Capitolo 18
Il processo di integrazione
economica
e monetaria in Europa
R.Capolupo Appunti macro2
1
Il processo di integrazione economica e
monetaria in Europa



Sebbene si sia trattato di un processo lento e graduale,
iniziato nel 1958 con il Trattato di Roma i cambiamenti più
radicali si sono avuti dopo la sottoscrizione del Trattato di
Maastricht (gennaio 1991)
L’introduzione del mercato unico e della moneta unica
hanno rappresentato una svolta epocale in cui i paesi
operano in un contesto sistemico nuovo non più limitato alla
sola dimensione nazionale.
Il processo non è esaurito ma in continua evoluzione e
pone nuove sfide con il processo di allargamento ai paesi
dell’Europa Centro- Orientale e meridionale
R.Capolupo Appunti macro2
2
Dati chiave dell’UE





Caratteristica dei paesi dell’UEM è l’alto grado di
apertura
Il 60% circa del commercio internazionale è di
tipo intracomunitario
Il grado di apertura dell’UE verso il resto del
Mondo è superiore a quello di USA e Giappone
Il mercato unico non era in grado di operare in
presenza di una alta volatilità dei tassi di cambio
Sono queste le ragioni che hanno spinto i paesi
dell’UEM ad adottare la moneta unica
R.Capolupo Appunti macro2
3
Quota sul commercio mondiale (FMI)
Esportazioni
Importazioni
USA
12%
USA
19%
Giappone
7%
Giappone
5,8%
UE (15)
37,5%
UE (15)
34,8%
Germania
9,5%
Germania
7,6%
Francia
4,8%
Francia
4,6%
UK
4,4
UK
5,1
Italia
3,7%
Italia
3,6%
R.Capolupo Appunti macro2
4
Grado di apertura (dati eurostat)
paese
Esportazioni/PIL
Importazioni/PIL
USA
11,2%
12,2%
GIAPPONE
10,8%
8,3%
UE(15)
36,0%
28,7%
Germania
33,7%
33,3%
Francia
28,7%
22,7%
UK
28,1%
29,8%
Italia
28,4%
R.Capolupo Appunti macro2
27,4%
5
I fase del processo di integrazione: lo
SME




Dopo il crollo del sistema di Bretton Woods e dopo i primi tentativi
di riallineamento delle valute internazionali, L’Europa per ridurre la
volatilità dei tassi di cambio decise di costituire un’area valutaria
con cambi fissi i cui margini di oscillazione rispetto alla parità
fossero la metà dei margini previsti tra le valute internazionali e il
$.
Questo tentativo è noto nella storia monetaria dell’Europa come
serpente monetario europeo e rappresenta la prima fase del
processo di integrazione monetaria.
Il mantenimento dei margini di oscillazione ( 1,125% tra le
valute europee e  2,25% tra le valute europee e il $) richiedeva
un rigoroso coordinamento tra le politiche economiche dei paesi
comunitari e aiuti adeguati per consentire il superamento di
difficoltà temporanee di BP per i paesi più deboli
Le frequenti crisi valutarie che colpirono i paesi europei durante
l’esperienza del serpente monetario fecero sì che nel serpente
restassero solo quei paesi con stretti legami di integrazione
economica e commerciale con la Germania (Olanda, Benelux) gli
altri paesi uscirono dagli accordi di cambio del serpente monetario
R.Capolupo Appunti macro2
6
Nascita dello SME
Solo dopo gli accordi della Giamaica (1976) e il riconoscimento ai
paesi membri del FMI della libertà di scelta del sistema di
fluttuazione preferito cominciò il processo decisivo di integrazione
monetaria con la creazione dello SME (creato il 5 dicembre del
1978 entrò in funzione nel marzo 1979).
 Aderirono allo SME dapprima 8 paesi della Comunità (Italia,
Olanda, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Danimarca,
Irlanda) successivamente entrarono la Spagna nel 1989,La Gran
Bretagna nel 1990, e il Portogallo all’inizio del 1992 .
 Gli elementi costitutivi del sistema erano:
- Creazione dell’unità di conto europea (ECU) formata da un paniere
di valute comunitarie.
- Le parità centrali dei tassi di cambio delle valute dovevano essere
espresse in termini di ECU. Il tasso di cambio tra due valute era
dato dal rapporto tra le rispettive parità in termini di ECU. I cambi
potevano oscillare entro una banda ristretta del  2,25%, salvo
per quelle monete in cui i margini erano più ampi (l’Italia  6%)

R.Capolupo Appunti macro2
7
Caratteristiche dello SME




Quando una valuta raggiungeva i limiti massimo e minimo
consentiti, le Banche Centrali avevano l’obbligo di
intervenire per riportare il cambio entro i margini prefissati.
Lo SME disponeva di un congegno aggiuntivo rispetto al
serpente: indicatore di divergenza che segnalava
andamenti difformi del tasso di cambio rispetto alla media
comunitaria
quando la moneta stava per avvicinarsi alla soglia massima
consentita (pari al 75% del  2,25%) occorreva porre in
essere misure correttive e comportava obblighi di
consultazione con gli altri membri dello SME
In caso di persistenti squilibri di BP la parità poteva essere
modificata di concerto con gli altri paesi dello SME
R.Capolupo Appunti macro2
8
Il funzionamento dello SME






Gli scettici pensavano che lo SME non avrebbe funzionato meglio
del serpente. I divari tra i tassi di inflazione erano moto alti
(Germania2,7% contro il 12% dell’Italia) e si temeva che gli
attacchi speculativi avrebbero forzato i paesi deboli ad uscire dal
sistema
Nonostante i molti riallineamenti (11) lo SME ha funzionato per
una serie di espedienti messi in atto e che consistevano in una
combinazione di riallineamenti e di coordinamenti delle politiche
economiche.
Alle valute deboli fu concessa una banda di oscillazione più ampia
(6% per la lira fino al 1990) la peseta e lo scudo portoghese e la
sterlina fino alla crisi del 1992.
Dopo la crisi del 1992 la banda di oscillazione fu ampliata al 15%
Estensioni di credito dai paesi a moneta forte a quelli a moneta
debole. In caso di attacchi speculativi le banche centrali
intervenivano a sostegno del paese sotto attacco
Mantenimento di controlli valutari per i paesi a moneta debole
R.Capolupo Appunti macro2
9
Tassi di inflazione nei principali paesi
R.Capolupo Appunti macro2
10
La crisi del 1992




Nei primi anni di operatività dello Sme parecchi membri
(Francia, italia) riducevano la possibilità di attacchi
speculativi mantenendo controlli ai movimenti di capitali.
Il processo di integrazione ( l’accelerazione del processo
del mercato unico) richiedeva però lo smantellamento di tali
vincoli e nel 1990 la maggior parte dei paesi dello SME
aveva completamente eliminato i controlli sui movimenti di
capitali.
Nel 1992 lo SME subì la pressione dell’unificazione tedesca
che portò all’aumento senza precedenti dei tassi di
interesse in Germania
Gli operatori dei mercati finanziari erano sempre più
convinti che le implicazioni della politica monetaria tedesca
avrebbe condotto a un riallineamento delle parità e a una
svalutazione delle valute deboli
R.Capolupo Appunti macro2
11
Gli attacchi speculativi





Le banche centrali dei paesi sotto attacco intervennero con
estenuanti interventi sul mercato dei cambi
Le massicce perdite di riserve valutarie che andavano
sempre più riducendosi non avrebbe potuto arginare il forte
deflusso di capitali
Italia e Gran Bretagna dopo vari tentativi tendenti a
innalzare i tassi di interesse furono costretti a uscire dallo
SME
Altri paesi come Spagna e Portogallo svalutarono le loro
monete. I margini di oscillazione furono ampliati al 15%
fino all’entrata della moneta unica. Questo in pratica
significava il crollo del sistema dei cambi fissi.
La politica tedesca può essere illustrata con il modello ADAS
R.Capolupo Appunti macro2
12
L’incremento di G sposta la IS e la AD. Il tasso di interesse aumenta e anche i P. Per evitare spinte
inflazionistiche la Bundesbank attua poltiche monetarie restrittive che spostano la LM determinando
ulteriori incrementi del tasso di interesse. La AD si sposta verso il basso, i P diminuiscono e anche la
LM per effetto del piccoloaumento delle scorte monetarie in termini reali subisce una trasposizione
verso il basso non sufficiente ad abbassare i tassi di interesse tedeschi
R.Capolupo Appunti macro2
13
Teoria delle AVO



I costi e i benefici derivanti a un paese che entra a far parte
di un’area valutaria con cambi fissi dipende da quanto bene
siano integrate le economie dei vari partner in termini di
commercio internazionale e di movimenti dei fattori.
Come si è già accennato i benefici associati alla costituzione
di un’area valutaria sono rappresentati dall’abolizione dei
costi di conversione tra differenti valute, dall’eliminazione
del rischio di cambio, dalla possibilità di attivazione di un
circolo virtuoso tra stabilità dei prezzi, incremento degli
scambi commerciali e maggiore crescita economica.
La teoria delle AVO offre uno schema utile per analizzare se
un gruppo di paesi avrà vantaggi o svantaggi dall’adesione
a una area monetaria sulla base di alcune caratteristiche
strutturali dei paesi europei
R.Capolupo Appunti macro2
14
Criteri di ottimalità nella teoria delle
AVO
Le AVO sono gruppi di regioni con economie strettamente
integrate tra loro sia per lo scambio di beni e servizi sia per
la mobilità dei fattori. Se ne deduce che un’area a cambi
fissi rappresenta un’AVO se volume degli scambi e mobilità
dei fattori sono elevati
 La teoria delle AVO individua le caratteristiche strutturali
che un paese deve possedere se vuole fronteggiare uno
shock asimmetrico senza ricorrere a variazioni dei tassi di
cambio e alle altre politiche che generalmente vengono
utilizzate per mantenere l’equilibrio interno e esterno.
 Nell’ambito dei contributi teorici sulle AVO vengono
individuati 3 criteri di ottimalità:
- mobilità dei fattori (Mundell)
- Grado di apertura (McKinnon)
- Grado di diversificazione produttiva (Kenen)

R.Capolupo Appunti macro2
15
Mobilità dei fattori






Supponiamo che due economie siano colpite da uno shock
asimmetrico
La domanda si sposta dai prodotti dell’economia B ai
prodotti dell’economia A
L’economia A sperimenterà un aumento dei prezzi (la AD si
sposta) e un avanzo commerciale
L’economia B sperimenterà un disavanzo commerciale e un
processo di riduzione dei prezzi, dell’output e della
occupazione (AD verso il basso)
Assumiamo inoltre che le due economie siano integrate in
un’area valutaria che presenta alta mobilità dei fattori
all’interno e immobilità verso l’esterno.
Analizziamo il processo di aggiustamento sotto 3 ipotesi
R.Capolupo Appunti macro2
16
Primo caso



I paesi A e B dell’area sono caratterizzati da
regime plurivalutario e da tassi di cambio fissi
Le autorità monetarie di A attueranno politiche
monetarie restrittive per contrastare l’inflazione.
Il meccanismo compensativo dell’ aumento dei
prezzi in A (prezzi delle esportazioni/prezzi delle
importazioni) che dovrebbe rendere più costose
le importazioni da A non opera e l’onere
dell’aggiustamento ricade esclusivamente sul
paese B
R.Capolupo Appunti macro2
17
Secondo caso
Moneta comune e A e B regioni di uno
stesso paese:
 Se le autorità vogliono ridurre la
disoccupazione in B con una politica
monetaria espansiva aggravano la
situazione inflazionistica anche in A
 Il perseguimento del pieno impiego induce
una distorsione inflazionistica
nell’economia multiregionale con una
valuta comune

R.Capolupo Appunti macro2
18
Terzo caso



Mundell dimostra che anche la soluzione più
plausibile in presenza di uno shock asimmetrico
cioè la flessibilità del tasso di cambio non è la
politica ottimale
Infatti, teoricamente un deprezzamento del
tasso di cambio in B (o un apprezzamento in A)
correggerebbe lo squilibrio esterno e
migliorerebbe anche l’equilibrio interno
(disoccupazione in B inflazione in A)
Nella realtà gli effetti potrebbero essere diversi
R.Capolupo Appunti macro2
19
Terzo caso (2)






Assumiamo che i due paesi A e B contengano al loro interno
2 regioni est e ovest ognuna specializzata in una data
produzione
Lo shock asimmetrico si verifica a livello regionale con uno
spostamento dei prodotti da Est a Ovest.
Si verificherà inflazione e avanzo a Ovest e disoccupazione
e disavanzo a Est
la flessibilità del tasso di cambio non sarà in grado di
risolvere lo squilibrio regionale
Se le monete fossero definite su base regionale allora si
verificherebbe un aggiustamento interno ed esterno
attraverso la flessibilità del cambio
Ciò significa che la flessibilità del cambio si rivela efficace
solo se l’area valutaria corrisponde a una regione
omogenea
R.Capolupo Appunti macro2
20
AVO






L’area valutaria dunque per essere ottimale secondo Mundell deve
possedere un’alta mobilità dei fattori al suo interno e immobilità
all’sterno
Questo si verifica per regioni economiche omogenee
D’altra parte la divisione delle monete su base regionale non
sarebbe solo improponibile dal punto di vista politico ma farebbe
perdere tutti i benefici derivanti dall’ utilizzo di un’ unica moneta
Come risolvere il problema? Attraverso un’alta mobilità dei fattori
produttivi . Flussi migratori da est che sperimenta
disoccupazione a Ovest dovrebbe migliorare l’equilibrio interno
nelle due regioni e risolvere lo squilibrio esterno
Quest’ultimo si fonda sul fatto che la domanda dei lavoratori
dell’Est emigrati all’Ovest si tramuterebbe in parte in esportazioni
dei prodotti dell’Est verso l’Ovest e viceversa la domanda dell’Est
si ridurrebbe per effetto dell’emigrazione
Solo se esiste mobilità dei fattori le due regioni potranno
mantenere cambi fissi e costituire un’AVO
R.Capolupo Appunti macro2
21

Integrazione economica e curva dei
benefici
L’inclinazione
Guadagno di
Efficienza
monetaria
G
positiva
della curva indica
Che il guadagno
Di efficienza cresce
Al crescere del
Grado di integrazione
G
Grado di
integrazione
economica
R.Capolupo Appunti macro2
22
Curva delle perdite
Perdita di
stabilità
economica
per il paese
aderente
P
La perdita in termini
Di rinuncia all’utilizzo delle
Politiche di stabilizzazione
Diminuisce all’aumentare
Del grado di integrazione
economica
P
Grado di
integrazione
economica
R.Capolupo Appunti macro2
23
Mettiamo insieme le due curve
L’intersezione delle
curve determina un
punto critico di
integrazione
economica
Solo alla destra di  i
guadagni superano
le perdite per il
paese che decide di
aderire all’AVO
G
Guadagni> perdite
Perdite
> guadagni
P

R.Capolupo Appunti macro2
Grado di
integrazione
24
Spostamenti della PP
Se il paese è soggetto a shock asimmetrici
o a variabilità nel mercato dei prodotti la
curva PP si sposta verso destra
 Questo implica che il livello critico di
integrazione al quale è vantaggioso
aderire all’Avo aumenta


’
R.Capolupo Appunti macro2
25
MC KINNON e grado di apertura
La sua teoria è molto simile a quella di
Mundell: individuazione delle condizioni
che rendono ottimale un’AVO
 Per le economie con un alto grado di
apertura sarebbe ottimale aderire a
un’AVO perché verrebbero minimizzati i
costi dell’aggiustamento esterno
 Il grado di apertura è definito come
rapporto tra beni commerciabili beni non
commerciabili

R.Capolupo Appunti macro2
26
alto grado di apertura







Supponiamo di avere un’economia in cui i beni tradable abbiano un grosso peso
percentuale rispetto ai beni consumati all’interno .
Si assuma inoltre che i prezzi dei beni non commerciabili sia tenuto costante e che il
tasso di cambio sia utilizzato per ottenere l’equilibrio esterno
Se la valuta interna si svaluta del 10% anche i prezzi dei beni commerciabili
aumenteranno del 10% relativamente ai prezzi dei beni non commerciabili (costanti).
Ciò indurrà una maggiore produzione di beni commerciabili rispetto a quelli non
commerciabili e una riduzione del consumo interno
L’incremento delle esportazioni e la riduzione delle importazioni migliorerà il saldo
della BC
Ciò sarà vero solo se la variazione del tasso di cambio (svalutazione) non si riflette
sul livello dei prezzi interni.
Nel caso in cui tutti i beni prodotti nell’economia sono commerciabili,il livello generale
dei prezzi interni aumenta del 10% e non si avrà alcun effetto positivo sulla bilancia
commerciale
Più elevato è il grado di apertura (tutti beni commerciabili) meno conveniente è un
regime di tassi di cambio flessibili . L’adesione a un’AVO (cambi fissi) è pertanto
profittevole
R.Capolupo Appunti macro2
27
Grado di diversificazione produttiva (
terzo criterio: KENEN)
Le economie con maggiore diversificazione
produttiva sono quelle maggiormente indicate
per ottenere vantaggi dall’adesione a un’AVO
(cambi fissi e valuta comune)
I motivi sono:
1. La diversificazione è un fattore di stabilizzazione
ex ante delle esportazioni. L’idea sottostante è
che una maggiore diversificazione significa
esportazioni differenziate e qualsiasi shock
(microeconomico) che colpisca un settore (o un
prodotto) sarà compensato dalla performance
positiva degli altri settori di beni esportati

R.Capolupo Appunti macro2
28
Effetti della diversificazione produttiva
1.
Attenua gli effetti di shock esogeni sull’occupazione.
Perché questo accada alla diversificazione produttiva
occorre aggiungere una sufficiente mobilità occupazionale
tra i settori dell’economia
2.
Stabilizza la formazione di capitale. Un incremento delle
esportazioni in un qualche settore produttivo
generalmente aumenta gli investimenti in quel settore e
può indurre tensioni inflazionistiche. Nelle economie in cui
la diversificazione è elevata l’esposizione a questo tipo di
instabilità è più ridotta perché l’incremento delle
esportazioni non si riverserà su tutti i prodotti ma solo su
alcuni
In conclusione le economie maggiormente diversificate
possono aderire a un’AVO perché sopportano meglio la
rinuncia alla manovra del tasso di cambio per realizzare
l’equilibrio esterno
3.
R.Capolupo Appunti macro2
29
L’UEM è un’AVO?
Sulla base dei criteri sino ad ora esposti si
può affermare che:
1. Il grado di apertura non è un criterio
sufficiente. Sulla base di tale criterio solo
alcuni paesi avrebbero dovuto aderire
all’UEM (Belgio, Lussemburgo, Irlanda,
Olanda) ma non Germania, Francia ,
Italia etc. che presentano un grado di
apertura misurato dall’export/PIL intorno
al 10%
R.Capolupo Appunti macro2
30
Grado di apertura intra UE
R.Capolupo Appunti macro2
31
Criteri




2. sulla base del criterio della mobilità fattoriale l’UEM non è
un’AVO
3. sulla base della natura e della dimensione degli shock,
generalmente di tipo asimmetrico, l’UEM non è un’area
valutaria ottimale. Quanto più gli shock sono asimmetrici
tanto più costosa (rinuncia all’utilizzo della politica
valutaria) è l’adesione a un’AVO
4. diversificazione produttiva. E’ l’unico criterio che
permette di valutare positivamente l’adesione a un’AVO. Le
strutture industriali dei paesi europei sarebbero meno
concentrate e più diversificate rispetto agli USA e questa
circostanza renderebbe meno probabile l’insorgere di shock
asimmetrici
In conclusione , dal punto di vista statico, l’UEM non
risponde ai requisiti dell’ottimalità. Considerata in una
prospettiva dinamica l’UEM potrebbe soddisfare i requisiti
prima richiamati
R.Capolupo Appunti macro2
32
Relazione tra convergenza reale e flessibilità
I paesi al di
sopra della retta
CF possono far
parte di un’AVO
perché in grado
di fronteggiare
gli shock
asimmetrici
R.Capolupo Appunti macro2
33
UEM e politica fiscale
Qual è il ruolo della politica fiscale nelle
UM? Supponiamo che si verifichi uno
shock asimmetrico di domanda che riduca
la domanda di beni italiani e aumenti
quella di beni tedeschi.
 La ADit si sposta verso il basso mentre la
ADge si sposta verso l’alto.
 Si genera inflazione+ surplus BC in
Germania e deficit +recessione in Italia

R.Capolupo Appunti macro2
34
Cosa accadrebbe in presenza di flessibilità salariale
e di mobilità del lavoro?




Riequilibrio automatico in presenza di flessibilità
di prezzi e salari e di mobilità del lavoro
Un innalzamento del salario in Germania
(abbassamento in Italia) renderebbe le merci
italiane più competitive contribuendo a sanare il
deficit commerciale e a ridurre la disoccupazione.
Il contrario avverrebbe in Germania
La AS in Italia si sposterebbe verso il basso in
Germania verso l’alto e si ritornerebbe
all’equilibrio iniziale
Alternativamente, lo spostamento dei lavoratori
italiani in Germania come previsto dalla teoria di
Mundell contribuirebbe a riportare le BC dei due
paesi in pareggio
R.Capolupo Appunti macro2
35
Shock asimmetrico e modello AD-AS
R.Capolupo Appunti macro2
36
E in presenza di scarsa flessibilità?





Bilancio dell’UEM centralizzato a livello europeo. In altri
termini un’autorità fiscale sovranazionale conduce la politica
fiscale (prelievo spesa pubblica)
La centralizzazione del bilancio funzionerebbe come
stabilizzatore automatico e assicurerebbe il riequilibrio dopo
lo shock asimmetrico tramite un processo di redistribuzione
del reddito (lo stesso di quello che avverrebbe tra le varie
regioni italiane)
Se la centralizzazione di bilanci non è praticabile perché
cambierebbe l’assetto delle sovranità nazionali la teoria
dell’AVO prevede una flessibilità nella conduzione della
politica fiscale
Tale flessibilità non è consentita dagli accordi di Maastricht
e dal patto di stabilità
Perché ci si allontana dalla logica e dalle teorie dell’AVO?
R.Capolupo Appunti macro2
37
Ragioni alla base delle restrizioni fiscali
in Europa





Rapporto debito/PIl elevato per molti paesi
Timore che un’ulteriore crescita del rapporto
possa minare la stabilità dell’UEM
Timore che si determinino processi inflazionistici
attraverso pressioni sulla BCE
Ciò potrebbe ridurre il grado di indipendenza
della BCE
Tuttavia data la situazione di bassa crescita in
Europa i vincoli alla politica fiscale sembrano
eccessivi e contrastano con la teoria dell’ Avo che
prevede una maggiore flessibilità per questo
strumento in assenza di bilanci centralizzati
R.Capolupo Appunti macro2
38
Il problema del debito pubblico
R.Capolupo Appunti macro2
39
La politica monetaria
La BCE sin dalla sua costituzione ha
annunciato che il suo principale obiettivo è
quello di mantenere la stabilità dei prezzi
 Più specificatamente l’obiettivo nel medio
termine è di far sì che l’incremento
dell’IAPC su 12 mesi si mantenga
inferiore al 2%
 Tale obiettivo è realizzato attraverso il
controllo dell’aggregato M3

R.Capolupo Appunti macro2
40
I 2 pilastri della politica monetaria
Crescita annunciata della quantità di
moneta
 Valutazione del target di inflazione avendo
riguardo non soltanto all’IAPC e al suo
tasso di variazione ma anche a un’intera
serie di indicatori macroeconomici
 Questo significa che la BCE non aderirà
strettamente né all’approccio conosciuto
come monetary targeting né
all’approccio dell’inflation targeting

R.Capolupo Appunti macro2
41
Regola di Taylor anche per la BCE



Tuttavia non si può nascondere che la sua strategia si
avvicina maggiormente all’inflation targeting. Poiché
deciderà la sua politica avendo riguardo anche ad altri indici
macroeconomici si può presumere che la sua condotta non
sarà molto diversa da quella seguita dalla FED
Con riferimento a questi obiettivi assumendo che il target
di inflazione sia pari a ’ e che il tasso di interesse di lungo
periodo sia pari a r*, riscriviamo la regola di Taylor:
r  r *  ' '(   ' )
R.Capolupo Appunti macro2
42
Prospettive dell’UEM



1.
2.
3.
Con il termine allargamento si designa oggi l’accesso dei
paesi dell’Europa centro Orientale nell’UE
Dei 13 paesi che hanno avanzato la richiesta , 10 di essi
(Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca,
Slovacchia, Slovenia , Malta, Polonia, Ungheria) hanno
aderito dal maggio 2004
I paesi che aderiranno devono soddisfare i criteri stabiliti a
Copenaghen :
Essere una democrazia stabile
Adottare un’economia di mercato funzionante
Adottare regole e norme e le politiche comuni dell’UE
R.Capolupo Appunti macro2
43
Problemi dell’allargamento





Divergenze e difformità nelle strutture produttive,
livelli di reddito e tassi di crescita
Con l’attuale meccanismo di distribuzione dei
fondi comunitari i benefici per i nuovi entranti
vengono percepiti come costi dai paesi dell’UE
I fondi elargiti per la PAC e per i fondi strutturali
che costituiscono l’85% del bilancio comunitario
sarebbero incanalati soprattutto verso i nuovi
paesi
movimenti migratori che potrebbero aggravare i
problemi sul mercato del lavoro
Concorrenza con alcuni paesi dell’UE che hanno
specializzazioni produttive similari a quelle dei
paesi dell’allargamento
R.Capolupo Appunti macro2
44
allargamento
R.Capolupo Appunti macro2
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