mi chiamo Andrea,
e da grande voglio
fare.....
l’ostetrico
mi chiamo
Andrea,
e da grande voglio
fare.....
il fisico nucleare
2.
Normativa Nazionale
2.5 Testo unico sulla maternità e paternità (Dlgs 151/2001)
25
Principi fondamentali
2.1 Costituzione della Repubblica Italiana (1948).
8
Normativa in materia di pari opportunità
2.2 D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, “Codice delle pari
opportunità tra uomo e donna”.
10
1.
Parità di trattamento e non discriminazione
Normativa Comunitaria
Principi fondamentali
1.1Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000).
2.3 D.lgs 9 luglio 2003, n. 215 - “Attuazione della direttiva
4
2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone
indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”.
6
2.4 D.lgs 9 luglio 2003, n. 216, “Attuazione della direttiva
7
2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro”.
19
1.2 Trattato di Amsterdam (1997).
1.3 Trattato di Maastricht (1993).
22
Riforma Fornero
2.6 Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in
una prospettiva di crescita (LEGGE 28 giugno 2012, n. 92)
25
27
Normativa in materia di lavoro “minorile”
2.8 Legge 17 ottobre 1967, n. 977 “Tutela del lavoro 28
dei bambini e degli adolescenti” coordinata con le
modifiche apportate dal D.lgs. 4 agosto 1999 n. 345
e dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 262.
Dipartimento per le pari opportunità”.
37
2.10D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115, “Regolamento per il
2.7 Legge 13 ottobre 1975, n. 654 “Ratifica ed esecuzione
della convenzione internazionale sull’eliminazione di
tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla
firma a New York il 7 marzo 1966”.
Istituzioni e organismi di parità
2.9D.M. 30 settembre 2004, “Riorganizzazione del
riordino della Commissione per le pari opportunità tra
uomo e donna” così come modificato dal D.P.R. 20
gennaio 2009, n. 8.
43
1. Normativa Comunitaria
•
•
Principi
fondamentali
1.1 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000).
Art. 21 – Non discriminazione
1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione
fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il
colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le
caratteristiche genetiche, la lingua, la religione
o le convinzioni personali, le opinioni politiche o
di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una
minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli
handicap, l’età o letendenze sessuali.
2. Nell’ambito d’applicazione del trattato
che istituisce la Comunità europea e del
trattato sull’Unione europea. È vietata qualsiasi
discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte
salve le disposizioni particolari contenute nei
trattati stessi.
4
Non
discriminazione
Art. 23 – Parità tra uomini e donne
La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in
tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di
lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta
al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano
vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.
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Pari
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o
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n
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uom
5
1.2 Trattato di Amsterdam (1997).
• 1.3 Trattato di Maastricht (1993).
Art. 2 – “La Comunità ha il compito di promuovere nell’insieme della Comunità, mediante l’instaurazione di un mercato
comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli
articoli 3 e 3 A, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado
di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento
della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la
solidarietà tra Stati membri”.
Art 119 – 1. Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione dei principio di parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici per un medesimo lavoro.
2. Per retribuzione deve essere inteso, ai sensi dei presente articolo, il salario o stipendio normale di base o minimo e
tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in
relazione al posto che quest’ultimo occupa. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica:
a. che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura;
b. che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per lo stesso posto di lavoro.
3. Il presente articolo non osta a che ciascuno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici intesi a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte delle donne, ovvero a prevenire o compensare
svantaggi nella loro carriera professionale.
Art. 3 – “…L’azione della Comunità a norma del presente articolo mira a eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere
la parità, tra uomini e donne”
Art. 13 – “Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da esso conferite alla
Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento
europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine
etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.
Art. 118 – “… la Comunità sostiene e completa l’azione degli Stati membri nei seguenti settori: … parità tra uomini e
donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro”.
Art. 119 – “Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso
maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”.
6
7
2. Normativa Nazionale
Principi
fondamentali
2.1 Costituzione della Repubblica Italiana (1948).
Art. 2 – La Repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale.
Art. 3 – 1. Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali.
2. È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e la uguaglianza
8
dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese.
Art. 37 – 1. La donna lavoratrice ha
gli stessi diritti e, a parità di lavoro,
le stesse retribuzioni che spettano al
lavoratore. Le condizioni di lavoro
devono consentire l’adempimento
della sua essenziale funzione familiare
e assicurare alla madre e al bambino
una speciale e adeguata protezione.
2. La legge stabilisce il limite minimo di
età per il lavoro salariato.
3. La Repubblica tutela il lavoro dei
minori con speciali norme e garantisce
ad essi, a parità di lavoro, il diritto
alla parità di retribuzione.
Art. 51 – 1. Tutti i cittadini dell’uno o
dell’altro sesso possono accedere
agli uffici pubblici e alle cariche
elettive in condizioni di eguaglianza,
secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
A tale fine la Repubblica promuove
con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini.
2. Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro
sesso possono accedere agli uffici
pubblici e alle cariche elettive in
condizioni di eguaglianza, secondo i
requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine
la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra
donne e uomini.
3. La legge può, per l’ammissione ai
pubblici uffici e alle cariche elettive,
parificare ai cittadini gli italiani non
appartenenti alla Repubblica.
4. Chi è chiamato a funzioni pubbliche
elettive ha diritto di disporre del tempo
necessario al loro adempimento e di
conservare il suo posto di lavoro.
Art. 117 – 1. La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni
nel rispetto della Costituzione,
nonché
dei
vincoli
derivanti
dall’ordinamento comunitario dagli
obblighi internazionali.
2. Lo Stato ha legislazione esclusiva
nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti
internazionali dello Stato; rapporti
dello Stato con l’Unione europea;
diritto di asilo e condizione giuridica
dei cittadini di Stati non appartenenti
all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le
confessioni religiose;
… i) cittadinanza, stato civile e
anagrafi;
… m) determinazione dei livelli
essenziali
delle
prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale;
…o) previdenza sociale;
... 4. Spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni
materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato.
… 7. Le leggi regionali rimuovono
ogni ostacolo che impedisce la
piena parità degli uomini e delle
donne nella vita sociale, culturale ed
economica e promuovono la parità
di accesso tra donne e uomini alle
cariche elettive.
9
Normat iva
in mat eria di pari opport unità
2.2 D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198
“Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”.
Libro I - Disposizioni per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna
Art. 1 – (Divieto di discriminazione tra uomo e donna)
1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad
eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come
conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il
godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico,
economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.
Libro II - Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali
Art. 23 – (Pari opportunità nei rapporti fra coniugi)
1. La materia delle pari opportunità nei rapporti familiari è disciplinata dal codice civile.
Libro III - Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici
Art. 25 – (Discriminazione diretta e indiretta)
1. Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o
comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che
produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione
10
del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di
un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga
2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione,
un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri
mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione
di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino
requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia
legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
Art. 26 – (Molestie e molestie sessuali)
1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei
comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo
scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare
un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei
comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale
o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o
di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o
offensivo.
3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o
delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati
in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono
considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore
di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad
ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.
11
Art. 27 – (Divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro)
1. È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda
l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma,
indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo
di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale.
2. La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:
a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza;
b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa
o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale
l’appartenenza all’uno o all’altro sesso.
3. Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di
orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per
quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti, nonché all’affiliazione e all’attività in
un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione
i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da
tali organizzazioni.
4. Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per
mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione
collettiva.
5. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di
terzi, da datori di lavoro privati e pubbliche amministrazioni la prestazione richiesta
dev’essere accompagnata dalle parole «dell’uno o dell’altro sesso», fatta
eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca
requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.
6. Non costituisce discriminazione condizionare all’appartenenza ad un determinato
12
sesso l’assunzione in attività della moda, dell’arte e dello spettacolo, quando ciò
sia essenziale alla natura
del lavoro o della prestazione.
Art. 28 – (Divieto di discriminazione retributiva)
1. La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le
prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
2. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle
retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.
Art. 29 – (Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella carriera)
1. È vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda
l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera.
Art. 31 – (Divieti di discriminazione nell’accesso agli impieghi pubblici)
1. La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei
vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della
carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
2. L’altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione nell’accesso
a cariche, professioni e impieghi pubblici ad eccezione dei casi in cui riguardino
quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali è necessario definire un limite
di altezza e la misura di detto limite, indicate con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati, le organizzazioni sindacali più
rappresentative e la Commissione per la parità tra uomo e donna, fatte salve le
specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
13
…
Art. 35 – (Divieto di licenziamento per causa di matrimonio)
1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in
regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle
lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della
dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni
di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione
stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma
3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione
provinciale del lavoro.
5. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della
lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, è stato effettuato non a
causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la
risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di
risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
.....
14
Art. 36 – (Legittimazione processuale)
1. Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni ai sensi
dell’articolo 25 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste
dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi
dell’articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell’articolo
66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera o il
consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente.
Art. 37 – (Legittimazione processuale a tutela di più soggetti)
…3. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso
presentato … oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche
non patrimoniale, ordina all’autore della discriminazione di definire un piano di
rimozione delle discriminazioni accertate, sentite, nel caso si tratti di datore
di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli
organismi locali aderenti alle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente
rappresentative sul piano nazionale, nonché la consigliera o il consigliere di parità
regionale competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale.
Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche temporali, da osservarsi ai fini della
definizione ed attuazione del piano.
…
Art. 42 – (Adozione e finalità delle azioni positive)
1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli
che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, nell’ambito della
competenza statale, sono dirette a favorire l’occupazione femminile e realizzate
l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
15
2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al
lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare
attraverso l’orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;
c) favorire l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la
qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano
effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio
nella formazione, nell’avanzamento professionale e di carriera ovvero nel
trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l’inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali
e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori
tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni
e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una
migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi.
Art. 43 – (Promozione delle azioni positive)
1. Le azioni positive di cui all’articolo 42 possono essere promosse dal Comitato
di cui all’articolo 8 e dalle consigliere e dai consiglieri di parità di cui all’articolo
12, dai centri per la parità e le pari opportunità a livello nazionale, locale e
aziendale, comunque denominati, dai datori di lavoro pubblici e privati, dai centri
di formazione professionale, delle organizzazioni sindacali nazionali e territoriali,
anche su proposta delle rappresentanze sindacali aziendali o degli organismi
16
rappresentativi del personale di cui all’articolo 42 del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165.
Libro IV - Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti civili e politici
Art. 56 – (Pari opportunità nell’accesso alla carica di membro del Parlamento europeo)
1.Nell’insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno, nelle
prime due elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, successive
alla data di entrata in vigore della legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei due
sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai fini
del computo sono escluse le candidature plurime; in caso di quoziente frazionario
si procede all’arrotondamento all’unità prossima.
2. Per i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato
la proporzione di cui al comma 1, l’importo del rimborso per le spese elettorali di
cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, è ridotto, fino ad un massimo della metà,
in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a
quello massimo consentito. Sono, comunque, inammissibili le liste circoscrizionali
composte da più di un candidato che non prevedono la presenza di candidati
di entrambi i sessi.
3. La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui al comma 2 è
erogata ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuto proclamata
eletta, ai sensi dell’articolo 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive
modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi.
Tale somma è ripartita in misura proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito
o gruppo politico organizzato.
17
Parità
di t rat tament o e non discriminazione
2.3 D.lgs 9 luglio 2003, n. 215,
”Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le
persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”.
Art. 1 – (Oggetto)
1. Il presente decreto reca le disposizioni relative all’attuazione della parità di trattamento tra le persone indipendentemente
dalla razza e dall’origine etnica, disponendo le misure necessarie affinché le differenze di razza o di origine etnica non siano
causa di discriminazione, anche in un’ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono
avere su donne e uomini, nonché dell’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
Art. 2 – (Nozione di discriminazione)
1. Ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o
indiretta a causa della razza o dell’origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta
o indiretta, così come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia,
sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento
apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare
svantaggio rispetto ad altre persone.
… 3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti
indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona
e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
4. L’ordine di discriminare persone a causa della razza o dell’origine etnica è considerato una discriminazione ai sensi del comma 1.
19
Art. 3 – (Ambito di applicazione)
1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia nel
settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, secondo le forme previste dall’articolo 4, con
specifico riferimento alle seguenti aree:
a) accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di
assunzione; b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del
licenziamento; c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione
professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affiliazione e attività nell’àmbito di organizzazioni di lavoratori, di datori di
lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni; e) protezione sociale,
inclusa la sicurezza sociale; f) assistenza sanitaria; g) prestazioni sociali; h) istruzione; i) accesso a beni e servizi, incluso
l’alloggio.
2. Il presente decreto legislativo non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le
disposizioni nazionali e le condizioni relative all’ingresso, al soggiorno, all’accesso all’occupazione, all’assistenza e alla
previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, né qualsiasi trattamento, adottato in base
alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti.
3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’àmbito del rapporto di lavoro o dell’esercizio
dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento
dovute a caratteristiche connesse alla razza o all’origine etnica di una persona, qualora, per la natura di un’attività
lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale
e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima.
4. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur
20
risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi
appropriati e necessari.
Art. 6 – (Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni)
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità è istituito il registro delle associazioni
e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento.
Art. 7 – (Ufficio per il contrasto delle discriminazioni)
1. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le pari opportunità un ufficio per la promozione
della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni
fondate sulla razza o sull’origine etnica, con funzioni di controllo
e garanzia delle parità di trattamento e dell’operatività degli
strumenti di tutela, avente il compito di svolgere, in modo autonomo
e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di
qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull’origine
etnica, anche in un’ottica che tenga conto del diverso impatto
che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini,
nonché dell’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e
religioso.
21
2.4 D.lgs 9 luglio 2003, n. 216,
“Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro”.
Art.1 – (Oggetto)
1. Il presente decreto reca le disposizioni relative
all’attuazione della parità di trattamento fra le persone
indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni
personali, dagli handicap, dall’età e dall’orientamento
sessuale, per quanto concerne l’occupazione e le
condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie
affinché tali fattori non siano causa di discriminazione, in
un’ottica che tenga conto anche del diverso impatto che
le stesse forme di discriminazione possono avere su donne
e uomini.
Art. 2 – (Nozione di discriminazione)
1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto
dall’articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di
trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione
diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni
personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento
sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata
alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di
seguito definite:
22
a) discriminazione diretta quando, per religione, per
convinzioni personali, per handicap, per età o per
orientamento sessuale, una persona è trattata meno
favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata
un’altra in una situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un
criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento
apparentemente neutri possono mettere le persone che
professano una determinata religione o ideologia di altra
natura, le persone portatrici di handicap, le persone di
una particolare età o di un orientamento sessuale in una
situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre
persone.
2. È fatto salvo il disposto dell’articolo 43, commi 1 e 2
del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi
del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti
indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui
all’articolo 1, aventi lo scopo o l’effetto di violare la
dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio,
ostile, degradante, umiliante od offensivo.
4. L’ordine di discriminare persone a causa della
religione, delle convinzioni personali, dell’handicap,
dell’età o dell’orientamento sessuale è considerata una
discriminazione ai sensi del comma 1.
Art. 3 – (Ambito di applicazione).
1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di
religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e
di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia
nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela
giurisdizionale secondo le forme previste dall’articolo 4,
con specifico riferimento alle seguenti aree:
a) accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che
dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni
di assunzione;
b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli
avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del
licenziamento;
c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione
professionale, perfezionamento e riqualificazione
professionale, inclusi i tirocini professionali;
d) affiliazione e attività nell’ambito di organizzazioni di
lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni
professionali e prestazioni erogate dalle medesime
organizzazioni.
2. La disciplina di cui al presente decreto fa salve tutte le
disposizioni vigenti in materia di:
a) condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso
all’occupazione, all’assistenza e alla previdenza dei
cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello
Stato;
b) sicurezza e protezione sociale;
c) sicurezza pubblica, tutela dell’ordine pubblico,
prevenzione dei reati e tutela della salute;
d) stato civile e prestazioni che ne derivano;
e) forze armate, limitatamente ai fattori di età e di handicap.
3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell’ambito
del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di
impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi
23
2.5 Testo unico sulla maternità e paternità (Dlgs 151/2001)
dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali,
all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il
contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai
fini dello svolgimento dell’attività medesima.
…
5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione
di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’àmbito di enti religiosi o
altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività
professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito
essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.
6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di
trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime
perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all’esclusione
dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l’assistenza, l’istruzione e l’educazione di soggetti minorenni
nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori
e la pornografia minorile.
Art. 55.
Dimissioni
(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 12; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 2)
1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui e’ previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di
licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennita’ previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternita’.
3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del
minore nel nucleo familiare.
4. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore
durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere
convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida e’ condizionata la
risoluzione del rapporto di lavoro.
5. Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso.
RIFORMA FORNERO
2.6 Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una
prospettiva di crescita (LEGGE 28 giugno 2012, n. 92 )
Art. 4 comma 16 - Il comma 4 dell’articolo 55 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita’ e della paternita’, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e’ sostituito dal seguente:
«4. La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza,
e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore
adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’articolo
24
25
54, comma 9, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per
territorio. A detta convalida e’ sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro».
Art. 55. Dlgs 151/2001 (Testo unico sulla maternità e paternità) così come modificato dalla LEGGE 28 giugno 2012 , n. 92
(Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita)
1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui e’ previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento,
la lavoratrice ha diritto alle indennita’ previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternita’.
3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del
minore nel nucleo familiare.
4. La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza,
e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore
adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’articolo
54, comma 9, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per
territorio. A detta convalida e’ sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.
5. Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso.
26
2.7 Legge 13 ottobre 1975, n. 654,
”Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le
forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966”.
Art. 1 – 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato,…, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla
superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali,
etnici, nazionali o religiosi;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di
provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
...
Art. 3 – È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi
l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali
organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della
partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali
organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.
27
Normat iva
in mat eria di lavoro
“minorile”
2.8 Legge 17 ottobre 1967, n. 977
“Tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti” coordinata con le modifiche
apportate dal D.lgs. 4 agosto 1999 n. 345 e dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 262.
Art. 1 - 1. La presente legge si applica ai minori dei diciotto anni,
di seguito indicati ‘’minori”, che hanno un contratto o un rapporto
di lavoro, anche speciale, disciplinato dalle norme vigenti.
2. Ai fini della presente legge si intende per:
a) bambino: il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di
età o che è ancora soggetto all’obbligo scolastico;
b) adolescente: il minore di età compresa tra i 15 e i 18 anni di
età e che non è più soggetto all’obbligo scolastico;
c) orario di lavoro: qualsiasi periodo in cui il minore è al lavoro,
a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua
attività o delle sue funzioni;
d) periodo di riposo: qualsiasi periodo che non rientra nell’orario
di lavoro.
Art. 2 - 1. Le norme della presente legge non si applicano agli
adolescenti addetti a lavori occasionali o di breve durata
concernenti:
a) servizi domestici prestati in ambito familiare;
28
b) prestazioni di lavoro non nocivo, né pregiudizievole, né
pericoloso, nelle imprese a conduzione familiare.
…
Art. 3 - 1. L’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al
momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione
obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni
compiuti.
Art. 4 - 1. E’ vietato adibire al lavoro i bambini, salvo quanto
disposto dal comma 2.
2. La direzione provinciale del lavoro può autorizzare, previo
assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale, l’impiego
dei minori in attività lavorative di carattere culturale, artistico,
sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché
si tratti di attività che non pregiudicano la sicurezza, l’integrità
psico-fisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o
la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione
professionale.
…
Art. 6 - 1. E’ vietato adibire gli adolescenti alle lavorazioni,
ai processi e ai lavori indicati nell’Allegato I.
2. In deroga al divieto del comma 1, le lavorazioni, i
processi e i lavori indicati nell’Allegato I possono essere
svolti dagli adolescenti per indispensabili motivi didattici
o di formazione professionale e soltanto per il tempo
strettamente necessario alla formazione stessa svolta in
aula o in laboratorio adibiti ad attività formativa, oppure
svolte in ambienti di lavoro di diretta pertinenza del
datore di lavoro dell’apprendista purché siano svolti sotto
la sorveglianza di formatori competenti anche in materia
di prevenzione e di protezione e nel rispetto di tutte le
condizioni di sicurezza e di salute previste dalla vigente
legislazione.
3. Fatta eccezione per gli istituti di istruzione e di formazione
professionale, l’attività di cui al comma 2 deve essere
preventivamente autorizzata dalla Direzione provinciale
del lavoro, previo parere dell’Azienda unità sanitaria
locale competente per territorio, in ordine al rispetto da
parte del datore di lavoro richiedente della normativa in
materia di igiene e di sicurezza sul lavoro.
….
5. In caso di esposizione media giornaliera degli
29
adolescenti al rumore superiore a 80 decibel LEP-d
il datore di lavoro, fermo restando l’obbligo di ridurre
al minimo i rischi derivanti dall’esposizione al rumore
mediante misure tecniche, organizzative e procedurali,
concretamente attuabili, privilegiando gli interventi alla
fonte, fornisce i mezzi individuali di protezione dell’udito e
una adeguata formazione all’uso degli stessi. In tale caso, i
lavoratori devono utilizzare i mezzi individuali di protezione.
6. L’Allegato I è adeguato al progresso tecnico e
all’evoluzione della normativa comunitaria con decreto del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto
con il Ministro della sanità.
b) attrezzature e sistemazione del luogo e del posto di
lavoro;
c) natura, grado e durata di esposizione agli agenti chimici,
biologici e fisici;
d) movimentazione manuale dei carichi;
e) sistemazione, scelta, utilizzazione e manipolazione delle
attrezzature di lavoro, specificatamente di agenti, macchine,
apparecchi e strumenti;
f) pianificazione dei processi di lavoro e dello svolgimento
del lavoro e della loro interazione sull’organizzazione
generale del lavoro;
g) situazione della formazione e dell’informazione dei minori.
Art. 7 – 1. Il datore di lavoro, prima di adibire i minori al
lavoro e a ogni modifica rilevante delle condizioni di
lavoro, effettua la valutazione dei rischi …., con particolare
riguardo a:
a) sviluppo non ancora completo, mancanza di esperienza
e di consapevolezza nei riguardi dei rischi lavorativi, esistenti
o possibili, in relazione all’età;
Art. 8 - 1. I bambini nei casi di cui all’art. 4, comma 2, e
gli adolescenti, possono essere ammessi al lavoro purché
siano riconosciuti idonei all’attività lavorativa cui saranno
adibiti a seguito di visita medica.
2. L’idoneità dei minori, indicati al comma 1, all’attività
lavorativa cui sono addetti, deve essere accertata
mediante visite periodiche da effettuare ad intervalli non
30
superiori ad un anno.
3. Le visite mediche di cui al presente articolo sono
effettuate, a cura e spese del datore di lavoro, presso un
medico del Servizio sanitario nazionale.
4. L’esito delle visite mediche di cui ai commi 1 e 2 deve
essere comprovato da apposito certificato.
5. Qualora il medico ritenga che un adolescente non sia
idoneo a tutti o ad alcuni dei lavori di cui all’art. 6, comma
2, deve specificare nel certificato i lavori ai quali lo stesso
non può essere adibito.
6. Il giudizio sull’idoneità o sull’inidoneità parziale o
temporanea o totale del minore al lavoro deve essere
comunicato per iscritto al datore di lavoro, al lavoratore
e ai titolari della potestà genitoriale. Questi ultimi hanno
facoltà di richiedere copia della documentazione
sanitaria.
7. I minori che, a seguito di visita medica, risultano non
idonei ad un determinato lavoro non possono essere
ulteriormente adibiti allo stesso.
…
Art. 15 - 1. E’ vietato adibire i minori al lavoro notturno,
salvo quanto disposto dall’articolo 17.
Con il termine ‘’notte” si intende un periodo di almeno 12
ore consecutive comprendente l’intervallo tra le ore 22 e
le ore 6, o tra le ore 23 e le ore 7. Tali periodi possono
essere interrotti nei casi di attività caratterizzate da periodi
di lavoro frazionati o di breve durata nella giornata.
Art. 17 - 1. In deroga a quanto stabilito dall’articolo 15, la
prestazione lavorativa del minore impiegato nelle attività di
cui all’articolo 4, comma 2, può protrarsi non oltre le ore 24.
In tale caso il minore deve godere, a prestazione compiuta,
di un periodo di riposo di almeno 14 ore consecutive.
Gli adolescenti che hanno compiuto 16 anni possono
essere, eccezionalmente e per il tempo strettamente
necessario, adibiti al lavoro notturno quando si verifica
un caso di forza maggiore che ostacola il funzionamento
dell’azienda, purché tale lavoro sia temporaneo e non
ammetta ritardi, non siano disponibili lavoratori adulti e
siano concessi periodi equivalenti di riposo compensativo
31
entro tre settimane. Il datore di lavoro deve dare immediata
comunicazione alla direzione provinciale del lavoro
indicando i nominativi dei lavoratori, le condizioni costituenti
la forza maggiore, le ore di lavoro.
Art. 18 - (Orario di lavoro)
1. Per i bambini, liberi da obblighi scolastici, l’orario di
lavoro non può superare le 7 ore giornaliere e le 35
settimanali.
2. Per gli adolescenti l’orario di lavoro non può superare
le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali.
Art. 20 - (Riposi intermedi)
L’orario di lavoro dei bambini e degli adolescenti non può
durare senza interruzione più di 4 ore e mezza.
Qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le 4 ore e
mezza, deve essere interrotto da un riposo intermedio
della durata di un’ora almeno.
I contratti collettivi possono ridurre la durata del riposo a
mezz’ora.
32
La riduzione di cui al comma precedente, in difetto di
disposizioni di contratti collettivi, può essere autorizzata
dalla Direzione provinciale del lavoro, sentite le
competenti associazioni sindacali, quando il lavoro non
presenti carattere di pericolosità o gravosità.
La Direzione provinciale del lavoro può proibire la
permanenza nei locali di lavoro dei bambini e degli
adolescenti durante i riposi intermedi.
Art. 21 - In deroga a quanto disposto dall’articolo 20,
la Direzione provinciale del lavoro può, nei casi in cui
il lavoro presenti carattere di pericolosità o gravosità,
prescrivere che il lavoro dei bambini e degli adolescenti
non duri senza interruzione più di 3 ore, stabilendo anche
la durata del riposo intermedio.
Art. 22 - (Riposo settimanale)
Il riposo domenicale e settimanale dei minori è disciplinato
dalle disposizioni vigenti in materia.
Ai minori deve essere assicurato un periodo di riposo
settimanale di almeno due giorni, se possibile consecutivi,
e comprendente la domenica. Per comprovate ragioni di
ordine tecnico e organizzativo, il periodo minimo di riposo
può essere ridotto, ma non può comunque essere inferiore
a 36 ore consecutive. Tali periodi possono essere interrotti
nei casi di attività caratterizzate da periodi di lavoro
frazionati o di breve durata nella giornata.
Ai minori impiegati in attività lavorative di carattere
culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o nel settore
dello spettacolo, nonché, con esclusivo riferimento agli
adolescenti, nei settori turistico, alberghiero o della
ristorazione, il riposo settimanale può essere concesso
anche in un giorno diverso dalla domenica.
Art. 23 - (Ferie annuali)
I bambini e gli adolescenti hanno diritto ad un periodo
annuale di ferie retribuite che non può essere inferiore a
giorni 30 per coloro che non hanno compiuto i 16 anni e
a giorni 20 per coloro che hanno superato i 16 anni di età.
I contratti collettivi di lavoro possono regolare le modalità
di godimento delle ferie.
Art. 24 - (Tutela previdenziale)
I bambini di qualsiasi età, anche se adibiti al lavoro in
violazione delle norme sull’età minima di ammissione di
cui alla presente legge, hanno diritto alle prestazioni
assicurative previste dalle vigenti norme in materia di
assicurazioni sociali obbligatorie.
…
Art. 25 – (Formazione professionale dei bambini)
I bambini di 14 anni compiuti possono essere ammessi
dagli Uffici del lavoro a frequentare corsi di formazione
professionale per il primo avviamento al lavoro, riconosciuti
idonei a fornire ai bambini stessi una adeguata formazione
professionale.
Gli Uffici del lavoro dovranno sollecitare i bambini che
hanno superato i 14 anni, che non proseguono gli studi
e che sono alla ricerca di un’occupazione, a frequentare
detti corsi.
33
Allegato I
I. Mansioni che espongono ai seguenti agenti:
1. Agenti fisici:
a) atmosfera a pressione superiore a quella naturale,
ad esempio in contenitori sotto pressione, immersione
sottomarina …;
b) rumori con esposizione media giornaliera superiore a
90 decibel LEP-d.
2. Agenti biologici:
a) agenti biologici dei gruppi 3 e 4, ai sensi del titolo
VIII del decreto legislativo n. 626 del 1994 e di quelli
geneticamente modificati del gruppo II di cui ai decreti
legislativi 3 marzo 1993, n. 91 e n. 92.
3. Agenti chimici:
a) sostanze e preparati classificati tossici (T), molto
tossici (T+), corrosivi (C), esplosivi (E) o estremamente
infiammabili (F+) …;
b) sostanze e preparati classificati nocivi (Xn) e
comportanti uno o più rischi descritti dalle seguenti frasi:
1) pericolo di effetti irreversibili molto gravi (R39);
2) possibilità di effetti irreversibili (R40);
34
3) può provocare sensibilizzazione mediante inalazione
(R42);
4) può provocare sensibilizzazione per contatto con la
pelle (R43);
5) può provocare alterazioni genetiche ereditarie
(R46);
6) pericolo di gravi danni per la salute in caso di
esposizione prolungata (R48);
7) può ridurre la fertilità (R60);
8) può danneggiare i bambini non ancora nati (R61);
c) sostanze e preparati classificati irritanti (Xi) e
comportanti il rischio, descritto dalla seguente frase,
che non sia evitabile mediante l’uso di dispositivi di
protezione individuale: “può provocare sensibilizzazione
per contatto con la pelle (R43)”;
d) sostanze e preparati di cui al titolo VII del decreto
legislativo n. 626 del 1994;
e) piombo e composti;
f) amianto.
II. Processi e lavori:
1) Il divieto è riferito solo alle specifiche fasi del processo
produttivo e non all’attività nel suo complesso. …
2) Lavori di fabbricazione e di manipolazione di
dispositivi, ordigni ed oggetti diversi contenenti
esplosivi,…
3) Lavori in serragli contenenti animali feroci o velenosi
nonché condotta e governo di tori e stalloni.
4) Lavori di mattatoio.
5) Lavori comportanti la manipolazione di
apparecchiature di produzione, di immagazzinamento
o di impiego di gas compressi, liquidi o in soluzione.
6) Lavori su tini, bacini, serbatoi, damigiane o bombole
contenenti agenti chimici di cui al punto I.3.
7) Lavori comportanti rischi di crolli e allestimento e
smontaggio delle armature esterne alle costruzioni.
8) Lavori comportanti rischi elettrici da alta tensione… .
9) Lavori il cui ritmo è determinato dalla macchina e che
sono pagati a cottimo.
10) Esercizio dei forni a temperatura superiore a 500°
C come ad esempio quelli per la produzione di ghisa,
ferroleghe, ferro o acciaio; operazioni di demolizione,
ricostruzione e riparazione degli stessi; lavoro ai
laminatoi.
11) Lavorazioni nelle fonderie.
12) Processi elettrolitici.
13) (soppresso).
14) Produzione dei metalli ferrosi e non ferrosi e loro leghe.
15) Produzione e lavorazione dello zolfo.
16) Lavorazioni di escavazione, comprese le operazioni
di estirpazione del materiale, di collocamento e
smontaggio delle armature, di conduzione e manovra
dei mezzi meccanici, di taglio dei massi.
17) Lavorazioni in gallerie, cave, miniere, torbiere e
industria estrattiva in genere.
18) Lavorazione meccanica dei minerali e delle
rocce, limitatamente alle fasi di taglio, frantumazione,
polverizzazione, vagliatura a secco dei prodotti
polverulenti.
19) Lavorazione dei tabacchi.
20) Lavori di costruzione, trasformazione, riparazione,
manutenzione e demolizione delle navi, esclusi i lavori di
35
Ist it uzioni
e organismi di parità
DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITÀ
officina eseguiti nei reparti a terra.
21) Produzione di calce ventilata.
22) Lavorazioni che espongono a rischio silicotigeno.
23) Manovra degli apparecchi di sollevamento a
trazione meccanica, ad eccezione di ascensori e
montacarichi.
24) Lavori in pozzi, cisterne ed ambienti assimilabili.
25) Lavori nei magazzini frigoriferi.
26) Lavorazione, produzione e manipolazione
comportanti esposizione a prodotti farmaceutici.
27) Condotta dei veicoli di trasporto, con esclusione
di ciclomotori e motoveicoli fino a 125 cc, … e
di macchine operatrici semoventi con propulsione
meccanica, nonché lavori di pulizia e di servizio dei
motori e degli organi di trasmissione che sono in moto.
28) Operazioni di metallizzazione a spruzzo.
29) Legaggio ed abbattimento degli alberi.
30) Pulizia di camini e focolai negli impianti di
combustione.
31) Apertura, battitura, cardatura e pulitura delle fibre tessili,
del crine vegetale ed animale, delle piume e dei peli.
36
32) Produzione e lavorazione di fibre minerali e artificiali.
33) Cernita e trituramento degli stracci e della carta
usata senza l’uso di adeguati dispositivi di protezione
individuale.
34) Lavori con impieghi di martelli pneumatici, mole ad
albero flessibile e altri strumenti vibranti; uso di pistole
fissachiodi di elevata potenza.
35) Produzione di polveri metalliche.
36) Saldatura e taglio dei metalli con arco elettrico o
con fiamma ossidrica o ossiacetilenica.
37) Lavori nelle macellerie che comportano l’uso di
utensili taglienti, seghe e macchine per tritare.
2.9 D.M. 30 settembre 2004,
“Riorganizzazione del Dipartimento per le pari opportunità”.
Art. 1 – (Competenze)
1. Il Dipartimento per le pari opportunità,… provvede agli adempimenti riguardanti:
a) l’indirizzo, la proposta e il coordinamento delle iniziative normative e amministrative in tutte le materie attinenti alla
progettazione e alla attuazione delle politiche di pari opportunità;
b) l’acquisizione e l’organizzazione di informazioni, anche attraverso la costituzione di banche dati, nonché la
promozione e il coordinamento delle attività conoscitive, di verifica, di controllo, di formazione e informazione nelle
materie della parità e delle pari opportunità;
c) l’adozione e il coordinamento delle iniziative di studio e di elaborazione progettuale inerenti le problematiche
della parità e delle pari opportunità;
d) la definizione di nuove metodologie di intervento, di studio e di promozione di progetti ed iniziative, nonché di
coordinamento delle iniziative delle amministrazioni e degli altri enti pubblici
nelle materie della parità e delle pari opportunità;
e) l’indirizzo e il coordinamento delle amministrazioni centrali e locali competenti, al fine di assicurare la corretta
attuazione delle normative e degli orientamenti governativi nelle materie della
parità e delle pari opportunità;
f) la promozione delle necessarie verifiche in materia da parte delle amministrazioni competenti, anche ai fini della
richiesta, in casi di particolare rilevanza, di specifiche relazioni o del riesame di particolari provvedimenti ai sensi
37
dell’art. 5, comma 2, lettera c), della legge 23 agosto 1988, n. 400;
g) l’adozione delle iniziative finalizzate alla prospettazione della posizione nazionale nel processo normativo
comunitario e di quelle necessarie all’adeguamento dell’ordinamento nazionale ai principi ed alle disposizioni
dell’Unione europea, il coordinamento ed il monitoraggio delle iniziative relative alla programmazione ed utilizzazione
dei fondi strutturali europei in materia di pari opportunità;
h) la cura dei rapporti con le amministrazioni statali, regionali, locali, nonché con gli organismi operanti in materia
di parità e di pari opportunità in Italia e all’estero, con particolare riguardo all’Unione europea, all’Organizzazione
mondiale delle Nazioni unite, al Consiglio d’Europa e all’OCSE;
i) l’adozione delle iniziative necessarie alla rappresentanza del Governo italiano, in materia, nei rapporti internazionali
e in organismi nazionali e internazionali, anche mediante la designazione di rappresentanti;
l) l’organizzazione ed il funzionamento della segreteria della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna,
citata nelle premesse;
m) l’acquisizione e l’organizzazione di informazioni, anche attraverso la costituzione di banche dati nonché la
promozione di iniziative conseguenti, in ordine alle materie della prevenzione, assistenza e tutela dei minori dallo
sfruttamento e dall’abuso sessuale dei minori oggetto della delega di funzioni al Ministro di cui all’art. 2, comma 1,
del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2002 citato nelle premesse;
n) lo svolgimento delle funzioni di cui all’art. 7 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 e all’art. 2 del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2003, recanti disciplina dell’ufficio per la promozione della
parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni di cui all’art. 29 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge
comunitaria 2001).
2. Il Dipartimento provvede, inoltre, agli affari generali e per quanto di competenza agli affari relativi al personale per
38
il proprio funzionamento, ai compiti strumentali all’esercizio di ogni altra funzione comunque attribuita o delegata al
Ministro per le pari opportunità, all’attività degli organi collegiali operanti presso il Dipartimento nonché al necessario
coordinamento delle attività svolte dalla Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto
legislativo 31 luglio
2003, n. 226, e degli altri organi collegiali operanti in materia di parità e di pari opportunità.
3. Il Dipartimento provvede, altresì, alle relazioni con il pubblico ed a tutte le richieste di informazioni relative alla materia
di competenza del Ministro per le pari opportunità.
Art. 2 – (Ministro)
Il Ministro per le pari opportunità, di seguito indicato «Ministro», è l’organo di Governo del Dipartimento.
Art. 4 – (Organizzazione)
l. Il Dipartimento si articola in tre uffici cui sono preposti coordinatori con incarico di funzione di livello dirigenziale
generale, e in sette servizi, cui sono preposti coordinatori con incarico di funzione di livello dirigenziale.
2. Gli uffici del Dipartimento sono i seguenti:
a) ufficio per gli interventi in campo economico e sociale;
b) ufficio per gli interventi in materia di parità e di pari opportunità;
c) ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e sull’origine
etnica di cui all’art. 29 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001).
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Art. 5 – (Ufficio per gli interventi in campo economico e sociale)
L’ufficio per gli interventi in campo economico e sociale provvede agli adempimenti di cui all’art. 1,
comma 1, lettere a), d), e), g), h) e i), e si articola in due servizi:
-
servizio per gli affari economici e sociali;
-
servizio per gli affari comunitari ed internazionali.
Art. 6 – (Ufficio per gli interventi in materia di parità e di pari opportunità)
L’ufficio per gli interventi in materia di parità e di pari opportunità provvede agli adempimenti di cui all’art. 1, comma 1,
lettere a), b), c) d), e), f), h), i), l) e m), e si articola in due servizi:
- servizio per il coordinamento degli organismi di parità e di pari opportunità;
- servizio per le iniziative scientifiche, culturali e sociali.
luglio 2003, n. 226, opera presso il Dipartimento per le pari opportunità.
2. La segreteria svolge le funzioni previste dal regolamento recante disposizioni attuative del decreto legislativo di cui
al precedente comma, ed è collocata nell’ambito dell’ufficio per gli interventi in materia di parità e di pari opportunità
-Servizio per il coordinamento degli organismi di parità e di pari opportunità, che coordina e verifica lo svolgimento
degli adempimenti istruttori e delle procedure amministrativo- contabili espletati in esecuzione dei deliberati della
medesima Commissione, con utilizzazione dello stanziamento di cui al pertinente capitolo del centro di responsabilità
pari opportunità del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il corrente anno e corrispondenti
capitoli per gli anni successivi.
Art. 7 – (Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e
sull’origine etnica)
L’ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e sull’origine
etnica, istituito e disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2003, si articola in due
servizi:
- servizio per la tutela della parità di trattamento;
- servizio studi, ricerche e relazioni istituzionali.
Art. 8 – (Segreteria della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna)
1. La segreteria della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna di cui all’art. 5 del decreto legislativo 31
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COMMISSIONE PER LE PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA
2.10 D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115,
“Regolamento per il riordino della Commissione per le pari opportunità tra
uomo e donna” così come modificato dal D.P.R. 20 gennaio 2009, n. 8.
...storie di donne che
hanno fatto la parità
Art.1 – (Composizione della Commissione)
La Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, già istituita ai sensi dell’articolo 3, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, di seguito denominata: “Commissione”, opera presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e le pari opportunità
e ha durata di tre anni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente
regolamento.
2. La Commissione è composta da venticinque membri:
a) il Ministro per i diritti e le pari opportunità, di seguito denominato “Ministro”, che
la presiede;
b) undici componenti scelti nell’ambito delle associazioni e dei movimenti delle
donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale;
c) tre donne che si siano particolarmente distinte, per riconoscimenti e titoli, in
attività scientifiche, letterarie, sociali e imprenditoriali;
d) tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
e) quattro personalità espressive degli organismi sindacali con peculiare esperienza in materia di politiche di genere;
f) tre componenti scelti nell’ambito delle organizzazioni imprenditoriali e della
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cooperazione femminile maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
3. Il Vice Presidente, nominato ai sensi dell’articolo 4, sostituisce il Presidente in
caso di assenza o di temporaneo impedimento o su delega dello stesso.
4. Il Segretario, nominato ai sensi dell’articolo 4, collabora con il Presidente e il Vice Presidente e, sulla base del programma di lavoro approvato dal Presidente, cura gli adempimenti ai fini
dell’insediamento dei gruppi di lavoro, sentite le indicazioni dei componenti, partecipando ai lavori dei medesimi gruppi quando necessario.
5. La Commissione si riunisce almeno nove volte l’anno. Alle riunioni della Commissione partecipa, senza diritto di voto, il Capo Dipartimento per le pari opportunità. Almeno due volte l’anno, la Commissione si riunisce a composizione allargata,
con la partecipazione di un rappresentante di pari opportunità per ogni regione
e provincia autonoma, anche al fine di acquisire osservazioni, richieste e segnalazioni in merito a questioni che rientrano nell’ambito delle competenze del
sistema delle regioni e delle autonomie locali. Alle riunioni della Commissione può
essere invitata la consigliera o il consigliere nazionale di parità quando si discuta
di questioni che coinvolgono materie di loro competenza.
Art. 3 – (Competenze e funzionamento della Commissione)
1. La Commissione fornisce consulenza e supporto tecnico-scientifico nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche di genere, sui provvedimenti di competenza dello Stato.
2. Nell’esercizio delle sue competenze, la Commissione, in particolare:
a) propone il programma annuale di lavoro, indicando le conseguenti esigenze
finanziarie;
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b) controlla sistematicamente gli sviluppi delle politiche delle pari opportunità tra
uomini e donne in ambito sopranazionale e comunitario;
c) segnala al Ministro le iniziative necessarie per conformare l’organizzazione delle
pubbliche amministrazioni alla parità dei sessi e, in generale, per realizzare l’effettiva parità nell’amministrazione;
d) redige un rapporto annuale per il Ministro sullo stato di attuazione delle politiche di pari opportunità, rilevando altresì l’eventuale mancato rispetto degli impegni comunitari;
e) può effettuare audizioni, pubblicare i propri lavori nonché le ricerche svolte e
predisporre la realizzazione di campagne informative.
3. La Commissione può articolarsi in gruppi di lavoro per materie omogenee composti da non meno di tre membri.
Art. 4 – (Competenze del Ministro)
1. Il Ministro:
a) fissa le linee di indirizzo dell’attività della Commissione;
b) determina il programma annuale di lavoro, individuando le relative risorse ai
sensi dell’articolo 6, tenendo conto delle proposte della Commissione;
c) convoca le riunioni della Commissione e ne fissa l’ordine del giorno;
d) nomina con proprio decreto fino a quattro esperti e consulenti competenti in
materia di politiche di genere determinandone il compenso;
e) nomina il Segretario tra i componenti della Commissione.
Art. 5 – (Segreteria tecnica della Commissione)
1. La segreteria tecnica della Commissione è costituita con decreto del Ministro, e
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svolge le seguenti funzioni:
a) istruttoria delle questioni di competenza della Commissione;
b) adempimenti strumentali al funzionamento della Commissione e dei gruppi di lavoro.
2. La segreteria tecnica si avvale di un contingente massimo di tre unità del personale in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per
i diritti e le pari opportunità, ad una delle quali vengono attribuite funzioni di coordinamento. Al personale di segreteria non competono compensi aggiuntivi per
l’attività prestata per la Commissione.
….
Art. 7 – (Relazione finale)
1. Tre mesi prima della scadenza del termine di durata, la Commissione presenta una relazione sull’attività svolta al Ministro per
i diritti e le pari opportunità che la trasmette alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 29, comma 2-bis,
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge
4 agosto 2006, n. 248, ai fini della valutazione congiunta della perdurante utilità
dell’organismo e della conseguente eventuale proroga della durata, comunque
non superiore a tre anni, da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro per i diritti e le pari opportunità.
…
COMPO SIZION E
Commissione regionale per la parità e
le pari opportunità uomo donna della Basilicata
Presi dente
Antonietta Botta
Compon enti
1.Maria Albano
2. Nunzia Maria Gabriella Armento
3. Angela Blasi
4. Loredana Bruno
5.Giuseppina D’Alessandro
6. Maria Anna D’Altorio
7. Rosetta Distasio
8.Giovanna Galeone
9.Caterina Giampetruzzi
10. Rosa Maria Giordano
11.Teresa Gullà Oliveri
12.Giuditta Lamorte
13. Antonietta Laviola
14. Giovanna Pepe
15. Ivana Enrica Pipponzi
16. Annunziata Pizzolla
17.Annamaria Russo
18. Giuseppina Anna Selvaggi
19.Angela Zifarone
Consigl io regiona le della Basilica ta
Ufficio Politiche della Rappresentanza e della Partecipazione
donna
Commissione regionale per la parità e le pari opportunità uomo
Via Vincenzo Verrastro, 6 – 85100 Potenza
Struttu ra
Dirigente Ufficio Dr.ssa Vesna Alagia e-mail: [email protected]
P.O.
Segreteria Luciano Sabia Tel. 0971-44.71.30 – Fax 0971-447204
e-mail: [email protected]
Rosaria La Torre Tel. 0971-44.71.21
e-mail
[email protected]
nità
http://www.consiglio.basilicata.it sezione Commissione Pari Opportu
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Se riconosci le differenze,
riconosci anche te stesso
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Opuscolo pari opportunità - Consiglio Regionale della Basilicata