane allievo di Enoch «Nucky» Thompson, il biondino Jimmy Darmody (Michael Pitt, Dreamers di
Bertolucci), moglie dolce e figlioletto,
che aspira al vertice dell’associazione e
che finirà per farsi killer autodidatta e
doppiogiochista al servizio dell’agente
dell’Fbi Nelson Van Alden (Michael Shannon). Occhi cerulei e ridenti compromessi da una smorfia depravata, «hanno fatto di me un assassino» - la guerra produce mostri - confesserà al suo paterno capo, «Nucky», che Buscemi rende sempre
più ineffabile, sospeso, distratto. Personaggio enigmatico, rivolto a un altro cinema, alla New Hollywood e alla New Wave, alla scuola newyorkese, all’iperrealtà.
Martin immagina la sua giovinezza di
fuorilegge della cinepresa, alle lezioni degli amici Corman, Cassavetes, De Palma,
Coppola, e all’humour amaro del cinema delle origini, muto come Roscoe «Fatty» Arbuckle, una tonnellata di comicità,
che appare in un filmino anni Venti proprio a commentare il proibizionismo. E
se pistole e cadaveri inondano la scena,
lui in bianco e nero annusa una bottiglia
vuota - «odore dell’amata» - la sotterra e
la cosparge di fiori. Non è solo un gangster-movie Boardwalk Empire, ma un
film di pura marca Scorsese
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
pagina 13
CULTURA&VISIONI
FESTA DI ROMA
NASCE LA PIATTAFORMA ON THE DOCKS
Gli italiani lo sanno fare ancora
Thriller spaghetti
formato famiglia.
Una vita tranquilla
Una nuova piattaforma digitale (già in funzione) per il
documentario italiano: si chiama «on the docks» è stata presentata oggi da Mario Sesti (Extra) al Festival del
cinema di Roma e si rivolge ai produttori indipendenti, ai fruitori e ai compratori internazionali interessati
al prodotto italiano secondo lo slogan «Italians still do
it...» gli italiani lo sanno ancora fare... il cinema. È infatti proprio il documentario ad essere oggi il prodotto
più vitale della produzione italiana, con il limite che i
film non si riescono a vedere se non nei festival. Giusto Toni che ha creato i primi canali satellitari in Italia,
la regista Monica Repetto e il produttore Dario Formi-
Luke Ciannelli
ROMA
C
MICHAEL PITT
«L’American Dream
resta sempre
un tratto costante
del nostro paese»
Michael Pitt, 30 anni del New
Jersey, già «sognatore» per Bernardo Bertolucci, è l’unico testimonial arrivato a Roma a presentare l’episodio pilota diretto
da Martin Scorsese della serie
tv «Boardwalk Empire» prodotta
dal regista con l’attore Mark
Whalberg per Hbo e da gennaio
in esclusiva su Sky. Ed è più
sveglio della faccetta d’angelo
dagli occhi blu che si porta dietro. Non a caso vorrebbe fare il
boxeur. «Il mio personaggio,
Jimmy Darmody, ha 22 anni ma
negli anni Venti era già un uomo. Non come oggi, con noi
giovani così lenti a crescere.
Lui è un veterano della prima
guerra mondiale, ha moglie e
figlio, trae vantaggio dalla neo
legge proibizionista per fare
una carriera da gangster di
prim’ordine». E, infatti, diventerà il partner di Al Capone, affrontando il «padrino» di Atlan-
tic City, Enoch «Nucky» Thompson, alias Steve Buscemi. «Lavorare con Marty è pazzesco. Assurdo confrontarlo con un cineasta come Bertolucci: sono fortunato ad aver girato con entrambi. Il pilot esce dalla macchina da presa di Scorsese, gli
altri 11 episodi sono diretti alternativamente da Timothy van
Patten e Allen Coulter, ma questo non ha impedito a Martin
Scorsese di sovrintendere all’intero progetto, visionando tutti i
daily, presenziando con carisma e leadership, come solo
pochi sanno fare».
L’attore, protagonista anche in
«Last Days» di Gus Van Sant e
nel remake hollywoodiano di
«Funny Games» di Haneke, dice
la sua anche sulle «economie»
di cinema e televisione. «Chiedermi se un pilota tv come questo sarebbe costato di più se
destinato al cinema equivale a
chiedermi se un attore è più
pagato per un film o per una
serie televisiva. Volete sapere
quanto sono stato pagato?».
Naturalmente non lo dice, ma è
«certo che dei sessanta milioni
di dollari di budget dell’intera
serie, il pilot non ne assorbe
18 come è stato riportato: credo siano di meno». Il famigerato proibizionismo dei Twenties
protagonista di «Boardwalk Empire» è specchio di attualità.
Perché in ogni crisi regna l’imposizione a ripristinare l’American Dream.
«Nessuno ti impedisce di crearti la tua fortuna. Siamo in America, dice Nucky a Jimmy. Il sogno dell’uomo qualunque che,
nel bene o nel male, riesce a
emergere è il carattere portante
del nostro paese, allora come
oggi». A. M. P.
DALLA PRIMA
Alberto Piccinini
E che prima di allora è stato il clou
di innumerevoli Primo Maggio rock in
piazza San Giovanni, e naturalmente il filo conduttore della manifestazione di Milano il 25
aprile 1994. Mettiamoci anche Santoro che la
canta in diretta, e consideriamo pure che nella
estemporanea polemichetta sanremese sono
intervenuti anche leghisti che hanno lamentato l’assenza del Va’ Pensiero dai temi del dibattito. Ma c’è un limite a tutto. Persino all’uso distorto del termine «par condicio», che in casi
come questi è peggio che «un attimino» o
«quantaltro».
Le canzoni hanno una storia, e tutte le storie
sono interessanti. Se Sanremo vuole raccontare i 150 anni dell’Unità d’Italia attraverso le
canzoni, rischia il pianobar, ma faccia pure.
Una cosa è certa: le canzoni non sono tutte
uguali. Bella ciao è stata incisa negli anni ’60
annes ci ha messo 20 anni per
diventare il festival. Roma può
attendere. Forse nel 2020, con
le Olimpiadi, riuscirà a raggiungere il
prestigio di altri festival eurometropolitani come Monaco di Baviera o Parigi,
(che Luca Zaia, podestà del Veneto,
ignora, se paradossalmente dichiarò a
inizi settembre: «con la crisi Roma non
può attentare alla leadership di Venezia, sarebbe come se Monaco volesse
scippare il festival di Berlino o Parigi
quello di Cannes»). Roma, come Monaco e Parigi, pesca da Sundance, Cannes, Londra, Berlino, San Sebastian e
Rotterdam... non anticipa «tendenze».
Però chi aggiorna all’estero sulla «meglio produzione», con budget simili,
esibisce più apertura mentale, rispetto
dei cineasti eccentrici e di un pubblico
quotidianamente sollecitato, e non
scippato di conoscenza (per esempio
dei doc pregiati). Da decenni promuovono i prototipi internazionalmente
più innovativi di cinema, anche se ancora privi di distribuzione nazionale.
Incappata oltretutto in una contingenza politico-culturale davvero sciagurata, che impone meno eleganza e
più «maniacalità tricolore» in nome di
una demagogia anti-hollywoodiana e
dell’umorismo troglodita che impera e
imbarazza, il festival di Roma «RondiDetassis» rimane sostanzialmente festa veltroniana azzoppata, con meno
entusiasmo naif e pop e surplus di classicismo istituzionale. Certo il nuovo
sindaco, ossessionato come il vecchio
dal «record di presenze» può contare
su un sistema mediatico più ruffiano.
Record di presenze vuol dire assecondare l’assetto feudale dell’offerta e del
consumo audiovisivo omologato in
basso da una cupola autoritaria che ha
in pugno sale e piccoli schermi. Il massimo è lanciare giovani autori (i più
controllabili dal sistema, e per questo
aiutati dalle nuove leggi di finanziamento), paralizzati però dal referencesystem che impone standard creativi,
una censura arrogante e corpi consacrati a star (la prossima è Ruby?) che
dal piccolo schermo giganteggiano,
grazie al monopolio Rai-Mediaset, in
copioni pesantemente scremati e catechisticamente corretti. Come la proposta «noir di famiglia», tra Garrone e Sorrentino di Raicinema, Una vita tranquilla di Claudio Cupellini (ex Centro
Sperimentale). Un indocile (anche al
copione) Toni Servillo, boss camorrista pentito e transfuga, abbandonato il
figlio sicario in Campania, svanisce in
Germania, cambia identità e moglie, e
ricomincia come papà (di una bimba
bionda), mediocre ristoratore all’italiana e tenutario d’albergo. Mr. Senso di
Colpa però strappa la cinepresa di mano al cineasta, pentito commediante,
che vorrebbe innalzarsi alla dimensione tragica e insegue, fino a farlo deragliare nel grottesco futile, l’ex boss Servillo, annientato dall’incontro fatale
col figlio dimenticato. È lì per una questione di termovalorizzatori o per l’esecuzione di papà? Del thriller si deturpano codici, logica narrativa e strategia
extra familiare, del noir non si regge
l’abisso della rivoluzione immaginaria. La sceneggiata però non si dimentica: anche i «papà sono pezzi ’e core».
da Giorgio Gaber, Yves Montand, Milva, Anna
Identici. È musica leggera più che musica politica, se le parole hanno un senso. È una delle
canzone popolari più famose di tutte, in tutto
il mondo. È una canzone triste, il lamento per
la morte di un partigiano, che contrasta con
una musica stranamente allegra. Nessuno ha
ancora capito da dove arrivi, se dalle mondine
o da una melodia yiddish. Non è escluso che il
buon Gianni Morandi, bravo ragazzo di sinistra, l’abbia cantata in uno dei Festival dell’Unità nei quali ha fatto gavetta sempre al
principio degli anni 1960.
Auguri invece al big che vorrà interpretare
una difficile versione pop (o hard rock) di Giovinezza. Chi sarà? Non sarà Valerio Scanu, ultimo vincitore del Festival di Sanremo, che senza fantasia ha dichiarato: «Preferisco l’inno di
Mameli». Vabbè. Giovinezza venne composta
effettivamente nel 1909 come inno dei goliardi
torinesi già mezzo interventisti, poi riscritta tre
volte fino alla versione finale di Salvator Gotta
(«E per Benito Mussolini/ eja eja alallà»). «Basta avere la coda di paglia» ha detto ieri La Rus-
sano hanno ideato la piattaforma (con il supporto della Regione Lazio): trenta titoli sono già a disposizione
(www.onthedocks.it) per essere comprati in visione (a
2.99 euro a film) e si pensa di inserirne dieci ogni mese. «In Italia siamo ancora molto arretrati, in testa al
pirataggio e in coda all’uso delle nuove tecnologie, avverte Giusto Toni, il cinema del reale è quasi invisibile,
inoltre non c’è l’abitudine a pagare i film: all’interno di
questo scenario abbiamo immaginato uno scenario di
tipo nuovo. L’iniziativa è interessante soprattutto verso l’estero, dove il consumo su internet è in crescita e
abbiamo trovato partner interessati in Canada, Usa,
Inghilterra, Francia, Austria». Infatti all’estero si possono vedere solo documentari italiani di moda, auto e
cucina, mentre i nostri cineasti hanno una visione
sempre diversa, approfondita, originale e di carattere.
MANIFESTANTI «PER IL CINEMA»
a cura di Alberto Caerio
FRANCIA
Scacco matto
alla legge antipirateria
MOBILITAZIONE · Un oscuro cambio di gestione
Le mani sulla città
e sulla Casa del Cinema
Silvana Silvestri
N
ell’assemblea generale del movimento «Tutti a casa» ( venerdì ore 21 sala De Luxe) il destino della Casa del cinema sarà uno dei
punti da mettere in discussione. Da lì
è partita simbolicamente la protesta e
non è un caso perché per circa dieci
anni è stato punto di riferimento per il
pubblico e per i cineasti. La Casa del
Cinema di Roma si trova a Villa Borghese, era in pessime condizioni quando Veltroni la individuò per il progetto
di Laudadio di creare un punto di riferimento per il cinema, oggi è diventato
un luogo invidiabile. Da dieci anni produce cultura, proiezioni gratuite per il
pubblico, anteprime, festival, mostre
fotografiche, incontri specialistici per
le maestranze.
Ora arriva una lettera dal tono perentorio dall’assessorato alla cultura
del Comune che indica il 15 novembre
come data in cui dovrebbero insediarsi i nuovi 7 commissari indicati dalla
burocrazia comunale e che dovrebbero occuparsi perfino della programmazione culturale, industriali che verserebbero una certa somma per fronteggiare il debito della Casa dovuto per lo
più al ritiro di uno sponsor come Lottomatica proprio quando si ventilò il
cambio di gestione. A mettere in crisi il
bilancio è stata anche la richiesta da
parte del Comune di ben 22 manifestazioni da svolgersi a titolo «assolutamente» gratuito (10 giorni di affitto
equivalgono a 40 mila euro).
Questa manovra non ci è sconosciu-
ta, sappiamo bene qual è la strategia,
azzerare la cultura tagliando in ogni
modo i fondi, come è successo oltre
che nel cinema anche nell’editoria e
nella scuola (lo ha sottolineato anche
Laudadio). È per questo che lo straordinario movimento «Tutti a casa» ha unito i vari settori per fare fronte comune.
Alla Casa del cinema martedì sera
Gregoretti presidente dell’Anac, Ettore
Scola, Giorgio Arlorio, Bruno Torri presidente del sindacato critici, produttori, direttori della fotografia, sceneggiatori, rappresentanti dei Cento autori,
registi si sono riuniti per valutare la situazione, che non è solo pratica ma anche decisamente simbolica, un luogo
che svuotato dell’attività del cinema
non avrebbe più senso. Si è saputo infatti che la si vorrebbe utilizzare addirittura per la celebrazione dei matrimoni laici. «Non è stata data una risposta
adeguatamente sdegnata da parte nostra», ha detto Ettore Scola. «La casa
del cinema è un banco di prova del
movimento, dice Arlorio, può diventare il luogo in cui le associazioni possono discutere del progetto di legge di sistema sul cinema». Il regista Massimo
Spanu afferma: «La manifestazione è
stata un momento importante, siamo
partiti da questa Casa e qui ritorneremo perché questa è la nostra casa». Interviene anche Gennaro Migliore:
«non credo che si tratti di un caso di
cambiamento di gestione, è il tentativo di chiudere la Casa che si è sempre
autogestita. Credo che sia intenzione
di questi politici prosciugare i bacini di
riflessione di questo paese».
sa commentando il montare della piccola polemica sanremese, «Giovinezza la cantavano milioni di italiani». Certamente non venne suonata da Arturo Toscanini il 14 marzo 1934 al Teatro Comunale di Bologna. Lo sgarbo compiuto
al cospetto dei gerarchi Ciano e Arpinati valse
a Toscanini uno schiaffo nel retropalco da parte di una giovane camicia nera, Leo Longanesi,
e la decisione quasi istantanea del maestro di
emigrare negli Stati uniti.
Ancora. Pensi a Bella ciao al Festival e ti
viene in mente che per lo spettacolo Bella
Ciao, presentato al Festival di Spoleto nel
1964, esordio in grande spolvero del nostro
folk revival, arrivarono in sala fascisti e carabinieri per impedire non la versione (sublime) della ex mondina Giovanna Daffini, ma
per l’esecuzione di Gorizia tu sei maledetta,
con il verso «Traditori signori ufficiali/ che la
guerra avete voluta». Denunciati per vilipendio delle forze armate, tutti gli autori. Pensi
a Giovinezza e ti viene in mente la suoneria
del cellulare di Lele Mora. Che non è Giovinezza, ma Faccetta nera, però fa lo stesso.
Mentre la Francia procede nella
sua campagna antipirateria, e spedisce mail di avvertimenti ai file
sharers illegali 25 mila copie al giorno, i gestori di un sito pirata, Torrent tracker Smartorrent, hanno già
messo in atto una contormossa. Un
network virtuale che consente a chi
vi accede (a pagamento) di scambiarsi in rete ma con la garanzia di
continuare a scambiarsi canzoni in
rete con la garanzia dell’anonimato.
Smartorrent ha già un numero altissimo di iscritti, 1,7 milioni di utenti
registrati: e secondo TorrentFreak
sono 2.500 quelli che hanno già
deciso di abbonarsi al servizio Vpn
pagando 5 euro al mese.
CINEMA
BEHESHTI, VISTO NEGATO
Al regista iraniano Faramarz Beheshti, che da quindici anni vive in
Nuova Zelanda, è stato negato il
visto per poter andare a Milano a
ritirare il premio «Diritti umani»
assegnato nell'ambito del FictsSport Movies & Tv 2010 al suo
film «Salam rugby». Il visto è stato
negato attraverso l’ambasciata
del suo paese. La pellicola racconta la storia di 24 donne iraniane
diventate ambasciatrici del rugby
in Iran nel 2004 e capaci, in soli
due anni, di avvicinare a questo
sport oltre mille ragazze.
ARTE
MODIGLIANI RECORD
Record per Modigliani all'asta di
«Impressionist Art» da Sotheby's a
New York: «La bella romana», dipinto del 1917, è stata venduta per
68,9 milioni di dollari (49,1 milioni
di euro). Di Amedeo Modigliani nella stessa asta è stato venduto per
19,1 milioni di dollari (13,6 milioni
di euro) anche il ritratto di Jeanne
Hebuterne, sempre del 1917, che
era stato quotato tra i 9 e i 12 milioni di dollari. Tra i capolavori aggiudicati ieri sera da Sotheby's anche «Le Bassin aux Nympheas» di
Claude Monet, venduto a 24,7 milioni di dollari (17,6 mln euro) e la
«Danseuse dans le Fauteuil», «Sol
en Damier» di Henry Matisse, del
1942, venduta a 20,8 milioni di
dollari. Nel complesso è stato venduto il 75,4% delle opere in asta.
INTERNET
SOCIAL NETWORK AUDIO
È nato in Italia il primo social
network in audio, si chiama Freerumble. Permette di registrare e
archiviare pensieri e riflessioni, conferenze, racconti, interviste, testimonianze. È possibile scegliendo tra
una serie di argomenti in un elenco: dall’ambiente al jazz, ai nonni,
dall’omosessualità alla poesia e ai
ricordi. Collegandosi al sito http://www.freerumble.com è possibile anche accedere alla Rumblepedia, un’enciclopedia libera in Mp3
alla quale tutti possono contribuire.
È anche possibile creare un proprio
canale caricando i file.
NUOVA COPPIA ROCK
ALBARN & FLEA
Il frontman di Blur e Gorillaz Damon Albarn ha fondato un nuovo
gruppo con il bassista dei Red
Hot Chili Peppers Flea: la band,
ancora senza nome, ha già completato per tre quarti il proprio
album di debutto che non ha ancora una data di uscita.
pagina 14
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
MAGICO
MEDIA&SPORT
CLASSICO
Nicola Sellitti
POMIGLIANO
S
marrita. Con un ottimismo verso il futuro dello stabilimento
esile quanto la busta paga degli
ultimi due anni. Pomigliano vive la
cassa integrazione imposta dalla Fiat
da realtà industriale vedova di stipendi fissi, non avvezza al saliscendi economico dei vicini centri agricoli di
Acerra o Nola. Un’incertezza che corrode la tranquillità, economica e psicologica, delle famiglie. Sonnolento
anche l’indotto, l’unico antidepressivo in città è la squadra di calcio, che
gioca in serie D. «Il nostro obiettivo è
salire di categoria - dice il presidente
del Pomigliano, Antonio Romano, titolare di un’azienda che produce gpl
satellitari anche per automobili della
casa di Torino - anche noi risentiamo
della crisi, che ha ridotto il potere
d’acquisto in città del 30/40%. La crisi
Fiat ci avvolge».
La sua squadra è seguita da
400-500 tifosi tra ex dipendenti dell’Alfa Romeo e dell’Avio. E’ l’argenteria di
casa, coccolata quasi fosse l’ ultimo
pezzo del motore della antica Alfa Romeo. Nel 1944 il club si chiamava Juve Alfa Pomigliano, dopolavoro sportivo per gli operai dello stabilimento.
Trent’anni prima le prime avvisaglie
di calcio in città, con sfide tra studenti
locali contro colleghi dei paesi limitrofi. Nel 1920 nasce il gruppo sportivo
Pomiglianese, composto da atleti anche di altre discipline. Dieci anni dopo, durante il regime mussoliniano,
ecco il Gruppo sportivo fascista Pomiglianese. Pionieri del pallone. Con i
calciatori costretti a cambiarsi in una
stanza dell’ex clinica San Felice - l’attuale caserma dei carabinieri di Pomigliano - distante quasi un chilometro
dal campo di gioco, la Vasca del Carmine, che nel frattempo è diventata
un parco pubblico che porta il nome
di Papa Giovanni Paolo II. In maglia
granata, i calciatori attraversavano
correndo Corso Vittorio Emanuele seguiti dai tifosi ed entravano in campo,
erano i tempi del campionato Propaganda.
Poi, la nuova denominazione (Associazione calcio Pomigliano) e l’esordio nella Seconda Divisione Campania della Figc, fino all’intervento dell’Alfa che nel ’44 iscrive la squadra al
Torneo della Liberazione, nel quale
arriva uno storico successo sul camLA
po del Napoli, 3-1 grazie a una dopFORMAZIO
pietta del centravanti Nicolosi. L’anNE DEL
no successivo a Milano fu assassinato
POMIGLIAN
il direttore generale dell’Alfa, Ugo
O IN
Gobbato, che nella cittadina napoletaCAMPO
na fece edificare per atleti, dirigenti e
PRIMA
manodopera in missione per le proDI UNA
duzioni, il complesso di palazzine
PARTITA.
che circonda lo stadio, poi acquistato
IN ALTO,
dall’azienda milanese. Pomigliano deI TIFOSI
cise di dedicargli l’impianto mentre la
GRANATA
squadra viveva due brevi avventure
E UNA
in serie C. Riverenza che difficilmente
VECCHIA
toccherà mai all’amministratore deleFIGU DI
gato Fiat e Chrysler, Marchionne. «Mi
GENNARO
offende leggere che si sente meVITOLO I,
talmeccanico. Provi lui a lavorare sotCALCIATOR
tostress guadagnando sei-settecento
E
euro mensili in meno per gli errori di
DELL’ALFA
altri». Carlo ha 56 anni, decenni alle
JUVE ALLA
spalle nella lastrosaldatura in fabbriFINE DEGLI
ca. Turni di notte tra stampe e caffè.
ANNI ’40
Grande tifoso della squadra della sua
città, «più del Napoli» sottolinea, ne
segue gli allenamenti a Tavernanova,
piccola enclave industriale tra Pomigliano e Casalnuovo. «Quest’anno
possiamo fare il salto di categoria.
Guardi la partitella a due tocchi, sono
davvero forti». Ha scelto la mobilità
circa due anni fa. «Quando ho lasciato l’azienda anche le pause erano controllate. I miei colleghi dicono che la
Tra cassa integrazione
e incubo Marchionne,
l’unico anti-depressivo
per gli operai sotto
il Vesuvio è la squadra
che un tempo si chiamava
Juve Alfa Pomigliano
e oggi dopo una breve
parentesi di calcio
champagne zemaniano
tenta la risalita in serie D
BELLO
COSÌ COSÌ
SOPORIFERO
RIVOLTANTE
film
LETALE
INSOSTENIBILE
CULT
la radio
Dal microscopio al letto del malato: la ricerca oncologica avanza
tutti i giorni grazie all’impegno di migliaia
di ricercatori di tutto il
mondo. Se ne parla
oggi a «Radio3 scienza»
dalle 11 alle 11.30.
RADIO3
situazione sia peggiorata». Insiste sulle cattive condizioni lavorative all’interno della fabbrica. «La Fiat mi ha
consentito una vita senza stenti, ma
ai tempi dell’Alfa Romeo l’azienda
era la nostra seconda casa. Lavoravamo, e ci consentivano di farlo, in armonia, senza restrizioni. Ora avviene
l’opposto». Mentre l’occhio segue il riscaldamento dei portieri, Carlo si scaglia contro la nuova programmazione
sulla pausa lavorativa - tre turni da
dieci minuti anziché due da venti che «non migliora assolutamente la
capacità produttiva. Possono fare la
differenza quei dieci minuti in più oppure modelli in grado di conquistare
il mercato?».
Accorrono suoi amici all’allenamento. Alcuni lavoratori dell’indotto,
altri direttamente dalla catena di
montaggio. Si discute davanti a un
caffè sul ruolo «politico» dei sindacati
nella fabbrica. «Urge una politica sindacale più dura. Chi ci deve tutelare,
se non loro? La qualità lavorativa nella nostra fabbrica è sempre stata alta,
senza fare accenno agli enormi problemi di manutenzione», spiega ancora Carlo. Per lui, per tutti i presenti, la
proprietà mirava a ridimensionare se non serrare - Pomigliano. La discussione vira sulla sfida casalinga contro
il Grottaglie finita 1-1, che poteva valere per il club l’aggancio alle parti nobili della classifica (la squadra al mo-
mento è quinta), mentre i ricordi cadono sull’ultima amichevole del Napoli da queste parti. Era il 1984, Rudy
Krol con la sua eleganza conquistava
il palato operaio. Sarebbe poi arrivato
il fallimento e la scomparsa dal panorama calcistico nazionale negli anni
novanta, la rinascita in seconda categoria, una nuova proprietà, lo stregone di Eboli Mario Pietropinto fino al
grande circo di Zemanlandia nel
2007. Sulla panca si siede infatti Giovanni Bucaro, siciliano, caratterista
del Foggia dei miracoli. Uno dei figli
adottivi del 4-3-3, il verbo del boemo.
Con lui il Pomigliano raggiunge la fase finale dei playoff, miglior piazzamento della società granata negli ultimi sessant’anni di storia. Gradoni e
centrocampisti in allenamento legati
con la corda, con gli insegnamenti appresi nel laboratorio del tecnico di
Praga, Bucaro esalta gli animi grigi
della tifoseria granata. «Con lui abbiamo visto lampi di spettacolo puro.
Ma la fase difensiva era un vero mistero, la squadra attaccava dal 1’ al 90’»,
ripetono in coro i supporter-operai
presenti all’allenamento. «Per due anni abbiamo giocato un calcio-champagne a Pomigliano - spiega il presidente Romano - ora con la nuova guida tecnica di Luigi Corino (ex difensore di Lazio e Brescia, ndr) proviamo a
essere meno belli ma più pratici».
Bucaro si è accomodato sulla pan-
china delle giovanili della Juventus e
chissà come l’avrà presa mastro Zdenek. Di sicuro, non benissimo il tifo
pomiglianese. Poi si ricade di nuovo
sulle uscite di Marchionne. Imitazione del modello serbo e messicano,
produttività polacca, stipendio da
equiparare ai colleghi tedeschi. «Ma
di cosa stiamo parlando, ci prendono
solo in giro, Marchionne ci ricatta da
tempo sapendo che non abbiamo alternative. Alle spalle della Fiat c’è solo
la camorra per arrivare a fine mese»,
s’infervora Felice Castaldo, altro supporter storico, una vita nella catena di
montaggio, in pensione da appena
venti giorni. «La Fiat ha distrutto l’Alfa Romeo di Pomigliano. Con la Panda aumenteranno la produttività dimezzando il personale. Per Pomigliano sarà la morte economica e sociale». Smentisce, Felice, le voci sulla
scarsa produttività dell’azienda. Sull’assenteismo anomalo, doppio lavoro e improvvise epidemie di massa,
con tute blu che diventano rappresentanti di lista. «Ho lavorato a Melfi e Torino, qui non accade nulla di diverso».
Sullo sfondo della discussione un
vento gelido, come la crisi che avvolge la città. «E’ il motivo per cui tanta
gente ci chiede di vincere in campo
per provare finalmente un po’ di gioia», dice Giuseppe Ausiello, capitano
granata, tornato quest’estate alla base dopo una stagione nel Pianura.
«Ascoltando i problemi di tanti lavoratori mi vien da ridere a pensare allo
sciopero dei calciatori, specie se le rimostranze giungono da atleti plurimilionari. Se s’intende tutelare i colleghi
delle serie inferiori, il mio appoggio è
totale. Siamo precari anche noi, anche se la mia società è un modello di
professionalità. In serie D possiamo
sottoscrivere solo accordi annuali, basta scendere di rendimento per poche partite e il futuro è in bilico». Domenica intanto, si va in trasferta a sfidare la capolista Arzanese.
Fino al 6 novembre in
programma a «Radio3
Suite» alle 20.15 Giulietto Chiesa, sfoglierà
le pagine di «Tolstoj è
morto» di Vladimir Pozner, recentemente pubblicato da Adelphi.
Domenica 7 alle
20.30 «Resurrezione«,
dramma lirico in quattro atti di Franco Alfano, orchestra sinfonica
e Coro di Torino della
Rai, del Coro Ruggero
Maghini, Direttore Elio
Boncompagni.
Rai1
Rai2
Rai3
Rete4
Canale5
16:10 LA VITA IN DIRETTA
Attualità Conduce Lamberto
Sposini, Mara Venier
16:50 TG PARLAMENTO - TG1 CHE TEMPO FA Notiziario
18:50 L’EREDITÀ Gioco Conduce
Carlo Conti.
20:00 TG1 Notiziario
20:30 SOLITI IGNOTI Gioco
Conduce Fabrizio Frizzi.
18:45 EXTRA FACTOR Reality
show Conduce Francesco
Facchinetti con Alessandra
Barzaghi
19:30 SQUADRA SPECIALE
COBRA 11 Telefilm
20:25 ESTRAZIONI DEL LOTTO
Programma generico
20:30 TG2 - 20.30 Notiziario
19:00 TG3 Notiziario
19:30 TG REGIONE - METEO
Notiziario
20:00 BLOB Varietà
20:10 SECONDE CHANCE
Telefilm Con Caroline
Veyt, Sebastien Courivaud,
Isabelle Vitari
20:35 UN POSTO AL SOLE Soap
opera Con Patrizio Rispo,
Riccardo Polizzy Carbonelli
18:55 TG4 - METEO Notiziario
19:35 TEMPESTA D’AMORE
Soap opera Con Martin
Gruber, Lorenzo Patané,
Dirk Galuba, Judith
Hildebrandt, Sepp Schauer
20:05 WALKER TEXAS RANGER
Telefilm Con Chuck Norris,
Clarence Gilyard, Sheree J.
Wilson
18:50 CHI VUOL ESSERE
MILIONARIO Gioco
Conduce Gerry Scotti
20:00 TG5 - METEO 5 Notiziario
20:30 STRISCIA LA
NOTIZIA - LA VOCE
DELL’IMPROVVIDENZA
Varietà Conduce Ezio
Greggio ed Enzo Iacchetti
21:05
ANNOZERO
Attualità Conduce
Michele Santoro. Con la
collaborazione di Sandro
Ruotolo, Corrado Formigli
e di Stefano Maria Bianchi.
Regia di Alessandro Renna
23:20 TG2 - TG2 PUNTO DI
VISTA Notiziario
23:35 RAI 150 ANNI LA STORIA
SIAMO NOI Documentario
Conduce Giovanni Minoli
00:35 RITRATTI MUSICALI
Rubrica Conduce Cristina
Ravot
01:10 TG PARLAMENTO Attualità
01:20 EXTRA FACTOR Reality
21:05
THE CODE FILM
Con Morgan Freeman,
Antonio Banderas, Radha
Mitchell, Robert Forster,
Rade Serbedzija, Michael
Hayden, Marcel Iures, Gary
Werntz, Katie Chonacas
23:00 PARLA CON ME Varietà
Conduce Serena Dandini
00:00 TG3 LINEA NOTTE Attualità
00:10 TG REGIONE - METEO 3
Notiziario
01:10 RAI EDUCATIONAL
MAGAZZINI EINSTEIN
Rubrica
20:50
UEFA EUROPA
LEAGUE 2010/2011
LIVERPOOL - NAPOLI
Evento sportivo
23:05 UEFA EUROPA LEAGUE SPECIALE Rubrica sportiva
23:50 CINEMA FESTIVAL
Rubrica
23:55 LA MALA
EDUCACIÓN
FILM Con Bernal, Fele
Martinez, Daniel Giménez
Cacho, Fran Boira, Nacho
Pérez, Leonor Watling
01:55 TG4 NIGHT NEWS
Notiziario
21:10
CHI HA
INCASTRATO PETER
PAN? Varietà Conduce
Paolo Bonolis con la
partecipazione di Luca
Laurenti
23:30 CHIAMBRETTI NIGHT
- SOLO PER NUMERI
UNO Varietà Conduce Piero
Chiambretti
01:30 TG5 NOTTE - METEO 5
NOTTE Notiziario
02:00 STRISCIA LA
NOTIZIA - LA VOCE
DELL’IMPROVVIDENZA
Varietà Conduce Ezio
Greggio ed Enzo Iacchetti
Italia1
19:30 BIG BANG THEORY
Telefilm Con Johnny
Galecki, Jim Parsons, Kaley
Cuoco, Simon Helberg,
Kunal Nayyar
20:05 I SIMPSON Cartoni
animati
20:30 MERCANTE IN FIERA
Gioco Conduce Pino
Insegno
21:10
C.S.I. MIAMI
Telefilm Con David
Caruso, Emily Procter,
Adam Rodriguez, Khandi
Alexander, Rex Linn
23:00 THE MENTALIST Telefilm
Con Simon Baker, Robin
Tunney, Tim Kang, Owain
Yeoman, Amanda Righetti,
Elizabeth Dennehy
00:50 FLASH FORWARD Telefilm
Con Lee Thompson Young,
Joseph Fiennes, John Cho,
Jack Davenport
02:30 STUDIO APERTO - LA
GIORNATA Notiziario
La7
18:00 ADVENTURE INC. Telefilm
Con Michael Biehn, Karen
Cliche, Jesse Nilsson
19:00 THE DISTRICT Telefilm
Con Jonathan LaPaglia,
Craig T. Nelson, Roger
Aaron Brown, Sean Patrick
Thomas, Elizabeth Marvel,
Wayne Duvall
20:00 TG LA7 Notiziario
20:30 OTTO E MEZZO Attualità
Conduce Lilli Gruber
21:10
IMPERO
Documentario Conduce
Valerio Massimo Manfredi.
Regia di Riccardo Mazzon
23:30 TG LA7 Notiziario
23:40 VICTOR VICTORIA Varietà
Conduce Victoria Cabello.
Regia di Cristian Biondani
01:00 LA 25A ORA – IL CINEMA
ESPANSO Attualità
Conduce Roberto Cotroneo
03:00 OTTO E MEZZO Attualità
Conduce Lilli Gruber
03:40 CNN NEWS Notiziario
Rainews
19:13 MERIDIANA/DECODER
Rubrica
19:27 AGRIMETEO Notiziario
19:30 TG3 Notiziario
20:00 IL CAFFÉ - NOI E LORO
Rubrica
20:30 CONSUMI E CONSUMI
Rubrica
20:57 AGRIMETEO Notiziario
21:00
NEWS LUNGHE
DA 24 Notiziario
21:27 METEO Previsioni del
tempo
21:30 TEMPI DISPARI Rubrica
22:30 NEWS LUNGHE DA 24
Notiziario
22:57 METEO Previsioni del
tempo
23:00 IL PUNTO Rubrica
23:27 METEO Previsioni del
tempo
23:33 INCHIESTA Attualità
23:57 METEO Previsioni del
tempo
00:00 NEWS LUNGHE DA 24
Notiziario
CASINÒ
di Martin Scorsese Usa 1995 (180’)
ORE 21.15 - PREMIUM CINEMA
1973, Sam «Asso» Rothstein,
giocatore d’azzardo e pregiudicato, è scelto da una famiglia
mafiosa di Kansas City come direttore
di una casa da gioco di Las Vegas, ma
la sua ambizione di diventare un rispettabile manager è rovinata dalla moglie,
avida e infedele, e da un amico gangster. Geniale miscela di melodramma e
film gangsteristico sotto il segno della
dismisura per durata, violenza, nevrosi.
8
LA FINESTRA DI FRONTE
di Ferzan Ozpetek Italia 2003 (115’)
ORE 21 - CULT
Giovanna e Filippo, giovane
coppia in crisi, incontrano un
vecchio solo e smemorato. I
primi tentativi di capire chi sia risultano vani, finché in aiuto di Giovanna
viene Lorenzo, un giovane bancario
che abita proprio di fronte a loro, che
la donna spia da mesi. Tra i due nasce una relazione. Un film che si perde, a volte, nel sentimentalismo. Con
Giovanna Mezzogiorno e Raoul Bova.
6
RADIO2
Lunedì 18 novembre
alle ore 23 la mostra
«Salvador Dalí» Il sogno si avvicina» prende vita in radio con un
appuntamento inedito
e sperimentale, un
esperimento crossmediale che miscela arte
e musica. Su radio2, e
in contemporanea sul
sito raitunes.rai.it, Alessio Bertallot e il suo
nuovo programma Raitunes racconteranno
con musica e immagini
l’esposizione del pittore catalano.
RADIO1
«Baobab» il contenitore pomeridiano di informazione che racconta
l'Italia e gli italiani approfondendo le notizie
del giorno e le testimonianze dei protagonisti.
Si alternano al microfono, insieme a un esperto musicale, Francesco
Graziani e Tiziana Ribichesu. Dal lunedì al
venerdì dalle 15.35.
RADIO CAPITAL
HO SPOSATO
UNO SBIRRO 2 Fiction
Con Flavio Insinna,
Christiane Filangeri, Antonio
Catania, Barbara Bouchet,
Luisa Corna, Serena Rossi,
Francesco Arca, Luca
Calvani, Vittoria Piancastelli.
E con la partecipazione di
Giovanna Ralli
23:24 TG1 60 SECONDI
Notiziario
23:25 PORTA A PORTA Attualità
Conduce Bruno Vespa
01:00 TG1 NOTTE - TG1 FOCUS
Notiziario
6
RADIO3
Sogni di cuoio
a Pomigliano
21:10
THE CODE
di Mimi Leder Usa/D 2009 (104’)
ORE 21.05 - RAITRE
Keith Ripley (Morgan Freeman) è un inafferabile ladro
d’arte. Dopo la morte - forse
ad opera della mafia russa - del suo
socio, è costretto a trovare un nuovo
partner per il colpo più audace che
abbia mai messo a segno: trafugare
due uova Fabergé dal caveau di New
York. La sua scelta ricade su Gabriel
Vasquez (Antonio Banderas), da poco
rifugiatosi nella Grande Mela.
Mercoledì 10 novembre Radio Capital si
trasforma in «Radio
Fossati», per celebrare
il lavoro dell’artista
genovese. Tutti suoi
dischi rivivono in un
sofisticato e accurato
progetto di remastering, da «La casa del
serpente» del 1977
fino a «L’arcangelo»
uscito nel 2003. Progetto a cura di Marty
Jane Robertson.
RADIO KISS KISS
Dal 4 al 8 novembre, ,
l’anteprima del nuovo
album di James Blunt
«Some kind of trouble»
la cui uscita è prevista
per martedì 9 novembre.
FAME
di Kevin Tancharoen Usa 2009 (107’)
ORE 21 - SKY CINEMA 1
Un pallido remake del «Saranno famosi» cui 25 anni orsono
diede vita Alan Parker. La trama è poco più di un pretesto e la sceneggiatura di Allison Burnett mette insieme delle storielline da tv dei teenager per provare a intessere qualche
numero musicale. Il film cerca di raccontare le difficoltà per arrivare al successo, la strada lastricata di lacrime e
sudore che ogni artista deve affrontare.
6
programmi
ANNOZERO
ATTUALITÀ
ORE 21.05 - RAIDUE
«L'amore ai tempi di B» è il titolo della puntata, ovviamente dedicata al
tema «politico» della settimana...
Ospiti di Santoro l'avvocato del premier Niccolò Ghedini; la deputata del
Pdl Nunzia De Girolamo; il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro; la
direttrice dell'Unità Concita Di Gregorio; il presidente di Rcs Libri Paolo
Mieli.
IMPERO
DOCUMENTI
ORE 21.10 - LA7
Attraverso documenti e interviste la
prima puntata di Impero ricostruisce
la carriera di Eugenio Pacelli, dagli
anni drammatici dell’ascesa al potere
di Hitler fino alle leggi razziali, alla
guerra e alla deportazione di milioni
di ebrei, anche dalla città di Roma.
Che cosa poteva fare Pio XII e che
cosa fece? Il programma è condotto
da Valerio Massimo Manfredi.
LA MUSICA DI RAI3
CONCERTI
ORE 1.40 - RAITRE
Concerto n.1 in re maggiore op. 6 per
violino e orchestra di Niccolò Paganini
nell’esecuzione dell’Orchestra Sinfonica
Nazionale della Rai (all'Auditorium di
Torino). Composto nel 1816 è un lavoro dal quale emerge l’influenza del melodramma: l’orchestra introduce un’aria
affidata alla voce del violino, la cui parte solista è affidata allo Stradivari «Elman» del 1729 suonato da S. Shoji.
il manifesto
GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2010
pagina 15
TERRITORI
altra italia
La
città
DELLE ECOBALLE
Il nuovo fronte caldo dell’emergenza
rifiuti si chiama Taverna del Re.
Dove una piazzola di 20 mila mq è
diventata una megalopoli di 2,5
chilometri di spazzatura avvolta nel
cellophane che non si sa come
smaltire. Tutto in nome
dell’emergenza e delle riaperture
provvisorie. Per questo i cittadini
sono tornati in piazza. Ieri di nuovo
proteste, cariche e feriti
QUI TERZIGNO
«Intervenga
la magistratura»
I comitati antidiscarica confidano nell'intervento della
procura di Nola per ottenere
il sequestro della discarica
Sari di Terzigno. Lo dice
Franco Matrone, della rete
dei comitati vesuviani, dopo
la presentazione di una serie
di denunce alla magistratura. «Ci sono - dice - elementi incontrovertibili. L'Asia,
insieme con la Provincia, ha
effettuato delle analisi che
hanno evidenziato la presenza di materiali inquinanti
come metalli pesanti e percolato. Successivamente
l'Asia è stata rimossa dalla
gestione della discarica, a
dimostrazione del fatto che
qualcosa di serio non andava. Inoltre, Bertolaso e l'Asia
stesso hanno detto che a
Terzigno sono state portate
25 tonnellate di rifiuti tossici
da Lo Uttaro che erano sotto
sequestro e andavano bonificati. La protesta continuerà.
Chiediamo ai sindaci di dirci
chi controlla i camion che
vanno alla discarica, da dove vengono, perchè c'è ancora puzza». Non ha dubbi
Enzo Iandolo, del movimento
popolare per la difesa del
territorio dell'area vesuviana.
«Stiamo studiando una serie
di nuove ed ulteriori iniziative di lotta che metteremo in
atto nei prossimi giorni. Stiamo coinvolgendo tutte le
comunità locali interessate
alla discarica. Di sicuro cercheremo ancora di bloccare
o rallentare i camion. Noi
non lasciamo il campo».
Luisa Lettieri, una delle portavoce delle mamme vulcaniche, riferisce di un incontro
avuto ieri con il sindaco di
Boscoreale, Gennaro Langella (Pdl). «Abbiamo saputo
che per alcuni giorni i camion che arrivano alla discarica Sari conferiranno rifiuti
indifferenziati perchè la prima necessità è quella di
ripulire le strade. Si parla di
una settimana, speriamo
che non si prolunghi come
accade di solito. Inoltre, non
abbiamo risposte certe sulle
analisi condotte nella discarica. La nostra impressione è
che si voglia andare comunque avanti».
UN DEPOSITO DI
STOCCAGGIO DELLE
ECOBALLE IN
CAMPANIA
/FOTO CLAUDIO
VITALE-GRAZIA NERI
PICCOLA, GLI SCONTRI
A TERZIGNO DEI
GIORNI SCORSI
/AGENZIA
CONTROLUCE
36
DISCARICHE Erano quelle
censite nel ’97 nel "triangolo
della morte" Qualiano Villaricca - Giugliano. Molte di
queste erano abusive. Il
decreto Ronchi le chiuse.
Adriana Pollice
GIUGLIANO (NAPOLI)
C
ariche della polizia, il presidio
che rimane in strada per bloccare con ogni mezzo pacifico il
transito degli autocompattatori verso
Taverna del Re. Sembra una guerra infinita tra lo stato e i signori del no, come
li definisce il governatore campano, Stefano Caldoro. Ma se ogni giorno si prendono la loro dose di manganellate vuol
dire che un motivo c’è. Un setto nasale
rotto martedì, tre contusi ieri, popolazioni inermi gettate di peso sul ciglio
della strada. I camion devono passare.
«Il giuglianese è un territorio di 94 chilometri quadrati, solo in piccola parte abitati – spiega Domenico Di Gennaro, del
Presidio permanente Taverna del Re Tra un quartiere e un altro c’è uno spazio infinito di campagna». Quella che
una volta dava raccolti rigogliosi più volte l’anno. Il primo cambiamento arriva
con il dopoguerra: il paese deve essere
ricostruito e allora si sfruttano le cave,
tufo e pozzolana per le nuove abitazioni. «Con l’estrazione si comincia a dover fare i conti con la camorra – prose-
CHILOMETRI DI MONNEZZA
IL MOSTRO DI GIUGLIANO
gue Domenico – ma la situazione peggiora dopo il boom della ricostruzione,
con il boom industriale degli anni ’80.
Le imprese del nord, soprattutto quelle
chimiche, non sanno dove stoccare i loro rifiuti inquinanti e cominciano a
mandarle nel giuglianese, con la complicità dei clan. Hanno riempito i nostri
fossi con rifiuti illeciti di ogni genere, a
località Tre ponti, vicino Taverna del
Re, l’acqua prende fuoco. La stessa roba è finita nei laghi ricavati dall’estrazione della sabbia».
Poi nel 1997 arriva il decreto Ronchi, si chiudono le discariche per fare
posto all’impiantistica in grado di
smaltire i rifiuti in linea con le direttive
comunitaria, quell’impiantistica che
stiamo ancora aspettando. Nella zona
vengono censite 36 cave a discarica,
tra quelle aperte dallo stato (ma che si
fa fatica a definire a norma) e quelle
completamente illegali. Ulteriori quindici, dismessa l’attività estrattiva, possono essere ancora convertite in sversatoi e la solita Fibe (quella che, con la
casa madre Impregilo, ci ha confezionato la filiera di smaltimento peggiore
dell’emisfero occidentale) per prima
fiuta l’affare. Così nella zona diventata
famosa come ‘triangolo della morte’,
Qualiano–Giugliano–Villaricca, dove
si registra un aumento delle mortalità
per tumore pari al 14%, tra i picchi
massimi in Italia, si piazzano due discariche in attesa che il termovalorizzatore di Acerra bruci i rifiuti, a Settecainati e Cava di Conta: sversatoi dove ci
finisce di tutto, immondizia urbana mista a rifiuti speciali (fanghi di prove-
nienza industriale, ceneri volatili, scaglie di alluminio e ferro). Accanto cominciano ad accatastarsi le ecoballe
non a norma prodotte dagli impianti
cdr, poi sequestrati dalla magistratura,
ecoballe che la Fibe ha dato in garanzia alle banche per costruire l’impianto di Acerra. «Tutto è iniziato con un
ordinanza che permetteva lo stoccaggio temporaneo nelle piazzole del cdr
di Giugliano – ricorda Domenico di
Gennaro - Quando cominciammo a
protestare si spostarono su Villa Literno, che è al confine ma in provincia di
Caserta, in località Lo Spesso. Questo
è il primo nucleo della cittadella dell’immondizia di Taverna del Re. In origine era una piazzola di 20mila metri
quadrati che è diventata una megalopoli di 2 chilometri e mezzo. Una città
con vie, piazze, strade su cui incombono edifici di immondizia, adesso ci fanno anche i sensi unici».
Il mostro è stato prodotto da 51 ordinanze di ampliamento, teoricamente
avrebbero potuto andare avanti ancora per anni ma nel 2007 la battaglia del
Presidio permanente ottiene una vittoria, con la chiusura del sito. «Così scoppia l’emergenza rifiuti del 2008 – spiega ancora – con la ricerca di nuovi fossi dove buttare tutto la spazzatura indifferenziata. La cosa grave è che un
presidente eletto dal popolo, Luigi Cesaro, firma la riapertura di Taverna de
Re, 8mila metri quadrati da riempire
per 40 giorni, camion in viaggio per 20
chilometri ogni giorno da Napoli. Ma
se si tratta di un fatto temporaneo,
non c’era un posto più vicino? Un ca-
51
ORDINANZE Tante volte è
stato deciso dai commissari
straordinari all’emergenza rifiuti
l’ampliamento del sito di
Taverna del Re. Fino ad arrivare
al mostro attuale
pannone industriale dismesso proprio a Napoli? La verità è che stanno
provando a verificare il livello della
protesta e la disponibilità degli amministratori, alla fine sarà una delle nostre cave e prendere il posto della Vitiello di Terzigno». L’assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Romano,
precisava lunedì che, in attesa di due
nuovi termovalorizzatori, ci vuole
un’altra discarica e deve essere nel napoletano. Il presidio di Giugliano si
preparano a combattere ancora per
la sopravvivenza del territorio. Si tratta dello stesso territorio per cui la Procura di Napoli ha accertato il disastro
ambientale. Nel 2064 il percolato di
341 mila tonnellate di rifiuti speciali
pericolosi (a cominciare dai fanghi
dell’Acna di Cengio), di 160 mila e
500 tonnellate di rifiuti speciali non
pericolosi, di 305 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, precipiterà definitivamente nella falda e avvelenerà decine di chilometri quadrati di terreno.
Tutto nero su bianco accanto ai 35 capi d’imputazione contestati ai sei indagati nel processo sulla gestione delle società Resit di Cipriano Chianese.
GROTTAMMARE · Politiche, pratiche e prospettive. Una due giorni organizzata dalla rete «Democrazia chilometro zero», per connettere l’altra politica
«Cambiare l’Italia senza prendere il potere». Si incontra la cricca delle 3P
Sergio Sinigaglia
ASCOLI PICENO
C’
è attesa nelle Marche per l’appuntamento di Grottammare del 6/7
novembre, promosso dal circuito
“Democrazia chilometri zero”. Ad un anno dall’incontro tenutosi nel quartiere delle Piagge di Firenze, le due giornate saranno un momento prezioso per confrontarsi
e discutere. “Cambiare l’Italia senza prendere il potere” è il “titolo” che si è scelto,
ma in realtà le persone che dalle 10,15 di
sabato si riuniranno nella Sala Kursal della
cittadina a pochi chilometri da San Benedetto del Tronto, cercheranno di capire come poter rafforzare la rete tra le varie espe-
rienze di base presenti nel nostro Paese. È
per questo che dopo gli interventi della
mattina e i gruppi di lavoro del pomeriggio sulle tre parole chiave individuate, “politiche”, “pratiche” e “prospettive” (ironicamente definite le 3P a fronte della P3), la
domenica mattina verrà dato ampio spazio, oltre al resoconto degli incontri nelle
“commissioni” del giorno prima, alla riflessione con le altre realtà nazionali invitate,
dal Forum nazionale dell’acqua a Libera,
dalla Rete del Nuovo Municipio alla Rete
“A sinistra”. Per capire come connettersi,
nel rispetto dello specifico percorso, e cercare di allargare sempre più quel fronte di
“altra politica diffusa” presente nel nostro
Paese.
Dicevamo dell’attesa nei gruppi di base
marchigiani, anche qui attivi su più fronti.
È infatti prevista una partecipazione ampia dai diversi luoghi della regione, soprattutto dal Piceno e non solo per la vicinanza a Grottammare, ma perché, come ci
spiega Olimpia Gobbi del gruppo “Luoghi
Comuni” di San Benedetto del Tronto, associazione che si è accollata l’organizzazione dell’evento, «in quest’area della regione, forse più che altrove, è grande lo spaesamento dei cittadini di fronte alle modalità con cui, con approcci piuttosto uniformi fra centrodestra e centrosinistra, le istituzioni governano questa fase di transizione socio/economica: green economy intesa come assalto spesso distruttivo al terri-
torio da parte di poteri forti; cementificazione e consumo di suolo fra i più alti d’Italia; nonostante i proclami, strisciante e nascosta privatizzazione dei beni comuni,
compresa l’acqua; sostegno regionale alle
scuole private ma non a quelle pubbliche,
ormai allo stremo; delocalizzazione di industrie storiche sane, dotate di mercato e
di saperi; massicci investimenti per la grande viabilità e pressoché niente per la mobilità sostenibile».
In realtà è una situazione diffusa un po’
ovunque nelle Marche, lo sanno bene a
Falconara dove da anni si battono contro
lo strapotere dell’Api che con la sua raffineria ha da decenni imposto uno sviluppo
economico nocivo e devastante per il terri-
torio circostante. Carlo Brunelli, architetto
e ambientalista doc, da sempre in prima fila nel movimento di base falconarese che
si batte per un “progetto locale” alternativo, sottolinea come «viviamo l’incontro di
Grottammare come occasione formativa,
momento importante per consolidare operativamente il cantiere di democrazia dal
basso già attivo da tempo; per rinforzare le
reti locali e nazionali, mettere insieme pratiche, saperi e politiche; per costruire nuovi strumenti di connessione, comunicazione, autoformazione, autorganizzazione,
autogoverno». Insomma una preziosa opportunità non solo per provare a “cambiare l’Italia senza prendere il potere”, ma per
cambiare anche se stessi e la propria vita.
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A trenta metri sopra il cielo la protesta di cinque immigrati