Vie per Bisanzio
VII Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale di Studi Bizantini
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Abstracts
Alessia Adriana Aletta, Andrea Paribeni, I "luoghi" del diritto nel Paris. Suppl. gr. 1085, tra
parole scritte e immagini dipinte
Il Paris. Suppl. gr. 1085 è uno dei più antichi testimoni del Nomocanone in XIV titoli, tramandato
nella cosiddetta recensione pseudo-foziana. Il prezioso manufatto, da ricondurre al primo secolo X,
costituisce un vero unicum nel quadro della produzione di argomento canonico bizantina in ragione
del sontuoso apparato ornamentale del quale è corredato, cui è affidata la consueta funzione di
inquadrare i titoli dei capitoli, ovvero, di chiosare il testo. Il vocabolario esornativo, di natura
prettamente aniconica, attinge a motivi fitomorfici che si svolgono in maniera quanto mai originale.
Nel quadro di questi temi ornamentali, si distinguono alcune strutture architettoniche la cui
realizzazione, accurata nei vari dettagli strutturali, parrebbe alludere ai luoghi fisici nei quali si
svolsero le importanti adunanze conciliari.
Sotto il profilo critico, il Paris. Suppl. gr. 1085 è conteso, per così dire, tra Oriente e Occidente,
giacché se studiosi come André Grabar avevano ricondotto le peculiarità iconografiche del
testimone ad ambito italo-greco, Kurt Weitzmann, che in un primo momento lo attribuiva alla
Bitinia, ha poi accolto l'ipotesi di una sua provenienza da ambito palestinese. Ciò probabilmente in
ragione degli avanzamenti degli studi paleografici che nel frattempo registravano una sempre
maggiore attenzione per quelle aree sottoposte all'influsso di Bisanzio. In particolare, Lidia Perria si
è soffermata in più occasioni sul manoscritto parigino, per il quale ha colto interessanti assonanze
grafiche con altri manoscritti riconducibili ad ambito siro-palestinese.
La presente ricerca, che procede su un binario parallelo tra storia dell'arte e paleografia, intende
soffermarsi sul ricco apparato iconografico a corredo del Suppl. gr. 1085 e sulle sue componenti
grafiche e testuali, con il proposito di coglierne la genesi e il milieu culturale di riferimento.
Andrea Babuin, La decorazione ad affresco della chiesa dell’arcangelo Michele a Kostàniani, in
Epiro
La chiesa dell’arcangelo Michele di Kostàniani sorge a una ventina di chilometri a sud ovest di
Ioannina, uno dei principali centri dell’Epiro. Quasi del tutto ignorato dalla bibliografia
specialistica, questo monumento conserva probabilmente il più vasto complesso di affreschi tardo
bizantini di tutta la Grecia nord-occidentale. La qualità e il relativo buono stato di conservazione dei
cicli pittorici che lo decorano ne fanno un interessante oggetto di studio e uno dei rari esempi di
edifici del periodo del Despotato d’Epiro giunti integri fino a noi.
Francesca Prometea Barone, Per un’edizione critica della Synopsis Scripturae Sacrae dello
pseudo-Giovanni Crisostomo
La Synopsis Scripturae Sacrae dello pseudo-Crisostomo (PG 56, 313-386, CPG 4559) è un testo di
grande interesse per la storia del canone biblico come pure per la storia della lettura della Bibbia,
giacché si presenta come la più antica collezione di sintesi dei testi biblici. Di tale testo non esiste
alcuna edizione critica condotta secondo i parametri della filologia contemporanea. Nel corso del
mio studio presenterò i problemi critici posti da tale testo. In primo luogo, discuterò della sua
attribuzione (la pseudoepigrafia di tale opera non è indiscussa), quindi della sua datazione.
Presenterò in seguito la tradizione diretta di tale testo (una dozzina di testimoni), la tradizione
indiretta (per quanto la Clavis Patrum Graecorum non segnali né frammenti dispersi né traduzioni
orientali né, ancora, testi compilati a partire dal nostro, Klostermann parla di capitula in siriaco e
latino), la storia delle edizioni moderne (Montfaucon, riprodotto da Migne; il lavoro di Philotheos
Bryennios sul ms. Hierosolymitanus Sancti Sepulcri 54; il lavoro di Paul de Lagarde sul
Napolitanus II A 12). Il nostro testo sarà quindi confrontato con le due altre Sinossi ad oggi
conosciute: quella dello pseudo-Atanasio, pubblicata da Felkmann; il testo contenuto nel
Barberinianus gr. 317 (III 36).
Claudia Barsanti, Una ricerca sulle sculture in opera nelle cisterne bizantine di Istanbul
Negli ultimi anni sono state restaurate diverse cisterne bizantine di Istanbul, rendendole agibili e
dando così modo di esaminare la cospicua serie di materiali marmorei (colonne, basi e, soprattutto
capitelli) utilizzati nelle loro articolate strutture architettoniche. La ricerca, condotta dall’Università
di Roma Tor Vergata negli anni 2007-2009, si è focalizzata sulla cospicua serie di capitelli in opera
nella grande Sultan Sarnici, situata in prossimità della Selim Camii (è la n° 9 nel catalogo delle
cisterne costantinopolitane pubblicato nel 1893 da Ph. Forchheimer e J. Strzygowski). Essi offrono
una importante documentazione per alcune tipologie di capitelli prodotti su scala industriale, tra V e
VI secolo, dagli opifici che lavoravano il marmo proconnesio.
Marina Bazzani, Diversi livelli di stile e significato nella poesia di Manuele File
La presente relazione analizza vari aspetti della poesia di Manuele File, uno dei più prolifici autori
di età paleologa. Partendo dall’esame di alcune poesie di natura occasionale dedicate a influenti
membri della corte, benefattori e protettori del poeta, in segno di omaggio o, molto spesso, al fine di
richiedere doni e denaro, si cercherà di dimostrare come il tono delle composizioni vari e si adatti
agli interlocutori, e come l’autore giochi abilmente con la scelta delle parole così da creare una rete
di allusioni e metafore che conferisce al testo unità, e al tempo stesso produce complessità e
molteplicità di significati.
Claudio Bevegni, Osservazioni sui manoscritti bizantini dei Moralia di Plutarco utilizzati da
Angelo Poliziano
Il manoscritto II I 99 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è un vero e proprio zibaldone
che raccoglie una grande quantità di estratti greci e latini, derivati dalle opere dei più svariati autori
e trascritti per la maggior parte dalla mano di Angelo Poliziano, o, comunque, sotto la sua
supervisione. Tra le opere greche epitomate da Poliziano troviamo anche i Moralia di Plutarco, e
con una selezione molto corposa. Gli estratti dei Moralia si presentano ripartiti in quattro distinte
tranches e appartengono a 32 diversi opuscoli morali: tali estratti risultano per la maggior parte
autografi di Poliziano, il quale trascrive i passi greci alla lettera, oppure (ma meno frequentemente)
li traduce o li parafrasa in latino. La presente comunicazione focalizza l’attenzione sui manoscritti
greci dai quali Poliziano ha desunto gli estratti plutarchei: l’identificazione di tali manoscritti è stata
in parte appurata, ma necessita di ulteriori precisazioni. In particolare, verrà esaminata la quarta
tranche di estratti, concernente le sole Quaestiones convivales, per epitomare le quali Poliziano ha
verosimilmente utilizzato il Laurenziano 80,5. Infine saranno indicate alcune linee di ricerca in
merito alla conoscenza e al riuso delle Quaestiones convivales da parte di Poliziano e saranno
esaminate in breve alcune citazioni delle QC nel Commento all’Odissea e nella prima centuria dei
Miscellanea.
Livia Bevilacqua, Basilio parakoimomenos e i manoscritti miniati: impronte di colore
nell’Ambrosiano B 119 sup.
Il parakoimomenos Basilio, figlio illegittimo di Romano Lecapeno e cognato di Costantino VII
Porfirogenito, non fu solo uno dei personaggi politici più influenti della seconda metà del X secolo
alla corte bizantina, ma si distinse anche per la sua intensa attività di committente di opere d’arte.
Oltre a celebri opere di oreficeria quali la stauroteca di Limburg an der Lahn, il calice e la patena di
diaspro del Tesoro di San Marco a Venezia (ora reliquiario della testa del Battista) e il reliquiario di
san Simeone Stilita a Camaldoli, si possono attribuire alla sua committenza anche alcuni
manoscritti, oggi conservati sul monte Athos (Dionysiou 70), a San Pietroburgo (Publ. Libr. gr. 55)
e nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (Ambr. B 119 sup.).
Quest’ultimo codice è di estremo interesse sia dal punto di vista testuale sia per il corredo
decorativo che lo impreziosisce. Esso contiene il testo di alcuni trattati tardoantichi di materia
militare, e di uno dedicato alle battaglie navali, composto, quest’ultimo, su richiesta dello stesso
Basilio. Sfortunatamente il cattivo stato di conservazione del manoscritto, che è mancante di
numerosi fascicoli e presenta una serie di tagli dovuti all’asportazione di fogli o parti di foglio, e il
fatto che la rilegatura attuale non rispetti la reale sequenza dei fascicoli, non consente di valutare
correttamente l’aspetto originario del manufatto. Tuttavia, è possibile formulare alcune osservazioni
sulla sua decorazione, sopravvissuta solo in parte. Gli incipit dei trattati sono quasi sempre marcati
da pylai in blu e oro che ne incorniciano i titoli; inoltre il testo è corredato da una serie di
illustrazioni schematiche, spesso sotto forma di veri e propri grafici, che illustrano visivamente
quanto spiegato a parole nei trattati. Il caso più interessante si osserva però sul verso di uno dei
fogli, dove sono visibili tracce di colore che denunciano la presenza, in origine, di una miniatura a
piena pagina che si trovava sul recto del foglio seguente, ora scomparsa insieme al foglio stesso,
maldestramente tagliato. Ad un’attenta osservazione è perfino possibile riconoscere il singolare
soggetto che vi era stato rappresentato. Il manoscritto ambrosiano, dunque, in origine non era
aniconico, come generalmente si ritiene, bensì il suo apparato illustrativo constava anche di
elaborate miniature che dovevano collocarlo tra le alte realizzazioni della produzione libraria
mediobizantina.
Anna Maria Ieraci Bio, Giovanni Argiropulo e la medicina
Attraverso l’analisi delle opere mediche e delle testimonianze relative alle conoscenze mediche di
Giovanni Argiropulo si cercherà di individuare gli autori e i testi della sua formazione.
Chiara Bordino, I Padri della Chiesa e le immagini nella Refutatio et Eversio di Niceforo di
Costantinopoli
Il contributo vuole proporre alcune piste di riflessione all’interno della Refutatio et eversio
definitionis synodalis anni 815, scritta nel IX secolo da Niceforo, patriarca iconofilo di
Costantinopoli, per confutare la definizione del concilio dell’815, che era tornato ad affermare le
posizioni degli iconoclasti, rifiutando la restaurazione del culto delle immagini decretata nel 787 dal
Concilio Niceno II. In particolare, si intende puntare l’attenzione in questa sede sul tema del
rapporto fra pittura e scrittura. Niceforo stabilisce un’equiparazione fra la rappresentazione visiva e
quella che si ha attraverso il discorso, scritto o pronunciato. Con ciò non intende semplicemente
dire che la pittura traduce in immagine i contenuti del discorso, ma piuttosto che ambedue i canali
espressivi possono raggiungere, ciascuno con i mezzi che gli sono propri, una rappresentazione di
grande vividezza, capace di toccare profondamente lo spettatore, la reazione emotiva del quale ha
un ruolo di fondamentale importanza nella contemplazione dell’immagine cristiana. Il patriarca
riprende una linea di pensiero che parte dagli autori cristiani del IV-V secolo (soprattutto i
Cappadoci e Asterio di Amasia), collocandola sulla base di una ormai solida e coerente teoria
cristiana dell’immagine e arricchendola con una meditazione raffinata e sottile sulle relazioni fra il
piano delle immagini artistiche e quello della rappresentazione verbale. Se, a livello teorico,
Niceforo pone la parola e l’immagine sullo stesso piano, di fatto nella Refutatio si volge a
considerare testi scritti, senza lasciarci intuire molto riguardo a quanto conoscesse dell’arte del suo
tempo. Sporadici sono i riferimenti in qualche modo collegabili al panorama artistico coevo:
talvolta l’autore cita opere che dovevano ancora esistere ai suoi giorni; altre volte la sua cultura
visiva emerge indirettamente dal modo in cui interpreta i passi patristici.
Luciano Bossina, Falsi bizantini nel corpus di Nilo di Ancira
Benché vari trattati siano stati restituiti con successo a Evagrio Pontico, il corpus delle opere
attribuite a Nilo di Ancira rimane uno dei più cospicui del monachesimo antico. Spicca tra tutte
l'enorme epistolario, che contiene più di un migliaio di lettere, destinate a centinaia di diversi
corrispondenti. Questa fonte, tuttora accessibile nell'edizione di Leone Allacci riprodotta nel 79
volume della Patrologia Graeca, e dunque pregiudicata da uno stato ecdotico che non ne ha mai
facilitato lo studio, presenta oltretutto vari motivi di sospetto. Il contributo intende analizzare vari
casi in cui si configura con tutta chiarezza l'ipotesi di una falsificazione postuma: lettere che, per
motivi storici, linguistici e contenutistici, Nilo non può avere composto e che furono fabbricate a
secoli di distanza dai redattori che raccolsero le collezioni delle sue epistole nell'ambito della
costruzione leggendaria e agiografica della sua figura.
Tommaso Braccini, Tra aquile e campane: araldica bizantina dopo la caduta di Costantinopoli
La consuetudine occidentale dei blasoni sembra essere comparsa a Bisanzio già dai primi decenni
del XV secolo, adottata dalla stessa famiglia imperiale, che arrivava a concedere ai Latini
benemeriti il diritto di inquartare il proprio stemma con l’aquila bicefala. Negli anni successivi alla
caduta di Costantinopoli, numerosi esuli greci e balcanici che si rifugiarono in Occidente
rivendicavano una vera o presunta discendenza dalle famiglie nobili di Bisanzio; non stupisce che,
per rimarcare il proprio status aristocratico, spesso avessero adottato anche uno stemma. Non c’era
solo la consueta aquila bicefala: i Cantacuzeni (che tra l’altro vantavano connessioni anche con i
paladini di Francia) sfoggiavano un leone, i Notaras anche; e le famiglie, come quella albanese
degli Arianiti, che si proclamavano discendenti dei Comneni giunsero ad adottare, a partire dalla
fine del XV secolo, un curioso stemma, dall’origine non chiara, che effigiava alcune campane.
Questa “araldica bizantina”, non sorprendentemente, conobbe una sorta di revival dopo la caduta di
Cipro e la battaglia di Lepanto, quando suscitò l’interesse di nuovi esuli greci.
Gastone Breccia, Armi antiche nella Nuova Roma. La memoria delle guerre greche e romane
nella letteratura bizantina
Dai grandi personaggi (Alessandro, Annibale, Scipione, Cesare) ai grandi eventi, la relazione
analizza le tracce superstiti lasciate dalle guerre del mondo antico nella letteratura bizantina:
vengono presi in esame sia i manuali «tecnici» (dallo Strategikon di Maurizio alle Tacticae
constitutiones di Leone VI) sia i testi storiografici e cronachistici, tentando una prima valutazione
del significato di presenze e omissioni, e dunque del carattere e della funzione della memoria del
passato greco-romano nell’ambito della cultura militare della Nuova Roma.
Donatella Bucca, Per la storia della tradizione manoscritta del Commentario ai XII Profeti di
Teodoreto di Cirro
Numerosi sono i testimoni del Commentario ai XII Profeti di Teodoreto di Cirro rinvenuti nel corso
degli ultimi due secoli. Lo spoglio dei cataloghi e delle liste autorevoli di manoscritti contenenti il
testo oggetto di studio, effettuato in vista di una sua edizione critica, ha permesso di compilare un
elenco di un centinaio di manoscritti, databili lungo un ampio arco di tempo, dal X al XVII secolo, e
provenienti da diverse aree geografiche.
L'esame, finora effettuato, di una parte di questo materiale ha permesso di confermare o meno la
presenza del Commentario – che talora è stato confuso con testi affini – e di individuare e
specificare la tipologia e la porzione di testo tràdita. Valutazioni di carattere soprattutto paleografico
hanno consentito inoltre di precisare e integrare le informazioni contenute nei vecchi cataloghi
riguardo alla datazione e all’eventuale localizzazione dei singoli testimoni.
Alessandra Bucossi, Dibattiti teologici alla corte di Manuele Comneno
Le fonti storiche attestano numerose visite a corte da parte di ambascerie papali durante il regno di
Manuele Comneno e nutrita è la schiera degli autori che hanno scritto dei dibattiti relativi a queste
ambascerie e alle altre discussioni teologiche che ebbero luogo in questo periodo. Ma chi sono
questi autori? Che tipo di relazione li collega? Chi influenza e chi copia? E infine, quale ruolo gioca
l’imperatore nella composizione di queste opere? Questo contributo vuole chiarire la rete di
relazioni esistente tra gli scrittori presenti alla corte imperiale nella seconda metà del XII secolo e
propone alcuni spunti di riflessione sulla figura di Manuele Comneno quale committente di opere
teologiche.
Filippo Burgarella, Cristiani ed Ebrei a Bisanzio: il canone XI del Concilio Quinisesto
Dei 102 canoni del Concilio Quinisesto (692) merita particolare attenzione l’XI, poiché riguarda le
relazioni dei cristiani con gli ebrei. Vi si definisce infatti la norma che ai cristiani, sia a quelli di
condizione laicale sia a quanti appartengono ai ranghi ecclesiastici, impone severi divieti al
riguardo, la cui trasgressione comporta, per i primi, la pena spirituale della scomunica e, per i
secondi, una censura ben più grave, quale la sospensione o la deposizione dagli ordini sacri. Il
canone elenca i seguenti divieti: non mangiare gli azzimi dei giudei; non aver con loro rapporti di
assiduità e dimestichezza; non consultare, in caso di malattia, medici della loro religione e non
seguirne le cure e le prescrizioni; non frequentare i bagni pubblici insieme con i medesimi. Sono
divieti manifestamente volti a separare e distinguere la maggioranza cristiana, soprattutto quella di
tradizione e confessione ortodossa e d’obbedienza patriarcale costantinopolitana, dalle comunità
giudaiche, sparse in seno all’Impero bizantino e forti di una loro peculiare identità etnica e religiosa.
Sono divieti ispirati, in ogni caso, a scopi d’indole pastorale e dottrinale, di vigilanza cioè
sull’insieme dei cristiani, più che di discriminazione degli appartenenti a quelle comunità. Il chiaro
intento dei padri conciliari, e per loro tramite del legislatore ecclesiastico, è di preservare gli uni da
forme di contaminazione rituale e di promiscuità e osmosi sociale e culturale con gli altri. Sugli
azzimi viene ribadita una proibizione precedente, che qui vale perciò come ulteriore legittimazione
all’intransigenza greca, destinata a ben più drastici esiti, in fatto di peculiarità liturgiche di altre
chiese, in particolare la latina, tenaci nell’uso degli azzimi nella celebrazione eucaristica e perciò
ritenute giudaizzanti. Nel divieto di una comune frequentazione delle terme si può forse cogliere
l’eco delle pesanti riserve morali suggerite dalla satira antica riguardo ai circoncisi. L’avvertenza di
evitare i medici ebrei e le loro cure si presta a interessanti considerazioni: se lo scopo evidente è di
sottrarre i cristiani all’influenza del sapere ebraico, mediata dall’approccio terapeutico e dai mezzi
connessi con la gestione della salute del corpo, l’esito si coglie nella vicenda culturale dei secoli
posteriori. Il primato della taumaturgia sulla medicina, proclamato specialmente nella letteratura
agiografica, sembra il naturale sviluppo del canone XI, come si vede anche in àmbito periferico,
segnatamente nell’Italia bizantina. Qui, in pieno X secolo, sant’Elia lo Speleota e san Nilo da
Rossano si adoperano a darne concreta applicazione. Specialmente il secondo dissimula – almeno a
giudicare da quel che ci narra l’agiografo – il suo rapporto come paziente del medico ebreo
Donnolo sotto le apparenze della disputa o controversia dottrinale fra sapienti delle due fedi:
apparenze legittime perché conformi agli schemi della letteratura bizantina, tanto più che fra i due
personaggi dovette pur esserci una simile forma di dialogo interreligioso.
Anna Caramico, Policromatismo semantico nel De animalium proprietate di Manuele File?
La lingua del De animalium proprietate di Manuele File si può definire policromatica; termini
appartenenti a un consolidato lessico zoologico si intrecciano con termini provenienti da svariati
lessici specialistici: botanico, medico, ottico, marinaro, musicale, architettonico, teologico, militare.
Il poeta adegua il mezzo espressivo all’immagine che intende rappresentare: crea delle serie
metaforiche mescolando termini generici con termini tecnici, sottoponendone alcuni a processi di
traslazione semantica; il fine è una sorta di straniamento, il cosiddetto audacior ornatus. Le
metafore, insieme con le molteplici digressioni presenti nell’opera, possono forse apparire un
nonsense; eppure esse sono la trovata retorica del poeta per ravvivare un nozionismo zoologico
spesso noioso e per tenere alta l’attenzione del lettore. Il continuo rimescolamento lessicale (che è
anche sintattico, tonale, topico, tematico) provoca un abilissimo gioco di evocazioni, di allusioni
letterarie, a volte enigmatiche per il lettore moderno, ma sicuramente familiari all’élite colta
paleologa profondamente impregnata di Antico, o, se si vuole, di Ellenismo. Il ‘policromatismo’
semantico filiano è il risultato naturale del classicismo bizantino, che non è fanatica devozione
verso le auctoritates, ma matura selezione, discernimento e ricreazione dell’Antico.
Caterina Carpinato, Analisi testuale del canto di Armuris: una traduzione come strumento di
studio
Verrà presentato criticamente il testo del canto di Armuris (edizione Alexiou), con osservazioni
filologiche e linguistiche, per una lettura analitica del componimento inserito nel suo contesto
storico letterario. Verrà inoltre proposta una traduzione italiana come strumento per una più diretta
conoscenza della produzione letteraria in greco alle origini del volgare. Tale versione letteraria, che
impone scelte lessicali e stilistiche specifiche, comporta non solo complesse questioni realtive alla
traspozione da una lingua ad un'altra, ma pone anche quesiti relativi alla fruizione e destinazione
scientifica degli studi nell'ambito del greco medievale in lingua volgare.
Annaclara Cataldi Palau, Un manoscritto di Simeon Uroš
Il codice di Basilea (Bas. A. III. 16), appartenuto a Giovanni Stojković (1390/95-1443), cartaceo,
contenente un Sinassario (set.-feb.), databile dalle filigrane alla seconda metà del XIV secolo, è
stato vergato da un ‘cartofilace’ che nella sottoscrizione posta a fine testo non ha rivelato il suo
nome. Sotto la sottoscrizione ho notato alcune scritte in greco, disordinate ed evanide, tra le quali
ho letto a fatica le parole ‘Symeon’ e ‘gambros’, nonché poco sotto ‘...maidos’ e ‘nymfes’.
In queste parole ho identificato Simeon Uroš Paleologo, re di Serbia (ca. 1326-ca. 1371-72) e la
moglie Tomaide Orsini (1327/1336-dopo 1359). Simeon è definito ‘gambros’ in quanto genero del
suocero Giovanni II Doukas Orsini, Despota dell'Epiro, e cognato di Niceforo II Orsini, ultimo
Despota della stessa regione fino alla sua improvvisa morte (1359); la qualifica è importante perché
precisamente su questo legame di parentela egli basava la sua pretesa al Despotato dell'Epiro.
Questa identificazione può essere interessante in quanto Simeon Uroš, malgrado fosse all'epoca
molto potente e famoso, è rimasto una figura nebulosa; si hanno solo tre documenti suoi.
Nell'intervento si delineano brevemente le genealogie delle due famiglie Nemanja e Orsini in quegli
anni e si formulano alcune ipotesi riguardo allo scriba del codice. Sono brevemente investigati
alcuni manoscritti appartenuti al figlio di Simeon Uroš, Giovanni Uroš Paleologo (nato dopo il 1352
- morto dopo il 1423), per breve tempo imperatore poi monaco alle Meteore con il nome di Ioasaph.
Paola Cassella, Questioni lessicali in Eustazio di Tessalonica
La relazione intende esaminare alcuni fra i luoghi più significativi dell'imponente opera di Eustazio,
relativi a problemi di natura lessicale ed etimologica. Si esamineranno casi differenti per stabilire
differenti tipologie di problemi, e nel farlo si terrà presente soprattutto il commento alla Orbis
descriptio di Dionigi il Periegeta. Si tenterà inoltre di definire il rapporto di Eustazio con le sue
fonti, per esempio Erodoto, al quale il nostro autore spesso si richiama per discutere problemi di
lessico.
Marina Cavana, Daniele Calcagno, La Croce degli Zaccaria da Bisanzio a Genova (secoli IXXIII)
La comunicazione prenderà brevemente in esame la storia della “Croce degli Zaccaria” – un’opera
d’arte bizantina risalente ai secoli IX-XIII – e, in particolare, il suo arrivo a Genova. Recenti
scoperte d’archivio hanno potuto dimostrare che la tradizione locale, secondo la quale la Croce, alla
fine del secolo XV, sarebbe venuta in possesso degli Zaccaria, una importante famiglia di
ammiragli e mercanti legati alla Chiesa genovese, è oggi da ritenersi autentica, da retrodatare anzi
di alcuni anni. Verrà inoltre puntualizzato il ruolo della croce all’interno del “tesoro” della
Repubblica di Genova e la sua funzione in ambito liturgico, in particolare durante la benedizione
del nuovo Doge; per la croce, infatti, si attua un percorso di sacralizzazione simile a quello di altre
opere d’arte utilizzate durante le cerimonie di consacrazione di re e imperatori.
Salvatore Cosentino, Danzando il gotthikon (De cerim. I, 92)
Il cap. 92 del I libro del De cerimoniis (ed. Vogt) contiene una danza rituale che veniva messa in
scena nel palazzo imperiale, nel triclinio dei Diciannove letti, il nono giorno del dodekaēmeron (2
gennaio). Si tratta di un testo piuttosto stratificato quanto a contenuto, di cui si riconoscono almeno
due nuclei compositivi: la cosiddetta danza gotica e l’alphabētarion o alphabēticon. Quest’ultimo
nucleo, probabilmente più recente, è una declinazione della forza universale della basileia modulata
sulle lettere dell’alfabeto, ognuna delle quale funge da spunto per un’acclamazione all’imperatore.
La danza gotica è invece una drammatizzazione dello scontro tra ordine universale garantito dal
sovrano e il disordine belluino del barbaricum con una finalità chiaramente magica e apotropaica.
Tale nucleo appare più arcaico ed e forse stato trasmesso al cerimoniale di corte bizantino da una
tradizione proveniente dalle scholae palatinae tardoantiche.
Raffaella Cresci, La poesia del X secolo
Analisi di passi in cui l'accentuazione della self -assertiveness (per usare la terminologia adottata da
Lauxtermann) rispetto alla tradizione offre spunti per una possibile contestualizzazione di alcuni
poemi di Giovanni Geometra.
Carmelo Crimi, Gli anni costantinopolitani di Gregorio Nazianzeno in due testi bizantini
All’interno della ‘tradizione nazianzenica’, ottimamente rappresentata a Bisanzio dove il Padre
cappàdoce è tra gli autori più letti e citati in assoluto, emergono due testi significativi, la Vita di
Gregorio il Teologo di Gregorio Presbitero (da porre, secondo il recente editore, tra la seconda metà
del VI e i primi trent’anni del VII secolo) e l’Encomio di Gregorio il Teologo composto da Niceta
David Paflagone agli inizi del X secolo. Entrambi riservano molto spazio agli anni che il
Nazianzeno trascorse a Costantinopoli (379-381), dove il Cappàdoce fu inizialmente chiamato a
guidare la piccola comunità nicena. I due testi – pur caratterizzati dal comune intento di costruire
una immagine compatta ed esemplare di santità episcopale a partire dagli scritti stessi del Padre –
divergono in misura consistente nella scelta degli episodi significativi da mettere in luce e di quelli,
viceversa, da sminuire o da passare sotto silenzio. Distinte appaiono le preoccupazioni da cui sono
mossi gli agiografi e distinti ne sono gli esiti letterari. In particolare, l’Encomio di Niceta David
Paflagone costituisce una rilettura delle vicende del Gregorio ‘costantinopolitano’ fortemente
impregnata degli umori e delle tensioni personalmente sperimentate dall’agiografo.
Barbara Crostini, Paola Degni, Una Bibbia pandetta appartenuta a Bessarione: il codice
Ferrara, Biblioteca Ariostea, Cl. II, 187
Questa comunicazione ha per oggetto il manoscritto del sec. XIV, Ferrara, Biblioteca Ariostea, Cl.
II, 187, una rara Bibbia pandetta in tre volumi con in margine note della mano del Cardinale
Bessarione. Questo cimelio non è stato finora, a nostra conoscenza, oggetto di studi specifici. Oltre
ad approfondire l'aspetto codicologico e paleografico, affronteremo questioni più ampie come la
committenza e la contestualizzazione storica di questa Bibbia greca nell'ambito degli studi filologici
del famoso Cardinale.
Francesco D'Aiuto, Andrea Luzzi, Sul progetto di costituzione di un database relativo ai
manoscritti innografici bizantini antiquiores
Il progetto interuniversitario (Università di Messina, Roma «La Sapienza» e Roma Tor Vergata) di
cui si presentano obiettivi e primi risultati è rivolto allo studio dei più antichi manoscritti superstiti
dei libri innografico-liturgici della Chiesa bizantina (Triodio, Pentecostario, Ottoeco-Paracletica,
Menei, e così via). A tutt'oggi, infatti, non se ne ha un censimento, e si ignora quasi tutto della
struttura stessa dei più antichi codici di ciascuna collezione innografica: restano così nell’ombra,
sotto molti punti di vista, i primi secoli della storia dell’innografia bizantina, e in particolare alcuni
aspetti dell’evoluzione dei generi innografici e delle modalità di costituzione e sistemazione delle
raccolte di inni. Ci si attende, dunque, in primo luogo una positiva ricaduta del progetto nell'ambito
generale dell'euristica dei manoscritti referenti testi innografici; ma un’indagine sistematica
condotta anche su testimoni frammentari, compresi i papiri e i membra disiecta da recuperi
codicologici o da palinsesti, potrebbe contribuire a far luce su certe primitive forme innografiche –
come si dirà accennando a una scoperta recente –, o, ancora, a chiarire origini e diffusione di talune
arcaiche forme di notazione musicale. La base di dati relativa alla preliminare descrizione dei
testimoni manoscritti di cui sopra (descrizione approntata secondo un modello catalografico ad hoc,
derivante da quello impiegato per la realizzazione del censimento, in fieri, dei manoscritti italogreci,
finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nell'ambito delle Celebrazioni per il
Millenario dell'Abbazia di San Nilo a Grottaferrata), sarà interrogabile on line. Tale base di dati,
della quale viene presentata la struttura, si giova delle più moderne tecnologie all'uopo attualmente
disponibili nell'ambito dell'informatica umanistica (SQL Server 2008, XML, HTML, CSS, XSLT,
ASP.NET 3.5, Unicode, per citare solo le principali). Particolarmente rilevante è l'interconnessione
di tale base di dati con il database costituito dalla versione digitale elettronica degli Initia Follieri e
relativo aggiornamento, in corso di costituzione già da tempo presso l'Università di Roma
«Sapienza» e basato sulle medesime tecnologie, la cui definitiva realizzazione costituisce uno dei
prodotti del presente progetto di ricerca.
Manuela De Giorgi, La decorazione pittorica della chiesa di Agios Nikolaos a Kyriakoselia.
Considerazioni preliminari
Ubicata poco fuori il centro abitato di Kyriakoselia (Apokorona, Chania), la chiesa di Agios
Nikolaos è uno dei siti di maggiore interesse tra le centinaia di edifici bizantini dell’isola di Creta,
un monumento che a tutt’oggi attende ancora un’analisi esauriente. La fabbrica, che sulla base di
una serie di confronti sia icnografici sia della tettonica muraria, si può ragionevolmente datare tra la
fine dell’XI secolo e gli inizi del successivo, conserva ancora in buon stato le pitture murali
originarie, da ascriversi agli Trenta del 1200, espressione qualitativamente tra le più alte della
diffusione dello stile tardo-comneno nelle periferie dell’Impero. La decorazione che vi si dispiega
propone un programma iconografico ‘classico’ nei contenuti, ma adattato a una scatola
architettonica non conforme al più diffuso modello medio-bizantino della cross-in-square church: a
un ciclo cristologico, arricchito di scene relative alla vita della Vergine, si associa un variegato
santorale, completato quest’ultimo da un interessante ciclo agiografico di san Nicola. Di particolare
interesse è inoltre il ricchissimo patrimonio epigrafico, a mia conoscenza finora del tutto ignorato.
Mauro della Valle, Vita dell’imperatrice Zoe
Ritratta a mosaico nella Santa Sofia di Costantinopoli, a smalto sulla corona “del Monomaco” a
Budapest, a miniatura nel cod. Sinaitico gr. 364, in oro nei coni monetari battuti durante il breve
regno congiunto con la sorella Teodora, in piombo su un raro sigillo passato una ventina di anni fa
sul mercato, l’immagine dell’imperatrice Zoe dovette essere piuttosto diffusa nella capitale e
nell’Impero durante il suo lungo governo. Accanto ai prodotti storico-artistici a lei contemporanei
(ma si veda pure il ritratto delle due donne nel più tardo Zonara di Modena), disponiamo anche di
un mini-ciclo della sua vita miniato in uno dei più celebri manoscritti greci giunto fino a noi. Nello
Skylitzes di Madrid, infatti, ben dodici miniature la raffigurano, o raffigurano episodi della sua vita
in relazione con Teodora, miniature che certo sono minoritarie per numero rispetto agli spazi
dedicati ai suoi tre mariti e al figlio adottivo ma che pure costituiscono un corpus unico nel suo
genere perché dedicato ad una donna, anzi due donne, fatto più unico che raro nel mondo bizantino
e più ampiamente medievale. Pur essendo state di frequente impiegate per illustrare trattazioni
storiche a lei dedicate, a partire almeno dallo Schlumberger alla fine dell’Ottocento, queste
immagini non sono, mi sembra, mai state studiate in tutta la loro complessità, tranne che, forse, in
un articolo di Hill, James, Smythe, e solo per quanto riguarda i matrimoni-incoronazione
(superficialmente trattati anche dal Walter). A quanto mi consta una vera e propria monografia non
è mai stata dedicata a Zoe: se così fosse, sarebbe una lacuna che si dovrebbe presto colmare.
Marco Di Branco, Da Bisanzio ad al-Andalus: storie di libri e ambascerie
Uno dei problemi più complessi e affascinanti concernenti il cosiddetto Kitâb Hurûšiyûš (la
traduzione araba delle Historiae adversus paganos di Paolo Orosio, già oggetto di un mirabile
studio di Giorgio Levi Della Vida) è certamente quello dell’ambasceria bizantina alla corte dei
califfi cordobesi, al quale è connessa la questione dell’identità dell’“imperatore Armâniyûs”, che
secondo una fonte araba nel 948 o 949 avrebbe donato al califfo di Cordoba ‘Abd al-Rahmân III alNâsir due importanti manoscritti: le Historiae di Orosio e il De materia medica di Dioscoride. Per
Giorgio Levi Della Vida, non vi è ragione di dubitare del dono di Dioscoride, mentre quello
dell’Orosio sarebbe più sospetto. Per quanto riguarda la cronologia, egli nota invece come nel 948 o
949 l’imperatore bizantino non fosse Armâniyûs, cioè – a suo avviso – Romano I Lecapeno, bensì
Costantino VII Porfirogenito, e ricorda come gli storici maġribini e andalusi riferiscano di sue
ambasciate a Cordoba, nel 336/947-8 e nel 338/949: le fonti arabe confonderebbe dunque Romano
con Costantino. Tuttavia, è possibile proporre una ricostruzione diversa, in grado di ‘salvare’ tutti i
dati a disposizione: questi ultimi, infatti, al di là dei loro aspetti apparentemente contraddittorî,
sembrano costituire un insieme piuttosto coerente e di notevole interesse.
Vera von Falkenhausen, La pubblicazione degli atti greci del fondo Messina dell’Archivio Ducal
Medinaceli a Toledo
Nel 1679, in seguito al fallimento di una rivolta dei Messinesi contro la Spagna, i privilegi e atti
della città di Messina furono confiscati dal vice-re spagnolo Francisco Benavides, conte d’Esteban.
Dopo un iter archivistico alquanto complicato, i documenti del fondo Messina, tra cui 213 in lingua
greca, si trovano oggi nell’Archivio Ducal Medinaceli nel Palazzo Tavera a Toledo. Per quanto
riguarda la pubblicazione, i documenti privati vengono editi da Cristina Rognoni, mentre quelli
pubblici da Vera von Falkenhausen. La relazione darà un panorama della consistenza del fondo
greco, indicazioni relative alla provenienza dei documenti e ai problemi di carattere diplomatico e
informazioni sullo stato della pubblicazione.
Marina Falla Castelfranchi, L'iconostasi di Montecassino e i suoi modelli
Il prezioso manufatto descritto con dovizia di particolari da Leone Ostiense, e di cui esiste una
ricostruzione di Conant, non ha finora suscitato studi specifici. Anche nel recente lavoro sulla
Cronaca di Montecassino, curato da Aceto e Lucherini, ci si è limitati alla traduzione del lungo
passo latino, senza approfondire, p.e., i legami con la bella iconostasi lignea di Santa Maria in Valle
Porclaneta nella Marsica, verosimilmente esemplata da quella cassinese: quest'ultima mostrava una
ricca decorazione, con icone "tonde" e quadrate dipinte e d'argento massiccio. In area bizantina,
l'iconostasi può presentare sia trabeazioni lignee - mi riferisco al periodo mediobizantino - sia
soprattutto marmoree, specie a Costantinopoli e in Asia Minore, dove vanno in parte ricercati i
modelli per quella di Montecassino. Come si vedrà, la linea genealogica affonda le radici nel primo
periodo bizantino: mi riferisco specificatamente alla trabeazione della Santa Sofia giustinianea, in
cui erano incastonate immagini di Cristo e santi entro clipei, che a sua volta, nel gioco fra l'abside
dal decoro non figurativo, e le immagini scivolate sulla trabeazione, evoca il caso romano,
costantiniano, della chiesa laterana: si ricordi anche, come è noto, che le icone stesse giunsero da
Costantinopoli, come anche alcuni artisti chiamati dall' abate Desiderio. Le icone "tonde" di
Montecassino, tipologia che in alcuni inventari bizantini viene etichettata come "a forma di scudo" p.e. nel testamento di Eustazio Boilas, del 1059 -, trovano confronto in casi di simili manufatti
menzionati anche in alcune fonti medievali campane, e si tratta di una forma che deriva dalle
imagines clipeatae romane con funzione funeraria, categoria di immagini tradizionalmente legata
anche all'origine dell'icona stessa. Proiettato entro più vasti orizzonti, il caso dell'iconostasi di
Montecassino, seppure apparentemente desueto alle nostre latitudini, mostrerà, intatto, il suo DNA
consentendo anche una migliore conoscenza di queste peculiari strutture e della loro decorazione
negli stessi ambiti bizantini, in sincronia con il momento più significativo della trasformazione del
templon in iconostasi.
Marco Fanelli, Il problema della destinazione degli Amori degli Inni divini di Simeone il Nuovo
Teologo
Il carattere estremamente elevato, sublime e trascendente di questi scritti, l’altezza della teologia e
la profondità della loro manifesta conoscenza contemplativa credo che non siano a tutti
comprensibili ed accessibili.
Il significato profondo e la tensione estatica di queste parole che aprono la praefatio con la quale
Niceta Stethatos introduce la raccolta degli Inni di Simeone il Nuovo Teologo da lui edita, uniti
all’intento apologetico, che nel complesso è possibile ascrivere alla medesima, hanno determinato
un’univoca interpretazione del corpus innologico simeoniano. La convergenza di queste tre
motivazioni e la certezza del fatto che Simeone in vita non ritenne mai conveniente ed opportuno
pubblicare i suoi Inni hanno tacitamente avvalorato l’ipotesi che gli scritti del Nuovo Teologo siano
stati composti al solo scopo di verbalizzare i numerosi rapimenti estatici ed i dialoghi mistici con
l’Altissimo che si ripeterono con varia intensità durante l’esistenza dell’igumeno di san Mamas. Un
siffatto presupposto ha conseguentemente condizionato gli studi moderni, concentrando l’attenzione
degli specialisti in particolare su due settori di ricerca tra loro interdipendenti: la definizione dei
contenuti teologici e mistici ed il rilevamento del portato autoreferenziale caratteristico della lingua
e dello stile del nostro poeta. L’accertamento di ortodossia della mistica simeoniana ed il
conseguente studium esclusivo dei contenuti teologici hanno allontanato la critica dall’osservazione
analitica del corpus. Si potrebbero indicare numerosi nuovi ambiti di studio tra i quali, ad esempio,
l’identificazione del pubblico al quale Simeone rivolge la sua fatica poetica.
Chiara Faraggiana, Una anonima "Relation" in antico tedesco, da originali veneziani e
ragusini, circa eventi costantinopolitani del 1622.
Il documento che prenderemo in esame, finora sfuggito all’attenzione degli storici di vicende turche
e veneziane, è propriamente una Flugschrift, uno di quegli opuscoletti oggi divenuti materiale
librario rarissimo, in quanto non erano di per sé destinati a essere archiviati nelle pubbliche
biblioteche. Quanto alle fonti diplomatiche veneziane a cui l’anonimo traduttore dice di attingere,
non se ne conosce una edizione a stampa e solo un’accurata ricerca negli archivi, che non si è potuta
purtroppo intraprendere, potrà accertare se siano conservate o no. Il frontespizio recita: Warhafftige
Relation Was gestalt zu Constantinopel die Janitscharen gemeutet / den Sultan Osman gefangen
genommen / den Mustafa zu einem Sultan auffgeworffen / welcher den 2. Junii den Osman
stranguliren lassen. Aus glaubwirdigen Schreiben von Ragusi und Venedig gezogen / und
aus Italianischer Sprache in die Teutsche ubergesetzt, gedruckt im Jahr 1622. Relazione veritiera,
in che modo i giannizzeri sono insorti, hanno fatto prigioniero il sultano Osman, hanno eletto
sultano Mustafà, che il 2 giugno di quest’anno ha fatto strangolare Osman. Tratta da scritti degni
di fede di Ragusa e Venezia e tradotta dalla lingua italiana nella tedesca. Stampata nell’anno 1622.
Si tratta di una pubblicazione stampata forse nella Germania centro-orientale, poiché è stata
‘riciclata’ (forse illegalmente?) una marca che compare in una Flugschrift uscita dai torchi di uno
stampatore in Lipsia, attivo nella prima metà del secolo XVI, inoltre i soli quattro esemplari che si
sono potuti reperire come ancora esistenti a livello mondiale sono custoditi in biblioteche site
nell’area relativamente ridotta della Germania centro-orientale che è compresa fra Gottinga a
occidente e Dresda a oriente. Il suo interesse maggiore è costituito dalla testimonianza inedita su un
sultano anomalo, Mustafà I. La Relation pare confermare quanto si ricava anche da altre fonti
storiche e diplomatiche occidentali e dai pregevoli codici greci che facevano parte della sua
biblioteca personale: che si trattasse di una personalità estremamente propensa a una vita religiosa,
con gusti e inclinazioni più da asceta che da sovrano, un individuo molto colto e assolutamente
privo di ostilità nei confronti della civiltà cristiana. Un sultano davvero molto particolare.
Gianfranco Fiaccadori, Kalenderhane Camii: prima e dopo
In base a documenti greci e soprattutto arabi fin qui trascurati, la grande basilica costantinopolitana
nota col nome turco di Kalenderhane Camii, presso il centro della vecchia Istanbul, deve
identificarsi non già, secondo l’opinione corrente, con la chiesa della Theotokos Kyriotissa, ma con
quella del Christos Akataleptos, menzionata in una serie di fonti bizantine dal XIII al XV secolo.
Ugualmente da riconsiderare è l’identità dell’edificio nella sua fase latina (1204-61), con il famoso
ciclo di dipinti sulle storie di san Francesco.
Roberta Flaminio, I sarcofagi bizantini del Museo di Santa Sofia a Istanbul
Oggetto della comunicazione, che si inserisce nell’ambito del progetto di ricerca delle università di
Roma “La Sapienza” e Roma “Tor Vergata” (coordinato dalle Prof.sse A. Guiglia e C. Barsanti)
sulle sculture dell’Ayasofya Müzesi di Istanbul, sono i sarcofagi marmorei della collezione
lapidaria del Museo di Santa Sofia a Istanbul. Essi costituiscono un insieme di grande interesse
comprendente esemplari di diverse tipologie che si distinguono sia per il materiale sia per il decoro
ed appartengono per lo più alla prima età bizantina. Come altre categorie di materiali scultorei che,
fin dalla fondazione, hanno accresciuto a più riprese la collezione del Museo, anche i sarcofagi
provengono da differenti siti e contesti della Costantinopoli bizantina, come il complesso del
Pantokrator, il monastero di Lips o gli scavi di Beyazid.
Giovanni Gasbarri, Gli avori bizantini del Museo Civico Medievale di Bologna: arte,
collezionismo e imitazioni in stile
Il Museo Civico Medievale di Bologna custodisce una piccola ma notevole raccolta di opere d’età
medievale in avorio e osso, costituita da otto oggetti di varia tipologia: una valva di dittico
ecclesiastico, una cassettina a rosette, e alcune placche appartenute in parte a cofanetti. Ad esse, va
aggiunto un interessante rilievo in osso raffigurante un Cristo benedicente in trono, che fin dai primi
anni del XX secolo è stato riconosciuto come non autentico. Il presente contributo, frutto di una
ricerca condotta su documentazione d’archivio inedita o poco nota, vuole tentare di ripercorrere la
storia della formazione e della musealizzazione della suddetta raccolta. Sebbene tali vicende si
presentino piuttosto discontinue e difficilmente ricostruibili nella loro interezza, è comunque
possibile rintracciare alcuni interessanti informazioni in merito alla conservazione e alla
tesaurizzazione delle opere, alla luce del complesso panorama del collezionismo italiano di antichità
medievali dei secoli XVIII e XIX. Emerge con particolare rilievo la figura del pittore Pelagio Palagi
(1775-1860), precedente proprietario di gran parte degli oggetti eburnei più interessanti oggi a
Bologna. Le numerose carte dell’archivio Palagi conservate presso le istituzioni locali hanno
restituito una personalità di collezionista originale, sfaccettata e poliedrica: la fitta corrispondenza
intrapresa con la famiglia di antiquari veneziani Sanquirico consente infatti di verificare l’attenzione
con cui il Palagi s’interessò dell’acquisto di pezzi anche assai lontani dagli orizzonti estetici e
culturali del tempo, com’è il caso dei suddetti avori. Una raccolta, questa, che si dimostra
caratterizzata da una propria specifica anche se ancora nebulosa identità, sullo sfondo del panorama
del collezionismo e della cultura artistica dell’Italia centro-settentrionale a cavallo tra ‘700 e ‘800.
Renata Gentile, Sulle relazioni internazionali di Bisanzio durante il regno di Isacco II Angelo
Sulla scorta di fonti storiche e retoriche saranno studiati i rapporti di Bisanzio con l’estero durante il
regno di Isacco II Angelo (1185-1195), un decennio rilevante per l’evoluzione interna dell’Impero
bizantino e per la ridefinizione delle sue relazioni con le potenze straniere alla vigilia della IV
Crociata. Si appunterà l’attenzione, in particolare, sui rapporti con l’Europa occidentale.
Alessandra Guiglia, Il progetto di ricerca sulle sculture della Santa Sofia di Istanbul: bilancio e
prospettive
Un monumento straordinario e complesso come la Santa Sofia di Istanbul offre innumerevoli
possibilità di lettura e di analisi lungo lo stratificato scorrere della sua plurisecolare esistenza. La
chiave interpretativa scelta dal progetto di ricerca, ormai giunto al decimo anno, è quella della
decorazione scultorea, osservata da diverse angolazioni e considerata in primo luogo nel contesto
della fabbrica giustinianea, in particolare plutei, transenne e soffitti marmorei che di essa
costituiscono una vera e propria ossatura. Agli arredi in opera è stato poi indispensabile, in una
seconda fase, aggiungere quelle sculture che con la storia dell’edificio sono strettamente connesse
ma che giacciono oggi nel giardino circostante, ospiti del moderno Ayasofya Müzesi, nato nel 1935.
Il progetto si è così esteso a questa ricca raccolta lapidaria che costituisce, per la varietà e
l’importanza dei pezzi, un assai significativo punto di riferimento per lo studio della scultura
bizantina nel contesto dell’antica Costantinopoli. A corollario di questa linea-guida, coordinata
dalle università romane della Sapienza e di Tor Vergata, sono via via maturate le ricerche parallele
su altri aspetti della decorazione della Grande Chiesa connessi con il settore della scultura, come i
rivestimenti marmorei in opus sectile o i manufatti bronzei, dalle porte agli arredi minori.
Si cercherà dunque di offrire un bilancio complessivo del lavoro concluso e nel contempo di
delineare in prospettiva le nuove tappe del progetto di ricerca.
Antonio Iacobini, Annalisa Gobbi, Il progetto Portae byzantine Italiae: corpus delle opere e
documentazione informatizzata
Il progetto Portae byzantine Italiae – avviato nel 2004 dalla Sapienza Università di Roma con il
coinvolgimento di numerosi enti e istituzioni che hanno competenza sulla tutela e la conservazione
del patrimonio artistico – ha per obiettivo lo studio unitario delle porte bronzee mediobizantine
fabbricate a Costantinopoli e destinate sin dall’origine agli ingressi di alcuni dei più prestigiosi
monumenti dell’Italia romanica (ad Amalfi, Montecassino, Roma, Monte Sant’Angelo, Atrani,
Salerno, Venezia). Le otto coppie di battenti giunsero nella penisola tra il 1060 e il 1120 circa su
specifica richiesta di committenti italiani. Quattro di esse (Amalfi, Montecassino, Roma, Monte
Sant’Angelo) vennero eseguite grazie al coinvolgimento di due esponenti della nobile famiglia
amalfitana de Maurone comite. Ma anche per altre tre è documentata la committenza di personaggi
di rilievo: Pantaleone Viarecta per la porta di Atrani; il protosebastos Landolfo Butrumile per la
porta di Salerno; il procuratore Leo da Molino per la porta centrale di S. Marco a Venezia. Questi
preziosi manufatti – di cui nelle regioni dell’impero d’Oriente non sono sopravvissuti altri
esemplari – non rappresentano solo un fenomeno di gusto legato al sempre più largo successo
riscosso in Italia dalle arti suntuarie bizantine, ma sono anche un documento di primaria importanza
per ricostruire quelle rotte commerciali e artistiche mediterranee nelle quali svolsero un ruolo
decisivo le “Repubbliche marinare”.
Per ogni coppia di battenti, il progetto di ricerca prevede la messa a punto di un’«edizione critica»,
basata sull’analisi e la descrizione del pezzo, la raccolta e la schedatura della letteratura relativa,
della documentazione archivistica e dell’iconografia storica (disegni, incisioni, fotografie antiche).
Il lavoro, che sarà condotto sulla base di un protocollo comune, provvederà a riunire per la prima
volta sistematicamente i dati metrici e quantitativi, i soggetti iconografici dei programmi, i testi
delle iscrizioni, i dati relativi ai restauri e alle condizioni conservative, alle tecniche e ai materiali
impiegati. Strettamente complementare sarà l’esecuzione di una documentazione grafica e
fotografica completa ed omogenea su supporto digitale per tutte le otto porte bronzee, oggetto fino
ad oggi solo di riproduzioni parziali realizzate in epoche e con criteri diversi. Questo duplice
approccio consentirà la messa a punto di una banca dati che offrirà la possibilità di consultare
simultaneamente schede di rilevamento e immagini, dando l’opportunità di effettuare specifiche
interrogazioni di tipo storico e tecnico. Obiettivo finale della ricerca sarà la preparazione di un
corpus composto di otto monografie, ciascuna articolata in capitoli dedicati ai diversi aspetti del
manufatto analizzato ed accompagnata da un atlante di immagini.
Frederick Lauritzen, La digitalizzazione dei Sinodi bizantini e postbizantini
La Fondazione per le Scienze di Bologna (www.fscire.it) ha intrapreso un progetto di
digitalizzazione della collezione dei concili e sinodi del Mansi al fine di rendere accessibili online
tutti i volumi del Mansi e di aggiornare i testi editi all’epoca con edizioni criticamente aggiornate.
Per questo è stato effettuato un accordo con il progetto Thesaurus Linguae Graecae di Irvine,
California, per quanto riguarda i decreti sinodali greci bizantini e postbizantini.
Il progetto sarà costituito da due parti principali: 1. Immagini digitali ad alta risoluzione del testo
originale del Mansi; 2. i testi bizantini, oltre che dei testi del mondo ortodosso slavo, rumeno e
georgiano. Questa sovvraposizione permetterà di avere accesso ai testi del Mansi e di studiare le
versioni critiche più recenti. L’utilizzo della mappatura dei caratteri di Unicode 5.1 permette di
utilizzare con facilità il motore di ricerca da qualsiasi piattaforma.
Lo scopo di tale progetto è anche di rendere visibile il ruolo delle assemble conciliari nella
tradizione cristiana. Per quanto riguarda il mondo ortodosso questa è un’opportunità per accostare
digitalmente i testi delle varie tradizioni bizantine e postbizantine sia di lingua greca sia di altre aree
ortodosse e per promuovere le nuove edizioni critiche di decreti importanti della tradizione
orientale.
Renata Lavagnini, Un pioniere degli studi di filologia greca medievale: Spyridon Zambelios
Spyridon Zambelios (1815-1881) è noto come autore di romanzi a sfondo storico, e come
antesignano della riabilitazione di Bisanzio nel nuovo regno di Grecia. Meno conosciuto è il suo
interesse erudito per alcuni dei più antichi testi della letteratura greca volgare, che fa di lui anche
per questo aspetto un pioniere.
Santo Lucà, Su alcuni codici apulo-lucani dei secoli XI e XII
Nonostante sia stato indagato in tutte le sue correlazioni al punto che è stato possibile proporre
mature sintesi di ordine storico-culturale complessivo, il libro italogreco offre ancora possibilità di
nuove acquisizioni e di ulteriore approfondimento, specialmente in relazione all'articolato ventaglio
grafico che esso esibisce. Il presente contributo intende richiamare l'attenzione su un filone grafico
non ancora adeguatamente indagato, la cosiddetta minuscola apulo-lucana testimoniata in numerosi
manoscritti (oltre trenta), tutti realizzati fra la seconda metà del secolo XI e il primo quarto del
secolo XII. Di essa saranno rilevati aspetti grafici, codicologici, decorativi, testuali. Attraverso
l'analisi di alcuni testi liturgici e sulla base delle circostanze di conservazione si tenterà di
individuare le coordinate spazio-temporali, che al momento paiono circoscritte agli ambiti salentino
e lucano. La scrittura, infatti, risulta adoperata, oltre che in Terra d'Otranto (specialmente in milieu
tarantino), nel monastero dei SS. Elia e Anastasio di Carbone in Basilicata, monastero che proprio
fra XI e XII secolo conobbe, sotto l'igumenato di Nilo II († 1134), un periodo di rigoglio economico
e culturale.
Adalberto Mainardi, La formula della preghiera esicasta nella letteratura antico-russa
La tradizione letteraria antico-russa, e in particolare l’agiografia, si forma su modelli bizantini. Ma
anche il monachesimo nella Rus’ mutua dalla tradizione bizantina forme, consuetudini, percorsi
spirituali, in un fecondo scambio che, dietro un apparente ripetersi, conosce cambiamenti,
evoluzioni, riforme. La relazione si propone di verificare continuità e innovazione nella
trasmissione della tradizione spirituale bizantina in terra russa dall’epoca della “seconda ondata
slavo-meridionale”, nel caso specifico della letteratura monastica sulla preghiera (fine XIV – inizi
XVI secolo). Saranno esaminati materiali agiografici, traduzioni e compilazioni, con una particolare
attenzione all’opera di Nil Sorskij (1430-1508), che gli autori russi del XVIII e XIX secolo
considereranno l’iniziatore di una tradizione ascetica specificamente russa.
Bernadette Martin Hisard, Une version géorgienne du Synodikon de l’Orthodoxie (début XIe
siècle)
La traduction géorgienne du Synodikon de l’Orthodoxie fut faite au début du XIe siècle sur le mont
Athos par le moine géorgien Euthyme l’Hagiorite. Elle fait partie d’un ensemble de traductions
réalisées par le même Euthyme, ensemble qui constitue un ouvrage intitulé “Nomocanon de Jean le
Jeûneur et du VIe concile” ou encore “Petit Nomocanon”. On étudiera ici les caractères originaux
de cette version peu connue du Synodikon et on s’interrogera sur sa présence à l’intérieur d’un
ouvrage qui affirme se situer à l’intérieur du genre nomocanonique byzantin.
Maria Rosaria Marchionibus, Sulla decorazione pittorica bizantina della cappella di S.
Giacomo presso Camerata (CS)
Nel quadro rarefatto della pittura bizantina in Calabria si inseriscono gli affreschi conservati nel
Protoconvento francescano di Castrovillari, sede del Museo Civico Archeologico, e provenienti
dalla cappella di S. Giacomo, piccolo edificio a navata unica, sito presso Camerata (Cosenza), oggi
ridotto a deposito di attrezzi agricoli. Le pareti della piccola chiesa erano ricoperte dalle figure di
santi stanti, rappresentati uno accostato all’altro, in una sorta di teoria continua, che evoca quasi
l’articolazione delle icone menologio. Nell’abside era, invece, campita una Deisis, ubicazione
diffusissima in Italia meridionale, soprattutto nelle cripte pugliesi. Tutte le immagini sopravvissute
– ridotte a pochi frustoli – sono state montate su supporti di vetroresina e ora sono esposte in
un’unica sala del convento francescano. Le figure appaiono perfettamente frontali, caratterizzate da
un forte linearismo e stilisticamente affini agli affreschi di Hosios Loukas, con cui condividono
anche la peculiare modularità e alcune tipologie delle vesti. La decorazione di S. Giacomo è un
esempio emblematico della produzione pittorica bizantina in Calabria che, nonostante la
frammentarietà e lo stato di conservazione degli affreschi superstiti, spesso pessimo, manifesta
prepotentemente il suo sostrato greco fino quasi agli inizi del XIV secolo, quando la Napoli
angioina assumerà progressivamente il ruolo di principale polo di attrazione artistica dell’Italia
meridionale. Infatti, i documenti pittorici bizantini superstiti nella Calabria medievale fino a tale
periodo, sia pure con un’intensità diversa e nella loro estrema episodicità, risultano tutti
profondamente pervasi di cultura bizantina e persino, a volte, aggiornati alle tendenze più avanzate
della coeva pittura metropolitana orientale, allargando, così, il panorama pittorico medievale
dell’Italia meridionale verso orizzonti più ampi.
Susy Marcon, Restauri bessarionei nei manoscritti marciani
La trasmissione della cultura e dei testi significò per il cardinale Bessarione anche la cura e il
restauro dei propri manoscritti antichi. Integrazioni testuali effettuate mediante l'aggiunta di fogli,
nuove serie di segnature dei fascicoli e rare manipolazioni di miniature costituiscono le tracce di un
lavoro sistematico operato all'interno della biblioteca bessarionea.
Giuseppina Matino, Teodoro di Ermopoli ed il ‘Commento’ alle Novelle di Giustiniano
Alla morte di Giustiniano la letteratura giuridica subisce una trasformazione, soprattutto in merito
alle forme che essa assume nelle opere dedicate all’insegnamento. Non essendo più possibile la
lettura in lingua originale del Corpus Iuris Civilis per la ignoranza del latino in Oriente, gli
scholastikoi, succeduti agli antecessori nell’insegnamento del diritto, si dedicano a rielaborazioni ed
adattamenti dei testi originari. Di codesta produzione, attestata per lo più in forma frammentaria
negli Scoli ai Basilici, ci è pervenuto integralmente un commento, definito Breviarium nell’edizione
critica di Heimbach, alle Novelle di Giustiniano ad opera di Teodoro di Ermopoli.
Mariella Menchelli, Giorgio Oinaiotes lettore di Platone. Osservazioni sulla raccolta epistolare
del Laur. San Marco 356 e su alcuni manoscritti dei dialoghi platonici di XIII e XIV secolo
In una lettera inedita attribuibile a Giorgio Oinaiotes si fa esplicito riferimento alla copia di
esemplari delle opere platoniche e all’amore per la lettura di Platone. L’epistolario stesso di
Oinaiotes conferma che Platone costituisce una delle letture più richieste e ciò comporta la ricerca
di testimoni, in particolare di alcuni dialoghi. L’epistolario attesta inoltre come la lettura di Platone
avvenga senza dubbio per Oinaiotes con l’ausilio dei commentatori neoplatonici: per lo studio del
Timeo si richiede il commento di Proclo, e i commentatori aristotelici vengono parimenti citati
nell’epistolario accanto ad Aristotele. Per Oinaiotes, accanto all’interesse per altri autori, hanno
dunque un certo rilievo gli studi filosofici, come per figure di spicco della Costantinopoli dei
Paleologi, citate nel suo epistolario o suoi corrispondenti (Matteo di Efeso, Teodoro Metochites).
La tradizione indiretta può essere posta a confronto con i dati materiali: alcuni manoscritti
confermano aggregazioni e interferenze e attestano modi di lettura analoghi. Platone circola anche
in codici miscellanei che richiedono più ampie trattazioni, e che attestano altrimenti le associazioni
e intersezioni tra platonismo e neoplatonismo.
Valerio Massimo Minale, Diritto bizantino ed eresia manichea
Il lavoro intende ricostruire la disciplina che nel corso del tempo è stata imposta all’interno del
sistema del diritto bizantino nei confronti del manicheismo, termine con cui spesso venivano
identificate le eresie di stampo dualistico, attraverso uno studio delle fonti normative nelle quali
viene affrontata la questione: l’analisi della conservazione dei principî stabiliti dalla codificazione
teodosiana e quindi dalla legislazione giustinianea, passata attraverso il crogiuolo di un commento
infaticabile e rielaborata in vario modo soprattutto nella stagione della “rinascenza” macedonica,
offre un ottimo punto di osservazione per comprendere in quale senso autentico anche all’interno
dell’ordinamento deputato alla lotta alle eresie avesse potuto trovare luogo il ricorso a schemi nuovi
per risolvere problemi antichi, e viceversa.
Simona Moretti, I colori della fede: icone a smalto e a mosaico tra X e XIV secolo
Le icone a smalto e a micromosaico si diffondono a partire dall’età macedone e condividono alcuni
importanti aspetti, quali i motivi decorativi, l’effetto della materia e una certa “parentela” nel
procedimento tecnico, così da suggerire l’ipotesi di una produzione delle immaginette sacre musive
negli (o in rapporto agli) ergasteria che realizzavano opere d’oreficeria e di smalto (Furlan 1979).
La relazione si propone di evidenziare ulteriori elementi di condivisione tra icone smaltate e a
mosaico di formato piccolo: da un punto di vista genericamente formale a particolari suggestioni
iconografiche, da letture iconologiche a implicazioni antropologiche.
Cobaltina Morrone, La Vita di san Marciano: fra agiografia, laudatio ed ecursus
L'agiografia siculo-calabrese di età normanna e pre-normanna ci offre interessanti spazi di ricerca
su una serie di questioni relative tanto alla storia della Chiesa e del culto dei santi nell'Alto
Medioevo quanto alle modalità retoriche di elaborazione dei testi. Un esempio ci viene dalle
narrazioni relative alla vita di san Marciano: qui per cominciare abbiamo un curioso intreccio di
generi e lingue perché, mentre l'unica vita vera e propria di cui disponiamo è in lingua latina, ma
risale verosimilmente a un originale in greco, ci sono pervenuti invece una laudatio e un lungo
excursus inserito nella Vita di san Pancrazio. Il momento di massima diffusione del culto può essere
collocato intorno all' VIII secolo, ma l'agiografia fa di Marciano un discepolo di s. Pietro, anche se
poi non è molto coerente la successione cronologica delle vicende a lui attribuite e di quelle
successive alla sua morte. Un altro aspetto che merita di essere approfondito è quello dell'uso della
biografia nella disputa per la superiorità fra le diocesi, in particolare quella di Siracusa e di
Taormina, che ricercavano entrambe in Pietro la loro origine, a conferma di una collocazione
nell'ambito delle ricorrenti controversie con la Chiesa di Costantinopoli sul primato di Roma.
Francesca Rizzo Nervo, Fra Oriente e Occidente: Kalila wa Dimna a Bisanzio e in Sicilia
Dello Stefanitis e Ichnelatis, versione greca del Kalila e Dimna arabo, sono pervenute due
redazioni, una lunga e una breve. A partire dall'edizione di quest'ultima a cura di L.-O. Sjöberg, dei
primi anni Sessanta, è opinione diffusa che la versione lunga sia un ampliamento della versione
breve, la cui traduzione è attribuita a Symeon Seth e all'epoca dell'imperatore Alessio Comneno.
Una famiglia di codici della redazione lunga sembrerebbe rimandare a una traduzione avvenuta in
Sicilia in epoca normanna sotto la supervisione di Eugenio di Palermo. Ad Eugenio sono stati
attribuiti da tutti gli studiosi sia l'aggiunta dei cosiddetti Prolegomena sia l'inserimento di altro
materiale arabo non compreso nella redazione breve. A queste conclusioni si è sostanzialmente
giunti sulla base dell'analisi della tradizione manoscritta dell'opera e con l'ausilio della versione
araba del Kalila e Dimna e delle traduzioni esistenti in altre lingue europee. Finalità della
comunicazione è dimostrare la fragilità della tesi che sostiene l'anteriorità di una redazione rispetto
all'altra. Si è, infatti, in presenza di un'opera trasmessa da un congruo numero di manoscritti che
tramandano testi di registro linguistico differente e sono frutto, quanto meno, di contaminazioni e
rielaborazioni tali da non permettere una loro classificazione affidabile.
Sandra Origone, La prima visita di Giovanni VIII Paleologo in Italia (1423-1424)
Dei due viaggi di Giovanni VIII Paleologo in Occidente quello a cui la storiografia ha prestato
maggiore attenzione è evidentemente il secondo, compiuto dall’imperatore per recarsi al concilio di
Ferrara-Firenze. Tuttavia anche il primo, che si svolse tra il 1423 e il 1424 in Italia e in Ungheria,
rappresentò un tentativo concreto di realizzare un’alleanza cristiana contro i Turchi. La ricerca si
propone di indagare alcuni aspetti meno noti delle relazioni intrattenute dall’imperatore con le
potenze italiane in quell’occasione.
Francesco Osti, L'Epistola invettiva di Eutimio della Peribleptos (1050 ca.) nei codici a 840 e
604: una versione breve e un rimaneggiamento
L’opuscolo noto come Epistola invettiva contro gli eretici fundagiagiti o bogomili, redatto attorno
al 1050 dal monaco Eutimio della Peribleptos, è giunto a noi in diverse versioni, sulle quali manca
ad oggi uno studio sistematico. Nel nostro intervento ci concentreremo su due testi traditi da
altrettanti manoscritti conservati alla Biblioteca Vaticana. Il primo, che si trova ai ff. 185r-188v del
Vat. gr. 840, è stato fino ad oggi considerato una ‘versione breve’ o ‘epitome’ di altre versioni più
lunghe dell’Epistola (edite da Gerhard Ficker, Die Phundagiagiten. Ein Beitrag zur
Ketzergeschichte des byzantinischen Mittelalters, Johann Ambrosius Barth, Leipzig 1908, pp. 186). Il secondo, conservato ai ff. 13v-14v del Vat. gr. 604, è invece una sorta di collage eresiologico
che si compone di una serie di excerpta provenienti dal Synodikon dell'ortodossia e dall'Epistola
invettiva, di cui può pertanto essere considerato un testimone indiretto.
Cecilia Pace, Dossier su san Nilo, fondatore del monastero di Geromeri
Di Nilo Erichiotes (1250 circa-1335 circa) ci sono pervenuti, in varie edizioni, la Vita, l’Acolutia e
il Testamento. La Vita di Nilo e una parte del Testamento sono stati pubblicati da P. Αravantinos
nella rivista Pandora (gennaio 1865). A. Panaghiotidis ha poi pubblicato, nel 1900, la Vita e il
Testamento. In questa seconda edizione i testi sono riportati integralmente. Infine, si dispone
dell’edizione di B. Krapsitis (1972), che riprende quella di A. Panaghiotidis. Krapsitis presenta un
catalogo dei manoscritti conservati nel monastero di Gheromeri. Grazie a questo catalogo
scopriamo che esistono due manoscritti della Vita di san Nilo: uno del 1903 e uno del 1911.
Sappiamo però che nella biblioteca è conservato un altro manoscritto della Acolutia di Nilo risalente
al XVI secolo (L. Vranoussis 1964), mentre un manoscritto più antico contenente il Testamento è
andato distrutto agli inizi del XIX secolo. Il testo della Vita nell’edizione del 1900 differisce dal
testo dell’edizione del 1865. È chiaro perciò che il prosieguo della ricerca consisterà nello studio del
testo dei tre manoscritti conservati nella biblioteca del monastero e delle due edizioni successive.
Stefano Parenti, Da Stoudios a Mar Saba: il contributo del Medioevo slavo all'ultimo capitolo
dell'innografia bizantina
Come necessaria premessa metodologica, la relazione propone una rilettura delle coordinate
liturgiche, geografiche e cronologiche entro le quali al genere innografico del kontakion si affianca
il genere del canone. Vengono poi analizzate le conseguenze nella redazione dei libri innografici del
passaggio dalla regola liturgica di Stoudios a quella di Mar Saba, in particolare tra gli Slavi
meridionali con riscontri nel mondo bizantino.
Silvia Pasi, Le scene dell’Annunciazione e dell’Adorazione dei Magi e dei pastori nella chiesa di
Al-Adra nel convento di Deir el-Surian (Wadi Natrun): una pagina di pittura bizantina in
ambiente copto
Nella chiesa di Al-Adra nel convento di Deir el-Surian nel Wadi Natrun, che conserva un cospicuo
repertorio pittorico venuto alla luce solo in anni recenti, e pertinente ad almeno quattro campagne
pittoriche, si trovano due dipinti di straordinario interesse, sia sul versante dell’arte copta sia su
quello dell’arte bizantina, in quanto dimostrano la loro estraneità al panorama pittorico del
Medioevo copto, quale venne a configurarsi dopo la conquista araba dell’Egitto (641).
Si tratta di un’Annuciazione situata nella semicalotta ovest, in séguitro (XIII secolo) occupata da
una scena di Ascensione, ora rimossa, e di un’Adorazione dei Magi e dei pastori nella semicalotta
nord, ove posteriormente (XIII secolo) venne dipinta una scena di Dormitio Virginis, anch’essa
rimossa, e pertinente al quarto periodo pittorico della chiesa, come l’Ascensione.
I due dipinti in esame, la cui datazione è tuttora incerta, ma alla quale si tenterà di giungere,
presentano caratteristiche assai simili, per cui nulla osta ad attribuirli entrambi allo stesso gruppo di
artisti, benché, specialmente nella seconda scena, siano distinguibili più mani. Caratteri di maggior
omogeneità manifesta invece la prima.
Il denominatore comune di entrambe risiede nel fattore stilistico, caratterizzato da eleganza,
elaborato decorativismo, senso di movimento, e da caratteri talora impressionistici che rimandano,
non già alla figuratività copta, bensì a quella bizantina del periodo post-iconoclasta.
Ciò naturalmente induce a pensare che le due opere siano state eseguite da maestranze venute da
fuori, dall’area bizantina o bizantino-provinciale e conferma ancora una volta quanto in altre
occasioni ho avuto modo di sostenere, e cioè che la cultura artistica dell’Egitto cristiano non
dev’esser vista come un fenomeno locale, in quanto inequivocabilmente faceva parte di quel mondo
mediterraneo che ruotava intorno a Costantinopoli. È dunque solo uscendo dall’Egitto e tenendo
conto della mobilità degli artisti, che meglio si posson comprendere tanti aspetti della sua arte. E ciò
è ipotizzabile a maggior ragione nel convento dei Siriani, da sempre luogo d’incontro e di scambio
di culture diverse e che fra i suoi abati ha avuto uomini di levatura culturale e politica veramente
alta.
Silvia Pedone, “Souvenirs d’une grandeur qui ne s’efface pas”: la Costantinopoli di
Giustiniano nei disegni di Charles Texier
Oggetto della comunicazione sono alcuni disegni inediti realizzati dall’architetto e archeologo
francese Charles Felix-Marie Texier (1802-1871) – oggi conservati a Londra – relativi ai
monumenti bizantini di Costantinopoli. Il corpus completo dei disegni dell’architetto, argomento di
una ricerca di dottorato, è in procinto di trovare una sua definitiva sistemazione e rappresenta una
significativa testimonianza visiva della storia della città, oltre che un pioneristico studio scientifico
sui monumenti della capitale d’Oriente. Attraverso le osservazioni originali ricavabili dalla
documentazione di Texier è possibile ripercorrere l’evoluzione architettonica di edifici bizantini
come la chiesa dei Santi Sergio e Bacco o quella della Santa Sofia, in un momento storico che
precede, da un lato, le grandi campagne di restauro intraprese dal sultano Abdülmecid alla metà del
XIX secolo, e, dall’altro, ‘fotografa’ le antiche vestigia all’indomani dei cospicui cambiamenti
urbanistici imposti dalla modernità.
Luca Pieralli, La Synodos endemusa in età Paleologa
In questo mio intervento intendo parlare della Synodos del patriarcato ecumenico sulla base dei dati
che possiamo ricavare dall’analisi dei documenti patriarcali a noi pervenuti: sia quelli contenuti nel
noto registro del patriarcato (Vind. hist. gr. 47 e 48), sia gli originali (una cinquantina in tutto)
ancora in nostro possesso. La mia analisi di tipo diplomatistico permette di risalire ai delicati e
talora conflittuali rapporti che si vennero a creare tra membri della Synodos e il patriarca in
occasione di importanti decisioni e talora con il potere imperiale. L’età dei paleologi ci fa assistere a
notevoli cambiamenti delle istituzioni civili ed ecclesiastiche che coinvolgono in modo significativo
anche la struttura della Synodos. Spesso però le testimonianze non parlano direttamente delle novità
introdotte per fronteggiare le nuove situazioni. L’analisi dei documenti,e soprattutto lo studio degli
originali conservati, anche se non numerosi e non attestanti tutte le tipologie note, permette di
precisare invece alcuni dati sulla struttura della Synodos e sulla sua azione concreta. Mi propongo,
su questa base, di prendere in esame la composizione della Synodos endemusa nella tarda età
bizantina cercando di evidenziarne le competenze e il suo campo d’azione, la sua capacità
decisionale e la giurisdizione di cui godeva. Se alcuni patriarchi si lamentavano per il numero
elevato di metropoliti presenti nella capitale (Atanasio I), vediamo però che per alcune questioni
urgenti è il patriarca stesso a richiamare la loro presenza: Gregorio II minacciò infatti di deporre
Giovanni Cheilas di Efeso se non avesse raggiunto Costantinopoli (Regestes n° 1506). Una buona
parte dell’amministrazione patriarcale veniva infatti gestita in maniera sinodale. La maggior parte
degli atti patriarcali sono di fatto degli atti sinodali. Alcuni patriarchi furono in aperto contrasto con
la Synodos, sia per la loro autorità (Atanasio I), sia perché l’imperatore aveva, a suo tempo, imposto
la loro elezione alla Synodos (Gregorio II; Giovanni XIV Kalekas, Callisto I, Macario), ma in
genere la collaborazione fu soddisfacente. Ci soffermeremo anche sulle funzioni giudiziare assunte
dal tribunale sinodale alla fine del XIV secolo, il cui funzionamento è stabilito nel regolamento del
patriarca Matteo I (Regestes n° 3066). A causa delle frequenti assenze dell’imperatore (ad esempio i
viaggi in Occidente di Giovanni V e di Manuele II) si verificò infatti quella che Jean Darrouzès
definì la “paralisi degli uffici imperiali”, fenomeno che portò il patriarcato ed il tribunale sinodale
ad occuparsi in modo consistente di cause civili.
Adriana Pignani, L'ideologia dell'encomio
Attraverso una serie di fonti d'epoca e natura diverse (antichi filosofi, Settanta, Padri della Chiesa,
trattatistica retorica) si delinea una cognizione dell'encomio del tutto avulsa dall'idea del fittizio e
dell'esercizio letterario, con l'essenziale funzione d'essere documento ufficiale d'un potere o d'uno
status pubblicamente riconosciuto, ma anche strumento per la conoscenza di inediti aspetti della
cultura di Bisanzio.
Mario Re, Note per una edizione delle recensioni greche del Martirio di san Vito
Il culto di s. Vito ha goduto di una ininterrotta fortuna dal medioevo ai nostri giorni, come
testimoniato dalle frequenti traslazioni e dal suo inserimento nel novero dei quattordici santi
ausiliatori. Della leggendaria passio, di cui il fanciullo Vito è protagonista insieme all’aio Modesto
e alla nutrice Crescenzia, rimangono numerose recensioni latine (in buona parte ancora inedite),
traduzioni in slavo e quattro recensioni greche: BHG 1876 (Messan. gr. 29), 1876a (Vat. gr. 866),
1876b (Ottob. gr. 1 e Ottob. gr. 393) e 1876c (Ambr. D 92 sup.). Nessuna di queste recensioni è
stata finora pubblicata, se si fa eccezione di alcuni excerpta editi da Augusta Acconcia Longo nel
volume di luglio degli Analecta Hymnica Graeca. In questa sede verranno presentati alcuni dei
risultati emersi nel corso del lavoro preparatorio all’edizione dei testi greci. L’edizione delle quattro
recensioni greche consentirà di porre su basi più affidabili il confronto con le versioni latine. Non
escluderei che la priorità finora solitamente assegnata ad una prima redazione in greco possa essere
messa in discussione.
Lorenzo Riccardi, Alcune riflessioni sul mosaico del vestibolo sud-ovest della Santa Sofia di
Costantinopoli
Il mosaico del vestibolo sud-ovest della Santa Sofia di Costantinopoli, raffigurante Costantino e
Giustiniano nell’atto di offrire i modelli della città e della Grande Chiesa alla Vergine in trono col
Bambino, è al centro dell’attenzione di studiosi e cultori d’arte bizantina fin dalla sua non lontana
riscoperta, avvenuta tra il 1933 e il 1934, grazie al lavoro di restauro di Th. Whittemore. Manca a
tutt’oggi, però, uno studio specifico sull’opera, ad eccezione di quello che più di trent’anni fa le
dedicò F. de’ Maffei, e inoltre su di esso si sono stratificate nel frattempo molteplici letture che
delineano posizioni assai diversificate in merito alla sua cronologia e al suo significato. In questa
sede saranno esposte alcune riflessioni su aspetti fino a oggi solo marginalmente toccati dalla
critica, come il rapporto simbolico tra il mosaico del vestibolo e i sigilli degli Ekklesiekdikoi. Si
tenterà poi di trovare una risposta, necessariamente aperta, a un problema di primaria importanza,
anche per una datazione più puntuale del pannello: quello dell’intenzionalità dell’autore, o meglio,
nel nostro caso, del committente, e quindi dell’opera stessa. Non bisogna dimenticare, come scrive
M. Baxandall, che «chi realizza un quadro o un altro artefatto storico è un uomo che sta affrontando
un problema di cui la sua opera è la concreta e definita soluzione. Per comprendere l’opera
cerchiamo di ricostruire sia il problema specifico che l’artefice intendeva risolvere che le
circostanze specifiche in cui se lo poneva».
Antonio Rigo, I manoscritti e il testo di quattro Etera kephalaia. Da Simeone il Nuovo Teologo a
Gregorio Palamas
Il contributo presenta i manoscritti e il testo di quattro capitoli attribuiti a Gregorio Palamas, ma che
sono in verità estratti delle Catechesi di Simeone il Nuovo Teologo. Lo studio dei codici mostra
come all’origine della tradizione di questo testo ci sia un manoscritto delle opere complete di
Gregorio Palamas del XIV secolo, il Paris. BNF gr. 1239.
La seconda parte dell’intervento spiega le ragioni di questa attribuzione e, allargando la prospettiva,
riconsidera il problema dell’influenza di Simeone il Nuovo Teologo sulla mistica bizantina del XIII
e XIV secolo.
Maria Teresa Rodriquez, Riflessioni sui palinsesti giuridici dell'area dello Stretto
L’esame dei volumi palinsesti conservati presso la Biblioteca regionale di Messina ha consentito di
individuare tra le inferiores di un unico manoscritto, il Messan. gr. 158, ben tre codici giuridici, due
greci ed uno latino, oltre a frammenti di Vite per i mesi di luglio-agosto di un sinassario italogreco
del XII secolo. In particolare, uno dei manoscritti greci è risultato essere costituito da alcuni dei
fogli mancanti dell’epitome dei Basilici del X secolo edita da Ferrini e Mercati come
Supplementum alterum nell’edizione del testo di Heimbach.
La scoperta suggerisce l’utilità di riesaminare i manoscritti giuridici copiati in Italia meridionale nel
periodo di consolidamento del potere da parte dei Normanni e stimola la verifica, per quanto è
possibile, dei codici che, pur provenienti da parti diverse del mondo bizantino, vi fossero comunque
presenti.
Cristina Rognoni, L'edizione dei documenti privati greci dell'Archivio Ducal de Medinaceli: il
dossier di Valletuccio (Calabria, XII-XIV secolo)
Si descrive il dossier dei documenti privati greci del fondo « Messina » dell’Archivio Ducal de
Medinaceli relativo ai possedimenti dell’Archimandritato del San Salvatore nelle terre calabresi di
Valle Tuccio. Viene presentato lo stato di avanzamento dell’edizione ormai prossima di 45
documenti, compresi in un arco di tempo che va dal 1142 al 1355, i suoi criteri e i problemi ancora
aperti. Si indicano in particolare i caratteri interni ed esterni degli atti, segnalando le eventuali
specificità rispetto ad altra documentazione: lingua e formulari, mise en page e caratteristiche del
protocollo e delle sottoscrizioni testimoniali, caratteristiche grafiche di alcuni dei notai più attivi
nella zona. Si delinea il contorno di una « carta » dei possedimenti dell’archimandritato in
quest’area, e, di qui, della zona di persistente influenza greca; una carta che, pur variando i suoi
confini nel corso del tempo, attesta un paesaggio rurale articolato, la trasformazione dei rapporti
economici e le conseguenti modificazioni nelle gerarchie sociali.
Silvia Ronchey, Volti di Bessarione
Nella multiforme, quasi polimorfa varietà dei ritratti sopravvissuti fino ad oggi, Bessarione ci
appare contrassegnato dagli emblemi della sua seconda vita occidentale: la barba e il saio nero
basiliano, su cui contrasta il cappello cardinalizio rosso. La peculiarità del suo status di cardinale
orientale della curia romana, la duplicità e ambivalenza della sua identità culturale e politica, quella
che possiamo definire la sua “inappartenenza”, portarono quanti lo conobbero non solo a ritenerlo,
secondo la celebre definizione di Lorenzo Valla, “latinorum graecissimus, graecorum latinissimus”,
ma anche, per certi versi, soggetto estraneo e alieno, inquietante perfino. In particolare la “prolissa
barba” bizantina che sempre volle serbare in mezzo alla curia lo fece definire “unico caprone in
mezzo a tante capre”, come testimonia Poggio Bracciolini in una delle sue Facezie, o tout court “un
caprone barbuto”, secondo l’espressione del consigliere von Heimburg tramandataci dalla notizia
della Cronaca di Norimberga sulla sfortunata ambasceria tedesca del 1460-61.
Fra le raffigurazioni a noi rimaste dopo il naufragio delle maggiori testimonianze del Bessarion
pictus, e in particolare di quelle giovanili, gli studiosi hanno peraltro finora privilegiato –
curiosamente, anche se per argomentati motivi – le più sgraziate, ritenendo che “i ritratti certi e
realistici di Bessarione siano pochi, molto pochi, al massimo quattro o cinque” (Lollini): fra i
dipinti, la grottesca tavola di Gentile Bellini già conservata a Vienna, oggi alla National Gallery di
Londra, e la copia dell’altro perduto ritratto di Bellini attribuita a Giannetto Cordegliaghi,
conservata a Venezia. Si è quasi unanimemente esclusa invece l’attendibilità di altre, pur
artisticamente autorevoli e più sofisticate immagini del Niceno, che sono state considerate
idealizzate e “di fantasia”.
La nostra relazione si propone di riabilitare le principali fra queste ultime opere, ipotizzando che,
contrariamente a quanto sostenuto finora, la lignée più attendibile dei ritratti superstiti di Bessarione
sia quella che si snoda attraverso le corti in cui operò di più e meglio, specialmente in vecchiaia: la
corte pontificia, che ci restituisce il nobile quanto fisionomicamente attento profilo scolpito, lui
vivente, da Paolo Romano nel bassorilievo funebre di Pio II; la corte aragonese di Napoli, da cui
proviene il ritratto miniato, uno dei pochi parsi degni di attenzione agli studiosi e peraltro ben
sovrapponibile al precedente, di Gioacchino de Gigantibus per il codice dell’Adversus
calumniatorem Platonis; la corte urbinate, l’ultima e più fedele, che avrebbe dovuto stabilmente
accoglierlo se una morte peraltro annunciata non lo avesse raggiunto sulla via del ritorno dalla
missione in Francia; ma anche l’ambiente della più colta aristocrazia veneziana, che fu ispiratrice,
dopo la sua morte, della più vastamente significativa delle sue immagini: la cosiddetta Visione di
sant’Agostino di Vittore Carpaccio, la cui natura di vero e proprio, circostanziato ritratto del
Bessarione umanista il nostro contributo tenterà di mostrare, alla luce anche del raffronto con nuove
evidenze iconografiche.
Annalisa Rossi Marginalia sed Analytica da Aristotele a Planude
La ricerca indaga le caratteristiche codicologiche e grafiche di alcuni manoscritti contenenti i testi
degli Analytica aristotelici riferibili all’area costantinopolitana e all’arco cronologico di attività
della cerchia planudea. Punto di partenza è il censimento, ancora in corso, dei codici attribuibili alla
cerchia e la disamina delle loro caratteristiche, anche al fine di ricostruire le modalità di lavoro del
gruppo di intellettuali-funzionari. Di particolare interesse appaiono, a tal fine, alcuni codici
laurenziani (72.4; 72.10; 72.12; 87.16), omogenei per natura materiale e procedure di suddivisione e
organizzazione del lavoro di produzione. L’allargamento della ricerca su base autoptica anche ad
altri codici già censiti consentirà di ricostruire una porzione significativa dell’attività della cerchia e
di indagarne la specificità degli interessi culturali.
Vincenzo Ruggieri, Levissos (?): un caso di topografia urbana in Licia
La città di Levissos, ipoteticamente posta sull’isola di Gemile, in Licia, è una città nata cristiana. La
sua topografia, studiata anche in relazione ad altre due città della stessa natura, manifesta non solo
un ordito urbanistico diverso rispetto alle città classiche divenute cristiane, ma mostra anche come
questo tessuto urbano risponda alle necessità orografiche e religiose delle nuova città (si pensi alla
disposizione delle chiese e delle aree funerarie urbane). Se tuttavia l’isola di Gemile risulta il centro
della città, ad esso è necessario accostare gli altri quartieri extra-urbani che con il centro traevano
vitalità sociale ed economica. Si viene cosi a delineare una serie di funzioni differenti relative ai siti
esterni vicini: impianti termali con chiesa; impianti commerciali; fondazione di strutture religiose
altamente significative (tombe signorili, pellegrinaggio?) ed altro. Il contributo intende, con apporti
pluridisciplinari, soprattutto puntualizzare contenuti e metodo per intraprendere una lettura
topografica di una città cristiana dell’Asia Minore.
Marco Scarpa, La tradizione manoscritta slava delle opere contro i latini di Gregorio Palamas
Sono presentati gli inizi della tradizione manoscritta slava nel XIV secolo, e in particolare tutti i
codici dei Trattati apodittici sulla processione dello Spirito Santo e delle Risposte alle Proposizioni
del patriarca Becco. Si tratta poi della trasmissione dei testi, che avvenne in ambito slavomeridionale e in ambito slavo-orientale. In quest’ultimo si diffuse solo la seconda opera, fino al
secolo XVII, quando comparve una nuova traduzione della prima.
Maria Dora Spadaro, La scienza del diritto nel secolo XI
È il dotto Giovanni Xifilino a rivestire, nel secolo XI, la carica di nomophylax presso la così detta
Università di Diritto fondata, assieme a quella di Lettere, da Costantino IX Monomaco.
Prescindendo dalle varie problematiche sottese all’autore del testo della Novella costitutiva di tale
Scuola di Diritto, resta certamente indiscutibile un dato importante: in tale secolo il diritto assume
una certa importanza sia dal punto di vista pratico sia teorico. Testimoniano tale interesse diffuso
anche alcuni scritti del poligrafo Michele Psello, autore, tra l’altro, del De actionum nominibus, un
glossario che spiega agli alunni i termini greci, e del De recentiorum legum et legalium definitionum
latinis nominibus, in cui chiarisce il significato dei termini romani. Tale operetta non è però dedicata
agli alunni bensì, come si evince dalla parte finale, ad un ignoto personaggio. Nella veste di docente
del futuro basileus Michele VII Dukas, Psello scrive per lui una Synopsis legum redatta parte i
dodecasillabi parte in decapentadecasillabi.
Probabilmente, quel continuo ricorso ai tribunali, lamentato dalle nostre fonti, sotto Michele VII, va
relato a tale interesse del basileus per il diritto.
Gioacchino Strano, Storia e modelli letterari nella Presa di Tessalonica di Giovanni Caminiata
Il contributo esamina il testo di Giovanni Caminiata (Ioannis Caminiatae de expugnatione
Thessalonicae, ed. G. Böhlig, Berolini et Novi Eboraci 1973) nelle sue valenze storiche e letterarie.
Esso, in effetti, costituisce una fonte importante sulla presa della città di Tessalonica ad opera del
cristiano rinnegato Leone di Tripoli (904). Il testo presenta tuttavia alcune imprecisioni
cronologiche e delle peculiarità stilistiche e compositive che lo rendono un unicum nel panorama
letterario del X sec. Discuteremo allora l’ipotesi di A. Kazhdan che ha proposto di collocare il testo
nel XV secolo, a ridosso della conquista turca della città (vd. il suo Some Questions addressed to
the Scholars who believe in the Authenticity of Kaminiates’ “Capture of Thessalonica”, BZ 71,
1978, pp. 301-314).
La nostra indagine, oltre a ripercorrere e discutere le argomentazioni del Kazhdan, mira soprattutto
a identificare modelli e forme dell’opera, mediante il confronto con testi consimili (si pensi alla
celebre lettera di Teodosio monaco sulla halosis di Siracusa dell’878 e all’Espugnazione di
Tessalonica di Eustazio).
Anna-Maria Totomanova, Giulio Africano e la tradizione storiografica slava
Nel quadro della tradizione storiografica slava la cosidetta versione della Cronaca di Giorgio
Sincello è rimasta priva della dovuta attenzione sino agli ultimi anni. Il mondo della slavistica si
fidava dell’identificazione del testo eseguita da Vasilij Istrin all’inizio del XX secolo. Il famoso
scienziato russo riteneva che il testo slavo fosse la traduzione di una versione breve della cronaca
bizantina di Sincello. Come consequenza, si pensava che la versione slava, di cui oggi sono
conosciuti 5 testimoni del XV-XVI sec. (Istrin ne conosceva 4), non fosse di grande interesse per
gli slavisti, vista la tradizione chiusa e la data tarda dei testimoni. La mia ricerca durante la
preparazione del testo slavo per la pubblicazione mi ha portato a pensare che il testo, a cui Istrin e i
suoi successori si riferivano come di Sincello, in realtà non fosse una traduzione di Sincello stesso
ma piuttosto una compilazione storiografica. Si è mostrato che la prima parte, che racconta gli anni
dalla Creazione fino alla Risurrezione di Cristo, rappresenta un consistente estratto dalla
Cronografia cristiana di Giulio Africano e soltanto la seconda parte del testo slavo, che copre gli
anni successivi fino alla fondazione di Costantinopoli, contiene il rispettivo testo di Sincello con
l'aggiunta di qualche pagina della Cronaca di Teofane il Confessore, che non era stata tradotta nel
mondo slavo. La scoperta del testo di Africano non frammentato e la conclusione che la traduzione
è stata eseguita durante il primo regno bulgaro pone tutta una serie di domande a cui si dedica il
contributo proposto.
Michele Trizio, Alcune note sui lettori bizantini di Eustrazio di Nicea
I commenti ai libri I e VI dell'Ethica Nicomachea del commentatore Eustrazio di Nicea (XI/XII
sec.) godettero di immensa fortuna nel medioevo latino. I suoi commenti rappresentarono per i
maestri universitari i principali strumenti di riferimento per l'insegnamento del testo aristotelico in
questione. La storiografia moderna sembra riflettere da un punto di vista quantitativo tale fortuna,
nella misura in cui essa si è per lo più concentrata sulla ricezione latina di questi commenti,
tralasciando in buona misura tanto lo studio del testo greco e delle sue fonti, quanto la ricostruzione
delle tappe della fortuna bizantina di questo importante autore. Nella presente relazione si intende
dare conto, seppure parzialmente, di tale fortuna, analizzando i casi di due altri commentatori
dell'Ethica Nicomachea, Giorgio Pachimere e l'enigmatico Eliodoro di Prusa, e di un autore,
Niceforo Gregora, che pur non avendo commentato direttamente questo testo aristotelico, sembra
spesso ricorrere a Eustrazio per le proprie riflessioni sui limiti e sulla condizione della natura
umana.
Alessandro Taddei, La decorazione musiva aniconica della Santa Sofia di Costantinopoli da
Giustiniano all’età mediobizantina. Alcune osservazioni
Tra le fasi meno note della decorazione musiva parietale delle gallerie della Santa Sofia di
Costantinopoli si trova certamente quella costituita dagli interventi di riparazione delle superfici
musive del VI secolo nonché dalla integrale ridecorazione di alcuni intradossi e volte. Siffatti
rimaneggiamenti, fino ad oggi genericamente assegnati ad età mediobizantina, necessitano di
particolare attenzione in quanto ancora privi di un'appropriata collocazione nell’ambito della griglia
cronologica degli interventi subiti dal monumento in epoca successiva all’Iconoclastia. Tuttavia,
ancor più urgente si rende una chiara definizione del loro rapporto con i ben più noti mosaici del VI
secolo. Con questo studio si vorrebbe procedere, pertanto, a una preliminare campionatura di queste
superfici decorative “tarde”, all’analisi degli elementi costituenti e dello stile, per giungere, infine,
ad alcune considerazioni sulla loro collocazione topografica negli spazi delle gallerie.
Silvia Tessari, Testo e musica in alcuni canoni bizantini. Relazione tra tropari e irmo
Si discuterà, dal punto di vista della resa musicale, il problema dell’adeguamento dei prosomii
all’irmo nell’innografia canonaria bizantina. In particolare, si esamineranno otto canoni attribuiti a
Fozio patriarca, editi criticamente nel 1994 da K. A. Manaphes, e la loro possibile realizzazione
melodica, sulla base di alcuni heirmologia di XII-XIV secolo. Là dove il testo accolto dall’editore
viola le leggi dell’isosillabismo e dell’omotonia, e dove pertanto l’adattamento all’irmo e alla sua
melodia appare compromesso, verranno avanzate alcune ipotesi di soluzione riguardo la
realizzazione performativa dei canoni in esame, per mezzo di un'analisi del variare delle cadenze
melodiche in base alla struttura accentuativa del testo.
Elena Velkovska, Le fonti greche dell'Euchologium Sinaiticum
L'eucologio glagolitico del Sinai (Sin. sl. 37 + 1/N) è il più antico sacramentario bizantino in
glagolitico per il quale ancora non sono stati identificati i corrispondenti testi greci. Da più di un
secolo le ricerche hanno mano a mano evidenziato strati successivi per cronologia e provenienza:
costantinopolitane, medio-orientali, italo-greche, latine, antico-tedesche. La relazione intende
offrire una presentazione sistematica delle più recenti acquisizioni, con riflessioni sulla fisionomia
del manufatto e alcune indicazioni metodologiche per gli studi futuri.
Francesca Paola Vuturo, Riferimenti ed exempla biblici nel Sinassario delle nobildonne
(Roma, Collegio greco 4)
L’anonimo componimento in greco medievale Sinassario delle nobildonne (il manoscritto è degli
inizi del XVI secolo), si caratterizza come una critica delle donne che si snoda attraverso una serie
di exempla ricavati dalle Sacre Scritture e da tradizioni leggendarie relative a personaggi storici e
mitici, in cui le protagoniste delle vicende di volta in volta citate hanno ingannato gli uomini o si
sono macchiate di qualche atroce delitto. Più della metà dei versi del Sinassario si riferiscono ad
esempi e riferimenti tratti dalle Sacre Scritture, con le vicende di Adamo ed Eva, di Jezabel ed Elia,
di San Giovanni ed Erodiade, di Dalila e Sansone, ed altre ancora. Si illustreranno alcuni casi per
mostrare come i riferimenti e i rimandi alle Sacre Scritture nel componimento attingano a topoi di
tradizione bizantina ma siano trasformati abilmente dall’autore, spesso grazie alla mediazione di
testi ampiamente diffusi in ambito occidentale.
Gaia Zaccagni, Motivi fiabeschi neogreci nel romanzo tardo-bizantino di Kallimachos e
Chrysorroe
Il romanzo di Kallimachos e Chrysorroe, appartenente al gruppo dei cinque romanzi medievali greci
in volgare, è tramandato da un unico manoscritto (cod. 55 della Biblioteca di Leiden). L’opera
presenta motivi fiabeschi, monologhi, dialoghi, καταλόγια, scene erotiche che si intrecciano a
ekfraseis, ricche di simbolismi di natura sensuale. Il convenzionalismo che caratterizza la
descrizione dei sentimenti e lo sviluppo della trama dei romanzi cavallereschi medievali, è qui
superato attraverso l’inserzione di motivi fiabeschi e popolari, resi a livello linguistico e metrico,
con freschezza ed eleganza.
Anna Zimbone, Premesse bizantine della diglossia neogreca
La tendenza all’arcaismo linguistico a Bisanzio ha pesato certamente sull’intero cammino della
lingua e della letteratura greca fin quasi ai nostri giorni, non ha dato luogo tuttavia in età medievale
a una ‘questione della lingua’ (Beck, 1978, Toufexis, 2008, Mackridge, 2009). Negli ultimi anni
numerosi sono stati gli studiosi che hanno vòlto il loro interesse alla lingua dei testi greci medievali
in vernacolo definendola non più una mikthv glwvssa con strutture appartenenti a due stadi distinti
di greco (antico e moderno), ma «as a stage of the Greek language in its own right and with its own
rules» (Mackridge, 1998). Il bilinguismo a Bisanzio, quindi, pur avendo la situazione bizantina
alcune somiglianze con la diglossia del XIX e XX sec., fu assai differente, dal momento che i vari
livelli di greco scritto coesistevano in armonia, e non condusse, di conseguenza, a una controversia
linguistica. Quest’ultima fu in seguito generata da moventi ideologici: l’importanza assunta dal
ruolo della lingua nella formazione dell’identità sociale e, in ispecie, dell’identità nazionale. Il
conflitto storico per la lingua verrà, nella comunicazione, messo in evidenza attraverso lo sguardo
ironico e le caustiche osservazioni di alcuni autori greci di fine Ottocento e inizi Novecento.
Niccolò Zorzi, Islam e Cristianesimo durante il regno di Manuele Comneno nell'opera di Niceta
Coniata
Alla fine del regno di Manuele Comneno (1143-1180) una controversia teologica oppose
l'imperatore al patriarca Teodosio Boradiota e all'arcivescovo di Tessalonica Eustazio. La disputa fu
suscitata dal tentativo dell'imperatore di modificare la formula di abiura per i convertiti dall'Islam al
Cristianesimo, eliminando la condanna al "Dio di Maometto". Niceta Coniata, nella Chronikè
diegesis (VIII) e nella Panoplia dogmatica (XXVI), è fonte pressoché unica di questa vicenda. Le
ragioni della disputa vengono qui indagate da un lato nel quadro delle relazioni turco-bizantine del
secolo XII, dall'altro nell'ambito della lunga tradizione di rapporti tra Islam e Cristianesimo. La
posizione di Manuele Comneno si può interpretare come testimonianza di una tendenza non nuova,
ma minoritaria, meno polemica e più conciliante nei confronti dell'Islam: pur scarsamente
testimoniata dalle fonti, essa meriterebbe maggiore rilievo nella ricostruzione dei rapporti
"interreligiosi"
tra
Islam
e
Cristianesimo.
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Abstracts Congresso AISB 2009