Buscetta, Spatuzza e Brusca raccontati dagli
universitari palermitani. Lunga intervista a Di
Matteo. Il 9 la presentazione a Giurisprudenza
ilquotidianodipalermo
“Basta con la cultura della quiescenza. Oggi ci vuole la cultura della ribellione, della
consapevolezza, della partecipazione, della solidarietà, della resistenza. Fatelo tutti. Il silenzio non
basta più, bisogna parlare, denunciare, agire, essere normali, cioè onesti, leali, corretti”.
Parole che dovrebbero essere condivise da tutti, diventando un mantra per la vita quotidiana di ogni
singolo individuo. Frasi, quelle pronunciate da Antonino Caponnetto, che ti entrano dentro, con le
quali non si poteva non aprire l’ultimo opuscolo, in ordine di tempo, dell’antimafia, realizzato
dall’associazione “La Freccia” in collaborazione con “ContrariaMente”, continuando così a
raccontare della vita di illustri personaggi interessati dal fenomeno mafioso.
“Le memoria del male” è il titolo dell’ultima fatica di questi giovani universitari, alcuni dei quali
finalmente in uscita dal percorso universitario, che ha voluto riportare sulla carta storie come quelle
di Tommaso Buscetta, Gaspare Spatuzza e Giovanni Brusca, descrivendo le stragi, ma anche la
cronaca dell’omicidio del piccolo Di Matteo, cercando “di fare luce, per quanto possibile, sulle loro
complesse personalità, offrendo per la prima volta l’altra faccia della medaglia”.
Preziosa e da non perdere l’intervista al dott. Nino Di Matteo, attualmente impegnato nei processi
per la cosiddetta “Trattativa Stato-Mafia”. A firmarla sono Vincenzo Termine e Leandro Samuele
La Bua. Un lavoro, questo, interamente realizzato dagli studenti dell’Ateneo palermitano grazie al
finanziamento che solitamente l’Università degli Studi di Palermo attribuisce alle associazioni
studentesche che hanno e propongono forti contenuti culturali e sociali.
L’opuscolo fa parte della collana “I Quaderni dell’Antimafia” e sarà presentato alle 16 di mercoledì
9 aprile nell’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza, durante uno dei due pomeriggi in
programma nell’ambito della terza “Giornata universitaria dell’Antimafia”. Iniziativa promossa per
festeggiare il decimo anniversario della nascita dell’Associazione “ContrariaMente – Rete
Universitaria Mediterranea”, riproponendo un evento che ha sempre caratterizzato la storia
dell’associazione studentesca più rappresentativa della facoltà di Giurisprudenza.
«La collana della quale fa parte questo lavoro è ormai arrivata alla quinta edizione, avendone
pubblicati 3 o 4 all’anno – spiega Vincenzo Termine, presidente dell’associazione “La Freccia” e
curatore di questo opuscolo -, anche se prima non li chiamavamo “quaderni dell’antimafia”. I temi
che abbiamo sempre trattato sono diversi, a volte sono biografie, altre volte sviluppano tematiche
centrali. Per esempio, rispetto alle biografie, quest’anno ne uscirà una su Padre Pino Puglisi, mentre
per quel che riguarda l’altro filone il tema forte di quest’anno è quello che presenteremo mercoledì.
La mia idea era quella di avere nel dibattito il professore Galasso, che in quella famosa puntata di
“Samarcanda”, condotta in tandem da Maurizio Costanzo e Michele Santoro, contestò duramente
Giovanni Falcone. Sarebbe stato bello vedere cosa oggi avrebbe da dire davanti a una platea di
studenti, peraltro i suoi studenti».
Veramente ricco e prezioso da ogni punto di vista questo lavoro, l’ultimo di Vincenzo Termine da
presidente de “La Freccia”, in quanto sta per laurearsi e, a quel punto, dovrà passare il testimone.
“Ovviamente, ci sarà chi continuerà questo lavoro. Posso, però, annunciare che nella nuova collana,
quella successiva a questa, ci sarà un opuscolo dal titolo “Dalla coppola e dalla lupara
all’Internazionale immobiliare”. Un tema forte e controverso, sul quale l’opinione pubblica appare
spaccata perché “se da un lato i pentiti hanno permesso di smantellare organizzazioni criminali e
dare volti e nomi a fatti e persone che altrimenti sarebbero rimasti nell’oscurità, dall’altro sono stati
spesso protagonisti di depistaggi”.
«Il ruolo dei collaboratori di giustizia – si legge nell’intervista a Nino Di Matteo – è stato, è e sarà
fondamentale nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, proprio perchè rappresentano ‘la
voce dal di dentro’ che riesce a scardinare il muro di omertà e segretezza che caratterizza
l’organizzazione mafiosa. Come diceva Giovanni Falcone – prosegue il dott. Di Matteo – le
dichiarazione dei collaboratori di giustizia sono materiale incandescente, quindi da maneggiare con
cura e professionalità. E’, dunque, assolutamente necessario che, nell’accostarsi alla gestione delle
indagini che derivano dalle dichiarazioni dei collaboratori, i magistrati e gli investigatori
impieghino il massimo dell’impegno e della professionalità alla ricerca dei riscontri necessari a far
divenire prova piena le dichiarazioni dei collaboratori stessi. Per il resto, credo che purtroppo oggi,
da un punto di vista numerico, quantitativo ma anche qualitativo, il fenomeno della collaborazione
viva un momento di decrescita rispetto a quanto avvenuto alla metà degli anni».
Cosa, dunque, fare?
“Io credo che si dovrebbe accentuare di più il solco, la differenza, fra il trattamento per i
collaboratori di giustizia e il trattamento per chi non collabora. Lo Stato dovrebbe, rispetto ai passi
indietro che si sono segnati con la 145/2001, che ha ridisegnato la normativa in tema di
collaboratori di giustizia, avere anche il coraggio di riconoscere a quei collaboratori che dimostrano
la loro piena ed importante attendibilità, un trattamento premiale più favorevole rispetto a quello
attualmente previsto. Ancora, da un punto di vista qualitativo, io credo che purtroppo i collaboratori
di giustizia, che sono pur sempre mafiosi, quindi soggetti abituati a vivere, a interpretare e a
cogliere ogni segnale nella realtà circostante, hanno capito che, fin quando le loro dichiarazioni
riguardano aspetti “ordinari” della mafia militare, sono “accettate” dall’opinione pubblica e quindi
non sorge alcun problema. Gli stessi hanno compreso, però, che laddove le loro dichiarazioni
attingano livelli più alti e riguardino le collusioni, ad esempio, tra la mafia e la politica o la mafia e
le istituzioni, inevitabilmente a livello mediatico e politico scattano vere e proprie “campagne” di
discredito. Quando non ancora di diffamazione e calunnia, nei loro confronti. Questo è un clima
generale diffuso e molto pericoloso, perché, a mio parere, induce molti dei collaboratori di giustizia,
specie quelli che da meno tempo hanno intrapreso la loro collaborazione, ad assestarsi nelle loro
dichiarazioni ad un livello medio-basso, quindi a evitare di riferire all’autorità giudiziaria loro
conoscenze, dirette o indirette, quando riguardano argomenti troppo delicati”.
Inevitabile chiedere quanto possano fare la società civile, i cittadini, noi tutti. La manifestazione del
prossimo 12 aprile a Roma vuole, per esempio, essere un’importante occasione al fine di ottenere
un confronto con il ministro Alfano sul delicato tema del “bomb jammer”.
«Sono sempre stato convinto, e lo sono ancora di più in quest’ultimo periodo – risponde ancora Di
Matteo -, che la sconfitta definitiva della mafia non possa che passare da una rivoluzione che parta
dal basso, dai giovani, dagli studenti, dalla loro consapevolezza, dalla loro volontà di discutere e
affrontare il problema, in altre parole, di “prendere il toro per le corna”. Sono da cittadino, prima
che da magistrato, assolutamente confortato di quanto sta avvenendo. Ritengo, qualunque sia poi la
strada intrapresa, che in una Facoltà come Giurisprudenza, specie a Palermo, l’amore per la legalità
e il culto del diritto non possa prescindere dall’amore per la conoscenza della verità e della
giustizia, anche e soprattutto in materia di mafia».
E rispetto a 25 anni fa, cosa vuol dire fare oggi parte del pool antimafia?
«Io credo che lavorare a Palermo e occuparsi di inchieste di mafia – si legge ancora tra le 70 pagine
dell’opuscolo – rappresenti per un magistrato un onore e un onere particolare. Il distretto di Palermo
è il distretto giudiziario che in tutto il mondo occidentale si connota perché ha vissuto omicidi e
stragi nei confronti di tanti magistrati, sia degli uffici requirenti che di quelli giudicanti. Io
ritengo che chi lavora nel capoluogo siciliano non debba mai dimenticare questa testimonianza
lasciataci dai colleghi che non ci sono più e debba avere la consapevolezza che attraverso la lotta
alla mafia, con la sua incisività e la sua efficacia, si contribuisce in modo definitivo all’attuazione
dei principi costituzionali e alla ricerca della vera democrazia. Rispetto a 25 anni fa molto è
cambiato; c’è una maggiore consapevolezza del problema mafia e della sua pericolosità e
insidiosità. Non bisogna, però, abbandonarsi ai facili ottimismi, perchè resistono delle “sacche di
insofferenza” e delle ancor di più ampie “sacche di indifferenza”, che costituiscono terreno fertile
affinché l’organizzazione mafiosa si rigeneri ulteriormente, anche nei momenti di apparente
difficoltà come quello attuale».
Ovviamente, anche se nutriti, si tratta solo di alcuni stralci di questa lunga intervista durante la
quale Nino Di Matteo non si sottrae alle tante richieste di chiarimento rispetto a un momento storico
quanto mai difficile e delicato. Facendoci diventare prezioso un documento come quello
proposto dai ragazzi de “La Freccia” e di “Contrariamente”. Con la speranza che non rimanga,
come successo in passato, tra le gloriose ma circoscritte mura della facoltà di Giurisprudenza.
«L’idea è proprio questa – conclude Termine – per fare conoscere il lavoro fatto a molti altri
studenti dell’Ateneo palermitano. Per la giornata specifica del 9 potremmo arrivare a stamparne 750
copie. Poi contiamo di avere un dialogo e confronto con le quinte classi dei licei. Rete e
collegamento che si sta cercando».
Come dicevamo, l’opuscolo sarà presentato mercoledì prossimo nel corso di un dibattito moderato
da Lorenzo Baldo, vicedirettore di “Antimafia2000”, al quale interverranno: Nino Di Matteo,
sostituto procuratore presso la DDA di Palermo; l’avvocato Giovanni Chinnici, figlio del giudice
Rocco ucciso dalla mafia il 29 luglio del 1989; lo psichiatra e scrittore, Corrado De Rosa; Giuseppe
Di Chiara, professore di Diritto Processuale Penale; l’attrice Lucia Sardo; Nelli Scilabra, assessore
regionale all’Istruzione e alla Formazione Professionale. Un parterre de roi d’eccezione, al quale
non mancherà il curatore dell’opuscolo, Vincenzo Termine.
Alle 15.30 di giovedì 10, invece, nell’ingresso dell’Aula Magna di Giurisprudenza, sarà proiettato il
documentario di RaiStoria, a cura di Alessandro Chiappetta, dal titolo “L’Ora, storia di un giornale
antimafia”, a cui hanno partecipato quattro soci di “Contrariamente”. Una giornata, intitolata “La
mafia è una montagna di merda. Dieci dopo”, per riproporre il primo titolo, utilizzato appunto un
decennio fa, tratto dalla famosa frase di Peppino Impastato. Ne discuteranno, moderati dal
giornalista della Rai Rino Cascio, i giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Riccardo Lo Verso,
rispettivamente de “Il fatto quotidiano” e di “Live Sicilia”, insieme allo scrittore Luciano Mirone.
Nel corso della manifestazione saranno presenti gli stand delle associazioni antimafia operanti nel
territorio, oltre a un’esposizione delle prime pagine del giornale “L’Ora” a cura dell’Istituto
Gramsci Siciliano. Si potranno ammirare anche le opere del pittore Gaetano Porcasi.
Due seminari di grande spessore, ai quali bisognerà partecipare, per riflettere su ciò che è stato fatto
e ciò che va ancora fatto lungo il cammino della lotta alla mafia. Perché, come dice lo stesso Nino
Di Matteo, “tutto quello che sta succedendo attorno a noi dà una speranza. La speranza che voi tutti,
nonostante tutto e comunque vada, continuerete a cercare la verità e a pretendere che i magistrati e
gli uomini di legge siano sganciati dal potere mafioso. Questo, ne sono convinto, finirà per tutelare
la nostra vita e la vostra sicurezza”.
Parole, le sue, che ci devono fare capire che sta a tutti noi operare al meglio affinché la speranza di
cui si parla non rimanga tale, ma diventi certezza di valori e di giustizia. Per tutti.
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