OTTIMIZZAZIONE DELLE FACOLTA' MENTALI IN TORNEO
Riassunto
Viene proposta una tecnica empirica di suggestione mentale che si propone di scongiurare alcune mancanze di
origine psicologica durante il gioco. L’obiettivo è quello di ridurre l’incidenza degli infortuni di gioco di tipo
banale (sviste o cappelle) e, in definitiva, di migliorare il rendimento agonistico del giocatore medio di circolo.
1. Sottoinquadramento del giocatore. Percezione e frustrazione.
Domenica, ore otto. C’è il penultimo turno del week-end, e stamattina non avete proprio voglia di giocare.
Quando è suonata la sveglia avete indugiato nel letto: “Ma chi me lo fa fare?” Però sapete bene che l’Elo è
sceso paurosamente (avete perso molte, troppe partite nei turni precedenti) ed è giocoforza andare. Siete diretti
in macchina al torneo, insonnoliti, di malumore - la vostra donna ha fatto pure storie - e dovete giocare.
Ecco un esempio delle condizioni concrete in cui si è costretti a giocare in torneo. Altro che la quiete di
casa, al computer o quando ne avete voglia! È adesso che vi giocherete i punti Elo.
Se foste in compagnia degli amici, cianciare di scacchi vi farebbe bene, anche se oscuramente sareste
preoccupati lo stesso. Ma siete soli, e riflettete. Soprattutto, vi danno un fastidio enorme i disastri che avete
combinato e i regali che avete elargito ai turni precedenti.
Ma quali libri di teoria, quali Informatori, quale Enciclopedia? Sapete bene che il vostro problema non è
l’apertura, visto che eravate usciti quasi sempre bene. E non è il mediogioco, perché ci sono stati comunque dei
momenti - almeno uno - in cui siete stati effettivamente in vantaggio.
E allora, perché avete perso?
Immancabilmente, inspiegabilmente, irrevocabilmente, ad un certo punto avete sbagliato.
- Avete ripreso automaticamente un pezzo;
- Ansiosi di realizzare, vi siete buttati su una continuazione idiota;
- In difesa vi è sfuggita la mossa che teneva;
- Non vi siete accorti di un errore avversario;
- Avete dimenticato una minaccia.
- Non avete analizzato quanto era necessario.
Tutti aspetti della stessa mancanza: non avete riflettuto abbastanza.
Non date retta ai libri di teoria. Non esiste ‘il’ momento critico: a scacchi, per chi non è maestro, ogni momento
è critico. Tuttavia se gente che - lo sentite - vale meno di voi e vi batte, è perché è stata in un momento almeno
più riflessiva di voi.
E cioè, dopo il vostro errore. E per quest’unico motivo, ha vinto.
È giusto tutto ciò? Vi chiederete.
Non lo sappiamo, e in fin dei conti non è questo il problema.
Botvinnik sostiene che l’unico parametro per valutare la reale forza di un giocatore sono i suoi risultati
agonistici.
Molto pragmatico, senz’altro. E tremendamente frustrante…
E allora, ribelliamoci a quest’andazzo! E usiamo la stessa moneta, il pragmatismo.
A scacchi si può sbagliare in molti modi, tutti più o meno gravi. È tempo di essere concreti. Individuiamo
insieme il difetto principale, il più nefasto, e lavoriamo solo su di esso, per ora.
Non vogliamo la Luna: è già un grande progresso recuperare una certa percentuale di vittorie o patte gettate
via. Come vedremo, può fare la differenza fra un mucchietto di punti Elo gettati e uno di punti Elo onestamente
guadagnati.
2. Individuazione del problema psicologico reale
Per prima cosa identifichiamo bene il problema su cui c’è bisogno di intervenire: qualcosa non va, ma non nella
nostra preparazione scacchistica, bensì nel nostro modo di pensare. Riflettiamo: i piani li abbiamo concepiti, le
minacce portate o parate, le cose che dovevamo fare le abbiamo fatte, ma... per una volta almeno non abbiamo
riflettuto abbastanza.
“L’attenzione di uno scacchista - dice Krogijus - ha evidentemente un carattere volontario... e gli aspetti
volitivi del carattere regolano il grado di concentrazione. L’intensità, l’ampiezza e la variabilità dell’attenzione
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aumentano o diminuiscono in modo direttamente proporzionale alla potenza e alla direzione dei processi
volitivi...”
Ecco la chiave. Si tratta di un problema di disciplina.
Intanto possiamo osservare che non si è sempre mentalmente indisciplinati. Le condizioni propedeutiche
all’indisciplina mentale, e quindi ai maledetti errori, sussistono:
- Quando si va a giocare depressi o di malavoglia (come il nostro scacchista di domenica mattina);
- Quando si va a giocare stanchi, insonnoliti o dopo un abbondante pasto.
Le probabilità di indisciplina mentale durante il gioco aumentano:
- Dopo un salto di tensione psicologica (ad esempio, nel vedere una mossa inaspettata);
- Al crescere della pressione del tempo (zeitnot), al primo controllo e alla fine;
- Dopo una brusca diminuzione di tensione, in genere immediatamente dopo il primo zeitnot;
- Dopo un crollo di tensione posizionale, ad esempio dopo una serie di cambi o dopo la transizione al finale;
- Quando ci si sente in vantaggio, non importa se esista o no;
- Quando si percepisce un pericolo, non importa se esista o no;
- Appena si intravvede una bellissima combinazione o una bella manovra;
- Al semplice trascorrere del tempo-scacchiera;
- In seguito a un intervento arbitrale;
- In seguito a un disturbo corporeo o ambientale;
- Con la presenza di spettatori, specie se in capannello.
È ora di rimboccarsi le maniche. Chi è il nemico? L’avversario?
No.
Prima di lui veniamo noi. Vengono ansia, indisciplina mentale, irriflessività.
Questi tre fattori sono come i tre anelli di una catena. Bene: attacchiamola non in uno, ma in tutti i punti.
Esistono delle tecniche di autosuggestione, con cui possiamo rimediare.
Possiamo mutuarle dal training autogeno, una sorta di versione occidentalizzata, e con minori connotati
filosofici, dello yoga. Il nostro approccio è pragmatico: non ci interessa sapere perché funziona, ma solo farlo
funzionare. Come utenti, abbiamo solo da guadagnarci.
Puristi, maestri e professionisti sorrideranno.
Lasciamoli stare. In caso di emergenza (e se avete letto fin qui, lo è!) anche un trattamento di tipo
semplificato può avere la sua concreta utilità.
3. Tecnica di autosuggestione mentale
Le azioni fondamentali che proponiamo sono tre:
1- Individuazione delle carenze personali;
2- Progettazione di una sequenza personalizzata di parole a forte intendimento positivo, da riunire in una
frase-chiave benefica, con la quale interverremo sull’inconscio;
3- Impiego della frase chiave in momenti opportuni, per influenzare l’inconscio ed ottenere il massimo
effetto positivo sull’atteggiamento psicologico durante il gioco. Ciò dovrebbe riflettersi sulla media dei risultati
finali.
3.1. Individuazione delle carenze personali
Ciascuno di noi, dopo sufficienti esperienze negative, sarà giunto a capire (o a sospettare) quali sono le sue
carenze psicologiche agonistiche. Si tratta di individuare i nemici del buon funzionamento della propria mente,
e quindi combatterli.
Ai nostri fini, consideriamo che siano già stati individuati e consistano ad esempio nel terzetto ansia,
indisciplina, irriflessività, foriero del tipo di banali errori tecnici prima elencato.
Individuare il nemico è già un grosso passo.
Non basta, però. Bisogna batterlo.
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3.2. Progettazione della frase-chiave benefica
I criteri che proponiamo per la progettazione della frase-chiave sono fondamentalmente quattro:
Personalizzazione.
La frase-chiave non può essere che individuale. Ciascuno deve intervenire con maggior forza sul proprio
vizio di condotta. Sospettiamo comunque che le carenze prima menzionate siano abbastanza comuni.
Essenzialità.
Le parole-chiave devono formare pochi concetti-chiave. L’ideale sono i verbi o i sostantivi che
simboleggiano azioni nel modo più vivido possibile. Tra due sinonimi va scelto quelli che evoca l’azione nel
modo più concreto. È possibile (e raccomandabile) aggiungere dei rafforzativi, come verbo + avverbio o
sostantivo + aggettivo. Evitare, se possibile, parole troppo generiche come “fare”, “cosa”, “bene”.
Contestualità.
Non vanno usati tempi al futuro o al condizionale. Usare solo il presente, o un verbo di dominio al presente
+ un infinito. L’inconscio (al quale ci rivolgiamo, e che tentiamo di influenzare) dovrebbe recepire più
facilmente una sfilza di ‘...qui, ora’. E inoltre, la partita di torneo è formata da tanti momenti critici tutti
caratterizzati da decisioni del tipo ‘...qui, ora’.
Positività.
Tutti i propositi devono essere espressi sempre in forma positiva, mai negativa. Quindi non va bene “Non mi
distraggo”, opp. “Non mi dimentico”, ma “Devo stare attento” e “Mi ricordo”.
Esempi
Sequenze generiche:
- “SONO CALMO - RIFLETTO SEMPRE - ANALIZZO TUTTO”;
- “STO TRANQUILLO - RIFLETTO ATTENTAMENTE - CONTROLLO TUTTO”;
- “CALMA - RIFLESSIONE - ANALISI”;
- “DEVO RESTARE CALMO - DEVO ANALIZZARE SEMPRE ATTENTAMENTE”
Sequenze mirate all’emotività:
- “QUANDO MI GUARDANO RESTO CALMISSIMO”;
- “QUANDO VADO IN VANTAGGIO RESTO CALMISSIMO”;
- “SOTTO DI TEMPO STO CALMO E ATTENTO”
Sequenze mirate alla mancanza di ‘fondo’ agonistico:
- “PIU’ LA PARTITA VA AVANTI, PIU’ RIFLETTO E CONTROLLO”;
- “PIU’ TRASCORRE IL TEMPO E PIU’ STO CALMO E ATTENTO”;
- “PIU’ SI VA AVANTI E PIU’ DEVO ANALIZZARE CON PRECISIONE”.
E così via.
3.3. Uso della frase-chiave
Le frasi vanno usate nel momento in cui siamo particolarmente recettivi alla suggestione.
E allora, quando?
Pensiamo a quanto ci restano impressi gli spot che ascoltiamo la mattina alla radio. Accendiamo per
ascoltare musica o notiziari... e invece ci propinano motivetti e suoni idioti che ronzano in mente e ci danno
fastidio per tutto il giorno. Ecco, quello è uno dei momenti. E perché?
Perché non siamo ancora del tutto svegli. Siamo più recettivi.
Ecco dunque individuato uno dei momenti adatti.
Un altro di questi momenti è, logicamente, di sera, quando ci siamo già coricati, siamo a luci spente. Per la
precisione, quando cominciamo ad avvertire un po’ di torpore mentale, mentre perdiamo a poco a poco la
sensibilità del corpo fisico e la nostra mente inizia a ‘galleggiare’ nel buio.
Un piccolo sforzo di volontà (ancora lei!) e ripetiamo insieme, lentamente, lentamente, ma con ‘voce
mentale’ seria, profonda, autorevole e convinta, la nostra frase-chiave, più e più volte.
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Quando siamo soli, possiamo anche ripetere la frase-chiave ad alta voce. Molte, molte volte. Ad un certo
punto le parole diverranno puri suoni; il loro significato è andato ‘in saturazione’. Non ne afferriamo più il
senso, ma il nostro ego talamico animalesco, impenitente, insofferente, indisciplinato, forse sì.
4. Primi risultati
Questo metodo, in qualche modo da me ricavato dall’estrapolazione di concetti psicologici e tecniche di
suggestione mentale già trattati in letteratura (vedi appresso), è stato da me sperimentato nell’ultimo torneo al
quale ho partecipato.
Il mio principale nemico, da quando gioco, è sempre stato l’ineluttabile verificarsi, nell’arco di un torneo di
otto turni (e in concomitanza delle situazioni già elencate nel paragrafo 2) di due-tre cappelle o sviste tattiche
banalissime.
La cosa ha sempre condizionato pesantemente i miei risultati agonistici a tavolino. Perdere gettando via le
proprie partite in modo idiota non è la stessa cosa che perdere gettandole perché si è osato troppo, o perché
l’avversario ha palesemente costruito e meritato la sua vittoria. Nel primo caso, esiste anche una valenza
frustrante, foriera di ulteriori emotività.
Individuati dunque autonomamente gli aspetti più deleteri della mia condotta psicologica di gioco
(emotività, indisciplina, fretta d’analisi, superficialità ecc.) e progettata la frase chiave a me più confacentesi (o
che a me pareva tale), il metodo è stato da me applicato a partire dalla settimana precedente al torneo e durante
tutto il suo svolgimento.
La litanìa mentale era da me ripetuta appena sveglio, prima di addormentarmi e, in forma rafforzata con
pronuncia a voce alta durante la mezz’ora di guida autostradale necessaria a raggiungere la sala di gioco.
Ebbene, dopo due sconfitte iniziali, derivate una da ignoranza in apertura e l’altra da errata condotta
strategica, ho realizzato 4.5 punti sulle restanti 6 partite (3 vittorie e 3 patte), restando imbattuto.
Il mio frequente ‘vizio’ non si è mai verificato. Praticamente, niente cappelle. Errori strategici, sì; mancanze
tecniche sì; ma cappelle, quelle due o tre cappelle, no. Solo per questo, ho guadagnato più di trenta punti Elo.
Ha funzionato? E, in caso di risposta affermativa, perché?
Esistono tre possibilità reali:
1. Il metodo è, in qualche misura, efficace;
2. Il metodo non è efficace, ma dal momento che l’utente del metodo è inconsciamente convinto che debba
funzionare, allora ‘fa in modo’ che esso effettivamente funzioni. In altre parole, avviene un effetto placebo.
3. Il metodo non ha alcuna efficacia, e il presunto miglioramento è semplicemente un’oscillazione casuale
del risultato in senso positivo.
Se la realtà è quella dei casi 1 o 2, è lecito affermare che il metodo ha avuto successo. Dal punto di vista
pratico, infatti, non c’è differenza fra questi due casi, in quanto portano allo stesso esito finale, positivo.
Nel caso invece che la situazione reale sia la n° 3, lo sforzo di applicare il metodo sarà stato, evidentemente,
inutile.
Ma è proprio uno sforzo così intollerabile?
Quanto al perché, ne demandiamo la risposta rigorosa agli psicologi professionisti.
5. Conclusioni
1. È ovvio che non è lecito affermare nulla di realmente scientifico se non in seguito a un’analisi statistica su
molti scacchisti. Analisi ancora di là da venire, senza la collaborazione degli stessi.
2. La mia impressione personale è che il metodo abbia avuto efficacia. Non mi era mai capitato di giocare un
torneo senza nessuna cappella. Pertanto ritengo che valga la pena provare, dato lo sforzo necessario, in verità
assai piccolo. Esorto a provare senz’altro, essendo convinti di influenzare il nostro inconscio. Essendo
convinti di questo: come ‘lui’ ci costringe a commettere gravi errori perché non sa come si deve comportare
mentre ‘noi’ giochiamo al torneo, altrettanto possiamo ammaestrarlo ad impedire al ‘noi’ pensante di
commettere almeno le sviste banali.
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3. Qualora l’efficacia di questo metodo metodo venga dimostrata, è ragionevole ipotizzare che essa sia
suscettibile di ulteriori incrementi, magari a seguito di procedure d’influenza inconscia anche più efficaci di
questa qui delineata.
6. Nota bibliografica.
Alcune opere relative alle tematiche psicologiche:
N. V. Krogijus - Scacchi e Creatività (Francisci, Abano T. 1984)
Screm - Guida al Training Autogeno (De Vecchi, Milano)
Baggi/Ceppellini - Corso Pratico di Training Autogeno (De Vecchi, Milano)
Sacripanti/Zichichi - Perfezionamento e Allenamento negli Scacchi (AMIS, 1995)
Avni - La Creatività negli Scacchi (Prisma, 1995)
Benko - Vincere a Scacchi con la Psicologia (Prisma, 1995)
Festini Cucco - Psicologia degli Scacchi (Franco Angeli)
De Groot - Thought and Choice in Chess (Mouton & Co, 1978).
Fra i numerosi articoli apparsi su riviste italiane in materia di training, menzioniamo quelli a firma di Roberto
Albanesi su Torre&Cavallo degli ultimi due anni; del maestri Tribuiani (T&C 7/8 1992) e Steinfl ( Ts92, Dic
93 3 Feb. 94), della dott. Alborghetti (T&C 11/1993 e seguenti), del m. Messa assieme a M. T. Mearini (T&C,
4/1993), di Paizis (T&C 8/9 1991) e , naturalmente, di Alvise Zichichi su Scacco! (9.1982; 1985, p. 545;
nonché sull’importante opuscolo AMIS).
N.B. Sono gradite osservazioni, commenti, impressioni da parte di chiunque intenda provare o abbia provato
questo metodo, al fine di stabilirne l’effettiva potenzialità.
il Custode
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