Fiscal cliff, gli USA sul filo di lana
Giovedì 06 Dicembre 2012 00:00
di Michele Paris
A meno di un mese dalla scadenza prevista per l’attivazione del cosiddetto “fiscal cliff”, il
dibattito politico negli Stati Uniti continua a registrare la mancanza di un accordo condiviso tra
democratici e repubblicani. La trattativa per evitare l’implementazione automatica e immediata
di tagli alla spesa federale, compresa quella militare, e aumenti alle tasse per 600 miliardi di
dollari a partire dal primo gennaio prossimo, lascia però intravedere più di uno spiraglio,
giustificato anche dalla sostanziale identità di vedute tra i due partiti sulla necessità di
ristrutturare i principali programmi sociali garantiti a decine di milioni di persone e di riformare il
sistema fiscale in modo da favorire ulteriormente i redditi più elevati.
I più recenti sviluppi delle trattative in corso a Washington registrano la presentazione di una
contro-proposta repubblicana firmata dallo speaker della Camera dei Rappresentanti, John
Boehner, in risposta a quella sottoposta in precedenza dalla Casa Bianca. Il piano del leader
repubblicano include un aumento delle entrate fiscali pari a 800 miliardi di dollari in dieci anni,
senza aumentare però le aliquote più alte, e 1.200 miliardi di tagli alla spesa, cioè circa il doppio
di quanto contiene la proposta democratica sul tavolo.
La scure repubblicana si abbatterebbe sui programmi Medicare e Medicaid (tagli per 600
miliardi), sui finanziamenti destinati ai buoni alimentari e ad altri ammortizzatori sociali (300
miliardi), su quelli per l’educazione e i trasporti pubblici (300 miliardi). Inoltre, l’età di accesso a
Medicare - la copertura sanitaria pubblica riservata agli anziani - verrebbe innalzata da 65 a 67
anni e il popolare programma finirebbe progressivamente per essere destinato solo alla
popolazione più povera, perdendo l’attuale carattere di universalità.
La precedente proposta di Obama, presentata settimana scorsa dal Segretario al Tesoro Tim
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Geithner, è invece un pacchetto da 2.200 miliardi di dollari, di cui 1.600 da ottenere con la
cessazione a fine anno dei tagli alle tasse implementati da George W. Bush per i redditi
superiori ai 250 mila dollari l’anno e il resto tramite tagli per 600 miliardi alla spesa destinata a
Medicare, Medicaid e ad altri programmi sociali.
Sia l’amministrazione Obama che i leader democratici al Congresso insistono che un eventuale
accordo sul “fiscal cliff” debba includere necessariamente il ritorno ai livelli di tassazione dell’era
Clinton per i redditi più alti, mentre deve essere esclusa qualsiasi “riforma” dei programmi
pubblici di assistenza.
Questi due presunti punti fermi fissati dai democratici sono però tutt’altro che inviolabili e
servono unicamente a gettare fumo negli occhi dei cittadini americani, in particolare dei
sostenitori liberal del presidente Obama, così da dare l’illusione che i democratici stiano
perseguendo politiche a difesa di lavoratori, anziani e classe media mentre in realtà si stanno
preparano assalti senza precedenti alle loro condizioni di vita.
In altre parole, la Casa Bianca, sull’onda del successo elettorale del mese scorso, intende
puntare i piedi sul “fiscal cliff”, così da incassare una vittoria simbolica ai danni dei repubblicani
per mezzo di un aumento a dir poco modesto delle tasse a carico degli americani più ricchi.
Un capitale politico, quello a disposizione di Obama in caso di raggiungimento di un accordo
bipartisan secondo le proprie condizioni, che potrebbe poi spendere il prossimo anno quando si
negozierà sulle “riforme” di fisco e spesa sociale, con provvedimenti che si tradurranno in un
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nuovo colossale trasferimento di ricchezza dalle classi più disagiate a quelle privilegiate.
Infatti, Obama e i leader democratici hanno lasciato intendere chiaramente in questi giorni di
essere più che disponibili a trattare con i repubblicani su entrambe le questioni nei prossimi
mesi. Lo stesso Geithner domenica scorsa è apparso a questo scopo in svariati programmi
televisivi americani per ribadire che la Casa Bianca vuole “riformare” Medicare, Medicaid e
Social Security. Questi programmi, ha avvertito il Segretario al Tesoro, non devono però essere
inclusi nella discussione in corso sul “fiscal cliff”, ma saranno oggetto di trattative separate nel
2013.
L’amministrazione Obama, insomma, pur rifiutando la proposta di John Boehner di lunedì, ha
fatto capire che tutto ciò che i repubblicani devono fare per ottenere la disponibilità democratica
a mettere sul tavolo i tagli alla spesa federale nei prossimi mesi è accettare ora un lieve e
momentaneo aumento delle tasse per i più ricchi.
Il concetto lo ha chiarito in prima persona e con il consueto cinismo anche il presidente Obama
nel corso di una recente intervista a Bloomberg TV. L’inquilino della Casa Bianca ha spiegato
che la sua proposta consiste appunto in un temporaneo innalzamento delle tasse per una
ristretta cerchia di super-ricchi, poiché “alla fine del 2013 o il prossimo autunno potremmo
avviare un processo nel quale lavorare ad una riforma fiscale… ed è possibile che le aliquote
verranno abbassate allargando la base dei contribuenti”.
Allo stesso modo, il presidente americano ha ripetuto più volte di essere “pronto a lavorare con i
leader democratici e repubblicani per tagliare gli eccessi della spesa sanitaria”. Quando poi gli è
stato chiesto quale sia la sua posizione riguardo le proposte repubblicane di alzare l’età di
accesso a Medicare e di ridurre gli adeguamenti legati all’inflazione per i benefit previsti da
Social Security, Obama ha affermato di essere “disposto a valutare qualsiasi iniziativa che
rafforzi (smantelli) il nostro sistema” sociale.
In definitiva, leggendo attraverso i resoconti dei media ufficiali, si comprende come un
eventuale accordo che eviti il “fiscal cliff” entro la fine dell’anno, che in ogni caso
comprenderebbe già importanti tagli alla spesa sociale, sarebbe solo un antipasto dei
cambiamenti strutturali che verranno negoziati nel 2013 e che rimetteranno indietro di qualche
decennio le lancette degli orologi per quanto riguarda l’estensione delle coperture garantite da
programmi pubblici come Medicare, Medicaid e Social Security.
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Sul fronte delle trattative, intanto, la parte relativamente moderata del Partito Repubblicano
sembra essere vicina ad accettare il compromesso con Obama, tanto che nei giorni scorsi
alcuni deputati hanno apertamente invitato i loro colleghi a dare il via libera all’aumento
temporaneo delle tasse per il 2% dei contribuenti al vertice della piramide sociale negli Stati
Uniti.
Secondo costoro, porre fine in questo modo allo scontro in atto consentirebbe ai repubblicani di
presentarsi in una posizione di vantaggio in vista del confronto di più ampio respiro con i
democratici nel 2013 e che, come si è visto, potrebbe portare anche ad un abbassamento del
carico fiscale per i più ricchi.
Già a fine gennaio o a febbraio, poi, scatterà una nuova scadenza, quando cioè verrà raggiunto
il tetto massimo dell’indebitamento americano e il Congresso sarà chiamato ad autorizzarne
l’innalzamento. Questo appuntamento già viene preannunciato da media e politici con toni
apocalittici e sarà dunque nuovamente sfruttato per far digerire alla popolazione altri “necessari”
tagli alla spesa sociale.
L’ala più conservatrice del Partito Repubblicano continua però a respingere qualsiasi minimo
provvedimento che minacci di intaccare la ricchezza delle classi privilegiate che rappresenta,
tenendo perciò ancora lontano un possibile accordo. Tra i più fermi oppositori figura ad esempio
il senatore ultra-conservatore della Carolina del Sud, Jim DeMint, il quale l’altro giorno ha
criticato senza mezzi termini lo speaker John Boehner per avere proposto nuove entrate per
800 miliardi di dollari, anche se da ottenere senza aumenti di tasse ma soltanto riducendo
alcuni rimborsi fiscali ed eliminando qualche scappatoia legale che permette ai più ricchi e alle
aziende di abbattere il proprio carico fiscale.
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Alla luce di queste persistenti divisioni, toccherà ai leader repubblicani raggiungere un qualche
equilibrio all’interno del proprio partito, così da evitare possibili rotture ma anche le
conseguenze politiche di avere fatto naufragare un’intesa che, in definitiva, entrambi gli
schieramenti sono ansiosi di raggiungere al più presto.
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