BORN TO BE INCLUDED...
“Il progetto tra IO e NOI”
Esperienza veneziana 2014 – 2015
a cura di Beatrice Ferraboschi e Rosanna Rosada
INDICE
1. PREMESSA
1.1 "Operare in profondità...tra cornice e relazione" a cura di Beatrice Ferraboschi - pag. 3
2. IL SERVIZIO TERRITORIALE
2.1 "Brochure delle buone prassi" a cura di Angelo Sopelsa - pag. 7
2.2 "Quattro pensieri sul Progetto RSC" a cura di Uberto Massaro - pag. 9
3. LA SCUOLA
3.1 "Valutare in una situazione educativa"a cura di Tiziano Battaggia - pag. 10
3.2 “L'altro diverso da me” a cura di Eliana Bedetti - pag. 12
3.3 "Lettera a volontari e operatore del Sintiamoci a scuola" a cura di Mara - pag. 13
Castellaro
3.4 Progetto “Il mondo è qui” a cura di Marina Scarpa - pag. 14
4. IN CLASSE
4.1 classe 2°A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
"Il lavoro è come una danza a cura di Lucia Cerino - pag. 16
4.2 classe 3°B, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
"5 storie strampalate" a cura di Donatella De Cal e D
daniele Zuccato - pag. 18
4.3 classe 1°A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
"Il cane Tino" a cura di Luana Mura - pag. 20
4.4 classe 2°A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
"Come tante gocce d'acqua...." a cura di Anna Barbiero - pag. 21
4.5 classe 4°A, Primaria Fucini, I.C. Alpi
“I gengers, gli eroi sconosciuti” a cura di Monica Batelli e Gabriella Biscaro - pag. 22
4.6 classi 2°B, 2°E, Secondaria Volpi, I.C. Alpi
“Musicainsieme” a cura di Alice Farnea - pag. 24
4.7 classi 1°C, 2°B, Secondaria Volpi, I.C. Alpi
“Vivere RSC” a cura di Giorgia Formentin - pag. 26
4.8 classi 1°C, 2°B, 2°E, Secondaria Volpi
“Il cittadino” a cura di Martina Bettio e Katia Torriani - pag. 27
4.9 “A partire dal progetto” a cura di Davide Carnemolla - pag. 29
4.10 "Ti facevo più lontano e invece… Tra tane e canzoni: i luoghi che avvicinano"
a cura di Alessandro Zanetti - pag. 31
5. A CASA
5.1 “Sincerità e fiducia” a cura di Davide Carnemolla - pag. 33
5.2 “Un passo verso casa e uno verso il mondo… Sperimentarsi in campi diversi.”
a cura di Alessandro Zanetti - pag. 35
6. L'INCONTRO INSEGNANTI – OPERATORI
6.1 “Il nostro metodo di lavoro” a cura di Domenico Canciani - pag. 37
6.2 “Diventare foresta è un impegno di ciascuno per diventare un noi che ci dà
forza”(cit. di un insegnante) a cura di Rosanna Rosada - pag. 41
1. PREMESSA
1.2 “ Operare in profondità...tra cornice e relazione”
a cura di Beatrice Ferraboschi
Ritrovarsi
In avvio della seconda annualità del progetto è stato rassicurante trovare tutti i colleghi con i quali
avevamo stretto relazione e collaborato tutto l'anno precedente pronti e reattivi. Durante la pausa
estiva il lavoro di costruzione del documento conclusivo da presentare all'evento del 26 settembre
2014 “Bambini e ragazzi a scuola: esperienze di cittadinanza” ha contribuito a non farci perdere il
filo, ha mantenuto viva l'appartenenza al gruppo di lavoro, funzionando da buon oggetto ponte.
Anche l'evento conclusivo così programmato ovvero all'inizio del nuovo anno scolastico, ha
contribuito a dare carica al gruppo di lavoro locale, grazie alla rilettura degli esiti e al confronto tra
i presenti, ma soprattutto grazie alla partecipazione, all'entusiasmo, al calore di bambini, ragazzi e
famiglie presenti nella seconda parte del pomeriggio.
Governance
Quest'anno sono state coinvolte 10 classi, 4 plessi, 3 Istituti Comprensivi, per un totale di 206
bambini. Si è stabilito di realizzare 10 laboratori di 18/22 incontri di 2 ore ciascuno.
Le classi coinvolte sono state: 1° A, 2° A, 3° B plesso Virgilio, I.C. Da Vinci; 1° C, 2°B, 2°E plesso
Volpi, I.C. Alpi; 1°A, 2°A, 3°A plesso Don Milani, I.C. Gramsci e 4°A plesso Fucini, I.C. Alpi.
La fase di programmazione tra operatori e insegnanti dei laboratori si è sviluppata alacremente,
forti di quanto appreso durante il primo anno di sperimentazione. Tutti più sicuri dei propri compiti,
ruoli, pronti nella mediazione, pragmatici negli imprevisti.
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Dopo le veloci presentazioni alle famiglie, i laboratori sono decollati e gli sforzi di insegnanti e
operatori, come coglierete nei prossimi capitoli del documento, sono stati appagati nel complesso
dal grado di partecipazione di bambini e ragazzi, dall'evolversi delle dinamiche di gruppo-classe e
dagli obiettivi raggiunti sia nella sfera cognitiva che nell'area delle abilità sociali. Non sono
mancate alcune difficoltà come di seguito leggerete.
Rispetto all'attività extrascolastica si è un po' dovuto pensare a come sviluppare i percorsi
personalizzati. Ad esempio, rispetto ai bambini e ragazzi, residenti nel Villaggio di via del
Granoturco si è ritenuto, a causa del clima non sereno che si respira al villaggio, di organizzare
delle attività in mini gruppo presso la struttura della Caritas diocesana “Cerchier” in via Passo a
Campalto. Si è resistito alle continue richieste di alcuni genitori di includere nel laboratorio altri
bambini e ragazzi, fratelli o vicini di quelli coinvolti nel Progetto, pur di difendere un spazio e un
tempo per poter far emergere gli effettivi bisogni dei minori coinvolti, di poterli leggere e farsene
carico poi in équipe. Ci si è ripromessi che con l'inizio della terza annualità si valuterà l'opportunità
di aprire il laboratorio extra-scolastico che quasi sicuramente resterà esterno al villaggio anche ad
altri bambini e ragazzi ivi residenti, ma non coinvolti nel Progetto RSC a scuola.
Per quanto riguarda il supporto alla genitorialità, si è stabilito che nell'andare a prendere o a portare
i bambini con il pulmino al villaggio, gli operatori avrebbero dedicato un tempo consono di dialogo
con i genitori dei bambini proprio per raccontare come era andata, per ricordare alcuni impegni ai
genitori e per discutere, al bisogno, di aspetti educativi, sanitari, di quanto correlato al rapporto
genitori – figli, famiglia – scuola – territorio.
La governance quest'anno, a seguito della verifica di giugno, è stata rivoluzionata. Se il Tavolo
Locale è stato il luogo in cui tenere la cornice e mettere in dialogo tutti i Dirigenti di Scuole,
Servizi, Ente Gestore e Associazioni coinvolte, la Cabina di Regia Locale è stata lo spazio dove
formulare pensieri e riflessioni utili allo sviluppo progettuale, rimanendo un po' discostati dalla
piena operatività. Si sono poi costruite le equipe multidisciplinari Istituto Comprensivo per Istituto
Comprensivo, in modo da creare un contesto di discussione tecnica e operativa tra insegnanti,
operatori, volontari, referenti delle municipalità, in cui poter sviscerare le questioni scuola per
scuola e situazione per situazione, dando la possibilità di andare in profondità.
Queste scelte organizzative insieme alla cura delle relazioni tra tutte le persone coinvolte e i
momenti formativi si sono rivelate fondamentali per la tenuta del progetto.
Formazione
Il calendario formativo ha previsto:
- 2 giornate intensive (3 novembre 2014, 17 febbraio 2015) per operatori scuola a cura del dott.
Domenico Canciani e di Rosanna Rosada. Il programma ha previsto: Metodologia LC (Laboratorio
Creativo) e Metodologia CL (Cooperative Learning) a confronto e integrate. Approfondimento della
metodologia Laboratorio Creativo dalla definizione dei bisogni alla creazione dello sfondo tematico,
dalle strategie individuali al prodotto collettivo. A fine giornata, inoltre, si è realizzato un
approfondimento con la dott.ssa Sara Colombini sugli strumenti di valutazione.
- 1 incontro formativo (9 dicembre 2014) per insegnanti, operatori e volontari, intitolato "Leggere e
scrivere in contesto- La lingua dello studio per alunni debolmente scolarizzati (rom, sinti e non)" a
cura del Servizio di Progettazione Educativa del Comune di Venezia in collaborazione con
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Novamedia- Cooperativa Sociale onlus. Questo pomeriggio formativo specifico su rom e sinti
rientra in un percorso di 4 incontri, previsto dal Progetto Intercultura, sui temi dell'apprendimento
L2, della valutazione degli apprendimenti e sulle proposte di indicatori sia per la scuola primaria che
per la scuola secondaria di primo grado.
- 2 pomeriggi formativi (11 dicembre 2013, 12 febbraio 2015) per insegnanti e operatori,
“Metodologia cooperative learning - Uso di strutture che favoriscono la costruzione del gruppo,
l'inclusione e l'inte(g)razione" a cura della dott.ssa Stefania Lamberti, Università di Verona.
- 1 pomeriggio formativo in gemellaggio con la città di Bologna (25 maggio 2015) “Buone prassi a
confronto tra le città di Bologna e Venezia. Laboratorio esperienziale con metodologia Cooperative
Learning” a cura della dott.ssa Stefania Lamberti, Università di Verona.
- 3 incontri di Consulenza con i diversi team laboratori di ciascun Istituto Comprensivo (composti
da operatori scuola e singoli insegnanti delle tre classi coinvolte per ogni I.C.) di due ore ciascuno,
in cui, aiutati dagli esperti che hanno gestito la formazione intensiva iniziale, i presenti hanno
costruito la tematizzazione per ogni laboratorio in classe, analizzato gli emergenti relazionali e
didattici dei gruppi classe durante la conduzione dei laboratori e ipotizzato, a fronte dell’analisi
compiuta in gruppo, delle "soluzioni/evoluzioni" tematiche. Gli incontri sono stati calendarizzati in
tre momenti: avvio, metà percorso e conclusione dei diversi percorsi laboratoriali.
Il pomeriggio seminariale cittadino “Tante differenze...quali apprendimenti? Esperienze a
confronto per una scuola inclusiva” è stato realizzato venerdì 27 marzo 2015; riservato a dirigenti
scolastici, insegnanti, operatori e cittadini volontari sensibili al tema, è stata l’occasione per fare, a
partire dall’esperienza del Progetto RSC, uno zoom sul lavoro di relazione, educativo e didattico a
scuola, con gruppi di bambini e ragazzi di diverse provenienze culturali.
A partire dall’interrogativo: “Come dovrebbe funzionare una classe inclusiva?” e grazie ad alcuni
contributi portati da insegnanti e operatori, si è dato vita ad un confronto tra tutti i presenti sulle
proprie esperienze con i gruppi classe o con gruppi laboratoriali. Confronto che si è dato l’obiettivo
di sviluppare pensieri e strategie dirette a favorire l’inclusione di tutti i bambini e di tutte le
diversità.
Si sono approfonditi modalità, metodi e stili diversi utilizzati e utilizzabili, per far convivere le
differenze, senza perdere di vista il processo di apprendimento scolastico e non solo.
Durante il confronto è intervenuta la dott.ssa Diana Cesarin, insegnante di Roma, esperta di
intercultura, offrendo stimoli e riflessioni ai presenti.
La formazione anche quest'anno ha accompagnato il percorso progettuale in modo costante,
offrendo spunti per sviluppare gli aspetti tematici dei laboratori a scuola, facendoci affinare l'essere
gruppo, provando su noi stessi tecniche, modalità di conduzione...imparando dall'esperienza.
Il sistema di valutazione, quest'anno ricalibrato, è
stato vissuto con minor gravosità da operatori e
insegnanti. Particolare soddisfazione è derivata
dall'incontro di restituzione al T0 curata da
Francesco Chezzi dell'Istituto degli Innocenti e
Francesco Fiore Tutor; è stato un'ulteriore
momento di confronto sulle dinamiche in classe
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e sulle percezioni di insegnanti e operatori messe in relazione agli esiti dei questionari, si è provato:
soddisfazione, quando alcuni insegnanti hanno realizzato che due alunni rom risultavano essere dal
sociometrico leader positivi della classe; stupore, quando alcuni alunni considerati al centro delle
dinamiche della classe in realtà risultavano isolati o poco scelti; sorpresa a vedere esplorate le
dinamiche tra gruppo femminile e maschile della classe...aprendo così a nuovi pensieri e nuove idee
di lavoro educativo-didattico.
Criticità
Per quanto riguarda i momenti di criticità, ne racconto uno tra tutti che testimonia il livello di
lavoro integrato raggiunto nelle équipe: …..“In primavera c'è stato un momento in cui abbiamo
sentito il bisogno di difendere la possibilità di fare anche scelte poco comprensibili per il piano
nazionale: stavamo valutando se fermare in prima alla primaria Virgilio M.H.. Ci faceva riflettere
la sua estrema immaturità, a fronte di un lungo periodo di osservazione e di tentativi progettuali
per comprendere i reali bisogni. Durante un equipe di aprile abbiamo ipotizzato più strade da
percorrere: promozione o bocciatura intesa come opportunità per M. di avere un maggior tempo di
adattamento ai ritmi della scuola primaria, più azioni da mettere in atto quali la convocazione da
parte dei Servizi Sociali di cura e protezione, accelerazione delle pratiche per la certificazione,
prosieguo del sostegno individuale sia da parte della volontaria che dell'operatore campo. Con
l'obiettivo di arrivare alla decisione finale sereni e non turbati da affermazioni di cornice quali “i
bimbi coinvolti nel Progetto RSC non devono essere bocciati”, il gruppo di lavoro ha trovato il
modo di esprimere il proprio punto di vista, scrivendo una lunga dettagliata relazione firmata da
tutte le persone che operano intorno al caso, che dimostrasse cognizione di causa e divenisse
spunto di riflessione per il Comitato Scientifico Nazionale. Questa azione, questa compattezza non
ha lasciato dubbio al Nazionale, restituendoci la serenità della scelta.
Il finale si è dipinto di rosa. Dopo ulteriori incontri d’équipe, un sentito incontro tra referenti dei
Servizi e Dirigente Scolastico e un lavoro intenso dei Servizi del Comune e della N.P.I., in un
tempo record si è definita la certificazione che ha permesso di ottenere l'insegnante di sostegno per
il successivo anno scolastico, si sono accompagnati i genitori e M. in un iter sanitario per
accertare la sordità e ottenere l'impianto acustico e la Dirigente e insegnanti, titolari della scelta,
hanno promosso M., sicuri che, migliorate le sue condizioni di salute e con un maggior supporto
dal punto di vista didattico, M. recupererà molto durante la seconda... a patto che il Progetto RSC
continui per la classe in cui è accolto anche il prossimo anno!”.
Che pizza!
Credo però che un altro risultato soddisfacente di questo anno di progetto sia stato rappresentato
dall'ampia adesione alla serata in pizzeria dedicata ad operatori, insegnanti, consulenti, proposta
dalla referente scuola I.C. Gramsci Eliana Bedetti, svoltasi il 15 giugno 2015 a coronamento della
fine della seconda annualità.
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2. TERRITORIO
2.1 “Brochure delle buone prassi”
a cura di Angelo Sopelsa
Quali ricadute derivate dagli emergenti evidenziati dalla messa in atto del Progetto “RSC”,
nelle attività di prevenzione o di presa incarico delle situazioni di cura e protezione delle
Municipalità?
La possibilità di far parte del Tavolo di coordinamento multidisciplinare del Progetto
“RSC” anche per quest’anno ha messo in luce l’importanza della trasversalità tra servizi e progetti
rispetto all’intercettazione della dispersione scolastica, della sua formalizzazione e delle azioni di
contrasto predisposte e definite dalla rete dei servizi.
La peculiarità del progetto “RSC” sta nel suo essere in rete con i servizi socio-sanitari
tra prassi e protocolli che si stanno definendo sempre più nel dettaglio e nella distribuzione delle
azioni e delle funzioni tra istituti scolastici, servizi socio-sanitari e terzo settore.
Da anni i Servizi territoriali cercano di sviluppare “buone prassi” a partire dalla
promozione dei progetti di prevenzione al disagio e di promozione del benessere proposti alle
scuole (nella “Brochure” che veicola i progetti dal prossimo anno scolastico saranno presenti anche
la scheda di segnalazione inadempienza, la scheda di richiesta di collaborazione scuola/servizi
sociali oltre alle schede di richieste specifiche per le progettualità di prevenzione rivolte ai contesti
scolastici).
Molti progetti utilizzano metodologie e strumenti che hanno come obiettivo
l’emersione, la presa in carico e il supporto di/alle situazioni di difficoltà evolutiva di bambini e
ragazzi e delle loro famiglie attraverso modelli di intervento quali il progetto “PIPPI” e il progetto
“RSC”.
Gli obiettivi che fanno parte dei progetti di cura e protezione di singoli bambini così
come quelli dei progetti che operano nei contesti di vita dei bambini e dei ragazzi sono: prevenire
l’allontanamento/separazione familiare e ampliare l’inclusione dei bambini e dei ragazzi più fragili
nel loro gruppo/classe e nei loro contesti di appartenenza. Tutto ciò per sostenere l’integrazione,
l’inclusione, l’appartenenza al proprio contesto di riferimento e non l’allontanamento, il rifiuto,
l’esclusione, la separazione.
Lo sfondo organizzativo è costituito da tavoli e modelli di lavoro quali: il tavolo
inadempienza inter-istituzionale, le equipe multidisciplinari, il gruppo di autoformazione degli
operatori dei servizi sociali delle municipalità che lavorano nelle/con le scuole di tutto il territorio
comunale, le equipe di appartenenza dei singoli servizi, i gruppi di lavoro per quanto riguarda le
prese in carico individuali e/o i progetti più allargati.
Tornando alla specificità del Progetto “RSC” là dove non sono più sufficienti le azioni
di accompagnamento e il contenimento messe in atto dal progetto, in accordo con la scuola, viene
formalizzata una richiesta di collaborazione con il Servizio Sociale della Municipalità competente
per territorialità. In questo modo il Servizio sociale si raccorda con il Progetto “RSC” e la Scuola di
appartenenza del minore così come per qualsiasi bambino e/o famiglia in difficoltà. Si dà inizio
così, a partire da una Lettura del problema approfondita, arricchita dalle azioni già messe in campo
dal Progetto “RSC”, una presa in carico che si sviluppa sugli obiettivi condivisi nelle gamme della
prevenzione, della riduzione del danno, della cura e protezione del minore.
La specifica appartenenza ad un gruppo minoritario non può giustificare la mancanza di
approfondimenti specialistici socio-sanitari nell’ambito della diagnosi medica o della valutazione
dal punto di vista della cura e protezione e quindi della tutela sociale (così come definito
nell’ultimo anno dalle linee guida del Dispositivo ETI); inoltre sempre di più, grazie anche al
coinvolgimento delle famiglie che sta alla base del Progetto “RSC”, ci si sta muovendo verso la
condivisione tra tutte le parti del “problema” da affrontare (linee guida Progetto PIPPI).
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Per noi operatori del Servizio sociale della Municipalità Mestre Carpenedo il lavoro di
rete con il progetto ha riaperto i riflettori su un nucleo che già avevamo in carico negli anni passati
e che nuovamente necessita di controllo per la cura e la protezione dei minori.
Dal punto di vista del controllo della frequenza scolastica sempre in rete col progetto,
ma anche con la referente per le Politiche educative a cui fa capo la segnalazione di
inadempienza/evasione scolastica da parte delle scuole, abbiamo concordato per alcune situazioni,
di far fare delle convocazioni presso la sede delle Politiche educative, con l’obiettivo di condividere
con le famiglie la criticità specifica: la frequenza scolastica a fronte delle risorse messe in campo e
delle opportunità date dal Progetto “RSC”.
Crediamo che questo sia un modo per riconoscere la specificità data
dall’appartenza, dall’essere rom o sinto o caminante, senza negare quello che è il
diritto/dovere allo studio, il diritto/dovere alla salute e alla cura, aspetti questi che per i
bambini e i ragazzi con famiglie particolarmente problematiche dal punto di vista socioambientale negli anni ha fuorviato lo sguardo tutelante dei servizi.
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2.2 “4 pensieri sul Progetto RSC”
a cura di Uberto Massaro
Nel ripensare agli esiti del progetto RSC ho analizzato le effettive ricadute sul lavoro del Servizio
Sociale ed Educativo della Municipalità e più in generale sui minori e famiglie residenti nel
territorio che di seguito illustro:
la prima inerente la casistica del Servizio: per i minori in carico l'opportunità offerta consente un
ampliamento degli interventi sia domiciliari che gruppali.Inolre la presenza in aula degli operatori
del progetto, permette di avere diversi e nuovi "sguardi" che rappresentano preziose fonti di
informazione successivamente condivise nei momenti di confronto, utili alla valutazione e
predisposizione degli interventi futuri.
Evidenzio inoltre la positività insita nell'estendere i laboratori ad altri bambini, che appartengono
alla stessa classe, ma non coinvolti direttamente nel progetto, le cui famiglie, in alcuni casi, sono
seguite dagli operatori di Municipalità per interventi di supporto.
La seconda riguarda la collaborazione con la scuola: pur essendoci rapporti storicamente
consolidati e produttivi, l'opportunità di confrontarsi e formarsi su diversi modelli di intervento
arricchisce di nuovi strumenti il lavoro congiunto Servizio/Scuola.
La terza riguarda le ricadute sui minori del territorio: è mia opinione che le progettualità rivolte
all'integrazione delle etnie RSC risultino sul lungo periodo come "antidoto" alla conflittualità
sociale, alla stigmatizzazione; fenomeni che vedono come attori principali le etnie stesse, che
spesso pur dichiarando un desiderio di uscire dall'emarginazione, mantengono comunque
atteggiamenti che evidenziano la differenza, che mantengano "le distanze".
Aggiungo anche che offrire in classe a tutti i bimbi un diverso modello di apprendimento
(cooperative learning), comporta anche una maggiore opportunità di crescita, indistintamente dal
fatto che si sia RSC o meno.
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3. LA SCUOLA
3.1 Valutare in una situazione educativa
a cura di Tiziano Battaggia
Questa breve comunicazione riguarda il come valutare in una situazione educativa che intende
essere inclusiva per il gruppo classe. In sintesi, l’inclusione privilegia una serie di indicatori di
sfondo nel contesto dell’azione educativa:
 attenzione alla globalità delle dimensioni educative e sociali
 attenzione a tutti indistintamente e differentemente
 attenzione al contesto
 ruolo dell'imitazione nell'apprendimento: la coppia, il piccolo gruppo
 sostegno diffuso
 gestione dei conflitti
 flessibilità
 ….............
Non affronterò, quindi, il tema della valutazione delle competenze, né la valenza educativa o meno
del voto, né altre questioni di docimologia, anche se molto attuali oggigiorno nel mondo della
scuola. L’urgenza della questione deriva, altresì, da un’esigenza tutta pragmatica di individuare
alcuni vincoli nella conduzione dei laboratori che stiamo realizzando nell’ambito del Progetto
Nazionale per l’inclusione dei bambini rom sinti e camminanti (Progetto RSC). Vincoli in grado
di orientare i processi di valutazione delle attività proposte in sintonia con le pratiche di aiuto
reciproco e di cooperazione che le caratterizzano. Mi interessa, soprattutto, riflettere su come
l’intervento valutativo si riverbera nel contesto classe e quali strategie sia possibile praticare perché
possa essere valorizzante per l’azione dei bambini e favorirne l’apprendimento.
Prima di tutto mi preme chiarire come valutazione e giudizio non siano sinonimi, anche se
esprimere giudizi pare sia una deformazione professionale, dalla quale nessuno può dirsi immune,
compreso il sottoscritto.
Da questo punto di vista, è evidente quanto sia svalorizzante un giudizio negativo espresso di fronte
ad un bambino che non riesce a produrre una prestazione indicata dall’insegnante. Non pare
corretto, però, nemmeno un giudizio espresso di fronte ad una buona prestazione, perché nel gruppo
i bambini meno capaci rischiano di non ricevere mai la valorizzazione. Del resto, esprimere un
“bene” o “bravo” anche al bambino meno capace crea una situazione falsata destinata a durare
poco. Spesso, infatti, il giudizio non viene espresso solo dall’insegnante e solo con la voce, ma
anche dai compagni ed anche con il corpo. Un esempio, in una situazione di gioco in palestra, può
essere rivelatore in tal senso. Un bambino che si aspetta di ricevere la palla da un compagno capace
starà in una postura di tensione, di attenta attesa; ma se a lanciarla sarà un bambino meno capace lo
si vedrà in una postura rilassata, in un atteggiamento distratto o di insofferenza. Si può limitare se
non evitare questo tipo di comunicazione trasformando l’esercizio in una ricerca dei diversi modi di
lanciare e prendere la palla, inserendo elementi di creatività e di obliquità nel gioco.
Occorre anche tener conto come il giudizio espresso a fin di bene non sia così positivo neanche per
i bambini più capaci. Spesso, infatti, il piacere di fare si trasforma nel bisogno di essere gratificati
dall’adulto, come se il giudizio positivo sia l’unico modo per il bambino di rassicurarsi sulla propria
consistenza. Le conseguenze sul piano educativo sono ravvisabili in una forte adesività all’adulto e
in una limitata autonomia d’azione.
Nel definire i differenti significati di valutazione e giudizio si è soliti presupporre nella prima
elementi di oggettività non riscontrabili nel secondo termine, che presenta una natura più
strettamente soggettiva. Non credo, però, che l’oggettività sia l’elemento che qualifichi di per sé la
valutazione, in quanto si osserva sempre all’interno di una cornice la cui scelta determina il quadro
di ciò che si valuta. E’ piuttosto l’abilità di descrivere ciò che di significativo si osserva nel contesto
a determinare una corretta valutazione. Più che l’azione del bambino, sono le sue relazioni con gli
altri, con gli oggetti, con lo spazio e il tempo gli indicatori a cui possiamo affidare le nostre
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valutazioni, restituendo così all’altro, al gruppo, il senso di quanto accade in situazione.
Valutare può acquistare un significato più profondo e relazionale: si tratta di saper apprezzare
valorizzando la prestazione del bambino, che non esclude il riconoscimento dei limiti, se percepiti
come possibilità e non vissuti come colpe.
I vincoli, cui accennavo, si riferiscono ad una serie di atteggiamenti valorizzanti con i quali
l’insegnante può accompagnare e orientare le prestazioni dei bambini, favorendo al tempo stesso
pratiche di inclusione:
Proverò a descriverli affidandomi ad esempi tratti dalle attività di laboratorio della classe prima
della scuola Virgilio nell’ambito del progetto RSC.
Commentare l’azione:
I bambini hanno costruito le tane degli animali con cuscini, corde e cerchi. M. salta dentro e fuori
dal cerchio. Mi avvicino e commento in sintonia con i salti del bambino: “dentro - fuori, dentro
-fuori…” Il commento della propria attività ha effetto valorizzante.
Far evolvere le azioni
Depongo un altro cerchio accanto al primo, senza dare indicazioni. M. salta anche nel secondo. Ne
aggiungo altri in modo da collegare tra loro le tane dei bambini. L’ evoluzione del gioco è
gratificante. L’insegnante diventa un partner del bambino, senza condizionarlo.
Protagonismo protetto
Invito il gruppo a osservare M. “Guardate M. che salta come Squirrel (lo scoiattolo) da una tana
all’altra”. Il gruppo viene coinvolto nel nuovo gioco. M., che non è uno dei bambini leader della
classe, può così emergere nel gioco comune, senza essere esposto. In classe possiamo chiedere ai
bambini di disegnare il nuovo gioco.
L’archivio
Realizziamo una cartellina che raccoglie alcune registrazioni (disegni, collage, schede…) delle
esperienze significative realizzate dai bambini e dal gruppo. Il confronto tra prima e dopo offre
occasioni importanti per valorizzare l’evoluzione delle prestazioni.
Infine, è importante che la prestazione non coincida con un ipotetico risultato. Ciò significa
privilegiare l’attività agli obbiettivi da raggiungere. Infatti, in un rapporto flessibile, è
nell’ambito delle attività che l’insegnante può favorire la motivazione del bambino e proporre
sviluppi delle sue prestazioni, che soddisfano gli obbiettivi nel corso di un processo, non della
singola lezione.
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3.2 L'altro diverso da me
a cura di Eliana Bedetti
Ho partecipato al progetto RSC, come referente del mio Istituto Comprensivo, ancora 2 anni fa,
quando il progetto è partito, con grande entusiasmo per la novità che lo stesso progetto proponeva,
come ad esempio il cooperative learning, il tutoring, il gruppo di lavoro nell'equipe
multidisciplinare, insieme alle nuove scoperte e conoscenze riguardo alla cultura Sinta e dei Rom.
Tre sono gli aspetti di questo progetto che mi hanno affascinata e coinvolta sia emotivamente che
professionalmente.
Il primo è stato quello di lavorare in un gruppo di persone con professionalità molto diverse le une
dalle altre, ma con l'intento tutti di raggiungere obiettivi comuni. Questo percorso svolto insieme ci
ha portati a confronti spesso difficili, per la differenza di vedute e di pensiero, di organizzazione
scolastica nelle varie scuole, di modalità nel percepire la diversità dei nostri alunni, ma i toni accesi
che qualche volta sono emersi, hanno rivelato, secondo me, un sentito interesse e coinvolgimento
emotivo per questo progetto.
E' l'altro diverso da me, l'argomento principale su cui ho spesso riflettuto.
Una maggiore conoscenza delle realtà di vita dei nostri alunni Sinti e Rom, delle loro abitudini e
tradizioni, mi hanno aperto altre porte riguardo al tema dell'inclusione scolastica che mi sta molto a
cuore. Mi ha spinta a cercare, leggere, informarmi, studiare una volta ancora di più, su come
riuscire a realizzare l'inclusione a scuola.
Il secondo aspetto è stato quello della formazione prevista per noi insegnanti e per tutti gli
operatori coinvolti.
Un'altra possibilità per noi docenti e operatori di metterci alla prova, in gioco, con le nostre
conoscenze, le nostre capacità di relazionarci con gli altri, di aver voglia di sperimentarci ancora
una volta, di riprendere in mano qualche lettura nuova e di rifarne qualcuna di vecchia.
L'ultimo aspetto, non per questo meno importante degli altri, è stato quello di coinvolgere nel
progetto anche i genitori degli alunni non solo delle classi coinvolte, ma anche delle altre classi. I
genitori hanno apprezzato molto il nostro intento di realizzare all'interno delle classi la relazione tra
gli alunni in forma di gioco, studiando e approfondendo un particolare argomento di una disciplina.
Attraverso il gioco e con il metodo del cooperative learning si sono potuti realizzare dei laboratori
di studio e di gioco, nel quale i bambini hanno potuto sperimentare il lavoro insieme, a gruppi,
rispettando delle regole, per poi realizzare anche dei prodotti da esporre a scuola e da far vedere ai
genitori e agli altri docenti e alunni.
Infine la complessità e l'articolazione del progetto, con i suoi cambiamenti organizzativi, in questi 2
anni hanno contribuito a renderlo più interessante e più vivace sia nel riuscire a realizzarlo, a
portarlo avanti e a tenerne le fila.
Il risultato maggiore è stato per me quello di vedere come un progetto nel tempo si modifichi, si
articoli, si ingrandisca e porti novità di conoscenza e arricchimento per bambini, ragazzi, docenti
operatori e genitori.
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3.3 "Lettera a volontari e operatore del Sintiamoci a scuola"
a cura di Mara Castellaro
Cari volontari e operatori,
a fronte della dedizione e fatica che avete profuso nel corso di quest’anno, volevo aggiornarvi sugli
esiti degli esami sostenuti da S. 3^ C e S. 3^ F: entrambi sono stati licenziati con la sufficienza, ma
nel colloquio la commissione ha attribuito loro la votazione di 7/10 perché hanno mostrato di aver
affrontato questa prova con un impegno e una serietà sorprendenti. E’ una soddisfazione che i
docenti vogliono condividere con voi.
Ho riflettuto sulle cose che ci siamo detti nell’ultimo incontro e, prima di lasciare questa scuola e
questo incarico, vorrei fare delle riflessioni ed avanzare delle proposte:
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Lavorare con questa utenza è difficile per tutti perché bisogna non lasciarsi abbattere dagli
insuccessi e da un’apparente, più spesso reale, indifferenza verso ciò che le viene offerto; ma
piccoli traguardi possono essere raggiunti con pazienza (parecchia) e (notevole) flessibilità.
La nostra motivazione e i nostri obiettivi, anche minimi, spesso non sono un patrimonio condiviso
con gli utenti di cultura Sinti; ma è anche vero che, forse, questi elementi trovano la forza di
radicarsi nel momento stesso in cui vengono praticati nel quotidiano (abbiamo capito che generare
nuove abitudini e nuovi valori è cosa lunga e difficilissima).
Condivido il fatto che sia necessario un maggiore coinvolgimento delle famiglie: a questo proposito
avrei pensato di presentare alle stesse (magari nel villaggio) un patto da sottoscrivere con la Scuola
e la Fondazione in cui le famiglie si impegnano a far frequentare con regolarità il laboratorio ai
ragazzi. In caso contrario, il servizio non sarebbe più erogato.
I ragazzi Sinti si iscrivono alla Volpi perché si sentono considerati e aiutati (loro testuali parole);
devo ammettere che l’attenzione che ricevono deriva in gran parte da quel rapporto individuale che
gli operatori della Fondazione hanno saputo coltivare nel tempo (nonostante tutte le difficoltà e le
giustificate delusioni)
Il laboratorio potrebbe cambiare denominazione, potrebbe pure cambiare il calendario … in altre
parole cercare di adeguare la programmazione a nuovi bisogni e scopi che sono emersi nel corso
dell’esperienza
Il progetto verrebbe seguito da una validissima collega, Caterina Angotzi, che riceverà da me ogni
informazione possibile
E per ultimo, ma non ultimo in ordine di importanza, pongo il seguente quesito: cosa succederebbe
se eliminassimo questo dispositivo? Le famiglie Sinti ne avvertirebbero realmente la mancanza e si
assumerebbero maggiori responsabilità o l’unica cosa che otterremmo sarebbe un regresso sul
piano dell’integrazione degli allievi, vanificando gli sforzi fin qui fatti?
Non vorrei essere fraintesa, ma con queste righe vorrei semplicemente invitarvi a meditare su
quella che può essere la decisione più adeguata per affrontare le questioni che da anni ci vedono
tutti coinvolti con grande impegno, sebbene con ruoli e responsabilità assai diverse.
Vi ringrazio di cuore per la generosità con cui vi siete spesi in questi anni.
BUONE
VACANZE!
Con affetto e stima abbraccio tutti
Mara
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3.4 Progetto "Il mondo è qui”
Interventi di sostegno scolastico per minori Rom e Sinti svolti dai volontari della “Fondazione
Elena Trevisanato” nelle scuole primarie di Mestre.
a cura di Marina Scarpa
Volontari incaricati: Cavinato Giancarlo, Falcone Annarita, Scarpa Marina
Scuole primarie coinvolte nel progetto: “L. Da Vinci” , “Virgilio” ,“ F. Baracca”, (IC “L. Da
Vinci” )
“ R. Fucini“ (IC “Ilaria Alpi”)
Destinatari : n° 5 alunni sc. “Baracca cl. 2°, 3°, 4°, 5°
n° 7 alunni sc. “Virgilio” cl. 1°, 3°, 5°
n° 1 alunno sc. (L. Da Vinci) cl. 2°
n° 3 alunni sc. “Fucini” cl. 4° e 5°
TEMPI
Da 4 a 8 ore settimanali (per ogni volontario) con interventi individualizzati o in piccolo
gruppo
LUOGHI UTILIZZATI
Aula-laboratorio, aula-biblioteca, classe di appartenenza
FINALITA’ DEGLI INTERVENTI
Riduzione dello svantaggio linguistico e scolastico ai fini di una positiva integrazione degli
alunni
CAMPI DI INTERVENTO
Attività di supporto didattico e strumentale , attività di laboratorio rivolte agli alunni
secondo contenuti, tempi e modalità concordati con gli insegnanti di classe
OBIETTIVI GENERALI
-sostenere la motivazione
-favorire / consolidare l’acquisizione delle strumentalità di base della lettura e della scrittura -----stimolare e agevolare l’espressione orale e scritta
-ampliare il lessico
-comprendere testi
-potenziare le capacità di attenzione , memorizzazione, concentrazione
-facilitare/consolidare l’acquisizione delle strumentalità logico-matematiche di base
-riuscire ad eseguire semplici costruzioni manipolando materiali vari (colore,cartoncino…
forbici...pongo..)
CONSIDERAZIONI FINALI SUL LAVORO SVOLTO
Relativamente alle finalità e al campo di intervento definiti dal protocollo d’intesa,e in accordo con
gli insegnanti di classe, ritengo che l’esperienza dei volontari condotta durante l’ anno scolastico
abbia influito positivamente sulla motivazione ad apprendere, rinforzato nei bambini la fiducia
nelle proprie capacità, facilitato l’apprendimento e sostenuto gli alunni nell’affrontare le difficoltà
che il percorso curricolare comporta, recuperato per quanto possibile le abilità di base di lettura,
scrittura e strumentalità logico-matematiche , favorendo e attuando anche attività di laboratorio.
La partecipazione alle attività è sempre stata buona, non si sono manifestate difficoltà nel rapporto
tra alunni e operatore.
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I risultati purtroppo non sono stati sempre soddisfacenti , potrebbero essere migliori se la frequenza
fosse continuativa e regolare.
Le cause della mancata regolarità della frequenza è data dagli spostamenti delle famiglie in altre
località e le assenze prolungate dei bambini.
ATTIVITA’ DI
APPRENDERE
LABORATORIO
PER
SOSTENERE
LA
MOTIVAZIONE
AD
Ho evidenziato, tra gli obiettivi generali, il sostegno alla motivazione (in quanto fondamentale per
il raggiungimento di tutti gli altri obiettivi) favorito senz’altro dalle attività di laboratorio.
In questo trovo ci sia un intreccio importante con il progetto RSC che modula gli interventi
attraverso attività di laboratorio
In particolare segnalo il lavoro svolto dal volontario G. Cavinato alla scuola “Baracca” con I
bambini di 4° e 5°, un intreccio tra laboratorio teatrale e lettura, che prevedeva la manipolazione di
materiali per costruire ciò che serviva alla drammatizzazione di testi letti e analizzati insieme ai
bambini.
La produzione finale, cioè la rappresentazione teatrale, ha coinvolto anche gli altri alunni delle
classi di appartenenza riuscendo così nell’intento di condividere delle esperienze per una maggior
integrazione all’interno del gruppo classe .
Il laboratorio per i bambini più piccoli , che ho attuato alla scuola “Virgilio” era costituito da
semplici costruzioni /giochi con carta cartoncino e la manipolazione di plastilina colorata, Questo
piccolo laboratorio, portato avanti ad ogni incontro sia individualmente che in piccolo gruppo e
atteso dai bambini con interesse, ha facilitato il riconoscimento e la memorizzazione delle lettere
dell’alfabeto e accompagnato le prime fasi dell’apprendimento di lettura/scrittura.
OSSERVAZIONI RIGUARDANTI GLI ALUNNI SEGUITI DALLA FONDAZIONE E
COINVOLTI NEL PROGETTO RSC
J.T., di classe 3° : Il bambino ha frequentato regolarmente nel primo quadrimestre durante il quale
ci sono stati progressi per quanto riguarda la motivazione e l’apprendimento delle abilità di base,
buona l’integrazione all’interno del gruppo-classe
M. H., di classe 1°: negli interventi da Febbraio a Maggio il lavoro relativo allo sviluppo della
motricità fine e la stimolazione dell’interesse per l’apprendimento ha dato pochi risultati a causa
della frequenza scolastica molto saltuaria.
OSSERVAZIONI SULLA FREQUENZA SCOLASTICA
Un altro intreccio con il progetto RSC, strettamente collegato alla motivazione all’apprendere, è
sicuramente l’importanza di una frequenza scolastica regolare.
Si è visto chiaramente, anche da parte dei volontari della fondazione disponibili ad incontrare i
bambini settimanalmente, che solo se c’è continuità e regolarità nella frequenza scolastica è
possibile consolidare le acquisizioni, progredire significativamente nell’apprendimento, vivere
positivamente le esperienze del gruppo-classe.
Penso che un maggior spazio per gli interventi presso gli insediamenti abitativi, cosa che è già
prevista e attuata nel progetto, possa nel tempo sensibilizzare le famiglie sull’importanza
dell’istruzione scolastica per i propri figli e coinvolgere le stesse per quanto possibile nella vita
della scuola e del territorio.
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4. IN CLASSE
4.1 classe 2° A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
"Il lavoro è come una danza"
a cura di Lucia Cerino
Secondo anno d'attività, da momento di conoscenza e inclusione, classe prima, a momento di
interazione partecipata, classe seconda.
Ancora una volta ci siamo messi alla prova ,insegnanti ,operatore e soprattutto alunni,senza copioni
prestabiliti ma con la voglia di fare scuola in un modo attivo e concreto .
Il pretesto è stato parlare ,leggere ,raccontare favole e storie per portare ognuno a creare il proprio
personaggio fantastico che interagisca con gli altri personaggi in un modo e in un contesto
totalmente voluto dal singolo alunno inizialmente e che poi diventerà gruppo di due fino ad arrivare
ad esprimersi in un gruppo di quattro o cinque
bambini.
Si sono attivate così tutte le modalità di ascolto e proposta, di scelta e di verifica,iperboli
fantastiche che partono da ciò che piace ,che spaventa ,che diverte ,
che sorprende ognuno per legarsi con altre iperbole fantastiche e creare un unico testo da
interpretare ai compagni travestendosi o impersonando i burattini che ci accompagnano dallo scorso
anno quando impersonavano le lettere dell'alfabeto per insegnarci a leggere e a scrivere .
Perché paragonare tutto ad una danza ...
Le fluidità con la quale il lavoro si è svolto,il ritmo sempre sostenuto di ogni laboratorio,che
portava novità nella giornata,
il divertimento ,il dispiacere per la durata ,due ore,sempre troppo brevi..."Ma come finiamo sul più
bello!....e il nostro gruppo non ha nemmeno raccontato la storia....!" Difficile sentire queste
lamentele in generale in una classe!
L'armonia che si è creata nei gruppi che hanno imparato ad essere attenti a capire le esigenze ,a
sopportare a volte ,a manifestare i propri pensieri,a scegliere per il bene della storia la soluzione
migliore,quindi riconoscere nel fine l'obbiettivo da raggiungere come gruppo e non la singola
affermazione del solo.
Il divertimento nel muoversi nello spazio scuola inteso come aula senza rigidità di posto ma spazio
che si adatta al gruppo, che si fa teatro nel momento di rappresentazione ,che si fa laboratorio
quando devo costruire, l 'uso dell'atrio se si ha bisogno di spazi maggiori per esporre il totem della
classe,per far raccontare ai burattini,l'aula di musica quando si balla veramente per legarci anche
con il movimento libero in un attività bella di per sé e che esprime noi stessi senza temere giudizi
Ma questo progetto permette a noi insegnanti di risvegliare la voglia di fare qualcosa di diverso e
soprattutto di lasciar fare qualcosa di personale ai propri alunni.
Durante quest'anno anche i genitori hanno avuto modo di capire meglio le finalità "alte"che questo
progetto persegue ,integrare e includere non sono parole che vestono la particolarità di alcuni,ma
sono obiettivi fondamentali da raggiungere per ognuno di noi ,per stare bene in classe,in
famiglia ,nella società .
Dai sorrisi che accompagnano sempre genitori e alunni quando vengono a scuola per confrontarsi
con noi insegnanti....istituzione...penso di essere sulla strada giusta per condividere un progetto di
crescita personale e non solo di mera istruzione.
Devo perciò ringraziare quest'opportunità che ho avuto di far parte del Progetto Rom Sinti e
Caminanti,perché ha risvegliato in me la voglia di divertirmi insieme ai miei alunni e di crescere
con tutti loro.
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4.2 classe 3°B, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
"5 storie strampalate"
a cura di Donatella De Cal e Daniele Zuccato
“5 storie strampalte” è il prodotto finale del laboratorio condotto durante l’anno scolastico 20142015 dalla classe 3° B della Primaria Virgilio, nell’ambito del progetto nazionale per l’inclusione
dei bambini “Rom Sinti e Caminanti”, sotto la guida degli insegnanti di classe e con il supporto di
una educatrice coinvolta nel progetto.
Tale progetto si propone l’obiettivo di favorire l’inclusione e l’integrazione di tutti i bambini
all’interno della classe e prevede delle attività da svolgere in gruppo all’insegna del metodo
dell’apprendimento cooperativo promuovendo lo scambio e l’aiuto reciproco tra i compagni.
L’argomento scelto come tema di lavoro è la fiaba.
Descrizione delle attività
Si è cominciato con una discussione generale in cui i bambini hanno elencato tutte le fiabe popolari
da loro conosciute e tra tutte, con un sondaggio generale, la preferita è risultata essere: “Il gatto con
gli stivali”.
Si è proceduto quindi alla lettura del testo originale della fiaba. Si è fatto un confronto con altre
versioni della stessa, lette successivamente.
Si sono lette molte altre fiabe e, attraverso riflessioni e scambi di idee, si è giunti ad individuare gli
elementi generali che caratterizzano la struttura della fiaba (la situazione iniziale, l’incontro con le
difficoltà e il loro superamento, il lieto fine, la morale, ecc.) e, in particolare, la presenza costante di
un personaggio protagonista, del suo antagonista, di un aiutante, di svariati oggetti magici, di tempi
e luoghi quasi sempre non ben definiti.
Sulla base di queste osservazioni si sono creati sei mazzi di carte, ognuno di colore diverso, con le
immagini di alcuni degli elementi sopra indicati
(cfr. l’immagine in copertina che raffigura le carte create. Ad esempio: per il mazzo degli oggetti
magici si è disegnata la carta della bacchetta, della pozione, della sfera di cristallo, dello specchio,
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ecc.).
Tutto ciò per arrivare allo scopo finale del laboratorio e al suo aspetto più creativo: cioè
l’invenzione, da parte dei bambini, di nuove fiabe!
Si sono formati 5 gruppi, ciascuno dei quali ha “pescato” una carta per mazzo, così da ottenere, alla
fine, 6 carte in tutto.
Con queste carte, ogni gruppo ha inventato una fiaba.
Non è stato un lavoro facile perché in molti casi le carte “scelte” non avevano nulla in comune e
c’era il rischio che le storie risultassero senza senso, prive di quella coerenza narrativa che invece
all’inizio ci si era prefissati.
Dopo varie “rivisitazioni”, anche sotto la guida degli insegnanti e dell’educatrice, si è giunti alle
stesure finali. Ogni gruppo ha letto agli altri la propria fiaba, drammatizzandone una parte,
interpretando i personaggi con l’uso di parrucche, ecc.
Si è passati poi alla seconda fase del lavoro, cioè all’illustrazione.
I bambini hanno diviso in sequenze le varie storie, rappresentandole con i relativi disegni. Anche in
questo caso il lavoro ha richiesto parecchio impegno: bisognava fare attenzione che i vari
personaggi o le ambientazioni non presentassero incongruenze tra un disegno e l’altro (capelli,
abiti, sfondi e paesaggi dovevano avere le stesse caratteristiche e gli stessi colori…)
Si è trattato di un vero lavoro d’équipe, dove ogni singolo bambino ha dovuto concordare i vari
particolari con gli altri e attenersi alle regole stabilite.
A mano a mano, poi, che il lavoro procedeva, questo si estendeva dal singolo gruppo a tutto il resto
della classe, diventando completamente collettivo: i disegni non conclusi venivano portati a termine
da chiunque avesse invece già finito i propri.
In questo modo ognuno si è sentito partecipe e responsabile della buona riuscita di tutte le fiabe!
La terza e ultima fase è consistita nella registrazione vocale delle varie fiabe da parte dei bambini.
Il tutto è stato infine montato in forma digitale, a costituire un DVD, allegato al presente libretto.
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4.3 classe 1°A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
"Il cane Tino"
a cura di Luana Mura
Abbiamo cominciato i laboratori con Laura, l'operatrice campo e scuola, a novembre 2014 e
abbiamo proseguito fino a maggio 2015.
Il cane Tino introduceva gli argomenti ai bambini inviando settimanalmente delle lettere, attese dai
alunni con curiosità. Uno sfondo integratore, questo, che ha aumentato il coinvolgimento degli
alunni verso le attività.
Il laboratorio riprendeva gli argomenti proposti in classe durante le lezioni di italiano e si basavano
sul cooperative learning. I bambini venivano divisi in gruppi eterogenei di tre o quattro e insieme
svolgevano le attività di scrittura, lettura e di composizione di frasi.
Un laboratorio particolarmente coinvolgente è stato quello in cui i bambini dovevano imparare a
fidarsi l'uno dell'altro: un alunno veniva bendato e un compagno doveva guidarlo attraverso un
percorso “ad ostacoli” fino ad arrivare al termine del percorso.
Durante i laboratori si è lavorato sul rispetto delle regole, rispetto del proprio turno per parlare e si è
lavorato sulle emozioni.
Al termine del progetto, nell'ultima lezione, i bambini hanno creato un libro di grandi dimensioni
nel quale hanno inserito, pagina per pagina, i lavori svolti durante l'anno scolastico con Laura.
Il lavoro finale è stato presentato in occasione del pic nic multietnico in data 8 giugno nell'Aula
magna della scuola Gramsci.
Importante è stata anche l'attività extrascolastica svolta dagli operatori Laura e Alessandro nel
pomeriggio con tre alunni della classe I A. Tali alunni necessitano, infatti, di un aiuto costante per
lo svolgimento dei compiti nonché di un aiuto per la gestione e organizzazione del lavoro e dei
materiali. I risultati sono stati evidenti soprattutto per un alunno. Auspicabile sarebbe perciò che gli
operatori potessero affiancare gli alunni anche durante il periodo estivo.
Ritengo che il bilancio sia positivo e che il progetto abbia contribuito allo sviluppo delle abilità
sociali degli alunni e abbia stimolato la loro fantasia e interesse, elementi fondamentali per
l'apprendimento.
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4.4 classe 2°A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
"Come tante gocce d'acqua...."
a cura di Anna Barbiero
L’acqua ha una grande importanza biologica ed è legata alla storia
dell’evoluzione dell’uomo e di ogni forma di vita. Essendo un elemento di uso
quotidiano che affascina il bambino, si presta a realizzare e a sviluppare
una serie di attività che toccano tutti i campi di esperienza.
Sulla scia dell'esperienza vissuta l'anno scorso con Marco e Laura, senza nessuna esitazione,
abbiamo deciso di proseguire anche quest'anno il percorso intrapreso.
Con Laura è stato facile coinvolgere i bambini e catturare la loro attenzione quando tutti assieme
abbiamo deciso di trasformarci in tante goccioline che unite potevano dar luogo ad una serie di
esperimenti assai curiosi.
L’acqua, infatti, è un elemento con cui i bambini amano molto giocare, ma non sempre sanno che è
essenziale per la vita e spesso ignorano le sue proprietà e le sue caratteristiche.
Partendo da attività di esplorazione, scoperta e manipolazione è stato
possibile guidare i bambini nella conoscenza sul mondo della realtà naturale ed artificiale. Mediante
l’osservazione delle diverse situazioni e fenomeni, i bambini hanno scoperto e hanno imparato a
cogliere alcune importanti proprietà dell’acqua, padroneggiando le sue caratteristiche.
Lo sviluppo di un percorso di attività esplorative e sperimentali ha reso
possibile potenziare nei bambini la curiosità, la spinta ad esplorare e capire, il gusto della scoperta,
la motivazione a lavorare insieme contribuendo, così, alla formazione di atteggiamenti ed abilità di
tipo scientifico.
Porre i bambini in una situazione attiva, nella quale si chiede loro non solo di ascoltare ed eseguire,
ma soprattutto di fare, interrogare, ricercare, provare, costruire è necessario perchè si generi non
solo motivazione ma anche apprendimento: in questo modo il nuovo sapere non si deposita, ma
viene rielaborato in modo significativo ed entra a far parte dell'esperienza e delle competenze
dell'alunno.
Organizzare la classe come comunità di vita e ricerca, nella quale si coopera insieme per il
raggiungimento di obiettivi comuni, per realizzare ciò che si è progettato assieme è la componente
sociale dell'apprendimento, questo non significa che tutto debba o possa dar luogo ad attività
cooperative, ma il percepirsi come comunità può fornire agli alunni più deboli motivazioni
importanti per impegnarsi a superare difficoltà e paure, e agli alunni più capaci lo stimolo per
mettere a disposizione degli altri le proprie competenze facendole crescere.
Come tante gocce che unite assieme possono trasformarsi in una grande nuvola, una gigantesca
onda, un' enorme cascata, così i bambini si sono sentiti, sostenuti sempre da atteggiamenti di
fiducia, di accoglienza e di incoraggiamento.
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4.5 classe 4°A, Primaria Fucini, I.C. Alpi
"I gengers, gli eroi sconosciuti"
a cura di Monica Batelli e Gabriella Biscaro
In collaborazione con le politiche cittadine per l'infanzia del Comune di Venezia, nelle persone di
Beatrice Ferraboschi e Rosanna Rosada, e alla presenza dell'educatore Alessandro Zanetti, la classe
ha avviato un'attività di supporto a un bambino sinti allo scopo di contenere la dispersione
scolastica, elevare il livello di socializzazione e di affiancarlo nei compiti a casa.
L'adesione al progetto è avvenuta coerentemente con quell'idea di pedagogia interculturale che
veicola occasioni di rivedere e reinterpretare curricoli formativi, stili comunicativi e corsie di
valorizzazione e aiuto (D.Demetrio e G.Favaro, 1992). Il percorso, per gli insegnanti, ha significato
una ulteriore riflessione e indagine delle problematiche esistenti, con un orientamento all'analisi di
ciò che doveva essere modificato e migliorato, al fine di realizzare una condivisione fruttuosa con
gli operatori in vista della ricerca di possibili soluzioni. Esso si è poi sviluppato con una serie di
proposte rivolte alla classe intera, in quanto una vera inclusione non può interessare solo una parte
del gruppo ma tutti devono sentirsi coinvolti intorno a degli obiettivi comuni. Il senso di
appartenenza è il primo passo che spinge il bambino a “non mancare”, perché egli stesso è parte
integrante della classe e sente che il suo contributo è importante al pari di tutti gli altri.
L'intero gruppo classe ha inizialmente accolto con curiosità e apertura la proposta di lavoro e in
itinere ha risposto in modo costruttivo e appassionato.
Sul tema del Mito si sono sviluppate attività di gruppo volte a migliorare la competenza linguistica,
anche di tipo operativo che potessero veicolare motivazione a comunicare, scambiarsi informazioni
e negoziare, con l'utilizzo di linguaggi alternativi quali il disegno, il teatro, il cinema e la musica.
L'ascolto e la rappresentazione di miti cosmogonici o teogonici e leggende provenienti da culture
diverse, proposto anche in funzione socializzante, ha permesso la ricerca di corrispondenze e di
differenze tra diverse civiltà.
Il mito e la leggenda è un racconto che identifica le radici di un popolo, di una cultura, è una
narrazione che rafforza il senso di appartenenza del gruppo e che attraverso i suoi personaggi
identifica i valori, i ruoli, i punti di forza e i punti di debolezza di una umanità su cui i bambini si
sono confrontati. Il percorso ci ha condotto quasi per inerzia alla realizzazione del mito di classe,
cioè alla elaborazione di una canzone e del relativo video che raccontasse le gesta di eroi inventati
dai bambini nei rispettivi gruppi, con i testi scritti da loro e la musica da Alessandro Zanetti,
l'educatore che ci ha accompagnato per tutto il percorso.
E' stata una esperienza fortemente condivisa dagli alunni, dal team dei docenti e degli operatori, con
una progettazione ben definita ma anche aperta a frequenti aggiustamenti in itinere in seguito a una
buona lettura delle dinamiche che si andavano a sviluppare nella classe.
Gli esiti di questa esperienza ci hanno portati a prolungare il percorso educativo anche nella futura
classe quinta.
In Biblioteca di Favaro, drammatizzazione di una leggenda popolare sul fiume Po.
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In Biblioteca di Favaro, prove di teatro.In classe, è l'inizio del percorso sul Mito, attraverso la
lettura di un brano del libro di testo.
Prima del lavoro di gruppo. Ale introduce il lavoro con un Mito classico, la storia di Perseo.
La canzone si trova su You Tube, digitando il titolo: “I Gengers, gli eroi sconosciuti”
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4.6 classi 2°B, 2°E, Secondaria Volpi, I.C. Alpi
“Musicainsieme”
a cura di Alice Farnea
L'opportunità di poter partecipare al Progetto Nazionale RSC mi ha permesso di promuovere e
favorire lo spirito di collaborazione tra gli studenti e tra questi e l’insegnante, di educarne le
capacità di ascolto e di dialogo, di creare un ambiente educativo e di studio positivo e stimolante.
L'obiettivo che mi sono prefissata di far fare ai miei studenti è stata quella di comporre e creare dei
propri brani musicali, composti da una o più melodie e da un accompagnamento ritmico utilizzando
il materiale a disposizione e le capacità dei ragazzi. Gli studenti sono stati divisi in quattro gruppi
da 5/6 studenti e ad ogni gruppo è stata data la possibilità di scegliere gli strumenti da utilizzare (la
voce, gli xilofoni, i metallofoni, il pianoforte, la chitarra, tamburi, maracas, legnetti, bastone della
pioggia). Il laboratorio si è svolto in sei incontri da un'ora l'uno, nell'aula di musica, con la presenza
dell'insegnante e di un collaboratore esterno.
I sei incontri sono stati così strutturati:
1 giornata formazione dei gruppi e spiegazione della consegna
2 giornata ascolto delle melodie composte dai ragazzi,selezione di quest'ultime, selezione degli
esecutori
3 giornata composizione di parti ritmiche per l'accompagnamento delle melodie, selezione degli
esecutori
4 giornata assembramento delle melodie e dei ritmi
5 giornata composizione di una struttura esecutiva e prove
6 giornata esecuzione dei brani composti
La metodologia didattica adottata dal progetto è stata quella del cooperative learning perché
l'obiettivo di questa metodologia è lo sviluppo di abilità relazionali e l’uso di competenze sociali da
parte degli allievi, particolarmente funzionali alla formazione di un reale gruppo di apprendimento,
caratterizzato da tempi, condizioni e consuetudini di lavoro comuni, in cui sia resa possibile la
creazione di relazioni orizzontali e collaborative. Inoltre la scelta del cooperative learning è
sembrata particolarmente idonea allo spazio di “laboratorio” al quale era stata destinata.
Tuttavia l’applicazione del metodo non è stato facile. Per condurre un lavoro con il metodo del
cooperative learning è necessaria una preparazione specifica diretta, possedere delle competenze
per educare al lavoro di gruppo. Il passaggio dalla gestione della classe secondo lo stile tradizionale
a quello ispirato ad uno stile cooperativo è lungo e complesso, poiché l’insegnante deve imparare a
rendere produttivo il lavoro dei gruppi e ciò richiede anni di pratica prima che le esperienze
diventino ogni volta più ricche. Inoltre il lavoro è molto impegnativo perché bisogna imparare a
collocare gli studenti in gruppi, a strutturare gli obiettivi, a intervenire per insegnare direttamente o
migliorare le abilità collaborative, a sperimentare diverse maniere di sistemare i contenuti e i
materiali del curricolo per stimolare l’interdipendenza positiva, a incoraggiare discussioni
all’interno dei gruppi, a promuovere l’integrazione delle attività collaborative con quelle di tipo
competitivo e/o individualistico, ad esaminare i risultati per comprendere che cosa è successo al
livello di gruppo o di singoli membri.
Per ultimo ma non meno importante la realtà, a differenza della teoria, introduce molte variabili non
facilmente controllabili come per esempio le assenze scolastiche, tempi non sempre continuativi,
rifiuto di lavorare da parte di alcuni ragazzi.
Alcuni aspetti positivi del cooperative learning sono stati sicuramente quelli di migliorare i risultati
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scolastici e la qualità dell’educazione degli studenti modificando il modo di insegnare e di condurre
la classe oltre all’inserimento degli studenti provenienti da differenti contesti culturali dove il
modo tradizionale di fare scuola, generalmente fondato su modalità di apprendimento di tipo
competitivo o individualistico, non sembra certo il più appropriato per risolvere questi problemi.
Bisogna anche ricordare che spesso si pensa che gli studenti sappiano come agire in gruppo invece
è molto più corretto affermare ed accettare che gli studenti non sappiano come comportarsi e come
organizzare il lavoro. Di conseguenza diventa necessario predisporre un piano educativo per
l’acquisizione di competenze sociali che determineranno un incremento nel rendimento e nella
motivazione.
L’esperienza di cooperative learning effettuata in classe si è rivelata, sia per l’insegnante, che per
gli allievi, assai proficua e ricca di stimoli. La maggior parte degli studenti ha riscontrato un
miglioramento nel proprio apprendimento, anche se, inizialmente, alcuni manifestavano qualche
riserva o sfiducia verso questo tipo di approccio.
Durante lo svolgimento del lavoro, si sono raccolte le difficoltà incontrate dagli allievi, che,
laddove richiesto, sono stati aiutati a risolverle. Non è stato, invece, necessario giungere a
ricomposizioni dei gruppi stessi, né si sono verificati casi in cui uno o più allievi siano stati costretti
a svolgere gran parte del lavoro, senza ottenere la collaborazione degli altri membri.
Si è potuta così constatare la creazione di un’interdipendenza positiva all’interno dei gruppi, in cui
si sono spesso originate dinamiche relazionali nuove e più profonde tra i diversi componenti.
Alcuni obiettivi riguardanti le abilità sociali che io e l’operatore ci eravamo prefissati di
raggiungere come imparare a dare spazio agli altri, saper ascoltare, “osservare” e aspettare,
condividere il materiale, chiedere aiuto, occupare cooperativamente lo stesso spazio, integrare varie
idee in una sola, negoziare, ascoltare, contribuire con le idee, seguire le istruzioni, portare a
termine, sono stati pienamente raggiunti. Altri obiettivi come dare il turno di parola, essere
responsabile, essere autocontrollati, non prendersela per qualche critica, risolvere i conflitti,
riconoscere il valore degli altri, utilizzare bene i materiali, accettare le differenze sono stati solo
parzialmente raggiunti mentre gli obiettivi come parlare sottovoce, muoversi senza rumore verso i
gruppi, esprimere sostegno e non disprezzare, essere gentile, incoraggiare, controllare l'ira,
includere tutti e stare con il gruppo non sono stati raggiunti sia per mancanza di tempo, sia per
mancanza di luoghi adatti e infine per mancanza di esperienza.
Questo non vuol dire che il lavoro sia stato inutile, significa che la classe ha fatto uno scalino in
più, che ha capito e interiorizzato alcune abilità sociali mentre altre sono ancora da capire, che la
strada è lunga e che c'è sicuramente ancora molto lavoro da fare ma i risultati ottenuti da questi
laboratori hanno dimostrato che con il cooperative learning le capacità e le competenze migliorano
e i lavori sono più proficui, i ragazzi si divertono di più e possono esprimere al meglio le loro
capacità individuali oppure scoprire capacità che non sapevano di avere, possono scoprire di essere
simili ad altre persone che pensavano fossero diverse e soprattutto possono sperimentare le
competenze di cooperazione che tanto potranno servire nel loro futuro. I risultati delle
autovalutazioni sono stati sorprendenti perché hanno rispecchiato, da parte di ognuno, di essere
consapevoli del loro comportamento e delle loro capacità di rapportarsi con l'altro. E' molto
importante confrontare e confrontarsi con la propria immagine, un'immagine che può essere alterata
da noi stessi, che può essere travisata, modificata, migliorata o peggiorata. Quando abbiamo
discusso dei risultati raggiunti, delle esperienze vissute nel laboratorio e del proprio comportamento
alcuni ragazzi hanno ammesso che non sempre si erano resi conto di come erano e di come si
ponevano nel gruppo, che non avevano avuto intenzioni precise dopo un determinato
comportamento o che non avevano mai pensato alle conseguenze di una certa azione. Il prendere
coscienza di come si è all'interno di un gruppo sociale lo considero già un traguardo fondamentale.
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4.7 classi 1°C, 2°B, Secondaria Volpi, I.C. Alpi
“Vivere RSC”
a cura di Giorgia Formentin
ESPRIMERE
sensazioni, capacità, emozioni
CONDIVIDERE
immagini, esperienze, fantasie
SCEGLIERE
attività, materiali, strumenti
PROPORRE
temi, luoghi, discorsi
APPREZZARE
il diverso, il simile
COSTRUIRE
gruppi, ricordi, progetti
quasi in un flusso di pensieri inserisco questi spunti che mi sono stati suggeriti dal vivere e vedere
all’opera i miei allievi delle 2 classi che hanno partecipato al progetto RSC.
Sono stati laboratori diversi tra loro che hanno messo in gioco abilità, esperienze e finalità
completamente diverse ma accomunate da un unico grande insegnamento
PARTECIPARE
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4.8 classi 1°C, 2°B, 2°E, Secondaria Volpi
“Il cittadino”
a cura di Martina Bettio e Katia Torriani
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4.9 " A partire dal progetto"
a cura di Davide Carnemolla
a partire dal progetto, la creazione del laboratorio
rispetto all'anno scorso si è deciso di impostare i laboratori del “primo ciclo” (i primi 8 incontri) –
quelli di geografia sull'Europa e quello di italiano sulla fiaba - partendo dall'esigenza e dalla volontà
di “avvicinarli” al percorso ed agli argomenti didattici affrontati dalle insegnanti che hanno
partecipato ai laboratori stessi, il tutto ovviamente facendo tesoro dell'ottima esperienza dell'anno
precedente e mantenendo sempre la componente creativa e cooperativa che ha contraddistinto i
laboratori dell'anno precedente; i laboratori del “secondo ciclo” (i secondi 8 incontri) di arte si sono
svolti nel caso di due classi in continuità tematica con i precedenti del “primo ciclo” rappresentando
un ulteriore passo in avanti verso lo sviluppo di abilità creative e cooperative; il terzo laboratorio ha
assunto nel suo “secondo ciclo” un carattere ancora più “sperimentale” dal momento che ha
coinvolto le insegnanti di arte e musica che hanno fatto realizzare ai loro alunni rispettivamente una
performance di “teatro delle ombre” e dei brani musicali autoprodotti e autoarrangiati.
L'ideazione, la programmazione e lo svolgimento dei laboratori si è svolta attraverso un costante e
ricco lavoro di confronto e condivisione tra insegnanti e operatori che ha permesso di valorizzare le
rispettive competenze e di fare ulteriore esperienza nell'ambito del cooperative learning
gli emergenti dei singoli bimbi
le attività hanno visto un'ottima partecipazione di tutti gli alunni e le alunne e una valorizzazione
costante delle competenze e delle peculiarità di ognuno/a, a prescindere dai risultati scolastici e
dalle difficoltà cognitive e/o comportamentali di ciascuno/a. Questo ha creato un clima positivo e
non giudicante che è servito nel corso dei laboratori e che penso resterà in queste classi come
esperienza e patrimonio anche in futuro.
I minori RSC hanno partecipato con interesse nonostante per alcuni di loro il numero elevato di
assenze scolastiche (e quindi di assenze nel corso dei laboratori) ha creato alcune difficoltà.
Nella 2B, D. e M. hanno partecipato volentieri alle attività e in particolare alla produzione di alcuni
video superando con successo resistenze e timidezze iniziali e comprendendo l'importanza del loro
contributo e del laboratorio in generale. Maggiore difficoltà si è avuta invece nei momenti più
teorici e “scolastici” (raccolta di informazioni, sintesi di testi, ecc...) che in ogni caso sono stati
pochi rispetto agli altri momenti.
Nella 2E, E. e O. hanno partecipato attivamente ai laboratori pur con altalenanti livelli di attenzione
e di cooperazione con i compagni. In particolare O., così come nelle ore extra-laboratoriali, ha
messo in atto in diversi casi comportamenti atti a disturbare e/o sminuire il lavoro laboratoriale
tendendo al tempo stesso a coalizzarsi con altri elementi della classe a lui vicini ra cui lo stesso E.
In ogni caso il loro coinvolgimento è stato crescente grazie anche a degli “aggiustamenti” in corsa
che hanno permesso sia di valorizzare le competenze dei due minori sia di fare con loro stessi un
lavoro di riflessione e di ascolto concernente l'apprendimento cooperativo.
gli emergenti del gruppo classe
posso dire che in generale le attività di cooperative learning svolte nelle tre classi hanno raggiunto i
loro obiettivi: gli alunni e le alunne hanno sviluppato la capacità di “adattarsi” a nuovi compagni di
gruppo (superando anche le divisioni di genere che restano ancora forti a questa età), mettersi in
discussione all'interno dei gruppi stessi e quindi mettere anche in discussione la prospettiva
incentrata sulla competitività e sull'individualismo che troppo spesso permea la vita scolastica ed
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extrascolastica dei ragazzi, sviluppare la capacità di ascolto e la capacità di ripensare alcune attività
e lavori alla luce di discussioni di gruppo, osservare i lavori degli altri gruppi con interesse e
curiosità, ecc...
Imoltre è stato di estrema importanza il fatto che tutte e tutti abbiano trovato il loro spazio
all'interno dei laboratori e che le “debolezze” di alcuni alunni (non solo tra i minori RSC) abbiano
rappresentato, all'interno del cooperative learning, dei punti di forza data la complemetarietà delle
competenze e dei caratteri. In alcune situazioni addirittura dei gruppi teoricamente più “bravi” (cioè
composti da alunni con voti scolastici e capacità cognitive migliori) avevano maggiori difficoltà a
lavorare e a raggiungere gli obiettivi prefissati rispetto a gruppi con alunni con maggiori difficoltà
cognitive che però riuscivano a trovare la loro “dimensione” completandosi a vicenda.
Altro aspetto rilevante è stata la capacità, da parte di tutte e tre le classi, di dare il meglio e
sviluppare le varie abilità sociali nei momenti “decisivi”, vale a dire quando occorreva preparare gli
elaborati e gli spettacoli finali e quindi mettere in pratica al massimo le capacità cooperative.
Questo aspetto ha evidenziato, tra le altre cose, un reale interesse delle classi a lavorare bene e a
farlo insieme.
i frutti dell’incontro tra operatori e insegnanti
il numero degli insegnanti coinvolti è stato il doppio rispetto all'anno precedente (da 3 a 6) e questo
rappresenta fià di per sé un elemento positivo nell'ottica di rendere il cooperative learning un
metodo proprio di una scuola e non solo di una classe o un/una insegnante.
Il rapporto con gli operatori è stato positivo e arricchente da entrambe le parti. Nonostante i molti
impegni e incombenze delle insegnanti, la programmazione e lo svolgimento dei laboratori si sono
svolti con buoni risultati che sono stati confermati sia da quanto presentato dalle tre classi nel corso
dell'evento finale che dalle osservazioni realizzate in classe durante i laboratori da operatori e
insegnanti.
Positivo è stato anche il “passaggio di consegne” tra le docenti del primo ciclo di laboratori e quelle
del secondo ciclo in un'ottica di costante collaborazione e condivisione tanto dei contenuti del
laboratori quanto delle dinamiche socio-relazionali interne alle classi.
brevi pensieri, osservazioni, auspici e consigli
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coinvolgere sempre più insegnanti senza sovraccaricare quelle già molto attive
rendere i laboratori parte integrante del programma scolastico parlando di questo con gli insegnanti
riproporre lo spettacolo finale e la produzione di prodotti finali (video, opuscoli, ecc...)
avere ulteriori momenti di confronto e feedback tra operatori e insegnanti
continuare ad andare incontro alle esigenze e alle richieste delle insegnanti e della scuola
soprattutto per quanto riguarda la stesura del calendario delle attività laboratoriali e delle altre
attività
“flash” sui minori RSC durante i laboratori: O. che fa da solo e bene la presentazione in power
point del suo gruppo (gli altri quel giorno erano assenti); O. che dà il meglio di sé quando è più
importante (preparazione dello spettacolo e spettacolo finale); E. che svolge con bravura e
attenzione il suo ruolo di “cameraman” durante le riprese dello spettacolo di teatro delle ombre; D.
e M. che partecipano ai video nel cortile della scuola con bravura e allegria.
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4.10 "Ti facevo più lontano e invece… Tra tane e canzoni: i luoghi che avvicinano"
a cura di Alessandro Zanetti
Per la prima volta quest’anno mi sono affacciato al lavoro nelle scuole, all’interno delle classi e a
contatto con alunni e famiglie sinti, rom e caminanti e non, con insegnanti e istituzioni, da
‘operatore campo-scuola’ e non più da volontario.
È stata un’esperienza stimolante e produttiva sotto molti punti di vista.
Per quanto riguarda i laboratori realizzati con le classi ho avuto modo di lavorare all’interno di una
prima elementare (1° A scuola “Virgilio”) e poi con una quarta elementare (4°A scuola “Fucini”);
in entrambi i casi il bilancio finale si è rivelato nel complesso positivo.
Con la 1°A della Virgilio si è avviato un percorso finalizzato allo sviluppo delle abilità di base
concernenti prevalentemente le due discipline di inglese e educazione motoria.
La classe presentava caratteristiche di eterogeneità rispetto a provenienza degli alunni, cultura di
appartenenza, composizione del nucleo familiare, stili di comportamento e competenze
comunicative.
Si è cercato di lavorare molto sul riconoscimento delle differenze nel rispetto reciproco attraverso
attività di stampo cooperativo che portassero ognuno a riflettere sul contributo dell’altro e sulla sua
funzionalità nel lavoro d’insieme.
Il percorso tematico ha fatto riferimento fin dall’inizio a quello delineato dal libro di testo adottato
dalla classe, alle avventure di Bud e Holly nella foresta di Treetops, alla scoperta dei colori della
natura, delle stagioni,degli animali e delle loro famiglie.
È stato bello vedere i bambini cercarsi, tendersi la mano durante i giochi in palestra, aspettare il
compagno o la compagna nelle attività proposte, cosa altrimenti difficile; la classe vedeva come
centrale il problema della scarsa disponibilità verso l’altro della maggior parte degli alunni, dovuto
probabilmente in parte all’età e agli stili di pensiero tipici di questa fase di sviluppo, in parte ad
alcune disposizioni personali inclini all’esclusione e al ritiro sociale.
Penso ad esempio alla costruzione delle tane degli animali in palestra, con l’utilizzo di materassi e
cuscini, dove, anche se con qualche difficoltà, i bambini poco a poco si organizzavano fra di loro in
piccoli gruppi e collaborando, facendosi posto a vicenda all’interno della propria “casetta” fino a
capienza massima, si davano un’identità e una comune appartenenza, un nome.
Oppure alle coppie che dopo aver inventato insieme una storia spontaneamente si offrivano per
rappresentarla davanti a tutta la classe, con tanto di parole in inglese abbozzate qua e là, ma
soprattutto al supporto reciproco quando uno dei due entrava in difficoltà.
Resta più lavoro da fare sul versante del coinvolgimento di quegli alunni che si dimostrano
particolarmente assenti nel gruppo classe, e non parlo solo di assenza fisica che rimane comunque
un ostacolo importante, mi riferisco a tutte quelle forme di leggera “apatia” (se mi è concesso così
definirla) o indifferenza di alcuni alunni che partecipano appena alle attività e faticano vistosamente
nell’interazione e nella relazione con l’altro, che spesso neanche la dimensione cooperativa è
riuscita a scardinare.
Non molto diverso è stato il lavoro alla Fucini, in questo caso si trattava di una quarta elementare
ma i presupposti erano simili alla 1°A della Virgilio. Anche la 4°A si presentava come una classe
varia e ricca di sfumature. Moltissime le differenze al suo interno legate alla nazionalità, al paese di
origine, all’appartenenza etnico-culturale, agli stili relazionali e alla lingua.
Si è cercato da subito di improntare un percorso che permettesse di lavorare le necessità primarie
del gruppo, ovvero quelle di coesione ed espressione, oltre che di affermazione e riconoscibilità.
Il filo conduttore del laboratorio è stata la tematica del mito e dell’eroe, attorno alla quale si è
potuto viaggiare un bel po’, nella storia, nei luoghi, nelle tradizioni e nella fantasia.
Il prodotto finale è stata una canzone. I bambini, divisi per gruppi hanno inventato il proprio
personaggio "mitico", lo hanno rappresentato graficamente e infine trasformato in una strofa con
rime più o meno baciate. Le varie strofe sono andate a costituire il testo della canzone e
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successivamente è stato elaborato un ritornello corale che raccogliesse il contributo di tutti.
In seguito musicato ed eseguito con l'intera classe, ha dato vita ad un contributo video
(rintracciabile su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=YM9ITTs0UcU), ma soprattutto
ad un gruppo di personaggi inedito, i Gengers, supereroi dotati non solo di una grande forza fisica
ma anche interiore, portatori di buoni sentimenti e coraggiose intenzioni. Molto diversi fra loro ma
accomunati dal desiderio di vicinanza e condivisione. Credo questa canzone racconti molto dei suoi
autori.
L’aspetto più gratificante del lavoro alla Fucini è stato forse il ritorno che c’è stato in termini di
entusiasmo, via via crescente rispetto ai contenuti proposti, dei bambini e gli sforzi compiuti
dall’intero gruppo nel proposito di costruire un prodotto “di classe”. Far convivere le differenze
all’interno di un gruppo è uno degli obiettivi più difficili per chi educa, figuriamoci per chi ne è il
fulcro e vive i conflitti e le divergenze dall’interno, sulla propria pelle. Ecco, credo che i bambini in
questo senso abbiano dato molto.
C’è stata, a tratti, anche una maggiore complicità tra il gruppo dei maschi (maggioritario) e quello
delle femmine, nettamente distinti e distanti fin dall’inizio. Certo, su questo fronte ci sono ancora
margini di miglioramento, come su quello della cooperazione tra tutti e dell’impegno verso
un’azione condivisa e ragionata. Ma tenuto conto della sperimentazione che il progetto ha costituito
quest’anno sia per la scuola che per insegnanti e operatori direi che i risultati possono ritenersi
soddisfacenti.
Fondamentale nell’insegnare la cooperazione è attuarla in prima persona, in classe e possibilmente
anche fuori. Questo può avvenire in modo funzionale e costruttivo se vi sono la volontà e la
motivazione, da un lato, da parte di educatori e insegnanti, ma anche tempi e spazi che consentano
di programmare in maniera attenta e organizzata l’attività. Sarebbe opportuno investire
ulteriormente su questo aspetto per le esperienze future.
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5. A CASA
5.1 Sincerità e fiducia
a cura di Davide Carnemolla
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Le attività presso gli insediamenti abitativi sono state diverse tra di loro vista l'eterogeneità delle
situazioni personali e familiari dei minori RSC e anche di altri fattori quali il luogo di residenza e la
presenza o meno dei minori e delle rispettive famiglie (alcune delle quali per dei periodi si sono
trasferite fuori Venezia).
In generale l'esperienza è stata positiva e queste attività hanno permesso di raggiungere obiettivi
significativi tra i quali i principali sono stati:
creare continuità tra le attività mattutine e quelle pomeridiane incrementando il rapporto di fiducia
con i minori RSC
svolgere attività di tipo ricreativo e didattico sviluppando quindi diverse abilità
creare o sviluppare il rapporto con le famiglie e, nel caso del villaggio Sinti, anche col contesto
socio-abitativo dei minori RSC con la possibilità di raccogliere istanze, richieste, opinioni, ecc... da
parte dei familiari e di altri soggetti vicini ai minori RSC coinvolti nel progetto
Le diverse famiglie avevano atteggiamenti e comportamenti differenti tra loro ma la sensazione
emersa (confermata anche dai fatti) è che quasi tutte abbiano compreso l'importanza del progetto
RSC e delle rispettive attività (mattutine e pomeridiane). Inoltre il rapporto con gli operatori è stato
positivo e incentrato su sincerità e fiducia.
La possibilità di svolgere con alcuni minori RSC le attività pomeridiane in uno spazio esterno
(senza però rinunciare a momenti di incontro e confronto con le famiglie del villaggio stesso) ha
rappresentato un elemento di forza all'interno del progetto poiché ha permesso ai minori RSC di
uscire da uno spazio – quello del villaggio – che a volte diviene per loro troppo “opprimente” e
totalizzante. Il senso di libertà dei minori legato all'utilizzo di questo spazio esterno ha però in
alcuni casi creato situazioni di eccessiva euforia che hanno portato ad uno scarso impegno nelle
attività didattiche svolte. In ogni caso il bilancio di queste attività è positivo anche alla luce della
buona “convivenza” nello stesso spazio di minori di età diverse favorita anche dal frequente
svolgimento di attività ludiche che hanno coinvolto tutti i minori.
Con la famiglia di M. è stato più difficile svolgere le attività in maniera costante a causa di
atteggiamenti a volte poco collaborativi da parte dei genitori del bambino. Ad ogni modo abbiamo
riscontrato da parte di questa famiglia una maggiore disponibilità ad affidare il figlio agli operatori
(hanno ammesso di avere per la prima volta permesso a persone non appartenenti alla famiglia di
portare il figlio in uno spazio esterno al villaggio Sinti) e anche una presenza maggiore in occasione
di incontri con gli assistenti sociali e con personale medico (pediatra).
Con le altre famiglie la collaborazione è stata più costante e la principale criticità è stata l'assenza di
alcuni minori e delle rispettive famiglie sia tra coloro che risiedono solitamente al villaggio (2
famiglie hanno vissuto per 2/3 mesi fuori Venezia) che fuori dal villaggio (una famiglia si è
trasferita definitivamente a Roma a partire dal mese di marzo).
Rispetto alle attività pomeridiane sono emerse alcune criticità riguardo il mancato coinvolgimento
nelle attività pomeridiane di altri minori RSC presenti nel villaggio e amici e/o coetanei di quelli
che erano inclusi nel progetto RSC e con i quali svolgevamo le attività pomeridiane. Pur avendo
spiegato più volte le ragioni di tale scelta, sia i minori che le rispettive famiglie facevano fatica a
capirne le ragioni e insistevano affinchè si "allargasse" il gruppo dei minori coinvolti nelle attività
pomeridiane. Se da un lato queste insistenze hanno confermato l'efficacia delle attività pomeridiane
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(viste dai minori sia come momenti di socializzazione che come occasioni per svolgere i compiti),
dall'altro lato penso occorra fare delle valutazioni in vista della programmazione delle attività per il
prossimo anno.
Si potrebbero trovare delle modalità per “allargare” il target per quanto concerne le attività presso i
contesti abitativi (e le attività pomeridiane in generale) alla luce delle esigenze delle famiglie e dei
minori RSC senza però correre il rischio di creare gruppi troppo numerosi o eterogenei per quanto
riguarda l'età dal momento che abbiamo verificato che con piccoli gruppi si lavora meglio e si
possono dedicare - sia a livello didattico che socio-relazionale - maggiori attenzioni ai minori.
Due possibili proposte (anche compatibili tra loro) potrebbero essere:
- aggiungere una giornata supplementare di attività pomeridiane (con cadenza da definire)
- valutare di volta in volta se è opportuno includere nel gruppo "standard" dei minori RSC coinvolti
nel progetto altri minori tenendo presenti alcuni aspetti (tra cui l'assenza di uno o più minori già
facenti parte del gruppo, le esigenze specifiche di alcuni fratelli e/o sorelle dei minori già coinvolti,
l'ingresso nel gruppo di nuovi minori in "sostituzione" di quelli che per alcuni mesi dell'anno si
trasferiscono in un'altra città e altre esigenze particolari quali ad esempio la richiesta di supporto da
parte dei minori che si apprestano a svolgere gli esami per la licenza media)
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5.2 Un passo verso casa e uno verso il mondo… Sperimentarsi in campi diversi.
a cura di Alessandro Zanetti
Una delle cose che ha dimostrato il lavoro di quest’anno è che l’attività sul campo non per forza
dev’essere sul “campo”. Chiaro che il contesto abitativo dei ragazzi e le ragazze coinvolti nel
Progetto Ministeriale resta un punto di osservazione privilegiato, ed è necessario entrarci dentro in
prima persona per cogliere tutta quella serie di aspetti e dinamiche profondamente incidenti sui
vissuti e le abilità cognitive e sociali dei ragazzi.
Ed è proprio dall’osservazione di queste ultime che quest’anno si è ipotizzato un percorso
alternativo, che partisse dal Villaggio e portasse verso l’esterno.
Il Villaggio Sinti di via del Granoturco a Mestre è una realtà particolare, appare come un’isola non
proprio felice, sicuramente protettiva e rassicurante da un lato, ma altrettanto svilente e demotivante
per chi la abita. Questa almeno è l’impressione che io ho avuto addentrandomi poco alla volta in
questo luogo.
I ragazzi sembrano risentire del clima di sfiducia e rassegnazione che si respira all’interno del
Villaggio, largamente diffuso tra le varie famiglie e non possono fare a meno di portarselo addosso;
è leggibile nei loro volti, nel loro modo di camminare, di atteggiarsi, di pensare, di sentire, di
parlare. Alcuni lo comunicano senza volere, perché preferirebbero mostrare il lato forte e vitale
della loro personalità, altri lo strumentalizzano a tal punto da far proprio il ruolo di vittima e non
temono nel chiedere esplicitamente aiuto. Questa richiesta non di rado si è tradotta in un “portami
fuori” esclamato a gran voce da tanti di loro durante il corso dell’anno.
Ed è proprio quello che, con i miei colleghi Davide e Laura e sotto la supervisione di Beatrice,
abbiamo pensato di fare.
Si è creato un laboratorio ad hoc, in un luogo altro, non troppo distante dal Villaggio ma quanto
basta a rigenerare uno spirito ‘prigioniero’, con un appuntamento settimanale fisso.
Ogni lunedì pomeriggio i ragazzi del Villaggio inseriti nel Progetto venivano accompagnati da me e
Davide con un furgoncino tanto atteso quanto adorato, da loro, che sembravano non aspettare altro,
alla stanza della Caritas, struttura dotata di svariate stanze e anche un grande cortile dove
prendevano avvio le attività.
Solitamente il laboratorio si divideva in due turni, prima i grandi (12-15 anni) e poi i piccoli. Questi
ultimi si incontravano con gli altri piccoli (dai 6 agli 8 anni) provenienti dalle altre abitazioni e da
contesti differenti rispetto al Villaggio, e a me e Davide si aggiungeva Laura a completare il gruppo
di lavoro.
Le attività svolte sono state molteplici e di diversa natura; non solo compiti e recupero meramente
scolastico, ma anche giochi cooperativi ed attività ludico-ricreative applicate alla didattica. Si è
fatto uso della musica applicata a compiti di italiano e inglese, del movimento per apprendere
l’alfabeto e le sequenze logiche, giochi con la palla abbinati al calcolo numerico, utilizzo di carte e
illusioni ottiche per affinare le abilità percettive.
Bambini e ragazzi si sono dimostrati fin da subito felici dell’iniziativa, soprattutto coloro che
provenivano dalla realtà del Villaggio hanno mostrato in più di un episodio reazioni di entusiasmo
ed eccitazione al limite del malessere fisico. E anche questo è stato motivo di riflessione. Chissà
quale senso di evasione o libertà potranno aver provato e se questo li avesse spaventati? Se
mancasse da parte loro un’abitudine a gestire le emozioni? O Se l’emozione, seppur positiva, fosse
così forte da sovrastare il piacere di viverla? Forse sarebbe necessario ragionare più a fondo anche
su questi aspetti in futuro e provare a strutturare dei percorsi finalizzati a una più adeguata e
funzionale gestione dell’emotività, dei contenuti pulsionali oltre che cognitivi e didattici.
Un tipo di lavoro molto simile è stato inoltre portato avanti anche con altri bambini inseriti nel
Progetto ma non residenti al Villaggio, al di fuori del laboratorio del lunedì, sempre nello stesso
luogo e con modalità analoghe. Anche in questo caso i riscontri sono stati positivi; il lavoro era
individualizzato e quindi consentiva di strutturare una relazione più forte con i singoli e un rapporto
di fiducia crescente che ha dato nel tempo i suoi frutti.
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Certo, sarebbe importante che i risultati positivi arrivassero in maniera più lampante e tangibile
anche alle famiglie, ai genitori che spesso sono solo in parte testimoni dei progressi dei loro figli o
rimangono legati loro stessi a clichè, etichette o pregiudizi attribuiti dall’esterno (o talvolta
dall’interno), determinando un calo motivazionale e nel rendimento dei bambini e ragazzi. O
semplicemente ostacolando in loro il consolidamento di una nuova immagine di sé. Sarebbe
opportuno escogitare strategie e modalità per incrementare il coinvolgimento e la partecipazione
delle famiglie alle attività realizzate a scuola e sul campo, dove il “campo” non per forza coincida
con quello davanti casa, ma magari sia appena più “altrove”, inviti a uno spostamento, un
‘movimento verso’, ad un piccolo sforzo per un reale risultato. Sulla base del modello adottato
quest’anno. Sempre considerando che la partecipazione del genitore va modulata e adeguatamente
gestita nei tempi e negli spazi, perché c’è il rischio che inibisca o comunque influenzi
l’atteggiamento del bambino/ragazzo verso il compito, il contesto, l’educatore, la relazione.
Per concludere, non si può dimenticare la festa di fine anno, realizzata sempre presso lo spazio
Caritas, alla quale hanno partecipato tutti i bambini e i ragazzi coinvolti nel laboratorio del lunedì e
negli altri spazi pomeridiani, con l’aggiunta di un numero consistente di ragazzi residenti al
Villaggio e in altri appartamenti, non inseriti nei laboratori, che non hanno assolutamente voluto
mancare l’occasione. È stato un momento di gioia e condivisione, fatto di abbuffate e gavettoni, che
ha evidenziato ancora una volta il bisogno di aggregazione e partecipazione che hanno questi
ragazzi. Come se del “campo” fosse da conservare o recuperare l’accezione più semplice e
immediata, quella di spazio aperto.
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6.1 “Il nostro metodo di lavoro”
a cura di Domenico Canciani
•
IL NOSTRO METODO DI LAVORO.
Sono state realizzate occasioni di formazione interne (in novembre 2014 e febbraio 2015) e con
esperti esterni (R. Lamberti e D. Cesarin, solo per citarne un paio). Molti sono stati anche gli
incontri di “accompagnamento” delle Equipes d’insegnanti e educatori che lavorano in classi nelle
quali sono inseriti alunni Sinti. Nel corso dell’anno ci siamo raccontati e interrogati su alcune
questioni problematiche sollevate dall’intervento socio-educativo con bambini e ragazzi Sinti della
nostra città.
Credo sia utile rilevare l’importanza di questo metodo di lavoro. Da consolidare, a mio avviso,
perché l’intervento diretto con i bambini (e non solo quelli “speciali”) ha bisogno di momenti di
decantazione, di scambio e confronto, di riflessione, nei quali l’azione educativa viene sospesa e
così possa essere ripensata per cercare di trovarvi un senso. L’azione educativa con gruppi di
alunni, ciascuno portatore della propria “differenza” è spesso movimentata, richiede prontezza e
decisione, e a volte trascina gli adulti che se ne occupano in un vortice di azioni e reazioni. Se
pensiamo che l’azione educativa si svolge in una sorta di scena pubblica, ci verrà facile condividere
la necessità di avere dei momenti di sospensione, in cui portarsi “dietro le quinte”, per cercare di
comprendere meglio insieme, di formulare ipotesi su ciò che è accaduto, su ciò che non si è fatto in
tempo a cogliere. Non è facile, ma è una buona pista.
•
L’INTEGRAZIONE E’ COME UN’ALTALENA .
E’ così grande e condivisa l’adesione all’obiettivo etico-sociale dell’integrazione che a volte
occorre mettersi insieme per osservarli insieme, questi ragazzi.
Un solo piccolo esempio. Mi ha fatto riflettere il fatto che molti di essi hanno un doppio nome:
un nome da usare per noi, per i compagni di scuola e gli insegnanti (i Gagi) e un nome familiare,
intimo, da usare al villaggio o “tra loro”. Una sensazione, un indizio che ci parla di un mondo che
si altalena tra una scelta di matrice assimilatoria (essere come gli altri) e una scelta di tipo
tradizional-separatista.
Credo che come educatori ce lo dobbiamo sempre ripetere, per non dimenticarlo: lavorare per
l’integrazione non significa escludere uno dei due bracci dell’altalena (il gioco del dondolarsi
finirebbe all’istante), ma fare in modo che il movimento sia facilitato, magari armonioso. Tutti noi
viviamo attraversando più contesti umani, economici, sociali e culturali… e abbiamo appreso
passare da uno all’altro, senza troppi traumi. Così la nostra vita ne è risultata arricchita.
E’ quello che il progetto cerca di promuovere nei ragazzi Sinti: che possano entrare e
uscire dal Villaggio, passare da un mondo all’altro, senza restare prigionieri dell’uno o dell’altro,
costruendo a poco a poco un loro quadro di riferimento culturale. Strada ardua, ma possibile.
•
LA RELAZIONE EDUCATIVA GIOCA A NASCONDINO .
Nelle conversazioni con gli insegnanti mi è capitato di pensare a un antico gioco che
potrebbe ben rappresentare la situazione in cui avviene l’intervento educativo. Operatori e
insegnanti si chiedono “come possiamo aiutarli a crescere?” ; e in quest’ atteggiamento si chinano
sui loro alunni speciali , quasi a provare a identificarsi con le loro vite di bambini immersi in
contesti multiproblematici. Quando si tratta di bambini piccoli e fragili, è naturale pensare di
diventare “paladini” dei loro diritti, giocarsi ogni carta (professionale e umana) nel tentativo di
aiutarli.
Un grande impegno, che tuttavia non sempre è seguito da un adeguato impegno dall’altra
parte. E non riuscendo a vedere risultati tangibili al proprio agire, all’educatore –attivo può
accadere di provare delusione, demotivazione.
Quello che ci sembra di aver capito in questi anni di “incontri ravvicinati” con gli educatori è
che il percorso d’integrazione non è per niente lineare, non è una scala che i bambini percorrono
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seguendo la programmazione dell’insegnante… Direbbe C. Freinet che essi salgono e scendono,
fanno due passi avanti e uno indietro… e spesso il nostro compito è di andarli a riprendere quando
sono caduti, o sono rimasti indietro; o semplicemente fermarci per aspettare che raggiungano gli
altri.
Possiamo anche far ricorso a un’altra rappresentazione: a volte sembra che nella scena
educativa avvenga una sorta gioco del nascondino alla rovescia. In esso la posta in gioco, anziché
essere quella di non farsi vedere, è proprio quella di “farsi trovare”. Il bambino (non solo Sinto)
ogni tanto tace, si eclissa, non partecipa, scompare senza una ragione evidente. Dopo tanta fatica
può capitare di essere presi dallo sconforto e di essere tentati di mollare, tagliare, rompere la
relazione. Ma se per un attimo proviamo a metterci nei panni del nostro ragazzo speciale, potremo
forse sentire che dall’angolo in cui si è nascosto egli si chiede : chi mi verrà a cercare? Chi (non)
mi ha visto? Chi mi tiene in mente e nota che sono sparito? E quando sarò stato trovato, sarò
riconosciuto ?
Non sempre c’è il tempo, e la motivazione (il fiato e la voglia…), ma questo sembra essere il
gioco educativo che aiuta a crescere, riuscendo a portare i ragazzi fuori dall’area buia
dell’invisibilità (fisica, sociale, culturale…). E gli educatori dovrebbero essere equipaggiati con
strumenti stereoscopici, in modo da poter “vedere e sentire, percepire e immaginare” quei piccoli
anche quando non sono presenti, in entrambi i mondi che essi attraversano. Ma si può fare?
•
•
EMOZIONI, PENSIERI E PAROLE.
Se non disturba, come utile metafora potremmo forse servirci dei titoli delle canzoni di Mogol
e Battisti. Le emozioni che i bambini e i loro maestri provano nella relazione educativa sono
forti: a volte si esprimono in sussurri e grida, in pianti e silenzi, in iperattivismi e assenze; a
volte anche in segni più forti. Davanti a quelle emozioni che fare? Ci si può immedesimare,
vestire emotivamente i loro panni. E’ un modo com-passionevole che permette di sentire
insieme con loro, di non farli sentire soli.
Tuttavia dopo un po’ rischia di provocare una situazione di stallo, di inerzia.
Il percorso educativo chiede di potersi evolvere, trasformando quelle emozioni in proto-pensieri, in
gesto espressivo, in parola. Questo percorso permette di distaccarsi a poco a poco dall’emozione, di
cristallizzarla e poterla vedere come un momento, uno spicchio di sé; la narrazione aiuta a
superarla, ad andare avanti, a guardare al futuro . E’ questo che chiamiamo crescere?
•
•
LABORATORI PER CRESCERE INSIEME.
Nel corso dei nostri incontri formativi e di “accompagnamento” gli obiettivi che abbiamo
condiviso, capaci di tracciare e articolare il percorso d’inte (g)razione dei bambini Sinti, li
abbiamo riassunti in tre macro-aree:
• Apprendimento e consolidamento di abilità sociali (imparare a relazionarsi con un compagno,
un insegnante, con il gruppo-classe
• Acquisizione di competenze cognitive attraverso didattiche adeguate
• Sviluppo di pratiche educative e didattiche che consentono la libera espressione, l’ampliamento
dl senso estetico, l’allargamento dell’area motivazionale .
Queste AZIONI sono state perseguite attraverso il laboratorio di classe, ovvero un intervento non
separato, rivolto a tutti i partecipanti del gruppo, quasi a dire che è il contesto che aiuta a cambiare
il soggetto e viceversa.
Concretamente per migliorare la propria posizione nel gruppo sociale, un soggetto deve avere in
mano qualche cosa da scambiare con gli altri. Ecco che attraverso le costruzioni in cartone,
l’elaborazione di storie, le musiche e le ombre attuate in microgruppi, l’uso della voce e del gesto,
della parola e del disegno… è stato possibile anche per i nostri ragazzi “speciali” entrare in gioco,
partecipando attivamente alla produzione di un oggetto comune.
Dicevamo, già lo scorso anno che occorreva cercare di rendere visibile e comunicativo
l’oggetto laboratorio, facendo e in modo che l’attività del singolo confluisse in un oggetto
cooperativo tale da permettere a questi ragazzi “speciali” di percepire l’interezza del lavoro fatto da
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soli, il percorso svolto con i compagni, di esserne orgogliosi e felici, e mostrare questa nuova
immagine simbolica di sé insieme agli altri.
Quest’anno ci sembra che ciò sia avvenuto con maggior chiarezza, e le rappresentazioni finali
alle scuole Gramsci e Volpi ne sono state un’operativa e tangibile testimonianza, rilevante dal
punto di vista di ognuno dei tre obiettivi delineati .
•
•
QUALCHE DIS-CONTINUITÀ.
Quest’anno il gioco-laboratorio in classe e fuori si è articolato in un numero d’incontri più
elevato dello scorso anno. Tuttavia ha dovuto a volte mutare la propria cornice spaziotemporale per le esigenze dell’istituzione scolastica. Credo sia un tema-problema aperto e
potremmo in seguito chiederci.
• Quanto tempo, quante ore di laboratorio sono auspicabili per un certo tipo d’intervento?
• E’ possibile mantenere un laboratorio in un setting spazio-temporale fisso?
• Le rappresentazioni collettive con oggetti cooperativi sono utili alla motivazione?
• Se lo sono sarebbe auspicabile aprirle anche al resto della scuola, al contesto familiare e
sociale?
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UN LIBRO DI VITA A PIU’ MANI .
A volte, negli incontri ravvicinati si è parlato molto di singoli bambini, a volte non se n’è
parlato per nulla. Credo che occorra avere una visione panoramica dei gruppi–classe, ma anche
che potremmo darci uno strumento che ci consenta una visione specifica dei singoli ragazzi che
vengono inseriti . Per restituire interezza all’immagine frammentaria di sé che questi bambini
hanno, per aiutare il team di educatori e insegnanti con cui lavorano, propongo di provare a
costruire, a più mani, un “libro di vita” per ciascun ragazzo Sinto: un quaderno itinerante, una
sorta di co-biografia formativa capace di raccogliere le attività del bambino seguendolo da
casa, a scuola, dal laboratorio ad altre attività…
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PONTI .
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Un’ultima immagine mi è rimasta in mente: alla fine dell’anno scolastico è stata lanciata l’idea
di una cena conclusiva tra “adulti”. La positiva sorpresa è stata la partecipazione della quasi
totalità degli insegnanti ed educatori, volontari e coordinatori del progetto. C’erano uomini e
donne, generazioni diverse a tavola, con ruoli e professionalità varie. E si dialogava, si
costruivano ponti tra l’azione educativa passata e quella futura Non è un risultato occasionale, a
mio avviso, ma il risultato dell’azione formativa cooperativa cui il gruppo, da un triennio,
aderisce. Credo che il riconoscimento reciproco unito all’azione cooperativa abbia avuto un
riverbero decisivo nell’azione didattica e animativa. L’augurio è che questa “convivialità
cooperativa” possa coinvolgere altri campi, altri soggetti, altre scuole.
APPENDICE
LE AQUILE NON SALGONO PER LA SCALA
Il pedagogo aveva minuziosamente preparato i suoi metodi; aveva definito, secondo lui,
scientificamente la scala che avrebbe potuto permettere l'accesso ai diversi gradi della
conoscenza; aveva misurato sperimentalmente la profondità dei passi per adattarla alle possibilità
normali delle gambe infantili; aveva sistemato qua e là qualche comodo pianerottolo per dare
modo di riprendere fiato, e una ringhiera compiacente sosteneva i novizi.
E il pedagogo strepitava, non contro la scala che era evidentemente concepita e costruita con
scienza, ma contro i bambini che sembravano insensibili alla sua sollecitudine.
Strepitava perché, mentre lui era là, a sorvegliare la salita metodica della scala che avveniva
passo passo, prendendo fiato sui pianerottoli e tenendo la ringhiera, tutto procedeva normalmente,
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se egli si assentava un momento, che disastro, e che disordine! Soltanto quegli individui in cui la
scuola aveva sufficientemente impresso il marchio della sua autorità, come quei cani da pastore
che la vita ha ammaestrato a seguire passivamente il padrone e che si sono rassegnati a non
seguire più il proprio istinto di cani battenti sentieri e folti boschi, continuavano a salire
metodicamente passo dopo passo tenendo la ringhiera e riprendendo fiato ai pianerottoli.
Lasciate che i bambini seguano i loro istinti e soddisfino i loro bisogni: l'uno salirà a quattro
zampe; l'altro prenderà lo slancio e farà i gradini due a due saltando i pianerottoli; vi sarà chi
proverà a salire all'indietro e alcuni vi acquisteranno una certa maestria. Ma, soprattutto per la
maggioranza, la scala sarà troppo povera di avventure e d'attrattive e alcuni, girando intorno alla
casa, s'aggrapperanno addirittura alle grondaie, scavalcheranno le balaustre e arriveranno alla
sommità in un tempo record, molto meglio che usando la scala che si definisce metodica, e una
volta giunti lassù , discenderanno lungo la ringhiera come in toboga.. per ricominciare subito
quell'ascensione appassionante.
Il pedagogo, che dà la caccia ali individui che si ostinano a non salire per le vie che egli ritiene
normali, si è per caso domandato se la sua scienza della scala non sia una falsa scienza, e se non
ci siano vie più brevi e più salutari, procedenti per salti e lunghi passi, se non ci sia secondo
l'immagine di Victor Hugo, una pedagogia delle aquile che non salgono per la scala?
Tratto da "I detti di Matteo" di Célestin Freinet
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6.2 “Diventare foresta è un impegno di ciascuno per diventare un noi che ci dà forza”
(cit. di un insegnante)
a cura di Rosanna Rosada
Il lavoro in classe tra insegnanti e operatori inizia con il leggere il bisogno, esplicitare le
preoccupazioni degli insegnanti, provare a dare delle risposte creative. E' stato importante
potenziare le parti simboliche dell'attività, quelle parti che possono ricondurre in qualche modo al
lavoro sull'identità; considerare l'aspetto proiettivo delle identificazioni nei personaggi e negli
accadimenti affinché ciascuno potesse prendere contatto con gli aspetti emotivi, del carattere, delle
competenze cognitive e delle abilità sociali.
Inoltre giochi interattivi, attività in gruppi e sottogruppi, giochi di ruolo e di squadra più o meno
competitivi, hanno permesso di mettere in campo diverse abilità fisiche, creative e cognitive: con
ruoli a rotazione, di mediatore, portavoce, narratore, responsabile del materiale, di scrittore, di
grafico,... “più si fa esperienza di mettere in atto quel comportamento associato al ruolo e alle
dinamiche del gioco più si apprende” (cit. di un insegnante).
In tutto questo l'adulto non ha solo il compito di fare in modo che l'attività riesca, ma soprattutto di
osservare e conoscere i bambini mentre interagiscono nel gruppo classe, aiutarli a dare nome e
significato a quello che desiderano, sentono, sono, sognano e fantasticano, attraverso prodotti,
parole, azioni, musica, e di cogliere l'area problematica che come singoli e come gruppi esprimono.
A conferma del buon esito di questa ricerca e attività metodologica vorrei portare alcune
osservazioni raccolte a metà del percorso, incontrando gli insegnanti.
“Sono riusciti a trovare un motivo per far diventare amici Matteo e Tommaso.”
“Stanno emergendo i bambini più passivi; quando lavorano in gruppi piccoli non serve un leader,
un tramite, si possono assegnare ruoli semplici, non ci sono prevaricazioni. L'anno scorso invece
bisognava far soccombere l'avversario per emergere; i molto capaci non tolleravano i limiti del
gruppo perché prevaleva la voglia di essere il più bravo. Questo atteggiamento aumentava la
costruzione di un falso sé fondato sull'esaltazione del sé e sul merito personale. “
“L'obiettivo che ci siamo dati è fare in modo che acquisissero un po' di ritualità, che aiutasse
l'autonomia e la costruzione di un clima emotivo di classe favorevole all'ascolto e all'attenzione
verso ciò che il gruppo ti può trasmettere. Le abilità che gli insegnanti cercano di trasmettere e
consolidare attraverso la ritualità possono essere: l'ascolto, il saper aspettare, il decantare gli
aspetti emotivi per esprimerli in forma creativa e pensata, non istintuale e irruenta.”
“Un bambino, a causa di una disabilità, ha vuoti di memoria , non memorizza facilmente, ha
bisogno di immagini per apprendere ; nell'ottica del “non uno di meno” insegnate e operatore
hanno messo in campo una serie di tecniche che hanno arricchito ed elevato le competenze di tutti,
alunni e adulti, con uso di immagini, disegni, narrazioni, teatralizzazioni.”
“Il Mito è stato interpretato e costruito non come colui che vince sempre , ma nelle sue
stravaganze, nella capacità di costruirsi un'identità e nell'attivarsi al di là dei propri limiti.”
“Lavorando molto in sottogruppi i ruoli sono intercambiabili, si impara a non scomparire, a
esistere senza emergere, si supera la paura della critica e di non essere tutelati/rispettati, si
sviluppa la capacità di leggere le situazioni e di leggersi come persone. Nel costruire un gioco
insieme, che poi si fa insieme, l'importante per i ragazzi è l'emozione che sta nel fare il gioco.”
E' stato fondamentale tenere tutelato uno spazio di pensiero tra insegnanti e operatori.
L'integrazione degli alunni in classe parte prima da un confronto e da una programmazione
condivisa: i tempi di co-progettazione, gli spazi del pensiero prima di agire, il tempo di pensiero
durante il lavoro, un tempo per sedimentare l'esperienza. Questo permette di governare un processo
che funziona, di sperimentare un benessere nel cooperare che poi ti vien voglia di trasmettere.”
“Ascoltare in modo attivo, spostarsi in silenzio. Sostare lì dove abitano le emozioni. Passare
dall'idea di difendersi all'idea di frequentarsi, dal difendersi dal diverso al conoscere e incontrare
il diverso. Il gruppo è un mezzo per potenziare il singolo. ”
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