Giovanni da Falgano, “Libro della altezza del dire”
(Per l’edizione del volgarizzamento del Perí ýpsous di Ps. Longino)1
Angelo Cardillo
(Bozza-Testo per uso didattico)
Le notizie su Giovanni di Niccolò da Falgano2 o Giovanni Falgano o Falgani, notaio
fiorentino3, volgarizzatore e poeta attivo a Firenze dal 1571 al 15884, apprezzato
conoscitore del mondo classico5, giungono frammentarie e inesatte dal repertorio di Rilli 6
che lo definisce
uomo molto erudito e delle Lingue Greca e Toscana e della Volgar poesia peritissimo; ben si ravvisa
da varie sue Poesie manoscritte, che sono appresso il nostro Segretario, e fra le altre dalle seguenti:
L’Ipolito tragedia d’Euripide […] Battaglia de’ Ranocchi, e de’ Topi d’Omero.
Salvino Salvini aggiunge all’elenco
[…] una sua Traduzione di Longino appresso il nostro degnissimo segretario […], Iamblico de’
Misterj tradotto da lui dal Latino da Marsilio Ficino, […] una Traduzione originale della Tragedia di
San Gregorio Nazianzeno intitolata Cristo Paziente fatta in versi Toscani […] nel 15757.
Scipione Maffei lo chiama “Domenico Fulgani” e cita solo il volgarizzamento di Longino,
poi in altra occasione gli attribuisce il nome corretto8, mentre Giulio Negri scrive che “con
1
Il testo nasce come comunicazione tenuta al Convegno annuale dei Filologi svoltosi a Salerno-Fisciano
nell’ottobre 2006; nel corso del tempo il progetto in fieri è cresciuto in prospettiva dell’edizione del
volgarizzamento dell’opera di Ps.Longino alla quale attendo.
2
Falgano attualmente è una piccola frazione del comune di Rufina in provincia di Firenze. La chiesa di S.
Maria a Falgano, le cui notizie risalgono agli anni 1277-1278, era sede parrocchiale; quella attuale, di epoca
granducale, è annessa alla chiesa di S. Giusto, come informa Turicchi e i suoi statuti, a cura di Laura
Cofacci, introduzione di Giuseppe Raspini, Pagnini, Firenze 1989.
3
Benvenuto Cellini nella Vita cita Giovanni da Falgano quale estensore di un atto notarile del 1571: “Quando
noi fummo a ffarne il contratto, il quale ne fu rogato ser Giovanni di ser Matteo da Falgano, lo Sbietta disse
che in quel modo che noi avevamo ragionato, inportava la maggior gabella […]”. La Vita di Benvenuto
Cellini. Introduzione e commento di Enrico Carrara. Nuova edizione a cura di G. G. Ferrero, rist., UTET,
Torino 1965, l. II, cap. CIX, p. 554. Le indicazioni testamentarie di Cellini sono oggetto di una lettera dello
stesso notaio a Francesco I del 13 febbraio 1571 in cui si invoca la protezione del Principe a favore dei figli
del testatore: Carteggio inedito d’Artisti dei secoli XIV. XV. XVI pubblicato ed illustrato con documenti pure
inediti dal dott. Giovanni Gaye, t. III, 1501-1672, Giuseppe Molini, Firenze 1840, pp. 294 e sg. (ora Bottega
d’Erasmo, Torino 1961, reprint).
4
Tale l’arco temporale nel quale, in mancanza di dati biografici, va ascritta la sua attività di poligrafo, come si
rileva dalle lettere di dedica datate e firmate nei Mss. della BNF Magl. VI 31 in cui è una data che può essere
assunta come termine a quo e Palat. 226 la cui datazione segna un cofine oltre il quale le notizie si perdono.
Ma di questo più avanti do ampiamente conto.
5
Nel codice della Bodleian Library di Oxford recante “Commentarius in Aristotelis Categorias (ex Ammonio
collectus)”, seconda parte, emendata da Pier Vettori, “Commentaria in Aristotelis libros de Interpretatione ex
eodem Ammonio desumpta”, a f. 142v è questa nota di possesso: ’Jo. Giovanni di Niccolò da Falga et non
tengo seruitore ness’. Catalogi Codicum Manuscriptorum Bibliotecae Bodleianae. Pars prima. Recensionem
Codicum Graecorum Continens. Confecit Henricus O. Coxe, A.M., E Typographeo Academico, Oxonii 1853,
Codices Barocciani, 22, p. 30.
6
Jacopo Rilli Orsini, Notizie letterarie ed istoriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia fiorentina. Parte
prima, Piero Matini, Firenze 1700, p. 253, sub anno 1575.
7
Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina di Salvino Salvini […], Giovan Gaetano Tartini e Santi Franchi,
Firenze 1717, pp. 238 e sg., sub anno 1579.
8
Traduttori italiani o sia Notizia de’ volgarizzamenti d’antichi scrittori Latini e Greci che sono in luce […],
Sebastian Coleti, Venezia 1720, p.61; in altro luogo lo chiama Giovanni: Osservazioni letterarie che possono
Angelo Cardillo
gloria universale di Firenze sua Patria fu ascritto all’accreditato consesso degli Accademici
Fiorentini”, aggiungendo all’elenco delle opere l’Ecuba di Euripide “trasportata in versi
Toscani”9. Le notizie non si arricchiscono grazie al repertorio di Argelati10 che
sostanzialmente ripropone cose note, né a quello di Paitoni che ricorda le versioni del
Cristo Paziente di Nazianzeno, del Sublime e della Batracomiomachia di Omero11 e
neppure a quello di Fontanini che lo cita solo di sfuggita12, allo stesso modo di Francesco
Saverio Quadrio.13 Giovanni Lami14 lo segnala, insieme a Giovan Battista e Marcello
Adriani, Francesco Strozzi15 e molti altri, tra gli allievi di Pier Vettori16 particolarmente attivi.
Anche Angelo Maria Bandini17 lega il nome di Giovanni all’indiscusso maestro nei confronti
del quale riporta un pensiero affettuoso in una lettera ‘Maceratae XVIII Kal. Febr.
MDLXIV’:
servir di continuazione al Giornale de’ Letterati d’Italia, t. II, Stamperia del Seminario per Jacopo Vallarsi,
Verona 1738, p. 140.
9
Istoria degli scrittori fiorentini […] del P.Giulio Negri ferrarese della compagnia di Gesù, Bernardino
Pomatelli, Ferrara 1771, p. 279. Negri riferisce che Giovanni da Falgano era cognato di un certo Pietro
Perugino.
10
Biblioteca degli Volgarizzatori, o sia Notizia dall’opere volgarizzate d’autori che scrissero in lingue morte
prima del sec. XV. Opera postuma del segretario Filippo Argelati Bolognese. Tomi IV. Coll’addizioni e
correzioni di Angelo Teodoro Villa milanese, comprese nella parte II del tomo IV, tomo II, Federico Agnelli,
Milano 1767, pp. 326-328.
11
Biblioteca degli autori antichi Greci e Latini volgarizzati […] di Jacopomaria Paitoni, [s.n.t.], Venezia 1767,
t.. II, pp. 180 e sg.; pp. 220 e sg.; t. III, p. 17.
12
Dell’eloquenza italiana di Monsignore Giusto Fontanini […] con le annotazioni […] di Apostolo Zeno, Luigi
Mussi, Parma 1804, t. I., p. 534.
13
Della storia e della ragione d’ogni poesia […] di Francesco Saverio Quadrio, vol. III, Francesco Agnelli,
Milano 1743, p. 106; di Giovanni da Falgano è citata solo la traduzione di Ippolito e nel vol. IV, Agnelli,
Milano 1749, a p. 714 è citata la traduzione “in Verso sciolto” della “Guerra delle Rane co’ Topi”.
14
Giovanni Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium quibus vertens saeculum gloriatur, Pars II,
Ex Typographio ad Plateam Sanctae Crucis, Florentiae, MDCCXLVIII, pp.XXIX-XXX e pp. CCCXIV e sg
(dove si parla in particolare del volgarizzamento del Sublime).
15
Datato, ma pur sempre utile, è Adrasto Silvio Barbi, Un accademico mecenate e poeta. Giovan Battista
Strozzi il Giovane, Sansoni 1900. In tempi vicini se ne è occupato Massimiliano Rossi, Per l’unità delle arti.
La poetica ‘figurativa’ di Giovambattista Strozzi il Giovane, in “I Tatti studies”, 1995, pp. 169-213, rec. Di
Debora Vagnoni in “La Rassegna della Letteratura italiana”, CIV, 2000, 1, p.198.
16
La bibliografia è vasta ed in continua crescita. Tra i contributi “storici”, ma ancora di qualche utilità,
segnalo la memoria celebrativa di Pio Ferrieri, Pier Vettori il giovane, La Letteratura, Torino 1888 e
Francesco Niccolai utile per le notizie sugli allievi di scuola, Pier Vettori (1499-1585), Libreria internazionale
B. Seeber, Firenze [s.d, ma 1912], dove, a p. 106 è un accenno a Giovanni da Falgano. Tra gli studi recenti
mi limito ad indicare i più vicini alla mia indagine: Antonietta Porro alle cui note rinvio per specifiche
indicazioni bibliografiche, Pier Vettori editore di testi greci: la “Poetica” di Aristotele, in “Italia Medioevale e
Umanistica”, XXVI, 1983, pp. 308-358, e Guido Avezzù, Pier Vettori editore di testi greci: la “Poetica” e altro.
Ricognizioni preliminari, in “Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze Lettere ed Arti”, a.a. 19871988, Memorie della Classe di Scienze Morali Lettere ed Arti, vol. C, p. III, pp. 95-107; Caterina Griffante, Il
catalogo della biblioteca a stampa di Pier Vettori, in “Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, Atti, t.
CXLVII, Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti, a.a. 1988-1989, Venezia 1989, pp. 371-534. Ai recenti
Salvatore Lo Re, Tra filologia e politica: un medaglione di Piero Vettori (1532-1543), in “Rinascimento”,
Seconda serie, XLV, 2005, pp. 247-305 e Raphaële Mouren, Un professeur de grec et ses élèves: Piero
Vettori (1499-1585), in “Lettere Italiane”, LIX, 2007, 4, pp. 473-506 rinvio per gli ulteriori aggiornamenti.
Gustavo Costa ha indagato la presena longiniana negli studi di Vettori: Pietro Vettori, Ugolino Martelli e lo
Pseudo Longino, in Da Longino a Longino. I luoghi del Sublime, Aesthetica, Palermo 1987, pp. 65-79.
17
Clarorum Italorum et Germanorum Epistolae ad Petrum Victorium […] Ang. Ma. Bandinius I.V.D.
Laurentianae Basilicae Canonicus […], t. I, Firenze, MDCCLVIII, pp. XXVIII-XXXIII. La cit. a p. XXX (n).
Angelo Cardillo
Quod te, cuius voce vox haec mea fluere aliquando didicit, etc18,
a testimonianza di frequentazioni ed affettuosità approfondite da Wilhelm Rüdiger nella
ricostruzione di trame intellettuali tra Vettori e Giovanni e confermate da uno scambio
epistolare pervenuto in un codice monacense. 19 Qualche ulteriore dato si acquisisce da
una missiva del 15 febbraio 1577 da Firenze di Pier Francesco Maccalli a Giovan
Francesco Ridolfi in Roma in occasione di una Giostra svoltasi a Firenze in occasione del
Carnevale:
Il vostro m.Iacopo vi doverà mandare le stanze fatte sopra i vincienti da m. Giovanni da Falgano et le
20
coppie de’ calcianti .
A proposito di corrispondenza, negli zibaldoni di lettere manoscritte della Biblioeca
Nazionale di Firenze, nonostante il cospicuo numero di missive intercorse tra i personaggi
della sua cerchia21, non ne ho rintracciato di/a Giovanni da Falgano.
18
Ivi, p. XXX, n.1.
Petrus Victorius aus Florenza. Studien zu Einem Lebensbilde von Wilhelm Rüdiger, Halle, Max Niemeyer,
1896, p. 104, Cod. Lat. Monac. 734, 122 e 734, 136; ulteriore citazione a p. 115 e in nota 1.
20
Lettere di scrittori italiani del secolo XVI stampate per la prima volta per cura di Giuseppe Campori,
Bologna, Commissione per i testi di Lingua, 1968, reprint, p. 256. Esigue le indicazioni su Maccalli Campori
(pp. 248-256); forse apparteneva alla società del Calcio o dei Piattelli, impegnato in varie attività sportive tra
le quali quella venatoria.
21
Ms. Magl. VIII 31: centone di lettere risalenti agli anni ed agli ambienti di Giovanni tra le quali segnalo
quelle di Dionigi Lippi, Girolamo e Bernardo da Sommaia, Andrea Tordi, personaggi che si incontrano nelle
sue opere. Ms. Magl.VIII 43: segnalo lettere di Girolamo da Sommaia, Andrea Tordi, Dionigi Lippi. Ms.
Palat.1197 str.1360 dove è una lettera di Dionigi Lippi ‘da Caselfiorentino, 2 ottobre 1586’ ad un non meglio
identificato corrispondente (Tordi, secondo la Porro, Volgarizzamenti e Volgarizzatori cit., p. 496 e n. 101) al
quale il mittente si rivolge per ottenere la restituzione della sua traduzione della Culex virgiliana che ‘voi o il
S.r Giovanni vostro padrone [Giovanni da Sommaia?] avete nello scrittoio’. Ed oltre: ‘Appresso vi piacerà
dirmi come le pistole del Vettorio sono lette, le quali a me paiono bellissime, e ripiene di locutioni bellissime,
e concetti gravissimi’. La lettera si conclude con l’invito a porgere i saluti ad un ‘Giovanni’ amico. Il Ms. Magl.
VIII 43 è una ulteriore fonte di informazioni sulla cerchia di filologi che trasferiscono la conoscenza del
mondo classico nella pratica quotidiana, come si evince dalla esplicita volontà dell’uso del latino anche nella
corrispondenza privata. Filippo Nerli, infatti, scrive a Giovanni da Sommaia da Pisa il 7 novembre 1568
ribadendo certe promesse: “Cum Florentia discessi, tibi promisi, a me postulanti, ad te semper latine
scribere, et hac de causa nolui ullo pacto deesse tibi servare promissa. (f. 355v). Non è superfluo ribadire
che la cerchia dei sodales dello Studio di Vettori guarda alla filologia classica come fonte di arricchimento
inesauribile, in cerca di verifiche ed approfondimenti che spesso approdano a sereni e proficui confronti. Di
ciò è testimone Pierfrancesco Giambullari nel 1561 quando sottolinea l’apporto delle lingue classiche
nell’arricchimento dell’italiano e nel miglioramento delle prestazioni poetiche: “Gel. E da che vi pensante che
nasca questo? [Il buon livello raggiunto nella poesia] Se non dall’essere oggi in Firenze così gran’ numero di
Persone che hanno bonissima cognizione, della lingua Latina et Greca: Le quali essendo state necessitate
nello impararle, a vedere i veri Poeti, hanno assai chiaramente conosciuto, che cosa sia Poesia; et quanto
sia verbigrazia contra i precetti dell’Arte, il ridurre tutta la vita d’un huomo, o pur le azzioni di xxv, o xxx anni,
in due, o tre ore di tempo che si consuma nel recitare. Et a cagione che e’ non si abbia a dire de casi loro
quel motto di Orazio “Delfinum silvis appingit fluctibus Aprum”. Non hanno solamente lasciati cotesti errori,
ma sbanditili ancora in tutto da le loro composizioni: et si sono ridotti a quello uso buono, che avevano i
Latini, e i Greci. Oltre a questo avendo appreso per via di Regole, quelle due lingue, conoscendo quante et
quali siano le parti del Parlare, et in che modo elle debbino accompagnarsi, cominciano a favellare e tanto
rettamente, et con tanta leggiadria, che io mi persuado gagliardamente la nostra lingua esser molto vicina a
quel sommo grado della perfezione, oltre il quale non si può salire. Pierfrancesco Giambullari Fiorentino, de
la lingua che si parla et scrive in Firenze. Et uno Dialogo di Giovan Batista Gelli sopra la difficoltà dello
ordinare detta Lingua, In Firenze, s.n.t. (s. d. sul front., ma ‘Di Firenze, il xviij di Febraio. MDLI’ a p.42), p. 34.
19
Angelo Cardillo
Le avare notizie giunte dai tradizionali strumenti biobibliografici possono integrarsi
con le dedicatorie delle opere, dedicatorie che consentono di ricostruire attività scrittoria,
percorsi di lavoro, intenti dell’autore, frequentazioni ed ambienti culturali. È così possibile
fissare al 24 settembre 1572 la data di inizio della sua attività, vale a dire quando Giovanni
da Falgano poneva fine alla traduzione del dramma epicureo Ecuba22 verosimilmente
dedicata a Giovanni Sommaia,23 nome che si legge nella testatina del primo foglio mutilo
recante dedicatoria ed incipit. L’indicazione del luogo e l’ulteriore scritta “Poggio alle Sieci”
a margine sinistro del foglio confermano la possibile identificazione del dedicatario che,
appunto, possedeva una villa poggiana probabilmente visitata in più di un’occasione dal
nostro poligrafo. La traduzione di Ippolito di Euripide24 reca la data ‘12 ottobre 1575’; è
dedicata ad un personaggio non indicato, Dionigi Lippi 25 secondo Targioni Tozzetti26. Lidia
Caciolli nel pubblicare alcune opere di Giovanni27, tace in proposito, mentre Antonietta
Porro28 pensa ad un ecclesiastico, forse Alessandro Pucci abate di San Genesio di
Brisello29, stante anche alla recita dell’offizio accennata nella stessa dedica. L’indicazione
del Pucci, troverebbe conferma, oltre che in Negri 30, nella medesima formula introduttiva
Per notizie sui Mss. sopra citati, regesta ed indici delle missive, rinvio a Targioni-Tozzetti, Catalogo
manoscritto cit., e a Mazzatinti, Inventario cit., ad loca).
22
BNF Ms. Magl. VIII 46, f. 238r. La dedicatoria si conclude con luogo, data e firma: ‘Dal Poggio. Il dì XXIIII
di Settembre 1572. Affezionatissimo servitore Giovanni Falgani’.
23
Il nome di Giovanni da Sommaia ricorre più volte nelle lettere di quanti hanno avuto rapporti con lui
accomunati dall’amore per il mondo classico. Negri (Istoria degli scrittori fiorentini cit.) dice che recitò il 5
febbraio del 1619 nella chiesa di Sant’Agata in Roma un’orazione latina dedicata alla omonima santa,
orazione stampata nello stesso anno.
24
BNF Ms. Magl. VI 31, ff. 71r-72v; finis, firma e data f. 118v; vd. infra.
25
Pievano di Castelfiorentino, latinista e grecista, fu uno dei più fervidi ammiratori di Vettori e del suo
magistero. Notizie e citazioni anche di brani di corrispondenza con il maestro, in Niccolai, Pier Vettori cit., p.
111 e sg.
26
BNCF, Fondo Magliabechiano. Inventario dei Manoscritti di Giovanni Targioni Tozzetti, catalogo
manoscritto, ad locum.
27
Lidia Caciolli, Ippolito, Ecuba, Christus Patiens. Volgarizzamenti inediti dal greco, Olschki, Firenze 1995 e
Opre et Giornate, Scudo di Hercole, Teogonia. Volgarizzamenti inediti dal greco, Olschki, Firenze, 1998 su
cui si veda la lunga recensione di Francesco Trisoglio, Emerge un nuovo umanista interprete del dramma
greco: Giovanni da Falgano, in “International Journal of the Classical Tradition”, 3, 3, 1997, pp. 349-361. Sul
valore di questi volgarizzamenti e più in generale sulla riscrittura della tragedia nel ‘500, si veda Valentina
Gallo, La tragedia del Cinquecento. Ancora una rassegna (1993-2000), in “Esperienze Letterarie”, XVI,
2001, 1, pp. 99-104 (per Falgano, p. 100). La Caciolli si era già occupata di Giovanni da Falgano in Due
sconosciuti traduttori cinquecenteschi di testi greci: Michelangelo Serafini e Giovanni da Falgano, in “Critica
Letteraria”, XIX, 1991, 70, pp. 159-168 e Giovanni da Falgano fra Pier Vettori e la camerata de’ Bardi, in
“Rinascimento”, XXI, 1991, pp. 309-325.
28
Antonietta Porro, Volgarizzamenti e volgarizzatori di drammi euripidei a Firenze nel Cinquecento, in
“Aevum”, LV, 1981, 1, pp. 481-508 (in particolare pp. 493 e ssgg.).
29
Stefano da Pescia tenne l’orazione funebre in occasione della sua morte: Ms. Ricc. 911, ff. 18r-24r; una
corrispondenza con il fratello Roberto è nel Ms. Ricc. 2484, ff. 240r-286r.
30
Op. cit., p. 279.
Angelo Cardillo
che si legge nella lettera a lui rivolta nel volgarizzamento del Poema della caccia di Pietro
Angelo da Barga31.
In occasione della morte di Cosimo nel 1574, Giovanni da Falgano, a testimonianza
di un legame con la famiglia Medici che se passava attraverso Vettori il quale occupava un
posto di rispetto nella gerarchia sociale e politica fiorentina - era stato nominato lettore
nello Studio fin dal 1538 - si era consolidato grazie anche a rapporti e stima personali,
scrisse componimenti d’occasione partecipando al lutto della comunità letteraria con lodi
del grande scomparso32. Le sue relazioni con il passare del tempo coinvolgevano sempre
più aristocrazia e mondo politico, come testimoniano le dediche dei volgarizzamenti del
Christo Patiente33 a Giovanna d’Austria moglie di Francesco I e del Libro dell’altezza del
dire34 datate 1 aprile 1575 e 1 settembre dello stesso anno. Quando Giovanna morì di
parto il 10 aprile del 1578, in una lettera del 5 maggio a Pietro Strozzi, il nostro annunziava
la sua partecipazione all’evento con una serie di componimenti in memoria della
Granduchessa35. Lesse probabilmente i testi nella Camerata dei Bardi 36, prestigioso
31
Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. Ricc. 2798; foglio iniziale non numerato: ‘Molto Magco, et Redo Sigre
Abbate Sig. Alexandro Puccj Sig. mio Ossmo. Magl. VI 31, f. 71r, ‘Molto Mag.co et Rdo Sig.r mio Ossmo (Magl.
VI 31, f. 71r), dove, rispetto alla dedica precedente, oltre al nome del dedicatario, manca solo il sostantivo
“Abate”.
32
BNF, Magl. VI 31, ff. 119r-124v; una parziale trascrizione dei componimenti è nel Ms. Ricc. 1166, ff.172v174r.
33
BNF, II I 191; vd. infra. Haym indica di questo volgarizzamento un’edizione veneziana del 1575 presso
Torri: Biblioteca italiana osia notizia de’ Libri rari italiani […] compilata da Francesco Haym, t. II, p. III,
Giuseppe Galeazzi, Milano 1773, p. 337; l’indicazione è confermata nel repertorio di Giovanni Salvioli-Carlo
Salvioli, Bibliografia Universale del Teatro Drammatico Italiano […], vol. I, Ferrari, Venezia 1903, col. 920. La
notizia, sfuggita alla Caciolli, non trova conferma negli attuali strumenti di ricerca. Nonostante il sostegno di
una cospicua tradizione manoscritta, permangono forti dubbi circa la paternità del Christus Patiens attribuita
a Gregorio Nazianzeno; pare che l’opera sia di un anonimo bizantino del XII secolo, come indica Raffaele
Cantarella, La letteratura greca dell’età ellenistica e imperiale. Nuova edizione aggiornata,
Sansoni/Accademia, Firenze 1968, p. 351. Il volgarizzamento di Giovanni da Falgano è citato da Claudia
Bertling, Die Darstellung der Kreuzabnahme und der Beweinung Christi in der ersten Hälfte des
16.Jahrunderts, Hildesheim, Olms 1992, p. 36 e sg., tra le opere relative alla Passione di Cristo di
provenienza bizantina.
34
BNF, Magl. VI 33, vd. infra.
35
BNF, Pal. 226, f. 50r; vd. infra. La partecipazione alle esequie ed al lutto cittadino da parte di esponenti
della cultura municipale, e fra essi Giovanni da Falgano, è ricordata da Giuliano de’ Ricci: “Seguitossi poi per
molti giorni in tutte le compagnie della città con universale pianto di ciascuno fare per lei preci a Dio con
exequie honorevolissime et orazioni recitate da giovani et composte da persone litterate: fra le quali tennono
il primo luogo una fatta da Palla Rucellai nella Compagnia dell’Agnolo Raffaello di via Maffia, et un’altra fatta
da Giovanni da Falgano nell’Agnolo Raffaello su la piazza di Santa Maria Novella detta la Compagnia della
Scala”. Giuliano de’ Ricci, Cronaca (1532-1606) a cura di Giuliana Sapori, Riccardo Ricciardi Editore, Milano
Napoli 1972, p. 246.
36
Sulla Camerata de’ Bardi e sulla musica a Firenze nel XVI secolo si vedano di Angelo Solerti, Gli albori del
melodramma, voll. I e II, Sandron, Milano-Palermo-Napoli, s.d., ma 1903-1904, (ora Bologna, Forni 1976
reprint), in particolare Vol. I, La Camerata fiorentina [1580-1589], pp. 37-46 e Musica, ballo e drammatica
alla corte Medicea dal 1600 al 1637, Bemporad, Firenze 1905 (ora Bologna, Forni 1989 reprint). Per
l’apporto del mondo classico, della musica greca e della tragedia in particolare, utile è il saggio di Donatella
Giacotti, Il recupero della tragedia antica a Firenze e la camerata de’ Bardi, in Contributi dell’Istituto di
Filologia Moderna. Serie Storia del teatro, vol. I, Vita e Pensiero, Milano 1968, pp.94-132 (di Giovanni da
Falgano la Giacotti cita a p.130 n. il volgarizzamento di Ippolito contenuto nel Ms. Magl. VI 31). Si veda,
Angelo Cardillo
consesso di letterati e musicofili facenti capo allo stesso Strozzi. A Giovanni dei Medici,
figlio di Cosimo e di Eleonora degli Albizzi, dedicava in data non precisata i
volgarizzamenti dei poemi di Esiodo37 e a Sebastiano Antinori38 la traduzione del Libro di
Luciano del modo di comporre la Historia 39. Una canzone senza data era per Francesco
Rucellai40; alcuni componimenti del ‘4 luglio 1584’ per Niccolò Orsini conte di Putigliano41;
un’altra canzone del 14 maggio 1588 - data a partire dalla quale le notizie si perdono – per
Jacopo Corsi42 in occasione della morte in Spagna di suo fratello Giulio43.
Il 31 maggio del 1579 nell’Accademia Fiorentina, console Renato Pazzi, Giovanni
da Falgano tenne una lezione sulla “Concordia”44
*
*
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LIBRO │ DELLA ALTEZZA DEL DIRE │ DI │ DIONYSIO LONGINO RHETORE │
TRADOTTO │ Dalla greca nella Toscana lingua da │ Giovannj │ di Niccolò da Falgano
inoltre, Flavio Testi, La musica italiana nel Seicento. Il Melodramma, Bramante, Milano 1970, i capp. Il
Melodramma; Gli intermedi del 1589 e la decadenza del genere; La Camerata fiorentina e gli inizi del “recitar
cantando”, pp. 11-105. Aspetti esclusivamente musicali sono in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa
del ’500. II, Musica e spettacolo. Scienze dell’uomo e della natura. Atti del Convegno Internazionale
(Firenze, 9-14 giugno 1980), Olschki, Firenze 1980 ed in questo volume si veda il saggio di Lorenzo
Bianconi e Antonio Vassalli, Circolazione letteraria e circolazione musicale del madrigale: il caso Giovan
Battista Strozzi, pp. 439-455. Notizie inerenti anche in Lidia Caciolli, Giovanni da Falgano fra Pier Vettori e la
Camerata de’ Bardi, cit., e Giorgio Bartoli, Lettere a Lorenzo Giacomini, a cura di Anna Siekiera, Accademia
della Crusca, Firenze 1997, p. 59 e p. 295.
37
BNF, Pal 373, ff. III-XII; vd. infra.
38
“Antinori Bastiano, fiorentino, uno dei Deputati da Cosimo I per la correzione del Decamerone secondo
l’ordine del Concilio di Trento”. Cfr. Dizionario storico portatile, Benedetto Gessari, Napoli 1760-1762, ad
vocem. L’edizione dell’opera di Boccaccio è Il Decameron di Messer Giovanni Boccacci Cittadino Fiorentino.
Ricorretto in Roma, et emendato secondo l’ordine del Sacro Conc. Di Trento. In Fiorenza, Nella stamperia
dei Giunti, MDLXXIII.
39
BNF, II IX 22, vd. infra.
40
BNF, Pal. 227, f.1; vd. infra. La Caciolli ipotizza che possa trattarsi di Francesco Bonaccorso cavaliere di
Malta, morto nel 1568. Cfr. L.Caciolli, Giovanni da Falgano fra Pier Vettori e la Camerata de’ Bardi cit., p.
321 e sg.
41
Ivi, ff.88r-105r.
42
Iacopo Corsi (1561-1602), compositore, musicofilo e musicista, fu un membro autorevole della Camerata
de’ Bardi, frequentatore di quei consessi culturali che guardavano al mondo greco e alla musica in specie
come modelli da riproporre per un rinnovamento del genere musicale rappresentativo. Si veda La Dafne
d’Ottavio Rinuccini rappresentata alla Sereniss. Gran Duchessa di Toscana dal Sig. Jacopo Corsi, Cristofaro
Marescotti, Firenze 1600.
43
BNF, Pal 226, ff. 22r-26r; vd. infra.
44
Firenze, Biblioteca Marucelliana, Ms. B III 53, f.11r. Giovanni da Falgano partecipava attivamente alle
iniziative dell’Accademia Fiorentina. Il 20 gennaio del 1580, infatti, prese parte con altri 25 Accademici alle
elezioni del Consolo (ivi, f.15r); il 29 gennaio 1581 fu elettore eleggibile nelle elezioni del nuovo
Provveditore dell’Accademia (ivi, f. 22r). La trasformazione dell’Accademia degli Unidi in Accademia
Fiorentina e poi Accademia della Crusca (comprese le fasi intermedie) è nello studio di Cartesio Marconcini,
L’Accademia della Crusca dalle origini alla prima edizione del vocabolario (1612), Tipografia Valenti, Pisa
1910, in particolare Cap.I, Dagli “Umidi” ai “Crusconi”, pp. 9-42; cap. II, “La brigata dei Crusconi”, pp. 43-62,
cap. III, Trasformazione ordinamento e svolgimento dell’Accademia, pp. 63-112. Tuttavia il nome di Falgano
si perde a partire dal 1582 quando non è più negli elenchi degli Accademici. Infatti nel Ms. II I 305 della
BNF non è nel 1582 tra i fondatori dell’Accademia, né nell’elenco dei soci dal 12 marzo 1584 agli anni a
venire.
Angelo Cardillo
Fiorentino. │ in │ FIORENZA L’ANNO D.N.S. │ M.D.LXXV. [In calce, disegno di piccole
dimensioni raffigurante un giglio stilizzato].
È il frontespizio del Ms. Magliabechi VI 33 della Biblioteca Nazionale di Firenze
relativo al volgarizzamento del Perí hýpsus di Ps. Longino.
Cart., in 8° (230x170), sec. XVI, indicato autografo in Fondo Magliabechiano. Inventario dei
Manoscritti cit., ad locum; ff. 88, più uno di guardia e tre ultimi bianchi; i fogli presentano una
riquadratura di mm. 170x125 all’interno della quale è inserito il testo con linee oscillanti tra 17 e 20;
taglio colore oro; duplice la numerazione coerente: in alto, su recto e verso, ff.1-163; in basso, a
destra, solo su recto, una mano moderna ha numerato da 3 a 85; è la stessa mano che a metà del
primo foglio scrive “Longino │ Dell’altezza del dire”, e sul recto del f.163]85 “4 settembre 1905 │
Carte 88 novamente numerate e riscontrate, delle quali bianca la prima e le ultime tre”. A f. 163,
dopo il FINE, ‘Del libro dell’altezza del dire di Dionysio | Longino Rhetore tradotto da un testo Greco
45
stampato in Basilea da Giovanni Oporino’ .
Testimone unico, probabile esemplare di dedica, non sembra che il codice rechi una prima
stesura del testo considerato il modus operandi dell’autore come nei volgarizzamenti
dell’Ecuba e dell’Ippolito46 sicuramente autografi e con correzioni e rimaneggiamenti come
in opere in corso di elaborazione. Qui, infatti, il modulo grafico è chiaro, curato ed
elegante; il testo non presenta interpolazioni, glosse o note a margine o a pié pagina.47 A f.
2r. è la dedicatora datata e con firma autografa.
Sereniss.ma Sig.ra Duchessa dj Toscana
La V.A.S. è degna di lodj sì alte, che a me per avventura sarà troppo grande impresa lo insegnare
solamente, in che modo si dee rendere alta la orazione. Et però le dono, et consacro il presente
Dionysio Longino, da me tradotto in questa nostra lingua, il quale ne dà precettj d’intorno alla
altezza del dire preggiatissmi. Et baciandole humilissimamente la mano, in lej divotissimamente mj
raccomando. In Fiorenza. Il dì vij di settembre. MDLXXV. D.V.A.S. Humiliss. mo et devotiss.mo S.re
Giovannj di Niccolò da Falgano.
Il volgarizzamento del Perí ýpsous non ebbe fortuna editoriale, ma non rimase
sconosciuto ai lettori del testo di Longino. Anton Francesco Gori nella sua traduzione48 del
1737, scriveva
Non son’io però stato solo e il primo a tradurre in Toscano questo utilissimo Trattato. Si dice che in
questa famosa Libreria Magliabecchiana vi sia la Traduzione Toscana fatta da Giovanni da Falgano;
ma non essendosi questa fin’ora trovata, dubito che non sia stato preso uno sbaglio di memoria da
chi ne comunicò la notizia, e forse prese la traduzione di Demetrio Falereo della Locuzione, che ivi
esiste, fatta dal medesimo Falgano, in vece di questa.
45
L’edizione a stampa è la princeps del Perí ýpsous apparsa a Basilea presso Giovanni Oporino nel 1554
con testo in greco e note in latino di Francesco Robortello; vd. infra.
46
Per entrambi vd. infra.
47
Scipione Maffei nel recensire l’Eloquenza italiana del Sig. Fontanini riferisce che la prima traduzione
italiana a stampa del testo di Longino fu fatta da Niccolò Pinelli e pubblicata nel 1636, ma aggiunge che il
“Magliabecchi avea l’originale a penna d’altra vesione fatta da Giovanni di Niccolò da Falgano nel 1575”.
Osservazioni letterarie cit., p. 140.
48
Trattato del Sublime di Dionisio Longino tradotto dal greco in Toscano da Anton Francesco Gori, Gaetano
Albizzini, Firenze 1737, pp. 20 e sg.
Angelo Cardillo
L’anno seguente Gori curava la pubblicazione del Perí hermenéias di Demetrio tradotto da
Marcello Adriani;49 nella premessa mostrava di conoscere il volgarizzamento di Giovanni
che pur lodevole, a lui risultava di fattura inferiore50. Ancor prima di Gori, Giovanni Antonio
Astori51 aveva mostrato un costante interesse per il poligrafo fiorentino; scriveva, infatti, il
15 febbraio da Venezia ad Antonio Magliabechi
Attenderò con grand’impazienza le Notizie delle quali Ella è per favorirmi circa il traduttore Toscano
[Giovanni da Falgano] del Longino: così che abbia io il modo di non essere scarso di quella
52
erudizione, che merita così grande Auttore. Venezia 15 febbraio 1697.
E l’8 novembre dello stesso anno
Ho ritrovata alla persine ed a caso in Bottega del Sig. Bernardoni la Troduzione dal Greco in lingua
toscana di Dionigi Longino fatta da Niccolò Pinelli, e stampata in Padova per Giulio Crivellari l’anno
1639. Non vi ho però lette Annotazioni di sorta alcuna, quali mi scrisse tempo fa, che annesse vi
fossero. Nientemeno, comunque ella sia, basta al mio intento, e dopo di averla scorsa con ansietà,
mi son fatto coraggio a tor di nuovo in mano quella, che avevo io di già principiata, e poi
abbandonata in un canto alle brutte ingiurie della polvere, e de’ tarli, per proseguirla e terminarla
come mi sono obligato. Prego bene VS. Illustrissima a fare sì, che possi essere informato dello stile
di quell’altra Ms. che possiede, e tiene nella sua Libreria, come pure dell’Auttore per mia regola,
affine che la cosa fortifichi buono esito quanto alla condotta”. Venezia 8 Novembre 1698.53
Apostolo Zeno inviò a Magliabechi un testo che riguardava la traduzione del Sublime in
corso d’opera presso Astori:
In esso [in un pacco] vi sarà […] un libro datomi dal Sig. Astori diretto a V.S. Illma. Questo signore
sta al presente faticando nella traduzione di Longino, cui aggiungerà molte cose sue e d’altri.54
Qualche anno dopo Astori richiedeva a Magliabechi notizie:
Io aveva, come fa VS. Illustrissima, fino del 1697 cominciato a tentare l’impresa di volgarizzare il
piccolo trattato di Dionigio Longino intorno alla sublimità del dire; ma poi per timore di non ben
riuscire, oltre sempre l’essere sempre stato in altre cose occupato non ho continuata la traduzione.
Ora quest’anno in tempo della mia villeggiatura avendolo ripreso per mano, mi sono invogliato di
compiere la mia fatica, e di aggiungere al volgarizzamento annotazioni non men Dogmatiche che
Critiche, e quel di più, che per conformarmi al gusto del secolo presente mi parerà necessario. So
49
Sulla circolazione cinquecentesca ed oltre del Perì ermenèias mi permetto rinviare ad Angelo Cardillo,
Demetrio, Perì ermenèias. (Note sulla fortuna del testo tra Medioevo e Rinascimento), in “Misure Critiche”,
Nuova Serie, Anno II, nn. 1-2, 2003, pp. 30-44; Lorenzo Giacomini Tebalducci Malespini. Per un primo
censimento delle opere, in Studi di Letteratura italiana per Vitilio Masiello, a cura di Pasquale Guaragnella e
Marco Santagata, vol. I, Laterza, Bari 2006, pp. 611-636. È di prossima pubblicazione, per mia cura,
l’edizione critica del volgarizzamento di Lorenzo Giacomini Tebalducci Malespini, Perì ermenèias, MS.
Ashburn 531 della Biblioteca Medicea Laurenziana.
50
Della locuzione tradotto dal Greco in Toscano da Marcello Adriani il Giovane […], Gaetano Albizzini,
Firenze 1738.
51
Su Giovanni Antonio (o Giannantonio) Astori cfr. Cinelli Calvoli Giovanni, Biblioteca volante continuata da
Dionigi Andrea Sancassani, II ed., Albrizzi, Venezia 1734-1747, ad locum; Giovan Mario Mazzucchelli, Gli
scrittori d’Italia cit., ad locum. Alla traduzione di Astori del Perí ýpsous accenna Fontanini, Della eloquenza
italiana cit., I, p. 118 n. dove è detto che dopo la morte dell’autore l’opera sarebbe rimasta presso i suoi
eredi.
52
Clarorum Venetorum ad Ant. Magliabechium nonnulosque alios Epistolae, t. I, Ex Typographia ad Insigne
Apollinis in Platea Magni Ducis, Firenze 1745, p. 339.
53
Ivi, pp. 348-349.
54
Lettere di Apostolo Zeno […], vol. I, Pietro Valvasense, Venezia 1752; lettera da Venezia del 15 novembre
1698, p. 20.
Angelo Cardillo
che si trova VS. Illustrissima nella sua Libreria una traduzione MS di Longino da un uomo dotto
(come mi diede una volta notizia) che visse intorno al 1570. Però io le avanzo le mie supplicazioni,
perché vogli favorirmi primieramente di ritrovar maniera di farmene tenere una copia, o pure
trasmettermi quella, che si trova avere, sicura che ne farei puntualmente la restituzione. In secondo
luogo di provvedermi di quelle notizie, che bastino per faro onoratamente menzione del suddetto
55
Traduttore.
Ottenuto quanto voleva, Astori si diede da fare per portare a termine l’opera e, con il garbo
di rito, rese partecipe Magliabechi dei suoi progetti:
La distinzione che usa meco quanto al prestarmi la Traduzione di Longino di Falgano, mi fa
concepire un sentimento distinto di gratitudine per la sua generosità. […] L’Edizione di Longino del
Tollio già da me è stata veduta, e presentemente vien letta, non trascurandosi pure da me quella del
Pinelli. Il Sig. Apostolo Zeno mi favorirà del Libro delle Notizie degli Uomini Illustri dell’Accademia
Fiorentina e vedrò se si parli in quello del Falgani. Se hanno lasciato per trascuraggine di far
menzione la sua Traduzione, non lascierò io di darmi questo onore di fargli giustizia. Iddio voglia che
sodisfi all’aspettazione che le fa aver questa mia fatica la sua bontà, e ’l suo amore. Ė supplicata, ma
con suo comodo, avendo qualche notizia particolare, coadiuvarmi nel componimento di una mia
esercitazione de Dionysis, che dall’occasione di discorrere di Longino, m’è entrato in capo di fare, su
56
la traccia di quelle già fatte dall’Allazio de Simeonibus etc. […] .
*
*
*
Ai fini di una possibile ricostruzione dello scrittoio di Giovanni da Falgano ai tempi
della traduzione del Perì ýpsous, è interessante esplorare fonti e strumenti bibliografici
all’epoca disponibili e dei quali l’autore si sarebbe eventualmente potuto servire. Ciò non
per accertare da quale testo avesse tradotto, - dalla princeps di Robortello, come è detto
nel Manoscritto - ma per chiarire se il suo modus operandi fosse esemplato direttamente
su fonti greche o frutto di una mediazione latina57.
Dai classicisti58 si apprende che nel secolo XVI la tradizione del Perì 0 youj era
sostanzialmente affidata al Ms. Marc. gr. 522 copia ordinata dal cardinale Bessarione agli
55
Clarorum Venetorum ad Ant. Magliabechium nonnulosque alios Epistolae cit., lettera da Venezia del 7
novembre 1704, pp. 349-350.
56
Ivi, lettera da Venezia del 29 novembre 1704, pp. 350-352. Nella Galleria di Minerva (La Galleria di
Minerva overo Notizie universali di quanto è stato scritto da Letterati di Europa non solo nel presente secolo,
ma ancora ne’ già trascorsi […], Girolamo Albrizzi, Venezia 1696, p. 390) a proposito dell’opera intitolata
Della sublimità dello stile. Traduttione di Gio Antonio Astori dal Greco di Dionisio Longino, Alvise Pavino,
Venezia [senza indicazione di data], in 8o è scritto: “Ora come dopo la lingua latina ne onorò la Traduttione
Munsieur D*** la Francese. Vi è adesso chi ne ha tentata l’italiana, non col semplice fine di tradurre Longino,
ma di promovere al publico con un trattato della sublimità dello stile non poca utilità nell’arte del ben parlare.
Se il tentativo sembrarà ad alcuno troppo ardito, la buona intentione, che ha il Traduttore non sarà almeno
non giudicata virtuosa”. Mazucchelli, vol. I, p. II: “Veramente nella suddetta Galleria si riferisce questa
traduzione come se allora, cioè nel 1697 si stampasse a Venezia per Alvise Pavino, ma noi sappiamo per
certo che non è statta mai pubblicata, e né pur posta sotto il torchio, onde ciò non può considerarsi che una
delle solite frodi degli stampatori, i quali per provvedere avanti tempo all’esito de’ loro Libri li fanno riferire
come stampati quando non lo sono che in idea”.
57
Per una bibliografia su Longino e sulla sua opera si veda Demetrio St. Marin, Bibliography of the “Essay
on the Sublime” (PERI UYOUS), Printed Privately for the Author, Nederland 1967 che va integrata con
Sublime antico e moderno. Una bibliografia di Giovanni Lombardo e Francesco Finocchiaro, “Aestetica
Preprint”, 38, ag.1993.
58
La storia della tradizione manoscritta e a stampa del Perí ýpsous è ricostruita da Ioannis Alberti Fabricii,
Bibliotheca Graeca sive notitia Scriptorum veterum Graecorum […], editio nova […] curante Gottlieb
Angelo Cardillo
inizi del 1468 ed eseguita sul Par. gr. 2036 appartenuto al cardinale Ridolfi; questo
secondo manoscritto, integrato nelle parti mancanti con il Par. gr. 985 (recante il così detto
Fragmentum Tollianum), è al vertice dello stemma codicum. Robortello e Paolo Manuzio59
si servirono del codice marciano per le loro edizioni; Vettori ebbe tra le mani sia il Par. gr.
2036 che il Par. gr. 2974 della fine del sec. XV appartenuto al Ridolfi e prima di lui a Janos
Lascaris che probabilmente lo aveva preso in prestito dalla Biblioteca Medicea60.
Per le opere a stampa, Bernard Weinberg61 indica in un passo di un commento di
Marc Antoin Muret62 al c. LI di Catullo, “Ille mi par esse deo videtur”, e in una citazione di
András Dudith63 due possibili rimandi a traduzioni latine andate perdute. Nella scia delle
Christophoro Harles […], v. VI, apud Carolum Ernestum Bohn, Hamburgi, A.C. MDCCLXXXXVIII, lib. IV, c.
XXXIII, pp. 79-94; si veda pure Del Sublime. Trattato di Dionisio Longino tradotto ed illustrato dal prof. Emilio
De Tipaldo, Dalla Tipografia di Alvisopoli, Venezia 1834, in particolare le pp. 43-73. Ottimo lavoro di sintesi e
di revisione per quanto attiene alla tradizione classica è il saggio di Carlo Maria Mazzucchi, La tradizione
manoscritta del Perì 0 youj, in “Italia Medioevale e Umanistica, XXXII, 1989, pp. 205-226 poi, in forma
ridotta, in Dionisio Longino, Del Sublime a cura dello stesso Mazzucchi, Vita e Pensiero, Milano 1992, pp.
XXXV-XXXVIII.
59
Per l’edizione a stampa di Manuzio, vd. infra.
60
Vero è che il testo ebbe una limitata circolazione prima della pubblicazione nella metà del ‘500; qualche
riferimento indiretto è nel commento di Vettori alla Retorica di Aristotele che risale al 1548, ma è ben poca
cosa rispetto al proposito espresso nel 1559 all’amico e discepolo Ugolino Martelli di collazionare il testo
della princeps di Robortello con due manoscritti che all’epoca erano in una “libreria romana”. Gustavo Costa
ritiene che Vettori si riferisse al Parigino 2036 e al Marc. gr. 522 ritenuti i migliori testimoni antichi del Perí
hýpsus. Nel 1560, Vettori pubblicava il commento alla Poetica di Aristotele: vi si leggono in 1454a-b e 1460b
due precisi riferimenti all’opera di Longino.
61
Translation and commentaries of Longinus, on The Sublime, to 1600: a bibliography, in “Modern Philology”,
vol. XLVII, n. 3, feb.1950, pp. 145-151 e ps. Longinus Cassius in Catalogus translationum et
commentariorum: Mediaeval and Renaissance Latin translations and commentaries, vol. II, a cura di Paul
Oskar Kristeller e F. Edward Cranz, The Catholic University of America Press, Washington 1971, pp. 193198.
62
Catullus et in eum Commentarius M.Antonii Mureti ab eodem correcti, & scholiis illustrate, Tibullus et
Propertius, s.n.t. [Paulo Manuzio], Venetiis M.D.LVIII (dedicatoria: M. Antonius Muretus Bernardino
Lauredano, Andreae F. Patricio Veneto, S.P.D. Venetijs, idibus octob.M.D.LIIII), p. 63v.”Libet autem hoc
potissimum loco singularem gratiam inire ab ijs omnibus, qui antiquitatis studio, et delicatorum versuum
suavitate capiuntur. Etenim cum Dionysij Longini libellum perì 0 youj, qui nondum a quoquam editus est,
hortante eodem, qui me ad haec scribenda impulit, singularis doctrinae, eximiaeque virtutis viro, Paulo
Manutio, Latine interpretari coepissem, ut eodem tempore optimus liber et Graecus et mea opera Latinus
factus ederetur, cum alia in eo sane plurima deprehendi digna, propter quae liber ipse communi omnium
elegantium hominum desiderio expetatur […]. Sul Muretus (Limoges 1526-Roma 1585), sull’importanza del
suo sogiorno romano e sul suo interesse per il Sublime, si vedano Christian Mouchel, Les réthoriques posttridentines (1570-1600: la fabrique d’une societé chrétienne, in Histoire de la rétorique dans l’Europe
moderne. 1450-1950. Publiée sous la direction de Marc Fumaroli, Press Universitaires de France, Paris
1999, pp.431-497, (in particolare le pp. 463-466) e Marc Fumaroli, L’età dell’eloquenza, Adelphi, Milano
2002, il cap. Marc-Antoine Muret e Francesco Benci, pp.173-195.
63
Dionysii Halicarnassei De Thucydidis historia iudicium, Andrea Duditio Pannonio interprete […], [Paolo
Manutio], Venetiis 1560; dedica [su fogli non numerati] a ‘Nicolao Olaho, Archiepiscopo Ecclesiae
Metropolitanae [...], Patavii, III Non. Mart. MDLX [manca la firma]. Alle pp. [Vv-VIr]: “Nos in hoc libro tum
perdifficili, tum etiam multis locis depravato summam adhbuimus diligentiam, quantum tamen unius mensis
studio potuimus consequi, (neque enim plus huic est negotio tributum temporis) ut is non omnino inelegans,
atque incomptus in hora dominus prodiret. In quo quidem interpretando meum consilium hoc fuit exemplo
vide licet eruditissimorum vel nostrae, vel superioris aetatis hominum,non ut verba, vitandi laboris gratia,
singula singulis reddens, annumerarem, sed ut sententias ipsas appenderem. Quod quidem institutum in
aliis quoque eiusdem scriprtoris libris, quos de arte rhetorica, deque apta inter se verborum collocatione
scripsit, item in Longino, ac tribus postremis Diodori Siculi libris convertendis, quos omnes nunc in manibus
Angelo Cardillo
traduzioni latine si colloca il
Ms. Vat. lat. 344164 che De Nolhac individua tra quelli
appartenuti a Fulvio Orsini65 e che Gustavo Costa66, ritiene di mano dello stesso Orsini e
lo data in anni precedenti alla princeps. Argelati riferisce di una traduzione con commento
di Sertorio Quattromani67 e di una (parziale) di Ludovico Castelvetro68. Quella latina di
Leone Allacci risale al 1631.69
*
*
*
La prima edizione a stampa del Perì 0 youj fu curata da Francesco Robortello:70
habeo, servavi […]. Su András Dudith (Buda 1533-Breslavia 1589), vescovo a Knin nel 1561, poi a Zagabria
nel 1565 ed in fine a Pécs dal 1565 al 1568, si vedano Nouvelle biographie générale […] publiée par M.m
Firmin Didot frères sous la direction de M.le le Dr Hoefer, Firmin Didot, Paris 1852-1866, ad vocem; Index
bio-bibliographicus notorum hominum. Edit Jean Pierre Lobies, François-Pierre adjuvante […], Biblio Verlag,
Osnabrück, 1972-, ad vocem; Dizionario Enciclopedico Italiano, Istituto della Enciclopedia Treccani, Roma
1955-1961, ad vocem.
64
Kristeller, It.It., II, ad locum.
65
Pierre de Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Vieweg, Parigi 1887, ora Ginevra 1976, reprint., p. 380,
n. 288: “Dionysii Longini de altitudine et granditate orazioni, in papiro in 40.”.
66
The Latin Translations of Longinus’s Perì 0 youj In Renaissance Italy, in Acta conventus Neo-latini
Bononiensis, a c. di R.J.Schoek, Bimghampton, New York 1985, pp.224-238, dove l’autore ricostruisce con
dovizie di particolari e dati probanti le possibili inferenze tra questo codice ed un altro posseduto dallo stesso
Orsini, il Vat. gr.1417 copia a sua volta del Par. 2960 che rappresenta la migliore fonte nella tradizione del
Sublime.
67
Nel “Giornale de’ Letterati d’Italia”,t. XXII, Gabriello Ertz, Venezia 1715, pp. 284-323, è un lungo articolo
dedicato a questo autore con un dettagliato elenco delle sue opere manoscritte ed a stampa. A p. 302 si
indicano una “Sposizione di Demetrio Falereo”, una “Sposizione di Ermogene”, una di Dionisio Longino, con
la notizia che di queste tre opere parla Francesco Antonio de’ Rossi nella dedica a don Ferdinando di
Mendoza nell’edizione napletana del 1624 delle lettere di Quattromani. Qui, infatti, nella dedica a “D.
Ferdinando di Mendozza Alarcone Marchese della Valle’, è scritto: “Et fu prima, ch’egli havesse atteso a
sporre Demetrio, Hermogene et Dionysio Longino, ne’ quali fe’ tanto profitto, che divenne il più critico homo
del mondo, ne si appagò mai di niuno scritto moderno […], Di Napoli. à 15 di Febraio 1624. Di V.E.
devotissimo sevitore Francesco Antonio Rossi”, pp. [Iv-IIr]. Argelati, op. cit., p. 328, conferma quanto sopra.
68
Argelati (op. cit., p. 329) riferisce di aver visto quest’opuscolo scritto di mano di Castelvetro in un Codice
del canonico Amadei di Bologna, con la scritta Raccolta di varie Orazioni et d’altro Opuscoli d’Uomini illustri
appartenenti alla versione Latina nell’Italiana.
69
Roma, Bil. Vallicelliana, Ms. Allacci XXIX, 1-8. È un grosso volume contenente vari scritti; ff. 434 e 2 biachi
alla fine; numerazione moderna a matita. Sul frontespizio: 1. Versio Dyonisii Longini / a / Leone Allatio facta /
Autographum cum Apographo / 2. Item Nota in eumd. / eiusd. Allatii / Autographum cum Apographo / 3.
Item. Commentarii in eumd. / eiusd. Allatii / Autographum cum Apographo / 4. Item. Commentarii in eumd./
ejusdem Allatii / iterum a beo expressi et emendati. / Apographum. Ineditum. / A. f.1, in alto, al centro,
‘Allazio’; segue a metà foglio ‘Autographum / Versionis / Notarum / Et commentarii in Longinum’. Filosofo,
teologo, studioso di medicina, profondo conoscitore delle lingue classiche, Leone Allacci nacque a Chio nel
1586. Fu nel Collegio di S. Atanasio dove insegnò anche per un breve peiodo retorica e presto entrò nella
Biblioteca Vaticana prima come assistente di uno scrittore greco, poi come scrittore egli stesso fino a
ricoprire la carica di primo custode succedendo nel 1661 a Luca Holstenio. Morì a Roma il 19 gennaio 1669.
Durante la sua lunga vita, grazie ad una dottrina acquisita attraverso l’intensa e proficua frequentazione di
classici anche bizantini, raggiunse una fama che gli consentì di intrattenere rapporti epistolari con letterati di
tutta Europa, da Magliabechi ad Aprosio e Ughelli, da Gabriele Naudé a Daniele Papenbroeck a Bartoldo
Nihus. Si occupò di etruscologia e di epigrafia; scrisse molte opere sulla patristica, sulla chiesa greca e sui
rapporti con quella di Roma, sulla storia bizantina; diffuse e tradusse autori noti e meno noti dell’antichità
pagana. Notevoli son anche i suoi contributi alla letteratura italiana tra i quali va ricordata una bibliografia
teatrale riguardante opere edite ed inedite intitolata Drammaturgia, divisa in sette indici, Roma 1666 (poi
continuata da Giovanni Cendoni, Apostolo Zeno ed altri, Venezia 1755).
70
Francesco Robortello (Udine 1516-Padova 1567) insegnò eloquenza in varie Università e fu editore di
opere latine e greche fra le quali il primo commento alla Poetica di Aristotele condotto sulla traduzione latina
di Alessandro Pazzi con aggiunta di una esposizione dell'Ars poetica di Orazio: Francisci Robortelli utinensis
Angelo Cardillo
DIONUSIOU | LOGGINOU RHETOROS | PERI UYOUS BIBLION | DIONYSII LONGINI |
RHETORIS PRAESTANTIS- | SIMI | LIBER, DE GRANDI, SIVE SU- | blimi orazioni genere. | Nunc
primùm a FRANCISCO ROBOR- | TELLO UTINENSI in luc m editus, eiu demqe | Annotationibus
Latinis in margine appositis, qu | in tar Commentariorum unt, illu tratus.nam | ex ijs methodus tota
libri,
ordo q tion , de | quib. Agitur omnisqe ratio præceptionum, | & alia multa cogno- | sci
71
po unt. | BASILEAE, PER IOAN- | NEM OPORIN .
L’anno successivo Paolo Manuzio72, ignorando l’ edizione precendete, diede alle
stampe una più corretta
DIONUSIOU LOGGINOU | PERI UYOUS LOGOU. | DIONYSII LONGINI | DE SUBLIMI GENERE |
DICENDI. | In quo cu malia multa pr clare unt emendata, | tum ueterum poetarum ver us, qui,
in librum Aristotelis de arte poetica explicationes, Lorenzo Torrentino, Firenze 1567, (ora ristampa
anastatica, Wilhelm Fink Verlag Munchen 1968, con un commento all’Ars Poetica di Orazio ed una
trattazione sui generi letterari non presi in considerazione da Aristotele, Explicationes De Satyra, De
Epigrammate, De Comoedia, De Salibus, De elegia). In polemica con Carlo Sigonio (cfr. Del Dialogo, a cura
di Francesco Pignatti, prefazione di Giorgio Patrizi, Bulzoni, Roma 1993) e Vincenzo Maggi su questioni di
filologia e di storia, Robortello scrisse Variorum locorum annotationes […], Giovanni Battista da Borgofranco,
Venezia 1543 e De historica facultate disputatio […], Lorenzo Torrentino, Firenze 1548. Di stampo retorico è
De artificio dicendi […], Alessandro Benacci, Bologna 1567, mentre alla critica testuale è dedicato De arte
sive ratione corrigendi antiquorum libros disputatio, in De convenientia supputationis Livianae […],
Innocenzo Olmo, Padova 1557. Il De arte sive ratione corrigendi antiquorum libros disputatio è stato riedito
da Giuseppe Pompella, Loffredo, Napoli 1975 che recentemente ha curato anche l’epistolario di Robortello,
Loffredo, Napoli 2001. Si veda Antonio Carlini, L’attività filologica di Francesco Robortello, in “Atti
dell’Accademia di Scienze Lettere e Arti di Udine”, Tiennio 1966-1969, serie VII, vol. VII, Arti Grafiche
Friulane, Udine 1969.
71
Nella dedica al cardinale Ranuccio Farnese, ‘Patavii, Nonis aug. MDLIIII’, Robortello tiene a sottolineare
che la sua curatela del Sublime riporta alla luce per la prima volta un’opera sepolta dal tempo: “Dionisii
Longini Rhet. Antiqui opus hoc redivivum, antea ignot. Opera industriaq. Sua e’ teneb. In lucem educt. atq.
expolit”. Il testo è alle pp. 4-71 con note in latino ai margini dei fogli. A p. 71, téloj. Leggo da un esemplare
della Biblioteca Vallicelliana segn. I.VI.212. Un passo del De arte sive ratione corrigendi antiquorum libros
disputatio potrebbe indurre a ritenere che Robortello abbia tradotto il Sublime: “Ego, ut de me aliquid dicam,
cum Aeschylum adeo corruptum superiori bus annis emendavi, cum Dionysium Longinum Perì 0 youj et
Aelianum de exercitu istruendo more Graecorum edidi, et in Latinum verti, cum librum Aristotelis de arte
poetica expurgavi et illustravi, nonne protuli semper nomina illorum, a quibus libros accepi, et bibliothecas
nominavi, ubi asservantur?”(Ediz. A cura di Pompella, cit., pp. 53-54).
72
Su Paolo Manuzio (1512-1574) si veda Antoine Augustine Renouard, Annales de l’imprimerie des Aldes,
ou Histoire des tres Manuce et de leurs éditions, II, Imprimerie de Crapelet, Paris 1803-1812, pp. 70-106;
Francesco Barberi, Paolo Manuzio e la Stamperia del Popolo Romano (1561-1570), con documenti inediti,
Gela, Roma 1986. L’intento dell’editore nel pubblicare il Sublime è espresso sul frontespizio: “In quo cum
alia multa praeclare sunt emendata, tum veterum poetarum versus, qui, confusi commixtique cum oratione
soluta, minus intelligentem lectorem fallere poterant, notati atque distincti”. Manuzio tiene a sottolineare che
la sua edizione è migliorativa rispetto alla precedente di Robortello nella quale, tra l’altro, le citazioni degli
autori non erano state identificate e i versi trascritti come se si fosse trattato di prosa. Sull’edizione di Paolo
Manuzio (1512-1574) e sul suo Discorso intorno all’ufficio dell’oratore di stampo longiniano scritto nel 1556 si
veda Gustavo Costa, Paolo Manuzio e lo Pseudo-Longino, in “Giornale Storico della Letteratura italiana, a.
CI, vol. CLXI, fasc. 513, I trim. 1984, pp. 60-77. È significativo che ad un anno dalla sua edizione Manuzio
sia sollecito ad inviare il Discorso ad un corrispondente che ne chiedeva conto.Tre libri di Lettere volgari di
Paolo Manutio, in Venetia M.D.LVI; lettera a M. Ottaviano Ferrario, p. 14: “Il Mureto, degno veramente
dell’amicizia vostra, sì come voi fece degnissimo della sua, vi honora molto per le mie parole, et insieme per
quel che ha udito da altre persone della vostra eccellente scienza, et universale notizia delle lingue: e sente
infinita allegrezza, che cotanto vi piaccia il suo commento sopra Catullo: né si cura che ’l Momo che il
riprenda, havendo Apolline, che ’l loda. Mandovi ’l mio discorso, che chiedete, intorno all’ufficio dell’oratore: il
quale desidererei che, disputando dell’eloquenza, così degnamente parlasse, che vi facesse buone le sue
ragioni […]. Di Venetia, alli XXV di Maggio, 1555 Paolo Manutio”. Sull’epistolario si veda Ester Pastorello,
L’epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico, 1483-1597, Olschki, Firenze 1957.
Angelo Cardillo
confu i | commixtiq; cum oratione oluta, minus | intelligentem leƸtorem fallere po- | terant, notati
73
atque di tinƸti. | [Marca tipografica] | Apud Paulum Manutium, Aldi F. | Venetiis, M.D.LV.
Dieci anni dopo Domenico Pizzimenti74 pubblicò a Napoli la prima traduzione latina
completa dell’opera
DIONYSII | LONGINI RHETORIS | PRAESTANTISSIMI | LIBER DE GRANDI ORA- | TIONIS
GENERE, | DOMINICO PIZIMENTIO | VIBONENSI INTERPRETE. | NEAPOLI. | Apud Io Mariam
Scotum. 1566.75
alla quale seguì nel 1570 per i tipi di Giovanni Crispino di Basilea la pubblicazione del solo
testo greco del Perì 0 youj a cura di Francesco Porto76, edizione considerata importante
contributo cinquecentesco alla divulgazione ed alla conoscenza del Sublime anche nei
secoli a venire77.
I EN
TH RHTORIKH | Técn+ korufaîoi, AFQONIOS, | ERMOGENHS, | D. LOGGINOS. |
APHOTHONIUS, HERMOGENES, | & DIONISIUS LONGINUS, | praestantiʄsimi artis Rhetorices magiʃtri, |
73
A p. 2 (numerazone solo sul recto) ‘PAULOS O MANOUTIOS Micaél_ ¼ silgíw, Kardinálei tí pánu e*u
práttein. Segue il testo alle pp. 4-23. A. p. 23, téloj e sul v. [errata]. [p.24v] Ancora con la scritta ‘Aldus’.
Leggo da un esemplare della BNF segn. Ald. 1. 5. 52.
74
Nacque a Vibo Valentia nel 1550 e morì nel 1592. Poligrafo di vasta cultura, conoscitore del greco, si
occupò di Matematica, di Medicina, di Filosfia. Tradusse Democrito ed altri testi minori. Fondò l’Accademia
degli “Incostanti Ipponesi”, poi “Florimontiana”. Ha lasciato molte opere manoscritte tra cui numerose
traduzioni. Cfr. Luigi Aliquò Lenzi-Filippo Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi. Dizionario bio-bibliografico. II
ediz., vol.III, Tip. Editrice “Corriere di Reggio”, Reggio Calabria 1955, ad vocem.
75
A p. 2: ‘Ianus Pelusius Crotoniata. Ad Lectorem. Inc.: Lector candide forte i requiris / Cui nam det lepidum
meus legendum / Pizimentius hunc uum libellum […] ; expl. a p. 2v.: Cuncta haec invenies amice lector, /
Hunc i, depo ita everi tate, / totum legeris aureum libellum. A p. 3 dedicatoria: ‘Dominicus Pizimentius
Vibonensis Aldo Manutio Pauli filio S.P.D, datata ‘Neapoli Cal. Augusti M D LXV’. [4v] ‘Longini vita’. [p.1-61v]
‘Dionysius Longinus De sublimi orazioni genere’. [p.62] Ianus Pelusius Crotoniata. Ad Dominicum
Pizimentium. Inc. ‘Dum lectas puer immolo bidentes / Deis, ob reditum mei odalis, / Ex ora Illyrica, ad uos
Penates; […] expl. Mihi plura dabit, memor iuventae / Actae Cecropia in chola, et Latina. Sul verso, ‘Errata’
e ‘Finis’. Leggo da un esemplare della Biblioteca Universitaria di Pisa segn. Misc. 804. 1. Sulla traduzione di
Pizzimenti pesa il giudizio negativo di Sertorio Quattromani il quale da Napoli il 17 dicembre 1592 scrive al
nipote Fabrizio Della Valle a Roma: “Un Cavaliere, al quale io sono debitore della vita, desidera un Dionisio
Longino. Veggia per gratia se si trova, comprilo, & mandilo subito. Ma averta che la tradottione non sia del
Pizzimenti, perché questo Cavaliere l’ha, non gli sarebbe caro. E il Pizzimenti prende in ciò più granchi,
che egli non dice parole”. Lettere di Sertorio Quattromani Gentil’huomo, & Academico Cosentino. Divise in
due libri. Et la tradottione del Quarto dell’Eneide di Virgilio del medesimo Auttore. […], Lazzaro Scoriggio,
Napoli 1624, pp. 87-88.
76
Francesco Porto nacque a Creta nel 1511 da famiglia di origine vicentina. Si trasferì presto in Italia
soggiornando a Venezia e poi a Padova per studiare cultura classica. Dopo una breve sosta a Venezia fu a
Modena dove rimase fino al 1546 stringendo amicizia con Castelvetro e con Giovanni Grillenzone. Andò poi
a Ferrara e qui raccolse successi nell’insegnamento del greco godendo la stima di Bartolomeo Ricci e dei
soci dell’Accademia dei Filareti di cui divenne membro e nella quale tenne una lezione sulla lingua greca. A
seguito delle sue simpatie calviniste, nel 1554 dovè riparare in Friuli (a riguardo informa Manuzio, Lettere
cit., p. 70) per poi andare a Ginevra, in Svizzera ed in Francia. Dal 1561 fino alla morte (1581) insegnò
lingua greca a Ginevra dove strinse amcizia con il grecista e teologo Teodoro di Beza. Cfr. Dizionario storico
portatile cit., ad vocem; Storia della Letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, t. VII, Dall’anno MD fino
all’anno MDC, pt. III, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano 1824, pp. 1598-1602; Joseph Sturm,
Beiträge zur Vita des Humanisten Franciscus Portus, Königl. Universitätsdr., Würzburg 1903.
77
Il commento di Porto fu pubblicato in DIONUSIOU PERI UYOUS UPOMNHMA. Dionysii Longini De
Sublimitate Commentarius, quem nova versione donavit, perpetuis notis illustravit, & partim manuscriptorum
ope, partim conjectura, emendavit […] Zacharias Pearce […], editio tertia. Accessit Fr. Porti Cretensis in
Longinum Commentarius integer, nunc pimum editus, Apud R. & J. Wetstenios & G. Smyth, Amstelaedami
MDCCXXXIII.
Angelo Cardillo
FRANCISCI PORTI, CRE- | TENSIS opera indstriáque illu trati | atque expoliti. | [marca tipografica] |
ANCHORA | IOANNIS CRISPINI. | M.D.LXX.
A c. II-IIII: F. PORTOU EPISTOLH. QEODWRQ. TW. BEZA. TWN EN GENEBH. EK-klhsiazóntwn
presÏti Frankísko ñ Pórto e*u práttein. [segue, I-II] Ioannes Crispinus eloquenti Studio is S. A c.
443 F.Porti Lectori. [segue] In Hermogenis Rhetoricem verbo rum et rerum singularium. Index.
[segue, frontespizio autonomo] DIONUSIOU | LOGGINOU | RHTOROS, PERI ;UYOUS | LOGOU
BIBLION. | DIONYSII LONGINI RHETORIS PRAESTANTIS- | SIMI LIBER, | DE GRANDI, SIVE
SUBLIMI | GENERE ORATIONIS. | In quo cùm alia multa præclarè ʃunt emendata, | tum veterum
Poëtarum verʃus, qui confuʃi | commixtíque cum oratione ʃoluta, minus in- | telligentem leƸtorem
fallere poterant, nota- | ti atque diʄtinƸti. | ADDITUS INDEX ME- | thodum totius libri, & ordinem
quæstionum | de quibus agitur, ipsámque rationem præce- | ptionum common trabit. | APUD IO.
CRISPINUM. M.D.LXIX. [segue] EK TWN SOUIDA perì Loggìnou. [segue, c.3-69] DIONUSIOU
LOGGINOU, PERI UYOUS LOGOU, BIBLAION. [segue, c. non num.] Index in Longini Rhetoricen, qui
78
vice earum Annotationum e e po sit quas Franci cus Robortellus huic authori addidit.
Pietro Pagani79 attese ad una ulteriore traduzione latina del trattato che uscì a
Venezia nel 1572 presso Valgrisi:
DIONYSII | LONGINI | DE SUBLIMI | DICENDI GENERE. | Liber | A’ Petro Pagano latinitate
donatus. | CUM PRIVILEGIO. | [Marca tipografica] | VENETIIS | Apud Vincentium Valgriʃium |
MDLXXII.80
Di questa edizione del Sublime si servì Tassoni a sostegno del suo antipetrarchismo in
polemica con Giuseppe Aromatari81.
Fin qui i testi82 in circolazione ai tempi della fatica longiniana di Giovanni da
Falgano. Un quadro completo della circolazione del Sublime e della relativa disponibilità
78
Porto introduce nel testo la paragrafatura a proposito della quale Rostagni scrive: “Sectionum sive capitum
perversa divisio – quam si liceret, libenter abiceremus – editioni debetur F.Porti. (Anonimo, Del Sublime,
Testo, traduzione e note di Augusto Rostagni, Istituto Editoriale Italiano, Milano 1947, p. XLIV). Il commento
di Porto al testo di Longino è nella Biblioteca Estense di Modena, Ms.  S. 3. 18 (Campori App. 432) sul
quale cfr. Appendice prima al Catalogo dei codici e manoscritti posseduti dal Marchese Giusepe Campori
compilata da Raimondo Vandini, Modena 1886, n. 432, p.152: Porto Francesco, Commentaria. Cod. cart., in
fol., cc. 261, sec. XVI. “I commentarii che si leggono, grecamente scritti, in questo Codice sono due, l’uno in
‘Hermogenis ideas’ l’altro ‘in Dyonisium Longinum de grandi sive sublimi dicendi genere’ entrambi ricordati a
p. 280 vol. 5 del Dizionario storico portatile ecc. stampato in Napoli nel 1762”. Cfr. anche Kristeller, Iter
Italicum cit., I, 388.
79
Bellunese di nascita, si sa che nel 1566 tenne la cattedra di “belle lettere” a Vicenza. Cfr. Paolo Calvi,
Biblioteca, e storia di qe’ scrittori così della città come del territorio di Vicenza che pervennero fin’ad ora a
notizia del p.f. Angiolgrabiello di Santa Maria Carmelitano scalzo vicentino, Giovan Banttista Vendramini
Mosca, Vicenza 1772-1782, ad locum; Florio Miari, Dizionario storico-artistico bellunese (Tip. di Francesco
Deliberali, Belluno, 1843-44), ora Forni, Bologna 1968, ad vocem e Cronache bellunesi inedite (Tip. di
Francesco Deliberali, Belluno 1865), ora Forni, Bologna 1969, p. 209.
80
A p. 2, dedicatoria: ‘Illustrissimo atque Sereniss. Venetae Reip. Principi Aloysio Mocenigo. Petrus
Paganus. Cum uperioribus annis, Amplissime ac Illustri . Princeps, e greco in latinum converti em Dionysij
Longini librum […]; expl.: Venetijs. V Cal. Martij. M.D.LXXII. [pp. 5-50] Testo e ‘Finis’ Segue, con un vistoso
segno di cancellatura, Errata et Praetermissa in hoc libello Leggo da un esemplare della Biblioteca Angelica
di Roma segn. Rari I 513/1.
81
Sulle presenze longiniane nell’opera di Alessandro Tassoni si veda Gustavo Costa, Appunti sulla fortuna
dello Pseudo Longino nel Seicento: Alessandro Tassoni e Paganino Gaudenzi, in “Studi Secenteschi”, XXV,
1984, pp. 123-143.
82
Per completare il quadro delle edizioni del Sublime precedenti la versione italiana, va indicata quella, con
traduzione in latino, curata da Gabriele De Petra che non presenta novità di rilievo rispetto alle precedenti,
ma introduce nelle singole sezioni gli argomenti:
DIONUSIOU | LOGGINOU | RHETOROS, | PERI | 0 youj lógou biblgíon. | DIONYSII LONGINI |
Rhetoris praeʄtantiʃʃimi liber, | DE GRANDI, SIVE SUBLI- | mi genere Orationis, | Latinè redditus,
Angelo Cardillo
d’uso, chiarisce anche l’importanza del suo volgarizzamento in un clima di interesse
generale nei confronti di Longino anche se bisognò attendere il 1639 per la prima
traduzione italiana ad opera di Niccolò Pinelli83
DIONIGI LONGINO | RETORE. | DELL’ALTEZZA DEL DIRE | Tradotto dal Greco da | D. NICCOLO’
PINELLI Fior. | Dottor di Legge e Primo Lettore | Nell’acad. D. Nob. Ven. In Padoua. All’Illu tri s. e
Reuerendi s. Mon ig. | BENEDETTO ERIZZO | Abate e Primicerio di S.Marco. | [Marca tipografica] |
In Padoua, per Giulio Criuellari·1639· | Con licenza de’ Superiori.
Se si considera che la traduzione di Falgano è del 1575, sessantaquattro anni
prima di quella di Pinelli, è meritoria la cura del nostro per un testo che costituisce un
tassello di non poco conto nell’approfondimento dell’articolato rapporto tra mondo classico
e modernità lungo l’intero arco del XVI secolo.
*
*
*
Una ricognizione delle opere di Giovanni da Falgano allo stato fornisce i seguenti
risultati84:
Firenze, Biblioteca Nazionale
II III 34 (Magl. XII 48)85
(Titolo e nota di possesso, sul primo di due fogli interfogliati, di dimensioni minori rispetto agli altri). Al centro,
in alto, ‘No <canc. 160> 159. Iamblico de Misterij degl’Egitij tradotto di Greco in latino da Marsilio ficino, et
hora dal latino in Toscano da Gioi. di Niccolò da falgano fiorentino, et il Pimandro del medesimo tradotto da
Tommaso Benci. (In calce) Del Sen.re Carlo di Tommaso Strozzi 1670’.
86
Cart., in fol. (340x240), sec. XVI, rileg. membr. sec. XVII . Il Ms. reca in principio un foglio di guardia e 6
fogli scritti in bella grafia da un compilatore che ne ha redatto con cura l’indice in latino; 7 ff. b.chi in chiusura.
All’inizio, su ff. non numerati: ‘Operum series: 1.Falgano (Niccolò di F. Giovanni da Setaiuolo; Libro di
Debitori e Creditori della sua bottega, dal dì primo di novembre 1541 al dì 22 novembre 1543 (Cod. integer
chart. In fol.,foll. 79 a Nicolao de falgano primum officinae negotiis destinatus, Deinde a filio Ioanne, qui
codicem magna ex parte vacuum, iure haereditatis obtinuit versione Iamblichi repletus). A fol. 1 recto ad 9
rectum. Manu ipsius Nicolai. 2. Iamblico, De Misteri degli Egizi, Caldei e Assiri, tradotto dalla versione Latina
del testo Greco, di Marsilio Ficino in Lingua Toscana da Giovanni di Niccolò da Falgano. A fol. 10 recto ad
72 versum. Autograph. Saec. XVI vergentis ad exitum. 3. Ficino (Marsilio) Argomento sull’opera precedente
di Iamblico tradotto dal Latino in Toscano da Giovanni da Falgano. In fol. 73 recto. Char. Idem. 4.Ficino
(Marsilio) Lettera dedicatoria della sua traduzione latina di Iamblico al cardinale Giovanni de Medici (postea
Leo X) tradotta in Toscano da Giovanni da Falgano. In fol. 73 verso. Char. Idem. In fine Inquisitionis
øpoqésesi sunoptikaîj & ad oram | notationibus aliquot illuʄtratum | A | GAB. DE PETRA Professore
Gr co in | Academia Lau annen i. | [Marca tipografica] | GENEVÆ, | APUD IOANN. TORNÆSIUM. |
CIƆ. IƆCXII.
83
Dizionario storico portatile cit. ad vocem: “Dottor di legge e primo lettore nell’Accademia dei nobili
veneziani”, Niccolò Pinelli, erudito ecclesiastico del XVII sec., oltre a Longino, legò il suo nome ad un’opera
di Onofrio Panvinio: Onufrii Panvinii Veronensis de ludis circensibus, libri 2. De triumphis liber unus […],
Pietro Maria Frambotto, Padova 1681.
84
Ho seguito l’ordine cronologico laddove è stato possibile grazie alle datazioni indicate nei testi ed ho posto
in coda quelli che ne sono privi. Nella trascrizione ho seguito un criterio assolutamente conservativo nel
rispetto della volontà dell’autore e della filologia cinquecentesca, ritenendo anche che qualsiasi intervento
avrebbe snaturato la finalità documentaria di questo lavoro.
85
Pur mancando di data, questo Ms. apre l’elenco a segnalare che è l’unico con segni, di sicuro autografi, di
un imminente progetto editoriale poi non realizzato per motivi che sfuggono.
86
Catalogo dei codici della Libreria Strozziana comprati dopo la morte di Alessandro Strozzi da S.A.R. Pietro
Leopoldo Granduca di Toscana, e passati alla pubblica libreria Magliabechiana […] compilato dal
bibliotecario […] Ferdinando Fossi nel 1789, catalogo manoscritto, B.N.F., ad locum.
Angelo Cardillo
appobatio pro impressione legitur: “Scil. Fr.Franciscus de Pisis Generalis Inquisitor Dominii Florentini
licentiam imprimendi concessit. Fuit Nicolai de Falgano, Ioannis notarii Florentini fil. ut ex Num. 1 adparet.
is
Ioannis de Falgano Nicolai fil. Cod. a fol. 9 verso scriptoris, Caroli Strozzae Senatoris, Thomae fil. anno
87
1670, ut praenotatur et haeredum’. Seguono 9 ff. con doppia numerazione antica in alto a ds. contenenti il
libro di debitori e creditori di Nicolò di ser Giovanni da Falgano dal giorno 1 nov. 1541 al giorno 22 nov. 1543.
A f. 10r, al centro, ‘IAMBLICO DE’ MYSTERII’ e sotto, ‘Della cognizione delle cose divine’; specchio
339x210, mediamente di 30 linnee. Inc. Furono dalli scrittorij Egiptij come quelli che tenevano Mercurio di
ogni cosa inventore […]. A f. 72v ‘Il fine’. A f. 73r ‘Argomento sopra il libro di Iamblico’. A. f. 73v traduzione
della lettera di dedica di Marsilio Ficino: ‘Marsilio Ficino Fiorentino. Al R. mo in Christo Padre S. Giovanni
Medici della santa Romana chiesa Cardinale supplichevolmente si raccomanda. Inc.: Havendo io deliberato
scrivere a V. S. Ill.ma una lettera p(er) rallegrarmi seco de la degnità del cardinalato che poco fa conferita le fu
[…]; expl. […] era per exprimere a V.S. con brevi parole che parere habbiano d’intorno alla religione et alle
88
cose divine havuto gli Egyptij et gl’Assiri sacerdoti.
Magl. VI 31
[Demetrio Falereo, Della Eloquenza89. Ippolito. Canzone in morte di Cosimo I]
Cart., in fol. (275x210), sec. XVI, ff. 126, rilegato in cartapecora. Su foglio di guardia: Demetrio Falereo
tradotto da Gio: da Falgano | Ippolito Tragedia di Euripide tradotto dal medo e che <ill.> | Canzone in morte
di Cosimo Primo del M(edesi)mo e che <ill.>. Il Ms. consta di due parti: una prima, ff. 1r.-70v., presenta
scrittura regolare e composita in tutto il testo; specchio mm.150, 22-24 linee di scrittura più o meno costanti;
una seconda, ff.73r.-125v. (ampiezza 213x285), di mano diversa da quella precedente, presenta scrittura
irregolare con frequenti cancellature e rifacimenti; numerazione coeva coerente, ff. 1r.-125v. Sul dorso
(molto deteriorato) ‘Falgani | Demetrii | Falereo | e Altro || Il DEMETR Faler della <ill.> Mag in Ital GIO da
FALGANO | EURIP. Ippolito <ill.> canzone del med.mo Autore. A f.1 ‘Di Demetrio Phalereo della eloquenza’.
[Inc.] Si come ogn’uno in ogni poema con le orecchie il tener delle sillabe […]. [Expl.] (f. 70r): […] perché
87
Il codice era pronto per la stampa. Infatti a f. 73, accanto ad ‘Argomento sopra il libro di Iamblico’, in alto a
sn. si legge ‘2a In antico de Bagni, o comune’ (con evidente accenno alla collocazione della pagina nella
stampa del libro ed al carattere da usare); sul verso, a ds. della dedicatoria, si leggono ulteriori indicazioni
sul carattere tipografico e, nella previsione che tali indicazioni non avessero potuto aver seguito, è scritto ‘se
non, nel corsivo comune’. L’intero f.8v riporta vari schizzi di un progetto di frontespizio. Nell’abbozzo di un
fregio che richiama la forma di un capitello è ‘IAMBLICO’ seguito da ‘DE’ MISTERII DEGLI | EGIZII | DE
CALDEI | DEGL’ASSIRI | Dialogo | L’Esculapio di Mercurio Trimegisto | Nuovamente volgariz <macchia
d’inchiostro; sott. ‘volgariza’ e corr. a margine sn. ‘tradotto’> da | GIOVANNI DI NICCOLO’ DA FALGANO |
Et il Pimandro del medesimo tradotto | da Tom(m)aso Benci | In testa alla pagina ‘Prima ci va l’epistola et
Proemio che non alla fine di q(uest)o libro’. A margine ds. del primo abbozzo ‘Iamblico DE’ MISTERII degli
Egizij tradotto di greco in Latino da Marsilio Ficino ed hora dal latino in toscano da Giovanni di Niccolò da
Falgano’]. Nel codice, come avverte il compilatore dell’indice in latino, manca la traduzione del Pimandro ad
opera del Benci.
88
Giamblico, filosofo neoplatonico di Calcide in Siria vissuto tra il 250 e il 325 d.C., allievo di Porfirio, mediò
la filosofia neoplatonica con elementi caldei ed egizi coltivando anche interessi per la magia. Gran parte
della sua produzione è andata perduta o è giunta lacunosa. Integro è il trattato di filosofia religiosa De
mystériis di cui Marsilio Ficino diede una versione latina dedicata a Giovanni dei Medici sulla quale Giovanni
da Falgano ha condotto il volgarizzamento.
89
La traduzione volgare del trattato di Demetrio nel corso della seconda metà del 1500 è stata condotta, con
esiti diversi, da Marcello Adriani, da Lorenzo Giacomini e da Giovanni da Falgano (sui tre volgarizzamenti
cfr. il mio Demetrio, Perì ermenèias cit.). I primi due autori hanno riscosso in diverse epoche consensi
unanimi per il loro lavoro; Giovanni, invece, è stato oggetto di apprezzamenti poco lusinghieri e talvolta
valutativamente non giustificati, come il giudizio di Giuseppe Montani che in una sua memoria
dell’Accademia della Crusca fa un confronto tra le tre traduzioni. Dopo aver tessuto le lodi di Marcello Adriani
e della sua attività di traduttore dei classici, a proposito del trattato di Demetrio scrive: “Nella traduzione di
questo Trattato egli ebbe a competitori Piero Segni, che tutti conoscono, Gio. Da Falgano, che molto non
importa conoscere, e Lorenzo Giacomini, assai più degno d’essere conosciuto […]. La traduzione del
Falgano, […], fatta dal latino, e piena di studiosi ornamenti, è molto inferiore a questa del Giacomini, né
probabilmente uscirà mai dalla Magliabechiana ove si custodisce. Quella del Segni, già stampata e
adoperata pel Vocabolario, le è certamente superiore per disinvoltura e per eleganza. [Articolo firmato M.]
Giuseppe Montani, Atti dell’I. e R. Accademia della Crusca, in “Antologia”, t. XXXIX, lug.-ag.-sett. 1830,
Gabinetto Vieusseux, Firenze 1830, p. 108 e sg.
Angelo Cardillo
amendue queste malvagie razze l’una a l’altra in un certo modo si giacciono a lato. A f. 70v “Questa
traduzione la credo certam(ent)e di Gio(vanni) da Falgano, e, siccome attesta Mons(igno)re Girol(am)o da
Sommaia in certe sue memorie manoscritte, era nella Guardaroba del Granduca, e che non vi si trovando
più, si dubitò che non l’avesse Bonifazio Vannozzi Pistolese quando prese di d(etto) luogo molti libri per
servizio del Principe D. Francesco. Vi era anco un opuscoletto De scribendis Epistolis. [Le stesse notizie si
leggono in una scheda probabilmente del Sommaia a f. 126v, foglio incollato agli altri quinterni e datato 4
luglio 1627]. A f. 71r-72v (la grafia è diversa), è la dedica autografa dell’Ippolito di Euripide ad un
personaggio non identificabile con sicurezza (Dionigi Lippi?): ‘Molto Mag.co et Rdo Sig.r mio Ossmo. Mando a
V.S. l’Hyppolyto d’Euripide con la corona di fiori ch’egli di sua mano presenta a Diana. Il quale Hippolyto a
quei tempi essendo un vero exempio di castitade, molt[o] più arditamente che io non farei, harebbe potuto
venir a trovar V. S. in villa, et andar seco a diporto direi anche, aitarle a dir l’offizio s’havesse havuto il lume
de la fed[e]. L’assicuro ben V.S. , che se io l’havessi così ben tradotta con la vita et co i costumj, come mi
sono sforzato di tradurlo con le parole sarei più presto venut’io a trovarla. Hora, poi che io non son’
un’Hippolyto, né m[en] mi curo di essere, V.S. accolga con lieto ciglio in mia vece la presente tragedia, et
con lei si passi queste sì lunghe notti, et mi habbi per escusato, se io non have(n)do da impiegarmj in più
honesto negotio, in così fatti studi mi vo trapassando quest’oti[o]. [71v] E di vero, poi che l’ingegno mio non è
tanto sottile ch’egli arrivi e penetri il petto di Aristide, <canc. che cosa> qual’arme poss’io maneggiare che
più serva a strerpare de l’animo le spine de gli affettti che le tragedie d’Euripide philosopho scenico? Volesse
Dio, che tanto io fussi in gratia de’ gentil’huomini, quanto legge(n)do questa potranno eglino liberarsi da
l’haver compassione di coloro a i quali facendo professione di Vergini et casti, et sopra ogn’altro nemici de le
donne intervenisse qualche grave disgratia, tanto miserabil’è quella che interviene al tropp’honesto Hippolyto
da la sua ombrosa quadriga miseramente strascinato. Volesse Dio che così m’amassino le gentildonne
come per questa medesima elleno si potranno render sicure di non si lasciar’ cadere ne l’amor di cotali
persone, sì spaventevole exempio lascia loro di sé la disperata Phedra. Volesse Dio che io trovassi mercede
d’ogni mio fallo commesso in tradurla appresso a i dotti miei maggiori, sì come qual(si)voglia padre potrà da
lei stessa di leggier imparare a non correr a furia a maladir’ i figliuoli, con tale rovina si pente al fin Theseo
d’haver maladetto il suo. Ma io certo non merito né grazia né amor né mercede appresso veruno, se V.S.
non mi fa trovar’ per sua grazia tutte a tre queste grazie col tenerl’appresso et esser servita di avvertirme
dove o troppo scuri siano i sensi o troppo duri siano i versi. I quali duoi mali credo io senz’alcun dubbio, che
le habbino occupato tutte le membra in guisa che molto più da me lacero, che da le sue cavalle non fu,
potrebbe ad Euripide parere il suo Hippolyto. Con ciò sia che io mi sia messo a tradurla da poi che ’l S.re
Pietro Vettori la cominciò a leggere un’ mese fa. Di gratia dunque V.S. non la mostri, insin che ’l lume del
Vettorio ricevuto da me ne lo stare ad ascoltarlo la illustri et la corregga in modo che ella possa esser’ degna
di farsi scudo del nome suo. In tanto pregando Dio che a lei dia il modo di poter esser chorago di qual’ si
voglia bella tragedia et a me assottigli l’ingegno in guisa che non pur’ ben’ tradurre le altrui antiche, ma
comporne possi da me de le nuove, le bacio humilmente la mano et di cuore mi raccoma(n)do. Di Firenze, il
dì detto. Di V. S. Rda Devoto S.re Giovannj Falganj’. Segue il testo della tragedia fino a f. 118v dove, in
subscript. ‘Di Firenze il dì xij d’ Octobre M.D.LXXJ. Di V. S. Reda Devoto Sre Il Traducente. A f. 119r ‘In morte
del Sereniss(imo) Cosimo Medicj Granduca di Toscana’. (Inc., f. 120r.) Te de le Muse padre altisonante […]
(expl., f.124v. ‘Per tor la luce al sol, perdé suoi lumi). A f. 125r è il sonetto ‘Fulmin di guerra, horror del fiero
scyta’ e sul verso è una strofa di un testo evidentemente rimasto incompiuto: ‘Qui nel mondo, el mondo’ […];
90
expl. ‘Dissi alla sua grand’alma; anzi al suo Dio’.
Magl. VIII 46
[Variourum, opuscula varia. G. Falgano, Ecuba (ff.238-279) ]
90
Cfr. Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, a cura di Giuseppe Mazzatinti e Fortunato Pintor,
vol. XII, Olschki, Firenze 1902-1903 (ora 1987 rist.), pp. 131-132. Per il testo di Demetrio del Ms., si vedano
B. Weinberg Translations and Commentaries of Demetrius, On Style to 1600: A Bibliography, in “Philological
Quarterly”, XXX, 1951, 4, pp. 353-380 e B.Weinberg, A History of Literary Criticism in the Italian
Renaissance di Bernard Weinberg, voll. I e II, The University of Chicago Press, Chicago 1961 e Demetrius
Phalereus, in Catalogus translationum et commentariorum: Mediaeval and Renaissance Latin translations
and commentaries, vol. II, a cura di Paul Oskar Kristeller e F. Edward Cranz, The Catholic University of
America Press, Washington, 1971, pp. 27-41; Mario Emilio Cosenza, Biographical and Bibliographical
Dictionary of the Italian Humanists and of the World of Classical Scholarship in Italy, 1300-1800, G. K. Hall
& Co., Boston, Massachusetts 1962, vol. II, p. 1616. Maria Catapano ha curato l’edizione critica di questo
testo di Demetrio nella sua tesi di dottorato in Italianistica discussa presso l’Università di Salerno nell’aprile
del 2009. La canzone in morte di Cosimo I è stata oggetto di uno studio da parte della stessa Catapano
pubblicato negli atti on-line del Convegno dell’ADI tenutosi a Napoli nel 2007: Giovanni Falgano, Rime in
morte di Cosimo I de’ Medici (www.italianisti.it/FileServices/25%20Catapano%20Maria.pdf).
Angelo Cardillo
Cart., in 8o (300x122), secc. XVI-XVII, ril. in cartap., antica numerazione coerente in alto a ds., ff. 345 più 1 f.
b.co all’inizio e 6 in fine; mancano i ff. 184-187; b.chi i ff. 233-237; all’inizio è l’indice dei testi su 2 ff. non
numerati scritti r. e v. ai quali seguono 2 b.chi. A f. 238r in testa, al centro, di mano diversa da quella del
ia
testo di Ecuba (sembra la stessa mano che compila l’indice del vol.) ‘Di Gio: Falgani a Gio: da S [forse
91
abbr. ‘Sommaia’] e subito sotto è la dedicatoria mutila dell’incipit: ‘[…] piacere a loro, ed acquistarmi, p(er)
sì fatta via la lor buona gratia. Dio dunque la facci potere quel ch’ella vuole, p(er)er farmi vivo al mondo; ed a
me facci tanta grazia, che mentre io mi procaccio honorevol’ vita e non si dica che io mi sia da per me
oscurato et morto. Et p(er)ché V.S. non solamente rende vivi et mantiene i poveri e miseri amicj suoi, ma col
suo giudicio et sua virtù crea, forma e nodrisce poeti, deh, di grazia sostenga con sua mano Hecuba che
cade, non come mia, che basta ben tanto ch’ella sostenti me, che insieme con essa com’humil S(ervito)re le
bacio le manj, ma come cosa sua et acquistata con lo stocco del suo giudicio, et cresciuta de la sua propria
vena, et come sua schiava <ch’io, canc.> seco la meni, et contro a tutti i Polymestori gli faccia ragione.
Massimamente essendo ella certa, <ch’a, canc.> sì come io son certo lei non essere Agamemnone, che ad
essa non è p(er) intravvenire quel che a lui, che p(er) le mani della sua Donna cadde morto. Dal Poggio. Il dì
XXIIII di settembre 1572’. D.V.S. Affezzionatiss(im)o S(ervito)re Giovannj Falg(an)i. <A margine s/n. ‘Poggio
alle Sieci 1572’>. Segue, ff. 238v-239r, ‘Argomento di Hecuba Tragedia’; a 239r indicazione del luogo dove
si svolge la scena e locandina dei personaggi; dal f. 253 al f.278 sul recto di ogni facciata compare la data
‘1572’ di mano diversa da quella del traduttore, ma la stessa che scrive le testatine ‘Hec. a trad.tta Dal Falg.i. A
f. 240r, a mg.sn.,’Ombra di Polydoro’; poi incipit: ‘Di là, dove lontan’ da gli altri Dei / Alberga il gran Pluton, il
Re de l’ombre / […]. A f. 279r., expl. ‘[…] La libertade / È per noi morta.Ilion dat’ha [‘]l crollo, / Chiniam,
chiniam il collo, / Che sforzar non si può necessitade.
Firenze, Biblioteca Riccardiana
Ricc. 279892
ANGELJ PIETRO DA BARGA, POEMA DELLA CACCIA, tradotto in versi sciolti [da
Giovanni di Niccolò da Falgano]93
Cart., in fol. (mm. 250x200), rilegato in pergamena, sec. XVI, ff. 270 secondo una numerazione antica
incoerente; nuova numerazione a stampa (nel foglio in basso a ds.) da 1 a 242; guardia alla fine. Modulo
grafico chiaro, senza segni di cancellatura se non in qualche sparuto caso di lapsus calami. Specchio
regolare di mm.130 e mediamente 15 linee per foglio. In testa al f. 2: Della Caccia di M(esser) Pietro Angeli
da Barga | Lib.primo | Tradotto di versj latini Heroici in versi Toscani sciolti. [Inc.] Buon cacciator, in qual’arti
si deggia / Avvezzar a sudar da’ suoi prim’ annj; […]. [Expl.] (f. 270) E della guerra nuova gloria, COSMO.
All’nizio, su f. non numerato, ‘Molto Magco, et Redo Sigre Abbate Sig. Alexandro Puccj Sig. mio Ossmo Mando
a V.S. i sej librj della caccia, ch’ella m’impose, che io traducessi in versij toscani sciolti. Et p(er)ché l’autore,
mo
che li compose in versi heroicj latini, li mandò in luce sott’il nome del Sereniss Granduca passato, parmj
haver’ fatto bene a mettere loro in fronte la lettera, che gli indrizza al Granduca nostro presente, Serenissimo
Francesco. Se dunq(ue) le piace l’opera, vengamj <canc.ill.> quanto prima il promesso premio; quanto che
91
È verosimile che l’abbr. ‘Sia’ stia per ‘Sommaia’ considerato che è della stessa mano che scrive ’Epitaphio
nella Minerva’ a f. 307 e ‘Osservationi di Fisionomia’ da f. 307v a 309v; la stessa abbreviazione scritta dalla
stessa mano compare a f. 310v dove, in chiusura di una ‘Mem.ia della Famiglia da Sia’ in calce è sciolta
‘Greccio d’Andrea da So(m)maia. Il dedicatario dell’Ecuba, quindi, è verosimilmente Girolamo da Sommaia.
92
Cfr. Giovanni Lami, Catalogus codicum manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Fiorentiae
adservantur […], Antonio Santini & Soci, Livorno 1756, p. 30 e Inventario e stima della Libreria Riccardi.
Manoscritti e edizioni del s. XV, [s.n.t.], Firenze 1810, p. 55; Kristeller, Iter Italicum, cit., I, p. 183).
93
Pietro Angeli (Barga 1517-Pisa 1596), noto anche come Petrus Bargaeus, allievo di Romolo Amaseo a
Bologna, ricoprì incarichi diplomatici a Venezia dove conobbe Aretino e successivamente insegnò filologia
classica a Reggio Emilia e poi a Pisa. Oltre al Perì hermenèias, tradusse l’Edipo re di Sofocle, scrisse un
commento ad alcune orazioni di Cicerone, compose numerose liriche di argomento amoroso e pastorale
pubblicate in Petri Angelij Bargaei Poemata omnia, ab ipso diligentiss. Recognita […], eredi di Bernardo
Giunta, Firenze 1568. Scrisse […] Cinegetica […], Sebastien heritiers Gryphius, Lugduni 1561 e […] De
aucupio liber primis […], eredi di Bernardo Giunta, Firenze 1566, due componimenti di uccellagione. La sua
collaborazione con Sperone Speroni e con il cardinale Gonzaga alla revisione della Gerusalemme Liberata
fu particolarmente apprezzata da Tasso. Compose in latino la Siriade, poema epico in undici libri (Petri
Angelii Bargaei Syrias hoc est Expeditio illa celeberrima Christianorum principum, qua Hierosolima ductu
Goffredi Bulionis […], Filippo Giunta, Firenze 1591).
Angelo Cardillo
non, né a me né al libro innocente non ne dia pena. Anzj mi tenga in grazia sua sì come io prego dio che le
re
conceda tutte le grazie del cielo. In Fiorenza il dj xxij di Dicembre 1574. D.V.S. Devoto S Giovanni di
Niccolò da Falgano’. (f.1r e v) ‘Serenissimo Granduca dj Toscana. Ecco a V.A.S. la caccia di M. Pietro Angelj
da Barga da me così tradotta; a fine, che havendo la Toscana sì belle caccie non le manche chj ne ragione
nella sua lingua ancora. e V. A. sapendo che le fere che si prendono nelle libere campagne sono più belle
morte che quelle de’ parchi vive, dia volentier’ licenza alla gioventù fiorentina, che vada a caccia per tutto: sì
che exercitandosj in sì nobile exercizio a tempo di pace, possa meglio servirle a tempo di guerra. Hora,
perché io non ho il modo dj nudrire canj et cavallj, le supplico humilmente, che ella per grazia sua mi dia
tanto che io essendo tal’hora vago d’andare a caccia [1v] non habbia ad osservare, come cane le mense
altruj, o veramente standomj in otio, non divenga come pertica di legno senza senso. Et però baciandole
quella invitta mano le prego da Dio, quanto ella desidera’. In Fiorenza. Il dì xxij di Dicembre M.D.LXXIIII.
mo
mo re
o
D.V.A.S. Humiliss & devotiss S Giovanni di Niccolò Da Falg .
Firenze, Biblioteca Nazionale
II I 191 94
Cart., sec. XVI, in fol. (310x230), leg. in cartapecora, ff. 80 numerati in alto a ds., due ff. all’inizio privi di
num. e due alla fine. Sul recto del secondo, all’inizio ‘La passione di Cristo. Tragedia di San Gregorio
Nazianzeno intitolata Cristus Patiens. Tradotta da Giovanni di Niccolò da falgano. Originale’. Modulo grafico
chiaro ed omogeneo, tranne qualche segno di cancellatura. Specchio 310x125 e mediamente 25 linee di
scrittura per pagina. Sul recto del terzo foglio, dedicatoria: ‘Serenissma Sig.ra Questo giorno, che ne ricorda
come CHRISTO fu in croce, mj fa presentare a V.A.S. CHRISTO PATIENTE tragedia del santo Gregorio
Nazianzeno da me tradotta in versi tosca[ni] scioltj. Hora perché il medesimo giorno richied[e] che questa
insieme con altri divinij offici si legga, <…> et ascolte, senza troppo lunga supplica prego V. <…> che si
degne accettare questo mio picciolo dono, et umilmente le bacio la mano et prego Dio, che le dia felice
parto, et felicissima vita. In Fiorenza. Il dì po d’Aprile M.D.LXXV. Di V.A.S. Humiliss.mo et devotiss.mo Sre
Giovannj di Niccolò da F<…>’. (ff. 1-2r) ‘Argomento’; inc.: Poscia ch’avendo tu ben ascoltato | I poemi che
già da pio composi; expl.: Il Vergine Discepolo, et le Donne, | Che con la madre son’ di CHRISTO insieme.
(f. 3r) Christo Patiente. Tragedia di S. Gregorio Nazianzeno Theologo. [Segue locandina dei personaggi]. (f.
3v) Inc.: Non posse maj fra i fior’ l’horrido serpe; (f.78v), expl.: Di sciorre il nodo che quest’alma aggrieva.
(ff.79-80), [in alto al centro] ‘Canzone tradotta da gl’ultimi versi della tragedia di Gregorio Nazianzeno’. Inc.:
O veneranda, o veneranda madre; expl.: S’hor io lo mando su ’n ciel, <.> no ’l renda <…>.95
II IX 22
Libro di Luciano del modo di comporre la historia, tradotto da Giovanni di Niccolò da
Falgano con lettera dell’ultimo di marzo MDLXXVI a m. Sebastiano Antinori.
Cart., in 8o (210x150), ff.29 numerati modernamente, 3 b.chi alla fine; modulo grafico elegante, senza
cancellature, come in esemplare di dedica; specchio 111x160 mediamente di 21 linee per pagina. Sulla
r
co
mo
guardia: ‘Del D. Bandieri’. A f.1, dedicatoria: ‘Mag. Signor mio osser. M. Sebastiano Antinori. Sì come
Luciano non volle scrivere la Historia, ma scrisse del modo di comporla, così potrà vostra Signoria, come
quella, che intende bene la Lingua Greca, in vedendo hor’ questa, hor’ quella traduttione ridersi de’
Traduttori, [a mg. ds.] <ma scriver ella del modo di tradurre> a fine che molti, fra’ i quali son’ forse anch’io,
facciano acconciamente tal mestiero, o veramente ad altro attendano. Pertanto ella mi scusi, se per satisfare
a lei come a mio Maggiore mi son’ messo a fare ufficio di certi, traportando in questa Lingua il ‘Modo di
comporre l’Historia’ senza scriverla. Imperò che la mia traduttione viene ad esser tale, che mal potrà auzzare
gl’altri se no(n) a darmi contro. Ma perché dove è la mia scusa, ivi ancora voglio, che sia la mia difesa. A Lei
mi raccomando et prego Dio, che la faccia potere tanto, quanto ella vuole. In Firenza il Dì ultimo di Marzo.
MDLXXVI. Di V.S. Devotissimo Servitore Giovanni di Niccolò da Falgano. A f.2r ‘LIBRO DI LUCIANO | DEL
Modo di comporre la Historia’. Inc.: Al Tempo che Lysimacho già regnava venne addosso agli Abderiti
(secondo che si dice o bel Philone) una certa malattia così fatta. A f. 29v, Expl.: […] ella potrebbe andare
94
Cfr. Bartoli, op. cit., III, pp. 168-169 Cfr. Caciolli, Due sconosciuti cit., p. 163, n. 13.
Il Ms., restaurato nel 1988, presenta diffuse macchie d’acqua ed in più punti evidenti guasti del foglio
(segnalati con le par. uncinate) che rendono problematica la sicura lettura del testo.
95
Angelo Cardillo
bene , et da voi verrebbe ad esserne scritto; secondo il dovere, quanto che no(n) si è pur’ dato la volta al
96
Doglio in su ’l Monte Cranio. IL FINE.
Magl. Banco rari 63
[Quattro camice contenute in una cartella moderna racchiudono fogli singoli, duerni e quaderni. La prima
camicia, segn. 1-4, contiene 12 ff. recanti versi di Marco Lamberti e Filippo Baldinucci. La seconda, segn. 56, contiene 10 ff. così suddivisi: num. d’ordine 5, Falgani Giovanni (Giovanni di Niccolò da Falgano),
Canzone sopra la Serenissima madonna Margherita Valesia Duchessa di Savoia e di Berry. Firenze 3 aprile
1577 (ff.6); num. d’ordine 6, [Falgani Giovanni…] Un testo in prosa (ff.4). La terza, segn. 7-13, contiene 9 ff.
relativi a vari componimenti in versi in latino di varia struttura e metro, alcuni firmati Marcello Adriani ed altri
privi di indicazioni, elencati ai numeri d’ordine 7,8,9,10,11,12,13. La seconda, segn. 14-19, contiene 12 ff.
relativi a componimenti in versi in latino ed uno in volgare di varia struttura e metro, indicati ai numeri
d’ordine 14,15,16,17,18,19. I testi relativi a Giovanni da Falgano sono in due quaderni separati, ciascuno
cucito con sottile filo di cotone, rispettivamente di ff. 6 (315x215), bianco il verso del f.1, e ff. 4 (320x230)
scritti su recto e verso. I fogli deI secondo quaderno presentano una scrittura molto fitta; non è indicato il
nome dell’autore né di che testo si tratti. Una mano moderna, a matita in basso a destra del primo foglio ha
scritto ‘Falgano’. Confermo che si tratta di uno scritto di Giovanni da Falgano. 97
co
r
r
mo
Primo quaderno. [Dedicatoria] ‘Molto Mag Sig Pietro Strozzj Sig. mio Oss . Io vj presento la canzone da
ma
me composta per voi sopra la sereniss Madama Margarita Valesia Duchessa di Savoia et dj Berry morta
un’anno fa, la quale secondo l’avviso che voi p(er) lettera n’haveste, fu donna di gran’ senno, et gran’ valore
et dj santissima vita, et però da me per tale si loda. Laonde essendo stata la sua morte di gran danno a i
sudditi, a i Principi, a i Cavallierj, alle Dame et sopra tutto al serenissmo Gran Duca di Savoia suo consorte, et
al Principe di Piamonte suo figliuolo, ho congiunto insieme col cordoglio la lode et la consolazione, et per
darle maggior autorità, ho introdotto a cantare i cielj i quali secondo Pythagora fanno dolcissima melodia la
quale se bene non s’intende da me che non ho intendimento sì sottile, che penetri sì alto et non so ch’altro
cantare “sol” “la”, potrà p(er) avventura intendersi da voi, che della Musica sì come di tutte le altre virtù
cogliete le cime. In somma la mia canzone tale quale ella è viene a voi. A voi sta il tenerla celata et il farla
palese a chi, dove et quando et come vi vien’ bene. In Fiorenza il dì iiio d’Aprile M.D.LXXVII. Di V.S.
Prontissimo Sre Giovannj di Niccolò da Falgano.
[Segue Testo] Inc.: Il mondo piange, il ciel’ allegro canta / MARGARITA, ch’al mondo i ben’ del cielo / Col
suo splendor mostrava; expl.: Tu tj muovj col ciel, Canzon; io resto / Quasi dell’alma terra inutil’ peso, /
impietrato et offeso / Dal partir’ dj costej troppo funesto. / O tu dunque con teco via me’ n’ porta / O con perla
simil’ mi riconforta.
Secondo quaderno. Inc.: In questa medesima vernata li Atheniesi per dare alla legge della patria d’intorno al
seppellire i morti compimento, publicamente a coloro che questa giornata di Marathona furono a morire i
primj […].
Pal. 22698
[Canzoniere di Giovanni da Falgano]
Cartac., in 4o (250x180), sec. XVI, legat. in cartone, costola in pelle recante fregi dorati, presenta due
quaderni, uno 210x141 sulla cui guardia è scritto ‘Canzone di Falgano’; doppia numerazione: una, originale,
da 1 a 49 compresi 8 ff. b.chi nel corpo (ff.17-21,39-41) ed uno alla fine; altra a matita sottostante la
precedente (1-40); un f. bianco all’inizio di dimensioni del cartone, non num., è parte della rilegatura. L’altro
quaderno, 240x175, consta di 24 ff. numerati a seguire i precedenti (50-73); anche la numerazione a matita
segue quella precedente (41-64). A metà del f. 6v: ‘Sopra il Gelsomino di Spa | gna di m(es)s(er) Gio(van)ni
Falgano’ | [segue firma in forma di sigla, e sotto] ‘Catalogna | Catalogna’, bianchi i ff. 7r e v, 16v, 26v. I ff. 66
e 67 sono di altra mano. Il codice è ritenuto autografo. Contiene: (ff.1r-5v), O tremolante Fior, che dj corona
[canzone]; (f.8r), Dea, che da saggia testa in testa vaga (sonetto); (f.8v), Se man, che da se stessa co’l far
96
Luciano di Samosata vissuto tra il 120-125 ed il 180 d. C.,poligrafo di cui è pervenuta una abbondante
produzione in prosa e qualche epigramma, è noto per i Dialoghi nei quali, con vena satirica, sono affrontati
argomenti religiosi e pragmatici. Scrisse, tra l’altro, PÏj deî ëstorían suggráfein, De historia conscribenda, in
cui confuta la storiografia in voga al tempo della seconda guerra partica e ƒAlhqÖ dihgÔmata, Verae
historiae, parodia dei romanzi d’avventura che nel periodo della Nuova Sofistica proliferarono oltre misura e.
Cfr. Albin Lesky, Storia della letteratura greca, vol. III, Il Saggiatore, Milano 1991, p. 1037.
97
Tucidide, Le Storie, II, 31 1 e ssgg.
98
È il primo di due Mss. di componimenti poetici di Giovanni da Falgano. L’altro è il Palat. 227.
Angelo Cardillo
pruove (sonetto); (f.9r), Innamorata Dea d’amicj mortj (sonetto); (f.9v), Dea, ch’ad anell’ ha ’ngemmate
cathene (sonetto); (f.10), Insegnar a te Dea, che ’nsegnj l’artj (sonetto); (ff.10v), Nè scholar, né “Doctor’, e
armario, o schuola (sonetto); (f.11r), Ogni legge ogni sal d’arte et scienza (sonetto); (f.11v), Se non
men’insegnar l’ari di guerra (Sonetto); (f.12r), Che di più prò et piacer et honore (sonetto); (f.12v), Alla
tranquill’a Dio corrente vita (sonetto); (f.13r), Mentre ch’a ’mparar’ penso, ecco mi pare (sonetto); (f.13v), Del
cieco di se stesso amor guarire (sonetto); (f.14r), A pen’ hora m’avveggio ch’i miej sensi (sonetto); (f. 14v)
Corti et consiglj et cittadj et Imperi (sonetto); (f.15r), [in alto, a centro pag.] Canzonetta allo Halcyone
<canc.’Alla canzonetta dell’Alcione’> per ottenere serenità. Inc.: Ecco del fiammeggiante al mio cuor mare
(canzonetta); (f.15v), Se di persona più che grazie grata (canzonetta); (f.16r), Se dunque dentr’a me canta
tranquilla (canzonetta); (f.22r), [Dedicatoria] Al Mol. Illustre Sig(no) re il S. Jacopo Corsj Sig. mio Ossmo. ‘Le
lodj del Sig. Giulio, suo Fratello, morto già in Hispagna, da me composte et ristrette in una Canzone, perché
amico m’era, et è et sarà sempre; vorrej, che si mantenessero per ricordo dell’amicizia nostra. Però a V.S.,
re
come a quella a cuj essendo tocco della morte del Sig. Giulio il maggior’ dolore, si conviene a ragione
ancora il principal’honore, volentieri le dedico, do et dono: baciandole la mano et raccomandandomj, et
pregandole da Dio ognj contentezza. In Fiorenza. Il dì M.D.lXXXVIIJ. Di V.D.S. Devotiss(i)mo G.F’. (f.23r-26r),
Quest’aria, ch’a me tiro (canzone); (f.27r), [in testa] Sonetto contr’ alle Spugne. Inc.: Spugne, s’io non vj
chiamo, a che venite; (f.27v), [In testa] Sonetto contr’al sospetto. Inc. O nato di viltad’, et pensier rio; (f.28r),
[in testa] Sonetto contro allo scherno. Inc. Scherno, che ’n crocj, e ’n retj occhiute tienj; (f.28v), [in testa]
Sonetto contr’a quelli che chiuggono. Inc.: Muro che mur’a te mi rendi, et scudo; (f.29r) [in testa] Per prego
all’obblio. Sonetto. Inc.: Obblio, ch’a nove d’Helicona Dive; (f.29v), [in testa] Per prego alla Necessità.
Sonetto. Inc.: O Dea, di crudi sforzi sforzatrice; (f.30r), [in testa] Per prego alla Verità. Sonetto. Inc.: Ciel’ et
mond, Universo; enti degl’entj; (f.30v), [in testa] Per prego alla Humanità. Sonetto. Inc.:Le loggie, gl’horti, i
calpesti Lycej; (f.31r), Per prego alle Muse et alla Poesi. Sonetto. Inc.: Da poi che, quant’a me dal vostro
monte; (f.31v b.co); (f.32r), O dj voltj, et di cuorj insiem’accoltj (sonetto); (f.32v), Quanta di Corti pompa,
quanti tondj (sonetto); (f.33r), Di Cerer, dj Dionyso, di Giove (sonetto); (f.33v), Da te dj raggi del ben viver
cinto (sonetto); (f.34r), Domin’ se chi tua lingua tien’a freno (sonetto); (f.34v), A fin che qual già colse l’ira
ultrice (sonetto); (f.35r), Vivace dj piacere in su’ piacere (sonetto); (f.35v), In superbi triomphi, in ampie feste
(sonetto); (f.36r), Il trar co’ dadi il magistero e ’l regno (sonetto); (f.36v) D’augelli, che pur già quai dolci vasi
(sonetto); (f.37r) Della di mense intorno cinta sala (sonetto); (f.37v), Ogni tuo membr’offerto ogni tua parte
(sonetto); (f.38r), La malsuada fame arida sete (sonetto); (f.38v), Qual tua fronte la man con Lymphe irrora
(sonetto); (ff.39-41b.chi); (f.42r), La virtù Duce, Contessa Fortuna (sonetto); (f.42v), Contea, se sempr’un’
huom trar vedj il fianco (sonetto); (f.43r), Varcherà tanto l’Hypocris’ il varco (sonetto); (f.43v), Se ’n fatiche
stanchevoli, se ’n pene (sonetto); (f.44r), Qual ogni Cont’a ’mperator Monarca (sonetto); (f.44v),
Can’instrumento di tyrannid’uno (sonetto); (f.45r), Non dolce Cytherea, né Ganymede (sonetto); (f.45v),
Entr’al tuo seno per compagnj maj (sonetto); (f.46r), S’al balzo ch’elm’ et chion’ al Conte cinge (sonetto);
(f.46v), Contea, sì com’il nome tuo promette (sonetto); (f.47r), Se ’n su’ tuoi balzi di tue prata ciglj (sonetto);
(f.47v), Quasi d’Ap’alvear in mez’a prole (sonetto); (f.48r), Se qual’ è Seraphin capo divente (sonetto);
(f.48v), Se di Cont’ o Contea la corte fanno (sonetto); (ff.49r-v b.co). [Da questo punto la numerazione non
corrisponde al numero dei fogli]; (f.50r), [Dedicatoria] ‘Molto Ill re. Sig.re mio Oss.mo S. Pietro Strozzj. Queste
ma
ra
parole, che mj sono uscite di bocca nella pompa funerale della sereniss(i) Sig. GIOVANNA d’Austria,
Regina di Boemia, Gran’ Duchessa di Toscana, non possono più ritornar in dietro. Et io voglio haverle dette;
ma sono, io non so come, vaghe dj essere per tutto ascoltate et lette et soprattutto da V.S., per lo cui pietoso
comando io le composi et le recitaj nella nobile radunanza de’ nostri virtuosi amicj, et io ne sono contento.
Ella dunque per sua grazia le prenda, et, secondo che le piace, le contentj. Et poi che elleno hanno pur
voluto venir’in luce, et a pena nate hanno abbandonato il padre, V.S. sia loro scudo, et scampo, sì come ella
s’è degnata di farle nascere co ’l comando. Però baciandole la mano, et pregandole ogni grazia da Dio, a lej
chieggio la sua. Il dì V di Maggio M.D.LXXIIX. D.V.S.M.I. In Fiorenza D.S. G.F. (f.50v b.co); (f.51r) [Elogio
funebre, Orazione] Inc.: Assaj certo morti cj sono: assaj c’è pianto; expl. f. 65r: et il sereniss(i) mo Gran’ Duca
di Toscana, amatissimo suo consorte per noi durino lunghissimo tempo felici vivendo in terra. (f.65v, b.co);
(f.66r, di mano diversa fino a 67r), Spargete gigli, e fiori (madrigale); (f.66v), L’Alma Fenice, che pur’ dianzi al
cielo (madrigale); [f.67r] Nel ciel, che più risplende, e più riluce (madrigale); (f.67v b.co]; (ff.68r-71v] Etruria,
già felice (canzone); (f.63), Austera alla morte (madrigale); (f.71v), Per esser madre, io moro. Un duro campo
(sonetto); (f.64r), [distico in latino]; (f.64v), [due distici in greco].
Magl. VII 118599
[Zibaldone di componimenti poetici]
99
Catalogo della libreria Strozziana, ad locum.
Angelo Cardillo
(f.355v) [Lettera di Giovanni da Falgano a Matteo Albizzi] A l’Illre Sigo Cavallre il Sig Matteo Albizi Sig. mio
Oss.mo questi pochi versi da me composti secondo il suo comando nell’acerba morte del Sigr Paolantonio
Valori amico suo a V.S. dò. Ella, a chi vuole, li dia, dando anche a me licenza che lo pianga anch’io. In
Fiorenza. Il dì xij d’Aprile. MDLXXX. Di V. Ill re S. Affezzionatissimo S.re Giovannj di Niccolò da Falgano.
(ff.356r-359v) Onda et terra siam’ noj vilj donzelle / Tosche, non Toschj valorosi et fortj / Tronco ’l nostro
VALOR’. Toscane trombe / Versate le nostre alme / Col vent’insieme alle più crude stalle / Sì che ne trombi ’l
ciel et armj i mortj: / Le case a i vivj tombe / Ne renda, e ’nceneriti faccia le salme / Noi fummo, il VALOR fu.
A che dimora / Far quj più, con la sua gita nostr’ora? // Getti lo scudo ogniun’, getti via l’arme / Poscia ch’a
squarciar’ petti, a romper cuorj / Di vero alto valor temprate auzze / Del giusto sangu’han’ sete. / O
micidial’acciar, dunque tu arme, / Chi va contra ’l valor’? Contr’ a i Valorj / Dunque non ti rintuzze? / Anzi
trapianti ’l germe lor in Lethe? / O violenza te sforzi tua forza / Rinasca in ferr’ al ferr’ ogn’hor tua scorza. //
Qual Gyacintho in su’ i monti ombrosi et folti / Che piede di Pastor gravoso acerbo / Calpestando dicolla,
onde languisce / Mentre ’l tronco lo piagne / In su ’l suol’ il bel fior, tal’ te fra i colti / Fiori in gremb’a tua
madre empio superbo / Lupo scannar’ ardisce / Lupo di notte colmo, et dj magagne / Gridò vendetta del tuo
scempio rio / Sette dì ’l sangue et tu sol’ pace a Dio. // Sette dì come vittima ’n altare / Con sangue et fiato
misti ardenti preghj / In su ’l letto Valor sempre versasti / A Dio et al tuo Sangue / Dentr’ondeggiante
com’irato mare / Perch’alla pace in ver l’empio si pieghj. / Così te ne volasti, / Così lassasti teco
ogniun’exangue / Dunq’il vendicator’ Dio di vendette / Per te non vibrerà le sue saette? // Queste loggie ove
l’Or si cangia et merca / Queste palestr’ ov’il valor’ si prova / Questi Theatri, quest’onde sonantj / Nel tuo
cader’ cadute / Chiaman’valor, valor’. Valor si cerca / E qual’al tuo VALOR’, ma non si trova. / Mercurio fra i
mercantj / Alcide fra i robusti, fra le mute / Et squammigere schiere un Triton erj / Polluce a Pugna, Castor’ a
i corsierj. // Urlate veltri voi, stridet’augelli / Piangete voi cavalli, che già ’n caccia / Dietr’a Diana seco i monti i
campi / Da crude horride belve / Purgaste, et feste più nitidi et bellj / Chi con più chiara voce et fiere braccia /
Con più lyncej lampi / Con più veloce pié lustrò maj selve? / Sù can’, sù reti, sù archi, sù spiedj / Diana tu,
Valorocida fiedj. // Senza cuor’ ogni petto giovenile / Senza chiome la fronte, senza speme / Il verde, e ’l
Fior; la bocca senza riso / Senza se stess’ogniuno / È rimas’ o Valor Virtude a vile / Si prende, teco spento il
suo bel seme / Fregi al ciel’ il viso / Chi puot’osar’, se mentre il Trino et Uno / Si cole, il ferro viene a romper
gole, / Et notte porta il Valor che vuol’ Sole. // Canzon’, tu già vien’men’. Hor’ muori, hor vola / Co ’l VALOR:
ogniun’ vien’, tu non sej sola. (f. 360 b.co); (f. 361): Chi m’avvalora l’ali? / Et chi le regge sì, ch’io possi a volo
/ Di giro in giro sopra l’alto polo / Fra bei lumi immortalj / Scorger’ quel mio valor sommo, sereno? / Che ’n
quell’eterno seno / Di luce, luce sopra tutti, et splende. / Quj mirin’ gl’altj sol’ com’ei n’accende. / Non ha sì
gran’ valore / Il ciel’ fra quei suoi tutt’occhi lucenti / Anzi sembrano spenti / A par de miei di valoroso ardore. /
Se ’l vede, e ’l vede Amore, / C’hor tutto muor, hor nasce al bel ritorno. / Qui sempr’al caldo al gielo. / Hor
com’a più bel velo. / S’avvalora ogni cosa, et notte, et giorno! / Ma che? Non arde di valor’ il cielo? / Volgesi
al mezo giorno / Et che luogo di gratie et di valore / Et che luogo d’Amore! / Il mio raggio divin di glorie
adorno. / Girin pur’ gl’altr’intorno / A l’Orse a così fiere algenti facj, / Che ghiaccj asprezz’ et scorno! / In riso
io sempre torno, in feste e ’n pacj. // Et fiorir vaghe herbette ed arboscellj / Vede ’l mattin la sera / Vezzosa
Primavera, / Et destar dolce ardore, et fere, e augellj / Ma deh che pastorellj / Et che Nimphe et ducj anzi che
regi / O fiori, o frutti d’amorosi pregj, / Colmar egli ’l dica, Amore / Ditel’ voi stelle di gentil’ Valore! // A
quest’anch’io m’assido / Pietra più preziosa assai, che quanti / Ha smeraldi, <canc.: e to> e Topazij, et
Diamantj / Il più superbo lido. / Ma deh ’n gelido sido come parmi / Et sido pien’ d’ardore / Tal’ha forza, et
valore, / E ’n pietra che sempre arda anch’io cangiarmj. // Senza ’l valor’ che sofferenz’ amara / Che caligine
et morte! / Et che tenebr’ <canc: et morte> oimé su l’ampie porte / D’Abisso si prepara! / Ecco chi ne
rischiara / O giorno et giorno chiaro, ecco chi cria / Tante luci et chiarezze; et s’ha ’l governo / Amor come
saria / Senza ’l valor il valor prim’eterno? / Un dolcissimo nome / Non potea sol’ capir tanto valore / O di
Febo dilette amate suore / Se da l’orate chiome / Tanti v’ornan’ bei rai ditemi hor’ come, / Quel che non cape
ingegno et capon’ sole / Menti del seren’ sguardo, / Come io pur’ cieco guardo, / Apriste in due dolcissime
parole? // Et questi al terzo cielo / Sormont’ anch’egli in compagnia d’Amore / Udite ’l primo nome su gentil’
velo / Quanto mostra vigore. / Et quai lo seguon’note; e ’l suo valore / Quanto ’l sol’ vince, et Giove! O s’è più
chiara / Luce c’hor’ quest’hor’ quello / Più seren’ in sé miri in sé più bello / Questi ’l tutto in un punto ne
rischiara. // Sento infelice ardore / Tanta gioia, et piacer, che più beato / Non mi può far’amato / Maggior mio
ben’, né di più gran valore / Ma che folle cerch’io a tutte l’hore / Mirar lampo celeste / Tu ’l me l’insegni
Amore / Che già ’n rigido scoglio mi volgeste? // Così debili e ’nfermj / Occhi cinti di tenebre et d’horrore / Chi
vi sostien’ si fermj / A mirar lucentissimo splendore? / Tal’ et sì gran valore il ciel v’inspira / Né già potea più
darvi / Per più beati farvj / Sì nudo ’l cor’ tant’altamente aspira. // Su fuor’ de l’onde gratiose Dive / Su fuor’
de bei <canc.: crh> christallj / A che ’ndugiate a gl’amorosi ballj / Menar’ su queste rive? / Cessan’ le fiamme
estive hor verd’ hor giallj / Non v’ornin’ fior’ il crin, non più ’l circonde / Or’ ma’ più vago fior’ / Fregi le chiome
bionde / Et fior di gloria eterna e di valore. // Mirate se ’l bell’Arno / Ha più l’onda sua d’acque o di splendore!
Et mirate ’l valore / Che ’l muove. Altri avvalora, io sol mi scarno / Tu miri ben’ indarno le tue dive / Giove
ch’eterni balli / Fann’al bel’ polo, et ben’ puoi tu beallj. / Taccio de l’acque vive / Perdon in su’ <…> i tuoi
Angelo Cardillo
lympidi christallj. // Del più gentil’ valore / S’empie l’aria et la terra et s’empie l’onda / Ma come ne circonda /
Di gioia et di splendore / Su d’amore il lor’ pien lucido campo. / Arde ’l mio chiaro lampo, / Specchiandos’in
quell’acque o acque vive, / A quell’ardor che di se stesso vive. // Hor ch’ è più chiaro ’l giorno / Mill’ ardendo
su ’n ciel’ chiari splendori / Et altrettanti amorosetti ardorj / Qui sfavillando intorno / A sommo alto valor’ deh il
lum’adorno / Già col sol’ non si corch’in occidente / Qui noi miseri lassi / Di valor come o pur di vita cassi, / Et
come ’n ciel’ tutte sue fiamme spente. // Et l’aria et l’ond’ancora, / O s’altr’è come lor’ christall’o pietra /
Raggio del ciel’ sì dolce, arde et penetra. / Che splende anco di fuora / Marmi et bronzi et fior’ no, ch’ei sol’
colora, / Né questi alluma e ’ncede. / Ma come tutto splende, et tutto luce / Il maggior’ scuro interno / O mio
valor’ eterno / Al gran Valor, che ’nsin’al ciel traluce. // Già tutto in gentil’ fiamma era converso / O che felice
ardore / Di tal grazia et valore il ciel’ m’havea / Com’io no ’l so, consperso / Hor’ come tutt’ho perso / Et mie
gioie et dolcezze, pur’ voi vej / Troppo del vostro bel lucido vaghi / Mandasti i pungenti aghi / Al cor, piangete
voi tristi occhi miej. // Oh qual’ in’ incende l’alma ogn’hora e ’l core / Nostro lampo divino / Ma qual’ raggio
celeste pellegrino / Ha tal’ forza et vigore? / Questo ha sol’il valore, et non si sdegnj. / Lume del bel’ seren’
lucido velo / Questi n’avvamp’al gielo / Questi n’agghiaccia ardendo, o certi pegnj / D’alto valor’, ma tal’
godesi ’l cielo. // Quai pur’ tenere brine / C’herbe irrigasser mai premesser foglie / Com’ amorose spine / Il
cor <canc.: del> di pianger lieto ne raccoglie! / Et pur hor le mie foglie / Anzi ’n fumo le torna in sì brev’hore /
Cocentissimo raggio di valore. // Hor ha termin’ o fine (ed io pur cieco / Più ’l miro) il fulgentissimo mio raggio
/ Ma com’insieme teco / Bell’Arno anch’io mi irraggio, / Et, se tant’alto caggio, il mio dolore / Qual mi fia dolce
gioia! / Deh pur ch’eterno io muoia / Se stesso eterno goda il mio valore.
Magl. VII 874
[Composizioni in volgare]
Ai ff.136v.-139r, dedicatoria di Giovanni da Falgano: Magco Sig(no)r mio ossmo Sigr Giovanni Uguccioni. Dal
S.Buonaccorsi suo Fratello hebbi di suo mano scritto il suggetto da lodarsi da me secondo che ella alla
presenza mi chiese prima. Hora le mando una canzonetta sopra ciò. Leggala V.S.; et se le pare da ciò, la
mandi, et a me a se stessa, et dove bisogni, raccomandi.Di Fiorenza il dì 12 d’Aprile 1581. D. V.S.
Dev.tiss.mo S.re Giovannj di Niccolò da Falgano. [f.137r] Dimm’o Diva Sophia venerand’alma / Che quasj in
su la foce della Brenta / Acc <…> vaj per dar a i ventj vele, / Per rallumar di te tutt’oriente. / Dond’ha la pece,
che sì ben la spalma / L’alterna nave sol di te contenta? / Dal Picen lido, tutto latte et mele / Da Spoleto,
almo nido d’alta gente / Dal Picen a Sophia dunque lentezza, / Che lentamente affretta, dà prestezza.
[f.137v] Sorvolar forza t’è fuor del tuo nido, / Qual bianc’Aquila, il mar [canc.:et l’ac] a mano a mano: / Et
Sparta ravvivar Argo et Athene: / Et quanto già barbaro Schytha extinse / Rose a rose d’Aurora il grido
aggiunge / Di tua virtù, che mai non opra invano. / Gia caggion gioghi giù, caggion cathene / Da ‘l piè, da i
colli che ’l rio Scyth’avvinse. / Aloysio alee t vele a vele e tale / Aggiunge, et teco vien nume immortale.
[f.138r] Del mar in su le spalle l’aura lieve / Attendi forse? Ma qual più soave, / Che l’aura di costui, le cuj
parole / Venti son d’aspri nembi vincitorj. / L’istessa gravità t’è dolce et lieve, / Qual Caribdi qual Scylla, che
t’inchiave, / Incontrar puoi, se tec’ogn’hor è il sole / Il sol d’ogni virtù, l’alma de’ fiori; / Che ’n città di tre mura
cinta intorno / Nella più cieca nott’han da luj giorno. [f.138v] Dovunque tal Rettor volga le lucj / In mezz’a i
nembi, in mez’alle tempeste; / In se stesso trovar tranquillo cielo: / Quanti del sangue suo chiar Guelgi Duci /
Splendon’in ciel per lor imprese honeste? / Quanti n’exprime vivj il suo dir solo? / Quanti ne rappresenta il
suo bel velo? / Rose con rose accoppia antica insegna / Mostrando lor virtù di <quant’>d’ogni honor è
degna. / [f.139r] Chi de’ seder di tua nav’al governo, / Se chi con la ragion’aspr’onde, et ventj / D’affetti
dolcemente tempra, et fende, / Placido non vi siede, et timoneggia? / Ben s’affida il timon, a chi l’Inferno /
Non tien accolto dentr’a i proprj dentj: / Ma governarsi lassa, et grazie rende / Al Re de’ Re, che il tutto
signoreggia. / Ogni nave, a chi nave è di Sophia / S’affidi, chi ’n se tiene, et porto et via. // Chi scioglie, per
legar l’ancora, scioglie / L’ancora è l’Ancoran’. S’ancora affonda, / Canzon, egli t’è nel’ancora, et sponda.
Palat. 227
[Canzoniere di Giovanni da Falgano]
o
Cartac., in 8 (185x130), sec. XVI, legat. in cartone, costola in pelle recante fregi dorati con su scritto ‘DA
FALGANO | CANZONI | VARIE, presenta quattro quaderni di complessivi 107 ff. con numerazione moderna
coerente. Il primo quaderno (155x115) comprende iff.1-13; il secondo, (140x110), comprende i ff.14-81, il
terzo (165X115) i ff.82-87, il quarto (180X125) i ff. 88-107. Bianchi i ff.10-14, 23, 56-73, 87, 91, 104, 107.
Contiene: (f.1r), Dedicatoria: ‘Al Mag(nific)o Sig.r mio Ossmo Sig. Francesco Rucellaj. Sal. Io mi fo la strada
per venir a trovare V.S. a campi, con questa mia canzonetta che so che senz’essa io come quello
uccellaccio che io paio, da gli uccellatori non iscamperej, ma inciamperei nel bel piano di campi. Verrò
dunque poi, se ella mi farà intendere, che essa non ne piglia tanti, quanti ne passano, ma ne lassa andar
Angelo Cardillo
qualchuno che dovrei venir in ogni modo, se bene ella li piglia tutti, perché gran mestiere mi sarebbe lo
essere preso p(er) uccello delle Muse, le quali sono sempre seco. Io dunque seco trovarle spero. Io sto in su
l’ale toccate a civetta. Eccomj’. (f.1v), Canzone sopra gli uccelli di passo; (f.2r-9r), O peregrinj augelli
(canzone); (f.9v b.co); (f.15r) S’al nome, per cuj suona (madrigale); (f.15v b.co); (f.16r-22r), A noi, che pur
100
siam’ vasi (canzone); (f.24r-49v), (al centro pag.) ‘Museo del caso di Leandro et Hero circ’amore’ . Inc.: La
lucerna, che, mentre ch’arse un occhio; (f.55v) expl.: Così ‘n doppia rovina è frutto doppio. (f.74r-81v) O
mo
saggissim’Athene (canzone); (ff.81r-86vv), O dj nostr’età Fiore (canzone); (ff.88r-90v) Dedicatoria: Ill. e
mo
re
re
mo
Excell Sig Niccola Orsinj Conte di Pitigliano Sig et Patron mio Col. La ragione vuole che io consacri a
V. E. Ill.ma la presente Canzone insieme con altri versi da me composta in lode della ragione. Sì, perché oltre
alla natia, et propria sua bontà, la età sua la libera già da quel rabbioso et selvaggio Tyranno Amore, et da
gl’altri suoi furibondi seguaci. Sì ancora, perché ella vivendo non a guisa di qualche giovine secondo l’affetto,
ma a guisa di Philosopho et buono condottiero secondo la ragione, ha sempre mai tenuto conto di ogni sorte
di lettere et sopra tutto delle Muse, et della Poesia. Volendo dunque io quello, che vuole la ragione, vengo a
portarmi ragionevolmente, et a osservare il decoro, dando a persona sì alta, et sì grave, sì grave poema.
Certo a chi più si addice, o vero a chi meglio riesce il vivere secondo la ragione che a chiunque si trova in
quella età; nella quale essendo rimase spente le voglie de’ piaceri si desta quella dolce speranza de’ vegli
nutrice, di havere a trovare delle giuste et forti azzioni sue per chiarissimo guiderdone, una tranquillissima
vita, in horti amenissimj, dove mai non s’invecchia, et mai non si muore. Io dunque posso quasi assicurarmi
che, sì come il desiderio di arrivare alla vecchiezza è no meno naturale, che universale, così l’appetito di
vivere secondo la ragione sia da natura attaccato in ogniuno. Là onde io prego V.E. Ill. ma che non prenda
arme per mantenere, che questo poemia sa mio proprio ma sostenga che egli dbba essere di ciascheduno
che habbia voglia di ben vivere da huomo. Imperò che ogniuno harebbe a desiderare tutto quello che nella
presente Canzone vo desiderando io stesso; anzi devrebbe quasi mettersi ne’ piè miei, et parlare con la mia
bocca, et profferire et cantare i versi miei. Perciò non ne domando io premio veruno, ma ne chiegggio più
tosto pena a V.E Ill.ma pe haverle presentato una Canzone che nonè punto nuova, ma è quasi in bocca di
ogniuno. Per tanto se ella è già in bocca della gente (il che non so,non la vi havendo posta io), qualsivoglia
acerba pena mi parrà dolce premio; quanto che no, il vedere tanta gente lontana dalla ragione, mi parrà
pena sì grave, che nulla più. Oltre a di ciò, se fosse qualchuno il quale oltre a sì fatta pena ,i desse biasimo
et disonore, per havere lodato una cosa da non essere lodata, gli domanderò se egli mi biasima con ragione,
o pure sena ragione: perché, se egli ciò dice fare con ragione, pur viene a essere degna di lode la ragione,
da poi che ella è quella, che gl’insegna sì ben’ biasimare. Ma se egli dice farlo senza ragione, a che l’ha a
muovere la lode di quella cosa, di che egli non ha che fare. Io in somma consacro al nome di V.E. Ill. ma
questo mio poema, et la prego, che si degni riceverlo caso che no gliene venga punto di noia. Imperò che,
se Amore regge suo imperio senza spada, quanto più dee reggere il suo la ragione che elegge, et vuole ogni
cosa per amore et nulla per forza. Ma se per conto di esso poema ne risultasse a V.E. punto di ribrezzo, di
grazia faccialo quanto prima volare in cielo nel mdo che già Hercole da Philoctete mandato vi fu. In tanto io
umilmente baciandole la mano pego l’altissimo Dio, creatore della istessa ragione, che le accresca ogni
contento. In Fiorenza, il dì iiii di Luglio 1584’. Di V. E. Ill. ma Humiliss.mo et devotiss.mo S.re Giovanni di Nicco da
Falgano. (ff.92-102v); Te, d’ogni imperator imperatrice (canzone); (f.103r e v), Epigramma latino di 3 distici;
saffica greca di 4 strofe; (f.104r e v b.chi); (f.105r) O alati poeti (canzone).
II III 42-45 (Magl. VIII 1261-1264)101
[Tre tomi donati dal Falgano a Niccolò Galdi dalla cui biblioteca provengono]. Tomo I. Cart., in 4o gr.
(330x240), sec. XVI, leg. in cartapecora, ff. 291 numerati anticamente, più 3 b.chi in fine. Tra i ff. 16 e 17 è
un foglio non numerato; il f. 100 risulta saltato; il num 201 è ripetuto due volte. All’inizio, 8 ff. non numerati
recanti titolo, operum series, operum series alphabetica. (f.1r) DELLI | DII DE’ GENTILI | LIBRI O VERO
RACCOLTI | XVIJ.| Ne’ quali delli Dii de’ Gentili la varia et molteplice | historia, le Immagini et i cognomij, et
assaissime cose | insieme state infino a qui a molti incognite si spiegano | et chiarissimamente si trattano. |
COMPOSTI IN LATINO | DA GIGLIO GREGORIO GYRALDI | FERRARESE. | TRADOTTI IN TOSCANO |
da Giovanni Di Niccolò da Falgano FIORENTINO | AL SIGNORE CAVALIERE NICCOLÒ GALDI
100
Si tratta della traduzione dell’epillio Ero e Leandro di Museo, poeta epico forse della fine del V sec. d.C. Il
volgarizzamento di Giovanni da Falgano è citato da Matteo Cerutti, Bernardino Baldi volgarizzatore di
Museo, in Bernardino Baldi (1533-1617) studioso rinascimentale: Poesia, Storia, Linguistica, Meccanica, Atti
del Convegno di studi di Milano (19-21 nov. 2003) a cura di Elio Necci, Franco Angeli, Milano 2005, p. 83,
n.13 dove l’autore riferisce di uno studio di Karlheinz Kost che ipotizza nel testo manoscritto di Giovanni una
possibile fonte della Novella di Ero e Leandro di Baldi del 1585.
101
Cfr. Mazzatinti, op. cit., pp. 157-158; Bartoli, op. cit., III, pp. 8-9.
Angelo Cardillo
GENTILUOMO FIORENTINO102. A f.1v son. di Falgano: Al Lettore. S’a te, Lettor, dell’antic’ opre vago. (ff.2r5v) [In alto, a centro della pagina) Dialogo unico di Lorenzo Frezzoli Soglianese mandato Al chiarissimo
re
signore Achille Bocchj Cavall(ie) Bolognese sopra le opere di Giglio et sopra la vita del medesimo
brevemente ragionante. Le persone del dialogo sono Compratore et Libraio. (f.5v) [Epitaffio composto da
Giglio sopra la sepoltura di Alfonso Maianto Ferrarese. Seguono due ulteriori epitaffi per lo stesso e la
traduzione di tutti e tre in prosa e in versi ad opera di Falgano]. (f.8r e v) ‘Catalogo delle cose che ’n questo
libro si contengono’. (f.9r b.co); [riprende la num.] (f.1) Dedicatoria di Giambattista Giraldi Cinzio ad Ercole
d’Este duca di Ferrara, datata ‘Ferrara 4 marzo 1555’. (f.2v) ‘Giglio Gregorio Gyraldj al S. Hercole Duce di
Ferrara. Felicità e salute’. (f.6r-228v) ‘Della Historia delli Dii de’ Gentili. Raccolto Primo [a seguire, raccolto II]
Di Giglio Gregorio Gyraldj. Al Signor Hercole da Este secondo di Ferrara Duce quarto’. Tomo II. Presenta le
stesse caratteristiche esterne del vol. precendente; continua la num., ff. 229-521 di cui i tre ultimi bianchi;
bianco il f. 489 bis. Contiene i Raccolti dal III al VII. Tomo III. Stesse caratteristiche esterne. La num.
continua, ff. 519-802 ed uno b.co alla fine. Contiene i Raccolti dall’VIII al XIII. Tomo IV. Stesse caratteristiche
esterne. La num continua, ff. 803-1050 ed uno b.co alla fine. Contiene i raccolti dal XIV al XVII. In fine:
Catalogo degl’autori citati in tutta questa opera da Giglio Gyraldi.
II II 50 (Magl. VII 189)
[Ms. misc. Di Giovanni da Falgano ‘La battaglia de Topi, e de Ranocchi d’Omero tradotta
in versi sciolti Italiani da Giovanni da Falgano: non terminato di copiare’]
Cart., in 4o (290x210), misc., rilegato in perg. Sulla costola: ‘II. Valerii | CHIMENTELLI | de Funambulo, ec.
Cod. 50’. All’interno, f. di guardia; segue titolo: II CHIMENTELLI (Valerii) de Funambulo, ec.. A f.ij Indicazioni
sulla provenienza dei testi; f.vj, Operum series e Operum series alphabetica: n.29. ‘Omero
Batracomiomachia, tradotta in verso sciolto da Giovanni da Falgano. A fol. 206 recto ad 216 rectum. Autogr.,
saec. XVII incipientis. Versio desin. Trunca’. A f. 205: Battaglia de Ranocchi e Topi d’Homero tradotta.
Seguono 11 fogli (215x282) scritti recto e verso ma numerati solo sul recto; è presente una seconda
numerazione autonoma rispetto all’altra che invece è coerente per tutta la miscellanea. Scrittura regolare;
specchio 120x240 mediamente di 22 linee. A f.206 (f.1, nuova num.) Battaglia de’ Ranocchi e Topi
d’Homero tradotta | da Giov. Falgano. Inc.: Hor ch’io tocco la cetra, apro le labbia. A f. 216]11 la traduz. si
interrompe: ‘Sì disse Tione, et Marte sì rispose | Non di […] (forse v. 278).
Magl. XV 199
Trimegisto Mercurio Esculapjo tradotto di Greco in Latino da Apuleio, e di latino in
Toscano da Gio. di Niccolò da Falgano103
Cart., in 4o (250x190), ff. III, 1-65, rileg. mod. in cartone, antica num. coerente, ma ripetuti i nn. 25 e 29, fine
XVI s.
Il cod. consta di due parti precedute da tre fogli non originali sul secondo dei quali ‘Esculapio di Mercurio
Trimegisto tradotto di Greco in latino da Apuleio e di latino in Toscano da Giovanni di Niccolo da falgano.
102
Lilio Gregorio Girardi (Ferrara 1479-1552), allievo di Battista Guarino e di Giovanni Pico, fu precettore a
Modena di Ercole Rangoni con il quale si trasferì a Roma dove rimase fino alla data del Sacco. Ritornò a
Ferrara e vi rimase fino alla morte. Scrisse varie opere di natura antiquaria e nel 1548 un importante trattato
di mitologia, De deis gentium historia, un’opera sull’esoterismo, Libelli duo, 1551, e nello stesso anno
Progymnasma ad versus literas et literatos. Il suo nome è legato soprattutto ad un’opera enciclopedica
scritta nel 1545 e rimaneggiata negli anni successivi dedicata ai poeti antichi: Historiae poetarum tam
Graecorum quam Latinorum dialogi decem. Cfr. Operum quae extant omnium […], tomi duo, Guarin, Basilea
1580 e Opera Omnia, Van der Aa, Leida 1696. Si veda in particolare K.A.E. Enenkel, The Making of 16thCentury Mythography: Giraldi’s Syntagma de Musis (1507-1511 and 1539), De deis gentium historia (ca.
1500-1548) and Julien de Havrech’s De cognominibus deorum gentilium (1541), in “Humanistica
Lovaniensia”, LI, 2002.
103
Sono stati attribuiti ad Apuleio Perì hermenèias e il dialogo ermetico Asclepius (sulla cui paternità
Agostino non ha dubbi e Lattanzio utilizza l’originale greco) opere per le quali sussistino forti dubbi di
autenticità. Cfr. Ettore Paratore, La letteratura latina dell’età imperiale, Sansoni/Accademia, Firenze 1969,
p.270 e Michael Von Albrecht, Storia della letteratura latina. Da Livio Andronico a Boezio, vol. III, Einaudi,
Torino 1996, pp. 1472 e 1474.
Angelo Cardillo
Originale. [in calce alla pag. ’Di Luigi del senre Carlo di Tommaso Strozzi 1673’. Nella prima parte, ff. 1-32
(212x145), specchio mm. 120, mediamente di 16 line; sul f. 1r ’Esculapio di Mercurio Trimegisto’; su f. 2v.
Esculapio Dialogo di Mercurio Trismegisto tradotto di greco in latino da Apuleio e di latino in toscano da
Giovannj di Niccolò da Falgano da un texto in 4o. Le persone del dialogo sono Mercurio Esculapio, Ammone,
Tatia. A f. 3r., in alto, al centro, è ripetuta la scritta precedente con sopra un segno di cancellatura; inc. ‘Mer.
O Dio costuj, che qui viene, è Esculapio’. La seconda parte, ff. 33r-65v (234x160), specchio 150
mediamente di 20 linee, è la continuazione della precedente. Expl. A f. 63v. ‘Et qui finisce il libretto di
Mercurio che ragiona della volontà di Dio’. Il testo presenta numerose cancellature e correzioni come in
un’opera in attesa di assetto definitivo.
Pal. 373
[Volgarizzamenti dei Poemi di Esiodo]
Cartac., in 8o piccolo (145x103), sec. XVI, legat. in cartapecora, ff. 304 con numerazione antica fino a 288,
poi, a seguire, num. mod.; 16 ff. num. modernamente con num. romana di cui 10 scritti e 4 b.chi; 3 ff. b.chi
alla fine. Modulo grafico regolare, con qualche segno di cancellatura. Specchio 130x90 mediamente di 16
mo
mo
re
re
re
linee per pp. Contiene: (ff.III-XII) Dedicatoria: A l’Ill et Excell. Sig Il Sig Don Giovannj Medicj Sig et
mo
Patron moi Col. . Hesiodo, ascreo poeta che ne’ poemi suoi cantò di huomini di heroi et di Dij, viene forse
ma
d’inanzi a V.E.Ill a dolersi che io l’habbia co’ miei versi in rima traportato in Toscana e a pregarla che si
degni ritornarlo ad Ascra, suo paterno nido. Egli certo di ciò fare ha gran’ ragione: atteso che io, per
rappresentare il meglio che potea il verso Heroico, con versi in rima a quattro a quattro andare lo fo, come
se fossero tali versi poetiche quadrighe. Et (quel’ che è peggio) per dargli più carico, vi aggiungo del mio. Ma
perché io so che il venire in Toscana aggrada ad esso Hesiodo che presso al fine dello Albero delli Dij fece
menzione dj Agrio et di latino: de’ qualj l’uno forse nelli idioma del suo nome Agrio, cioè salvatico, cioè
Toscano (che tale veniva a esere all’hora) a parlare venne, perciò lo lasso comparire così dina(n)zi a V.Ecc.a
Ill. a cuj de’ toscani giovani tocca il principato, come quella che sa molto bene per sua virtù et per grazia di
Dio essere huomo, Heroe et Dio. Et conosce quanta differenza è da huomo ad huomo, et che tale
distinzione d’huomini deriva dal vizio et dalla Virtù. Et ben sa che Homero, prima d’ognj altro, fece questa
distinzione, atteso che ne’ suoi poemj, mescolando le loro azzioni, cantò sempre mai d’huomini, di Heroi et
di Dij. Il medesimo fece Apollonio; il medesimo anco Virgilio. Che più? Pindaro cantando l’encomio di
Therone la racchiuse in breve et cominciò così:
O della lyra Regi hymni, qual’Dio,
Qual’ Heroe, qual’huomo
Farem’ noi rimbombar’ co’ ’l canto mio?
Questa quasi medesima distinzione fecero eziando gl’antichj philosophi dividendo i cittadini della
Rep(ubblica) loro in optimati, mezanj et plebeij. Non fece già et non fa siffatta differenza il vero et vivo Dio,
atteso che egli si fece huomo perché ogni uomo diventasse Dio per participazione, dando a ciascuno per
mercede de’ meriti suoi, la divintà. Il nostro libero volere seguedo quello che è da fuggire, et fugendo quello
che è da seguire, non solamente ne fa sua porare et mandar’in fumo la heroica et la divina natura, ma ne
spoglia della humana ancora: (anzi se dirlo mi lascia l’horrore) ne dishuoma, anzi, ne imbestia. Là onde
Hesiodo, trovando questa distinzione negl’ huomini de’ suoi tempi, l’andò secondando co’ suoi poemi,
imperò che nel primo, intitolato Opre et Giornate, mentre che egli frastor[na] Perse suo fratello dalla
ingiustizia et dallo appetito dell’altrui roba et lo rivolg[e] alla vera giustizia et alla coltivazione de’ proprij
campi, et in somma gl’insegna actioni humane, cioè arare, mietere, seminare, vendemmiare, navigare et
tenere il governo della casa sua, et per più corta et più certa via arricchire gl’insegna i tempi, si porta egli
veramente da huomo. Nell’altro poema intitolato dai Grammatici perversamente dal nome dello Episodio
Scudo di Hercole, dovendo forse dalla actione che vi è dentro imitata intitolarsi Liberazione di Delpho, dove
egli fa che Giove per liberare il tempio di Delfo dalla tyrannica rapacità di Cycno e di Marte, fa di sé nascere
Hercole, il quale dopo molte vittorie, venendo il tempo di andare a tanta impresa in compagnia di Iolao suo
nipote, montato in su ’l carro, va a rincontrare Marte e Cycno vicini a Delfo. Quivj li rincontra, combatte,
ammazza Cycno. Ei con l’aiuto di Minerva non solamente scampa dalle mani di Marte, ma eziandio nel
fianco lo ferisce; in questo altro poema, dico, si porta Hesiodo da Heroe. Nel terzo poema, intitolato
Theogonia, cioè Albero degli Dij, dove egli ammonito dalle Muse canta da principio l’origine degli Dei, si
portò se dirsi può quasi divinamente secondo quei tempi, ne’ quali era ancora la verità nel profondo et non
era sotto habito di huomo fattosi al mondo conoscere finalmen[te] il vero Dio. Hora se io in trapiantando
Hesiodo di Beozia in Toscana, lo ho, per farlo cadere in rime, dilatato, travol[to] et violentato, Hesiodo dico,
che seppe esser in sì ben’ poetando huomo, Heroe, et Dio, ben’ vengo a essere divenuto fera et omb[ra] et
Diavolo. Ma se egli, dalla tyrannide de’ tempi passati già storpiato et ridotto in pezzi (perché di vero le opere
ma
sue quasi tutte appariscono fragmenti) non potea quasi comparire in Toscana altrimenti porterassi V.E.Ill.
Angelo Cardillo
humanamente non lo dando alle fere; porterassi heroicamente non lo lassando, come ombra, in preda alla
notte, ma degnandolo con la luce de gli occhi suoi; porterassi divinamente, alla fine, non lo dannando come
diavolo alle fiamme dell’inferno, ma collocandolo nel paradiso de’ morti amici, ciò è libri suoi. Che più dico?
Hesiodo venendo così nelle sue mani trova il suo Giove, da lui tanto ne’ suoi poemi celebrato come
protettore de’ Re, che sono in terra Dij; come mantenitore de’ Principi et de’ Signori, che sono al mondo
Heroi; come liberatori di nobili, che sono gl’huomini virtuosi. O beato dunque Hesiodo, che dopo tanti secoli ti
trovi in mano del tuo sì proprizio nume, il quale, accettandoti, mi tratta da huomo, in toccandotj mi rende
Heroe, in leggendoti mi fa quasi un Dio. Altro più oltre chiedere non lece. Altro non chieggio. Per tanto
baciandole umilmente la cortesissima et valorosissim[a] mano, le prego dallo omnipotente saggio et buon
Dio ogni valore, ogni sapere, ogni buon volere, a fine che nulla manchi a farlo in terra un Dio che riconduca
Hesiodo, se già mercé di mia poca grazia gli rincrescesse la Toscana in Ascra; et a me, che in
trasportandolo qua, sono per avventura stato rincrescevole, per lo colmo di sua buona grazia, perdonj. In
ma
re
Fiorenza. D. V.E.Ill. Humilissimo et Devotissimo S Giovanni di Niccolò da Falgano. (ff.1-105) DI ESIODO
L’OPRE ET GIORNATE. Inc.: O Pieridi Muse cantatrici; expl. Et schiva degl’oltraggi ’l crudo telo; (ff.106162), DI HESIODO SCUDO DI HERCOLE Overo Liberazione di Delfo. Inc.: O qual dal patrio nido di Tirynto;
expl.: Intorno a Delpho in vita addrizzò ’l collo. B.co il f. 163. (ff.165-285), DI HESIODO THEOGONIA
oveross[ia] Albero di Dij. Inc.: Delle Muse a cantar incominciamo; expl. Figlie di Giove che l’Egide preme. f.
286v b.co; (ff.287-303) Tavola della Genealogia delli Dij secondo che la racconta Hesiodo nella Theogonia.
II I 397104
[Poesie toscane di diversi autori]
Cart., in 4o (300x220), misc., secc. XV-XVII, f. 207, leg. in cartapecora e cartone, ff.207 num.+3 in testa ed 1
in coda non num.
(f.1) [Madrigale di Giovanni Falgano] Ad ogni cane, et canattiere fede / Dell’indomito mio nel corso ardire /
Sia vita infranta, et dislogato piede. / O balza, o precipizio / Che mi vedeste in su saxi sdrucire / Dite voi s’io
Medoro / Per viltà, p(er) mio <canc. ill.> vizio / Dietro alle fere moro. / [a metà foglio] Questo è del sig(no)re
Giovan(n)i Falgano. / [XVII, ff.27r-28r, sonetti di Giovanni Falgano.] [f.27] Alma gentil, qual gemma in oro
avvolta / In sì cari pregiati, et bei legami, / Che fanno che voi sola honori et ami, / Ond’ogn’altr’ albergar nel
cor m’è tolta; / Quando ne gli occhi miei la luce è volta / De nostri rai, d’Amor dolce esca et hame; / Quanti
ha fior Primavera, e ’l bosco rami / Nascon piaceri in lunga schiera et folta; / Al suo dolce apparir l’angoscia
et pianti / Sgombron del core e in quel punto beato / Tutti gli altri martiri in fuga vanno; / Ma se quel che i bei
Rai se(n)tir mi fanno / Durasse molto in quel felice stato / O me beato sovra gli altri Amanti. / [f.28] Quando la
luce tua (sguardo sereno) / Al Ciel’ rivolgi in su l’aprir del giorno, / Scorgendo un maggior lume a sé dintorno
/ Tosto sparisce il sol d’invidia pieno; / Che se’ con sua virtù dal quarto seno / Ei dona fiori et frondi al prato e
all’orno, / Tu con la tua dal bel natio soggiorno / Frutti in Noi fai di lui nascer no(n) meno; / Perché de tuoi bei
Rai l’alto valore / Dona all’Alme pensier d’effetti degni, / Che ne scorgono al Ciel vie più di mille; / Onde
105
come Altri sol vivon d’odore, / Altri d’Acqua, lo cor par che s’ingegni / Nutrirsi al foco delle Due Faville .
[f.207, Canzonetta di Giovanni Falgano per le nozze di Ulisse Bentivogli con Pellegrina Cappello] Questa
Notte serena, / Un giovenil’ardore, / Felicemente ne riscalda il Core; / Donne Hespero v’invita, / A rallegrar la
vita, / Movete liete il piede, / E cantate Himeneo, che v’ode, e vede; / Mentre ch’Espero luce, / La Pellegrina
luce, / Desta la spem’e ’l riso, / E ’n terr’apre ove mira il Paradiso; / Per sempre BEN TI VOGLIA, / Chi ben ti
vuole; e scioglia / Il nodo Virginale / Il fior non colto all’Alba nulla vale; / Vecchiezza non inalba, / Chi ha per
scorta l’Alba, / Alba BIANCA, e vermiglia / Giovin sempre q(u)al sol sarà sua figlia / Cantiam Ridiam Balliamo
/ Et Himeneo gridiamo / O fortunata sera, / Che fa il verno fiorir q(u)al Primavera.
II IX 45106
[Composizioni in volgare]
Cart., in 8o, s. XVI, ff. 337, leg. membr. In principio canc. “Di Raffaele Minerbetti”. Provenienza Poirot.
104
Cfr. Mazzatinti, op. cit., VIII, pp. 110 e sgg.
Mazzatinti (loc.cit.) attribuisce i sonetti a Falgano notando che “Il nome è stato cancellato; sono rimaste,
però, le iniziali G.F”. Avanzo qualche dubbio nel confermare quanto sopra in quanto se la prima lettera è
senz’altro G, non so confermare che la seconda sia F, nonostante il ricorso a moderne tecnologie che non
evidenziano i segni di cancellatura notati da Mazzatinti né eventuali abrasioni del foglio.
106
Cfr. Mazzatinti, op. cit., XI, pp. 265 e ssgg. dove è un lungo elenco di componimenti contenuti nel Ms.
105
Angelo Cardillo
A f. 52: [madrigale di] Gio: da Falgano. Io pur men vo, e pur’ a me vien meno / quel ch’amiseri abonda / et
miser corro alla miseria in seno, / s’hor più ch(e) mai mi doglio. / Dove, dov’è quell’onda, / ch’appagar suole
il mio grave cordoglio. / Che s’io mi spatio, et il duol dentro m’in petra / in voi pretre, io cadrò gelida pretra.
Magl. VII 357
[Composizioni in volgare]
A f. 649|314 della num. moderna in basso a s/n., a matita: Anime in odio al Mondo / anzi al fior dell’età quasi
cadute / p(er) amor di virtute / stanotte è p(er) noi forse finimondo / (tanti diavoli abbraccia / ognun p(er)
diventar qual Pario immondo) / lasciamo i corpi al Tartaro profondo / o luci vaghe Donne. In vostro viso /
Luna lampeggia, e sole, e Paradiso / In voi vostra salute; / scacciate chi ne scaccia / qual Baratron nel
Baratro più fondo. // Di Ser. Gio Falg.
Firenze, Biblioteca Riccardiana
Ricc. 1166
Cart., misc., in 4o (275x210), leg. mod., secc. XV e XVI, ff.200 più una guardia all’inizio recante l’indice del
Ms. che si compone di due parti riconoscibili dalla diversità della carta usata per l’assemblaggio: la prima,
comprende i ff.1-101 con 3 ultime bianche; la seconda i ff.102-200, bianchi i primi 3 e le ultime 9; bianchi i
ff.114-116. I ff. 69r-75v e 82r-98v sono della stessa mano che ha compilato la seconda parte risalente al sec.
XVI inoltrato. Secondo S. Morpurgo (I Manoscritti della R. Biblioteca Riccardiana di Firenze. Manoscritti
italiani, vol. I, Roma 1900, pp. 202 e sg.) i ff. da 1 a 60 sono di mano quattrocentesca; alla stessa epoca, ma
un po’ oltre, risalirebbero i ff. 51v, 61r-68v, 76r-81r. XLI - Giovanni da Falgano. Componimenti poetici di varia
struttura metrica (ff. 172r-175r). f.172r, Voi, Dio, mi dite adio, voi nell’Inferno (sonetto); Così polvere et ombra
(madrigale); f.172v, Te, delle Muse padre, altisonante (canzone in morte del Granduca Cosimo); f.174v, Eri
nel mondo, e ’l mondo (madrigale in morte del Granduca Cosimo); f.175r, Fulmin di guerra, horror del fiero
Scytha (sonetto in morte del Granduca Cosimo); XLII, f.175r: Se pur rustica villa siete voi (madrigale); Bel
fior, che impresse mostri. XLVIII - Giovanni da Falgano. Componimenti poetici di varia struttura metrica (ff.
189v-191r). ff.189v-190r, Queste membra mortali (canzone); ff.190r-191r: Se la speme non nutre; S’a la
gelata mia timida lingua; Ogni terrena face; Se ’l bell’idolo mio d’un chiaro velo; Amor ti chiama ’l mondo;
Non porta ghiaccio Aprile; Chi ’l crederria che sotto al vago manto; Come per questa piaggia; Tu pur mi fuggi
ancora; (f.190v), Dolce è de’ tuoi begli occhi il lume e ’l guardo; Ecco ecco il mio sole; Mira com’è costei
vana et leggiera [sono tutti madrigali in serie]. (f.191r), Dall’ancisa mia vita (madrigale); Non mio voler, ma
fera (madrigale); canta queste parole (madrigale); S’io di speme et d’ardore (madrigale); Fuor dell’humide
sponde (madrigale); Verde, herboso, fiorito, altero monte.
Milano, Biblioteca Trivulziana
Ms. 1002
Zibaldone di componimenti in latino e in italiano di vari autori dei sec. XV, XVI, XVII 107.Di Giovanni da
Falgano il Ms. contiene Egle, commedia dedicata a Iacopo Corsi, numerosi componimenti, parte del
volgarizzamento della Batracomiomachia.108
107
L’elenco completo dei componimenti è nel Catalogo dei codici manoscritti della Trivulziana compilato da
Giulio Porro, Bocca, Torino 1884, p.351 e sg.
108
A quanto si apprende dalla bibliografia, L’Egle è un testo teatrale in versi endecasillabi e settenari in
cinque atti con qualche accompagnamento musicale; la musica accompagna gli intermezzi tra un atto e
l’altro. Apre la scena una Vegghia nel corso della quale la ninfa Egle è rapita dall’innamorato Miserno che
però è costretto a restituirla ai suoi compagni che la eleggono regina. Seguono giochi, balli, mascherate.
Vengono, infatti, rappresentate una Mascherata dei figliuoli e delle figliuole di Niobe e nel terzo atto Donne
uccellatrici. Seguono nel quarto Anodyno poeta con una farsa in tre scene e Gelasto poeta con una farsa.
Gli intermezzi sono: I, La Mutazione. Seguita da un coro di pastori ballerini. II, Il Gioco. Seguito da un coro di
pastori che cantano e praticano vari giochi. III, Il Riso. Seguito da un coro di pastori che cantano e
rappresentano cose ridicole. IV, La Corte. Seguita da un coro di pastori stucchi di lor arte et di questa
invaghiti. V, Licenza. L’Allegrezza, con ballo. Citando la commedia, “un polpettone stravagante”, Angelo
Solerti, dal quale traggo le notizie, la collega alla trama dei Suppositi o dei Negromanti, sottolineandone,
però, qualche novità rispetto al genere che la caratterizza (Precedenti del Melodramma, in “Rivista Musicale
Italiana”, a. X (1903), fasc. 2, p. 232 e sg.; poi, Gli albori del melodramma, cit., I, Introduzione, p. 31 e sg.).
Angelo Cardillo
L’unica stampa nota di Giovanni da Falgano è
DICERIE FATTE, | ET RECITATE | DA M. GIOVANNI | da Falgano. | NELLA BALIA | DELLI SIGNORI |
Piattelli. | L’ANNO DELLE LORO | Competenze con i Riʃoluti. | [Marca tipografica] | IN FIORENZA, | Appreʄʄo
109
Giorgio Mareʄcotti. 1577
Nulla aggiungono Arnaldo Bonaventura, Saggio storico sul teatro musicale italiano, Giusti, Livorno 1913, p.
18 e Flavio Testi, op. cit., p. 45. Il Ms Trivulziano 1002, a quanto mi comunica la dott.ssa Isabella Fiorentini
della Biblioteca Trivulziana, non è tra quelli posseduti dalla Biblioteca; sarebbe andato perduto in seguito ai
bombardamenti di Milano nel corso della Seconda guerra Mondiale.
109
Esemplare rarissimo, è nella Biblioteca Riccardiana di Firenze segnato Misc. 284.7.
Angelo Cardillo
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Giovanni Falgano - Dipartimento di Lettere e Beni Culturali