Aquilino
La principessa Cristina
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L’attrice si sposta tra una sedia vuota, alla sua destra, sulla quale può giacere
una rosa; e un leggio alla sua sinistra, che utilizza per leggere i brani delle lettere
di Cristina.
In mancanza di memorizzazione, il leggio serve per tutta l’opera e al momento di
leggere le lettere l’attrice prende il copione e si pone alle spalle della sedia, o ci
si appoggia sedendosi sul pavimento; o anche ci si accomoda.
Puoi sederti lì, Cristina. Io sarò sempre qui vicino. Guarda quante persone. Sono
venute per te. So che ne sei felice. E so che vorresti prendere la parola, tenere un
comizio, perorare una causa, aprire una disputa… Non puoi, Cristina, non puoi
più. Ora hai bisogno che qualcun altro parli per te. Lo farò io.
Ma prima… sssttt, prima un attimo di silenzio.
È passato così tanto tempo, così tanto tempo.
Eppure, sembra ieri. Per questo non dobbiamo dimenticare. Non dobbiamo
lasciare che i giorni presenti poggino sul nulla delle falsità.
Mi chiamo Ernesta Legnani, moglie di Giuseppe Bisi e come Ernesta Bisi sono
conosciuta. Non per la mia bravura nel disegno, anche se ho avuto le mie
soddisfazioni. L’unico ritratto giovanile di Carlo Cattaneo è mio. Ma a chi
interessa? Morto lui, morti i nostri ideali. Illuminismo, liberalismo, federalismo e
soprattutto laicismo… Ah, laicismo qui da noi! Come mettere il gatto e il topo
nella stessa gabbia. Tu ne sai qualcosa, Cristina. Sei stata perfino scomunicata.
Non sono conosciuta tanto come artista quanto perché sono stata l’unica persona
che ti è rimasta vicina per tutta la vita. L’unica vera amica.
Come te, sognavo una nazione aperta alle nuove idee, capace di assicurare a tutti
una vita dignitosa, pacifica e tollerante. L’Italia poi la si è fatta, ma io me ne sono
andata nel ’59 e non ho visto niente di quello che ho sognato. È finita così come
quelli che hanno dato la vita avrebbero voluto? Lo sapete voi, io ormai non mi
occupo più di niente.
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Viva l’Italia, comunque, e viva il suo popolo. Viva coloro che si sono sacrificati.
Viva anche gli uomini e soprattutto le donne che non hanno mai avuto
riconoscimenti per i loro sacrifici.
Guarda, Cristina, anche gli uomini sono venuti ad ascoltarci. Vuoi che dica loro
qualcosa? Mi lasci libera di dire quello che sento?
Immaginatela, anche se non la vedete; e ascoltatela, anche se non la udite. Lei è
comunque qui in mezzo a noi e ha tutti i diritti di restarci.
Per tutta la vita voi uomini l’avete spiata, criticata, derisa, osteggiata, perfino
aggredita.
Sì, sì, Cristina. Ti sento. La tua energia mi sprona. Certo che ne parlo. Tu hai
sempre vissuto in mezzo a loro, e poi alla fine ti hanno buttata in un angolo.
“Ero una bambina malinconica, seria, introversa, tranquilla, talmente timida che
mi capitava di scoppiare in singhiozzi nel salotto di mia madre perché mi stavano
guardando o perché volevano farmi parlare.”
Rimani orfana di padre per due volte. Anziché accentuare malinconia e timidezza,
il lutto ti fortifica e ti rende padre di te stessa. Il primo padre muore, nonostante la
sua boria, ad appena trentadue anni. Il secondo è il marchese Alessandro Visconti,
un carbonaro progressista che tua madre, Vittoria Gherardini, sposa dopo un anno
di vedovanza. Anche lui ti lascia troppo presto, distrutto nel corpo e nell’animo
dalla feroce persecuzione austriaca.
Cristina non ha avuto molta fortuna con gli uomini. Io le dicevo: non puoi fare
meglio di loro e poi pretendere che ti amino. Sono uomini! Le rimanevano
vicini solo quelli che non avevano bisogno di imporsi con una maschia virilità.
Pochi davvero. Lei si è sempre illusa di riuscire a stabilire un rapporto
paritario… ma chi l’assecondava, finiva poi per colpirla alle spalle.
Il primo uomo a tradire le sue aspettative è stato il principe Emilio di
Belgioioso, che Cristina ha sposato il 15 settembre del 1824, ad appena sedici
anni. Da lui ha avuto in dono la sifilide e l’amarezza dell’adulterio.
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Il secondo e certo il peggiore è stato il barone Torresani, capo della polizia
austriaca di Milano. Ha perseguitato Cristina con un odio barbaro e astioso.
Il terzo… proprio lui, il grande Alessandro Manzoni: l’ha disprezzata senza
motivo, in nome di un moralismo meschino.
Il quarto è il poeta e libertino Alfred de Musset. Come altri, sperava di potersi
vantare un giorno di aver fatto l’amore con la principessa. Quando ha capito
che non l’avrebbe mai fatta sua, ha scritto una poesia ignobile:
È morta e non ha mai vissuto:
faceva finta di vivere,
dalle sue mani è caduto il libro
nel quale non ha letto niente.
Uomo sciocco e presuntuoso. È stato lui a buttare via la propria vita, non certo
Cristina.
Il quinto uomo è stato uno dei tanti patrioti nobili o borghesi che Cristina ha
soccorso e finanziato, uno di quelli che non l’hanno mai presa sul serio o che
addirittura l’hanno osteggiata: ma loro hanno fatto l’Italia con le parole, lei con
i fatti.
Il sesto è il papa Pio IX. Le ha rinfacciato tutte le sue belle qualità, che per lui
erano un insulto al principio cattolico che la donna deve vivere nell’ombra
degli uomini, senza mai brillare di luce propria e senza mai prendere iniziative.
Il settimo è stato un domestico violento che quasi l’ha ammazzata, forse solo
perché non poteva averla.
L’ottavo uomo si chiama Camillo Benso conte di Cavour. Non sapendo o non
volendo affrontare sul piano dialettico la principessa, si è limitato a denigrarla
ed emarginarla, quando non gli ha fatto più comodo.
Il nono… il nono uomo è una donna, una delle tante donne che si trincerano
dietro l’ipocrisia e il moralismo per negare l’emancipazione di cui hanno
terrore. Donne mediocri che sanno essere cattive con chi, come Cristina,
rappresenta un esempio di intelligenza e indipendenza e fa quindi risaltare la
loro ignavia.
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Ecco, Cristina, ho nominato alcuni di quelli che ti hanno fatto soffrire. Gli altri, e
sono tanti, lasciamoli incatenati ai monumenti eretti nelle piazze. Noi abbiamo
cose belle da ricordare, e sono molte di più di quelle brutte.
Nasci il 28 giugno 1808 nel palazzo milanese dei Trivulzio. Secondo l’uso
spagnolo, ti vengono imposti dodici nomi: Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara
Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura.
Come sei bella! Una bambina minuta e delicata, dai grandi occhi curiosi nei quali
si può già intuire un futuro di donna brillante, ironica, coraggiosa, a volte
spavalda, generosa e intelligente, estroversa fino alla teatralità.
Ridi di me? Non ti sto adulando, voglio solo che i nostri ascoltatori abbiano bene
in mente chi hanno di fronte.
Ancora piccina, vieni da me per imparare il disegno. Sei brava e svelta, tanto che
fai ben poca fatica a realizzare i primi ritratti.
Hai già una vita densa di impegni. Fai da balia ai quattro fratellastri, studi con
passione, e fin da ragazzina t’interessi di politica. Non limiti la tua vita ai
pettegolezzi dei salotti e alle presenze ai balli e alle serate mondane. Tu vuoi di
più. La prima cosa che vuoi ha un nome che ti tormenta per tutta la vita: libertà.
Mi trema la voce? Anche tu sei emozionata. È la nostra parola segreta, libertà.
Libertà per l’Italia, libertà per il popolo, libertà per le idee e libertà per noi stesse.
Il 15 settembre 1824, ad appena sedici anni, sposi il principe Emilio Barbiano di
Belgioioso d’Este, il giovane bello e dannato, il più scapestrato e il più adorato di
Milano. Quando me ne parli, ti brillano gli occhi per l’eccitazione. Le Prince
charmant ha per modello lord Byron e non è da meno nella bramosia di vita
avventurosa e godereccia. Possiede tutte le qualità per il successo mondano, ma…
gli mancano i soldi. Glieli porti in dote tu, invano osteggiata dai familiari. Ricordi
quante discussioni, quanti scontri? Ti sposa solo per il tuo denaro! Ti tradirà con
le tue cameriere e con le tue stesse migliori amiche! Ti porterà solo infelicità!
Ma tu, a sedici anni, ha già una tua propria idea di felicità: andartene via da casa,
sentirti libera, condividere la vita spregiudicata e seducente di un marito che tutte
ti invidiano e, soprattutto, diventare principessa. Ernesta, Ernesta, mi gridi, sto
per diventare principessa!
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Quasi una fiaba, il matrimonio che suscita tanto scalpore e che dura solo quattro
anni. E vissero insieme felici e contenti… fino al disastro. Ti trovi alle terme di
Recoaro. La tua salute è malferma, hai bisogno di cure continue. Emilio ti manda
Margherita Ruga a tenerti compagnia. Non hai motivo di sospettare. Anzi, trovi la
signora simpatica e gradevole. Andando a fare visita alla moglie, il disonesto
marito ci trova insieme anche l’amante. Quando scopri la tresca, ti casca il mondo
addosso. Tu sei leale di natura, non sapresti mai tradire; e ora invece scopri che gli
altri e addirittura le persone a te più vicine sono diverse. Che fare? Tu sai come si
comporta una vera signora in questi casi, te l’hanno insegnato: sofferenza segreta
e casomai vendetta, ma nell’ombra. Un destino proprio come te l’ha prefigurato il
conte Ferdinando Crivelli nell’epitalamio scritto in occasione del matrimonio:
Un pezzo principesco hai tu voluto
ma poi che lui teco avrà goduto
lussureggiando andrà con questa o quella.
E invano ti udirem gridare aiuto:
ma come indietro più non si ritorna,
rendere solo potrai corna per corna.
No, no, no. Tu non sei come loro. Tu sei onesta e pura, e per fortuna anche forte.
Capace di analisi razionale anche nei momenti più drammatici. Fai quello che
nessuna vera signora oserebbe mai, a Milano: ti separi dal marito. Senza acredine.
Ognuno per la propria strada, ma strade che si incontrano ancora, ogni volta che la
vita troppo dispendiosa di Emilio lo riconduce a te per un aiuto finanziario. Un
giorno oso perfino dirti: lascialo andare, Cristina, lui si approfitta di te… Ma tu mi
rimproveri. Mostri un affetto… direi quasi da sorella maggiore, per un uomo che è
rimasto un adolescente.
Un giorno sento dire che Cristina ha sfidato l’ipocrita nobiltà milanese
affacciandosi dal suo palco alla Scala tutta vestita di nero: il lutto per la fine del
suo primo e unico amore. Solo dicerie. Lei ha già lasciato Milano in esilio
volontario, perché nella sua città non è più la benvoluta. Il moralismo rigido e
spietato del Manzoni fa subito proseliti, quando si tratta di emarginare e
condannare una donna. Una donna che ragiona con la propria testa, che prende
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decisioni autonome, che rifiuta un ruolo di sottomissione… ah, questa donna è
diabolica! Poco importa che il marito non solo l’abbia tradita, ma che le abbia
anche trasmesso la sifilide, un male incurabile che per tutta la vita la tormenta.
La vittima è comunque lui, lui che è uomo. Eppure, nei suoi celebrati scritti, di
quanta comprensione e tolleranza fa uso il signor Alessandro Manzoni!
“Fra le tante virtù onde è adornata quella famiglia, credetti di sempre ravvisare
anche l’indulgenza. Io rispetto il loro modo di vedere, ma in questo caso sono
fiera del mio.”
Certo! Di tutta la tua vita devi essere fiera. Perché il tuo capolavoro è proprio la
tua vita e vale quanto quello del Manzoni.
Per una cittadina qualunque sarebbe quasi impossibile lasciare Milano, ma tu sei
uno Trivulzio e ora anche una Belgioioso.
Ottieni il passaporto dal governatore scavalcando il capo della polizia, il barone
Carlo Giusto de Torresani. Un ometto pingue che non si cura di moglie e figli
quando fa il galante con le ballerine, uno di quegli uomini che hanno necessità di
odiare una donna, per sentirsi virili. Tu l’hai ignorato, e lui si indispettisce. Ti
giudica arrogante e pericolosa. Le sue spie non ti perdono più di vista. Non si
limitano a seguirti ovunque tu vada, ma raccolgono false testimonianze e
alimentano con malignità oscene le più assurde dicerie su una donna che
definiscono dissoluta e perversa.
Ti rifugi a Genova, città cosmopolita e di mentalità più aperta che Milano. Io ho
presto nostalgia di te. Nel grigiore della città e degli abitanti, tu eri un raggio di
sole.
“Non come una straniera, ma come una figlia fui accolta. La marchesa
Pallavicino mi presentò e mi introdusse nelle migliori società. Qui non sono più
circondata da persone il cui giudizio su di me era ingiusto, le cui menti erano
inclini a trovare interpretazioni maliziose.”
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Cristina è cresciuta tra carbonari aristocratici e intellettuali. Molti di loro, il suo
secondo padre per primo, hanno conosciuto la prigione. Sa che gli austriaci non
esitano di fronte a una condanna a morte. Quante volte ne abbiamo parlato, in
sussurri segreti, durante le lezioni di disegno! Lei si esaltava e io non facevo
che dirle: non è un gioco, ne va di mezzo la vita. Ma lei, fin dall’inizio, non
l’ha mai preso per un gioco. La sua visione politica è sempre stata limpida e
sicura. Io le raccomandavo la prudenza. Ma chi poteva mai frenare la sua
impazienza? Un giorno mi ha confidato: “Io voglio fare di più che portare
messaggi. Io voglio comandare un esercito.” Mi ha fatto sorridere, quel giorno,
ma come potevo sapere che un esercito lo avrebbe comandato davvero?
Nella primavera del 1829 ti rechi a Ischia per curarti. Ci mancava solo la sifilide
ad acuire i tuoi dolori! Ti fermi a Roma dove frequenti il salotto di Ortensia
Beauharnais, la figliastra di Napoleone, ex regina d’Olanda. Io annego
nell’imbarazzo di fronte a persone tanto importanti, ma tu sei a tuo agio ovunque e
con chiunque. Conosci il figlio di Ortensia, Luigi Napoleone, il futuro imperatore,
e anche lui contribuisce alla tua passione patriottica.
Ascolta che cosa racconta il conte d’Altòn Shée in una sua lettera, dopo averti
incontrata a Firenze in occasione di un ballo aristocratico:
“…nel mezzo di un circolo formato dalle donne più eleganti e più graziose, io fui
colpito dall’apparire di una bellezza strana: la sua toilette nera e rossa era semplice
e bizzarra, i capelli neri e soffici, la fronte larga di un giovane Faust, grandi occhi
fermi di una statua antica, uno sguardo misterioso, davano alla parte superiore del
suo volto qualcosa di severo e di profondo, mentre la grazia del naso, il delizioso
sorriso e l’attrattiva di una fossetta, palesavano la grazia femminile in tutto il suo
fascino. Ella aveva appena vent’anni e tuttavia sembrava che vivesse per la
seconda volta. Domandai il suo nome: principessa di Belgioioso.”
Scusa se rido, ma… tu per me sei sempre la mia bambina che non sta zitta
neanche quando la invito a concentrarsi sulla matita che agita con troppo
nervosismo… e non penso mai che per gli altri ora sei un giovane Faust, ora
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un’entità spettrale o una pericolosa rivoluzionaria o ancora una despota o una
mangia uomini o un’avventuriera immorale e perfino una tossicomane dissoluta…
Ma chi sei, Cristina, chi sei?
Per me, sei sempre più di quello che gli altri pensano. Un giorno ti sarà restituita
la giusta considerazione di cui sei stata derubata.
A Firenze, contro ogni prassi, vieni ammessa nel circolo letterario del Gabinetto
Vieusseux, definito dagli austriaci centro del disordine. Conosci Niccolò
Tommaseo e Giuseppe Poerio. Loro ti rimarranno fedeli per tutta la vita. Con il
primogenito di Ortensia, Napoleone Luigi, travestita da uomo, una notte cavalchi
fino al mare per coordinare il contrabbando d’armi. Cristina! Quando mi racconti
l’avventura, il primo impulso è di biasimarti. Tu, regina dei salotti, misteriosa
incantatrice, ammirata intellettuale, fai quello che tanti uomini non osano. Devo
dirtelo: non stupirti se molti uomini provano imbarazzo, e anche fastidio o
addirittura odio. Tu competi con loro! Una donna! Le tue azioni sono un
rimprovero per la viltà e l’ottusità della maggioranza.
Viva l’Italia e il suo popolo in armi!
Non stava bene a Roma? Non stava bene a Firenze? Sempre inquieta e
insoddisfatta, si rimette in viaggio. Lugano, ancora Genova… Le informative
di Torresani mettono in allarme perfino Metternich: la bella principessa
conduce una vita indecente e scandalosa e soprattutto si circonda di pericolosi
nemici dell’Austria. Mazzini viene arrestato, lei riesce a fuggire. Se la
catturano, gli ordini sono perentori: portarla a Milano e chiuderla per sempre in
un convento. Ma come può una principessa, abituata alla carrozza e alla
servitù, attraversare a piedi, di notte, il confine con la Francia? Può. Può perché
non s’è mai vista una principessa come lei e anche perché è circondata da amici
disposti a rischiare la vita. La mia Cristina molti la odiano, ma molti di più la
amano. Alcuni giorni dopo vengo a sapere delle sue traversie. Da un lato sono
terrorizzata, dall’altra sono orgogliosa di lei. Cristina non spreca la sua vita nei
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salotti. Anche lei combatte per la causa. Ormai fa parte del movimento per la
libertà e io e lei siamo più che sorelle.
In Provenza conosci Augustin Thierry, lo storico che sarà tuo amico per sempre.
Ti fa conoscere il socialismo di Saint-Simon, morto cinque anni prima. Con quale
entusiasmo mi scrivi! Anche perché finalmente si parla di femminismo. Ma in
seguito abbandoni Sain-Simon per altre forme di socialismo utopistiche. Hai
sempre sognato in grande, ma non hai mai staccato i piedi da terra.
Thierry ti fa riflettere sulle relazioni tra le classi e su come diffondere le idee per
riformare la società. E tu impari, oh come impari! Impari e adatti ogni teoria al tuo
modo personale di vedere la realtà: filantropia e istruzione per il popolo.
Io un poco ti invidio, non te lo nascondo. Tu in giro per il mondo, fra gente
interessante, con la possibilità di intervenire da protagonista nella storia… e io
qui, ad aspettare un tuo improbabile ritorno… ma le tue lettere, Cristina, quanto
coraggio e quanta gioia mi danno!
Nel ’31 sei a Marsiglia, con i rivoluzionari che ancora non ti prendono molto sul
serio. Intanto, però, attingono a piene mani alle tue finanze. Qui a Milano il
Torresani ne ha abbastanza. Sui muri di tutta la città fa affiggere un editto.
“Viene d’ordine superiore ingiunto alla principessa Cristina di Belgioioso, nata
Trivulzio, di ritornare negli Stati di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica nel
termine di tre mesi sotto la comminatoria d’essere dichiarata morta civilmente e
della confisca di tutti i beni”.
Viva l’Italia e viva la libertà e viva anche i francesi, se ci aiutano.
Cristina fa subito donazione dei beni alle sorellastre e al marito, così almeno
non li lascia agli austriaci. Si spaventa? Si ritira nell’ombra per prudenza? Al
contrario, mi dicono che lei stessa ricama il tricolore dell’avventata impresa di
Savoia, finita in tragedia per il mancato appoggio francese. Insieme ad altri
profughi, si rifugia a Parigi. Che cosa scrivono di lei gli spioni del Torresani?
“Molti giovanotti hanno approfittato del suo denaro e nello stesso tempo hanno
denigrato la di lei reputazione di moralità proclamandola una Messalina”.
Imbecilli e malvagi, altro non voglio dire.
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“Ero dunque a Parigi. La città che tanto avevo sognato mi sembrò un luogo che
metteva paura. La mia condizione duplice di principessa e di rifugiata serviva a
puntino a darmi arie da eroina da commedia. Ricca erede, non conoscevo proprio
nulla delle necessità della vita. Potevo dipingere, cantare, suonare il pianoforte,
ma non avrei saputo cuocere un uovo sodo.”
Mi viene da sorridere, quando penso che si cucina da sé, che si guadagna da
vivere industriandosi a dare lezioni, a dipingere ventagli, a fare ritratti…
Sorrido anche di sollievo perché comunque non è sola. Ha l’appoggio di
uomini importanti come il marchese di Lafayette, che addirittura la invita a
pronunciare un discorso alla Camera. E poi mi si stringe comunque il cuore:
che male ha fatto? perché c’è gente che la odia? Per fortuna lei è vigorosa di
mente e di volontà. Non se ne sta certo rintanata nella stanza al quinto piano
che ha preso in affitto. In breve diventa la regina anche dei salotti parigini,
dopo quelli milanesi. Tutti parlano di lei. Musset, Balzac, Bellini, Liszt, Heine,
Chopin, George Sand, Stendhal… e soprattutto lo storico François Mignet, che
le fa quasi da marito. Dopo Emilio solo un altro uomo, la cui identità rimane
segreta per sempre, ha con lei un rapporto fisico per consentirle di avere una
figlia.
I suoi potenti protettori intercedono presso Metternich affinché le sia evitato un
processo per alto tradimento e le fanno anche restituire il patrimonio.
A Parigi è attiva anche presso i sansimoniani dove incontra Maroncelli, Pellico
e Confalonieri.
Viva l’Italia e viva gli uomini che l’hanno voluta libera e unificata, anche se
non sempre sono stati grandi uomini.
I tempi duri sono finiti e l’anno seguente ti trasferisci nel palazzo di un duca, dove
prendi due appartamenti. Quello più piccolo lo riservi all’ex marito, che non
rifiuta certo la generosa offerta. Solo tu puoi fare una cosa simile! E infatti altre
critiche ti piovono addosso. Amica dell’ex marito! Non farmi quella faccia. Tu
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sfidi in continuazione le regole dei benpensanti e qualche accidente è inevitabile
che loro te lo mandino.
Emilio, l’affascinante principe, si trova subito a proprio agio con i frequentatori
del tuo salotto. Incontra addirittura il proprio alter ego francese, il poeta maledetto
Alfred de Musset. È innamorato in modo folle e passionale di te, ma non avrà mai
l’appagamento agognato. Tu, per lui, hai un atteggiamento… come dire…
materno? Certo non erotico. A te gli uomini piace consolarli, curarli e comandarli,
non più amarli.
Su, non farmi il broncio, non dico cattiverie.
Alfred ed Emilio diventano inseparabili compagni di festini e imprese amatorie.
Tu per loro hai l’indulgenza che si riserva ai ragazzacci di buon cuore. Ma nel tuo
salotto non ci sono solo epicurei e anime dannate. Assieme al cospiratore si ritrova
l’ambasciatore d’Austria, accanto al sacerdote siede una donna fatale e peccatrice,
con lo storico pacifista discute il generale guerrafondaio, il famoso critico incontra
il musicista ancora sconosciuto, e aristocratici conservatori ascoltano scandalizzati
le teorie dei socialisti. Tu, Cristina, dai vita a un incontro straordinario di pensieri,
culture e fedi, quale mai si è visto nel nostro secolo.
Vuoi sapere come ti descrive una delle tue ospiti?
“Un’intelligenza rara, lo spirito appassionato e dominatore, uno sguardo potente,
un coraggio dal sangue freddo notevole, e soprattutto l’arte di piacere come parte
essenziale del bisogno di essere adorata.”
L’ho sempre saputo che la tua natura si ribella a essere relegata in un angolo
d’ombra. Tu vuoi brillare in piena luce. Vuoi stupire e indurre gli altri ad amarti.
Accogli gli ospiti in una casa dal forte impatto scenografico: salotti arredati come
camere funebri, con teschi e candelabri; camere da letto in cui ogni cosa è bianca,
dai tendaggi ai mobili agli oggetti da toilette; e tu stessa ti vesti e ti acconci come
se recitassi in una tragedia esotica: abiti scollati sulla carnagione cerea e turbanti
che rendono ancora più grandi gli occhi indagatori. Seduta sul pavimento,
appoggiata al pianoforte, ascolti Liszt suonare o De Musset declamare versi. La
principessa triste, la principessa romantica, la principessa infelice, così ti
chiamano. E tu, Cristina, ti crogioli nell’ammirazione altrui e ancora non sai che la
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tua sete di affetto non può placarsi in un salotto. La placherai con la passione
politica e sociale.
Intanto sei lì, sul pavimento, in posa languida contro il pianoforte, mentre l’artista
di turno ti dedica una musica appassionata. C’è sempre qualcuno che non stacca lo
sguardo dal tuo volto diafano. Un tale addirittura dice: doveva essere molto bella,
da viva.
Ma tu sei viva, e come!
Scrivi articoli patriottici, organizzi l’assistenza agli esuli, li aiuti a trovare
lavoro… Tommaseo, Rossi, Gioberti, Mamiani, Poerio, Orioli si ritrovano con
Cousin, Fauriel, Thiers, Montalembert, Hugo, Balzac, Merimée, Heine… E non ti
scordi di chi ti vuole bene da lontano. Un giorno ho la sorpresa di ritrovarmi Liszt
in casa. Me lo mandi tu in regalo. Per mezz’ora suona al mio vecchio pianoforte.
E io… io piango di gioia. Vorrei esserti vicina, anche per consolarti quando gli
uomini non cessano di ferirti. Con quale furia ti difenderei! E tu che cosa mi
scrivi? Che sul tuo giornale sei pressoché l’unica a pubblicare, perché gli uomini
ritengono un’ignominia scrivere su un giornale diretto da una donna. Anche
Mazzini la pensa così, e con lui i patrioti che da te hanno avuto soldi, lavoro,
consolazione. Che dire? Tu hai una visione politica realistica, Mazzini amministra
male una setta di fanatici: “Il moto di Napoli genererà il moto degli Stati Pontifici.
Il moto dei Pontifici deve generare il Toscano. La Toscana è destinata per
l’insurrezione del Senese, di Montepulciano, del Perugino…” Illuso! Visionario!
Quanti giovani sono morti per la sua intransigenza? E che dire delle altre
organizzazioni settarie? Ecco come giurano: “Se tradisco, voglio che mi siano
levati gli occhi della testa, strappata la lingua, tagliato e scorticato il mio corpo…”
Vogliono fare l’Italia o giocare come bambini, lasciandoci però poi la vita?
Viva l’Italia e viva le donne che si sono prodigate, subito dimenticate dagli
uomini, i soli protagonisti.
Il 23 dicembre 1838, in modo inatteso e segreto, nasce Maria Gerolama, la
figlia che solo ventidue anni dopo Cristina riesce a fare riconoscere come una
Belgioioso, in modo da assicurarle un futuro. L’ha avuta da Emilio? O da
Mignet, il suo amico parigino? O dal segretario Pietro Bolognini detto il
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Bianchi, che non ha fatto altro che spillarle denaro? Maria Gerolama è solo
mia, mi dicono i suoi occhi profondi. E io le credo, io credo a tutto quello che
mi dice.
Torna a Milano. Che tristezza. La causa italiana sembra persa. Metternich ha
soffocato ogni grido di libertà. Gli ex rivoluzionari si chiudono in se stessi, si
rifugiano in crisi mistiche, diventano traduttori o avviano attività economiche.
D’altronde, la parola d’ordine ora è arricchire. E tutti, di colpo, diventano
conservatori. La Lombardia impigrisce nella rassegnazione. La nebbia
ingrigisce il paesaggio e le menti. Cristina si ritira a Locate e il suo salotto è
frequentato solo dal parroco e dal fattore, con i quali gioca a carte. Ma può
forse starsene tranquilla? Se non può fare niente per l’Italia, può però fare
molto per il suo paese. Tutto quello che amministratori, imprenditori, nobili e
preti non hanno fatto in secoli di storia, lei lo realizza in pochi anni. Il primo
asilo infantile per gli orfani; le scuole elementari anche per le bambine; i corsi
di economia domestica, agraria, musica e canto, pittura, restauro e stampa per
giovani di entrambi i sessi; lo scaldatoio per ricoverare chiunque patisca i geli
dell’inverno; la cucina pubblica; il dispensario medico.
Una titanessa, la mia Cristina. Nessuno mai la ferma. Sempre un secolo più
avanti degli altri. E tutto da sola. Ha cercato aiuto presso i proprietari terrieri,
ma nessuno risponde alla sua lettera.
“I bambini di questo mio paese sono nella più miseranda delle condizioni umane.
La qualità dei lavori e l’aria delle paludi procacciano gravi malattie e poche sono
le coppie che pervengono ad età avanzate.
Ho pensato perciò di proporre ai signori che da quelle terre ricevono le loro
maggiori ricchezze, di consumarne una menoma parte per riparare quei mali. Un
ospizio per gli orfani nel capoluogo di Locate in cui i fanciulli privi di madre e di
padre sarebbero accolti, mantenuti e istruiti fino all’età di sedici anni potrebbe
fornire alle nostre campagne lavoratori assidui, robusti e onesti”.
Per tutti, valgono i giudizi di Confalonieri: “Ecco un’altra prova della sua
follia”. E di Manzoni: “Quando i contadini saranno tutti dotti, a chi toccherà
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zappare la terra?” A nessuno interessa che, in appena un decennio, nel più
importante orfanotrofio lombardo, siano morti la metà dei ricoverati:
quindicimila piccoli innocenti vittime di stenti, malattie e maltrattamenti.
“Ora quei bambini hanno un bell’aspetto di salute, e non s’insudiciano,
mangiano regolarmente, rispondono quando chiamati, incominciano a leggere e a
numerare. Il mio castello è grande come una piccola città e quasi tutti gli edifici
sono occupati dai lavoratori. Sono puliti, i loro volti intelligenti e aperti. Mi
dicono che i contadini amano il putridume delle loro stalle e che nessuno sarebbe
mai entrato nel mio scaldatoio…”
E invece le sue iniziative hanno un enorme successo e tutto il paese collabora e
partecipa, con rabbia e scandalo di molti aristocratici e intellettuali milanesi.
Iniziative che non sono solo filantropiche. Sono politiche. Cristina ritiene che le
riforme non siano attuabili senza l’educazione del popolo e in questo si dichiara
d’accordo con Mazzini. Ma le sue sono idee troppo nuove. La divisione tra le
classi sociali è ancora troppo rigida. Cristina non si fa illusioni sulla realtà italiana.
L’Italia, per lei, è uno dei paesi più miserabili con la popolazione più corrotta che
vi sia, mal servita da intellettuali presuntuosi e da dirigenti arroganti.
“Questa povera gente mi considera come qualcosa di un po’ strano, ma di ben
intenzionato alla quale non si sfugge. Il paese mi appartiene per l’eternità; sono
una donna sola e non ancora troppo vecchia; ho visitato dei paesi lontani; ho
veduto molti uomini e molte cose; non ho paura di nulla; parlo il loro linguaggio;
mi ricordi dei nomi di tutti; conosco i loro affari meglio di loro; guarisco a volte i
loro bambini e le loro donne. C’è della strega in tutto questo”.
Amarezze, cara Cristina, sempre amarezze. Giulia Beccaria sta morendo, tu ti
precipiti a casa Manzoni, siete sempre state molto affezionate… ma il figlio
Alessandro dà istruzioni di non farti entrare. Ti fa cacciare dallo stesso prete che
ha celebrato le tue nozze. In un odioso opuscolo intitolato Le illusioni della
pubblica carità se la prende con te perché… fai del bene.
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Tu tiri dritto per la tua strada. Ma non vuoi metterti contro la chiesa. Ti illudi, con
ingenuità, che basti il tuo impegno di credente per godere della stima della
gerarchia cattolica. Scrivi un Saggio sulla formazione del dogma cattolico, e sono
in molti ad apprezzarlo, ma tra i molti non c’è la chiesa: il libro viene messo
all’indice. Una donna che scrive di religione? Ah, non va bene!
E tu insisti. Hai un cervello che funziona bene quanto quello degli uomini e vuoi
dimostrarlo, con cocciutaggine. Esce la tua prefazione alla Scienza nuova di Vico
che fai pubblicare per la prima volta in Francia. Ottieni riconoscimenti da Weber,
Michelet, Karl Marx, Benedetto Croce... Gli altri o sono sordi e ciechi, o biechi
egoisti, o tristi invidiosi. Fondi l’unico giornale italiano in Francia, La Gazzetta
Italiana. Una donna giornalista fa ancora scandalo. Gioberti ti rimprovera di avere
rinunciato alla riservatezza e alla verecondia di cui devono ornarsi tutte le donne.
Uhm, che rabbia quando leggo la tua lettera! E quanti sogni faccio di noi due che
sfidiamo il mondo degli uomini!
E gli “Studi intorno alla storia della Lombardia”? Ti rendi conto? Osi ridicolizzare
le congiure salottiere dei nobili, le presuntuose imprese di Mazzini che tanto
sangue costano, la scarsa chiarezza di idee dei capi come Confalonieri… e in
seguito critichi anche “Il primato morale e civile degli italiani” di Gioberti. Ne hai
per tutti, Cristina. Ma con ragion veduta e io ti do sempre ragione. Gli altri,
purtroppo, ti danno invece torto. D’altronde, non è facile accettare quello che
scrivi sul tuo giornale: “La teoria del primato è assurda. Noi non siamo i primi in
Europa, ma gli ultimi.”
Che coraggio, Cristina, che coraggio!
Sono davvero orgogliosa di esserti amica.
I politici, tutti uomini, si gingillano con il colore delle uniformi e la
distribuzione delle cariche, ma lei li invita a occuparsi di cose più serie come
l’amministrazione, la riforma agraria, l’educazione popolare, il buon governo.
Questo è il programma di Cristina, che non piace né ai nobili né ai borghesi né
agli uomini di chiesa.
Realista com’è, non crede più nelle riforme dei moderati, perché ha verificato
quanto il popolo sia privo di coscienza politica. Ora Cristina parteggia con
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forza per la guerra di liberazione condotta dai Savoia. È troppo presto per la
repubblica, ma la monarchia potrà essere il primo passo verso una futura Italia
unita e repubblicana. Intanto i Savoia, però, proibiscono la diffusione nel regno
del suo giornale.
Viva l’Italia e viva Carlo Alberto.
Il 1847 sei di nuovo alla ribalta. Non appena ti muovi da Locate, tutti i riflettori
puntano su di te. Accompagnata dal fedele e malandato segretario Gaetano Stelzi,
che muore l’anno dopo con tuo grande dolore, ti precipiti a Roma. Vieni accolta
nel Circolo Popolare da Ciceruacchio in persona, che in tuo onore organizza una
grande fiaccolata. Popolani, borghesi e nobili si mettono in fila per vedere da
vicino l’eroina lombarda. Tutti inneggiano al papa che ha concesso la
costituzione, la libertà di stampa, il ministero liberale, la libertà agli ebrei… e
Ciceruacchio si fa addirittura ricamare sulla giubba rossa la scritta Viva Pio IX.
Viva l’Italia e viva il papa, tanto lesto a fare le riforme quanto a disfarle.
Cristina vorrebbe tornare a Milano dove è in atto la rivoluzione, ma viene a
sapere che Torresani è pronto a farla arrestare e a farla internare a Linz, “per il
buon nome di quella principessa politicamente esaltata”, così scrivono a
Vienna.
Va a Napoli e stampa il primo numero dell’Ausonio. Il giornale non ha peli
sulla lingua. L’Austria è peggio di Attila. Il lombardo-veneto, spogliato delle
sue ricchezze, ha un debito pubblico esorbitante. La cultura è soffocata,
l’industria e il commercio languono.
Progetta un nuovo quotidiano, Il Nazionale. Ora, però, si contano a centinaia
gli aspiranti redattori. In quei giorni gli Austriaci vengono cacciati da Milano e
Cristina che cosa fa, la mia folle e generosa idealista? Noleggia il Virgilio, un
vapore capace di trasportare via mare centosettanta patrioti. In migliaia si
presentano al molo!
“Quando arrivai al piroscafo, il mare era coperto da leggere barchette accorse
da ogni parte per augurarci il buon viaggio. Fra i tanti navigli ancorati nel porto,
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avreste distinto facilmente il nostro per il balenio delle armi di cui era stipata
tutta quanta la coperta. I miei volontari mi attendevano.”
Io, quando lo vengo a sapere, mi sento quasi mancare. Un conto è scrivere articoli
e tenere discorsi, un altro è mettersi a capo di un battaglione. Tu così esile ed
emaciata … tu una guerriera? Eppure sì, sei capace anche di questo. Entri in
Milano dal corso di Porta Romana e ti presenti a palazzo Marino alla testa dei tuoi
volontari, vestita di velluto nero, con in testa il cappello alla calabrese ornato da
una grande piuma, lo stesso portato da Garibaldi; ma la coccarda tricolore sul
petto è fermata da una spilla di diamanti. I volontari vanno a combattere nel
Trentino e nel Mantovano, tu combatti a modo tuo stampando un nuovo giornale,
il Crociato.
“Il Crociato è monarchico. La repubblica ai miei occhi è la più perfetta forma di
governo, ma siamo monarchici perché una nazione in cui la repubblica viene
introdotta dovrebbe essere arrivata a un livello di civiltà non facilmente
raggiungibile.”
Ogni numero è fonte di polemiche. I capi sommossa fanno la guerra all’Austria
più con la retorica e la confusione che con i fatti. L’unica via, scrivi, è logorare il
nemico con la guerriglia e ci vuole quindi che a capo dei combattenti sia messo
Garibaldi. Ma ti aspetti forse che ti diano ascolto? Le costituzioni vengono
rinnegate, tutti si ritirano. Tutti meno il popolo. Forse non è pronto per un’Italia
libera e repubblicana, ma è leale e combatte fino all’ultimo. Ricordo la tua collera
alla notizia che, mentre l’esercito si scompagina, Carlo Alberto anziché
provvedere alla difesa di Milano si chiude in una chiesa di Cremona a cantare le
litanie. Rientrato a Milano, straccia il foglio di resa davanti al popolo. Ma il gesto
plateale e ipocrita non è che il preludio a una fuga disonorevole. E noi siamo lì e
assistiamo a tutto, indignate e furiose.
“Sono salva; anche Maria che non si è mai staccata dalle mie gonne, nel bel
mezzo delle truppe e delle barricate, né nell’effervescenza del furore popolare.
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Furore ben motivato, poiché siamo stati ignobilmente venduti da Carlo Alberto.
Non abbiamo più alcuna speranza se non nella Francia e nel partito
repubblicano. La Casa Savoia è diventata impossibile quanto i Borboni. Mentre
la morte si aggira per le nostre strade, la maggior parte degli uomini che
abbiamo nominato bada a spartirsi le cariche e ad assicurarsi la sua parte di
potere.”
Viva l’Italia, e basta.
Pio IX scomunica chi collabora con la giunta municipale e Ciceruacchio
risponde scomunicando a sua volta il papa.
Cristina corre a Roma, chiede udienza al generale Oudinot mandato in soccorso
al papa: che lasci passare i volontari italiani, polacchi, svizzeri, ungheresi,
inglesi e nordamericani; cosa che in effetti avviene. Ci sono tutti meno i
garibaldini, tenuti lontani dai politici che vedono in Garibaldi una figura troppo
popolare. Cristina litiga anzitutto con i triumviri Mazzini, Armellini e Saffi.
Fanno minchionerie molte e varie, dice. Mazzini non glielo perdonerà mai.
Viene nominata direttrice delle ambulanze militari. È la prima volta che voi
uomini affidate un incarico di tanta responsabilità a una donna e certo non
potete rimproverarle niente: è infaticabile e rivela una capacità organizzativa
straordinaria. Il suo appello alle donne romane non rimane inascoltato.
“Incapacità e stoltezza, debolezza e vanagloria furente, ecco ciò che regna in
Roma. Il povero Mazzini si mostra qual è, e davvero non è spettacolo esilarante.
Il Potere esecutivo fa pietà!
Oltre il dovere dell'infondere coraggio nel cuore dei figli, dei mariti e dei fratelli,
altra parte spetta pure alle donne in questi difficili momenti. Non parliamo per
ora della preparazione di cartucce e munizioni di ogni genere cui potranno essere
più tardi invitate le donne romane. Ma già sin d’oggi si è pensato di comporre
una associazione di donne allo scopo di assistere i feriti, e di fornirli di filacce e
di biancherie necessarie.”
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Dopo appena due giorni ben dodici ospedali sono attivi, ma sono stati due
giorni insonni e frenetici. Cristina ha mandato via i barellieri ignoranti e rozzi
che svolgevano anche il ruolo di infermieri senza alcuna preparazione; litiga
con il Consiglio della sanità composto da clericali e asini; sceglie trecento
donne tra le innumerevoli che si sono presentate (borghesi e aristocratiche,
straniere e popolane, anche prostitute) e le inquadra militarmente; procura
bende e materassi; litiga con i chirurghi e i fornitori poco sensibili o poco
onesti e anche con i frati fanatici che minacciano di far morire di fame e di sete
chi non si pente e chi rifiuta i sacramenti.
Il generale Oudinot riconquista Roma senza difficoltà, con rabbia di Cristina
che verifica sempre di più l’incompetenza e la stupidità dei politici. Ma ora ha
altro a cui pensare, per esempio al giovane Goffredo Mameli che le spira tra le
braccia. Il triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi viene sostituito da un
Triumvirato Nero di tre cardinali incaricati dell’epurazione politica. Cristina è
accusata di sentimenti irreligiosi. Un gesuita la descrive come “femmina
sfacciata e impudente”, scandalizzato perché le sue infermiere hanno lavorato
con le braccia nude. E anzi si fanno circolare voci sulla Belgioioso che si
aggirava tra i feriti alla ricerca di bei giovani da sottomettere alle proprie
voglie. E il papa? Si lamenta con i cardinali perché molti uomini sono morti tra
le braccia delle prostitute rifiutando i sacramenti. Tutta colpa della Belgioioso.
“Santo Padre. Le donne che mi venivano denunciate erano state per giorni e
giorni a vigilare al capezzale dei feriti; non si ritraevano dinanzi alle fatiche più
estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinanzi al pericolo,
dato che gli ospedali erano bersaglio delle bombe francesi.”
Non può restare in Italia, su di lei pende un mandato di cattura. Non è più
benvoluta in Francia. Cristina fugge a Malta, ma nemmeno lì è gradita, perché
ha fatto la guerra al papa. Riparte per Atene e comincia a scrivere in francese
lettere che vanno a formare un diario di viaggio, pubblicato a puntate sulla
“Revue des Deux Mondes”. Scrive anche numerosi romanzi, tra i quali “Scene
di vita negli harem”, “Emine”, “Vita nomade in oriente”, “Un principe
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kurdo”… In tutte queste opere affronta di petto la condizione femminile.
L’harem? Niente di romantico o di sensuale: muri anneriti, divani stracciati e
unti, poca luce, e solo inferiorità e degrado per la donna.
Le sue opere sono subito tradotte in inglese, tedesco, russo, olandese… ma solo
molto più tardi in italiano. L’Italia, di Cristina, si ricorda poco e magari solo
per farle del male.
Sbarca in Turchia e la elegge a sua nuova patria. Acquista un villaggio con
latifondo nel cuore dell’Anatolia, a quattro giornate di cavallo da Smirne.
Ovunque è accolta con entusiasmo e il governo turco le offre ogni appoggio,
perfino l’esenzione dalla tasse, purché la guaritrice franca, come anche è
chiamata, avvii le attività agricole e artigianali che ha in progetto.
“Si marcia per qualche ora su costoni di montagne spoglie, coperte di rovine.
Improvvisamente, appare uno scenario completamente nuovo. Campi di grande
estensione scendono per un dolce declivio fino alle rive del fiume, mentre altri
penetrano nelle sinuosità delle montagne e formano deliziose vallate. A ogni
passo sgorgano sorgenti. In mezzo alla valle si alza la mia capanna perché è una
casa così piccola e umile che non merita altro nome.
Ho dunque comprato per cinquemila franchi una tenuta che in Europa sarebbe un
ducato. Buona terra fertilissima in pianura, parte in colli e in monti, irrigata da
un fiume e vari canali. Ho delle risaie, ma se riesco a coprire di viti i miei colli, il
profitto sarà grande.”
Non va così, purtroppo. Nonostante i tuoi sforzi, uno dopo l’altro i progetti
falliscono. In aggiunta, come reazione all’ultimo moto rivoluzionario del
velleitario Mazzini, a Milano ti sequestrano di nuovo i beni, pur sapendoti
estranea; ed è il 1853.
Ma l’aria della Turchia ti fa bene, i dolori che da una vita ti tormentano sono
scomparsi e tu sei sempre indomita e aperta a nuove esperienze.
“Se il vento del nord si alza repentinamente in queste pianure di ghiaccio e vi gela
il sangue nelle vene, che potete farci? Se una grossa nuvola scoppia sulla vostra
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testa e trasforma in pochi istanti la campagna in una gigantesca palude, che
potete farci? Se il vostro cavallo si azzoppa, rifiuta di avanzare, soccombe alla
fatica, cosa potete farci? Se gli abitanti di un villaggio chiudono le porte e vi
rifiutano un pezzo di pane, potete farci qualcosa? Se infine le vostre forze vi
abbandonano, se vi ammalate per strada o in uno di questi cupi villaggi, che
potete farci? Niente e solo niente.”
Maria compie quattordici anni e deve ricevere la prima comunione. Un’altra
donna non se ne sarebbe preoccupata, ma tu che ragioni e ami in modo diverso da
tutte le altre donne, che cosa decidi? Di andare a Gerusalemme. Un viaggio di
undici mesi attraverso la Turchia, la Siria e l’Irak, affrontando con spirito da
pioniera i disagi di un mondo selvaggio e i pericoli rappresentati dai predoni.
“La camera a noi destinata non è coperta dal tetto se non per metà, sporca, piena
di pulci; il fumo mi acceca, le galline mi saltano sul letto, il vento mi toglie il
respiro.”
Preceduta dalla tua fama, vieni ricevuta dal pascià e partecipi perfino alla caccia
alla tigre. Ma come puoi sopportare tante emozioni? Me lo chiedo sempre,
pensando a me stessa qui, al sicuro, con una vita tranquilla… e tu là, sola eppure
capace di farti rispettare da uomini per cui le donne devono essere solo schiave.
Tornata alla la tua tenuta di Ciaq-Mag-Oglou, un altro brutto momento ti attende.
Uno dei lavoranti, un tale Lorenzoni da Bergamo, uomo rozzo e violento, giura
vendetta perché l’hai umiliato prendendo le difese di miss Parker che lui ha
aggredito. Una sera ti assale con il coltello e ti ferisce all’inguine, al seno, alla
mano destra e alla nuca. Sangue ovunque, da credere che sia stato sgozzato un
animale. Accorrono tutti. L’uomo fugge. Urla e pianti. E tu? Con una calma che
raggela quanti ti stanno intorno provvedi a curarti da te stessa le ferite.
Quanti uomini saprebbero reagire così?
Ma a te, che pure hai un animo delicato e sensibile, quanto costano queste
imprese? Anche la tua forza e il tuo coraggio hanno un limite! Eppure, logorata
nel fisico, con cicatrici indelebili nell’animo, tu non ti arrendi mai.
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Trascorrono altri due anni durante i quali ti sembra di essere tornata al lontano
1831, quando sei arrivata a Parigi senza un soldo. Anche adesso devi arrabattarti
per sopravvivere: metti insieme qualche soldo scrivendo articoli e vendendo i
ricami fatti insieme a Maria. Poi, quando ormai disperi di potercela fare, la buona
notizia: gli avvocati hanno raggiunto un compromesso con le autorità austriache e
puoi tornare in Italia.
Ha così fine il tuo sogno orientale, ma io ne gioisco: ti rivedo, finalmente.
Sbarchi a Marsiglia nel settembre del 1855. Che spettacolo! Sei accompagnata da
due servi turchi con il fez rosso e i folti baffi neri, un cavallo arabo, quattro
levrieri afgani, due gatti d’angora… ma hai quarantasette anni. Sembri una donna
anziana. Un poco ingobbita. La testa reclinata di lato, per colpa della ferita del
Lorenzoni. I capelli grigi. Le rughe… Scusa, mi si fa un nodo in gola.
Anche per molti dei tuoi amici la bella stagione è passata. De Musset in preda ai
deliri della sifilide, Heine paralizzato, Chopin morto, Hugo in esilio… Nei salotti
non c’è più una donna misteriosa e intelligente, sensibile e impegnata. Ora c’è
“Nicchia”, com’è chiamata la contessa di Castiglione. Interessata solo ai piaceri e
al protagonismo, gestisce nel contempo ben dodici amanti. Spedita in missione da
Cavour nel letto di Napoleone III, grande amatore di ballerine di cancan, in
mezz’ora di prestazioni erotiche ottiene un’alleanza politica.
Tu ti guardi intorno e ti senti un’estranea. Non è più il tuo mondo, questo. Ma
forse non c’è mai stato un mondo adatto a te, Cristina cara. La Castiglione avrà
onorificenze a non finire, e invece tu… invece tu dagli uomini di potere hai avuto
solo l’oblio.
Scoppia la seconda guerra d’indipendenza. Tu presti ancora la tua opera negli
ospedali di Milano, ma non ti viene riconosciuto alcun ruolo particolare. La
Belgioioso, la matta che litiga con tutti e che se n’è andata dai turchi… Non sei
più benaccetta. Fai parte come me dei vecchi rivoluzionari di fede repubblicana, di
cui diffidare. Hai perfino scritto contro Carlo Alberto! Hai realizzato folli riforme
sociali a Locate. Te ne sei andata in giro per il mondo come una vagabonda. Scrivi
libri e articoli come un uomo. Hai una figlia di dubbia paternità. Sei stravagante,
autoritaria, polemica… Non sei più gradita, Cristina, non ti vogliono più! Non
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serve che scrivi all’uno e all’altro. Ritirati nell’ombra, Cristina. Ma tu no, tu fino
all’ultimo respiro vuoi dare il tuo contributo alla vita.
Vittorio Emanuele II, in visita a Milano, incontra tutti i nobili meno te, che non sei
invitata. Piango anch’io, quando lo vengo a sapere. Abbiamo contribuito a
edificare non una patria, ma l’ingratitudine di uno stato.
Nonostante tutto, pensi ancora che la monarchia sia per il momento l’unica
soluzione per l’Italia e pubblichi una “Storia della casa di Savoia” che viene
apprezzata anche dai tuoi detrattori. Fai anche uscire un giornale nuovo, di grande
successo, un giornale bilingue, in francese e italiano, e lo chiami L’Italia. La
monarchia, sì, ma non la piemontesizzazione. E così ti fai nuovi nemici, da
aggiungere ai vecchi irriducibili.
“Noi di Torino non ne vogliamo sapere. Questi signori ci hanno tolto tutto. Ci
hanno preso i denari, le istituzioni, le amministrazioni, gli usi, le pratiche, tutto.
Se si avrà la vera capitale, per forza della quale questa maledetta egemonia
piemontese si vada di mano in mano sciogliendo, sarà bene.”
Il 31 gennaio del 1861 esce sul primo numero della “Nuova Antologia” di Le
Monnier il saggio “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire”.
Penso che sia la sua opera più significativa. In altre opere come “Sulla moderna
politica internazionale” o “Osservazioni sull’attuale stato dell’Italia e il suo
avvenire” c’è tutta la sua mente, ma qui c’è lei, Cristina, mente e cuore.
“Rimasta per tanti secoli senza cultura intellettuale, scevra di ogni responsabilità
negli affari sì pubblici come famigliari, la donna non ambiva una eguaglianza che
le avrebbe imposto doveri faticosi e gravi. Questo stato di cose si mantiene
tuttora; e quelle poche voci femminili che s’innalzano chiedendo dagli uomini il
riconoscimento formale della loro eguaglianza, hanno più avversa la maggior
parte delle donne che degli uomini stessi.
Non è forse tempo che le compagne, le madri dei signori del creato, sieno tenute
seriamente come creature ragionevoli, dotate di potenze intellettuali forse
speciali, ma non necessariamente inferiori a quelle dell’uomo? Non so se
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m’inganni, ma sembrami che la società (e quando dico la società, intendo parlare
quasi esclusivamente degli uomini) non sia più così aliena come per lo passato
dal muovere un primo passo verso la giustizia quanto alle donne.
Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il
pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e
ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e
prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!”
Sei sola, nella grande casa silenziosa. Ricevi ancora, ma il tuo è un salotto di
parole sussurrate, non più cantate o declamate con forza. Tu ascolti, chiudi gli
occhi, ti assopisci, si fa silenzio, la tua voce sembra provenire da altri mondi:
parlate, parlate, amici, io vi ascolto. Ma ormai tu ascolti solo le tue voci segrete e
misteriose.
“Vedo le rughe solcarsi a forza sulle guance e sulla fronte, e imprimere al volto
un’espressione di severità o di noia, o indifferenza, che non ebbero mai il loro
corrispettivo né nel mio cuore né nella mia testa; vedo quel gelo della vecchiaia
condensarsi sugli occhi, che dovrebbero risplendere più che mai perché in alcune
cose sento con maggior forza e uno slancio maggiore che per il passato.
Confesso che questo cangiamento zoppo, questo ribellarsi di una parte di me,
questo difetto di armonia nelle diverse sostanze che mi compongono, mi è grave.
Tutte le gioie che colorano la gioventù della donna si sono spente col progredire
degli anni. La società più non le abbada, se non forse per farla segno ai suoi
spensierati motteggi.”
Cristina muore il 5 luglio del 1871, alle dieci e mezzo di sera. Ha sessantatré
anni. Nonostante che fosse stata scomunicata per la partecipazione alla
Repubblica Romana, i funerali si celebrano con grande semplicità nella chiesa
di San Tommaso. Nessuna rappresentanza statale.
Per più di trent’anni su di lei cala il silenzio.
Nel cimitero di Locate c’è la tomba fatta erigere dalla figlia Maria. Ma la cassa
è vuota. Cristina non è sepolta lì, Cristina… la mia Cristina… la mia Cristina…
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è in mezzo a chi ha bisogno di lei, è dalla parte delle utopie più belle, è con le
persone che sanno sognare e agire per il bene comune.
Io l’ho amata. Un po’ come sorella un po’ come madre.
E voi?
Voi, adesso, voi dovete dire che cosa provate per la mia Cristina.
Voi non potete più fare finta che lei non sia mai vissuta. Cristina è lì, e vi
guarda.
Viva l’Italia, ma prima viva Cristina Trivulzio Belgioioso, altrimenti l’Italia è
solo un corpo dalla mente offuscata in cui non batte un cuore.
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la principessa cristina