CRITICAsociale ■ 15
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gono il ricordo e l’esempio di tutti i voti di
Congresso, di tutti i partiti socialisti della terra.
Facciamo pure buon mercato dei Congressi
e dei partiti socialisti, se così vi piace. Ma Turati non può non ricordare la esperienza nostra,
i nostri tentativi, la nostra propaganda, a lungo
esercitata, nel proletariato femminile; tutto
quel lavoro che, se poi ‘si arenò (e ne vedremo
le cagioni), bastò però a dimostrare come il risveglio delle donne lavoratrici crescesse in ragione diretta della nostra azione, idealisticamente socialista, esercitata in mezzo a
loro.
Erano migliaia, nel ‘96, nel ‘97, e” più tardi,
nel ‘901, le operaie delle più diverse industrie,
che accorrevano alle nostre conferenze ed entravano, allora, nelle organizzazioni. Nè mancò la partecipazione alle battaglie politiche.
Per le elezioni del ‘97 la Federazione socialista
milanese diffondeva, a diecine di migliaia di
esemplari, un opuscolo, diretto esclusivamente
alle donne, compilato dal Gruppo socialista
femminile, e le lavoratrici intervennero con ardore, di neofite, cooperando ai primi trionfi
dello stesso Turati nel 5° Collegio di Milano.
E l’agitazione per la legge sul lavoro delle
donne e dei fanciulli non fu opera delle donne
socialiste e sopratutto operaie? Ci vollero ben
quattro Congressi (i resoconti son là) perchè
la loro assidua insistenza persuadesse alfine,
nel 1900, l’apatia mascolina del ‘partito a propugnare la vitale riforma, presentando quel disegno di legge, preparato dal Gruppo socialista
delle donne milanesi, che doveva approdare,
attenuato, dopo i cento Comizi popolari, nella
legge attualmente in vigore.
Si scatenò la raffica del ‘98. Il partito, subendo la necessità indeclinabile dell’ora, fu
costretto, per debellare prima la reazione e
quindi per consolidare la libertà, a polarizzarsi
verso altre mete, persuadendo e proseguendo
l’unione elettorale dei partiti popolari; e le
donne, che non sono elettrici, vennero (questa
è la verità) lasciate in disparte. Non furono più
viste, alla soglia dei seggi elettorali, le giovani
lavoratrici, cinte’ della simbolica fascia colore
di fiamma, fiammeggianti di entusiasmo esse
stesse .... Ma quella scomparsa dimostrò soltanto, e dimostra, che il socialismo aveva, ed
ha, smarrito gran parte del suo fascino ideale
e morale. E non v’è da esserne lieti!
E così l’assenteismo, la incapacità politica,
l’ignoranza e la soggezione al clero, questi argomenti onde si fanno forti i, socialisti contro
il voto alle donne, oh! non sono essi, davvero
che li hanno inventati! Sono _ gli argomenti
che, in _ Germania, prima del ‘60, gli Junker,
i nobiluomini campagnuoli, più di recente, in
Austria la grassa e grossa borghesia, ripetevano a perdi fiato contro il suffragio universale
maschile; li ripeteranno ugualmente i nostri
feudatarii meridionali, quando verrà la sua ora.
Lo stesso Bebel confessa che, ancora nel 1863,
egli era ostile al voto universale maschile, per
queste stesse ragioni: eletto deputato nel 1867
dal suffragio universale, si convinse’ del suo
errore, come si convinsero tanti altri con lui e
dopo di lui; così, conquistato il voto alle donne, le conversioni del senno di poi crescerebbero all ‘infinito.
Ma io veggo già Turati, che, attenuando tutte le riserve del partito socialista, si trincera
sempre più dietro la “legge di gradualità”, a
cui “le ammirevoli” lavoratrici dell’Austria
avrebbero - egli crede - fatto così encomiabile
omaggio. Ma, anche qui, è un errore madornale. In Austria, il partito e le donne socialiste
accettarono bensì il solo suffragio maschile ;
lo accettarono come un acconto, non perchè
avessero accampata la necessità di siffatta gradualità sin dagli tnìzt della lotta. Scacciate dalle prime trincee, le classi privilegiate, repugnanti ormai da adoperare i fucili e le mitra-
gliatrici, pensarono di ridurre il danno a metà,
escludendo dalla vittoria le donne, la cui missione esse avevano tradizionalmente simboleggiato nelle famose tre 1(: Kinder, Kirche,
Kiiche (bambini, chiesa, cucina). Socialisti e
socialiste, d’accordo, trovarono utile non giocare il tutto pel tutto, contentarsi, per’ il momento, ‘della trincea conquistata, e accettarono la transazione. Ecco dunque sfuggite a Turati anche le “ ammirevoli” lavoratrici dell’Austria. Che cosa più gli rimane? ‘
Rimane a me di spezzare una lancia in difesa del Comitato nazionale pel suffragio femminile.
Perchè, in verità, non mi riesce di spiegarmi
tanta rigidità di partito di Classe, di fronte al
movimento femminile non, proletario, mentre,
nei rapporti coi partiti politici borghesi, i socialisti hanno smussato così generosamente gli
spigoli della loro classica intransigenza delle
origini. Dacchè - e per delle ottime ragioni,
che qui non discuto - le tendenze affinistiche
bloccarde o popolariste presero il disopra nel
partito - fino ad abbracciare, al di là della più
rosea democrazia, il liberalismo delle “sante
memorie” e dél “panteismo sociale - quando
mai il partito socialista accampò la pretesa di
poter lavorare con uomini di altri partiti e di
altre classi, soltanto a patto ... che diventino
socialisti e prendano il battesimo nelle pure acque proletarie? Forse chè le donne di qualunque ceto - professioniste, impiegate, insegnanti, commercianti, direttrici di industrie - non
hanno tutte le ragioni del mondo di reclamare
per sè i diritti di cui godono gli uomini? O potrebbero venir loro contesi, solo perchè la loro
bandiera fosse moderata o clericale?
Se i socialisti si sentissero convinti fautori
di un suffragio universale autentico, e non a
scartamento ridotto, saluterebbero con viva
soddisfazione anche le suffragiste non proletarie, come un coefficiente efficace all’auspicata vittoria. Solo si riserberebbero di combattere quella qualunque proposta di legge, che
intendesse limitare il voto ad alcune categorie
femminili privilegiate.
E ciò, non perchè i diritti politici e amministrativi. per le donne non proletarie, rappresentino una specie di sport o di snobismo politico.
Ma perchè le donne _. al di là della solidarietà
di sesso - appartengono anch’esse alle varie
classi sociali, e il voto femminile, limitato alle
sole classi superiori, si risolverebbe in un voto
plurimo, concesso alle ‘classi antagoniste al
proletariato, ed equivarrebbe a una vera restrizione del voto proletario.
Ed è proprio contro questo pericolo che il
partito socialista disarma incautamente e completamente se stesso, quando accampa le accennate riserve circa la immediata estensione
del voto universale alle donne. Nè è fantastica
o arrischiata la previsione che l’attuale Presidente del Consiglio - chi non ricorda il bouquet dei più bei fiori della sua eloquenza immaginifica, offerto alle signore delle tribune di
Montecitorio, quando si discusse la petizione
delle donne italiane pel suffragio? - possa presentare un disegno di legge pel voto limitato a
talune categorie di donne cittadine. Con quali
armi insorgerete a combatterlo? Per contendere’ il voto alla grande maggioranza delle donne, l’on. Luzzatti si farà forte dei vostri stessi
sofìsmi; e, in nome dell’armonia delle classi,
della fratellanza di tutte le donne, e della “legge di gradualità” per l’appunto, chiederà che
lo sperimento si cominci dalle donne più capaci. Ricorderà allora, ed a ragione, il Congresso femminile di Roma di or sono due anni,
dove un migliaio di rappresentanti femminili
dimostrò di saper trattare,’ con idee larghissime, le questioni più complesse della vita
moderna; evocherà forse (se non temerà gli
strilli del Gruppo. clericale!) il voto per la
scuola laica ... , e chiederà perchè a donne come la Labriola, la Dobelli, la Spalletti, la Pasolini e tante altre, non si possano aprire le
porte del Parlamento ... (1). E il Gruppo socialista avrà un . bel protestare e tempestare: ferito dalle armi che la sua improntitudine ha offerte agli avversarli, vedrà il voto plurimo
trionfare, favorito sia dall’interesse delle classi
conservatrici, sia dalla crdnerie politica e
dall’amabile scetticismo, che dominano, in
Italia, l’ambiente parlamentare.
E, se questo, che pare un sogno, si avverasse
.... à quelque chose maiheur est bon, e gli apostoli convinti del suffragio universale non ne
avrebbero forse ragione di rammarico. Toccato
nella sua corda più sensibile, la corda elettorale, il partito socialista si farebbe allora sul
serio banditore del suffragio universale - non
più confinato in qualche ordine del giorno, o
evocato come semplice espediente parlamentare - e vorrebbe allora, immediatamente,’
per le donne lavoratrici tutte quante, l’arme già
concessa, come privilegio di classe, alle donne
della borghesia.
La propaganda pel suffragio universale, calda di convinzione, fervida di fede nell’avvenire — diretta ai contadini, schiacciati dal medioevale giogo delle camorre meridionali e del
vandeismo settentrionale - alle donne, doppiamente martiri, della loro miseria e dell’egoismo mascolino - una’ propaganda, cui è giocoforza, per trionfare, metter in luce le infinite
ingiustizie che opprimono i più rejetti, i più dimenticati, i più sfruttati - una cosiffatta propaganda è la sola che possa infondere una :nuova
giovinezza al nostro partito.
Il partito socialista in Italia soffre di vecchiezza precoce. Qualche cosa s’è inaridito, alle sue fonti, e quello, che doveva essere torrente impetuoso, minaccia di assottigliarsi a ri-
gagnolo pigro, sboccante nei paduli di Montecitorio. Perciò i giovani non vengono a lui e
cercano altre vie; quelli che ci vengono ancora, e, in mancanza di contenuto idealistico più
alto, si danno alla propaganda anticlericale la
più volgare, che urta il sentimento delle masse
e che le allontana, troverebbero - in una forte
agitazione pel suffragio veramente. universale,
senza restrizioni - un aere ossigenato pei loro
polmoni morali, un alimento alla loro avidità
di espansione e di lavoro; rifluirebbero allora
essi, numerosi ed ardenti, nelle nostre file; e ci
renderebbero la vita. Se anche, nella critica ai
vecchi commilitoni, saranno talvolta ingiusti,
eccessivi, misconoscenti, poco importa, anzi
non importa affatto; purchè siano salutare correttivo alla saggezza e alla, prudenza dell’età
critica - ohimè! non l’hanno le sole donne! degli uomini politici.
Un’ultima parola, e questa, ed è di preghiera, alle compagne socialiste.
Partecipino esse - poche o molte che siano dappertutto, alla solennità dell’ imminente primo maggio; vi sostengano, dovunque, il diritto
anche delle donne alla conquista del voto; si
preparino a intervenire numerose al prossimo
Congresso socialista, per rivendicarvi lo stesso
diritto. Confido che voci giovani e forti avranno ben maggiore efficacia della mia voce - infiacchita dal grigio tramonto! s
NOTA
(1) Un articolo, a pro’ di questa tesi, del Saraceno nella Vita - che, se non è l’Anna d’Amico del pensiero del Gabinetto, come pretende
il Giornale d’Italia, certo sta In Intimi rapporti
con alcuni degli attuali Ministri - sembra suffragare la mia non temeraria previsione.
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ACQUA POTABILE AI COMUNI
Ernesto Bertarelli
(A proposito del disegno di legge pendente
avanti il Parlamento) (1)
I
l Parlamento fu chiamato a discutere la legge, che concede ai
Comuni italiani agevolezze finanziarie veramente notevoli, per risolvere il
problema dell’acqua potabile.
La legge è assai utile, se si pensi al numero
enorme di Comuni - specialmente rurali - che
non seppero ancora provvedere a un buon rifornimento idrico, sebbene la legge sanitaria
italiana dati dal 1888. Mette conto, perciò,
riassumere anzitutto i punti fondamentali del
disegno di legge, per aggiungere poi alcune
considerazioni di carattere generale, che paionmi appena accennate (a differenza di altre,
largamente svolte) nella Relazione Sanarelli.
Lo Stato, per la esecuzione di opere riguardanti la provvista di acque potabili, autorizza
la Cassa depositi e prestiti a concedere mutui
ai Comuni per una somma complessiva di 230
milioni di lire, in ragione di 15 milioni per- gli
anni 1912-913 e rispettivamente 20 e poi 25
dal 1914 al 1923. Lo Stato, inoltre, assume
l’intero pagamento degli interessi per i Comuni di non oltre 50 mila abitanti, e il pagamento
della quota d’interessi che superi il 2 o/n per i
Comuni da 50 a 100 mila abitanti; e la legge
stabilisce i modi e i limiti delle garanzie che
spettano alla Cassa depositi e prestiti, per le
quote di ammortamento.
Ove i Comuni non si valgano delle concesse
condizioni di favore e il Comune difetti di acqua potabile, le opere potranno essere imposte,
sostituendosi ai Sindaci il Prefetto, che si varrà
dell’aziono tecnica del Genio Civile. E lo Stato fornirà ai Comuni bisognosi e privi di risorse idriche (forse il testo voleva dire « apparentemente privi di risorse idriche») gli opportuni
aiuti di carattere tecnico, geologico e igienico.
***
Il disegno, che ho riassunto in ciò che è il suo
midollo spinale, è assai buono, e reca ai Comuni un contributo non indifferente, che diverrebbe anche più efficace quando si stabilisse tassativamente (e non solo, «a preferenza»)
che una metà o una terza parte della somma
sia assolutamente riservata ai Comuni minori.
E, senza pretendere che con ciò si risolva completamente la questione (non basterebbero due
miliardi, dato il costo delle opere necessarie a
rifornire tutte le disgiunte - piccole frazioni di
certi Comuni montani!), è probabile scerni
sensibilmente il numero dei centri, deficienti
(li quel primissimo elemento di civiltà, che è
l’acqua potabile.
16 ■ CRITICAsociale
E si può aggiungere che il contributo dello
Stato è abbastanza ampio per dar modo anche
ai Comuni più poveri di profìttarne.
Ma giova ammonire circa le difficoltà pratiche della esecuzione.
Chi scrive parla per esperienza personale,
avendo, durante nove anni, fatto esami e sopralluoghi per una cinquantina almeno di Comuni piemontesi, allo scopo di studiare i rifornimenti idrici.
L’educazione igienica, di cui parla nella Relazione alla Carnera l’on. Sanarelli, sebbene
embrionale, è oggi, nei Comuni rurali, più sviluppata di un tempo, e certo molti Comuni capiranno essere giunto il momento di profittare
della legge.
Ma i guai cominciano quasi sempre quando
si tratta, in un Comune rurale, di scegliere questa o quell’acqua, o di cominciare da una anzichè da un’altra frazione.
Le meschinità del villaggio hanno allora il
sopravvento, onde un contenzioso senza fine,
che pono in imbarazzo anche il migliore dei
Prefetti.
La nuova legge dà bensì facoltà al Prefetto
di sostituirsi al Sindaco: ma ciò era anche nel
passato, e non impedirà che, prima che sieno
espletati i ricorsi, passi un tempo infinito. Se
a ciò si aggiungono, sia pure pro bono nacis,
inframmettenze politiche, si capisce COI11e
sianvi Comuni che da dieci anni attendono la
fine delle pratiche amministrative per vedere
l’acqua zampillante dalle fontane.
Bisogna riconoscere che l’autorità sanitaria
provinciale ha, negli ultimi anni, fatto assai,
forzando la mano, ricorrendo a tutti gli argomenti, persuasivi e non: ma, con tutto questo,
se si vuole fare una rapida profilassi igienica
col mezzo dell’acqua, conviene trovar modo
di riparare alle lacune della legge comunale e
provinciale.
Per ciò la legge o il regolamento dovrebbero
stabilire che l e proposte concernenti - i rifornimenti idrici dei Comuni con meno di 10.000
abitanti (quelli, appunto, che presentano i più
complicati contenziosi) abbiano, per se stesse,
carattere d’urgenza.
Dovrebbe dirsi a un dipresso:
«L’autorità sanitaria, provinciale (medico
provinciale) e centrale (Direzione di sanità),
ove riconoscano l’urgenza, per un Comune, di
provvedere al rifornimento d’acqua potabile,
con lettera prefettizia inviteranno il Comune a
presentare entro sei mesi proposte relative (votate dal Consiglio comunale) in merito al rifornimento stesso.
Approvato il progetto, i lavori dovranno iniziarsi nei termini più brevi possibili e, in caso
di ritardo contestato dall’autorità provinciale,
il Prefetto si sostituirà al Sindaco, valendosi
delle relative disposizioni della legge comunale e provinciale.
«Se il Comune, entro i sei Illesi, non provveda al progetto, il Prefetto nomina una Commissione di tre persone; scelte possibilmente
tra igienisti, ingegneri e geologi della provincia, che provvedono al progetto, il quale, dopo
le abituali approvazioni, diventa definitivo.
Il Comune può ricorrere, e il ricorso al Consiglio di Sanità avrà carattere d’urgenza.
In ogni caso, se, dopo cinque anni dall’ invito al Comune di provvedere acqua potabile,
non si avrà il progetto approvato, non ostante
l’inoltro dei ricorsi, si provvederà d’ ufficio alle opere relative al rifornimento idrico. (2)
***
P
revedo le obbiezioni d’ordine giuridico. Ma
il passato ne ha offerto utili insegnamenti al riguardo. In materia di salute pubblica, le violazioni al diritto pubblico sono frequenti e si deve dirlo con sincerità: tratto-tratto procediamo
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a isolamenti forzati di un vaioloso proveniente
dalla Francia, mentre il nostro diritto (non
ostante l’artifiziosa invocazione alla legge comunale e provinciale) non offre lo armi giuridiche per quello che è nei suoi effetti pratici
un vero sequestro di persona.
Ora l’esperienza dice che le vie solite frustrano i progetti del genere, quando intervengano opposizioni; e, allo stato della nostra giurisprudenza, pochi Prefetti volonterosi si sentono - sia pure a fin di bene - di forzare In mano. Non si ha riguardo nel caso urgente ed eccezionale di un vaioloso: ma si considera normale il caso di un Comune che, per la sua acqua cattiva, ha ogni anno un centinaio di tifosi.
E la via e l’interpretazione sono errate. Bisogna intervenire energicamente, perchè
l’igiene - specie quando essa si chiama acqua
potabile - sia imposta contro ogni malvolere e
contro ogni artificio cavilloso, sia pure rivestito di veste giuridica.
La legge comunale e provinciale - la prova
provata di trent’anni lo dimostra - non è sufficiente al riguardo. Bisogna quindi studiare armi più efficaci e pronte.
E, nell’approvare la nuova legge, i benefici
della quale sono incalcolabili, dobbiamo desiderare si affermi questo concetto fondamentale: lo Stato non soltanto facilita economicamente l’adozione dell’acqua potabile ai Comuni, ma vuole che il beneficio non rimanga
come una esposizione puramente contabile,
ma sia goduto ed attuato.
In breve giro di anni non deve esistere più, a
costo di benefiche violenze, un solo Comune
italiano privo di buone acque: poichè, se è tollerabile che questo fondamento per la vita manchi a popoli non favoriti dalla natura, è inammissibile manchi in un paese corno il nostro,
ove, pur di volere, il problema idrico è risolto.
ERNESTO BERTARELLI
NOTE
(1) Questo disegno di legge, già approvato
alla Camera, pende in questi giorni avanti il
Senato.
(Nota della CRITICA).
(2) Sebbene non in questa forma precisa,
tuttavia le modificazioni introdotte dalla Camera nel disegno di legge hanno resa più spiccia la procedura, sottraendola a gran parte delle ordinarie lungaggini.
(Nota della CRITICA)
■ 1912 FASCICOLO 8 PAGINA 116
INTORNO ALLA FILOSOFIA DI MARX
Rodolfo Mondolfo
L’
articolo acuto e brillante di
Tullio Colucci sulla filosofia
di Marx è informato ad un
criterio, del quale non si affermerà mai a bastanza l’ importanza e la necessità: chi voglia
intendere il pensiero del Marx deve rifarne e
quasi riviverne il processo di sviluppo. Dall’idealismo hegeliano, per l’umanismo del Feuerbach, per il socialismo utopistico e le lotte
di classe al materialismo storico: tale la serie
dei momenti costitutivi e la dottrina finale in
cui quelli vengono a unificarsi in una sintesi
dialettica.
Ma la sintesi finale per essere rettamente intesa esige una esatta ricostruzione dei momenti costitutivi: quella fedele visione storica, in
somma, che ottengono ordinariamente l’idealismo hegeliano e il socialismo utopistico; ma
che è quasi sempre negata all’umanismo del
Feuerbach. Alla consuetudine non si sottrae
neppure il Colucci; il quale si attiene in sostanza, come altra volta il Gentile (il cui libro: La
filosofia di Marca, egli ha forse presente) a
quei lineamenti della dottrina del Fenerbach,
che sono schizzati nelle Glosse del Marx. E
parrebbe che miglior interprete non potesse
cercarsi: se non fosse che il Marx e l’Engels,
quando intendevano differenziare le loro dottrine dalle altre, adoperavano piuttosto l’ascia
che il cesello. E chi accogliesse la dottrina del
Feuerbach nella forma, in cui essa è presentata
dal Marx in quelle glosse, non riuscirebbe mai
ad intendere nè quale sia stata l’azione che il
reale Humanismus ha esercitata .effettivamente sul Marx, nè quale sia stato il vero processo
di sviluppo del pensiero marxistico e quale la
sua definitiva caratteristica differenziale.
All’ apparire dell’ Essenza del cristianesimo
(1841), Marx passa dall’idealismo all’umanismo, da hegeliano diventa feuerbacchiano. Ma
qual’era l’opposizione del Feuerbach all’Hegel? Era veramente affermazione di un materialismo, per il quale la realtà sia. nell’oggetto
sensibile in vece che nell’idea, e di fronte alla.
oggettività esteriore il soggetto non sia che una
tabula rasa, che riceve passivamente le impressioni dal mondo esterno?
In questo modo scompare ogni principio di
attività, ogni praxis: lo sviluppo e la storia diventano incomprensibili: quindi, si dice, Marx
da Feuerbach deve tornare a Hegel e alla sua
dialettica, se vuol capire e spiegare il processo
storico, preoccupazione principale della sua riflessione filosofica. Ma allora perché proprio
Feuerbach e non (per esempio) Epicuro, che il
Marx aveva fatto oggetto di un suo studio prima che apparisse l’Essenza del cristianesimo,
doveva richiamare Marx dalla contemplazione
dell’idea alla considerazione dell’oggetto sensibile? E quale azione avrebbe il Feuerbach
esercitato, sul pensiero marxistico, maggiore
di quel vecchio materialismo di Hobbès, Helvetius, ecc., che Marx doveva pur conoscere
bene, poichè ne parla con acutezza di critico
nella Sacra famiglia?
In realtà, l’opposizione del Feuerbach contro l’Hegel è ben di versa da quella del materialismo contro l’idealismo: è invece l’affermazione del volontarismo contro I’intellettualismo, la rivendicazione di quel momento impulsivo che il. razionalismo hegeliano trascurava o negava.
L’attività sensibile e l’impulso del bisogno
contro l’impassibilità dell’idea assoluta; l’uomo, come essere attivo e sorgente e sviluppo
inesauribile di bisogni, contro la concezione
che lo riduceva a semplice portatore dei momenti di sviluppo dell’idea assoluta. Ecco il
principio del bisogno nella sua infinita fecondità, che è concetto fondamentale nel Feuerbach. Concezione dialettica sempre, perchè il
bisogno è qui l’equi valente del non-essere hegeliano, trasportato dall’idea assoluta alla coscienza umana; è il sentimento di una mancanza o di un limite onde sorge l’aspirazione al
suo superamento. Ma, per trasportare il ritmo
dialettico dalla idea assoluta alla volontà umana, il Feuerbach ha bisogno di una duplice
condizione: la realtà effettiva del soggetto da
una parte (impulso e forza di sviluppo), dell’oggetto o natura dall’altra (limite ed ostacolo
all’impulso). Soltanto riconoscendo questa
doppia realtà, si viene a rendere concreto e
reale il rapporto dialettico soggetto-oggetto, e
il processo della praxis per un ritmo di affermazione (soggetto), negazione (oggetto) e negazione della negazione (attività del soggetto
che supera il limite oppostogli dall’oggetto e
si afferma entro e sopra la sua antitesi).
Ecco il naturalismo del Feuerbach, che si oppone alla teologia come all’idealismo hegeliano; ma che vuol essere così poco materialismo
e passivismo della tabularasa, da ricorrere all’affermazione della realtà autonoma della natura solo perché ne risulti la realtà autonoma
dello spirito, inteso quale principio di attività.
Non posso qui diffondermi in una dimostrazione che ho data altra volta contro il Gentile: mi
limito alla citazione di pochi passi caratteristici, tratti dall’Essenza del cristianesimo.
“La sua realtà (del soggetto) dipende dalla
sua attività; e l’attività non esiste senza oggetto, perchè “ questo soltanto trasforma la semplice potenza in attività reale “. Perchè l’energia potenziale si attui, occorre che si senta limitata, stimolata: insoddisfatta: ecco la funzione della natura di fronte all’nomo. “La “ coscienza del mondo è per l’uomo la coscienza
della “sua limitazione; ma questa coscienza è
in contraddizione con la tendenza della personalità a uno sviluppo “ indefinito.” E ancora:
“L’essere è il bisogno assoluto “ e l’assoluta
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