NOTA Da un punto di vista formale il manoscritto ‘Urbino 86’, del Fondo del Comune, è costituito da otto fascicoli, il primo di quattro carte ed i restanti di otto carte ciascuno, per un totale di sessanta carte, la prima e l’ultima delle quali sono state incollate ai piatti a mo’ di risguardie, di talché il corpo del manoscritto è costituito da cinquantotto carte, riempite dal recto della carta [3] al recto della carta 53 (per un totale di 50 carte, corrispondenti a 100 pagine) dall’elegante scrittura di Antonio Rosa, familiare agli studiosi di storia urbinate. Per ciò che concerne il contenuto, il documento in questione, in verità poco conosciuto e – quanto meno negli ultimi anni – quasi mai richiesto per la lettura e la consultazione, non è altro che una storia compendiosa della città di Urbino, dalle origini agli inizi del XIX° secolo, ed è stato compilato - in maniera non continuativa - approssimativamente dal 1808 al 1811, dunque in epoca napoleonica; tenuto conto di ciò, non è implausibile che l’urbinate senza nome che il frontespizio dell’opera presenta come autore (Opuscolo di un anonimo urbinate) sia lo stesso Antonio Rosa, nascostosi dietro l’anonimato a motivo delle sue simpatie papaline. Nel quadro delle inizitiva di tutela e valorizzazione del Fondo Antico, si è pensato di mettere a disposizione degli utenti una trascrizione del testo, tenuto anche conto del fatto che si tratta di un’opera che può essere senz’altro considerata di consultazione, dal momento che contiene l’elenco dei personaggi che si sono avvicendati al governo della città, a partire dal 1234, anno in cui Bonconte divenne primo conte di Urbino, fino ad arrivare al 1811, quando Giuseppe Bolchini da Varese fu designato viceprefetto d’Urbino da un decreto del vicere d’Italia. Per realizzare la trascrizione suddetta si è fatto ricorso ad un criterio blandamente modernizzante, capace in ogni caso di conservare l’atmosfera della prosa del tempo: interventi sono stati posti in essere soprattutto sulla punteggiatura, con l’intenzione di migliorare le leggibilità del testo da parte del lettore contemporaneo; per quel che riguarda le lettere maiuscole, disseminate a piene mani nel manoscritto originale, molte di esse sono state abbassate, in ossequio alle più sobrie abitudini attualmente vigenti; forme linguistiche che oggi risultano improprie, ma alle quali il testo – a differenza di altre - fa ricorso in maniera abituale (‘A queste grandi esequie vi assisterono’, ‘di cui l’Altieri ne assunse’, ecc.) non sono state segnalate con il ‘sic’ posto tra parentesi quadre. Si evidenzia infine l’inserimento di alcune note esplicative, nei rari casi in cui appariva molto grande la distanza tra il testo e l’ipotetico lettore attuale, al quale è stata ovviamente lasciata la possibilità di approfondire la ricerca nelle direzioni ritenute più interessanti, giungendo magari alla compilazione di un’auspicabile storia generale della città di Urbino, dalle origini ai giorni nostri. INIZIO TRASCRIZIONE MANOSCRITTO CARTA [1] RECTO bianca CARTA [1] VERSO bianca CARTA [2] RECTO bianca CARTA [2] VERSO bianca CARTA [3] RECTO Compendio storico – cronologico dello stato e governo temporale della città d’Urbino, con la serie de’ suoi conti, duchi, legati o presidi, etc. Opuscolo di un anonimo urbinate. CARTA [3] VERSO bianca CARTA [4] RECTO Urbino, vetusta e rinomata città dell’Italia, distante sette leghe dall’Adriatico, ornata, cinta e difesa di forti mura e baloardi, sorge sopra di un monte fra l’Umbria, la Marca e la Romagna, che le sono contermini. Due miglia in distanza a mano destra gli scorre il fiume Metauro, dal quale già preso un tempo il cognome, si distinse dall’Urbino Ortense, distrutto da’ Goti. Alla sinistra, poi, doppiamente discosto, gli sta il torrente Isauro, detto volgarmente il fiume Foglia. Quando, e da chi, sia stata edificata, e d’onde abbia tratto il suo nome, totalmente s’ignora (chiaro argomento dell’antichissima sua origine), nulla giovando per la verità della storia le diverse opinioni che vi sono, le quali altra base non hanno che probabili, ingegnose ed erudite congetture. Gravi e valenti scrittori hanno fatto di Urbino e de’ suoi cittadini manifesta menzione, e fra gl’antichi Marco Terenzio Varrone e Marco Tullio Cicerone, i quali fiorirono nel secolo innanzi l’era cristiana; quindi Valerio Massimo, Pomponio Mela, Caio Plinio, Cornelio CARTA [4] VERSO Tacito, che scrissero nel primo secolo dell’era sudetta, siccome pure Giulio Solino, che fiorì nel secondo, e finalmente Stefano di Bisanzio e Procopio di Cesarea, scrittori del sesto secolo, e cento altri che in appresso, insino a nostri giorni, ne hanno fatta onorata parola. Per ampiezza e popolazione certo che [sic] Urbino non ha luogo fra le vaste e popolose città dell’Italia, ma l’incognita sua antica origine, le ragguardevoli prerogative, delle quali già venne insignita, e molto più assai la copia grande degli uomini illustri che in ogni tempo ed in ogni genere ha prodotto, l’hanno ben costituita fra le più cospicue e famose di questa penisola. Ha essa un territorio o contado molto ampio ed esteso, il quale, sebbene montuoso nella massima parte, non però lascia d’essere abastanza fertile e popolato. Quali poi, negli antichissimi tempi, siano state le forme del suo governo, potrannosi in qualche modo rilevare dal celebre Denina nella sua Storia delle italiche rivoluzioni.1 Frattanto egli è certo che, divenuto Urbino municipio de’ romani, ed CARTA [5] RECTO aggregato alla Rustica Tribù Stellatina, governossi ancor essa a repubblica, e sul modello della stessa Roma, mentre ebbe gli edili, ebbe li suoi censori detti quinquennali, ebbe li suoi consoli, ch’erano i quatuorviri giusdicenti, ebbe il Senato, che lo formavano i decurioni, ebbe il suo pontefice e sacerdoti per le sacre cose, e finalmente i collegi; e, sebbene di quest’epoca illustre gli antichi nostri marmi non ne segnano tempo preciso, pure l’eruditissimo nostro abate Baldi, anche a fronte di altre probabili opinioni (le quali danno a questo avvenimento giorni più antichi), è di parere che Urbino sia divenuto municipio romano nei perigliosi tempi della guerra Marsica, e più precisamente nel consolato di Lucio Giulio Cesare, che fu l’anno di Roma 664, cioè anni 90 prima di Cristo, allora che questo consolo, per riparare la Repubblica dall’imminente rovina, promulgò una legge, detta dal suo nome Giulia, in forza della quale furono decisivamente concesse le ragioni della romana cittadinanza agl’Umbri, ai Galli ed ai Toscani, i quali tutti, nel furore della guer= CARTA [5] VERSO ra sudetta, già incominciavano a dar segni di rivolta. Divenuto dunque Urbino municipio romano, serbò a Roma sua fede ed aleanza finché durò la Repubblica, ma questa, dopo la famosa battaglia di Azzio cangiatasi in Monarchia, implorò allora anche il nostro municipio la protezione ed il favore de’ cesari, a’ quali fu devota per lo spazio di 506 anni, cioè sino all’anno di Cristo 476, in cui, l’Italia incominciando ad esser preda di barbare nazioni, distrutto venne in Occidente il romano impero. Diffatti, essendo questa più bella parte d’Europa stata invasa e conquistata da Odoacre, re degli Eruli, nell’anno sopradetto, ed avendone egli assunto il titolo e le insegne di re, passò allora anche Urbino all’ubbidienza di questo principe straniero, che, pago d’esserne riconosciuto signore, lasciolla nel primiero suo stato e reggimento, come pur fece con altre città e luoghi che non gli ferono resistenza. Poco dopo l’invasione di Odoacre, quella successe di Teodorico re de’ Goti, ed a costui puranche Urbino soggiacque, passando sotto il suo dominio nell’anno 493, in cui, 1 Antonio Rosa morì il giorno 8 marzo 1823, pertanto il passo quasi certamente si riferisce all’edizione seguente: Denina, Carlo, Delle rivoluzioni d'Italia libri ventiquattro, Torino, appresso i fratelli Reycends, 1769 – 1770, 3 volumi in 4°. CARTA [6] RECTO dopo aver fatto proditoriamente uccidere Odoacre, col quale aveva già stipulato patti di amicizia e di unione, divenne egli solo dell’Italia il padrone, e questa è pur l’epoca nella quale Urbino passò in potere de’ Goti, che la signoreggiarono sino all’anno 539, mentre, assediata in quell’anno da Belisario, generale in capo dell’armata d’Italia per l’imperator Giustiniano, se gli rese a patti onorevoli di guerra, dopo l’improviso e prodigioso diseccamento di quell’unico fonte che le acque somministrava ai cittadini ed alla guarnigione, forte di 2000 uomini sotto il commando d’uno sperimentato uffiziale goto nomato Morrha, ed allora fece ritorno alla devozione de’ romani imperatori d’Oriente. Ma, ripreso dai Goti animo e forza sotto il valoroso Totila, ed avvalorate in Italia le cose loro, nuovamente Urbino fu occupato da loro, siccome puranco lo furono altre città. La risorta de’ Goti fu però breve, e ben presto cangiossi nella totale loro rovina, mentre con la morte in battaglia dello stesso Totila, e quindi di Teia suo successore, fu da Narsete, nell’anno 553, distrutto intieramente CARTA [6] VERSO il regno de’ Goti. Dal che ne avvenne che anche Urbino fu con altre città ricuperato all’impero, al quale ubbidì per il corso di circa altri 20 anni. Cessò di vivere frattanto l’imperator Giustiniano, e l’Italia fu nuovamente invasa da’ barbari nell’anno 568. Furono questi i longobardi, gente della Pannonia (oggi Ungheria), i quali, sotto la condotta di Alboino, vi penetrarono, e, stabilendo coll’armi il loro regno in quella parte che dicesi pur oggi Lombardia, coll’armi parimenti tentarono di dilatarlo in appresso. Quindi, divenuta l’Italia ludibrio della instabile fortuna fra tanti cangiamenti e rivoluzioni, ed i popoli bene spesso balzati da uno in altro governo, risentendo perciò gli effetti soltanto del disordine e della anarchia, molti di essi – fra i quali anche gli urbinati – si eressero in repubbliche, e per qualche tempo si mantennero in questo stato. Ma i moti continui dei Longobardi, mai sempre inquieti, che, non contenti della loro conquista, uscivano sovente a funestare ed occupare li paesi limitrofi, indussero gl’urbinati ed altre popolazioni a volontariamente darsi sotto la protezione del= CARTA [7] RECTO la Chiesa e de’ romani pontefici, che, dopo la partita dell’imperator Costantino il Grande, erano divenuti assai potenti; ed in questo modo ebbe principio la temporale superiorità della Santa Sede e de’ papi sulla nostra città d’Urbino, superiorità che non molto dopo cangiossi in intiera e perfetta sovranità, in forza e virtù delle tre successive notissime donazioni fatte alla Chiesa, cioè la prima da Pipino, re di Francia, nell’anno 755, la seconda dall’imperator Carlo Magno, suo figlio, nel 773 e la terza dall’imperator Lodovico Pio, figliolo di Carlo Magno, nell’anno 819, nelle quali tutte venne puranche individuata la città d’Urbino. Datisi pertanto gli urbinati, che – come sopra dicemmo – si reggevano a repubblica, sotto la protezione della Santa Romana Sede e de’ pontefici (ciò che avvenne prima di papa Gregorio Magno o forse al suo tempo), giova credere avere essi goduto giorni di pace e tranquillità per qualche secolo, cioè fino allora che, proseguendo i Longobardi a vieppiù dilatare il loro dominio, mossero più volte le armi contro la Chiesa, usurpandole non solo le città suddite, ma quelle anco= CARTA [7] VERSO ra che già si erano alla di lei protezione affidate. Ed infatti Luitprando tolse Urbino ed altri luoghi a papa Gregorio III, correndo l’anno 739. Rachi (o Rachiso), successore di Luitprando, tornò ad occuparlo o forse a ritenerlo al pontefice Zaccaria nell’anno 750, sebbene poi egli, alle giustissime rimostranze del lodato pontefice, il tutto restituì, con togliersi eziandio dall’assedio di Perugia (di cui voleva impadronirsi), ed alle paterne, salutari, pontificie ammonizioni rinunziò pur anco il proprio regno e ritirossi in Monte Casino. Ma Astolfo (che a Rachiso successe) movendosi esso pure contro la Chiesa nell’anno 753, e nulla curando le giuste querele e le ragioni di papa Stefano II (detto anche III), usurpò alla Chiesa, con altre piazze, anche quella di Urbino. Per lo che, volendo il detto pontefice riparare ai violati diritti della Chiesa e ridonare alla quiete le suddite e le protette popolazioni, si rivolse, implorando soccorso, a Pipino re di Francia, il quale ben tosto se ne fece premura di consolarlo; che però questo principe nel seguente anno 754 discese con tali forze in Italia, che, intimorito Astolfo ed umigliato [sic], promisegli restituire alla Chiesa ed al ponte= CARTA [8] RECTO fice quanto gli aveva tolto e rapito. Ma, ritornato in Francia Pipino, e veggendosi Astolfo fuor di pericolo, non solo non adempì le promesse della dovuta restituzione, che anzi, fatto più audace, sotto vari pretesti strinse nell’anno appresso 755 di forte assedio la stessa città di Roma. Per la qual cosa, veggendosi papa Stefano in maggiori angustie e travagli di prima, nuovamente si rivolse a Pipino implorando soccorso, ed esso, altamente sdegnato contro di Astolfo, come fulmine di guerra tornò coll’armi in Italia, ove – data battaglia al re longobardo – ne riportò così fatta vittoria, che Astolfo non solamente dovette togliersi dall’assedio di Roma, ma venne forzato a dare subito effetto alla restituzione de’ domini tolti alla Chiesa. La direzione di questo affare venne da Pipino commessa ed affidata a Fulrado, suo capellano ed abate di S. Dionisio, il quale, per esattamente adempire la real commissione, pronto recossi con gli agenti dello stesso Astolfo in tutte le città, siccome anche in Urbino, ed in tutti i luoghi che restituire e donare si dovevano alla Chiesa. Ed avendo presi da ciascun luogo gli ostaggi, e ricevute le chiavi, speditamente, in quel medesimo anno 755, si portò con essi in Roma al pontefice Stefano, cui avendo CARTA [8] VERSO solennemente presentato ed offerto, a nome di Pipino suo signore, il real foglio di restituzione e donazione, unitamente alle chiavi ed ostaggi de’ rispettivi luoghi e città, già in detto foglio descritte, ed il tutto essendo stato dignitosamente ricevuto ed accettato da papa Stefano a nome della Chiesa sudetta, venne in tal guisa compiuto l’atto famoso della prima restituzione e donazione eziandio della città d’Urbino fatta da Pipino alla Santa Sede. Ed è questa l’epoca in cui il diritto semplice di protezione, che la Chiesa ed i pontefici avevano anche sulla nostra Urbino, cangiossi allora – per tale donazione solenne – in una vera e piena sovranità legittima, che sino ad ora già conta la serie ben oltre di dieci secoli. Nel corso di soli diciotto anni vissero gli urbinati sotto il mite governo de’ pontefici, poiché Desiderio, ultimo re de’ Longobardi, avendo nell’anno 773 mossa guerra a papa Adriano I, gli occupò fra le molte città anche Urbino. Tutte il pontefice sudetto esaurì le paterne ammonizioni verso Desiderio, affinché cessasse di molestare la Chiesa ed i suoi domini, ma tutto fu vano ed inutile, onde esso pure si rivolse all’espediente d’implorare CARTA [9] RECTO soccorso ed aiuto dalla religiosa pietà e valore di Carlo Magno, che – senza punto esitare – generosamente il compiacque. Prima però di calare in Italia contro Desiderio, volle egli pure usare con esso ogni soave e benigna maniera per indurlo a restituire al papa le piazze usurpategli. Ma, se nulla giovarono le rimostranze e le querele del pontefice Adriano presso quel re Longobardo, vane con questo del pari furono le persuasive e le minaccie insieme del monarca francese. Per il che con tanta celerità e forza discese Carlo in Italia contro Desiderio che lo attaccò più volte, lo batté sempre, e finalmente – fattolo prigioniero – lo spogliò del regno e, costretto a farsi monaco, ebbe fine in tal guisa il reame de’ Longobardi, che durato aveva 205 anni. Quindi, seguendo Carlo il pietoso esempio dell’inclito suo genitore verso la Chiesa, volle anch’esso restituire e donare solennemente alla medesima quanto tolto gl’aveva Desiderio, ratificando eziandio e riconfermando la restituzione e donazione che già fatta le aveva il re suo padre. Da quest’epoca in poi, ossia dall’anno 774, fu, per lo spazio di poco più di un secolo, quieto e CARTA [9] VERSO pacifico lo stato della Chiesa, cioè in sino all’anno 878, in cui Roma sogiacque alla prepotenza di Lamberto, duca di Spoleto, e di Adalberto, marchese di Toscana, per qualche tempo. Seguirono non molto dopo le tirannidi delli due Berengarii o Berengarj, che, travagliando l’Italia, afflissero parimenti li domini della Chiesa sudetta. Ed è certo che da loro viventi una fatale oppressione anche Urbino [sic]. L’uno tiranneggiò nell’anno 910, con altri anni appresso, e l’altro dal 945 sino all’anno 962, durante il quale, avendo l’Imperatore Ottone il Grande decisivamente battuto e sconfitto Berengario, ridonò esso pure alla Chiesa la città d’Urbino e gli altri luoghi tutti che alla medesima Chiesa dal detto Berengario furono usurpati, con rinovare al pontefice Giovanni XII allora sedente e ratificare tutte le altre restituzioni e donazioni già fatte per l’addietro alla Santa Sede ed ai romani pontefici da Pipino, da Carlo Magno e da Lodovico Pio suoi predecessori. Restituita adunque Urbino sotto il pacifico dominio della Chiesa, godette pace e riposo sino a tanto che gli alemanni imperatori serbarono il buon senso ed il figliale CARTA [10] RECTO rispetto alla Chiesa sudetta ed ai romani pontefici. Ma allorché questi si rivolsero armati contro i medesimi, soggiacquero i pontifici domini alle più dure restrizioni ed alle più dolorose calamità. Correva già l’anno 1081 ed erano al loro colmo i dissapori e le contese tra l’imperatore Enrico IV, detto il Scismatico, ed il santo pontefice Gregorio VII, specialmente raporto alle investiture, di modo che la Germania e l’Italia, ed assai più lo stato ecclesiastico, dovettero soccombere a quei tanti e sì lunghi disastri, de’ quali la storia di que’ miseri tempi tutta è ripiena. Diffatti, col ridestarsi ne’ successori di Enrico le ingiuste pretese contro i diritti della Chiesa e de’ sommi pontefici, nacquero alla perfine quelle disgraziate fazzioni e partiti che col nome di Guelfi e Gibellini afflissero cotanto la misera Italia. Più volte lo svevo imperatore Federico Barbarossa calò armato su questa regione, dove, pieno di maltalento spingendo bene spesso le sue forze contro i papi e la Chiesa, fu egli la cagione che una gran parte delle città e luoghi della Chiesa alla medesima si ribellassero e si accostassero all’Impero, e, scoppiando allora in guerra ci= CARTA [10] VERSO vile li due partiti, Guelfi si dissero quelli che presero le armi a favore della Chiesa e de’ papi, e coloro che si armarono per gl’imperatori si appellarono Gibellini. Fioriva appunto in questi tempi in Urbino la persona di Monfeltrino il Vecchio, della illustre e potente famiglia Montefeltro, la quale – benché fosse della stessa cospicua famiglia Carpegna – pure, per avere essa, nella feretrana provincia, oltre la giurisdizione di Monte Copiolo, fatto acquisto puranco di S. Leo, capo – luogo di quella regione, venne cognominata di Montefeltro. Era pertanto questo Monfeltrino un valente condottiero d’uomini d’arme, e favorendo la parte imperiale ebbe gran seguito sì nella patria che fuori, anzi fu tale l’ascendente di questa famiglia in Urbino che quella dei Bernardini, di fazione guelfa, benché potente, dovette finalmente soccombere. Ebbe Monfeltrino dalla sua donna due figlioli, Bonconte e Taddeo, i quali – seguendo le paterne vestigia – favorirono in Italia gl’interessi della imperial casa di Svevia, in guisa che il detto Bonconte ottenne poi in ricompensa il dominio della stessa sua patria, Urbino, col titolo di conte. Diffatti, tosto che Federico CARTA [11] RECTO II di Svevia (il quale tanto afflisse la Chiesa), a fronte di Ottone IV, suo competitore, fu eletto in Norimberga al trono imperiale, e quindi coronato nell’anno 1212 in Aquisgrana, volendo vieppiù in Italia avvalorare il suo partito, e rammentandosi li molti e segnalati servigi prestati all’imperiale sua casa dalla famiglia Montefeltro, pensò di ricompensarla con una ragguardevole ed illustre giurisdizione, sicché nell’anno appresso 1213, con un imperiale suo decreto, investì Bonconte, figlio del sopradetto Monfeltrino, del dominio e giurisdizione della città d’Urbino, e glene diede il titolo di conte. Sebbene peraltro una tale investitura e concessione imperiale a favore di Bonconte e suoi discendenti non ottenne il suo effetto se non dopo molti anni, venendone ritardata l’esecuzione dall’essere pur anche in Urbino molto forte e vigorosa la parte de’ Guelfi, dalla opposizione unanime e risoluta degli urbinati, che, reggendosi a repubblica, in que’ tempi gelosi della loro libertà, rifiutarono costantemente Bonconte per loro signore, e molto più dal ritrovarsi lo stesso imperatore Federico tutto impegnato in affari di assai maggior rilievo CARTA [11] VERSO e conseguenza, tanto nella Germania che in Italia. Laonde tutto il negozio stette fra gli urbinati e Bonconte, in tal guisa che fra loro si venne ad una aperta e lunga guerra, la quale – framezzata da alcune tregue e trattative durò circa 20 anni. Nel principio di questa guerra gli urbinati si tennero sulla difesa, ma veggendosi di continuo molestati da Bonconte, il quale di tempo in tempo giva derubbando e devastando il loro contado, anch’essi finalmente uscirono con fanti e cavalli a danno delle giurisdizioni dello stesso Bonconte. Dal che ravisamdo egli vieppiù sempre la risoluta fermezza de’ suoi concittadini in ricusarlo per loro signore, e conoscendo nel tempo istesso che le sole sue forze non erano bastanti a sottometterli, domandò soccorso a Carnevale da Pavia, rettore imperiale di Romagna, giunto poco prima a Rimini con qualche truppa, e subito l’ottenne. A tale effetto adunque fu dal rettore ordinata in Rimino l’unione delle forze per l’impresa d’Urbino, obligando puranco gli stessi riminesi a somministrare le loro squadre. Ma i riminesi, prima di unire le loro genti CARTA [12] RECTO alle imperiali ed a quelle di Bonconte, vollero – coll’intesa dello stesso rettore – passare agli urbinati, co’ quali già esistevano trattati e convenzioni di pace e di amicizia, le più officiose esortazioni affinché si piegassero alla imperiale disposizione ed accettassero Bonconte in loro signore, da cui ben sapevano essere loro state fatte ed offerte onestissime ed onorevoli condizioni, ed in tal guisa allontanassero dalla loro patria la rovina che imminente le sovrastava. Non avendo però i riminesi ricevute dagli urbinati risposte, se non inconcludenti ed ambigue, dovettero unire la loro soldatesca alle altre già destinate contro i medesimi. Frattanto gli urbinati, meditando bene la perigliosa loro situazione alla vicina mossa di tante forze, riconobbero finalmente e si persuasero che il soccombere stava per essi, e che era miglior partito il fare di neccessità [sic] virtù, sicché – adunatisi in generale consiglio – convennero nella risoluzione di prontamente spedire ambasciatori allo stesso rettore imperiale per umilmente supplicarlo a non voler permettere che si facesse guerra ad una città che pure era devota dell’impero, ed a significargli insieme come era CARTA [12] VERSO tanta la fiducia degli urbinati verso la di lui integrità e giustizia, che sino da quel momento affidavano la loro patria, le ragioni e gl’interessi loro nelle di lui mani. Recatisi quindi in Rimino gli ambasciatori urbinati, vennero presentati al rettore, che gli accolse con molta affabilità e cortesia, ed eseguendo essi con tutta destrezza la loro ambasciata, ne risultò che il rettore sospese la marcia dell’esercito, e che frattanto fosse dato luogo ad un congresso nell’anzidetta città di Rimino, per cui fossero definitivamente terminate e decise le vertenze di Bonconte con essi. Si tenne adunque fra le parti interessate, alla presenza del rettore medesimo, un tale congresso, ed in questo finalmente il giorno 6 dicembre dell’anno 1233 si conclusero i preliminari della pace, la quale venne poi intieramente stabilita e stipulata il giorno 31 gennaio dell’anno appresso 1234, ed eccone di alcuni articoli il sentimento: che le mutue convenzioni esistenti fra i riminesi e gli urbinati, stipulate già in Urbino nell’anno 1202, restar dovessero nel primo loro vigore; che gli urbinati si dovessero pacificare con Bon= CARTA [13] RECTO conte e con Taddeo suo fratello, e che frattanto consegnar dovessero a Bonconte la giurisdizione solamente del loro contado; che, circa poi di essere tenuti a consegnare allo stesso Bonconte anche la giurisdizione della loro città, in pieno adempimento dell’imperial concessione e decreto già emanato fino dall’anno 1213, davansi loro tre mesi di tempo onde ricorrere alla camera imperiale, e – non riportando essi nel termine predetto la revoca del decreto – dovessero immediatamente consegnare a Bonconte anche la giurisdizione della città, nella quale per altro dovesse risedere in quel frattempo persona a nome dello stesso Bonconte, ma senza diritto alcuno di amministrare giustizia; che li fratelli Bonconte e Taddeo dovessero rimettere e condonare ogni ingiuria agli urbinati, né potessero da’ medesimi pretendere indenizzo alcuno per i danni ricevuti nelle proprie giurisdizioni; che Bonconte non potesse gravare la città e contado di Urbino di collette ed imposizioni o con leva di gente in caso di guerra, se non per difesa della stessa città e contado ed anche delle giurisdizioni feltresche, come neppure dovesse e potesse impegna= CARTA [13] VERSO re li urbinati in guerre od aleanze con altri popoli e signori senza il previo libero assenso ed approvazione del generale consiglio della città medesima; che gli urbinati dare dovessero in ostaggio i principali della città al rettore imperiale sotto la garanzia de’ cesenati, che se n’erano fatti mediatori, e ciò fino all’intera esecuzione del trattato sudetto per parte degli stessi urbinati. Sotto queste ed altre condizioni adunque si ottenne dagli urbinati la pace, né mancarono essi per parte loro, in esecuzione del trattato, di consegnare prontamente a Bonconte la giurisdizione del loro contado, ed altresì di ricevere nella città il rappresentante feltresco sotto la condizione di non dovere esso amministrare giustizia. Parimenti consegnarono li ostaggi al rettore imperiale, ed infine spinsero alla corte imperiale le loro suppliche per la revoca dell’emanato decreto d’investitura a favor di Bonconte della loro città. Ma, il termine prescritto delli tre mesi essendo già spirato senza avere ottenuto esito alcuno le loro suppliche, consegnarono prontamente a Bonconte anche la giurisdizione della città, dove egli, pacificamente entrando il dì primo maggio del già detto anno CARTA [14] RECTO 1234, e cavalcando per le principali contrade della medesima, ne prese solennemente possesso fra gli evviva del popolo che lo acclamò conte e signore. Da quest’epoca ed in somigliante maniera ebbero principio li conti d’Urbino, i quali (toltene alcune interruzzioni [sic]) la signoreggiarono per lo spazio di 209 anni, cioè dall’anno sudetto 1234 sino al 1443, nel quale il conte Oddantonio, circa la metà di aprile, nella città di Siena fu da papa Eugenio IV solennemente creato duca d’Urbino, e da questo principe incominciando la serie dei di lei serenissimi duchi, vi regnarono essi per lo spazio di 188 anni, vale a dire dalli 18 circa di aprile del 1443 fino il dì 28 aprile del 1631, giorno in cui cessarono ed ebbero il loro fine, per la morte del serenissimo Francesco Maria II, duca sesto ed ultimo, che di sé non lasciò prole maschile. Estinti appena i propri suoi duchi, fu tosto la ducale città d’Urbino, con tutto il suo stato, devoluta ed incorporata alla dizione ecclesiastica, regnando papa Urbano VIII, e monsignor Lorenzo Campeggio, Vescovo di Sinigallia, che già con CARTA [14] VERSO patente dello stesso ultimo duca governava per lui questo ducato, ne prese – a nome della Chiesa e del lodato pontefice – il possesso, con effettuarne l’atto publico e solenne nella stessa città ducale il dì primo maggio del riferito anno 1631. Riunita quindi la città e ducato d’Urbino allo Stato Ecclesiastico, volle subito quel pontefice decorarla coll’eminente titolo di Legazione, attribuendo agli eminentissimi legati della medesima quasi la stessa autorità sovrana che ne avevano li serenissimi suoi duchi. Il primo cardinale legato a latere creato e destinato da papa Urbano VIII al governo della nuova Legazione d’Urbino fu l’eminentissimo Antonio Barberini, fratello germano del sullodato pontefice, e ne prese il solenne possesso il dì 10 luglio dello stesso anno 1631, nella metropolitana d’Urbino come città capitale e principal residenza del governo e de’ principi di detto stato e ducato. Venne un tale atto decorosamente contraddistinto dalla presenza degli eminentissimi cardinali Spada e Sacchetti, del vescovo cesenate monsignor Pietro Bonaventura d’Urbino, di altri prelati e signori ragguardevoli. Comincia da quest’epoca la CARTA [15] RECTO città e Legazione d’Urbino ad essere governata dagli eminentissimi suoi legati, ed anche talora – invece di quelli – da alcuni illustri prelati col titolo di presidenti della Legazione urbinate, e prosiegue per lo spazio di 166 anni fino alla presidenza di monsignor Ferdinando Saluzzo, il governo del quale fu per due volte interrotto dalla ripetuta occupazione di questa città e provincia operata dalle francesi republicane falangi, quali primamente la invasero il dì 7 febrajo 1797 sotto Napoleone Bonaparte, generale in capo dell’armata d’Italia, ma che poi – dopo un mese – venne alla Chiesa restituita in virtù del trattato di Tolentino, e per la seconda volta fu da’ francesi medesimi occupata sotto il commando del generale Alessandro Berthier il dì 25 dicembre dell’anno istesso, venendo – fra le seducenti voci di libertà e di uguaglianza intruso il democratico governo, che durò un’anno [sic], mesi cinque e giorni dicianove, cioè fino il dì 14 giugno del 1799, nel qual giorno, insorta in Urbino una generale sommossa, date alle fiamme le insegne repubblicane, arrestati quai prigionieri di guerra il commandante della piazza, il ca= CARTA [15] VERSO pitano del genio degli artiglieri ed altri, venne acclamato e salutato per liberatore e signore Francesco II Imperatore, le cui vittrici armate erano già pervenute nella Romagna, ed al medesimo, dopo alcuni giorni, prestarono giuramento di fedeltà e di obbedienza nelle mani di un sedicente autorizzato austriaco. Né vennero certamente gli urbinati a questo passo per tratto di felonia verso il loro benamato, legittimo sovrano, ma la circostanza de’ tempi, la critica loro situazione ed il vivissimo desiderio di togliersi al governo republicano li mosse a prendere un somigliante espediente. Stettero gli urbinati sotto la direzione austriaca sino a tutto il maggio del 1800, poiché, essendo stata questa Legazione restituita da Cesare alla Chiesa, ritornarono essi sotto il quieto governo del papa Pio VII. Ricuperatasi dal santo padre la città e Legazione d’Urbino, avrebbe egli voluto ripristinarvi l’antico governo di un legato (o almeno di un preside), ma, nol permettendo l’enorme disesto delle finanze, per indispensabile economia vi destinò a governarla provisoriamente un semplice prelato in qualità di delegato, che fu monsignor Giovanni Cacciapiatti, al quale – dopo quattro anni in circa – succes= CARTA [16] RECTO se monsignor Pietro Vidoni, delegato della città d’Ancona, che – ritenendo per sovrana disposizione l’una e l’altra delegazione – s’intitolò delegato dello Stato d’Urbino e della città d’Ancona. Sette anni, undici mesi ed alcuni giorni durò il governo del delegato di Urbino, cioè sino a tutto il giorno 10 maggio dell’anno 1808, mentre nel giorno seguente 11 detto, in esecuzione dell’imperiale decreto di Napoleone, emanato in S. Cloud sotto li due aprile dell’anno stesso, le truppe francesi s’impossessarono della città e Legazione d’Urbino nuovamente, ed ancora di tutta la Marca, ed incorporando queste provincie al Regno Italico ne formarono tre nuovi dipartimenti, cioè del Metauro, del Musone e del Tronto. Il Dipartimento del Metauro, ov’è compreso Urbino, ha per centrale la città d’Ancona, la quale, oltre all’essere prefettura e residenza del prefetto dipartimentale, è pur anche residenza militare del generale dell’armi, il quale – in qualità di governatore – presiede a tutti li tre dipartimenti sudetti. Ha inoltre quattro capi – luoghi, che sono le città di Urbino, Pesaro, Sinigallia e Jesi, ciascuna delle quali è vice – prefettura e residenza de’ rispettivi vice – prefetti. CARTA [16] VERSO Dalla vice – prefettura di Urbino dipendono le città di Gubbio e di Cagli, e le due piccole provincie feretrana e trabaria. Il primo vice - prefetto, cui l’attuale nuovo governo ha confidata la direzione del distretto urbinate, è il signor avvocato Antonio Pampari da Montecchio, luogo di Reggio di Modena; questi entrò in uffizio lo stesso giorno 11 maggio del 1808. In siffatto cambiamento di cose, certo che Urbino ha non poco perduto raporto alle sue prerogative che legittimamente da gran tempo godeva e sotto li serenissimi suoi duchi e sotto il passato pontificio governo, sino agli ultimi giorni del medesimo, mentre le nuove regie legislative ordinanze, oltre all’avergli tolto la civica ed antica sua magistratura de’ quatuorviri, ossia del gonfaloniere e priori, l’ha [i. e. l’hanno] pur anche privata della decorosa prerogativa d’essere città capitale della propria provincia, cui sempre dette il suo nome, come parimenti di essere publica università. Ha [i. e. Hanno] abolito inoltre gli antichi suoi tribunali di appeliazione, e specialmente la ruota collegiale de’ dottori. Ciononostante diversi reali decreti l’hanno in qualche parte ristorata da’ sofferti danni, con avergli accordato pel suo reg= CARTA [17] RECTO gimento civile – economico un podestà e sei savj, con averla dichiarata capo – cantone e vice – prefettura. Gli ha parimenti concesso, oltre al tribunale detto del giudice di pace, anche quello appellato di prima istanza, e finalmente gl’ha conferito lo stabilimento di un liceo – convitto. E così, dando fine al presente compendio storico – cronologico dei diversi cangiamenti temporali della città d’Urbino da’ remoti suoi tempi fino al presente anno 1808,2 passeremo a brevemente descrivere la serie de’ suoi conti, duchi, legati o presidi, e finalmente – nell’attuale nuovo regio governo – de’ suoi vice – prefetti. CARTA [17] VERSO Serie de’ magnifici ed illustrissimi conti d’Urbino 1234 Bonconte Montefeltro, figliolo di Monfeltrino o Monfeltrano il vecchio, fu il primo conte d’Urbino, e – sebbene per imperiale decreto di Federico II ne fosse egli stato creato ed investito l’anno 1213 – pure non poté conseguirne il possesso che il dì primo maggio del 1234, cioè dopo la pace conclusa in Rimini fra esso Bonconte e gli urbinati, come addietro si disse. Le maniere nobili e prudenti di Bonconte seppero conciliargli l’affetto di que’ cittadini. Governò Urbino per lo spazio di soli sette anni, e di sé lasciando un vivissimo desiderio lasciò altresì di sua donna due figli maschi, cioè Monfeltrino II e Cavalca, e morì in Urbino l’anno 1241. 1241 Monfeltrino, o Monfeltrano Novello, conte secondo d’Urbino, succedette in questo dominio a Bonconte suo CARTA [18] RECTO padre nell’anno sudetto 1241. Eguale agli avi suoi, favorì e sostenne la fazione gibellina. Sanzionò le convenzioni degli urbinati con gli eugubini fatte nell’anno 1251. Finalmente, dipo quattordici anni di principato, mancò di vita nel 1255, avendo di sé lasciato quattro maschi, cioè Guido, Orlando o Rolando, Taddeolo e Feltrino o Feltrano, dei quali il solo Guido signoreggiò in Urbino. 1255 Guido, conte terzo d’Urbino. Nell’anno stesso 1251, dopo la morte di Monfeltrino suo genitore, incominciò egli il suo governo. Fu gran gibellino, 2 Le ultime annotazioni del presente manoscritto risalgono all’anno 1811 (v. le carte conclusive), per cui è facile ipotizzare che il manoscritto è stato stilato – anche se non continuativamente - nell’arco di tre anni. mostrossi valoroso nelle armi, e singolare nei strattagemmi. Divenuto finalmente vecchio, dopo una signoria di 41 anni, rinunziò lo stato a Federico suo secondogenito ne’ primi giorni di novembre del 1296, e – recatosi quindi in Ancona – si vestì li 17 del sudetto mese ed anno del penitente, sacro abito del 3° ordine di S. Francesco, nel quale vissuto un’anno [sic], dieci mesi e giorni ventidue, morì esemplarmente li 29 settembre del 1298, avendo già di sua donna lasciato quattro figlioli maschi, cioè Corrado, Federico, Ugo od Ugone CARTA [18] VERSO e Bonconte. 1296 Federico, conte IV d’Urbino, sendo ancora giovinetto, prese, su i primi giorni di novembre dell’anno 1296, il dominio rinunziatogli da Guido, suo padre. Il conte Galasso, suo zio e tutore, diresse però lo stato finché giunse Federico agli anni di capacità; al paro de’ suoi maggiori, fu anch’egli gibellino. Si segnalò anch’egli in molte imprese, e fu intrepido, ma pel troppo ardore di sostenere la sua fazione non consultando le necessaria prudenza, gli fu tolta miseramente la vita, perciocché, tornato in Urbino a duramente imporre nuovi dazj e gravezze per sostenere i gibellini della Marca, de’ quali era egli capo e condottiero, armossi il popolo, e dato fuori il partito guelfo, lo assediò nella rocca ov’erasi ritirato, e, costretto alla fine a darsegli in mano, fu barbaramente ucciso con un suo figliolo il dì 22 aprile dell’anno 1322, e – fatta poscia una fossa sotto i rampari3 della rocca medesima – vi furono sepolti. Gli altri figli e congiunti di Federico si salvarono con la fuga, ma Nolfo, il più piccolo, per la sua CARTA [19] RECTO tenera età e per una certa soave e nobil indole, fu dal popolo istesso ritenuto e salvato; la città, frattanto, per opra de’ guelfi si dette sotto il governo della Chiesa. Il detto conte Federico lasciò di sua moglie otto figlioli, cioè Bonconte, Guido sopranominato Tigna, Francesco, Ugolino, Enrico, Galasso, Feltrino o Feltrano e Nolfo, il quale, in forza di una controrivoluzione manovrata dagli addetti alla casa feltresca, ossia dal partito gibellino, fu dal popolo urbinate rimesso in signoria, avendone discacciati gli ufficiali che governavano per la Chiesa. Il governo del sudetto Federico durò anni 25, mesi 4 ed alcuni giorni, succedendogli dopo un anno 3 Terrapieni sostenuti da muraglie, aventi la funzione di riparare o rinforzare le mura di una fortezza. 1323 Nolfo, conte V d’Urbino. Questi, conforme si accennò, col favore di una controrivoluzione ricuperò la contea d’Urbino con le altre giurisdizioni feltresche nell’aprile dell’anno 1323. Nell’anno appresso poi richiamò – onde unitamente governare – li suoi fratelli e congiunti, li quali tutti, ripresa forza e fatta lega con i Pietramala, signori d’Arezzo, sconfissero nel seguente anno CARTA [19] VERSO 1324, il dì 9 agosto, i guelfi urbinati già furosciti, i quali, uniti alle genti di Ferrantino Malatesta, signore di Rimino, erano venuti ad assediare la stessa città di Urbino, e fu tale la vittoria de’ feltreschi che il Malatesta, dopo avere perduto più di 700 de’ suoi, appena si salvò con la fuga. Molti furono li prigionieri, fra i quali Oddo Bernardini, capo foruscito urbinate, con molti altri, de’ quali alcuni, essendo complici dell’uccisione del conte Federico, furono subitamente amazzati. Del 1335 il conte Nolfo si rese padrone della città di Cagli, e l’unì allo stato. Del 1348 (come abbiamo da un documento in pergamena – volume 2° manoscritto gotico, corale antifonario della metropolitana d’Urbino – scritto in quell’anno medesimo) regnavano e governavano unitamente la contea e città di Urbino il conte Ugolino, vescovo di Fossombrone zio di Nolfo, Galasso, lo stesso Nolfo, Feltrino ed Enrico. Correndo l’anno 1354 dovette il nostro conte Nolfo umigliarsi [sic] e sottomettersi al legato pontificio Egidio Alber= CARTA [20] RECTO nozzi,4 il quale da papa Innocenzo VI sedente allora in Avignone fu con imponenti forze spedito in Italia a rivendicare i diritti della Santa Sede Apostolica contro gli usurpatori de’ suoi dominj. Pel qual atto di somissione fu il conte Nolfo dal medesimo legato confermato nel dominio di Urbino e di altri luoghi, in qualità però di vicario nel temporale della Chiesa sudetta, con annuo peso censuario e sotto altre obligazioni. Ma che? Non molto dopo, essendo il conte Nolfo caduto in grave sospetto del legato, che stava severamente vegliando sugl’andamenti di lui e de’ gibellini, fu dal medesimo nell’anno 1359 cacciato via da Urbino e spogliato d’ogni dominio e giurisdizione, anzi dispersa obbrobriosamente tutta la sua casa. Per la qual cosa se ne andò egli ramingo, senza lasciarci alcuna memoria del quando e dove abbia finiti i suoi giorni. Signoreggiò peraltro il conte Nolfo in Urbino 36 anni, e di sua donna lasciò un 4 Il riferimento è al Cardinal Egidio Albornoz (Carrascosa del Campo, 1310 – Viterbo, 24 agosto 1367), condottiero e politico spagnolo. figliolo nomato Federico II detto Novello, il quale ereditò il titolo ma non la giurisdizione della contea d’Urbino. CARTA [20] VERSO Federico II conte VI d’Urbino, il quale ne portò solamente il titolo, poiché – dopo l’espulsione del conte Nolfo suo padre e la dispersione di tutta la sua casa – non si sa ch’esso rientrasse in Urbino e ne ricuperasse il dominio, tanto più che il sudetto legato Albernozzi assicurossi di questa città colla erezione di una nuova cittadella, o cassero, e con un forte presidio. Egli è vero che questo Federico, con i suoi congiunti, tentò nell’anno 1365 rientrare in Urbino, ma il legato, che non dormiva, spinse subito nel suolo urbinate contro i feltreschi un buon corpo di truppa, sotto il commando di un certo Anichino Tedesco, dal quale non solo fu reso vano ed inutile ogni tentativo del conte, ma nell’anno appresso 1366 furono nuovamente perseguitati e dispersi, onde, non avendo il conte Federico né in tutto, né in parte potuto ricuperare il dominio di sua casa, finì privatamente i suoi giorni, lasciando di sé e di sua moglie, che fu Rosa Malaspina de’ Marchesi di Luni, quattro figlioli, cioè Guido, Nolfo, Galasso ed Antonio. 1376 Antonio, conte VII d’Urbino, di cui, tuttocché s’ CARTA [21] RECTO ignorino le avventure in quegli anni (ch’era dispersa la sua casa), pure sappiamo avere esso ricuperato la contea d’Urbino con tutte le altre giurisdizioni, delle quali l’avo ed il padre erano stati spogliati da surriferito legato, e di avere anzi accresciuto d’assai il suo dominio. Sotto il conte Antonio dunque tornò la casa feltresca a signoreggiare in Urbino, vale a dire 17 anni dopo d’essere stata spogliata ed espulsa. Nell’anno 1376 entrò il conte Antonio in lega con la repubblica fiorentina e col Visconti, signore di Milano (nemici allora di papa Gregorio XI), ed in tal lega venne specificatamente inclusa la stessa città d’Urbino, ch’erasi di già ribellata alla Chiesa e che aveva richiamato ed acclamato per suo signore il conte Antonio sudetto. Questi, entrando in Urbino sui primi giorni di decembre dell’enunciato anno 1376 con le sue compagnie d’uomini d’arme e con 400 cavalli fiorentini, ne prese il formale possesso. Correndo l’anno 1384 accrebbe egli lo stato coll’acquisto considerabile della CARTA [21] VERSO città e contado di Gubbio, li di cui cittadini essendosegli dati spontaneamente in potere, ne prese solennemente possesso li 31 marzo, fra gli evviva di quel popolo esultante, che lo acclamò per suo signore. Del 1392 venne in Urbino fra’ Riccardo Caracciolo, gran maestro dell’Ordine Gerosolimitano, speditovi da papa Bonifacio IX per pacificarlo col Malatesta. Nel 1393 fece poi acquisto della grossa terra di Cantiano, che dopo una guerra di nove anni gli venne finalmente – da Francesco Gabrielli che n’era signore – ceduta a condizione dell’immediato sborso di ottomila fiorini nell’atto della cessione e legale consegna della nominata terra, ed anche coll’obbligazione della più sollecita compra, a stima de’ periti, di tutte le possidenze che il detto Gabrielli aveva nel cantianese e nell’eugubino. Finalmente, dopo aver signoreggiato per lo spazio di 28 anni, cessò di vivere in Urbino nell’aprile del 1404, avendo di sua donna lasciato un figlio solo, nominato Guid’Antonio. CARTA [22] RECTO Guidantonio, conte VIII d’Urbino, successe nello stato ad Antonio suo padre, e ne prese possesso lo stesso mese d’aprile ed anno, venendogliene poi confermata l’investitura da papa Bonifacio IX. Del 1407 il conte Guid’Antonio, dopo di aver fatto raccogliere tutti i legali istromenti ed altre antiche publiche scritture spettanti alla città d’Urbino, ai cittadini e contado, fondò ed eresse un pubblico e generale archivio e registro, con le rispettive sue leggi e costituzioni, stabilendo alla direzione di quello un presidente da scegliersi fra i più dotti e migliori cittadini della stessa città d’Urbino, ed inoltre anche un notaio; il primo che ebbe questa presidenza fu il dotto legale Guido Gradoli. Nello scisma dei tre pontefici seguì il nostro conte papa Gregorio XII; nell’anno 1418 fu creato duca di Spoleto da papa Martino V in Mantova, ove si era portato per fargli visita ed umigliarsegli. Nel 1420 dallo stesso papa gli fu donata in Firenze la Rosa d’Oro, dono che da’ pontefici suol farsi a’ principi grandi ed a teste coronate. Del 1423 ac= CARTA [22] VERSO crebbe il suo stato con l’acquisto dell’insigne terra di Castel Durante (oggi città d’Urbania) essendosegli quella popolazione data volontariamente in potere li 5 settembre, e li 9 decembre, essendo il sabbato, in Urbino ne’ publici atti del tribunal d’appello ne prese per la prima volta il titolo di conte. Nel seguente anno 1424 il conte Guidantonio passa alle seconde nozze con Catterina, figlia di Lorenzo Colonna e nipote di papa Martino V, celebrandosene nella città di Roma il dì 23 gennajo solennemente i sponsali. Li 19 febrajo del 1430, essendo la prima domenica di Quaresima, conquistò contro dei Brancaleoni la terra di Sassocorbaro, ed il giorno dopo prese a forza li castelli di Lunano e di Monte Locco. Nell’anno 1433, li 30 agosto, il predetto conte accolse ed alloggiò in Urbino l’imperator Sigismondo, di ritorno da Roma in Germania, e da quel monarca – in segno di gradimento – fu creato cavalliere unitamente al suo figliolo Oddantonio, allora in età d’anni nove. Correndo l’anno 1435, il dì CARTA [23] RECTO primo settembre, ch’era il giovedì, tolse a Sigismondo Malatesta, dal quale gli si faceva guerra, l’illustre terra (ora città) della Pergola, e l’unì al suo dominio, come luogo spettante alla giurisdizione della città di Gubbio. Finalmente, dopo aver governato con molta lode ed onore per lo spazio d’anni 39, se ne morì in Urbino li 21 febrajo del 1443. Venne sepolto il di lui cadavere nella chiesa vecchia di S. Donato fuori di città e contigua alla chiesa di S. Bernardino, allora de’ padri minori osservanti ed ora de’ padri minori riformati. Lasciò di sé due figlioli maschi, uno legittimo e naturale per nome Odd’Antonio, l’altro naturale legittimato col nome di Federico, che furono entrambi, l’un dopo l’altro, duchi d’Urbino, come vedremo dalla susseguente serie de’ sudetti duchi, che ci facciamo a compendiosamente descrivere. CARTA [23] VERSO Serie de’ serenissimi duchi d’Urbino Oddantonio, duca primo d’Urbino. Fu questi figlio di Guidantonio conte VIII ed ultimo d’Urbino, e di Catterina Colonna sua seconda moglie, e nacque nella stessa città d’Urbino li 18 gennajo correndo l’anno 1426. Succeduto al padre nello stato, ne prese al solito solennemente possesso in Urbino come città capitale de’ suoi dominj ed ordinaria residenza nel giorno 22 febrajo, di domenica, del già mentovato anno 1443. Su i primi giorni del seguente aprile recossi in Siena per umigliarsi a papa Eugenio IV qual principe feudatario, e fu a quel pontefice sì gradito un tale atto di fedeltà e sommissione, che dopo pochi giorni, nello stesso aprile e nel tempio maggiore di quella città, volle crearlo splendidamente du= CARTA [24] RECTO ca d’Urbino, e non di Gubbio, non di Cagli, non della provincia feretrana, ecc., essendo questa la principale città del dominio feltresco e l’ordinaria prima residenza di que’ principi. Fra le dignità laicali dopo la regia la più nobile ed eccelsa si è la ducale. Ecco pertanto come dal sullodato Ponrefice eseguita venne una tale funzione. «Vestito Oddantonio di un abito cremesino nero con l’ornamento di un manto di tocca5 d’oro, aperto dalla spalla sinistra insino a terra, rivestite le mani di guanti candidi, con Malatesta Novello di Rimini, Angelo de’ Galli da Urbino ed altri molti del nobile suo seguito, se ne uscì dal palazzo di sua dimora, e recossi all’abitazione del papa, che uscendo già per inviarsi al duomo ad ascoltar messa, Oddantonio il seguì alla sinistra tenendogli il lembo del piviale. Giunti alla Chiesa, papa Eugenio si assise in trono, ed il conte di Urbino Oddantonio si pose a sedere a’ suoi piedi, sul primo gradino. Poco dopo, prostatoglisi innanzi, fu dal papa fatto CARTA [24] VERSO cavalliere di S. Pietro con cingerlo di spada, la quale Oddantonio avendo tosto sguainata, vibrolla per tre fiate in aria, e quindi rimessa nel fodero fu con quella percosso nelle spalle tre volte, ed in fine gli furono messi li speroni. Compiuto tutto questo, nuovamente Oddantonio si recò a’ piedi del papa per dargli il giuramento di fedeltà, ed inginocchiato promise e giurò riverenza ed obbedienza alla Santa Sede, a sua beatitudine ed ai di lei successori, e di servire ovunque si volesse per difesa della Chiesa e de’ suoi dominj, con obligarsi eziandio dare ed offerire ogn’anno al papa, nel giorno di S. Pietro, una chinea bianca decentemente bardata, e ciò per l’onore ricevuto della dignità ducale, ed in attestazione perpetua di essere feudatario di S. Chiesa. Prestato ch’ebbe Oddantonio il giuramento, subito il papa gli pose in capo la beretta ducale e nella destra lo scettro, e così ornato nuovamente si prostrò innanzi al papa e baciolle [...] il piede. Finalmente, drizzatosi, il novello duca andossene accompagnato ed in mezzo a due CARTA [25] RECTO cardinali diaconi – i più giovani – al luogo destinatogli, ed ivi fra quelli si pose maestosamente a sedere. Dopo una breve stazione, deposta la ducale beretta e lo scettro, ritornò a’ piedi del papa coll’offerta di una certa quantità d’oro. Terminata poi che fu la messa, il duca Oddantonio, fatta la debita riverenza al papa, si partì dalla 5 Drappo di seta intessuto di fili di metalli preziosi. chiesa, ed incedendo fra i sudetti due cardinali, col nobile suo seguito se ne ritornò alla sua abitazione.6» Questa pertanto fu la sacra cerimonia operata da papa Eugenio IV nel duomo di Siena in creare il conte Oddantonio duca d’Urbino. Fatto ch’ebbe ritorno il nostro duca novello alla sua ducale città e residenza, volle, nel seguente maggio, non solo condecorarla con solenne ingresso vestito ed ornato delle insegne ducali, ma volle eziandio in tale occasione creare cavallieri li mentovati Malatesta Novello ed Angelo de’ Galli, ed aprire nella stessa città d’Urbino per la prima volta la zecca, nella quale fu allora cuniata quella moneta di rame detta il piccolo, avente da una parte CARTA [25] VERSO scolpita l’imagine di S. Crescentino, principal protettore della città sudetta, e dall’altra parte un monogramma di carattere semigotico, che letto bene dice Oddantonius e non Antonius, come fu letto dall’autore dell’opera La zecca di Gubbio, parte prima, pagina 144.7 Diffatti l’istessissimo monogramma che impresso trovasi nella enunciata moneta vedesi tuttora improntato e rilevato in alcune facciate dei pilastrini o collonnette di pietra che servono all’ornato del mausoleo di questo duca, posto nel corridore detto della chiesa vecchia di S. Francesco de’ padri minori conventuali d’Urbino. Nel mese di giugno dello stesso anno 1443 recossi il nostro duca in Ferrara, a domandare in isposa donna Elisabetta o Isotta d’Este, figlia del marchese di quella città, qual parentado fu poi concluso circa li 6 luglio, e li 14 detto venne notificato e publicato in Urbino al generale consiglio dal signor gonfaloniere Antonio de’ conti Stati. Ma questi sponsali non ebbero poi il loro effetto, per la disgraziata e repentina morte dello stesso duca Oddantonio, ucciso il CARTA [26] RECTO giorno 22 luglio dell’anno appresso 1444, in Urbino, nella congiura detta de’ Serafini. Perì questo principe infelice in età d’anni 18, avendo regnato un anno e mesi cinque. Fu successore di lui nello stato 6 7 Non è stato possibile chiarire la fonte di questa citazione, riportata dal Rosa senza alcuna indicazione. Reposati, Rinaldo, Della zecca di Gubbio e delle geste de' conti, e duchi di Urbino. Opera del prevosto Rinaldo Reposati cittadino di Gubbio ... Tomo primo ( - secondo). In Bologna, per Lelio dalla Volpe impressore dell'istituto delle scienze, 1772 – 1773, 2 volumi in 4°. La Biblioteca Centrale Umanistica conserva due copie di questa pubblicazione, con segnature di collocazione B VII 70 – 71 e B X 32 – 33; ad un primo e superficilae approccio le immagini riporate alla pagina 145 del primo tomo sembrano mettere in discussione, o comunque non confermare appieno, le affermazioni contenute nel testo. Federico, duca II d’Urbino, figlio esso pure del conte Guidantonio, ma naturale e poscia legittimato. Nacque egli da una gentildonna urbinate, con la quale il padre ebbe commercio, e fu questa Elisabetta di Ser Guido – Paolo di Ser Matteo degli Accomanducci. Venne in Urbino alla luce del giorno il dì 7 giugno del 1422. Fu dal conte Guidantonio riconosciuto per figlio, mandandolo occultamente ad allattare in campagna, in un luogo della Pieve di Gaifa, ove stette due anni, quindi – ricondotto in Urbino – fu allevato presso il conte suo padre, che tanto lo amò per lo spirito grande e per l’indole signorile che dimostrava, sicché gl’ottenne da papa Martino V un amplissimo e specialissimo privilegio di legittimazione. Lo provvide in apppresso di una degna sposa, che fu donna Gentile, unica figlia ed erede CARTA [26] VERSO di Bartolommeo Brancaleoni, signore di S. Angelo in Vado, di Mercatello e di altri 20 castelli; con questa signora si congiunse Federico li 2 decembre 1437. Accaduta in Urbino il dì 22 luglio dell’anno 1444, come sopra dicemmo, la tragica morte del duca Oddantonio suo fratello, la maggior parte degli urbinati pensò di chiamare alla signoria Federico, non tanto per l’alta stima ed affetto grande che gl’era portato, quanto per esser egli stato dal conte Guidantonio chiamato e dichiarato – in forza del suo testamento stipulato li 18 marzo del 1429 – successore ed erede universale de’ suoi dominj, nel caso che Oddantonio, suo figlio legittimo, morto fosse senza figlioli maschi. Laonde, per parte del magistrato e del generale consiglio, furono spediti ambasciatori al conte Federico, che stavasi allora alla difesa di Pesaro per Galeazzo Malatesta, che n’era il signore, quali messaggi, dopo avergli significato l’avvenimento funesto del duca suo fratello, l’invitarono con ogni calore a CARTA [27] RECTO sollecitamente tornare alla patria, della quale gliene offerivano l’impero; a tale annunzio ed invito, tosto Federico si partì da Pesaro alla volta di Urbino. Ma il popolo urbinate, che viveva in sospetto e temeva di sé medesimo pel commesso delitto, frettolosamente, all’avvicinarsi del conte Federico, chiuse la porta della città, sicché, giunto egli a porta Lavagine, il popolo dai rampari gli significò, com’esso certamente lo desiderava, il genio di volerlo per suo signore, ma che per altro giammai gl’avrebbe dato l’ingresso né il dominio della patria, se prima da lui non gli fosse stato promesso con giuramento un generale e particolare perdono all’eseguito attentato. Colpito Federico da sì fermi e risoluti sentimenti del popolo urbinate, e giudicando nel tempo stesso non esser bene allo stabilimento del suo possesso esacerbare una numerosa popolazione che sinceramente lo amava e lo bramava, pronunziò con alta ed intelligibile voce tale giuramento, quale appena compiuto gli furono spalancate le porte della città, dove, CARTA [27] VERSO entrando fra la folla immensa del popolo che lo acclamava signore, ed incontrato dal magistrato, dalla nobiltà, dall’ordine civico, cavalcò in quel giorno, ch’era il dì 27 luglio, per le principali della città, e ne prese allora il solenne possesso. Divenuto Federico conte d’Urbino, mentre assai dopo ebbe il titolo e la dignità di duca, accrebbesi lo stato d’Urbino coll’unione di S. Angelo in Vado, di cui n’era già Federico conte e signore come marito di Gentile Brancaleoni, erede di questo dominio (morì Gentile Brancaleoni l’anno 1457). Quindi lo accresce anche più nell’anno 1445, coll’acquisto della città e contado di Fossombrone, che comprò da Galeazzo Malatesta per il prezzo di tredicimila fiorini d’oro, sborsati il dì 6 marzo dell’anno sudetto nell’atto dell’istromento di compra. Nell’anno 1447 Federico dà principio alla riedificazione della cattedrale d’Urbino. Nel 1456, il dì 30 settembre, fa egli gettare li primi CARTA [28] RECTO fondamenti del suo magnifico palazzo in Urbino. Li 10 febrajo del 1460 passa alle seconde nozze con donna Battista Sforza, figlia di Alessandro, signore di Pesaro. Nell’anno 1463 il pontefice Pio II gratifica la fedeltà ed il valore di Federico col dono di circa 40 fra terre e castelli ch’erano già in potere di Sigismondo Malatesta nel Monte Feltro, come pure altre dieci castella del contado di Rimino, cioè il vicariato dell’Auditore e Tavoleto, che fino d’allora divennero annessi del contado d’Urbino. Nell’anno 1472, li 6 luglio, Federico perdette la sua seconda moglie Battista Sforza, che gli morì in Gubbio. Il suo corpo fu trasportato in Urbino, ove li 17 agosto gli fu fatto un funerale così pomposo e magnifico che altro simile non erasi insino allora veduto in Italia. A queste grandi esequie vi assisterono quattro vescovi, quattro abati mitrati con altri prelati, religiosi e sacerdoti, i quali erano in numero di circa 300 (senza i sacerdoti urbinati). Cinquanta furono i cavalieri, oltre li CARTA [28] VERSO ambasciatori col loro seguito di tutti li principi d’Italia, di modo che li soli vestiti a lutto oltrepassarono li duemila. Nell’anno 1474 Federico, unitamente ad Antonio suo figlio naturale, in Napoli venne creato cavalliere del Real Ordine dell’Armellino per le mani del re Ferdinando. Li 23 marzo dell’anno medesimo, in Roma, fu egli dichiarato e creato duca d’Urbino da papa Sisto IV, dal quale ebbe ancora il sacro e cospicuo dono della Rosa d’Oro, siccome pure il berettone e lo stocco di generale dell’armi di santa Chiesa. Nell’anno 1475 il duca Federico concede Giovanna, sua figlia, in isposa a Giovanni della Rovere, figlio di Raffaele, dopo di essere questi stato creato dal sopradetto pontefice, suo zio, prefetto di Roma e signore di Sinigallia. Nell’anno appresso 1476 in Urbino si cinse il nostro duca solennemente della real fascia detta la Giarettiera, speditagli da Edoardo IV, re d’Inghilterra. Finalmente, generale delle armi pontificie standosi coll’esercito postato nel ferrarese, in un luogo paludoso, d’aria malsana e di acque CARTA [29] RECTO cattive, per cui insorta epidemia nell’esercito, essendone periti da circa ventimila, attaccato anch’esso da tale contagio e gravemente ammalatosi, fu portato in Ferrara, ove li 20 settembre del 1482, nell’età d’anni 60, passò da questa all’altra vita, colmo di gloria. Il suo regno fu d’anni 38, mesi uno e giorni quindici, avendo di sé lasciato e di Battista, sua seconda moglie, un solo maschio, nominato Guidobaldo, che gli successe nel trono ducale d’Urbino. Guidobaldo I, duca III d’Urbino, successe a Federico suo padre nel ducato d’Urbino, ne prese ivi solennemente possesso li 17 settembre del detto anno 1482. Nacque il nostro Guidobaldo in Gubbio li 17 genajo del 1472; governò ne’ primi anni lo stato sotto la direzione e tutela del conte Ottaviano Ubaldini, suo zio per parte di donna. Correndo l’anno 1489 prese in consorte Elisabetta, figlia di Federico Gonzaga, marchese di Mantova, dalla quale esso – per la sua propria virile impotenza – non ebbe figlioli. Fu tanto a= CARTA [29] VERSO mante de’ uomini letterati che la sua corte era un vero liceo, ed a’ suoi giorni specialmente Urbino era appellata l’Atene d’Italia. Generale di varj principi italiani fu egli pure, e sostenne con sommo decoro il gonfalonierato di S. Chiesa. Rimase esso prigioniero di guerra degli Orsini nella battaglia accaduta presso Soriano8 li 24 genajo del 1496 fra li medesimi Orsini e l’esercito ecclesiastico commandato da Guidobaldo sudetto, e dovendosi pel suo riscatto sborsare dalla duchessa Elisabetta sua consorte quarantamila ducati, concorsero a tale sborso, con indicibile prontezza, non solo tutte le 8 Soriano nel Cimino, comune laziale (provincia di Viterbo). communi dello stato, ma tutte eziandio le cattedrali, collegiate e religioni del medesimo stato. Nell’anno 1502, li 17 genajo, fu ricevuta ed alloggiata in Urbino con gran pompa, sino alli 19 detto, donna Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI. Li 24 aprile anno sudetto viene in Urbino solennemente conferita, a nome del sudetto pontefice, la prefettura di Roma a Francesco Maria della Rovere, CARTA [30] RECTO nipote del duca Guidobaldo, e ciò per interposizione ed impegno di Lodovico XII, re di Francia. Una tale funzione fu eseguita inter missarum solemnia nel duomo della detta città per mano dei vescovi di Urbino, Cagli e Fossombrone, pontificando la messa quello di Urbino ed assistendovi lo stesso duca, il magistrato e tutta la nobiltà, del paese non meno che estera. La sera dei 20 giugno dello stesso anno 1502 Guidobaldo è costretto a fuggire ed abbandonare la città d’Urbino e tutto il suo stato, per la proditoria e repentina invasione fattane da Cesare Borgia detto il duca Valentino, sebbene però nell’anno medesimo il nostro duca rientrò e ricuperò Urbino per pochi giorni, mentre di nuovo dovette abbandonarlo, con la maggior parte dello Stato. Morto che fu, nell’anno seguente 1503, papa Alessandro VI, fautore delle tirannidi ed usurpazioni di Cesare suo figliolo, una controrivoluzione generale della città e ducato d’Urbino richiama al suo governo Guidobaldo, suo legittimo signore, entrando in Urbino il dì 28 agosto fra CARTA [30] VERSO un immensa [sic] moltitudine di armati e di popolo. Nel 1504, colla pontificia approvazione e consenso di tutto il sacro collegio, il duca Guidobaldo, nelle forme più solenni, addotta in suo figliolo il proprio nipote Francesco Maria della Rovere, prefetto di Roma e signore di Sinigallia. L’atto grande di tale addozione si eseguisce in Urbino nella cattedrale li 17 o 18 settembre dello stesso anno. Correndo poi l’anno 1506, di giovedì 24 settembre, papa Giulio II, recandosi da Roma all’impresa di Bologna, volle passare per Urbino, ove fece solenne ingresso per la porta detta dell’Evagine o Lavagine. Dal convento de’ Padri Zoccolanti,9 ove sua santità erasi fermata, incominciò l’ordine e lo sfilamento delle truppe e del gran seguito. La guardia del pontefice era di 80 stradiotti10 e di 300 alabardieri; con esso vi erano 22 cardinali e molta prelatura con 9 Trattasi del Convento di San Bernardino, che attualmente ospita il mausoleo dei duchi. 10 Soldati appartenenti ad un corpo di cavalleria leggera di origine albanese (ma anche greca o dalmata). numeroso seguito. Circa le ore 2311 sua beatitudine entrò in città: quarantacinque giovani dei più nobili della città, tutti vestiti in vago CARTA [31] RECTO Uniforme, gl’erano andati incontro alla porta sudetta, ove, appena entrata sua santità, divisi in due file, lo posero in mezzo e lo accompagnarono sino al vescovato. Quattro giorni intieri si trattenne il papa in Urbino, da dove se ne partì li 29 detto. Nell’anno appresso 1507 poi vi ripassò nel ritorno che faceva da Bologna e Roma, e giunse in Urbino li 3 marzo, ed ivi trattenutosi un giorno solo, il dì 5 proseguì il viaggio per Cagli, alla volta di Roma. Finalmente, nel 1508, il nostro duca Guidobaldo, assalito gravemente dalla gotta (male che lo aveva già incominciato a dominare), si fe’ condurre a Fossombrone nel febrajo, per respirare un’aria più confacente e meno molesta al suo incommodo. Ma, nulla giovandogli – forse perché troppo tardi – una tal gita, li 13 fabrajo se ne morì, in età di 36 anni e 28 giorni, avendo regnato anni 25, mesi 4 e giorni 26. Al suo cadavere, trasportato in Urbino dove gli furono solennizzate le esequie, e quindi tumulato nella chie= CARTA [31] VERSO sa di S. Bernardino fuori di città, fu posto un mausoleo rimpetto a quello del duca Federico suo padre. Fu esso l’ultimo duca della nobilissima casa Montefeltro, che furono tre; sieguono ora gli altri tre della famiglia della Rovere. Fu riaperta, durante il dominio di Guidobaldo, la zecca in Urbino. Francesco Maria I, duca IV d’Urbino, in virtù dell’anzidetta legale e solenne addozione, succedette nel ducal trono d’Urbino al duca Guidobaldo suo zio, e ne prese il possesso in questa capitale li 6 aprile, vale a dire il giorno dopo eseguita la funzione de’ funerali fatti al predetto Guidobaldo. Li 2 maggio dello stesso anno 1508 furono nuovamente solennizzate in Urbino al morto duca le esequie, ma con assai maggior pompa, ed a queste intervennero gli ambasciatori tutti del ducato e di altri principi italiani, ed il giorno dopo, li 3 detto, si venne all’atto del giuramento di fedeltà al novello duca Francesco Maria, ilche fu eseguito nella stessa cat= 11 Corrispondenti alle attuali ore 18.00: infatti all’epoca le ore venivano contate - da una a ventiquattro - dal tramonto del sole (punto di partenza che evidentemente variava nel corso dell'anno) fino al tramonto successivo; l’approssimativa indicazione tiene conto del fatto che il 23 settembre 1506 (giorno precedente l’arrivo a Urbino di papa Giulio II) il sole era tramontato intorno alle 19.00. CARTA [32] RECTO tedrale d’Urbino. Nell’anno 1509 sposò privatamente in Mantova Eleonora Gonzaga, figlia di quel marchese. Valorosissimo fu questo duca nelle armi, ed operò magnanime, nobilissime imprese. Soggiacque però egli pure, al pari del suo predecessore Guidobaldo, alla invidia e malevolenza de’ suoi nemici, insino allo spoglio della dignità e dello stato, ma ne restò quindi egualmente anch’esso vittorioso. Nell’anno 1513, il dì primo genajo, pigliò possesso della città e contado di Pesaro, e l’incorporò ed unì a’ suoi dominj, di cui n’era stato infeudato a bocca del pontefice Giulio II suo zio, sebbene la bolla pontificia di tale investitura e concessione venisse poscia emanata sotto il dì 16 febrajo. Nell’anno 1516 il nostro Francesco Maria viene da papa Leone X dichiarato decaduto dalla dignità ducale, dallo stato e da ogn’altra onorificenza e giurisdizione con dichiarare e creare duca d’Urbino Lorenzino de’ Medici suo nipote, il quale, con un esercito di quasi quarantamila uomini (parte pontificj e parte fiorentini), con nove pezzi di CARTA [32] VERSO artiglieria grossa e con cento e dodici carri di munizione, mosse la marcia verso Urbino li 18 maggio, essendo giorno di domenica. Il conte Donino della Genga, che stava in Urbino in qualità di vice – duca, lasciato da Francesco Maria nell’atto che si partì da questa città con tutta la famiglia alla volta di Mantova, cedette questa capitale sugli ultimi giorni del sudetto mese, con aprire le porte a Lorenzino. Nel seguente anno 1517 Francesco Maria ricupera Urbino, e fa prigioniero di guerra il vescovo Vitelli, che governava il ducato per lo stesso duca Lorenzino, ma sul fine dell’anno appresso 1518 Francesco Maria è nuovamente costretto a cedere la città e Stato d’Urbino al riferito Lorenzino, il quale circa il dì 15 genajo 1519 fa ritorno in Urbino con farvi battere moneta. Ma per poco però il Medici tenne questa città e ducato, mentre se ne morì in Firenze l’anno medesimo, alli 28 d’aprile. Per la qual cosa papa Leone riunì e incorporò allo stato ecclesiastico la stessa città e ducato d’Urbino, confermandovi per governatore CARTA [33] RECTO Roberto Boschetti, modenese, che già la governava in qualità di vice – duca per il detto Lorenzino de’ Medici, e per meglio assicurarsi il detto pontefice della stessa città d’Urbino, ne fece smantellare in gran parte le mura. Finalmente, nell’anno 1521, morto essendo papa Leone X li 2 dicembre, il duca Francesco Maria, più col favore de’ proprj sudditi che colle sue picciole forze, ricupera decisivamente la sua città e stato d’Urbino su li primi del seguente anno 1522. Del 1527 credesi che cessasse di vivere Elisabetta Gonzaga in Venezia, la quale fu già moglie di Guidobaldo.12 Era già l’anno decimosesto dacché Francesco Maria riacquistato aveva il suo ducato d’Urbino quando, ammalatosi nella stessa città di Venezia gravemente, venne trasportato in Pesaro, ove li 20 ottobre se ne morì. Ha durato il suo regno anni 30, mesi 5 e giorni 15. Ebbe dalla sua donna due figli maschi, uno che fu Guidobaldo, di lui successore nel ducato, e l’altro, Giulio, che fu cardinale; ebbe inoltre tre femine. Fu trasferito il cadave= CARTA [33] VERSO re del morto Francesco Maria in Urbino, e dopo essergli stati celebrati li più sontuosi funerali fu sepolto nella Chiesa di Santa Chiara. Guidobaldo II, duca V d’Urbino, successore di Francesco Maria della Rovere suo padre, prese in Urbino – nelle consuete forme – il possesso dello stato, essendo il giorno di martedì 29 ottobre dell’anno 1538. Nacque egli li 2 aprile del 1514 da Eleonora Gonzaga, moglie del duca Francesco Maria. Nell’età d’anni 20 accoppiossi con Giulia, unica figlia di Giovanni Maria Varano, duca di Camerino, e sebbene per un tale matrimonio ereditasse quel dominio, tuttavia in linea d’accordo fu esso rilasciato alla Chiesa, ed il papa fece sì che – invece di quel ducato – restasse con buona somma di denaro dotata la duchessa Giulia Varano, quale nella fresca età d’anni 24 venne a mancare il mese di marzo dell’anno 1547, senza aver lasciato di sé alcun figlio maschio. Nall’anno appresso 1548 passò Guidobaldo alle seconde noz= CARTA [34] RECTO ze con Vittoria di Pier – Luigi Farnese, duca di Parma e Piacenza; sostenne anch’esso la prefettura di Roma ed il gonfalonierato di santa Chiesa, e fu pure generale de’ veneziani. Nell’anno 1549, li 20 febrajo, ebbe Guidobaldo da Vittoria sua consorte un figliolo maschio, che li nacque a Pesaro e che fu nominato Francesco Maria. Nell’anno 1556 Bernardo Tasso sottomette alla censura dell’Accademia degli Assorditi d’Urbino, che allora era in gran fiore, il suo poema dell’Amadigi, trovandosi a questi giorni egli con altri uomini letterati nella corte d’Urbino, alla quale fu parimenti chiamato Dionisio Atanagi, già accademico assordito, per rivedere il sudetto poema.13 Correndo l’anno 12 In realtà Elisabetta Gonzaga, che era nata a Mantova il 9 febbraio 1471, morì a Ferrara il 28 gennaio 1526, all’età di 55 anni. 13 Il poema fu poi edito per la prima volta nel 1560, per i tipi di Gabriel Giolito de' Ferrari (Tasso, Bernardo, L'Amadigi del s. Bernardo Tasso. A l'inuittissimo, e catolico re Filippo. A cura di Lodovico Dolce, il cui nome compare nella prefazione. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito De' Ferrari, 1560). 1572 insorse una generale, rumorosa sommossa nel popolo d’Urbino per le nuove gravezze imposte dal duca, e principiò questa circa li 26 decembre, continuando sino al mese di maggio dell’anno seguente 1573. Nel qual anno, il dì primo luglio, furono nella rocca di Pesaro, alle ore 5 di notte, decapitati nove gentiluomini delle più distinte e CARTA [34] VERSO nobili famiglie d’Urbino, oltre alla confiscazione dei beni ed all’esiglio [sic] di molti altri, d’inferior condizione. Finalmente, l’anno appresso 1574, compreso da doglia e dal grave rimorso di tanta strage, cui fu esso per avventura condotto dalle insinuazioni e eccitamenti de’ consiglieri pesaresi, infesti sempre – per uno spirito d’invidia – agli urbinati, cessò di vivere nella città di Pesaro, ove dimorava maggior parte dell’anno, il dì 28 settembre, essendo nell’età d’anni 61; regnò anni 35, mesi undici e giorni otto, lasciò di sè – oltre le femine – un solo maschio, per nome Francesco Maria, natogli da Vittoria Farnese, come poc’anzi fu detto, e che gli fu successore nel ducato. Francesco Maria II, duca VI ed ultimo d’Urbino, succedendo a Guidobaldo II suo padre nel commando di questo stato, in Urbino sua capitale ne prese possesso li 13 ottobre del sopradetto anno 1574. Intervennero a tal funzione gl’ambasciatori tutti dello stato anzidetto, e prestarono nella metropolitana il loro giuramen= CARTA [35] RECTO to di fedeltà in mani del nuovo duca Francesco Maria, assistendo e condecorando un tale atto monsignor arcivescovo d’Urbino, monsignor visitatore apostolico, monsignor Gianotti, vescovo di Forlì e monsignor Marchesini, sufraganeo di Parma, unitamente allo stesso serenissimo duca di Parma Ottavio Farnese, zio del novello duca Francesco Maria. Li 7 ottobre del 1571 si ritrovò esso presente alla memoranda battaglia navale delle Curzolari14 contro il turco, nella quale la flotta cristiana, commandata da don Giovanni d’Austria, ottenne una completa, segnalatissima vittoria. Nell’anno antecedente 1570 erasi già congiunto con Lucrezia d’Este, sorella di Alfonso I, duca di Ferrara, la quale poi gli morì nella stessa città di Ferrara li 11 febrajo del 1598. Nel seguente anno 1599 passò alle seconde nozze con Livia della Rovere, figlia di suo fratello cugino Ippolito della Rovere, marchese di San Lorenzo in Campo e di Monte Leone, essendo allora Francesco Maria nell’età d’anni 51. Li 15 decembre 1602 in 14 La battaglia di Lepanto, detta anche delle Curzolari, vide di fronte le flotte musulmane dell'Impero ottomano e le forze navali di Venezia, della Spagna, di Roma, di Genova, dei Cavalieri di Malta, del ducato di Savoia, del ducato d'Urbino e del Granducato di Toscana, riunite sotto le insegne pontificie (Lega Santa). CARTA [35] VERSO Pesaro gli morì la duchessa sua madre, Vittoria Farnese, nell’età d’anni 82. Li 16 maggio del 1605 la duchessa Livia, sua moglie, gli partorì in Pesaro un figliolo maschio, che, battezzato privatamente nella camera del vescovo di quella città, gli fu posto nome Federico Ubaldo. La pubblica funzione del suo battesimo, però, venne celebrata in Urbino, con gran pompa, il dì 28 novembre dell’anno sudetto; monsignor Ottavio Accoramboni, vescovo di Fossombrone, ne eseguì la sacra cerimonia. Il padrino fu Filippo III, re della Spagna, a nome del quale lo tenne il marchese di Pescara, che poi venne decorato dell’eccelso ordine del Toson d’Oro per le mani del nostro duca, il quale dal re medesimo n’ebbe l’illustre commissione. Nell’anno 1607, volendo il duca Francesco Maria, per l’avvanzata sua età, ritirarsi in Castel Durante, onde prendere riposo e condurre nella quiete il rimanente di sua vita, stabilì un consiglio supremo, composto di otto soggetti nominati dalle rispettive città e provincie del ducato, quale CARTA [36] RECTO consiglio venne stabilito nonché installato nella città d’Urbino capitale, il giorno 22 genajo dell’anno medesimo. Li soggetti somponenti il consiglio furono gl’infrascritti, e con quest’ordine: Malatesta de’ Malatesti, patrizio urbinate, per Urbino, Pier – Simone Bonamini per Pesaro, il conte Girolamo Cantalmaggio per Gubbio, Giacomo Arsilli per Sinigallia, Francesco Carnevali per Fossombrone, Antonio Brancuti per Cagli, Giovanni Battista Mansarini per la provincia feretrana e Stefano Minci per la provincia di Massa Trabaria, e con quest’ordine così decretato si assidevano li sopradetti consiglieri nel luogo del loro impiego governativo, ed a questi fu dal serenissimo duca data la facoltà ed autorità quasi sovrana, ma dopo il lasso di sei anni fu il riferito consiglio dal duca soppresso, lo che avvenne li 11 settembre dell’anno 1613. Nel mese di marzo o di aprile dell’anno 1621 il duca Francesco Maria dà in isposa all’unico suo figlio Federico Ubaldo, principe d’Urbino, la principessa Claudia de’ CARTA [36] VERSO Medici, figlia di Cosmo II e sorella di Ferdinando II, gran duca di Toscana, la quale portò in dote trecentomila scudi d’oro, e da questi illustrissimi principi nacque la principessina d’Urbino Vittoria Feltria della Rovere, il dì 7 gennajo 1622; ma nel susseguente anno 1623, li 29 giugno, il detto principe Federico Ubaldo fu colpito da repentina, inaspettata morte nella verde età d’anni 18, un mese e giorni tredici. Avendo quindi il vecchio duca tolerato l’infortunio del morto figlio con intrepidezza più di filosofo che di padre, nel medesimo anno di settembre concluse il parentado da effettuarsi a suo tempo fra la fanciulla Vittoria (nata di Federico Ubaldo suo figlio) con Ferdinando III, gran duca di Toscana, allora in età d’anni 14 non compiuti, quale parentado ebbe poi il suo effetto li 6 luglio del 1637 in Firenze, con solennissimo apparato di magnificenza; nacquero da questo imeneo Cosmo III e Francesco Maria de’ Medici. Del 1624, li 30 aprile, fu conchiuso e stipulato il solenne concordato fra CARTA [37] RECTO il pontefice Urbano VIII e Francesco Maria, nostro ultimo duca, per la devoluzione della città e ducato d’Urbino alla Santa Sede, nello stesso palazzo apostolico di San Pietro in Roma, rogandosene tre pubblici notari, che furono Giacomo Balgarini, protonotario apostolico, Domenico Fontie, notaio della reverenda camera e Bartolommeo Dinio, notajo e cancelliere in Roma del consolato della nazione fiorentina, e vi fu il legale consenso dello stesso gran duca Ferdinando, e pel medesimo delle sue tutrici e curatrici Maria Madalena, arciduchessa d’Austria, di lui madre, e Cristina di Lorena, sua avola. Dovendosi però effettuare tale devoluzione immediatamente dopo la morte dello stesso serenissimo Francesco Maria, duca sesto ed ultimo d’Urbino, nel sopraindicato anno 1624 – perché più sicura e facile si rendesse la concertata devoluzione – amò il vecchio duca di richiedere al papa un prelato per governare questa città e ducato, ma con patente e a nome dello stesso duca. La patente fu CARTA [37] VERSO da questi spedita li 20 decembre anno sudetto, ed il prelato governatore, presentato al duca Francesco Maria dal pontefice, fu monsignor Berlinghiero Gessi, bolognese, il quale giunse in Urbino li 7 gennajo dell’anno appresso 1625, e da quell’epoca appunto rimase abolito il Consiglio degli Otto, che nell’anno 1623 era stato nuovamente ripristinato. Al Gessi (poi che venne creato cardinale) fu sostituito nel governo di Urbino e suo ducato, con patente parimenti del duca, monsignor Lorenzo Campeggi, anch’esso di patria bolognese, e governò pel serenissimo nostro duca sino alla di lui morte, che accadde in Castel Durante (oggi Urbania), ove erasi ritirato, il giorno 28 aprile dell’anno 1631, essendo nella senile età d’anni 83; durò il suo regno anni 56 (sotto di lui – sebbene per poco – fu riaperta in Urbino la zecca). Mancato appena, e volato agli eterni riposi Francesco Maria II Feltrio della Rovere, sesto ed ultimo duca d’Urbino, fu tosto questo intero ducato devoluto alla Santa Sede, e furono indilatamente15 pub= CARTA [38] RECTO blicati li bandi e gl’editti pontifici, ed il primo giorno di maggio monsignor Campeggi sudetto prese – a nome della Santa Sede – legale e solenne possesso di tutto il ducato. Riunito esso pertanto allo stato ecclesiastico per la seguita morte dell’ultimo duca d’Urbino senza prole maschile, papa Urbano VIII, allora regnante, innalzò la sudetta città e ducato d’Urbino al rango di Legazione, nel giugno dell’anno medesimo 1631, con specialissimi privilegi non goduti dalle altre ecclesiastiche Legazioni di Bologna, di Ferrara e di Ravenna, mentre, nel costituire al temporale governo di questa nuova Legazione cardinali col titolo di legati a latere d’Urbino, conferì loro tale e tanta autorità che in tutto quasi assomigliossi alla passata sovranità ducale. Ne’ tempi però meno da noi lontani, invece degli eminentissimi legati, vi sono stati spediti a reggere questa Legazione talvolta anche ragguardevoli prelati, col titolo di presidenti d’Urbino, ossia della provincia d’Urbino, e nuovissimamente, nella critica situazione delle cose, fu anche governata CARTA [38] VERSO da semplici delegati, conforme vedremo nella infrascritta serie di tutti li ragguardevoli personaggi che con ordine cronologico verranno qui appresso descritti. 15 Termine proprio del linguaggio della burocrazia: prontamente, senza indugio. CARTA [39] RECTO Serie degli eminentissimi legati a latere, non meno che de’ prelati, i quali col titolo di presidenti, e recentemente in qualità di delegati, hanno tenuto il governo della città e Legazione d’Urbino 1631 I Antonio cardinale Barberini, fiorentino, legato a latere d’Urbino. Devoluta ed incorporata nell’anno 1631 allo stato pontificio la città e ducato d’Urbino, volle tosto papa Urbano VIII provedere con egual decoro al governo della medesima con insignirla del titolo di Legazione, surrogato a quello di ducato, e con sostituire a’ serenissimi suoi duchi, già estinti, gli eminentissimo legati, con facoltà e privilegi amplissimi per go= CARTA [39] VERSO vernarla. Sebbene poi, ne’ tempi più a noi vicini, sia stato il governo di questa Legazione conferito da’ pontefici anche a prelati, con titolo di presidenti, per indi promuoverli al cardinalato. Ma il lodato pontefice dichiarò in primo legato a latere d’Urbino l’eminentissimo cardinale Antonio, suo fratello germano, il quale nel dì 20 luglio del sudetto anno 1631 ne prese pubblico e solenne possesso, atto che fu eseguito con grande pompa e giubilo universale nella stessa metropolitana d’Urbino, come città ducale e primaria del ducato e Legazione, venendo tale cerimonia condecorata dalla presenza degli eminentissimi cardinali Sacchetti e Spada, di monsignor vescovo di Cesena Pietro de’ Bonaventuri, patrizio urbinate, e di altri prelati e signori. Ebbe per suo vice – legato monsignor Girolamo Grimaldo, genovese. Questo primo legato governò circa due anni, cioè sino a tutto il dì [spazio bianco] del 1633, ed ebbe in successore 1633 II Francesco cardinal Barberini, fiorentino. Fu egli promosso al governo di questa Legazione dal CARTA [40] RECTO sopradetto pontefice, suo zio, e ne prese solennemente possesso nella metropolitana d’Urbino, giusta il costume praticato anche dai duchi medesimi, il dì [spazio bianco] 1633. Ebbe per vice – legato monsignor Gaspare Mattei, romano, e finalmente, dopo aver governato questa Legazione per circa anni dieci, cioè sino a tutto il dì 20 luglio del 1644 gli venne sostituito 1644 III Giulio cardinale Gabrielli, romano, legato d’Urbino. Fu anche questi promosso al governo della città e Legazione d’Urbino dallo stesso papa Urbano VIII, surrogandolo al cardinal Barberini suo nipote. Ne prese il Gabrielli solennemente possesso il dì 21 luglio del 1644, giusta il consueto, in questa chiesa metropolitana. Ebbe in suo vice – legato monsignor Prospero Caffarelli, romano. Il governo della Legazione esercitato dal cardinal Gabrielli durò un’anno [sic], dieci mesi e dieci giorni, cioè sino a tutto li 31 maggio dell’anno 1646, nel quale gli venne surrogato CARTA [40] VERSO 1646 IV Alderano cardinal Cibo, dei duchi di Massa e Carrara, essendo stato da papa Innocenzo X prescelto al governo della Legazione urbinate, ne prese egli il publico e solenne possesso nella metropolitana d’Urbino il dì primo giugno, giorno dedicato al glorioso protettore della stessa città San Crescentino, correndo l’anno 1646. Fu suo vicelegato monsignor Antonio Pignatelli, napoletano, che dopo alcuni anni – creato cardinale – giunse finalmente al pontificato col nome d’Innocenzo XII. Governò il Cibo questa città e Legazione anni due e giorni 13, cioè sino a tutto li 14 giugno dell’anno 1648, ed ebbe in successore 1648 V Vincenzo cardinal Costaguti, genovese, fu promosso al governo della Legazione d’Urbino dal sopradetto pontefice Innocenzo X, e ne prese il possesso nella solita metropolitana d’Urbino li 15 giugno del ridetto anno 1648. Suo vicelegato fu monsignor Giovanni Battista Brescia, veneziano, ed avendo il predetto cardinal Costaguti governato anni tre, mesi 4 e gior= CARTA [41] RECTO ni 14, cioè sino a tutto li 29 ottobre del 1651, ebbe in successore 1651 VI Cristofero [sic] cardinal Vidman, veneziano, legato d’Urbino. Dal sullodato pontefice Innocenzo X fu conferita al Vidman la Legazione d’Urbino, della quale – in conformità de’ suoi predecessori – prese il publico possesso nella chiesa metropolitana di quella città il dì 30 ottobre del 1651. Fu suo vicelegato monsignor Lorenzo Lomellini, genovese. Resse poi il cardinal Vidman la nostra Legazione anni due, mesi sette e giorni 28, cioè sino a tutto il dì 27 giugno dell’anno 1654, avendo avuto per suo successore 1654 VII Carlo cardinal Pio di Savoia, ferrarese, legato d’Urbino. Avendo anche a questo lo stesso Innocenzo X, sommo pontefice, conferita la Legazione d’Urbino, ne fu dal Pio preso solenne e pubblico possesso il dì 28 giugno del 1654 nella ridetta metropolitana d’Urbino. Ebbe questi in suo vicelega= CARTA [41] VERSO to monsignor Gaspare Laparis di Nicia. Governò quegli un anno, mesi due e giorni quattordici, cioè sino agli 11 settembre del 1655, e venne in di lui rimpiazzo 1655 VIII Luigi cardinale Omodei, milanese, legato d’Urbino. Di tale governo, che vennegli conferito da papa Alessandro VII, prese pubblico possesso nella chiesa metropolitana d’Urbino li 12 settembre dell’anno 1655. Ebbe per suo vicelegato monsignor Laparis sudetto, ed il governo del predetto signor cardinale Omodei durò anni due, mesi otto e giorni 24, cioè sino a tutto li 6 luglio dell’anno 1658. Quindi gli fu dato in successore 1658 IX Scipione cardinal Delci,16 senese, legato d’Urbino, promosso a questa carica dall’anzidetto sommo pontefice Alessandro VII. Il di lui solenne possesso seguì il giorno 7 luglio dell’anno 1658, nella chiesa metropolitana d’Urbino. Il vicelegato dell’eminentissimo Delci fu monsignor Carlo Montecatino, ferrarese, e nella CARTA [42] RECTO destinatagli Legazione continuò anni tre, mesi dieci e giorni otto, cioè sino a tutto il dì 15 maggio dell’anno 1662, in cui gli venne dato per successore 1662 X Antonio II cardinal Bichi, senese, legato d’Urbino. Il mentovato pontefice Alessandro VII lo prescelse al governo di questa Legazione. Accadde il di lui possesso, secondo il solito, nella Chiesa metropolitana il dì 16 maggio dell’anno 1662, e monsignor Giovanni Agostino Vicentini di Rieti fu il di lui vicelegato. Quindi, dopo aver governato la provincia urbinate anni 4, mesi 11 e giorni 8, vale a dire sino alli 23 aprile del 1667, ebbe in suo successore 1667 XI Cesare cardinal Rasponi, ravennate, legato d’Urbino. Venne questi destinato al governo di questa Legazione dal lodato Sommo pontefice Alessandro VII. Nella nostra chiesa metropolitana seguì, secondo il consueto, il di lui solenne possesso, correndo il dì 24 aprile dell’anno 1667. Ebbe per suo vicelegato 16 Scipione Pannocchieschi d'Elci nacque a Siena nel 1600 e morì a Roma nel 1670. monsignor Lorenzo Flisco, genovese. Finalmente, dopo di aver governato tre anni, CARTA [42] VERSO un mese e giorni 14, cioè sino a tutto il dì 7 giugno del 1670, gli venne sostituito 1670 XII Carlo II cardinal Cerri, romano, legato d’Urbino. Da papa Clemente X venne insignito di questa carica, e la publica funzione del di lui possesso venne celebrata nella metropolitana il dì 8 giugno dell’anno 1670. Il mentovato monsignor Lorenzo Flisco fu il vicelegato dell’eminentissimo Cerri, il quale resse la Legazione affidatagli anni due, mesi undici e giorni dieci, cioè sino a tutto il dì 17 maggio del 1673, venendogli in fine surrogato 1673 XIII Paluzzo cardinal Altieri, romano, legato d’Urbino. Papa Clemente X lo spedì al governo della Legazione urbinate, di cui l’Altieri ne assunse il solenne, publico possesso in questa chiesa metropolitana li 18 maggio dell’anno 1673. Furono suoi vicelegati l’uno dopo l’altro monsignor Angelo Ranuzzi, bolognese, monsignor Giovanni Angelo Altemps, romano, e monsignor Antonio Doria, genovese. Governò il predetto cardinale CARTA [43] RECTO Altieri la Legazione d’Urbino anni tre, mesi dieci, e giorni sette, ossia sino a tutto il dì 24 marzo dell’anno 1677, poscia ebbe in immediato successore 1677 XIV Carlo III cardinal Barberini, romano, fu il decimoquarto legato della provincia d’Urbino. Venne esso prescelto a tale governo da papa Innocenzo XI, e ne prese il possesso nella metropolitana, come gli altri legati suoi predecessori, correndo il giorno 28 marzo dell’anno 1677. Ebbe per suoi vicelegati prima monsignor Altemps sopranominato, e poi monsignor Giovanni Leone Massimi Iacobacci, ambedue romani. Finalmente, dopo di avere governato la nostra Legazione per lo spazio d’anni cinque, mesi undici e giorni venti, cioè sino a tutto il dì 16 marzo dell’anno 1684 gli fu dato in successore 1684 XV Fabrizio cardinal Spada, romano, legato d’Urbino, dichiarato ed eletto a tal dignità dal mentovato pontefice Innocenzo XI. Il giorno 17 marzo 1684 gle ne fu dato il solenne possesso nella nostra Chiesa metropolitana. Monsignor Leone de’ Massimi Iacobacci, ro= CARTA [43] VERSO mano, fu il suo vicelegato, ed avendo l’eminentissimo Spada tenuto della provincia urbinate il governo anni quattro, mesi dieci e giorni ventisei, cioè sino a tutto il dì 11 febrajo del 1689, gli venne in successore 1689 XVI Opizio cardinale Pallavicini, genovese, dal sullodato pontefice Innocenzo XI fu prescelto e promosso al governo della Legazione d’Urbino, il di cui possesso solennemente fu celebrato nella metropolitana di essa città il dì 12 febrajo 1689. Ebbe questi per suo vicelegato monsignor Francesco Maurizio Gontieri, torinese. Un anno ed un mese soltanto durò il governo dell’eminentissimo Pallavicini, cioè sino a tutto il dì 14 aprile dell’anno 1690, ed in luogo del medesimo subentrò alla carica 1690 XVII Giacomo cardinale Cantelmi, napolitano, fu il decomosettimo porporato cui venne affidato il governo della Legazione d’Urbino, da papa Alessandro VIII. L’atto solenne del possesso di questo nuovo legato restò eseguito nella metropolitana di essa città li 15 a= CARTA [44] RECTO prile del 1690. Occupò egli il posto di questa Legazione per lo spazio di un’anno [sic], mesi cinque e giorni dodici, nel qual tempo ebbe per suo vicelegato monsignor Rainaldo Albizi di Cesena. Finalmente gli fu dato per successore 1691 XVIII Giovanni cardinal Rubbini, veneziano, legato d’Urbino. Ascese questi a tal posto per promozione fattane da papa Innocenzo XII, e ne assunse il publico solenne possesso nella Chiesa metropolitana il giorno 27 settembre del 1691. Per suoi vicelegati ebbe prima monsignor Bargellini, bolognese, poi monsignor Pietro Ranuzzi, bolognese, ed in ultimo monsignor Vincenzo Mazzolani, faentino. Per lo spazio d’anni due, mesi due e giorni 14 tenne il cardinal Rubbini questa Legazione, cioè sino a tutto il dì 10 decembre 1693, e quindi gli successe 1693 XIX Fulvio cardinale Astalli, romano, legato d’Urbino. Fu questi eletto e nominato al reggimento della nostra Legazione dallo stesso pontefice Innocenzo CARTA [44] VERSO XII, e nelle solite forme e nel consueto luogo ne prese il solenne possesso a dì 11 dicembre dell’anno 1693. Fu suo vicelegato il riferito monsignor Mazzolani. Il nostro eminentissimo Astalli, durante il suo governo, si occupò in quella collezione di leggi e decreti sì de’ passati serenissimi duchi come degli eminentissimi legati suoi antecessori, la qual collezione dal suo nome è detta l’Astallina. Venne essa publicata colle stampe di Domenico e fratelli de’ Gotti in Pesaro l’anno 1696.17 Finalmente, dopo aver governato anni 3, mesi 2 e giorni 19, cioè sino a tutto il dì primo marzo del 1697, gli fu sostituito 1697 XX Lorenzo cardinale Altieri, romano, legato d’Urbino, che venne destinato e promosso a questo governo dal sullodato pontefice Innocenzo XII. Seguì il di lui possesso – giusta il solito – nell’augusto tempio metropolitano li 2 marzo 1697. Ebbe in suo vicelegato monsignor Giuseppe Firao, napoletano, e resse l’affidatagli Legazione anni 1, mesi 3 e giorni 28, CARTA [45] RECTO cioè sino il dì 29 giugno dell’anno 1698. Il di lui successore fu 1698 XXI monsignor Marcello d’Aste, romano, fu il primo che – nel grado di prelato – abbia ottenuto il governo della Legazione d’Urbino col titolo di presidente della medesima. Dopo questo esempio venne poi conferita [sic] anche ad altri prelati, onde costituirli in posto cardinalizio. In qualità, adunque, e col titolo di presidente della Legazione urbinate ne prese monsignor d’Aste in Urbino il suo possesso li 30 giugno del 1698, ma non già nella metropolitana, ove costumavano di prenderlo gli eminentissimi legati, bensì nella cappella del palazzo apostolico di residenza. Quindi, essendo egli stato creato cardinale li 14 novembre dell’anno medesimo, continuò a reggere la provincia come legato, e la resse sino a tutto il dì 2 aprile del 1703, avendo avuto pei suoi vicelegati prima monsignor Bernardino Belluzzi, pesarese, poi monsignor Pier – Lorenzo Gallerati, milanese, ed in terzo luogo monsignor Luigi Caraffa, napolitano. Avendo in fine lodevolmente CARTA [45] VERSO governato in tutto anni quattro, mesi nove e giorni tre, gli fu dato in successore 1703 XXII Sebastiano cardinal Tanara, bolognese, legato d’Urbino. Clemente papa XI amò di promoverlo e destinarlo a questa patria Legazione, ed il di lui possesso venne solennemente celebrato nella chiesa metropolitana li 3 aprile dell’anno 1703. Ebbe nel suo governo quattro consecutivi vicelegati, il primo Giovanni Battista Altieri, romano, il secondo monsignor Franscesco Maria Barbarigo, 17 Decreta, Constitutiones, Edicta, et Bannimenta Legationis Vrbini, nunc primum in lucem edita iussu eminentissimi, et reuerendissimi cardinalis Astalij legati, Pisauri, typis Dominici, & fratrum de Gottis, 1696. veneziano, il terzo monsignor Gaetano de’ Cavallieri, romano, ed il quarto monsignor Lodovico Anguisciola, piacentino. Nel sudetto anno, il giorno 19 maggio, gli fu pur anche conferita l’amministrazione della stessa chiesa arcivescovile d’Urbino, vacata già per la morte di monsignor Antonio Francesco Roberti da Recanati, ed amministrò la predetta chiesa per lo spazio d’anni sei, cioè sino a tutto li 5 maggio del 1709, poiché li 6 detto fu eletto arcivescovo d’Urbino monsignor Francesco Antonio CARTA [46] RECTO de’ Sanvitali da Parma. Proseguì intanto l’eminentissimo Tanara a reggere la sua Legazione sino a tutto il dì 26 dicembre del 1715, e dopo di esserne stato al governo per anni 12, mesi 8 e giorni 24 gli successe 1715 XXIII Antonio III cardinale Davia, bolognese, legato d’Urbino. Fu anche questi da papa Clemente XI destinato al governo della Legazione urbinate. Ne prese pertanto il suo possesso nella chiesa metropolitana il giorno 17 decembre dell’anno 1715. Fu suo vicelegato il sopranominato monsignor Anguisciola. Il governo dell’eminentissimo Davia durò un anno, mesi quattro e giorni 27, cioè sino a tutto li 13 maggio 1717, e gli fu sostituito 1717 XXIV monsignor Alamanno Salviati, fiorentino, presidente della Legazione d’Urbino. Papa Clemente XI lo promosse a tale governo, di cui ne prese il suo possesso nella capella di questo palazzo apostolico il giorno 14 maggio dell’anno 1717. Nell’anno medesimo 1717 accolse in Urbino, e precisamente nel palazzo sudetto, la maestà di Giacomo III Stuardo, re d’Inghilterra, il quale CARTA [46] VERSO vi giunse li 11 luglio, ed essendovi dimorato per un’anno [sic], mesi due e giorni 25 continui, se ne partì da Urbino li 6 ottobre dell’anno seguente 1719 [i. e. 1718].18 Vi ritornò per altro, sebben di passaggio, l’anno 1722, con la regina sua sposa, Clementina Sobieski, nel giorno 14 ottobre, e vi si trattenne sino il dì 16 detto, in cui i reali sposi partirono per Roma. Furono sempre corteggiati e serviti 18 Nella storia dinastica della Gran Bretagna la famiglia Stuart incarnò il principio cattolico, in opposizione alla Chiesa Anglicana. Giacomo Stuart (1633 – 1701), II re d'Inghilterra, e VII re di Scozia, tentò – con l’incoraggiamento del papa – di restaurare il cattolicesimo, ma venne cacciato dai ribelli, capeggiati da Guglielmo d’Orange, poi proclamato re; con la rivoluzione del 1688 dunque la casa degli Stuart scomparve dal trono d’Inghilterra, a lungo rivendicato dai luoghi dell’esilio. Il personaggio citato, che fu ospite del papa a Urbino e Roma, è Giacomo Francesco Edoardo Stuart (figlio del Giacomo Stuart sopra menzionato), che come pretendente al trono d’Inghilterra assunse il nome di Giacomo III. dal nostro monsignor presidente Salviati, ch’era tuttora al governo di questa Legazione, come anche vi si trovarono a ossequiare le loro maestà l’eminentissimo cardinale Annibale Albani, il principe di Sassonia, il baly19 Marcolini, oltre alcuni milordi scozzesi della corte e famiglia del lodato re Giacomo. Nell’anno poi 1728 partì per Roma monsignor Salviati, e sintantoché si trattenne esso nella dominante, assunse le veci di presidente monsignor Filippo Spada, vescovo di Pesaro, il quale ne sostenne l’onorevole incarico fino all’epoca che monsignor Salviati fu creato cardinale, il che accadde nell’anno 1730, con la qual dignità continuò per alcuni mesi nella carica di pro - presidente CARTA [47] RECTO della Legazione d’Urbino, e nell’anno susseguente 1731, decorato del nuovo titolo di cardinal legato a latere dell’anzidetta Legazione, gli fu dato in vicelegato monsignor Niccolò Serra, genovese, e quindi, dopo avere il Salviati governato questa provincia per lo spazio di sopra anni 15, cioè fino li 14 giugno 1732, ebbe in successore 1732 XXV monsignor Federico Marcello Lante, romano, presidente della Legazione d’Urbino. La di lui promozione a questo governo fu fatta da papa Clemente XII; al solito de’ prelati presidenti gli fu dato il semipublico possesso nella cappella del palazzo ex – ducale d’Urbino il giorno 15 giugno dell’anno 1732. Quindi, nell’anno 1744, li 9 settembre, fu creato cardinale, e col titolo di pro – presidente continuò a governare la Legazione sino alli 23 ottobre del 1744 sudetto, cosicché, avendo retta la Legazione in tutto anni 12, mesi 4 e giorni nove, gli successe 1744 XXVI Giacomo II cardinale degli Oddi da Perugia, legato d’Urbino. papa Benedetto XIV lo prescelse CARTA [47] VERSO a reggere la nostra Legazione, della quale prese in Urbino il publico possesso nella chiesa metropolitana li 24 ottobre 1744. Ebbe in suo vicelegato monsignor Antonio Spinelli, napolitano, e dopo di avere l’eminentissimo Oddi amministrato il governo di questa Legazione anni due ed alcuni giorni, cioè sino li 31 ottobre del 1746, gli fu dato in successore 19 Importante grado dell'Insigne Sacro Militare Ordine di Santo Stefano papa e Martire, un ordine religioso - cavalleresco fondato nel 1562 da papa Pio IV. 1746 XXVII Carlo IV cardinal Marini, genovese, legato d’Urbino. Venne ad esso conferita questa Legazione in governo dallo stesso pontefice Benedetto XIV; il di lui possesso fu eseguito – secondo il solito - nella Chiesa metropolitana della stessa città d’Urbino li [spazio bianco] novembre 1746. Nel recarsi, però, che il cardinal Marini faceva a questa residenza, se ne morì per viaggio, sicché questa Legazione venne a suo nome amministrata per lo spazio di circa un mese, e gli venne surrogato 1747 XXVIII monsignor Giovanni Francesco Stoppani, milanese, presidente della Legazione d’Urbino. La CARTA [48] RECTO promozione di questo prelato al governo della medesima fu opera del nominato Benedetto XIV. Nella cappella dell’apostolico ducal palazzo d’Urbino seguì il suo possesso essendo il giorno 26 gennajo dell’anno 1747. Governò questa provincia in qualità di presidente fino li 7 giugno del 1754, epoca in cui fu creato cardinale. Quindi, dichiarato legato, continuò a governarla sino alli 15 settembre del 1756, avendo avuto per suo vicelegato monsignor Vincenzo Altieri, romano. Per cura ed impegno dell’eminentissimo Stoppani fu costruito il nobile museo d’Urbino, nelle logge superiori del ridetto palazzo apostolico, quale opera fu incominciata li 18 maggio e compiuta li 25 agosto dell’anno medesimo 1756.20 Finalmente, dopo il governo di anni nove, mesi sette e giorni venticinque, gli successe nella carica 1756 XXIX monsignor Lodovico Merlini, forlivese, presidente della Legazione d’Urbino. Lo stesso sommo pontefice Benedetto XIV destinollo al governo della medesima. L’atto del suo possesso venne eseguito CARTA [48] VERSO al solito in Urbino, nella cappella del palazzo ducale, il dì 20 settembre dell’anno 1756. Correndo l’anno 1759, sebbene il lodato monsignor presidente Merlini 20 Il cardinal Gianfrancesco Stoppani agì diplomaticamente ed efficacemente per recuperare le disperse iscrizioni della raccolta di Raffaele Fabretti (Urbino, 1618 – Roma, 1700), illustre archeologo urbinate, celebre come collezionista di epigrafi antiche, ed istituire un museo nelle soprallogge del palazzo ducale di Urbino (allora palazzo apostolico). Lo Stoppani, con l’aiuto del pesarese Giambattista Passeri, che era stato coinvolto nella ricerca di materiale epigrafico presente nel territorio della Legazione, giunse a raccogliere circa cinquecentocinquanta pezzi tra iscrizioni e reperti antichi, che costituirono un lapidario – museo di considerevole importanza documentale. In tempi recenti la raccolta ha trovato un adeguato allestimento museale, dopo un periodo di oblio, durante il quale il materiale era stato archiviato nei magazzini dello stesso palazzo ducale. fosse innalzato al grado di cardinale nel giorno 24 settembre, continuò ciononostante in questo governo sino li 29 gennajo 1760, onde in tutto resse la provincia urbinate per lo spazio d’anni tre, mesi quattro e giorni nove, dopo il qual tempo gli venne sostituito 1760 XXX monsignor Antonio IV Colonna Branciforte, palermitano, presidente della Legazione d’Urbino, al cui governo venne promosso da papa Clemente XIII; nella consueta cappella del palazzo apostolico di residenza prese il suo formale possesso il giorno 30 genajo del 1760. Nel sesto anno di questa sua presidenza, cioè li 26 settembre dell’anno 1766, essendo stato decorato della porpora cardinalizia, proseguì per altri sei mesi in circa a ritenere il governo della Legazione. Finalmente, dopo di aver governata la provincia sudetta per anni 7, mesi 1 e giorni 3, CARTA [49] RECTO cioè sino a tutto il dì 2 marzo 1767, gli fu dato in successore 1767 XXXI monsignor Pasquale Acquaviva d’Aragona, napolitano, presidente della Legazione d’Urbino. A tale governo venne egli destinato e prescelto dallo stesso pontefice Clemente XIII. L’atto del suo possesso fu al solito eseguito in Urbino nella cappella di corte li 3 marzo dell’anno sudetto 1767. Creato quindi cardinale, lasciò di governare la provincia affidatagli, ed avendola già retta anni 8, mesi 2 e giorni 3, cioè sino a tutto li 6 maggio del 1775, successe al medesimo 1775 XXXII monsignor Marcantonio Marcolini, fanese, presidente della Legazione d’Urbino. Papa Pio VI lo promosse a tal carica, di cui ne fe prendere il privato possesso il dì 7 maggio dell’anno 1775, quale atto venne eseguito nella solita cappella di corte d’Urbino. Creato poscia cardinale, se ne partì da questa Legazione, che governò anni tre, mesi uno e giorni 15, cioè sino a tutto il dì 21 giugno del 1778. Finalmente CARTA [49] VERSO gli fu dato in successore 1778 XXXIII monsignor Carlo V Livizzani, modanese, presidente della Legazione d’Urbino. Fu egli prescelto a questo governo dal sullodato Pointefice Pio VI. L’atto del suo possesso venne eseguito in Urbino nella solita cappella del palazzo ex – ducale li 22 giugno dell’anno 1778. Innalzato quindi all’onore del cardinalato lasciò di reggere questa provincia il dì 13 gennajo del 1786, avendo durato la di lui presidenza anni 7, mesi 6 e giorni 22. Fu successore di monsignor Livizzani 1786 XXXIV Giuseppe cardinal Doria Pamphilj, genovese, legato d’Urbino. Destinato a reggere questa provincia dal ridetto sommo pontefice Pio VI, nella chiesa metropolitana di questa città venne eseguito l’atto pubblico e solenne del suo possesso li 14 gennajo del 1788. Ebbe in suo vice – legato monsignor Federico Cauriani, mantovano. Governò il Doria questa Legazione per lo spazio d’anni 8, mesi 2 e giorni 5, cioè sino a tutto il dì 19 marzo del 1794, e gli venne poscia sostituito CARTA [50] RECTO 1794 monsignor Ferdinando Maria Saluzzo, napolitano, presidente della Legazione d’Urbino. Venne promosso questo prelato al governo della medesima dal sommo pontefice Pio VI; seguì il di lui possesso il giorno 20 marzo dell’anno 1794, nella consueta cappella di corte in Urbino. Se l’anzidetto monsignor Saluzzo, negli ultimi tempi di sua nunziatura in Polonia (dalla quale passò a reggere questa provincia), trovossi in assai perigliosa situazione, per le vicende di Varsavia e di Prag21 preso d’assalto dai moscoviti, anche nella presidenza di questa nostra Legazione soffrir dovette i colpi di un’avversa fortuna, poiché per ben due volte, correndo l’anno 1797, ne fu discacciato dalle forze republicane francesi. Nulladimeno governò egli la nostra Legazione tre anni e cinque mesi in circa. Mentre, essendosi in qualche parte ricomposte le cose dello stato e dominio della Chiesa, volle papa Pio VII felicemente regnante nella promozione delli 23 febrajo dell’anno 1801 innalzare all’onor della porpora anche monsignor Saluzzo, il CARTA [50] VERSO quale per la già presidenza della Legazione d’Urbino era stato in posto cardinalizio. Ritornata pertanto sotto il pontificio dominio la città e Legazione d’Urbino, né potendo papa Pio VII, pel gravissimo disesto delle sue finanze, destinarvi – come richiedeva la qualità ed il rango di questa provincia – un cardinal legato ed un preside per governarla, un economico necessario ripiego 21 I. e. Praga (da non confondere con la capitale della Repubblica Ceca), nome di un quartiere storico di Varsavia, sulla riva destra della Vistola, di talché ancora oggi la diocesi di Varsavia è ufficialmente chiamata ‘Diocesi di Varsavia e Praga’. costrinse il santo padre ad assegnarla provisoriamente in governo ad un semplice prelato col titolo ed in qualità di delegato apostolico, ed il primo fu 1800 monsignor Giovanni Cacciapiatti da Novara, delegato dello stato e Legazione d’Urbino. Fu questi dal pontefice Pio VII provisoriamente destinato a questo governo, ove entrò, senza premettere alcun atto possessorio, il dì [spazio bianco] dell’anno 18 . . , ed avendo governato anni [spazio bianco], mesi [spazio bianco] e giorni [spazio bianco], gli venne sostituito 18 . . monsignor Pietro Vidoni, cremonese, delegato d’Urbino e suo stato. Mentre egli attualmente governava, in qualità di delegato, la città e distretto d’Ancona, CARTA [51] RECTO gli venne conferito, con lo stesso titolo e qualità, anche la direzione dello Stato d’Urbino, il che fu li [spazio bianco] 18 . . , e, ritenendo l’uno e l’altro governo, intitolossi delegato dello Stato d’Urbino e della città d’Ancona. Governò egli pertanto questo Stato anni [spazio bianco], mesi [spazio bianco] e giorni [spazio bianco], cioè sino a tutto il dì 10 maggio 1808. Mentre il giorno appresso 11 maggio anno sudetto ne fu preso formale possesso dalle truppe francesi, e per imperiale decreto di Napoleone, imperatore di Francia, venne incorporato al Regno Italico, e dichiarato Dipartimento del Metauro, al quale avendo unita la stessa città d’Ancona, con costituirla capo e residenza prefettizia del Dipartimento medesimo, fu allora che la città d’Urbino perdette l’antica e legittima onorificenza d’essere capo della propria provincia. Mentre il presente governo, organizzando questo Dipartimento, non ha considerato Urbino che per la prima delle quattro viceprefetture e capi – luoghi del detto Dipartimento del Metauro, cosicché dalla viceprefettura d’Urbino dipendono CARTA [51] VERSO le sole città di Gubbio e di Cagli e le due piccole provincie feretrana e trabaria, sebbene da principio vi fosse anche compresa la città di Fossombrone, la quale ne fu poscia distaccata per maneggio de’ pesaresi, e fu sottoposta alla viceprefettura di Pesaro. Ridotta pertanto la città d’Urbino a semplice vice – prefettura, nonché ad essere capo – luogo di una piccola porzione dell’antica sua provincia e Legazione, proseguiremo ora nello stato del presente nuovo governo la serie de’ suoi vice – prefetti. 1808 Antonio Pampari, da Montecchio (nel reggiano di Modena), fu il primo vice – prefetto della città e distretto d’Urbino. Venne egli destinato a questa carica ed impiego per decreto di S.[ua] A.[ltezza] I[mperiale] il principe Eugenio Napoleone, vicere d’Italia, in data delli 21 aprile dell’anno 1808, inerendo all’altro decreto dell’imperator Napoleone già emanato in S. Cloud sino dalli 2 del mese sudetto. si recò esso signor Pampari adunque a questo posto il dì 11 maggio dell’anno CARTA [52] RECTO medesimo, e da quel giorno appunto incominciò l’esercizio delle sue funzioni, nel quale esercizio continuò fino a tutto li 13 gennajo 1811, cioè anni due, mesi otto e giorni uno. Ebbe egli in successore 1811 Giuseppe Bolchini del [sic] Varese (paese ove dividesi l’Italia dalla Francia), è il secondo viceprefetto d’Urbino, dichiarato dal detto principe vicere d’Italia in forza di decreto delli [spazio bianco] 1810. Assunse l’indicato incarico veceprefettizio li 14 gennaro dell’anno 1811. Fino dai primi momenti della di lui viceprefettura la provincia feretrana, ch’era già stata distaccata dal distretto urbinate raporto all’economico e civile, ed unita alla viceprefettura di Rimino, restò unita soltanto ad Urbino in ordine alla giudicatura. contemporaneamente, o poco dopo, venne pure, per altro decreto vicereale, distaccato dal contado d’Urbino il castello di Talacchio e sue adiacenze, castello che formava una delle antichissime e migliori porzioni del terri CARTA [52] VERSO torio urbinate, e fu unito alla viceprefettura di Pesaro con non tenue danno della città di Urbino, cui in contracambio venne riunita la città di Fossombrone. Vennero parimenti distaccate dalla urbinate viceprefettura le due città di Gubbio e di Cagli, con i rispettivi loro contadi, per essere stata la riferita città di Gubbio innalzata al grado anch’essa di viceprefettura, cosicché sui primi dell’anno 1811 la viceprefettura d’Urbino, che all’esordio dell’attuale governo comprendeva, oltre tutto il territorio urbinate (ossia contado di detta città), le città di Gubbio, di Cagli, di Fossombrone, tutto il Montefeltro e la provincia di Massa Trabaria, ora – nella incostanza di tante vicende – ha perduto, oltre una porzione del proprio territorio (cioè il talacchiese, Serra di Genga, ecc.), anche le anzidette città di Gubbio, Cagli e tutta la provincia feretrana, col solo compenso (se può dirsi compenso) della città di Fossombrone, che CARTA [53] RECTO eragli già stata tolta sui primi mesi del presente governo. [FINE DELL’OPERA] CARTA [53] VERSO bianca CARTA [54] RECTO bianca CARTA [54] VERSO bianca CARTA [55] RECTO bianca CARTA [55] VERSO bianca CARTA [56] RECTO bianca CARTA [56] VERSO bianca CARTA [57] RECTO bianca CARTA [57] VERSO bianca CARTA [58] RECTO bianca CARTA [58] VERSO bianca FINE TRASCRIZIONE MANOSCRITTO