esposizioni
29 a edizione
13-15 settembre 2013
pieve santo stefano
ma la memoria
non è in crisi
eventi
Piccolo museo del diario
inaugurazione percorso multisensoriale
realizzato dallo studio di interaction
design dotdotdot
domenica 15 settembre
ore 12.00 performance
Palazzo Pretorio
Un museo che inaugura, inaugura la sua apertura.
Ma se invece fosse chiuso? Chiuso come il Palazzo-diario che lo
contiene? Allora bisognerebbe aprirlo a furia di berci, di picchiate
sul portone, di implorazioni e imprecazioni. E fin qui tutto normale.
Ma se chi bercia e picchia fosse anche lui chiuso, dentro al museo
- chiuso - che si trova nel Palazzo-diario chiuso?
Mario Perrotta
Ci sono settemila storie di carta che diventeranno entro il 2016 settemila storie
digitali. Chiunque nel mondo le potrà “richiamare” a sé con un computer o altro
strumento tecnologico connesso in rete. Ma solo qui, a Pieve Santo Stefano, sarà
possibile vivere una esperienza di immersione in questo fruscio degli altri che
è stato il sottofondo di un pezzo di vita di Saverio Tutino e di noi che ogni giorno
viviamo circondati, matericamente, da questo patrimonio di memoria che chiede
solo di uscire da un cassetto per svolazzare leggero e libero in un’altra dimensione.
Qui i visitatori saranno invitati a scoprire cassetti, memorie, diari segreti.
Il Piccolo museo del diario non è che l’evoluzione naturale del progetto di
digitalizzazione. Poiché i diari di Pieve saranno sempre indissolubilmente legati
al luogo che li ha ospitati nel 1984, quel “Palazzo-diario che si apre sulla piazza
a forma di libro” quel “luogo che ha scelto Tutino e non viceversa” come racconta
Mario Perrotta nel suo “Il paese dei diari”, abbiamo voluto ritagliare qui, in uno
spazio piccolo fisicamente ma grande di contenuti, il nostro museo che come
l’Archivio evolve e cambia di anno in anno. La prima costruzione interattiva si
inaugura a settembre ed è un omaggio alle anime dell’Archivio, quella fisica e quella
digitale, quella fatta di suoni e di immagini, quella dei presenti e degli assenti. Sarà
un’emozione che non vogliamo raccontarvi ma che vi invitiamo a scoprire con noi.
in tema
ma la
memoria
non è
in crisi
L’economia è in crisi, la politica è in crisi, la società
è in crisi, la religione è in crisi: la memoria no,
la memoria non è in crisi. La memoria è un bene
rifugio, uno di quelli che mantengono sempre il
proprio valore e lo accrescono persino, quando le
cose vanno male. Quando non si ha più il coraggio
di guardare al passato per misurarsi con i propri
errori e al futuro, per timore di non riuscire a
immaginarlo. Allora si setaccia la memoria in cerca
di risposte sempre più difficili da trovare e noi,
che abbiamo riserve piene di materiale prezioso, ci sentiamo ancor più in dovere
di prestarlo, o regalarlo, a chiunque lo richieda. Accumuliamo e prestiamo memoria
a interessi zero: questo è il nostro mestiere, lo facciamo da sempre e a prescindere
dall’andamento dello spread. Ma non per questo pensiamo di non poterci migliorare
con proposte che offrano alla memoria nuove prospettive di crescita. Così abbiamo
concepito la 29esima edizione del Premio Pieve Saverio Tutino, come un’apertura
del nostro mercato, un momento di incontro tra domanda e offerta: presenteremo
gli investimenti in memoria che abbiamo sostenuto e vi rendiconteremo gli incassi
(sempre in memoria) che abbiamo ottenuto e contiamo di ottenere nei prossimi
anni. Ospiteremo le proposte di quanti operano in mercati complementari al nostro
e daremo vita a joint venture in ogni settore: dall’editoria al teatro, dal cinema alla
musica, dalla fotografia al turismo. Nell’economia del nostro Premio, è proprio il caso
di dirlo, faremo circolare beni valoriali materiali e immateriali di ogni genere: da quelli
tradizionalmente agganciati alla manifestazione e legati ai temi dell’autobiografia
e dell’individuo, della storia dal basso e dell’identità collettiva, a quelli strettamente
connessi con questa edizione. Alcuni più facilmente spendibili e godibili (scrittura
visiva, maternità, alfabetizzazione, sport, gastronomia, digitalizzazione, politica,
tecnologia) altri invece che esigeranno e ci costeranno una tensione emotiva
profonda (femminicidio, Shoah, delinquenza). Venditori e acquirenti, protagonisti
delle compravendite di memoria alla Borsa di Pieve Santo Stefano, saranno come
da sempre le persone comuni che anche quest’anno porteranno in piazza le proprie
storie di vita già divenute diari, memorie ed epistolari. Persone che continuano ad
avvertire il bisogno intimo di raccontare di sé e di ascoltare gli altri. Alzate gli occhi
da questo opuscolo e guardatevi intorno: vedete quante sono? Altro che crisi…
progetti
La memoria non è solo scrittura
seminario di chiusura del corso
di formazione ‘I linguaggi della memoria’
venerdì 13 settembre
ore 14.00
Teatro Comunale
intervengono
Camillo Brezzi, Daniele Cinciripini,
Pietro Clemente, Alessia Clusini,
Samuel Webster, Maria Zamboni
Da tempo ragioniamo sulle forme che la memoria assume e sui linguaggi con i quali
si esprime. Grazie al Cesvot e all’associazione Promemoria abbiamo organizzato un
corso di formazione per volontari della cultura che è stata un’ottima occasione per
riflettere su alcuni di questi linguaggi, dai più classici ai più innovativi. Esperimento
riuscito. Ci siamo occupati di memoria e fotografia con Daniele Cinciripini, memoria
e video con Samuel Webster, memoria e social media con Alessia Clusini e memoria
e mail art con Maria Zamboni. In ognuno dei laboratori, punti di partenza o di
approdo sono stati la propria autobiografia o la rappresentazione di sé.
Tiriamo le fila di queste sollecitazioni in un incontro che legherà ancora di più i
linguaggi della memoria all’attività dell’Archivio dei diari grazie al coordinamento di
Camillo Brezzi e all’intervento inedito di Pietro Clemente che ci parlerà di Facebook
dalla sua personale angolatura antropologica.
esposizioni
La parola e il tempo
Parola, immagine, pittura,
segni e scrittura nell’arte
venerdì 13 settembre
ore 16.00 inaugurazione
Tempietto del Colledestro
fino al 15 settembre
a cura di Anna Spagna Bellora e Silvia Colombo
Una creazione artistica torna alla propria fonte di ispirazione. È quello che accadrà
a Pieve Santo Stefano nei giorni del Premio, con l’allestimento della mostra ‘La Parola
e il Tempo’, che trae ispirazione anche dal Lenzuolo di Clelia Marchi, simbolo ormai
universalmente riconosciuto dell’Archivio diaristico nazionale e della sua attività di
raccolta di materiale autobiografico. La mostra, che nel 2011 è stata esposta a Milano
nella ex chiesa di San Carpoforo, è nata da un’idea di Anna Spagna Bellora ed è stata
curata dal Centro di Ricerca dell’Accademia di Brera. L’esposizione ha chiamato
a raccolta quattordici artisti che operano nelle ricerche verbovisuali e ciascuno
ha realizzato un lavoro a tema, con un preciso stile personale accomunato da un
supporto uguale per tutti: un lenzuolo bianco.
Il tesoro dell’Archivio
i manoscritti pervenuti al
Premio Pieve Saverio Tutino
venerdì 13 settembre
ore 17.00 inaugurazione
Palazzo Pretorio
fino al 15 settembre
a cura di Cristina Cangi
La linfa vitale che scorre verso l’Archivio. Eccoli, i manoscritti. I diari, le memorie,
gli epistolari. La selezione degli originali più interessanti che sono arrivati a Pieve
Santo Stefano nel corso del 2013. Una mostra allestita per permettere al pubblico
del Premio Pieve di osservare da vicino i “contenitori” che ciascun autobiografo ha
scelto per conservare il racconto di sé: perché per la scrittura la forma è sostanza.
Nella selezione dell’oggetto sul quale scrivere, nell’organizzare gli spazi, nelle scelte
di cornice ciascuno di noi sta già raccontando se stesso. Soffermatevi a indagare
la personalità di ogni autore mentre ammirate il veicolo che ha condotto la sua
autobiografia fino ai vostri occhi.
esposizioni
Di me, attraverso gli altri
fotodiario di Donata Pizzi
venerdì 13 settembre
ore 17.00 inaugurazione
Palazzo Pretorio
fino al 15 settembre
Tra il 2008 e il 2009, tra la Bielorussia e il Brasile, tra una vita precedente e una
futura: Donata Pizzi ha scattato fotografie quasi ogni giorno, per un anno, mentre
attraversava il mondo e incontrava persone straordinarie. Quegli scatti, quelle
persone, sono diventate ‘Di me, attraverso gli altri’, fotodiario al quale l’Archivio
diaristico nazionale ha deciso di dedicare una mostra in occasione del 29esimo
Premio Pieve. Un racconto personale articolato per immagini, istantanee di persone
e luoghi che riflettono il momento di vita attraversato, e descritto, dalla fotografa.
Perché le pratiche autobiografiche riescono a trovare le forme più inaspettate per
affermarsi nella nostra quotidianità, affiancandosi e sovrapponendosi spesso alle
espressioni più artistiche e creative che siamo capaci di rappresentare.
in collaborazione con Promemoria
progetti
Tra cuore e ‘core business’
intervengono Guido Barbieri,
Cinzia Esposito, Mario Perrotta,
Gian Bruno Ravenni, Rossana Rummo
venerdì 13 settembre
ore 17.30
Teatro Comunale
Esistono amministrazioni politiche che nonostante la crisi economica non tagliano
le risorse destinate a investimenti nel settore della cultura. Vanno ringraziate.
Le ringraziamo. Esistono fondazioni che nonostante la crisi economica non tagliano
le risorse destinate a investimenti nel settore della cultura. Vanno ringraziate.
Le ringraziamo. Esistono istituzioni culturali che nonostante la crisi economica
non chiudono i battenti. Vanno ringraziate. Ci ringraziamo.
Siamo riconoscenti a chi ha creduto e crede nell’Archivio dei diari: senza crediti di
fiducia ed economici non saremmo qui a parlare di noi. Ma siamo anche consapevoli
che senza la disponibilità a metterci in discussione, e a cambiare, oggi non saremmo
qui a parlare di noi. È questo il messaggio che vogliamo lanciare al nostro mondo,
a chi opera nei mercati complementari della cultura e dell’istruzione, dell’arte e
dello spettacolo: non è vero che non esistono opportunità. Ci sono. Certamente sono
ridotte rispetto alle stagioni dell’oro e degli sprechi. Certamente la selezione è più
feroce. Certamente scoraggiano le opacità che mistificano i meccanismi premiali
e meritocratici. Ma le opportunità nitide ci sono e bisogna avere la voglia e la
generosità di andarle a prendere. Bisogna guardare avanti, e se lo dice un’istituzione
che ha la propria ragion d’essere nella conservazione della memoria, c’è da fidarsi.
Piedi saldi piantati nel passato, testa concentrata sul presente, sguardo
irremovibile rivolto al futuro. E ascoltare sempre il cuore. Nel nostro dna, nel dna
che ci ha trasmesso il nostro fondatore Saverio Tutino, c’è questa impostazione:
siamo consapevoli di averla sublimata nel progetto ‘Impronte digitali’, in quello
che è diventato il “core business” dell’Archivio negli ultimi anni e per i prossimi
anni. Un giorno, e non senza travagli, abbiamo capito che la nostra missione si era
evoluta. Dovevamo estendere il più possibile l’accessibilità alle fonti, per renderle
fruibili a chiunque lo desiderasse, riducendo al minimo i rischi di deterioramento da
consultazione per le testimonianze. Quindi digitalizzazione. Quindi condivisione in
rete. Quindi ‘Impronte digitali’. Abbiamo trovato competenze e sensibilità pronte a
promuoverci e abbiamo percorso un lungo cammino per incontrarle. Archivi, musei,
biblioteche, teatri, cinema, gente di cultura: non è più tempo di restare immobili. C’è
da ascoltare il cuore, c’è da mettersi in discussione, c’è da mettere a fuoco qual è la
propria missione e qual è il proprio “core business”. Per poi investirci tutti se stessi.
progetti
Ciak! Si gira il Memory Route
videopresentazione del progetto
di turismo esperienziale e storytelling
che diffonde il territorio aretino
portandone la memoria sul web
venerdì 13 settembre
ore 20.00
Chiostro asilo infantile
Umberto I
Ve lo abbiamo anticipato e accennato, presentato e fatto conoscere, promesso
e fatto desiderare: ora vi ci sbattiamo dentro. Letteralmente. Anzi: emotivamente.
Allentate i nodi delle cravatte (ammesso che qualcuno le porti al Premio Pieve!)
slacciate i polsini e tiratevi su le maniche delle camicie: mettetevi seduti, rilassatevi
e gustatevi il buon cibo toscano mentre vi godete il video di presentazione del
‘Memory Route’, il progetto di turismo esperienziale che coinvolge direttamente
l’Archivio dei diari insieme ad altre due realtà del territorio della provincia di Arezzo
riconosciute per il loro patrimonio di tradizioni e di memoria.
Partendo da Pieve Santo Stefano e arrivando fino al Comune di Terranuova
Bracciolini, passando per la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari,
il ‘Memory Route’ celebrerà un’area storicamente lontana dal turismo di massa
della Toscana, un punto d’arrivo per chi cerca e vuole vivere la vera tradizione,
attraverso gli occhi della comunità locale.
La valorizzazione dei patrimoni culturali esistenti è concepita attraverso l’offerta
di pacchetti turistici esperienziali, che vanno dall’artigianato all’enogastronomia,
dall’arte alla cultura fino alla natura. I visitatori saranno guidati alla scoperta
di vecchie botteghe artigiane, luoghi di soggiorno dal sapore tradizionale, racconti
di mestieri e famiglie contadine, assaggi di prodotti antichi e caratteristici.
I social network e il web avranno una duplice determinante funzione nel progetto
‘Memory Route’: da una parte saranno il mezzo che ci permetterà di raggiungere
un pubblico vasto, fruitore dei social media, dei blog, delle community online.
Dall’altra saranno il veicolo tramite il quale la comunità e le eccellenze locali
diventano accessibili alla comunità globale.
Per condurvi emotivamente all’interno di questo progetto abbiamo realizzato
un video promo che illustra la ‘Route’, e che vi presentiamo oggi così da
accompagnarvi tra le piazze e i vicoli di Pieve, Terranuova e Anghiari per farvele
conoscere più da vicino. Vi accompagneremo poi anche all’interno degli altri
elementi che caratterizzeranno l’esperienza turistica: i siti culturali, l’artigianato,
la natura, il cibo. Infine passando per lo storytelling e le interviste che abbiamo
realizzato alla comunità locale, condivideremo con voi il nostro concetto di
passaggio da locale a globale. Siete pronti per partire insieme a noi? Allora cosa
aspettate, slacciatevi le cravatte...
buffet a cura de ‘Il Ghiandaio’
prenotazione obbligatoria
cinema e autobiografia
Tutto parla di te
un film di Alina Marazzi
venerdì 13 settembre
ore 21.30
Teatro Comunale
saranno presenti
Alina Marazzi e Gianfilippo Pedote
Bisogna avere coraggio per realizzare
un film che sproni a una riflessione critica
sul “dogma della maternità”, inteso come
implicita accettazione positiva da parte della
donna del divenire madre mettendo al mondo
un figlio. Vuol dire accendere un confronto
su un tema che esiste, probabilmente da
sempre, ma del quale per comodità si tende
a non parlare. Non lo fanno gli uomini, non
lo fanno le donne: sembrerebbe di minare
quanto di più conclamato ci possa essere su
questa terra da un punto di vista affettivo, istintuale, persino etico e morale. Lo ha
fatto Alina Marazzi, portando nelle sale dei cinema italiani ad aprile 2013 la pellicola
‘Tutto parla di te’, prodotta dalla Mir Cinematografica, assumendosi la responsabilità
di dire ancora una volta che di conclamato nella vicenda umana e femminile non
c’è nulla, neppure la maternità. Un’opera nella quale la regista ha alternato finzione
narrativa e documentario, elemento fin qui caratterizzante del suo percorso artistico,
proseguendo l’approfondimento di temi assonanti quali la condizione della donna,
in ‘Vogliamo anche le rose’ del 2007, e la relazione tra madri e figlie in ‘Un’ora sola
ti vorrei’ del 2002. Sempre in tema di continuità, l’Archivio dei diari è orgoglioso di
poter vantare un ruolo attivo nel concepimento di questa pellicola, ispirata anche
da una ricerca effettuata sulle testimonianze autobiografiche conservate a Pieve
Santo Stefano: si va così consolidando un sodalizio culturale che ha raggiunto il
massimo livello espressivo proprio con il film-documentario ‘Vogliamo anche le
rose’, nel quale la regista ha raccolto le voci in soggettiva di tre donne attraverso i
loro diari tratti dall’Archivio, per raccontare la rivoluzione vissuta e realizzata dalle
donne negli anni Sessanta e Settanta. Ma di buone ragioni per pensare che il meglio
debba ancora arrivare, ce ne sono molte: «Da quando sono stata per la prima volta
all’Archivio dei diari di Pieve nel lontano 2003, invitata a presentare il mio ‘Un’ora
sola ti vorrei’ – ha dichiarato recentemente la regista - l’Archivio è diventato uno dei
miei luoghi del cuore, un passaggio – volutamente e piacevolmente – obbligato, ogni
qualvolta concludo un film e ho in testa di iniziarne uno nuovo». Intanto la 29esima
edizione del Premio Pieve ha il piacere di presentare ‘Tutto parla di te’, un film
in cui si racconta la storia di Pauline (Charlotte Rampling) che, bambina, ha vissuto
la depressione e la perdita della madre, e di Emma (Elena Radonicich), ragazza alle
prese con una maternità difficile. Queste due donne sono destinate a incontrarsi:
Pauline è tornata a Torino, alla Casa del quartiere, per proseguire delle ricerche
iniziate anni prima…
diari che diventano libri
Lasciato nudo e crudo
incontro con
Castrenze Chimento,
Duccio Demetrio, Nadia Frulli,
Nicola Tranfaglia
sabato 14 settembre
ore 9.30
Teatro Comunale
letture di Andrea Biagiotti
Siciliano di Alia e analfabeta, Castrenze Chimento
ha reso sublime il valore della scrittura e della
testimonianza autobiografica quando, varcata la soglia
dei settantaquattro anni, ha deciso di iscriversi presso
la Scuola Media “Antonio Ugo” di Palermo per istruirsi
e realizzare il sogno di mettere nero su bianco la storia
della propria vita. Ha compiuto così un gesto potente
ed emblematico che ha schiuso i contenuti di una
vicenda umana delicata e dolorosa, nella quale si narra
delle sofferenze patite da un bambino cresciuto nella
provincia di Palermo negli anni a cavallo tra lo scoppio
e la fine della seconda guerra mondiale. Castrenze ha
visto precipitosamente disgregarsi il proprio nucleo
famigliare ed è stato costretto a intraprendere lavori
disumani e faticosi, come garzone e come badante del bestiame, alla mercé di
padri-padroni che non hanno esitato a somministrare ogni sorta di violenza nei suoi
confronti. La sua vita è stata una catena di sofferenze proseguita con l’esperienza
della emigrazione e della microcriminalità, spezzata solamente grazie alla forza
d’animo di un uomo che sin da giovane, pur nelle avversità, non ha mai permesso
che l’odio e il rancore divenissero sentimenti preponderanti. Con il passare degli
anni Castrenze è riuscito a individuare e intraprendere la propria strada: ha lasciato
Alia per Palermo, poi ha trovato lavoro a Milano e infine in Germania e non più
nell’agricoltura, ma come operaio in una industria alimentare. Infine, negli anni
Settanta, il ritorno a Palermo dove vive tutt’ora. La scrittrice Evelina Santangelo,
prefatrice dell’opera, ha colto nell’autobiografia di Chimento “un tale sentimento
più vasto della vita che non fa mai cadere la narrazione nel rancore e nella
recriminazione”.
‘Chimento Castrenze, Nudo e crudo’
videofilm
di Nosrat Panahi Nejad
con Castrenze Chimento
e Franco Scaldati
da sabato 14 settembre
Palazzo Pretorio
Sala proiezioni
diari che diventano libri
L’espresso di mezzanotte
presentazione delle memorie
di Andrea Luschi
con Giuseppe Casadio,
Patrizia Di Luca e Bruno Ugolini
sabato 14 settembre
ore 11.00
Logge del Grano
letture di Grazia Cappelletti
Andrea Luschi, toscano, macchinista delle ferrovie,
ha vinto il Premio LiberEtà, XV edizione, rievocando
in maniera efficace e suggestiva l’antico mondo dei
ferrovieri e le sue trasformazioni. Quindici quadri,
“piccole preziose tracce di vita” in cui si muovono
personaggi molto diversi fra loro, attratti dalla magia
del treno.
Storie “impastate con la ghisa”, proprio come Dighedò,
il vecchio macchinista della locomotiva a vapore.
E di personaggi ne incontra molti Andrea Luschi
nel lungo viaggio sui binari della memoria: fra treni
e vaporiere spunta Gemisto, il macchinista-pugile,
detto anche Resisto per via di un incontro di boxe
finito male; il campione di scacchi che fra una stazione
e l’altra intavola partite “volanti”; la Biondina; la figlia del casellante; Ceppo detto
così per le sue “fisime sul freno”; Bùccica con il suo eterno “mezzo toscano”;
Cencio che “scandisce la giornata seguendo il traffico dei treni” e che muore
per aver lanciato un sasso contro il treno del re. C’è il ciclista in fuga che con
la complicità del casellante, ruba qualche minuto di vantaggio al gruppo grazie
al sopraggiungere del treno al momento giusto, il giorno che il Giro d’Italia transita
da quel passaggio a livello. E poi c’è Nello, il macchinista del primo Pendolino,
la cui vita è completamente dedita alle ferrovie, vittima di un destino beffardo...
Un mondo reale che tuttavia si concede all’immaginazione e alla fantasia.
La vita dentro e intorno alle stazioni brulica di storie, mentre i treni vanno su
e giù per il Paese, un mondo che si muove “con” e “attorno” al treno e che assieme
al treno si trasforma.
LiberEtà e Archivio diaristico
hanno avviato una collaborazione dal 1998.
primapersona
primapersona
Campioni fra le righe
intervengono Oliviero Beha,
Daniele Cinciripini, Simona Ercolani,
Anna Iuso, Stefano Pivato
sabato 14 settembre
ore 12.00
Logge del Grano
Lo sport è una miniera di Storie, proprio di quelle con
la “s” maiuscola. Persone che si misurano con altre
persone, persone che si misurano con dei record,
persone che si misurano con se stesse. A livello
agonistico o amatoriale, nella dimensione pubblica
o privata, poco importa: dietro a qualunque gesto
sportivo è rintracciabile un tentativo di misurazione
dell’“io”, il principio di un’interlocuzione intima che
comincia con la presa di coscienza del proprio
perimetro di azione, delle capacità e dei limiti del
proprio corpo. Non per caso, allora, il passo tra
l’attività sportiva e la pratica autobiografica si rivela
spesso tanto breve. Intorno a questa relazione
così stretta e sorprendente è stato costruito il
ventisettesimo numero di ‘Primapersona’, il semestrale edito dall’Archivio diaristico.
‘Campioni fra le righe’: è questo il suggestivo titolo di un’edizione che offre assaggi
inediti del materiale documentaristico conservato in Archivio, contributi originali
su alcuni dei campioni più amati e ammirati degli ultimi anni e su alcuni degli
eventi storici che hanno contribuito ad accrescere il valore intrinseco dell’attività
sportiva. Tra i molti che si sono dilettati a raccontare di sport, pur non essendo
protagonisti della vita pubblica, alcuni hanno lasciato traccia di sé nelle memorie
e nei diari di Pieve: sono autori di testimonianze che ci porteranno a vivere con
angoli visuali inconsueti le Olimpiadi di Tokyo del 1964, il Giro d’Italia del 1987,
la drammatica parabola di Gilles Villeneuve, la sfida sportiva dei disabili (e
delle biografie dei campioni paralimpici, oggetto di studio per chi si occupa di
disabilità). Ma c’è anche spazio per affrontare i temi del riscatto attraverso l’attività
pugilistica, di interrogarsi sul valore identitario della passione per una squadra di
calcio, di riflettere sulla proliferazione di autobiografie e biografie di successo che
immortalano l’epica dei campioni più famosi. Idoli che purtroppo possono subire
incidenti tragici, come quello che ha strappato la vita al campione di motociclismo
Marco Simoncelli, il “Sic”. E ancora: la passione di Pierpaolo Pasolini per il calcio, il
ritratto del “degasperiano” Gino Bartali, le architetture sportive nei regimi totalitari,
il ruolo dell’Ymca in Etiopia, il nuovo Brasile alla vigilia dei mondiali e il Messico della
storica rassegna del 1970. Il numero è corredato da immagini fotografiche scelte da
Daniele Cinciripini, grazie anche al contributo di ‘Urbanautica’, selezionate con una
open call internazionale dedicata esclusivamente al tema della rivista.
diari che diventano libri
Storie di una malavita
incontro con Nicola Maranesi
e Valia Santella
sabato 14 settembre
ore 15.30
Logge del Grano
letture di Andrea Biagiotti
La periferia e la povertà, le umiliazioni e gli espedienti,
il collegio e il carcere minorile, i piccoli furti e i raggiri, le
rapine e la galera, la famiglia e le donne, i figli e l’amore, l’odio
e la droga, la violenza e i soprusi, la legge e le ingiustizie, i
viaggi e le evasioni… L’elenco potrebbe proseguire a lungo:
nell’autobiografia di Claudio Foschini, ‘In nome del popolo
italiano’, ‘Il Mulino’, c’è tutto questo e molto altro. Una
memoria scritta di getto in un anno e sei mesi dal luogo in
cui l’autore, poco più che quarantenne, aveva trascorso gran
parte della propria vita: la prigione. Miniera di spunti.
La narrazione di sé di questo ladro, nato e cresciuto tra Roma
e gli istituti di pena di tutta Italia, ha destato interesse ed
entusiasmo per molte ragioni: la schiettezza del racconto,
la veridicità della testimonianza, la valenza documentale
delle descrizioni, la stessa inclinazione per la pratica autobiografica. Il trascorrere
degli anni - Foschini vince ex aequo il Premio Pieve nel 1992 - ha reso ancor più
articolato questo elenco, offrendo ai lettori di oggi due ulteriori motivi di riflessione
nell’approccio alla lettura. Il primo è drammatico: Claudio è morto. Nel 2010, nel corso
di una rapina, colpito da un proiettile, alle porte della Capitale. Un finale scontato
per chi diffida dall’umana capacità di redenzione. Un epilogo inconcepibile, per chi
la pensa all’opposto e intravede nella stesura di una memoria un primo tangibile
segnale di cambiamento di una persona alla ricerca di sé, gesto primordiale di un
“io” che torna a misurarsi per mezzo di un’unità primaria. Con la sua scomparsa,
suo malgrado, Foschini ha sollevato interrogativi che impongono un’indagine alla
collettività. Il secondo motivo di riflessione che scaturisce dalla lettura di questo
libro nell’anno 2013 è di natura scientifica: il dilatarsi della prospettiva temporale
consente di mettere a fuoco con maggiore precisione la valenza storica, sociologica
e antropologica della testimonianza. La traiettoria personale disegnata da Claudio
ha valenza interpretativa, parziale ma rappresentativa, di fenomeni quali la nascita e
l’evoluzione della delinquenza organizzata nei contesti urbani dell’Italia tra gli anni ’60
e ’70, l’affermazione e la diffusione dello spaccio e del consumo di droghe tra i giovani
e nei ceti meno abbienti, il peggioramento e la degenerazione delle condizioni di vita
della popolazione carceraria italiana.
‘In nome del popolo italiano’
film documentario (I diari della Sacher, 2001)
di Valia Santella con Claudio Foschini
da sabato 14 settembre
Palazzo Pretorio
Sala proiezioni
diari che diventano libri
Tirai su di lei per troppo amore
incontro con Lisa Ginzburg
e Cristina Scaletti
sabato 14 settembre
ore 17.30
Logge del Grano
letture di Mario Perrotta
“Tirai su di lei per troppo amore e tirai con un velo nero
dinanzi agli occhi” scrive il pittore salentino uxoricida dalla
sua cella di prigione della Santé alle sorelle che si trovano
a Gallipoli. Il pittore Forcignanò, nato nel 1862, emigra in
Argentina in cerca di una fortuna difficile. Là incontra e
sposa, nel 1910, Rosa, una brillante giornalista, autrice
di testi per l’infanzia, che verrà inviata a Parigi come
corrispondente de ‘La Prensa’. Giuseppe è felice di seguirla
sperando invano che la capitale francese porti anche a lui
successo e riconoscimento. Ma la mattina del 17 febbraio
1914, accecato dalla gelosia, uccide la moglie con due colpi
di fucile. Rinchiuso in carcere, costretto per quattro anni
ai lavori forzati, con una salute precaria, soccombe alle
condizioni detentive, nonostante la commutazione di pena per buona condotta
e un’intravista imminente libertà. Dal carcere scrive lettere alle sorelle lontane fino
a poco prima di morire, chiedendo perdono e cercando di comprendere la follia
del suo gesto. Le lettere del pittore, ritrovate da un appassionato collezionista di
documenti storici suo conterraneo, sono arrivate al Premio Pieve nel 1988 e sono
state finaliste di quella edizione. Pubblicate oggi nella collana ‘Autografie’ (Forum
edizioni) offrono uno spunto interessante, da un’angolazione particolare e da un
tempo remoto, per parlare di femminicidio. E raccontano più per il non detto che
per il detto, perché dalle ricerche di Maurizio Nocera e dalla sua passione per
il “documento storico” emerge una verità parallela che spesso i documenti portano
in luce, svelando segreti.
il teatro della memoria
Se non sarò me stesso
Diari e volti dalla Shoah
compagnia Teatro dell’Argine
sabato 14 settembre
ore 21.15
Teatro Comunale
con Giada Borgatti, Micaela Casalboni, Lea Cirianni,
Deborah Fortini, Ida Strizzi
drammaturgia Nicola Bonazzi, Azzurra D’Agostino, Vincenzo Picone
regia Andrea Paolucci
C’è Dora, polacca, studentessa di medicina a Bologna deportata ad Auschwitz:
sopravvivrà perché “medico”, costretta a scegliere quali delle sue compagne mandare
a morte e quali invece tentare di curare. C’è la piccola Ave, reclusa nel campo di
smistamento “Neue Heimat” a Dresda con tutta la famiglia, dove, nonostante tutto,
continua a gioire della vita, con innocenza e ostinazione. C’è la tenace Bianca,
partita da Napoli per rifugiarsi sui monti dell’Abruzzo, dove perderà buona parte
della famiglia in una notte di bombardamenti. C’è l’anglo-italiana Fanny che, dopo
la liberazione dal campo tedesco di Biberach, torna in un’Italia che non riesce più a
riconoscere. C’è Fiorenza, adolescente agiata in fuga per mezza Europa nell’attesa
di ricongiungersi al padre Oscarre, deportato a Mauthausen.
C’è Adelina, brillante avvocato parmense, che riesce a fuggire in Palestina con
il marito Ettore prima che tutto precipiti, andando incontro ad anni di sacrifici e
privazioni. Eccole, ve le abbiamo presentate. Chi sono? Sono donne. Sono donne che
hanno scritto storie. Sono donne che hanno scritto storie di chi ha vissuto in prima
persona la Shoah. Sono donne che hanno scritto storie di chi ha vissuto in prima
persona la Shoah raccontandola attraverso i propri diari. Sono donne che hanno
scritto storie di chi ha vissuto in prima persona la Shoah raccontandola attraverso
i propri diari e ispirando lo spettacolo teatrale che state per vedere. ‘Se non sarò me
stesso. Diari e volti della Shoah’ è opera della compagnia Teatro dell’Argine, per la
regia di Andrea Paolucci, in collaborazione con l’Archivio diaristico nazionale.
È il desiderio di offrire un nuovo strumento di espressione a chi ha già trovato
il coraggio, spesso dopo molti anni, di riversare su una scrittura intima e privata
il carico degli orrori e dei dolori lungamente repressi, primo passo di un complicato
percorso di confronto con se stessi e con gli altri sulle esperienze vissute. Nella resa
delicata e fedele del passaggio dalla scrittura intima alla rappresentazione teatrale
tutto il valore aggiunto di uno spettacolo che, per stessa definizione della compagnia
Teatro dell’Argine, non vuole essere spettacolare. È il teatro che si mette al servizio
di sei storie e fa posto a sei donne, alle loro parole, ai loro volti, alle loro vite in
qualche modo ripartite dopo quelle atroci violenze.
*
a seguire Natalia Cangi incontra Daniele Finzi
curatore del volume ‘Parole trasparenti’ (Il Mulino, 2013) di Ettore Finzi e Adelina Foà,
vincitore del Premio Pieve 2011, da cui è tratta la storia di Adelina
leggere e scrivere diari
La commissione di
lettura incontra i diaristi
della lista d’onore
domenica 15 settembre
ore 9.30
piazzetta delle Oche
coordina Natalia Cangi
interventi musicali Pieve Jazz Big Band
letture di Donatella Allegro, Andrea Biagiotti,
Grazia Cappelletti
Ester Biselli scelta da Natalia Cangi
Fernando Guidi scelto da Gabriella Giannini
Antonia Mertoli scelta da Rosalba Brizzi e Ivana Del Siena
Roberta Mugnai scelta da Riccardo Pieracci e Giada Poggini
Marisa Nigri scelta da Valeria Landucci
Monica Ortale scelta da Luisalba Brizzi e Patrizia Dindelli
Giuseppina Paloni scelta da Irene Napoli
Consegna dei premi speciali ai diaristi
Premio speciale ‘Giuseppe Bartolomei’
attribuito dalla Commissione di lettura, ex aequo
Albina Biondi – Diletto Manzini
‘Cara Uranina’
epistolario 1889-1899
Giuseppe da Prato
‘Ai tempi dell’Ancien Régime’
memoria 1757 -1777
Premio per il miglior manoscritto originale
Antonino Sammartano
Domani ti scriverò più a lungo
epistolario 1922-1927
Dalla collaborazione con il Museo dell’Emigrante (Repubblica di San Marino)
nasce il progetto ‘Due Paesi: esperienze comuni, memorie condivise’
ne parlano On.le Giuseppe Morganti e Patrizia Di Luca
Un progetto che mette in rete tre territori toscani per dar voce ai diari di migranti.
‘Di.M.Mi – Diari Multimediali Migranti’ creerà presso l’Archivio di Pieve Santo
Stefano un fondo speciale per accogliere queste storie
ne parlano Lorella D’Apporto e Alessandra Landucci
segue pranzo folcloristico a inviti a cura dell’Agriturismo ‘Le Ceregne Bio’
memorie in piazza
otto racconti autobiografici
manifestazione conclusiva
del 29° Premio Pieve Saverio Tutino
Guido Barbieri incontra i finalisti 2013
Filiberto Boccacci per Filiberto Boccacci
Maria Sofia Fasciotti
Daniela Leo per Francesco Leo e Anna Maria Marucelli
Luca Mefalopulos per Adriano Andreotti
Vittoria Pasquini per Valerio Daniel De Simoni
Ezio Sartori per Francesco Sartori
Rosario Simone
Marco Vinci per Donato Vinci
ospite d’onore
Vinicio Capossela
che riceve il
Premio Città del diario 2013
interviene
Francesca Borri
Premio Tutino Giornalista 2013
letture di Mario Perrotta e Paola Roscioli
con le musiche dal vivo di
Marco Paganucci e Maurizio Pellizzari
regia di Guido Barbieri
la manifestazione sarà trasmessa da Radio 3
diretta streaming intoscana.it
live twitting #premiopieve
domenica 15 settembre
ore 16.15
piazza Plinio Pellegrini
Premio Tutino Giornalista
«I giovani dovrebbero essere destinati per legge a governare
nei momenti di crisi come quelli che viviamo. Così il futuro
sarebbe garantito come portatore di automatici miglioramenti
nell’esistenza dell’umanità».
L’Archivio dei diari non ha la possibilità di realizzare il provocatorio desiderio
espresso dal suo fondatore, Saverio Tutino, in un editoriale di evidente attualità
pubblicato dalla rivista “Lettere” al tramonto del secolo scorso. Possiamo però
offrire un riconoscimento simbolico e prestigioso, in nome di Saverio, a quei giovani
invocati in soccorso e insieme chiamati ad assumersi le proprie responsabilità.
Saverio è stato uno dei più grandi giornalisti italiani, icona di un mestiere tra
i più seducenti per le nuove generazioni di tutte le epoche in età contemporanea.
Questo mestiere oggi in declino, vituperato e insultato nell’esercizio e nella
percezione, può contare ancora su sorprendenti interpreti: talentuosi, estrosi,
generosi. Giovani. A loro, a partire da quest’anno, sarà rivolto il Premio Tutino
Giornalista destinato a “Un giovane giornalista emergente curioso del mondo
e delle persone che lo abitano”.
A Francesca Borri, freelance in Siria, verrà attribuito per la prima volta
domenica 15 settembre. Venite a conoscerla.
Premio Città del diario
«Ho visto per la prima volta questo lenzuolo con la storia scritta
sopra, nel 1996, esposto e custodito dal prezioso archivio dei
diari di Pieve Santo Stefano. Era forse il pezzo più esplicativo
e simbolico dello spirito dell’archivio. Il compianto comandante
Saverio Tutino, dà una bellissima versione del suo arrivo nella
prefazione alla prima edizione pubblicata del diario. L’archivio
(da lui, all’epoca, diretto) porta avanti da anni la missione di
raccogliere memoria. Raccoglie diari di chiunque voglia donarli,
senza distinzione di lingua, di Paese, di grado di acculturamento.
La cultura va dispersa non solo con il patrimonio dei grandi, ma
con quello dei piccoli, degli umili, dei molti».
È uno stralcio di un recente articolo che Vinicio Capossela ha dedicato a Clelia
Marchi, a Saverio Tutino e all’Archivio dei diari dalle colonne della Domenica del Sole
24 Ore. Basterebbero queste poche parole, emblematiche per come sintetizzano
il senso di quanto avviene a Pieve Santo Stefano da quasi 30 anni, per attribuire
a questo artista universale il Premio Città del diario, che dal 2005 destiniamo
a “Una personalità del panorama culturale che si sia distinta per la sua attenzione
ai temi della memoria”. Basterebbero: ma c’è molto altro, e c’è una sorpresa.
Venite a scoprirla domenica 15 settembre.
diari
Patrie ingrate
memoria 1932-1967
Adriano Andreotti
nato a Pieve a Nievole (Pistoia)
nel 1907, morto nel 1970
Quando Adriano Andreotti scrive le sue
memorie è da poco rientrato in Italia dalla
Libia. Era partito trent’anni prima, come
tanti italiani influenzati dalla propaganda
fascista e spinti dalla necessità di
assicurare un avvenire alla propria famiglia,
andati in cerca di un’occasione di vita. In
eterna contraddizione con me stesso, sono
sempre stato il contrario di quello che avrei
voluto essere, sono sempre andato dove non
volevo andare […] fino a quando il bisogno di
lavorare mi spinse lontano dalla mia terra,
in un mondo che non cercavo, tra gente che non conoscevo, con altri emigranti senza
passaporto, in cerca di una fortuna che non arrivò.
Davanti ai suoi occhi scorrono le immagini di quella terra arida che solo il lavoro duro
dei contadini aveva trasformato: rivede le distese di ulivi e le vigne, gli irrigui, le case
degli agricoltori disseminate per la campagna assolata, i villaggi in cui si sentiva
parlare tutti i dialetti dell’Italia, le strade percorse dai camion che avevano sostituito
le carovane, i pozzi scavati nella sabbia. Riaffiora il ricordo di uomini entrati nella
memoria collettiva: il governatore Italo Balbo, padre Illuminato, l’arabo Hamed.
Dopo la seconda guerra mondiale molti italiani decidono di rientrare in patria e
coloro che rimangono, tra i quali Andreotti, si sentono abbandonati. Tutto precipita:
la steppa già sconfitta si riprende i campi coltivati, la sabbia ricopre i cortili delle
fattorie abbandonate e le strade. Anche Adriano decide di lasciare la Libia per
tornare in un’Italia ora molto cambiata, nella quale stenta a ritrovarsi: Mi sembra
di andare un’altra volta all’estero, tanto quella che ho lasciato, mi pareva casa mia.
Ma quando la Hostess ci prega di allacciarci le cinture di sicurezza, perché tra cinque
minuti atterreremo a Ciampino […] io mi metto a piangere. […] Roma: la riconosco, ma
non mi sembra più quella. Questa stazione non c’era, questa piazza è diventata più
grande, la gente ha più fretta, è meno educata, cammina indifferente tra tutte quelle
meraviglie è ossessionata dal traffico vertiginoso, più che dagli scrosci delle fontane,
dal verde degli alberi, dallo splendore dei monumenti, si lascia abbagliare dal richiamo
delle vetrine. Il fatto che non ci sia più un arabo, che il sole non scotti, che tutti parlino
pressappoco come me, mi disorienta e mi stupisce, come se fossi arrivato chi sa dove
[…] Mi incuriosiscono invece i manifesti dei partiti: falci e fiamme, edera e scudi. Ci
sono scritte tante cose, tante cose inutili. […] Anche le intestazioni, sembra che ce
l’abbiano con me: sembra che mi dicano: aggiornati! Ma come si fa ad aggiornarsi
in questo arcobaleno di colori e di sfumature, di improperi e di idee? Chi ha ragione?
Forse, avevamo più ragione noi di laggiù, che avevamo un solo partito: l’Italia!.
diari
Scoppi irregolari
epistolario 1913-1918
Filiberto Boccacci
nato a Viterbo
nel 1893, morto nel 1918
Filiberto Boccacci ha vent’anni quando nel 1913 parte per
il servizio militare in fanteria a Genova. La separazione
della famiglia innesca una fitta corrispondenza dalla quale
traspare l’approccio entusiastico alla vita del giovane:
Genova è bellissima! Almeno per quello che ho potuto
vedere, e noi stiamo in un luogo veramente incantevole.
Dalla branda posso vedere tutto il porto e sto elevato da
quello per un ottantina di metri. Carattere aperto, sfrontato
e pieno di vitalità: Filiberto si inserisce nel contesto militare
con spavalderia senza mostrare preoccupazione per i venti
di guerra che cominciano a soffiare sull’Europa. Ha le idee
chiare: vuol fare carriera nel più breve tempo possibile e
intanto si ingegna per lenire i disagi della vita in caserma. E la famiglia è chiamata a
rapporto: Ora veniamo al sodo. È giunto il momento di sacrificarsi un po’ per me. Quindi
speditemi subito (le sottolineature sono le sue, n.d.r.) per mezzo di un vaglia telegrafico
per lo meno 15 lire. Come vi ripeto questo è il momento di sacrificarsi per me. In seguito
verranno tempi migliori e tutto il bene che mi avete fatto ve lo compenserò siatene
certi. Con lo scoppio delle ostilità parte per il fronte, dove nonostante alcuni ricoveri
ospedalieri non perde la baldanza: certo, nelle sue lettere si insinuano riferimenti alle
sofferenze della trincea, nelle forme espressive caste e censurate concesse ai soldati,
ma nonostante le difficoltà il pragmatismo resta la cifra dominante delle lettere
spedite ai genitori. Filiberto alterna toni teneri e affettuosi a espressioni brusche e
sbrigative: Per la seconda volta ti asserisco che non prendo la paga da sergente ne’
quella da caporalmaggiore e che tutte le spese sono a mio carico. Per cui è inutile che
tu mi faccia tante spiegazioni: mi occorrono 75 lire al mese per vivere, quindi aspetto
il 27 le rimanenti 50 che il babbo mi spedirà colla massima urgenza ed esattezza.
Occorre mamma, che vi mettiate bene in testa che ho 23 anni, che debbo vivere da
me e tante altre belle e brutte cose. Nel 1916 frequenta un corso come allievo pilota
e ottiene il brevetto: entra in Aeronautica, conquistandosi una posizione ambita e
mitizzata dalle truppe di terra. Ma per Filiberto sarà la morte. Il Ministero della Guerra
lo destina alla difesa di Milano: partito dal vicino campo aviatorio di Trenno per un
volo di prova, sarà vittima di un drammatico incidente. Ad un tratto da terra si percepì
nettamente che il motore dava degli scoppi irregolari si legge in un verbale anonimo e
non datato dell’accaduto, che termina contraddittoriamente attribuendo lo schianto
soltanto ad un errore di manovra da parte del pilota ed escludendo ogni responsabilità
disciplinare, tecnica, civile e penale da parte di tutto il resto del personale. Chissà se
Filiberto, avvolto nelle fiamme, la pensava allo stesso modo.
diari
Sulla scia di
Valerio Daniel De Simoni
diario/blog/mail/lettere/ 2010-2011
Valerio Daniel De Simoni
nato a Sydney
nel 1986, morto nel 2011
3 luglio 2010 - Bronte, Sydney,
Aus, ore 13 “Seduto al sole”
Siamo così vicini, eppure così lontani. Abbiamo
fatto così tanta strada, eppure non siamo
neppure partiti.Siamo in tre, ma viaggiamo
come uno solo. Siamo giovani, eppure io mi
sento vecchio.
Mi chiamo Valerio De Simoni, ma chi sono io?
Io sono un essere umano, ma cosa siamo noi
veramente?Io sono coraggioso, ma di cosa ho
paura? Io partirò, ma tornerò, “io”? Così scrive
nelle prime pagine del suo diario Valerio, nato nel 1986 a Sydney da genitori italiani
trasferiti in Australia per motivi di lavoro. Nel giugno del 2010 prepara un’impresa
straordinaria: attraversare l’Europa, l’Africa e rientrare quindi in Australia per battere
il primato mondiale di percorrenza su moto quad e raccogliere fondi in collaborazione
con Oxfam per aiutare due villaggi africani. Il viaggio, organizzato con i due compagni
Ted e Jamie, inizia ad Istanbul il 10 agosto 2010: da qui, attraversando Turchia e
Balcani, prosegue in Europa, toccando molti Paesi. All’inizio l’itinerario è faticoso ma
privo di insidie. In ottobre comincia la vera avventura: Africa in quad significa battere
strade accidentate, attraversare città dominate da un traffico senza regole, vivere
sulla propria pelle le tensioni che agitano gli Stati di transito. Sarà però questa la fase
più intensa, in cui emergeranno attriti e riappacificazioni nel gruppo, in cui più forti
saranno le emozioni, più diretti e autentici i rapporti umani con la popolazione locale,
più forte la nostalgia di casa. Il 13 marzo 2011, percorrendo le strade del Malawi e
non lontano dal rientro, Valerio ha un gravissimo incidente stradale: soccorso, morirà
nell’aereo che lo sta trasportando in ospedale. Poche sera prima, in una lettera che
diventerà un involontario testamento, l’essenza nitida di questo giovane che sapeva
scrutare fuori e dentro di sé:
Mercoledì 9 marzo 2011 verso Monkey Bay. Sul traghetto ‘Ilala’ sul Lago Malawi,
Malawi. Ieri sera ho visto il tramonto più bello della mia vita. Arancio, rosa, rosso, verde,
blu, bianco, giallo, viola – un’immagine preistorica – con le acque tranquille del lago,
qualche uccellino nella distanza e le montagne del Mozambico come sfondo.Insomma,
l’avventura è già a 210 giorni dalla partenza da Istanbul. [...] È duro. Questo viaggio. È
molto duro a volte. Tra noi tre ragazzi, con le moto, con tutte le nuove culture, lingue,
ambienti, confini regole, ecc. ecc. Insomma, sarà una gran bella storia alla fine!
Valerio Daniel De Simoni ha lasciato un diario di viaggio articolato, composto dagli
appunti che ha tenuto nel suo taccuino, nei blog e nelle email spedite a famigliari e
organizzatori della spedizione. Sull’ultima pagina di questa testimonianza purtroppo
manca la sua firma: Ted e Jamie hanno portato a compimento l’impresa, forti della
promessa che si sono fatti prima di partire, arrivando a Sydney 14 mesi dopo.
diari
La mia casa deserta
diario 1948-1971
Maria Sofia Fasciotti
nata a Lucca nel 1924
Maria Sofia Fasciotti inizia a scrivere il suo diario nel
1948: ha 24 anni, si è sposata da poco con il conte Angelo
Gambaro con il quale condivide origini aristocratiche
e insieme al quale si trasferisce a vivere nelle colline
torinesi, in una villa con uno splendido giardino. Si
lascia alle spalle un’infanzia trascorsa a Roma, dove
si è laureata in Lettere Classiche, ma soprattutto
una giovinezza segnata da incomprensioni familiari,
e da una disparità di trattamenti con la sorella. Ma il
passato è solo un brutto ricordo rispetto al presente che
Maria Sofia si è costruita: I giorni volano, le settimane e
i mesi. Prima del matrimonio, la mia vita era come un’acqua stagnante, e l’avvenimento
tanto atteso, pareva che si allontanasse indefinitamente. Ma da che sono sposata,
tutto succede con una rapidità, e direi quasi inevitabilità meravigliosa. Così scrive nel
1948 sul suo diario, confidenzialmente chiamato Arsace, che interromperà solo nel
1971 dopo 23 anni di confidenze. La pace domestica si interrompe con la nascita e
morte del primo figlio, al quale ne seguiranno altri sette: Maria Clara, Paolo, Gregorio,
Emanuele, Carla, Matilde, Marcella. Mentre la famiglia pian piano si allarga, però,
si evidenziano le prime crepe causate da una forte differenza di carattere fra i due
coniugi: “Lelo”, il marito, è concentrato principalmente sul lavoro, è spesso assente e
poco partecipe della vita familiare, mentre Maria Sofia dimostra di essere una donna
con un forte rigore morale e una risoluta personalità. È il punto di riferimento dei figli.
Si occupa di loro, aiutata da domestiche e da istitutrici inglesi, degli affari di famiglia,
della gestione della casa e delle controversie con i parenti. Questa vita sempre presa
dalle preoccupazioni materiali, questo tempo sempre impiegato nelle cose pratiche, e
il non poter mai trovare un’ora di vera solitudine, di vero silenzio senza che la porta non
si apra all’improvviso e una voce indiscreta interrompa il tranquillo fluire dei pensieri
questo vivere lontano da ogni cosa spirituale, m’impedisce oramai di accostarmi alle
pagine non scritte, alle case deserte dei pensieri. Il diario accompagna la crescita
dei figli, le difficoltà dell’adolescenza, la loro ricerca di identità e le delusioni del
matrimonio ma anche la sofferta maturazione di Maria Sofia, donna alla ricerca di
un equilibrio tra la realizzazione dei propri interessi e la famiglia. La felicità dei nostri
figli, ecco ciò che conta. Il resto passerà. Il Signore non permetterà che io affondi, se la
volontà è stata buona e giusto il fine.
diari
Yol -1511
epistolario 1940-1946
Francesco Leo
e Anna Maria Marucelli
Francesco: nato a Milano
nel 1913, morto nel 1984
Anna Maria: nata a Firenze
nel 1912, morta nel 2005
Quando nel luglio del 1940 la madrina di guerra
Anna Marucelli invia la sua prima lettera al
tenente Francesco Leo, non immagina certo
che si sta rivolgendo al futuro padre dei suoi
figli. Lei è una giovane fiorentina che vive a
Roma, dove lavora come insegnante mentre lui,
milanese, dopo avere aver combattuto come
volontario in Africa orientale ed essere stato
congedato, insofferente della vita civile, rientra
nell’esercito e finisce in Libia dove lo coglie lo
scoppio della guerra. La risposta di Franco, datata 18 luglio 1940, è all’insegna di una
strafottenza che cela il desiderio di instaurare un rapporto.
Signor Marucelli A. (Antonia, Agata, Appollonia, Albina, Agapita, ecc.) avrò trovato?
Oggi non ho nulla da fare ed ecco perché rispondo allo scritto che considero ambiguo
… e vi dirò che sono molto sospettoso. So che molti usano fare scherzi, pazienza, ci
cascherò io pure, ma quella “A” vicino al vostro cognome mi sa di un possente nome
mascolino. Inoltre desidererei vedervi in fotografia, vi confesso che tengo molto
all’estetica femminile e resterei molto male se sapessi che colei che m’ha scritto fosse
una 50 enne zitellona in cerca di tardive emozioni da consumarsi alle spalle di un
ignaro e innocente tenente. Non le mancherei di rispetto, però preferisco corrispondere
con una giovane e bella. Pochi mesi dopo sarà fatto prigioniero dagli inglesi e inviato in
un campo di detenzione a Yol, in India. La corrispondenza però, a parte le interruzioni
dovute alle più ovvie difficoltà, si infittisce: Anna descrive la sua vita a Roma,
Francesco le parla della sua vita monotona e, tra le righe, dei suoi due tentativi di fuga
falliti. Intanto passano gli anni, la guerra finisce con i suoi strascichi di dolore e di
odio. Le lettere si fanno più intime e più esplicite ma rimarcano punti di vista diversi.
Scrive Anna: La guerra è realmente finita! […] Questa pace è stata per noi un sollievo
[…] Ma… quanta tristezza, Franco caro, come diverso speravamo questo giorno!!! Ma
ormai le recriminazioni sono inutili. Oggi bisogna solo pensare a ricostruire, a riparare
tutto il malfatto. Franco che ha vissuto lontano si è come cristallizzato nelle sue
posizioni: Cara Anna […] Dopo le tue lettere di Pasqua non ho più saputo se sei stata
licenziata e se hai trovato una nuova occupazione. Che smemorato! dimenticavo che
proprio in questo periodo sarai stata occupatissima a correre da un’urna all’altra per
dare tu pure la tua adesione a Pinco Pallino, abbattere Tizio ed esaltare la politica di
Caio. Sono al corrente di tutto. Esclusa la soddisfazione provata dall’allontanamento di
quei traditori chiamati Savoia (sia pure per il rotto della cuffia), per il resto….
diari
Con occhi di padre
diario 1905-1910
Francesco Sartori
nato a Tuscania (Viterbo)
nel 1875, morto nel 1960
È la nascita del primogenito Agostino, il 13 agosto
1905, che stimola in Francesco Sartori il desiderio
di dedicarsi alla pratica autobiografica: trentenne,
possidente originario di Toscanella in provincia di
Viterbo, comincia a scrivere un diario che ruoterà
intorno a due temi dominanti, portati avanti sempre
in parallelo. Il primo, più ancorato alla dimensione
privata, ci mostra un padre con una particolare
dedizione per la famiglia, e un marito che rinnova
costantemente l’amore per la moglie Alfonsina malata
di tubercolosi ossea. L’altro tema restituisce il profilo
di un uomo attento alle vicende lavorative private
e agli eventi pubblici, che annota minuziosamente
il resoconto periodico delle attività agricole, e
con la stessa attenzione segue gli eventi politici e
sociali dell’epoca: la crisi in Russia, i primi scioperi, la diffusione del socialismo, il
modernismo cattolico. In occasione delle elezioni politiche del 1909 commenta così i
risultati: Il 7 e 14 marzo ebbero luogo in tutta Italia le elezioni politiche per la nomina dei
Deputati. Interessante la lotta pel fatto che vi hanno preso parte anche i cattolici. Sono
entrati venticinque Deputati cattolici. I Deputati di estrema – Socialisti, Repubblicani,
Radicali – sono aumentati di numero, sono circa un centinajo. Il Governo ha in ogni
modo riportata vittoria. A Montegiorgio è stato eletto il campione della Democrazia
cristiana: Don Romolo Murri. Il Papa lo ha scomunicato. Voglia iddio proteggere il
retto sacerdote e far sì che il programma democratico cristiano un dì trionfi. Pubblico
e privato si fondono perfettamente nelle pagine lasciate da Francesco che ora
indugiano in riflessioni sull’impegno civile e sulla sua attività di assessore, ora sugli
eventi nazionali e internazionali che animano lo scenario del primo Novecento, ora
in digressioni curiose e originali dedicate alla crescita del piccolo Agostino, che la
narrazione accompagnerà fino all’età dei cinque anni, momento in cui il diario viene
interrotto. Occupandosi personalmente del figlio e orgoglioso di essere padre, con
puntuale attenzione, Francesco descrive i suoi progressi, l’alimentazione spesso
inusuale, lo svezzamento, il comportamento, senza tralasciare la sfera affettiva
e relazionale: Oggi il mio Agostino compie il 14° mese di età. Egli è florido, grassotto,
robusto, vivace, affettuoso. […] Ha messo 6 denti incisivi e 4 superiori, 2 posteriori; i
dentini già sono lunghi, ma quelli superiori sono radi e brutti. Cammina benissimo;
anzi vuol correre; è precipitoso. La mattina mangia la zuppa al cioccolato, ossia gli fa
cuocere bene del pane nell’acqua, poi vi si versano un cucchiaino di cacao e due di
zucchero. Beve poi il latte. A pranzo mangia buone minestre al semolino con brodo di
vaccina. Spizzica qualcosa di ciò che abbiamo a pranzo, beve vino.
diari
Musafir
memoria 1980-1990
Rosario Simone
nato a Orta Nova (Foggia)
nel 1960
Non bisogna ringraziare quando qualcuno compie un
dovere nei tuoi confronti, tu sei un musafir. Musafir.
In quel momento mi piacque moltissimo e subito mi
innamorai di quella parola che significa viaggiatore ma
che è anche allo stesso tempo viandante, persona che
non dispone in quel momento di una dimora o di una
famiglia che possa provvedere ai suoi bisogni. Il musafir
è il forestiero per eccellenza e l’ospite. Nell’estate del
1980, conseguita la maturità, Rosario, in compagnia
di un amico, decide di partire alla scoperta dell’Africa
settentrionale: arriva in Tunisia, attraversa l’Algeria e
infine giunge in Marocco. Un’avventura, un viaggio di
formazione, pensato per sfuggire agli itinerari turistici
attraversando Paesi anche con mezzi di fortuna.
Un’occasione per conoscere se stesso e che permetterà a Rosario di entrare in
contatto con la cultura araba, di scoprirne e apprezzarne gli aspetti più belli. Le scelte
universitarie e lavorative successive confermeranno la passione per i viaggi: tra il
1980 e il 1990 andrà più volte nei Balcani e in Medio Oriente, anche per motivi di studio
e di lavoro, aprendosi verso le altre culture senza riserve e pregiudizi. Le pagine della
sua memoria parlano di incontri inusuali, di amicizie nate per caso lungo una strada,
di occasioni colte e di opportunità sfuggite e spesso mettono a confronto un prima e
un dopo, impressioni di viaggi giovanili e il ritorno negli stessi luoghi nella “maturità”,
ricordi di letture affrontate a scuola su imprese epiche ed eroiche e il contatto con
quella realtà prima solo immaginata. Nel 1990 si trova in Iraq e alcuni inviati della
Rai gli offrono la possibilità di collaborare come interprete. La prima intervista la
facemmo ad un reduce di guerra appena rientrato dalla sua prigionia in Iran. […] quello
che andammo a trovare era un ragazzo coi capelli bianchi e suo figlio stentava ancora
a riconoscerlo perché fino ad allora l’aveva visto soltanto in una fotografia di dieci anni
prima. E mentre il prigioniero parlava suo figlio continuava a guardare, forse ancora
incredulo, quella vecchia foto del suo papà. Era un quartiere scita e la famiglia era scita
perché c’erano le immagini dell’imam Ali e dell’imam Hussein dappertutto. Raramente
avevo visto un essere umano così provato. Il giornalista gli chiese se sarebbe stato
disposto a combattere ancora per difendere la nuova provincia del Kuwait ed io tradussi
la domanda al cospetto di un marazzone del ministero dell’informazione. Gli uomini
dei servizi infatti ci seguivano e ci accompagnavano dappertutto. L’ex prigioniero, che
ancora barcollava per la debolezza, rispose che sarebbe stato onorato di tornare in
guerra in qualsiasi momento. Mentre parlava per poco non cadde per terra.
diari
Ma Donato andò a Sud
autobiografia 1894-1931
Donato Vinci
nato a Martina Franca (Taranto)
nel 1894, morto nel 1984
Donato Vinci ha compiuto ottant’anni quando decide
di cominciare a scrivere le sue memorie, volgendo lo
sguardo verso un periodo specifico della vita che va
dalla nascita, avvenuta nel 1894 a Martina Franca
in provincia di Taranto, fino al 1931 quando lavora a
Roma come agente di custodia. Cresce in una famiglia
di contadini e piccoli possidenti che dopo una serie di
traversie economiche, dovute a contrasti con i vicini e
parenti, si ritrova in miseria: per grande necessità fui
avviato al lavoro, quando avevo ancora otto anni è mezzo;
Però il mio povero Babbo, molto dispiaciuto di ciò, è mi
promise di mandarmi alle scuole serali, finché avrei
voluto andarci, che così fù; Ma non tanto profitto potetti
fare, perché quando mi ritiravo alla sera tardi dal lavoro,
ero sempre molto stanco. Quando avevo appena dieci
anni vi andiedi a lavorare per la prima volta nelle calabrie, insieme al mio povero Babbo.
Nonostante le difficoltà Donato ha la fortuna di crescere in una famiglia onesta ed
unita, dove l’affetto e il rispetto reciproco aiutano i componenti a superare la miseria
e la fatica e a mantenere la fiducia in un domani migliore. Che però tarda ad arrivare:
dopo anni di stenti, e proprio quando i bilanci familiari cominciano a risollevarsi,
scoppia la prima guerra mondiale e Donato viene arruolato e spedito al fronte. Dopo
cinque giorni dal suo arrivo in trincea partecipa alla battaglia del San Michele e viene
preso prigioniero dagli austriaci e deportato in Serbia, dove sarà destinato al lavoro
di disboscamento e alla costruzione di una ferrovia. Il suo carattere mite gli sarà di
grande aiuto per sopportare il lungo periodo di reclusione, la lontananza da casa, gli
stenti e la fame. Fin quando l’evoluzione del contesto bellico non gli offre occasione
per riguadagnare la libertà: mentre aspettavo sulla via che veniva d’Alessandrovac,
fui avvicinato da un giovane serbo, che mi rivolse le seguenti parole: Colleco italiano,
sentite il mio consiglio, io con questa carovana veniamo da Alessandrovac, ove tuona
attualmente il cannone. Vuol dire che i nostri avanzano, non passerà che pochissimi
giorni per essere liberati dai nostri, o dai nostri alleati. Dunque ti scongiuro non andare
più con gli austriaci e cerchi di nasconderti in qualche luogo, onde non farti trovare
così fra poco sarai liberato, e potrai andartene in Italia, mentre se fai al contrario, chi
sa quanto duri ancora la guerra ed ha subirne la prigionia per molto tempo incerto.
Così detto mi concedai dal giovane serbo, con la testa assorta in mille pensieri. Con un
gruppo di compagni sceglie coraggiosamente di non seguire la ritirata dell’esercito
austriaco: decide di dirigersi verso Sud, fino ad arrivare a Salonicco dove, dopo essersi
imbarcato su una nave italiana, rientra in patria. Dopo la guerra non riprenderà il
lavoro nei campi, ma si impiegherà nella polizia penitenziaria. Durante tale impiego
si dedicherà alla rilegatura di libri e ad altri lavori manuali, addestrato anche da
competenti “reclusi” addetti al laboratorio del penitenziario. Nel tempo libero
frequenterà a Roma musei, gallerie d’arte e una scuola serale di disegno.
diari
Premio speciale “Giuseppe Bartolomei”
attribuito dalla Commissione di lettura, ex aequo
Albina Biondi e Diletto Manzini
‘Cara Uranina’
epistolario 1889-1899
Poche ma intense lettere, in tutto 24, raccontano una storia grande come la distanza
che c’è tra l’Italia e il Brasile: Diletto, agronomo, rimane vedovo nel 1889 e subito dopo
essersi risposato decide di emigrare verso il Sud America con la seconda moglie, Albina.
La prima destinazione è Esteves, alla quale farà seguito Vista Alegre: l’obiettivo è sempre
quello di andare in cerca di fortuna mentre la speranza è riuscire a ricongiungere la
famiglia con l’arrivo della figlia Urania, nata dal primo matrimonio, rimasta in Toscana a
Figline Valdarno e affidata temporaneamente al nonno materno. Le lettere raccontano
la nascita di questo progetto destinato a svanire, nonostante Diletto ce la metta tutta:
colpisce infatti la testimonianza di un uomo laborioso e pieno di risorse, ben accolto e
stimato dalla comunità locale ma che, pur alternando successi e fallimenti professionali,
morirà prematuramente proprio a causa del duro lavoro.
Giuseppe da Prato
nato a Verona nel 1757
‘Ai tempi dell’Ancien Régime’
memoria 1757-1777
Giuseppe da Prato nasce a Verona, nel 1757, in una famiglia nobile. All’età di undici
anni, come vuole la tradizione, viene impiegato come paggio presso la corte di Giuseppe
D’Hassia Davmesbadt, vescovo di Augusta, salvo passare, alla morte di questi, presso la
corte di Clemente Venceslao di Sassonia, vescovo ed elettore di Treviri, che lo invierà al
seminario di Dillingen per completare la sua educazione. Impossibilitato a intraprendere
la carriera militare in quanto unico figlio maschio della famiglia, chiederà e otterrà dal
vescovo “l’emancipazione”. Il ritorno in Italia nel 1776 sarà però doloroso, soprattutto
perché segna il definitivo allontanamento da Giosepha, figlia di un barone di Augusta,
un amore tanto grande quanto impossibile da raggiungere.
Premio per il miglior manoscritto originale
attribuito dall’Archivio diaristico
Antonino Sammartano
nato a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1897
Domani ti scriverò più a lungo
epistolario 1922-1927
Un siciliano di 25 anni che ha combattuto nella prima guerra mondiale, si laurea in
Lettere a Pisa dove conosce Anna, una ragazza di 17 anni che frequenta un corso di
lingue alla Normale. Nasce l’amore, interrotto però dopo una breve frequentazione,
a causa del rientro di Antonino in Sicilia a Mazara del Vallo. Dal 1922 al 1927 Antonino
colmerà distanza e lontananza scrivendo ad Anna 300 lettere, a testimonianza
del sentimento forte e sincero che lega i due giovani. Sullo sfondo scorre la vita: la
preoccupazione per ottenere una cattedra per l’insegnamento e l’adesione di Antonino
al partito fascista. Anna e Antonino si sposano e nel 1927, alla nascita del primo figlio,
Anna si trasferisce definitivamente in Sicilia.
pubblicazioni
*
Storie italiane – Il Mulino
I diari di Pieve – Terre di mezzo
Ettore Finzi e Adelina Foà
‘Parole trasparenti’
Diari e lettere 1939-1945
a cura di Daniele Finzi
Dario Poppi
‘Fucili a salve’
Diario di una resistenza africana
prefazione di Pietro Clemente
Adele Foà, parmense, è un giovane e brillante
avvocato che lavora in un prestigioso studio legale
di Milano. Ettore Finzi, triestino, è un chimico
industriale. Si amano: in un mondo “normale”
li aspetterebbe l’ordinario, quieto futuro di una
famiglia borghese. Ma Adele ed Ettore sono ebrei,
vivono in Italia e in Italia corre l’anno 1938. Ettore
legge, si guarda intorno, riflette e intuisce che sta
per avvicinarsi un’immane tragedia. Decide allora
di percorrere l’unica strada che in quel momento
sembra più sicura: sale, insieme alla moglie, su di
una nave diretta in Palestina, destinazione non
tipica allora per gli ebrei in fuga. Lo Stato d’Israele
non esiste ancora e tutta l’area è sotto il controllo
britannico. Non li attende alcuna rete di protezione,
eppure ce la faranno. In Palestina nasceranno i loro
due figli, Hanna e Daniel. Adelina dovrà adattarsi a
svolgere i lavori più modesti per mandare avanti la
famiglia, mentre Ettore sarà costretto trasferirsi in
Persia per lavorare in una compagnia petrolifera.
Saranno anni difficili, durante i quali i coniugi si
scriveranno quasi quotidianamente per mantenere
vivo il rapporto e salda l’unione, messa a dura
prova dalla distanza che li separa. Nello scambio
di opinioni e nella diversità di vedute che anima
il confronto tra Ettore e Adele c’è tutto il valore
aggiunto di questo appassionante epistolario, che
offre un angolo visuale originale e inedito sulle
drammatiche vicende che stavano sconvolgendo
l’Europa e il mondo.
L’esperienza africana di un ceramista faentino
nelle pagine di un avventuroso diario. Anno
1941, Monte Gialo, Etiopia. Dario, trentottenne,
è l’intrepido direttore di una segheria legata
all’impero. Quando da Asba Littoria i militari - ad
eccezione del Commissario Civile - si ritirano,
decide di restare da solo a presidiare la segheria
organizzandone la difesa con armi e fortificazioni
occasionali. Nonostante la difficoltà di gestire gli
ascari dei battaglioni disciolti, continua a resistere
anche quando arriva il nuovo presidio di inglesi ed
etiopi. Nel frattempo ha una breve storia d’amore
con la giovane principessa Zannabec, moglie di un
ministro del Negus: quando il legame verrà scoperto,
la posizione di Dario si farà ancor più complicata,
anche perché nel frattempo perde il controllo della
segheria. Nel maggio del ’42 viene portato dagli
inglesi nel campo di concentramento di Mandara in
Somalia, per poi finire impiegato come prigioniero
civile presso la Compagnia Italiana Trasporti Africa
Orientale in qualità di verniciatore. Abile nella
lavorazione della ceramica, impianta una fabbrica
di manufatti con un socio disonesto e senza scrupoli
che porta l’attività in rovina. Successivamente, con
il nome d’arte di ‘Pippo Doria’, entra nel mondo del
teatro di prosa, nella compagnia di Nella Poli ma,
in un momento di crisi del settore, si vede costretto
a lasciare le scene, fino al successivo ritorno nel
varietà. Nel ’45, anno in cui si conclude il diario,
abbandonate nuovamente le scene, si impegna
nella produzione di ceramica, incaricato dal
ministro dell’Industria e del Commercio dell’Etiopia
per conto dell’imperatore Hailé Selassié.
pubblicazioni
Storie italiane – Il Mulino
Patrizia Gabrielli
Scenari di guerra, parole di donne
Diari e memorie nell’Italia
della seconda guerra mondiale
Corrado Di Pompeo
Più della fame e più dei bombardamenti
Diario dell’occupazione di Roma
prefazione di Alessandro Portelli
Sergio Lenci
Colpo alla nuca
Memorie di una vittima del terrorismo
prefazione di Giovanni De Luna
In bicicletta
Memorie sull’Italia a due ruote
Stefano Pivato, Loretta Veri,
Natalia Cangi (a cura di)
Se potessi avere
Memorie degli italiani ai tempi della lira
Diego Pastorino (a cura di)
prefazione di Pietro Clemente
Patria mia
Scritture private nell’Italia unita
a cura di Massimo Baioni
Patrizia Gabrielli
Anni di novità e di grandi cose
Il boom economico fra tradizione
e cambiamento
Magda Ceccarelli De Grada
Giornale del tempo di guerra
12 giugno 1940 - 7 maggio 1945
prefazione di Melania G. Mazzucco
Luigi Ganapini
Voci dalla guerra civile
Italiani nel 1939-1945
Antonio Sbirziola
Povero, onesto e gentiluomo
Un emigrante
in Australia 1954-1961
prefazione di Antonio Gibelli
tesseramento
La tessera degli amici dell’Archivio
è un buon investimento
La memoria non è in crisi, per tutte le ragioni che avete letto in questo
opuscolo ricchissimo di contenuti. Nemmeno l’Archivio dei diari è in crisi.
Sì, sono anni difficili, ci sono i tagli alla cultura eccetera, eccetera. Ma non
ci lamentiamo. Non possiamo davvero lamentarci perché i nostri giacimenti
sono inesauribili come le nostre idee. Abbiamo tanto credito, tanti investimenti
in fiducia e tante idee da realizzare. Abbiamo anche tanti amici, come te.
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manifestazione conclusiva del premio, in piazza Pellegrini, domenica 15 settembre.
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crediti
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