Carissimi,
annotate sulla vostra agenda la data dal 3 al 7 settembre p.v., perché proprio in quella data celebreremo il XXXV Convegno Nazionale.
A partire da Verona e in riferimento al XII capitolo del Compendio
della DSC ci soffermeremo e confronteremo sulle tematiche relative
alla “formazione”. Appena pronto il programma, che in collaborazione con alcuni di voi stiamo approntando, ve lo comunicherò.
Il problema della vita e della (dolce)morte sono gli argomenti di riflessione che trovate nel “dossier” di questo numero. Riprendere in
mano il Catechismo della Chiesa Cattolica aiuterebbe a evitare di arrampicarsi sui vetri nel tentativo di rispondere alle osservazioni, che ci
provengono da più parti, le più svariate, e, anche, dal cosiddetto
“nostro mondo cattolico”.
Una lettura attenta delle “news”, oltre alla conoscenza del nuovo
Presidente nazionale, il Dr. Sergio Marini, ci da la possibilità di approcciarci alla vitalità dei Movimenti Giovani, Donne e Pensionati,
per coglierne tutta la ricchezza di iniziative e possibili spazi di nostra
presenza. Nostra presenza che gli interventi dei Responsabili di questi
Movimenti, oltre a quella del Direttore del Patronato Epaca, il Dr. Leo
Fiorito, nel corso dell’Ultima Consulta hanno esplicitamente sostenuto. Vedi in proposito il verbale redatto con accuratezza da Mons. Paolo Bonetti.
La quaresima 2007 è all’insegna del “Quaranta giorni per sperimentare la follia dell’amore di Dio.” E’ la proposta che fa Benedetto
XVI nel Messaggio che ha scritto quest’anno in occasione della Quaresima. Secondo quanto spiega il messaggio, che trovate integralmente
nell’Editoriale, questa follia d’amore ha la sua espressione culminante
nel Cristo crocifisso, Figlio di Dio. Per questo, il tema scelto è
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37).
“Nella Croce si manifesta l’eros di Dio per noi”, spiega il Pontefice,
riprendendo un tema centrale della sua prima enciclica, la “Deus caritas est”.
In “Bacheca”poi trovate le indicazioni per accedere ai sussidi predisposti dalla Caritas Italiana e l’Ufficio CEI per la pastorale della famiglia e che sono reperibili presso gli Uffici Caritas delle vostre Diocesi.
Buona lettura di questo “foglio” e buon itinerario quaresimale.
Con affetto
P. Renato
IN QUESTO NUMERO
EDITORIALE
NEWS
∗
Sergio Marini è il nuovo Presidente della Coldiretti -
∗
∗
∗
∗
∗
∗
Roma 9 febbraio 2007
Federpensionati Coldiretti: La Federpensionati organizza
con le associazioni regionali gli incontri sulle politiche sociali in ogni regione
DonneImpresa Coldiretti: DonneImpresa a Bruxelles
GiovaniImpresa Coldiretti: Energia per il futuro dell’agricoltura e dell’economia italiana
Viaggio studio Consiglieri Ecclesiastici Regionali
Nuovi Consiglieri Ecclesiastici
DOSSIER EUTANASIA
∗
Sacra Congregazione per la Dottrina della fede Dichiarazione sull’eutanasia
∗
Con la scusa dell’accanimento terapeutico
∗
∗
∗
∗
Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum
Quando sospendere la terapia è un atto eutanasico?
Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum
Dalla Prolusione del Card. Ruini al Consiglio Permanente
della CEI
Io, Welby e la morte - Card. Carlo Maria Martini
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica
BACHECA
∗
“Rilettura” delle Lettere dal lago di Como
∗
∗
di Romano Guardini - a cura di Don Gabriele Gerini
Consigliere Ecclesiastico Interprovinciale di Firenze-Prato
Sussidi Quaresima ‘07 ".. come io vi ho amato" (Gv 13,34)
Sussidi Quaresima ‘07 ".. come io vi ho amato" (Gv 13,34)
Opuscolo per le famiglie
APPENDICE
∗
Verbale Consulta Consiglieri Ecclesiastici Regionali
Roma 10/11 gennaio 2007 a cura di Mons. Paolo Bonetti Consigliere Ecclesiastico Regionale Friuli Venezia Giulia
2
EDITORIALE
“Volgeranno lo sguardo a Colui
che hanno trafitto” (Gv 19,37)
Cari fratelli e sorelle!
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37).
E’ questo il tema biblico che quest’anno guida la nostra riflessione quaresimale. La Quaresima è tempo propizio per imparare a
sostare con Maria e Giovanni, il discepolo prediletto, accanto a
Colui che sulla Croce consuma per l’intera umanità il sacrificio
della sua vita (cfr Gv 19,25). Con più viva partecipazione volgiamo pertanto il nostro sguardo, in questo tempo di penitenza e di
preghiera, a Cristo crocifisso che, morendo sul Calvario, ci ha
rivelato pienamente l’amore di Dio. Sul tema dell’amore mi sono
soffermato nell’Enciclica Deus caritas est, mettendo in rilievo le
sue due forme fondamentali: l’agape e l’eros.
L’amore di Dio: agape ed eros
Il termine agape, molte volte presente nel Nuovo Testamento,
indica l’amore oblativo di chi ricerca esclusivamente il bene dell’altro; la parola eros denota invece l’amore di chi desidera possedere ciò che gli manca ed anela all’unione con l’amato. L’amore di cui Dio ci circonda è senz’altro agape. In effetti, può l’uomo dare a Dio qualcosa di buono che Egli già non possegga? Tutto ciò che l’umana creatura è ed ha è dono divino: è dunque la
creatura ad aver bisogno di Dio in tutto. Ma l’amore di Dio è anche eros. Nell’Antico Testamento il Creatore dell’universo mostra verso il popolo che si è scelto una predilezione che trascende
ogni umana motivazione. Il profeta Osea esprime questa passione
divina con immagini audaci come quella dell’amore di un uomo
per una donna adultera (cfr 3,1-3); Ezechiele, per parte sua, parlando del rapporto di Dio con il popolo di Israele, non teme di
utilizzare un linguaggio ardente e appassionato (cfr 16,1-22).
Questi testi biblici indicano che l’eros fa parte del cuore stesso di
Dio: l’Onnipotente attende il “sì” delle sue creature come un gio-
3
vane sposo quello della sua sposa. Purtroppo fin dalle sue origini
l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (cfr
Gn 3,1-7). Ripiegandosi su se stesso, Adamo si è allontanato da
quella fonte della vita che è Dio stesso, ed è diventato il primo di
“quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per
tutta la vita” (Eb 2,15). Dio, però, non si è dato per vinto, anzi il
“no” dell’uomo è stato come la spinta decisiva che l’ha indotto a
manifestare il suo amore in tutta la sua forza redentrice.
La Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio
E’ nel mistero della Croce che si rivela appieno la potenza incontenibile della misericordia del Padre celeste. Per riconquistare
l’amore della sua creatura, Egli ha accettato di pagare un prezzo
altissimo: il sangue del suo Unigenito Figlio. La morte, che per il
primo Adamo era segno estremo di solitudine e di impotenza, si è
così trasformata nel supremo atto d’amore e di libertà del nuovo
Adamo. Ben si può allora affermare, con san Massimo il Confessore, che Cristo “morì, se così si può dire, divinamente, poiché
morì liberamente” (Ambigua, 91, 1956). Nella Croce si manifesta
l’eros di Dio per noi. Eros è infatti - come si esprime lo Pseudo
Dionigi - quella forza “che non permette all’amante di rimanere
in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato” (De divinis nominibus, IV, 13: PG 3, 712). Quale più “folle eros” (N. Cabasilas,
Vita in Cristo, 648) di quello che ha portato il Figlio di Dio ad
unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze
dei nostri delitti?
“Colui che hanno trafitto”
Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Cristo trafitto in Croce! E’ Lui
la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio, un amore in
cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda.
Sulla Croce è Dio stesso che mendica l’amore della sua creatura:
Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi. L’apostolo Tommaso
riconobbe Gesù come “Signore e Dio” quando mise la mano nella ferita del suo costato. Non sorprende che, tra i santi, molti abbiano trovato nel Cuore di Gesù l’espressione più commovente di
4
questo mistero di amore. Si potrebbe addirittura dire che la rivelazione dell’eros di Dio verso l’uomo è, in realtà, l’espressione
suprema della sua agape. In verità, solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità
infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti. Gesù ha detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a
me” (Gv 12,32). La risposta che il Signore ardentemente desidera
da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lasciamo attrarre da Lui. Accettare il suo amore, però, non basta. Occorre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo
agli altri: Cristo “mi attira a sé” per unirsi a me, perché impari ad
amare i fratelli con il suo stesso amore.
Sangue ed acqua
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”. Guardiamo
con fiducia al costato trafitto di Gesù, da cui sgorgarono “sangue
e acqua” (Gv 19,34)! I Padri della Chiesa hanno considerato questi elementi come simboli dei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. Con l’acqua del Battesimo, grazie all’azione dello
Spirito Santo, si dischiude a noi l’intimità dell’amore trinitario.
Nel cammino quaresimale, memori del nostro Battesimo, siamo
esortati ad uscire da noi stessi per aprirci, in un confidente abbandono, all’abbraccio misericordioso del Padre (cfr S. Giovanni
Crisostomo, Catechesi, 3,14 ss.). Il sangue, simbolo dell’amore
del Buon Pastore, fluisce in noi specialmente nel mistero eucaristico: “L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù… veniamo
coinvolti nella dinamica della sua donazione” (Enc. Deus caritas
est, 13). Viviamo allora la Quaresima come un tempo
‘eucaristico’, nel quale, accogliendo l’amore di Gesù, impariamo
a diffonderlo attorno a noi con ogni gesto e parola. Contemplare
“Colui che hanno trafitto” ci spingerà in tal modo ad aprire il
cuore agli altri riconoscendo le ferite inferte alla dignità dell’essere umano; ci spingerà, in particolare, a combattere ogni forma
di disprezzo della vita e di sfruttamento della persona e ad alleviare i drammi della solitudine e dell’abbandono di tante persone.
La Quaresima sia per ogni cristiano una rinnovata esperienza del-
5
l’amore di Dio donatoci in Cristo, amore che ogni giorno dobbiamo a nostra volta “ridonare” al prossimo, soprattutto a chi più
soffre ed è nel bisogno. Solo così potremo partecipare pienamente alla gioia della Pasqua. Maria, la Madre del Bell’Amore, ci
guidi in questo itinerario quaresimale, cammino di autentica conversione all’amore di Cristo. A voi, cari fratelli e sorelle, auguro
un proficuo itinerario quaresimale, mentre con affetto a tutti invio
una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 21 novembre 2006
6
∗
Sergio Marini è il nuovo Presidente della Coldiretti -
∗
Federpensionati Coldiretti: La Federpensionati organizza con le associazioni regionali gli incontri sulle politiche
sociali in ogni regione
DonneImpresa Coldiretti: DonneImpresa a Bruxelles
GiovaniImpresa Coldiretti: Energia per il futuro dell’agricoltura e dell’economia italiana
Viaggio studio Consiglieri Ecclesiastici Regionali
Nuovi Consiglieri Ecclesiastici
∗
∗
∗
∗
Roma 9 febbraio 2007
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SERGIO MARINI E’ IL NUOVO PRESIDENTE DELLA
COLDIRETTI - Roma 9 febbraio 2007
Sergio Marini, 42 anni, è il nuovo
leader della Coldiretti che con oltre
mezzo milione di imprese associate è
la maggiore organizzazione agricola
in Italia e in Europa. Lo ha eletto l’Assemblea di oltre trecento delegati
giunti a Roma dalle campagne di tutte
le regioni italiane con il 99 per cento
dei consensi. Laureato in agraria con il
massimo dei voti, Marini conduce un’impresa florovivaistica in serra, con
piante ornamentali e seminativi in
Umbria. Coniugato, due figli di 15 e
10 anni, ha assunto il primo incarico
in Coldiretti nel 1984 come Delegato provinciale del movimento
giovanile di Terni. Dal 1997 è presidente di Coldiretti Umbria e
dal 2001 Vicepresidente Nazionale. Il quinto presidente della storia della Coldiretti avrà il compito di guidare una forza sociale
che rappresenta le imprese agricole radicata sul territorio con 19
Federazioni regionali, 96 Federazioni provinciali e interprovinciali, oltre 724 uffici di zona e circa 6.000 sezioni periferiche che
sono il riferimento della maggioranza assoluta delle imprese agricole italiane. “Valorizzare l’agricoltura come risorsa economica,
sociale e ambientale per garantire alle imprese agricole opportunità di sviluppo e reddito in un quadro di piena integrazione dell’agricoltura con gli interessi economici e sociali del Paese” è
l’obiettivo dichiarato da Sergio Marini che, al momento dell’elezione, ha sottolineato che si tratta di “un impegno determinante
per la competitività del Made in Italy, che trova nell’agroalimentare un punto di forza, e per la sicurezza alimentare e ambientale
dei cittadini consumatori anche di fronte alle recenti emergenze
climatiche e sanitarie”.
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LA FEDERPENSIONATI ORGANIZZA CON LE
ASSOCIAZIONI REGIONALI
gli incontri sulle politiche sociali in ogni regione
Riprendono gli incontri sulle politiche sociali che la Federpensionati organizza in ogni regione, insieme alla Federazione regionale ai Consigli Direttivi Pensionati, di Donne Impresa e
di Giovani Impresa, al fine di far conoscere, sul territorio, i
Piani socio-assistenziali a vantaggio della terza età, ma che interessano tutta la famiglia. “L’attuazione del piano socio-sanitario
regionale in ambito locale”, ha come comune denominatore quella “società di persone” che è la caratteristica principale di una
forza sociale qual’è la Coldiretti. Le Politiche sociali, con la legge 328 del 2000, sono diventate un'opportunità di equità distributiva, che attraverso servizi e prestazioni modificano situazioni di svantaggio per categorie di cittadini più deboli.
Infatti questa legge ha introdotto come principio fondante, ma
soprattutto come finalità principale, la costruzione di un sistema
integrato di servizi, indicando il Piano Sociale di zona quale
strumento finalizzato a soddisfare i bisogni delle persone
anziane, disabili e delle problematiche che investono la famiglia.
La sua attuazione deve attuarsi attraverso lo strumento della concertazione, con tutte le forze sociali presenti sul territorio, mentre
la realizzazione deve vedere impegnati gli Organi preposti, secondo il principio della sussidiarietà, in un sistema orizzontale e verticale, con la partecipazione di tutte le risorse e le
forze sociali presenti sul territorio. Queste devono fare in modo che i Comuni si riapproprino dei loro specifici compiti, in
materia di servizi sociali e sanitari, limitando e riducendo le
componenti burocratiche. Si ritiene che le politiche sociali debbano essere investite, in maniera maggiore, più per il bene comune che per quello individuale, evidenziando le difficoltà che
vivono gli anziani e i pensionati delle aree rurali e la necessità di predisporre ed attuare la realizzazione di una rete dei
servizi locali.
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Si sono già svolti due incontri con la collaborazione delle federazioni regionali della Coldiretti Molise e Piemonte.
Nelle due occasioni di incontro c’è stata la partecipazione di
molti rappresentanti delle istituzioni, tra gli altri l’assessore alla
sanità Mario Valpreda e l’assessore alle Politiche Sociali Angela
Migliasso in Piemonte e in Molise del Presidente della Giunta
regionale Michele Iorio. Inoltre partecipano il Presidente e il Direttore regionale Coldiretti, il presidente Natale Carlotto e il Segretario Danilo Elia della Federpensionati e i segretari provinciali
delle Associazioni Pensionati. In primo luogo, si è ribadita l'esigenza che, nell'attuale situazione economica, vengano individuati specifiche politiche per la famiglia e in particolare per
quelle con componenti disabili.
Queste politiche socio-sanitarie, a vantaggio della categoria, devono caratterizzarsi di interventi ed azioni dirette a privilegiare
la qualità della vita e il benessere della famiglia, instaurando
servizi sostitutivi nonché aiuti per superare lo stato di disagio economico del nucleo familiare che assiste i propri congiunti. Bisogna istituire servizi per favorire la permanenza degli
anziani nelle comunità di appartenenza, tenendo presente che essi
svolgono una funzione sociale all'interno delle famiglie e, in
particolare per i coltivatori del territorio (è più conveniente
economicamente, tenere, gli anziani in famiglia che ospedalizzarli). Bisognerebbe avviare protocolli d'intesa con Enti istituzionali territoriali al fine di razionalizzare i servizi, erogare assistenza, utilizzando risorse che provengono dall'integrazione dei
vari piani programmatici territoriali. Rispettando la tradizione
che si rinnova ad ogni incontro è stato ascoltato con grande interesse il momento di riflessione e di aggregazione del Consigliere
Ecclesiastico nazionale Padre Renato Gaglianone. “Quando solidarietà chiama, Coldiretti risponde” Non si può ignorare l’importanza della tematica socio-assistenziale e qui si vuol elogiare
quanto fatto dalla Federpensionati sino ad oggi, perchè è riuscita
a creare una rete che non si occupa solo di previdenza ma, anche
di sociale in senso più ampio.
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DONNE IMPRESA A BRUXELLES
Venerdì 26 gennaio si è svolto a Bruxelles un workshop del Copa-Cogeca “Lotta
contro l’obesità nella UE. Un partenariato
di iniziativa agricola a livello locale”. La
presidente Annette Toft ha dichiarato
“Aprire la strada a favore di comunità
locali più sane attraverso attività sul piano locale fornisce una risposta coesiva al
preoccupante aumento delle malattie croniche e al diffondersi
dell’obesità, che oggi reclamano un prezzo elevato alla società
europea. Gli agricoltori europei sono pronti a contribuire a raccogliere questa sfida”.
Il workshop è stato organizzato nel quadro generale della piattaforma d’azione europea sulla dieta, l’attività fisica e la salute lanciata dal Commissario europeo, Markos Kyprianou, responsabile
per la salute e la tutela dei consumatori, dopo che le cifre avevano dimostrato un aumento esponenziale dell’obesità in tutta l’Unione europea, soprattutto tra i bambini e gli adolescenti. Al convegno erano presenti i rappresentanti delle istituzioni europee,
dei governi nazionali, delle ONG e del settore privato per individuare ed analizzare le lacune in termini di partenariati, attività e
gruppi bersaglio e migliorare la cooperazione tra di loro per garantire una dieta sana.
Nel 2005 l'International Obesity Taskforce (IOFT) ha previsto
che nella UE l'incremento di scolari in sovrappeso sarebbe stato
di circa 400.000 unità. A fronte di tale fenomeno le organizzazioni membri di tutti i paese della UE hanno incrementato iniziative
a livello locale sull’alimentazione, come ad esempio la distribuzione di pasti sani nelle scuole, le fattorie didattiche, i mercati
alimentari locali e il materiale didattico per i giovani.
Il progetto Educazione alla Campagna Amica, nato nel 19992000 si inserisce a pieno titolo nell'ambito di queste politiche.
12
Di fronte ad una platea particolarmente interessata e ricettiva,
Alessandra Tazza, Responsabile Nazionale del progetto, ne ha
illustrato ampiamente le motivazioni, le finalità, gli obiettivi e i
temi.
I giovanissimi, veri protagonisti nonché fruitori di tale progetto,
devono divenire consumatori consapevoli.
La terra, i piatti tipici, gli animali, il lavoro agricolo, rischiano di
essere per loro solo realtà virtuali.
L'educazione e i comportamenti alimentari corretti devono passare attraverso la conoscenza e l'esperienza diretta, la scoperta ed il
gioco. Nell'ambito del progetto i temi affrontati e sviluppati nel
corso di questi anni sono stati L'Educazione Alimentare, l'Educazione al Territorio e l'Educazione alla Sostenibilità. L'obesità giovanile, i disturbi alimentari, quali anoressia e bulimia, problemi
con cui si devono confrontare le famiglie e la società, saranno il
tema della programmazione 2007/2008.
E’ opportuno sottolineare che determinante per la buona riuscita
del progetto, è stata e sarà la metodologia utilizzata. L'iter dell'"imparare facendo" non si avvale della mera nozionistica, ma
privilegia i comportamenti, le esperienze sensoriali ed emotive.
Questo approccio metodologico ha suscitato reazioni decisamente positive nei partecipanti al seminario che ne hanno apprezzato
l'innovatività nonché la riproducibilità in altre realtà.
Il progetto ha senza dubbio prodotto risultati significativi in
quanto ha coinvolto nel corso degli anni 2000-2006 circa 400.000
allievi delle scuole del 1° e 2° ciclo.
Non bisogna sentirsi appagati dai successi finora riportati, ma
attraverso il contributo fattivo di genitori, scuole, comunità locali, governi,dettaglianti, grossisti e istituti di ricerca, far sì che lo
slogan "Dimmi come mangi e ti dirò come cresci" diventi finalmente una realtà di vita.
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GIOVANI IMPRESA: ENERGIA PER IL FUTURO
DELL’AGRICOLTURA E DELL’ECONOMIA ITALIANA
Le imprese agricole giovani rappresentano la componente più
dinamica dell’agricoltura italiana e stanno dimostrando di essere
in grado di contribuire in maniera importante allo sviluppo dell’economia del nostro Paese in un nuovo contesto in cui perdono
importanza i vecchi modelli industriali del ventesimo secolo, per
lasciare spazio ad una nuova concezione dello sviluppo che ormai in molti definiscono “post industriale”.
La strategia del Movimento Giovanile Coldiretti si esprime giorno dopo giorno in azioni concrete che valorizzano le idee di molti
giovani che oggi, in Italia, credono nell’agricoltura e in suo ruolo
rinnovato all’interno della società. Il nostro obiettivo è quello di
rimuovere sempre più gli ostacoli ancora presenti e fare in modo
che ogni giovane possa trasformare il proprio sogno imprenditoriale in realtà, nel rispetto delle esigenze dei cittadini consumatori
che chiedono garanzie in termini di sicurezza alimentare, ambientale e qualità dei prodotti.
Il 2006, appena terminato, ci ha visti protagonisti di eventi importanti che si inseriscono nella “logica del fare” che ci appartiene. Da ultimo, in ordine di tempo, la premiazione della prima edizione dell’Oscar Green. Più di trecento giovani imprese provenienti da ogni Regione si sono messe alla prova in un concorso
che ha voluto dimostrare a tutta la società italiana la voglia di fare impresa in agricoltura. Dal recupero di animali in via di estinzione al coinvolgimento di disabili in azienda, dall’innovazione
di prodotto al recupero delle tipicità, dalla riscoperta delle proprietà medicinali delle piante all’uso non alimentare delle coltivazioni, fino alla trasformazione e vendita aziendale dei prodotti, sono solo alcune delle attività che vedono impegnati i vincitori dell’ “OSCAR GREEN”. Non si è trattato di una “sagra delle
eccellenze”, ma della concretizzazione di modelli di impresa possibili, realizzabili, competitivi sul mercato, che sanno generare
ricchezza non solo per sé ma anche e soprattutto per l’economia
14
del nostro Paese.
Sempre nel 2006 è giunta a conclusione un’esperienza formativa
di altissimo livello che il Movimento Giovanile Coldiretti ha promosso con grande successo: il “Vivaio dei Talenti”, un percorso
formativo della durata di due anni che si è avvalso delle più moderne tecnologie informatiche e dei migliori docenti universitari e
consulenti aziendali per diffondere nelle campagne la cultura
d’impresa con la realizzazione di veri e propri “work project”.
L’aspetto più interessante è la concretezza dei risultati: sono 30 i
progetti d’impresa innovativi già in parte avviati sul territorio,
che riguardano la vendita diretta di prodotti da parte delle imprese agricole e danno il senso di come i giovani imprenditori agricoli siano pronti a dare il loro contributo al rilancio della competitività del sistema Italia.
Ma i risultati raggiunti, anche se ragguardevoli, non ci distolgono
dal cammino che abbiamo di fronte. Un cammino che, durante
l’Assemblea nazionale del Movimento Giovanile dello scorso 6
dicembre, è emerso con chiarezza e che può essere sintetizzato
nello slogan: “Giovani Impresa - Energia per il Futuro”. Se da
un lato ciò richiama un ambito innovativo e interessante per le
imprese agricole, come quello delle agro-energie e delle opportunità di reddito che ne derivano, dall’altro abbiamo un’ambizione
più grande. Vogliamo essere vera energia per l’agricoltura e per
l’economia italiana, mettendo al centro della nostra strategia e
della nostra azione l’impresa agricola multifunzionale, che risponde ad un modello di sviluppo competitivo e sostenibile al
tempo stesso e vogliamo sviluppare tutti gli strumenti per renderla sempre più in grado di stare sul mercato con regole certe e trasparenti, a partire dall’indicazione obbligatoria dell’origine in
etichetta, che Coldiretti difende e che oggi è voluta anche da tutte
le organizzazioni agricole giovanili in Europa, come sottoscritto
nel corso di un seminario del Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori che si è svolto ad Orvieto nel mese di aprile scorso.
Per il 2007 il Movimento Giovanile Coldiretti vuole impegnarsi
con forza sul territorio, che riteniamo il vero valore aggiunto del-
15
la nostra economia.
Un valore aggiunto non delocalizzabile come avviene invece per
gli altri fattori della produzione. Le nostre parole d’ordine per il
nuovo anno appena iniziato, i nostri “buoni propositi” sono chiari: operatività, progettualità e territorialità, per tirare fuori i sogni
dal cassetto dei giovani imprenditori agricoli e trasformarli in
realtà, per dare un contributo al rilancio della competitività del
sistema Italia e per dimostrare di essere “Energia per il Futuro”
dell’agricoltura e del nostro Paese.
——————————————————————————-
∗
Il viaggio studio dei Consiglieri Ecclesiastici Regionali si
svolgerà a Piacenza nella settimana dal 26 al 29 giugno
2007.
NUOVI CONSIGLIERI ECCLESIASTICI
Ciaburri Don Gaetano
Consigliere Ecclesiastico Diocesano
Via Fabio Massimo
82030 FAICCHIO (Bn)
Mazzoleni Don Paolo
Consigliere Ecclesiastico Provinciale Isernia
86073 COLLI AL VOLTURNO (Is)
16
EUTANASIA
∗
Sacra Congregazione per la Dottrina della fede —
Dichiarazione sull’eutanasia
Con la scusa dell’accanimento terapeutico
∗
Quando sospendere la terapia è un atto eutanasico?
∗
Dalla Prolusione del Card. Ruini al Consiglio Permanente della CEI
Io, Welby e la morte - Card. Carlo Maria Martini
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica
∗
∗
∗
Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum
Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum
17
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SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE
DICHIARAZIONE SULL'EUTANASIA
Introduzione
I diritti e i valori inerenti alla persona umana occupano un posto
importante nella problematica contemporanea. Al riguardo, il
Concilio Ecumenico Vaticano II ha solennemente riaffermato
l’eccellente dignità della persona umana e in modo particolare il
suo diritto alla vita. Ha perciò denunciato i crimini contro la vita
“come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia
e lo stesso suicidio volontario” (Gaudium et Spes, 27).
La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, che di recente ha richiamato la dottrina cattolica circa l’aborto procurato,
(Declaratio de abortu procurato, die 18 nov. 1974: AAS 66
[1974] 730-747.) ritiene ora opportuno proporre l’insegnamento
della Chiesa sul problema dell’eutanasia.
In effetti, per quanto restino sempre validi i principii affermati in
questo campo dai recenti Pontefici, (Pio XII, Allocutio ad Delegatos Unionis Internationalis Sodalitatum mulierum catholicarum, die 11 sept. 1947: AAS 39 [1947] 483; Allocutio ad membra
Unionis Catholicae Italicae inter obstetrices, die 29 oct. 1951:
AAS 43 [1951] 835-854; Allocutio ad membra Consilii Internationalis inquisitionis de medicina exercenda inter milites, die 19
oct. 1953: AAS 45 [1953] 744-754; Allocutio ad participantes XI
Congressum Societatis Italicae de anaesthesiologia, die 24 febr.
1957: AAS 49 [1957] 146; cf. etiam Allocutio circa queestionem
de “reanimatione”, die 24 nov. 1957: AAS 49 [1957] 1027-1033;
Paolo VI, Allocutio ad membra Consilii Specialis Nationum Unitarum versantis in quaestione “Apartheid”, die 22 maii 1974:
AAS 66 [1974] 346; Giovanni Paolo II, Allocutio ad Episcopos
Statuum Foederatorum Americae Septentrionalis, die 5 oct 1979:
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 [1979] 629ss) i progressi
della medicina hanno messo in luce negli anni più recenti nuovi
aspetti del problema dell’eutanasia, che richiedono ulteriori pre-
19
cisazioni sul piano etico.
Nella società odierna, nella quale non di rado sono posti in causa
gli stessi valori fondamentali della vita umana, la modificazione
della cultura influisce sul modo di considerare la sofferenza e la
morte; la medicina ha accresciuto la sua capacità di guarire e di
prolungare la vita in determinate condizioni, che talvolta sollevano alcuni problemi di carattere morale. Di conseguenza, gli uomini che vivono in un tale clima si interrogano con angoscia sul
significato dell’estrema vecchiaia e della morte, chiedendosi conseguentemente se abbiano il diritto di procurare a se stessi o ai
loro simili la “morte dolce”, che abbrevierebbe il dolore e sarebbe, ai loro occhi, più conforme alla dignità umana.
Diverse Conferenze Episcopali hanno posto, in merito, dei quesiti
a questa S. Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale,
dopo aver chiesto il parere di competenti sui vari aspetti dell’eutanasia, intende con questa Dichiarazione rispondere alle richieste dei Vescovi per aiutarli ad orientare rettamente i fedeli e per
offrire loro elementi di riflessione da far presenti alle Autorità
civili a proposito di questo gravissimo problema.
La materia proposta in questo Documento riguarda, innanzi tutto,
coloro che ripongono la loro fede e la loro speranza in Cristo, il
quale, mediante la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione, ha
dato un nuovo significato all’esistenza e soprattutto alla morte
del cristiano, secondo le parole di San Paolo: “Sia che viviamo,
viviamo per il Signore; sia che moriamo, moriamo per il Signore.
Quindi, sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signore” (Rm 14,8; cf. Fil 1,20).
Quanto a coloro che professano altre religioni, molti ammetteranno con noi che la fede in un Dio creatore, provvido e padrone
della vita - se la condividono - attribuisce una dignità eminente a
ogni persona umana e ne garantisce il rispetto.
Si spera, ad ogni modo, che questa Dichiarazione incontri il consenso di tanti uomini di buona volontà, che, al di là delle differenze filosofiche o ideologiche, hanno tuttavia una viva coscienza dei diritti della persona umana. Tali diritti, d’altronde, sono
20
stati spesso proclamati nel corso degli ultimi anni da dichiarazioni di Congressi Internazionali; (Attendatur peculiari modo ad Admonitionem 779 [1976] de iuribus aegrotorum et morientium,
quae acceptata fuit a Coetu Deputatorum Consilii Europae, in
XXVII sessione ordinaria. cf. SIPECA, n. 1, mense martio 1977,
pp. 14-15.) è poiché si tratta qui dei diritti fondamentali di ogni
persona umana, è evidente che non si può ricorrere ad argomenti
desunti dal pluralismo politico o dalla libertà religiosa, per negarne il valore universale.
I. Valore della vita umana
La vita umana è il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condizione necessaria di ogni attività umana e di ogni convivenza
sociale. Se la maggior parte degli uomini ritiene che la vita abbia
un carattere sacro e che nessuno ne possa disporre a piacimento, i
credenti vedono in essa anche un dono dell’amore di Dio, che
sono chiamati a conservare e a far fruttificare. Da quest’ultima
considerazione derivano alcune conseguenze:
1. Nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza
opporsi all’amore di Dio per lui, senza violare un diritto fondamentale, inammissibile e inalienabile, senza commettere, perciò,
un crimine di estrema gravità. (Hic omnino praetermittuntur quaestiones de poena mortis et de bello, quae postulant ut aliae fiant
peculiares considerationes, quae huius Declarationis argomento
extraneae sunt.)
2. Ogni uomo ha il dovere di conformare la sua vita al disegno di
Dio. Essa gli è affidata come un bene che deve portare i suoi frutti già qui in terra, ma trova la sua piena perfezione soltanto nella
vita eterna.
3. La morte volontaria ossia il suicidio è, pertanto, inaccettabile
al pari dell’omicidio: un simile atto costituisce, infatti, da parte
dell’uomo, il rifiuto della sovranità di Dio e del suo disegno di
amore. Il suicidio, inoltre, è spesso anche rifiuto dell’amore verso
se stessi, negazione della naturale aspirazione alla vita, rinuncia
di fronte ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso
le varie comunità e verso la società intera, benché talvolta inter-
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vengano- come si sa- dei fattori psicologici che possono attenuare o, addirittura, togliere la responsabilità.
Si dovrà, tuttavia, tenere ben distinto dal suicidio quel sacrificio
con il quale per una causa superiore - quali la gloria di Dio, la
salvezza delle anime, o il servizio dei fratelli - si offre o si pone
in pericolo la propria vita (cf. Gv 15,14).
II. L’eutanasia
Per trattare in maniera adeguata il problema dell’eutanasia, conviene, innanzi tutto, precisare il vocabolario.
Etimologicamente la parola eutanasia significava, nell’antichità,
una morte dolce senza sofferenze atroci. Oggi non ci si riferisce
più al significato originario del termine, ma piuttosto all’intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e
dell’agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematuramente la vita. Inoltre, il termine viene usato, in senso più stretto, con il significato di “procurare la morte per pietà”, allo scopo
di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili il prolungarsi di
una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre degli
oneri troppo pesanti alle famiglie o alla società.
È quindi necessario dire chiaramente in quale senso venga preso
il termine in questo Documento.
Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura
sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare
ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati.
Ora, è necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto
o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto
omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta,
infatti, di una violazione della legge divina, di una offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un at-
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tentato contro l’umanità.
Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopportabile, ragioni di ordine affettivo o diversi altri motivi inducano
qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o
procurarla ad altri. Benché in casi del genere la responsabilità
personale possa esser diminuita o perfino non sussistere, tuttavia
l’errore di giudizio della coscienza - forse pure in buona fede non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre
inammissibile. Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta
invocano la morte, non devono essere intese come espressione di
una vera volontà di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto. Oltre le cure mediche, ciò
di cui l’ammalato ha bisogno, è l’amore, il calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri.
III. Il cristiano di fronte alla sofferenza e all’uso di analgesici
La morte non avviene sempre in condizioni drammatiche, al termine di sofferenze insopportabili. Né si deve sempre pensare unicamente ai casi estremi. Numerose testimonianze concordi lasciano pensare che la natura stessa ha provveduto a rendere più leggeri al momento della morte quei distacchi, che sarebbero terribilmente dolorosi per un uomo in piena salute. Perciò una malattia prolungata, una vecchiaia avanzata, una situazione di solitudine e di abbandono, possono stabilire delle condizioni psicologiche tali da facilitare l’accettazione della morte.
Tuttavia, si deve riconoscere che la morte, preceduta o accompagnata spesso da sofferenze atroci e prolungate, rimane un avvenimento, che naturalmente angoscia il cuore dell’uomo.
Il dolore fisico è certamente un elemento inevitabile della condizione umana; sul piano biologico, costituisce un avvertimento la
cui utilità è incontestabile; ma poiché tocca la vita psicologica
dell’uomo, spesso supera la sua utilità biologica e pertanto può
assumere una dimensione tale da suscitare il desiderio di eliminarlo a qualunque costo.
Secondo la dottrina cristiana, però, il dolore, soprattutto quello
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degli ultimi momenti di vita, assume un significato particolare
nel piano salvifico di Dio; è infatti una partecipazione alla Passione di Cristo ed è unione al sacrificio redentore, che Egli ha
offerto in ossequio alla volontà del Padre. Non deve dunque meravigliare se alcuni cristiani desiderano moderare l’uso degli analgesici, per accettare volontariamente almeno una parte delle
loro sofferenze e associarsi così in maniera cosciente alle sofferenze di Cristo crocifisso (cf. Mt 27,34). Non sarebbe, tuttavia,
prudente imporre come norma generale un determinato comportamento eroico. Al contrario, la prudenza umana e cristiana suggerisce per la maggior parte degli ammalati l’uso dei medicinali
che siano atti a lenire o a sopprimere il dolore, anche se ne possano derivare come effetti secondari torpore o minore lucidità.
Quanto a coloro che non sono in grado di esprimersi, si potrà ragionevolmente presumere che desiderino prendere tali calmanti e
somministrarli loro secondo i consigli del medico.
Ma l’uso intensivo di analgesici non è esente da difficoltà, poiché
il fenomeno dell’assuefazione di solito obbliga ad aumentare le
dosi per mantenerne l’efficacia. Conviene ricordare una dichiarazione di Pio XII, la quale conserva ancora tutta la sua validità. Ad
un gruppo di medici che gli avevano posto la seguente domanda:
“La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici... è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al
paziente (anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che
l’uso dei narcotici abbrevierà la vita)?”, il Papa rispose: “Se non
esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: Sì” (Pio XII,
Allocutio, die 24 febr. 1957: AAS 49 [1957] 147). In questo caso,
infatti, è chiaro che la morte non è voluta o ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando
allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone.
Gli analgesici che producono negli ammalati la perdita della coscienza, meritano invece una particolare considerazione. È molto
importante, infatti, che gli uomini non solo possano soddisfare ai
24
loro doveri morali e alle loro obbligazioni familiari, ma anche e
soprattutto che possano prepararsi con piena coscienza all’incontro con il Cristo. Perciò Pio XII ammonisce che “non è lecito privare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo” (Pio
XII, Allocutio, die 24 febr. 1957: AAS 49 [1957] 145; cf. Pio
XII, Allocutio, die 9 sept. 1958: AAS 50 [1958] 694).
IV. L’uso proporzionato dei mezzi terapeutici
È molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la
dignità della persona umana e la concezione cristiana della vita
contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo. Di fatto,
alcuni parlano di “diritto alla morte”, espressione che non designa il diritto di procurarsi o farsi procurare la morte come si vuole, ma il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e
cristiana. Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici
talvolta può sollevare dei problemi.
In molti casi la complessità delle situazioni può essere tale da far
sorgere dei dubbi sul modo di applicare i principi della morale.
Prendere delle decisioni spetterà in ultima analisi alla coscienza
del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo, oppure anche dei medici, alla luce degli obblighi morali e dei diversi aspetti del caso.
Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che hanno in cura gli ammalati devono prestare la loro opera con ogni
diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno necessari o
utili.
Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio
possibile? Finora i moralisti rispondevano che non si è mai obbligati all’uso dei mezzi “straordinari”. Oggi però tale risposta,
sempre valida in linea di principio, può forse sembrare meno
chiara, sia per l’imprecisione del termine che per i rapidi progressi della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzi
“proporzionati” e “sproporzionati”. In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le
possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare,
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tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali.
Per facilitare l’applicazione di questi principi generali si possono
aggiungere le seguenti precisazioni:
- In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso
dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più
avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non
sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà
anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità.
- È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando
i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere
una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori
dei benefici che se ne possono trarre.
- È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina
può offrire. Non si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di
ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia
non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto
non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in
opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si
potrebbero sperare, oppure volontà di non imporre oneri troppo
gravi alla famiglia o alla collettività.
- Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi
usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a
trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi. Perciò il medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad
una persona in pericolo.
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Conclusione
Le norme contenute nella presente Dichiarazione sono ispirate
dal profondo desiderio di servire l’uomo secondo il disegno del
Creatore. Se da una parte la vita è un dono di Dio, dall’altra la
morte è ineluttabile; è necessario, quindi, che noi, senza prevenire in alcun modo l’ora della morte, sappiamo accettarla con piena
coscienza della nostra responsabilità e con tutta dignità. È vero,
infatti, che la morte pone fine alla nostra esistenza terrena, ma
allo stesso tempo apre la via alla vita immortale. Perciò tutti gli
uomini devono prepararsi a questo evento alla luce dei valori umani, e i cristiani ancor più alla luce della loro fede.
Coloro che si dedicano alla cura della salute pubblica non tralascino niente per mettere al servizio degli ammalati e dei moribondi tutta la loro competenza; ma si ricordino anche di prestare loro
il conforto ancor più necessario di una bontà immensa e di una
carità ardente. Un tale servizio prestato agli uomini è anche un
servizio prestato al Signore stesso, il quale ha detto: “Ogni volta
che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
Roma, dalla sede della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, il 5 maggio 1980
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CON LA SCUSA DELL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO
Dott.ssa Claudia Navarini *
“Nel 1978 ci fu il caso Quinlan, che verteva sul distacco del respiratore e aprì la strada al cosiddetto 'diritto di morire'. Il concetto di autonomia del paziente non può essere usato per dare una
vernice di rispettabilità al dovere di morire”.
Queste parole sono state pronunciate dal giornalista americano
Wesley J. Smith, intervistato sulla morte di Piergiorgio Welby,
come riportato dal “Foglio” in un articolo di Giulio Meotti (G.
Meotti, Quando sentite parlare di qualità e di dignità della vita,
allontanatevi, “Il Foglio”, 23/12/2006). Smith, che aveva testimoniato nel caso Terry Schiavo a favore del mantenimento in
vita della donna, osserva come la dottrina della “qualità della vita” stia diventando una sorta di “nuova religione”, improntata ad
uno stravolgimento del concetto stesso di umanità (il transumanesimo) e viziata da un profondo pregiudizio ideologico: in virtù
di una fraintesa nozione di uguaglianza, infatti, per la quale si
dovrebbe offrire a ciascuno il diritto di scegliere i tempie e i modi
della propria morte, si giustifica l’ingiusta discriminazione fra
persone e “non persone”, cioè fra vite degne e vite “non degne di
essere vissute”.
Secondo tale prospettiva, afferma Smith, “non persone sarebbero
gli embrioni e i feti, alcuni bioeticisti dicono anche alcuni nuovi
nati, Terri Schiavo e Ronald Reagan durante le fasi finali dell'Alzheimer. Il vero problema è una visione asfissiante di ciò che ci
rende umani e può portarci nell'abisso, un mondo puramente materialistico e darwinistico dove il forse diventa il giusto”.
Così, nell’attuale dibattito sulla fine della vita, un caso clinico e
umano specifico diviene lo strumento attraverso cui attivare una
campagna pervasiva e sottile a favore dell’eutanasia, una campagna a cui non giovano i commenti della stampa straniera, talora a
causa di una comprensione non piena della situazione, talora per
la mentalità già fortemente influenzata dal fronte pro-eutanasico
nei rispettivi paesi.
La morte di Piergiorgio Welby ha addolorato tutti, e ha accre-
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sciuto enormemente i dubbi e le domande sul ruolo del medico,
sull’autonomia del paziente, sui suoi diritti, sui suoi doveri. Il
fatto è tanto più doloroso in quanto proprio mentre si decideva la
fine di Welby, il mondo medico – e con lui quello culturale e politico – stava compiendo interessanti tentativi per rivedere l’impostazione con cui il “caso” era stato costruito, presentato, commentato. In particolare, si stava cercando di dare un parere medico, ragionato e autorevole, che cercasse finalmente di tenere in
considerazione tutti i fattori in gioco, e non soltanto quelli messi
in evidenza da una certa propaganda.
Ne stava emergendo un quadro interessante, che destava sospetti
sull’adeguatezza dell’assistenza medico-sanitaria e psicologicorelazionale ricevuta da Piergiorgio Welby, e che poneva l’attenzione sul ruolo del medico nelle inquietanti richieste di eutanasia,
rompendo così la lunga catena di discorsi basati pressoché esclusivamente sull’autodeterminazione – assoluta – del paziente, e
rimettendo al centro l’inevitabile responsabilità del medico e la
natura dell’atto medico nella questione dell’eutanasia.
Tre sembrano essere i punti su cui fermare l’attenzione per cogliere la problematicità del dibattito nel dopo-Welby. Il primo
punto è la libertà di rifiutare la terapia. Molti hanno affermato
che il caso Welby non riguardava affatto l’eutanasia, ma semplicemente il sacrosanto diritto dei pazienti di rifiutare un trattamento sanitario, pretendendone la sospensione quando ritenuto
“troppo gravoso”. Tale diritto va inteso tuttavia correttamente: è
vero che non è lecito imporre un trattamento sanitario ad un paziente, esclusi i casi specificati per legge, ma non è parimenti lecito sospendere un trattamento sanitario già iniziato, efficace –
cioè non sproporzionato in relazione agli obiettivi specifici per
cui è stato intrapreso – e la cui interruzione equivale a procurare
la morte. Un medico, infatti, non può agire in modo da provocare
direttamente la morte, sia pure come mezzo per ottenere uno scopo buono, come eliminare il dolore.
Dunque, è assolutamente fondamentale valutare il significato della richiesta di sospensione del trattamento da parte del paziente.
29
Se è effettivamente la richiesta di interruzione di un trattamento
non più tollerato in quanto non (più) proporzionato alle condizioni del malato, si tratterà di rifiuto dell’accanimento terapeutico,
che doverosamente ogni medico sosterrà. Se si tratta invece di
una richiesta di morte per mezzo della sospensione di un trattamento dovuto – a volte nemmeno di una terapia, come nel caso
dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali – allora il medico
semplicemente non potrà eseguire la richiesta, perché ciò coinvolgerebbe il suo intervento in un atto occisivo e non curativo, e
dunque nell’esecuzione di un atto non medico di grave portata
per il paziente e in generale per il significato dell’assistenza sanitaria.
Anche il rifiuto previo di una terapia da parte di un paziente potrebbe invero indicare una volontà suicidaria, e tuttavia la situazione è alquanto differente, dal momento che – in questo caso –
non si tratta di intervenire per assecondare la volontà suicidaria
del paziente, ma dell’impossibilità di intervenire in suo favore,
pur avendone l’intenzione e avendo cercato con forza di persuaderlo in tal senso (C. Navarini, Quando sospendere la terapia è
un atto eutanasico?, ZENIT, 29 ottobre 2006).
Che è quanto dire: mentre il paziente capace di intendere e di volere – di cui una valutazione specifica abbia dimostrato la totale
lucidità – ha sempre la possibilità di rifiutare preventivamente un
trattamento sanitario, anche se ciò gli procurasse un danno e al
limite anche se ciò avvenisse per esplicita volontà di morire, lo
stesso paziente non ha il diritto di chiedere ad un medico di dargli
la morte, né in modo attivo (somministrazione di un farmaco letale) né in modo passivo (sospensione di un trattamento necessario alla vita). Azione e omissione, in altre parole, sono entrambi
modi con cui si può infliggere direttamente e intenzionalmente la
morte di una persona, diversamente da quanto avviene quando,
ad esempio con la somministrazione di analgesici o con il rifiuto
di un trattamento sproporzionato, si causa indirettamente l’anticipazione della morte. In tali casi, infatti, la morte non è ricercata
come mezzo né come fine, ma è conseguenza non voluta – anche
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se talora prevedibile – di un atto teso alla cura del paziente.
Si arriva così al secondo decisivo punto di attenzione: l’uso distorto dell’accanimento terapeutico. Gran parte delle discussioni
dell’ora presente, in Italia, riguardano proprio questo tema. Ci si
chiede affannosamente se la morte di Piergiorgio Welby sia avvenuta per legittimo rifiuto dell’accanimento terapeutico o per
eutanasia passiva (qualcuno ipotizza perfino che possa essere stata attiva). In questo senso, non sono poche le voci che, a livello
nazionale e internazionale e anche in ambito cattolico, affermano
che il caso sia del tutto a-problematico dal punto di vista etico, e
che sia stato enfatizzato dai mezzi di comunicazione, scatenando
il dibattito sull’eutanasia a partire da un evento che con l’eutanasia non ha in sé nulla a che vedere.
Eppure non si può non notare che Welby è stato un uomo politico, oltre ad un uomo sofferente e malato, e che ripetutamente si è
espresso a favore dell’eutanasia, al punto da saldare strettamente
la sua richiesta di morire all’eutanasia, e non al rifiuto dell’accanimento terapeutico. In effetti, il fondamentale elemento discriminante per distinguere l’accanimento terapeutico dalle cure dovute è, come già ricordato, la valutazione medica dell’inefficacia
di una terapia o di un trattamento sanitario in relazione agli obiettivi specifici per cui viene intrapreso, in un paziente che si
trova nell’imminenza della morte. Non è quindi mai un giudizio
sul valore di una vita – o sulla “qualità di vita” – né la valutazione soggettiva di un paziente che “non vuole più vivere a determinate condizioni” (C. Navarini, Né accanimento né eutanasia, Zenit. Servizio giornaliero,10 dicembre 2006, http://www.zenit.org/
italian/visualizza.php?sid=10043). Al limite, il medico potrà tenere conto della volontà del paziente rispetto al trattamento in
questione, per valutare meglio una situazione di accanimento terapeutico. È noto, infatti, che l’avversione alla terapia da parte di
un paziente ne può diminuire o addirittura vanificare i benefici.
Esaminando le dichiarazioni effettuate per anni da Welby, e in
particolare la famosa lettera al presidente della repubblica, non
pare che il paziente avesse avanzato obiezioni specifiche su una
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terapia o su un trattamento, ad esempio sul respiratore il cui distacco gli ha procurato la morte, ma che avesse chiesto la morte
tout court, e che la sospensione della terapia fosse precisamente
un mezzo per ottenere la morte. Dunque, nel caso Welby, posto
che il respiratore non costituiva una forma di accanimento terapeutico (come indicato dal Consiglio Superiore di Sanità il giorno prima della morte), il distacco del dispositivo poteva avere
unicamente la valenza di eutanasia, e dunque di abuso da parte
del medico che ha eseguito l’azione.
Ma c’è di più. L’ipotesi che il caso Welby rientri nell’accanimento terapeutico sta producendo un altro pernicioso doppio tranello
in cui troppi - particolarmente tra quanti paiono disposti a battersi
contro l’eutanasia - rischiano di cadere: quello di invocare una
regolamentazione che impedisca per legge tale pratica, difendendo i pazienti dall’invadenza dei medici e della medicina, e più in
generale di spostare il dibattito dalla natura antiumana, irragionevole dell’eutanasia e dalla ancora diffusa ostilità dell’opinione
pubblica ad essa, alla questione dell’accanimento terapeutico,
come se i due problemi fossero quantitativamente e qualitativamente sullo stesso piano. Occorrerà tornare su questo punto cruciale. Spostando astutamente l’attenzione dalla soppressione/
suicidio dei malati all’allarme sull’accanimento, si produce l’indebolimento dell’opposizione all’eutanasia sulla base del timore
di favorire crudeli “accanimenti terapeutici”. Il tutto accompagnato da un martellamento mediatico su casi pietosi e dalla progressiva confusione su cosa effettivamente costituisca
“accanimento terapeutico”.
In attesa di ottenere l’abbassamento della soglia di resistenza dell’opinione pubblica e degli attori istituzionali e culturali, si insisterà nel chiedere non l’eutanasia – parola ancora sospetta – ma
la “cessazione dell’accanimento terapeutico”. E così, cedendo
sulla pretesa “necessità” di “una qualche regolamentazione” dell’accanimento, si regala ai fautori dell’eutanasia dapprima la voluta confusione sull’accanimento stesso e poi, fatalmente, una
legge sull’eutanasia, magari preparata giuridicamente dai testa-
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menti biologici e i loro immancabili “paletti severissimi”, ovvero
quei limiti che, presentati come garanzie, indicano solo quale sarà il primo passo della successiva mossa propagandistica e legislativa.
L’approccio legalistico sull’accanimento terapeutico - oltre al suo
ruolo nella strategia eutanasica - contribuisce a scavare fra medico a paziente un solco profondo, che ha oramai pressoché distrutto l’alleanza terapeutica e il rapporto fiduciario su cui si fonda ab
origine la stessa medicina. Sarebbe invece opportuno ridimensionare la questione dell’accanimento terapeutico, precisando che
tale accanimento – quello vero – non rappresenta il “grande pericolo” dell’assistenza sanitaria, non è così frequentemente praticato come si vuol far credere, rappresenta un errore che i medici
sanno evitare e, dunque, non vi è alcun bisogno di una legge che
difenda in tale senso i pazienti.
Quale legge, infatti, può tutelare i pazienti da un errore medico?
Da una parte, l’errore colpevole è come tale già vietato dalla legge e dalla deontologia; dall’altra, non si potrà mai impedire del
tutto che, nell’esercizio della sua professione, un medico sbagli la
sua valutazione e le scelte terapeutiche che, come è ovvio, sono
sempre effettuate in situazioni specifiche, sfuggendo alle generalizzazioni e all’astrattezza della norma. In definitiva, quel che
serve per denunciare i casi di vero accanimento terapeutico esiste
già, mentre la formula magica della perfezione diagnostica, terapeutica e assistenziale non esisterà mai.
Occorre piuttosto ristabilire la fiducia del paziente per il medico,
a partire dalla banale ma indubitabile constatazione che la stragrande maggioranza di questi pratica la medicina con onestà e
coscienza, ricercando in ogni situazione il bene del paziente e
portando avanti con fedeltà la sua missione di servire la vita dene, ovvero l’inutilità e anzi la dannosità di un riconoscimento legale ai cosiddetti “testamenti di vita”, che vincolerebbe l’azione
del medico anche contro la sua professionalità, trasformandolo in
un mero esecutore della volontà del paziente e che bloccherebbe
la libertà del malato in uno scenario ipotetico di impossibile de-
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bole e malata.
Ecco perché è necessario evidenziare l’ultimo punto di attenzione, ovvero l’inutilità e anzi la dannosità di un riconoscimento legale ai cosiddetti “testamenti di vita”, che vincolerebbe l’azione
del medico anche contro la sua professionalità, trasformandolo in
un mero esecutore della volontà del paziente e che bloccherebbe
la libertà del malato in uno scenario ipotetico di impossibile determinazione in una situazione anticipata (M.L. Di Pietro, Tra
testamenti di vita e direttive anticipate: considerazioni bioetiche,
AA.VV., Né accanimento né eutanasia, I Quaderni di Scienza e
Vita, 1, dicembre 2006, pp. 79-87).
* Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
ROMA, domenica, 14 gennaio 2007 (ZENIT.org)
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QUANDO SOSPENDERE LA TERAPIA E’ UN ATTO
EUTANASICO?
Dott.ssa Claudia Navarini *
Gentile Professoressa,
sono una studentessa liceale e avrei due domande da rivolgerle.
Una riguarda i casi di stato vegetativo, come Eluana Englaro, la
ragazza che si trova in questo stato da 14 anni: perché non è accanimento terapeutico mantenerla in vita, se in altri tempi o in
altri luoghi, dove la rianimazione non è all’avanguardia – sarebbe già morta naturalmente? La seconda: se è lecito rifiutare
qualsiasi terapia (ho visto proprio un suo articolo, tempo fa, in
cui difendeva la libertà di rifiutare l’amputazione a una gamba
da parte di una donna siciliana, che per questo è morta!), allora
perché non si può rifiutare lecitamente anche il sostegno vitale,
ad esempio il respiratore o l’alimentazione artificiale?
Grazie mille per l’attenzione.
Mara C. Livorno
Cara Mara,
le sue domande vanno proprio al cuore dei continui dibattiti sul
tema dell’eutanasia, e toccano i punti certamente più sensibili,
quelli davvero cruciali. E forse anche i più ardui da comprendere,
dal momento che coinvolgono questioni molto profonde, come il
senso della libertà umana e la dignità dell’uomo. Cercherò di risponderle in modo sintetico. Innanzitutto occorre precisare che
Eluana Englaro, analogamente a quanto era accaduto per Terri
Schiavo, non ha alcun bisogno di “rianimazione”. Respira autonomamente, non soffre, non è in condizioni terminali, cioè nell’imminenza della morte. Questo è perfettamente normale per i
pazienti in stato vegetativo, che si trovano in una condizione clinica particolare, senza apparenza di consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante eppure in grado di mantenere attive le loro
funzioni vitali – dal ritmo sonno/veglia alla termoregolazione,
dalla presenza di riflessi nervosi alla conservazione del sistema
cardiocircolatorio – grazie all’integrità, almeno parziale, del tron-
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co encefalico. Il paziente in stato vegetativo presenta lesioni alla
corteccia cerebrale, che quando è del tutto compromessa lo pone
in una situazione definita di morte corticale. Ma si tratta sempre
di un essere umano vivo, di una persona, di un paziente da curare
come ogni altro (cfr. G.L. Gigli, Lo stato vegetativo
“permanente”: oggettività clinica, problemi etici e risposte di
cura, “Medicina e Morale”, 2002/2, pp. 207-228).
Fra le cure di cui ha bisogno, vi sono l’alimentazione e l’idratazione artificiale, dato che non può alimentarsi da solo. Chi ritiene
che tali mezzi di sostegno vitale – di tipo non rianimativo, come
già detto – vadano sospesi, adduce solitamente tre ragioni: a) bisogna “porre un limite” alle sofferenza di queste persone, b) non
possono stare anni e anni in una condizione così “indegna”, c)
bisogna rispettare la loro volontà, sapendo o presumendo che non
vorrebbero essere tenute in vita in quello stato.
Per quanto riguarda il “porre fine alle sofferenze”, bisogna ribadire che la condizione di stato vegetativo non è dolorosa, e che
comunque - laddove un paziente provi invece dolore intenso, in
fase terminale o in altra situazione – la medicina palliativa è di
grande aiuto, offrendo la possibilità di controllare e alleviare ogni
dolore fisico in modo soddisfacente. Al contrario, la debilitazione
cui va incontro il paziente privato di acqua e cibo è estremamente
gravosa, e la morte che gli si conferisce non è affatto dolce.
Nel “protocollo di uscita” di Terri Schiavo, quello che descriveva
tutte le fasi dell’agonia fino alla morte per disidratazione, era prevista la somministrazione di un’ingente quantità di farmaci, allo
scopo di contenere la sintomatologia dolorosa nel caso – mai del
tutto escluso – che la paziente potesse percepire le sofferenze fisiche. Dunque, per far morire Terri Schiavo sono state necessarie
forti dosi di analgesici ordinari e di oppiacei, a dimostrare che la
procedura scelta, cioè la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, non solo uccideva una paziente che non
stava manifestando alcun dolore, ma lo faceva nel modo più crudele. Alimentazione e idratazione artificiali, in realtà, non possono essere considerate forme di accanimento terapeutico, non rap-
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presentano in alcun modo terapie gravose che prolungano inutilmente l’agonia, ma cure normali che mantengono la vita contribuendo piuttosto a dare, per quanto possibile, sollievo e benessere. Anche quando lo scopo dell’azione eutanasia fosse l’eliminazione “alla radice” della sofferenza, tuttavia, tale atto non può
essere moralmente giustificato, dal momento che utilizza un mezzo intrinsecamente cattivo – uccidere un innocente – per ottenere
un fine eventualmente buono, come l’eliminazione del dolore.
Come ebbe a dire efficacemente il papa Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae, “l’eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante “perversione” di essa: la era
“compassione”, infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza”.
Sembra allora assai più onesto sostenere la seconda ragione,
quella veramente sottesa al problema dell’eutanasia non consensuale, cioè la convinzione che, a certe condizioni, la vita umana
“non sia più degna di essere vissuta”. Occorre essere tuttavia ben
consapevoli che tale affermazione ci riporta irrimediabilmente
indietro nel tempo, e precisamente al tempo in cui il programma
per l’eutanasia nazional-socialista eliminava, con le stesse identiche motivazioni, cittadini tedeschi unicamente perché disabili,
deformi o terminali. Se accettiamo l’idea che alcune vite umane
non sono più degne e in quanto tali vanno eliminate, affermiamo
implicitamente il principio eugenetico secondo cui i più forti, i
sani, gli efficienti devono dominare e prevalere su chi non lo è. A
questo punto, nessun malato e in generale nessun debole potrà
mai essere sicuro di vedere tutelato il suo diritto fondamentale
alla vita e all’inviolabilità, e ogni garanzia di giustizia verrebbe
meno. Anzi, avremmo la certezza dell’ingiustizia sociale, e con
essa la fine del diritto e della civiltà. L’ordine sociale non può
che fondarsi sul riconoscimento della indisponibilità della vita
umana, e dunque del suo valore, indipendentemente da ogni valutazione relativa qualità, manifestazioni, caratteristiche soggettive.
Resta l’ultimo punto, quello della volontà suicidaria del paziente,
in questo caso anticipata o presunta. La presunzione della volontà
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su una materia così importante, già intuitivamente, dovrebbe risultare inaccettabile. Come si può interpretare in senso suicidario
affermazioni pronunciate molto tempo prima, in situazioni completamente diverse, magari in un momento di difficoltà, di sconforto o di paura? Ciascuno dovrebbe interpretare le altrui richieste di morte, ipotetiche o attuali, innanzitutto come richieste di
aiuto, presumendo semmai che in condizioni di tranquillità, di
controllo adeguato del dolore e di premurosa assistenza ogni persona voglia continuare a vivere.
È soprattutto per questa ragione, fra l’altro, che l’eventuale contenuto eutanasico dei cosiddetti “testamenti di vita” va sempre
considerato inapplicabile. È sempre inapplicabile in quanto sempre inattuale. La realizzazione di una richiesta anticipata di morire, poiché nasce in uno scenario unicamente immaginato, va equiparata di fatto all’eutanasia di un non consenziente, anche solo
per ragioni prudenziali. La richiesta di morire effettuata da un
paziente cosciente, d’altra parte, carica il medico e tutta la società
di una responsabilità assolutamente sproporzionata, ovvero quella di uccidere un innocente. Il fatto che tale atto inesorabilmente
omicida avvenga “d’accordo con la vittima” non ne toglie la gravità morale. Che la richiesta da parte dal malato vi sia stata oppure no – e che sia stata davvero consapevole, libera, costante, ben
interpretata oppure no – resta il fatto drammatico e ignobile che
un medico – ma potrebbe in fondo essere chiunque – uccide volontariamente una persona, invece di curarla il meglio possibile.
In questo modo si esce completamente dai confini della medicina, dal ruolo professionale del medico, ma anche da quello di
chiunque altro commetta un simile gesto – il ruolo di madre o di
padre, di figlio, di amico, di tutore – e si diventa qualche cosa di
totalmente diverso: giustizieri, esecutori, omicidi? I termini possono variare; in ogni caso, ci si conferisce un potere sulla vita
altrui che nessun uomo può pretendere di avere, nemmeno se la
vittima è consenziente. E qui si esplica anche l’ultima questione,
ovvero la differenza etica fra il rifiuto della terapia da parte del
paziente e la richiesta eutanasica.
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Nel primo caso il limite invalicabile all’azione del medico, pur
sinceramente convinto che una determinata terapia sia nel miglior
interesse del malato, è la libertà attuale del soggetto, che non può
essere costretto ad effettuare un trattamento sanitario. Si dovranno compiere tutti i tentativi per persuaderlo, si potrà procedere
nel caso si verifichi un’urgenza ed egli non sia cosciente (nel
dubbio che abbia cambiato idea si propende infatti per la vita) ma
non gli si potrà imporre la procedura. Il medico non può farlo.
Il paziente che rifiuta, d’altra parte, potrebbe farlo anche per ragioni buone, che nulla hanno a che vedere con la volontà di morire. Potrebbe infatti vedere un bene più grande da realizzare, che
risulta incompatibile con il trattamento proposto. In questo caso,
sceglierebbe quel bene rinunciando – pur senza volerlo direttamente – al bene della vita, o della salute. Diverso è il caso in cui
sia l’azione libera del medico a produrre concretamente la morte.
Se allo scopo di morire un paziente vuole interrompere, con l’aiuto di un medico, un trattamento dovuto, cioè non sproporzionato, e quindi doveroso per mantenere la vita, tale medico – o chi
per lui – viene chiamato ad essere complice di un gesto suicida. E
anche questo il medico non può farlo.
Verrebbe altrimenti meno la sua integrità morale e si sancirebbe
la rottura nell’alleanza terapeutica fra medico e paziente, che in
un simile contesto non ha più senso alcuno. Non è un caso che
dove l’eutanasia è divenuta legge, il rapporto fiduciario fra medico e paziente abbia subito un colpo durissimo, e la diffidenza reciproca per converso cresca a dismisura. Il semplice fatto che l’eutanasia chiami sistematicamente e premeditatamente in causa,
a partire da una volontà apparentemente suicidarla, un’altra volontà “esecutiva” di supporto dà tutta la misura dell’aberrazione
in cui può cadere uno stato di diritto quando è andato perduto il
senso autentico della pietà e il sincero ardore per il bene comune.
* Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
ROMA, domenica, 29 ottobre 2006 (ZENIT.org)
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DALLA PROLUSIONE DEL CARD. RUINI
AL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI
Un’altra questione assai delicata sotto il profilo umano ed etico,
di cui il Parlamento ha iniziato l’esame, è quella delle
“dichiarazioni anticipate di trattamento”. Un punto essenziale, sul
quale sembra esservi un ampio consenso, è il rifiuto dell’eutanasia, quali che siano i motivi e i mezzi, le azioni o le omissioni,
addotti e impiegati al fine di ottenerla. Al tempo stesso è legittimo rifiutare l’accanimento terapeutico, cioè il ricorso a procedure
mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose
per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi. La rinuncia all’accanimento terapeutico non può giungere però al punto di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in
particolare quell’“abbandono terapeutico” che priva il paziente
del necessario sostegno vitale attraverso l’alimentazione e l’idratazione, come si è espresso nel 2003 il Comitato Nazionale per la
Bioetica.
La volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso
un suo fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari,
non possono pertanto avere per oggetto la decisione di togliere la
vita al malato stesso. Va inoltre salvaguardato il rapporto, personale e in concreto sommamente importante, tra il medico, il paziente e i suoi familiari, come anche il rispetto della coscienza del
medico chiamato a dare applicazione alla volontà del malato, e
più in generale della deontologia medica. In questa materia tanto
delicata appare dunque una norma di saggezza non pretendere
che tutto possa essere previsto e regolato per legge. Sono altrettanto importanti e doverose le terapie che attenuano la sofferenza
e una vicinanza affettuosa e costante ai pazienti e alle loro famiglie.
Una vicenda umana dolorosa, che ha coinvolto a lungo la nostra
gente, è stata quella di Piergiorgio Welby. Essa mi ha chiamato
in causa anche personalmente, quando è giunta la richiesta del
funerale religioso dopo la sua morte. La sofferta decisione di non
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concederlo nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine, ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa
sarebbe stata infatti per la Chiesa impossibile e contraddittoria,
perché avrebbe legittimato un atteggiamento contrario alla legge
di Dio. Nel prendere una tale decisione non è mancata la consapevolezza di arrecare purtroppo dolore e turbamento ai familiari
e a tante altre persone, anche credenti, mosse da sentimenti di
umana pietà e solidarietà verso chi soffre, sebbene forse meno
consapevoli del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la
persona del malato può disporre. Soprattutto ci ha confortato la
fiducia che il Dio ricco di misericordia non solo è l’unico a conoscere fino in fondo il cuore di ogni uomo, ma è anche Colui che
in questo cuore agisce direttamente e dal di dentro, e può cambiarlo e convertirlo anche nell’istante della morte.
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IO,WELBY E LA MORTE
Card. Carlo Maria Martini
Con la festa dell’Epifania 2007 sono entrato nel ventisettesimo
anno di episcopato e sto per entrare, a Dio piacendo, anche nell’ottantesimo anno di età. Pur essendo vissuto in un periodo storico
tanto travagliato (si pensi alla seconda guerra mondiale, al Concilio e postconcilio, al terrorismo eccetera), non posso non guardare con gratitudine a tutti questi anni e quanti mi hanno aiutato a
vivere con sufficiente serenità e fiducia. Tra di essi debbo annoverare anche i medici e gli infermieri di cui, soprattutto a partire
da un certo tempo, ho avuto bisogno per reggere alla fatica quotidiana e per prevenire malanni debilitanti. Di questi medici e infermieri ho sempre apprezzato la dedizione, la competenza e lo
spirito di sacrificio. Mi rendo conto però, con qualche vergogna e
imbarazzo, che non a tutti è stata concessa la stessa prontezza e
completezza nelle cure. Mentre si parla giustamente di evitare
ogni forma di “accanimento terapeutico”, mi pare che in Italia
siamo ancora non di rado al contrario, cioè a una sorta di
“negligenza terapeutica” e di “troppo lunga attesa terapeutica”. Si
tratta in particolare di quei casi in cui le persone devono attendere troppo a lungo prima di avere un esame che pure sarebbe necessario o abbastanza urgente, oppure di altri casi in cui le persone non vengono accolte negli ospedali per mancanza di posto o
vengono comunque trascurate. E’ un aspetto specifico di quella
che viene talvolta definita come “malasanità” e che segnala una
discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari che per legge devono essere a disposizione di tutti allo stesso modo.
Poiché, come ho detto sopra, infermieri e medici fanno spesso il
loro dovere con grande dedizione e cortesia, si tratta perciò probabilmente di problemi di struttura e di sistemi organizzativi. Sarebbe quindi importante trovare assetti anche istituzionali, svincolati dalle sole dinamiche del mercato, che spingono la sanità a
privilegiare gli interventi medici più remunerativi e non quelli
più necessari per i pazienti, che consentano di accelerare le azioni
terapeutiche come pure l’esecuzione degli esami necessari.
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Tutto questo ci aiuta ad orientarci rispetto a recenti casi di cronaca che hanno attirato la nostra attenzione sulla crescente difficoltà che accompagna le decisioni da prendere al termine di una malattia grave. Il recente caso di P.G. Welby, che con lucidità ha
chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio, costituite negli ultimi nove anni da una tracheotomia e da un ventilatore automatico, senza alcuna possibilità di miglioramento, ha
avuto una particolare risonanza. Questo in particolare per l’evidente intenzione di alcune parti politiche di esercitare una pressione in vista di una legge a favore dell’eutanasia. Ma situazioni
simili saranno sempre più frequenti e la Chiesa stessa dovrà darvi
più attenta considerazione anche pastorale.
La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pura in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro
il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le
nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci
sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non
prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona. E’ di grandissima importanza in questo contesto distinguere
tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico, due termini spesso confusi. La prima si riferisce a un gesto che intende
abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda
consiste nella “rinuncia … all’utilizzo di procedure mediche
sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo” (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). Evitando l’accanimento terapeutico “non si vuole …procurare la
morte: si accetta di non poterla impedire” (Catechismo della
Chiesa Cattolica, n. 2.278) assumendo così limiti propri della
condizione umana mortale.
Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi
matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto
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a lui compete – anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite – di valutare se le cure che gli vengono proposte
in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate. Del resto questo non deve equivalere a lasciare il malato in
condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni, secondo una concezione del principio di autonomia che
tende erroneamente a considerarla come assoluta.
Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto
quando il momento della morte si avvicina. Forse sarebbe più
corretto parlare non di “sospensione dei trattamenti” (e ancor meno di “staccare la spina”), ma di limitazione dei trattamenti. Risulterebbe così più chiaro che l’assistenza deve continuare, commisurandosi alle affettive esigenze della persona, assicurando per
esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche. Proprio in questa linea si muove la medicina palliativa, che riveste
quindi una grande importanza.
Dal punto di vista giuridico, rimane aperta l’esigenza di elaborare
una normativa che, da una parte, consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato) delle cure – in quanto ritenute sproporzionate dal paziente -, dall’altra protegga il medico da eventuali accuse (come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio),
senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell’eutanasia. Un’impresa difficile, ma non impossibile: mi dicono
che ad esempio la recente legge francese in questa materia sembri
aver trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di realizzare un sufficiente consenso in una società pluralista.
L’insistenza sull’accanimento da evitare e su temi affini (che
hanno un alto impatto emotivo perché riguardano la grande questione di come vivere in modo umano la morte) non deve però
lasciare nell’ombra il primo problema che ho voluto sottolineare,
anche in riferimento alla mia personale esperienza. E’ soltanto
guardando più in alto e più oltre che è possibile valutare l’insieme della nostra esistenza e di giudicarla alla luce non di criteri
puramente terreni, bensì sotto il mistero della misericordia di Dio
e della promessa della vita eterna.
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DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
L’EUTANASIA 1930
2276 Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un
rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono
essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto
possibile normale. 2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi,
l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone
handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile. Così un’azione oppure un’omissione che, da sé
o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al
dolore, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità
della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore.
L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede,
non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e
da escludere. 193 1503
2278 L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose,
straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere
legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“ accanimento terapeutico ”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se
ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne
hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole
volontà e gli interessi legittimi del paziente.
2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le
sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i
suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana,
se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A
questo titolo devono essere incoraggiate.
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∗
“Rilettura” delle
Lettere dal lago di Como di Romano Guardini
a cura di Don Gabriele Gerini
Consigliere Ecclesiastico Interprovinciale di Firenze-Prato
∗
Sussidi Quaresima 2007
"... come io vi ho amato" (Gv 13,34)
∗
Sussidi Quaresima 2007
"... come io vi ho amato" (Gv 13,34)
Opuscolo per le famiglie
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“RILETTURA” delle LETTERE DAL LAGO DI COMO
di Romano Guardini
a cura di Don Gabriele Gerini
Consigliere Ecclesiastico Interprovinciale di Firenze-Prato
Romano Guardini è certamente uno dei più grandi teologi e filosofi del '900. In anni ormai lontani ho letto per la prima volta le
sue Lettere dal lago di Como. Pagine preziose scritte tra il 1923 e
il 1925. Ne rimasi felicemente colpito. Le ho rilette tempo fa.
Conservano anche oggi la loro importanza ed il loro valore. Qual
è il messaggio di Guardini nelle sue Lettere?
Guardini era molto preoccupato dell'invadenza della tecnica moderna (e non era certo contro la modernità) che sta va minacciando
anche i bellissimi paesaggi del comasco. Veniva ad essere spezzato il rapporto tra "natura" e "cultura", tra natura e opera umana.
Il motoscafo o la motocicletta con la loro presenza e i loro rumori
decretano già la fine del mondo antico. "Si è portati a pensare scrive Guardini - che la vita, in questi paesi, quasi ancora in contatto diretto con la sua fonte, passi direttamente nel tempo, nel
lavoro, nella gioia, nella malattia, nella morte. E' più vita, se vuoi
prendere la parola nel suo semplice e palpitante significato."
Guardini coglie in questa terra comasca il mistero della natura
che si rivela nel suo significato più profondo e religioso. Leggiamo pagine bellissime, come quando si ferma ad osservare la barca a vela, cogliendo la profonda armonia fra natura e cultura.
Scrive nella "Lettera seconda": "Prendi una barca a vela. Sul lago
di Como ne navigano ancora, grosse, capaci di portare pesanti
carichi. Ma le masse del legno e della tela si armonizzano così
perfettamente con la forza del vento, da sembrar deventare leggere. Ogni qualvolta osservavo una di tali barche spiegare le vele al
vento, il mio cuore si illuminava di gioia, di quella gioia che ci
invade quando qualcosa che ben distintamente era nel nostro intimo, ci sta di fronte nella sua forma perfetta. Non conosco l'opinione degli storici al riguardo, ma mi parve cosa credibile ciò che
qualcuno mi disse, e cioè che le barche erano già così all'epoca
romana. La forma attuale sarebbe dunque un'eredità risalente a
49
tempi antichissimi. Riesci a sentire quale meravigliosa manifestazione di cultura stia nel fatto che l'uomo, in virtù di un legno ricurvo e debitamente connesso e di una tela tesa, possa signoreggiare sull'acqua e sul vento? Fin nelle profonde fibre del mio essere è penetrata la sensazione di questa conquista: io mi trovavo
dunque alla presenza di un originario frutto dell'ingegno umano.
E' ben saturo d'intelligenza questo movimento tanto perfettamente compiuto, nel quale l'uomo domina le forze della natura! [...]
Ma tu senti, vero?, come pur tuttavia questa barca a vela resti vicina alla natura. Le sue linee e l'equilibrio delle proporzioni si
accordano perfettamente con la spinta delle onde e del vento così
come con il complesso vivente dell'uomo. E chi è al governo della barca a vela rimane in strettissima unione con la forza delle
onde e con le raffiche del vento. Egli lotta corpo a corpo contro
la loro violenza. I suoi occhi, le sue mani e tutto il suo corpo sono tesi nello sforzo. Vera cultura, superamento della natura, certamente, ma tuttavia indiscutibilmente ancora vicini alla natura.
L'uomo, in tutto questo, rimane ancora vivente, è un corpo permeato di spirito e d'anima. Per la forza di questo spirito egli si
impone incontestabilmente alla natura, ma, quanto a lui stesso,
resta "naturale"."
Si rimane colpiti dal fatto che queste pagine sono state scritte negli anni '20. Guardini è consapevole che sta avvenendo una svolta
epocale e non delle semplici innovazioni tecnologiche (che devono essere a servizio dell'uomo). Si sta spezzando e frantumando la
perfetta armonia tra uomo-cultura-natura.
Invito gli amici consiglieri eccl. ad una lettura/rilettura di queste
importanti pagine di Guardini.
31 gennaio 2007
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SUSSIDI QUARESIMA 2007
"... come io vi ho amato" (Gv 13,34)
In continuità con il tempo di Avvento/Natale, nel quale ci si è
soffermati sull'ascolto delle situazioni umane e sulla capacità di
stupirsi, come i pastori all'annuncio della nascita di Gesù, gli uffici Cei propongono di riflettere e pregare sul comandamento
dell'amore. Un amore che si misura su un modello che appare
irraggiungibile; ma, con la consapevolezza di essere amati gratuitamente e teneramente, siamo invitati a ricambiare.
Per questo Caritas Italiana e Ufficio famiglia della Cei propongono l'immagine dell'abbraccio come esperienza umana dalla quale attingere per saper amare, gratuitamente, fraternamente tutti, a
cominciare da chi fa più fatica.
Opuscolo per le famiglie (copertina, introduzione e prima settimana - pdf 316 kb)
Un itinerario per vivere la Quaresima/Pasqua in famiglia ci conduce, giorno per giorno, ad ascoltare l'esperienza di persone che
hanno fatto del servizio la caratteristica della loro vita, anche
quando questo ha significato vivere o essere testimoni di grandi
prove e dolori. Altri testimoni ci offrono la loro preghiera e anche questa volta c'è l'invito a partecipare scrivendo, su un apposito spazio, una preghiera da condividere in famiglia e rendere così
più personale il cammino. Questa volta è particolarmente alta la
percentuale di giovani che hanno voluto partecipare alla stesura
di questo opuscolo… le esperienze e le speranze che ci consegnano saranno un aiuto a "ringiovanire", ad aiutarci a credere in
un futuro diverso, da costruire insieme. In copertina, l'abbraccio
tra Gesù ed una bimba si trasforma in un vento che spinge le foglie a portare lontano l'annuncio di Dio che ci ama e ci vuole liberi.
In un inserto centrale, ci sono le istruzioni per costruire il cubo
della preghiera (pdf kb 287), un piccolo strumento per pregare
tutti i giorni insieme, coinvolgendo anche i più piccoli.
51
Album per i bambini (copertina e prima domenica - pdf 213 kb)
Un sentiero si snoda durante tutto l'album; i bambini sono invitati
a percorrerlo a partire da una frase di S.Teresa di Gesù Bambino:
“La paura mi fa indietreggiare, con l'amore non soltanto vado
avanti, ma volo”. Settimana dopo settimana, i bambini prendono
coscienza dei vari aspetti dell'amore, con brevi frasi cui possono aggiungere proprie emozioni ed impressioni. È l'amore che fa
volare: questa la conclusione nel giorno di Pasqua. Adatto a bambini in età di scuola elementare.
Poster (pdf kb 230)
Da un campo profughi in Croazia, abitato per la maggior parte da
Serbi e Rom in attesa di poter tornare nelle proprie case, un uomo
gioca con un bambino, in uno di quei gesti che i bimbi tanto amano. È un altro modo di abbracciare, un modo fisico, festoso, di
dimostrare amore. Ci piace immaginare anche così l'amore di Dio
Padre.
Salvadanaio (jpg kb 111)
Il salvadanaio è un piccolo strumento - molto utilizzato in tante
parrocchie - per chi intende accompagnare il cammino quaresimale con un gesto concreto di solidarietà. Per questo vuole
"rendere visibile" l'impegno nelle famiglie, nelle classi di catechismo, nei gruppi. Sul salvadanaio è riprodotto il disegno della
copertina dell'opuscolo.
Scheda per l'animazione pastorale
Una semplice rassegna di proposte per valorizzare l'utilizzo dei
sussidi come strumenti di animazione nelle parrocchie.
Tutti i sussidi sono studiati per essere accessibili anche a chi è
meno abituato al linguaggio liturgico, per proporre un cammino a
chi si riaffaccia alla fede o desidera iniziare una riflessione su se
stesso e su Dio. La loro semplicità consiste nel fatto che sono
composti da persone "qualunque", che vivono una quotidianità
fatta di mille fatiche.
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SUSSIDI QUARESIMA 2007
"... come io vi ho amato" (Gv 13,34)
Opuscolo per le famiglie
È un itinerario per vivere il tempo di Quaresima e le principali
feste pasquali meditando sulla forza della Parola di Dio quando si
esprime nell'amore al prossimo. Alla Parola di Dio dalla liturgia
del giorno, fanno eco testimonianze, riflessioni e preghiere di famiglie e persone che hanno fatto del servizio uno stile di vita.
Si potrebbe…
sensibilizzare
• offrirlo o donarlo ai genitori dei bimbi del catechismo affinché possano partecipare, con un linguaggio più "adulto", a
quanto viene proposto ai figli
• la forma grafica innovativa e il linguaggio semplice lo
rendono proponibile a persone meno "vicine", ma curiose
verso il messaggio evangelico (es: persone che si mettono a
disposizione delle attività parrocchiali pur non aderendo ai
cammini proposti dalle varie iniziative)
• nella domenica precedente alla prima di Quaresima, presentarlo pubblicamente, regalandolo o invogliando i parrocchiani a ritirarlo con una libera offerta
• recuperare gli elementi grafici del libretto scaricandoli da
internet
coinvolgere
• chiedere alle associazioni e ai movimenti della parrocchia
di valutare l'opportunità di inserire nel proprio programma un
confronto a partire da brani ed esperienze dell'itinerario
• "spezzettare" il sussidio, stampandolo e consegnandolo
domenica per domenica a tutti
• utilizzarne i brani più significativi per veglie e altri momenti di incontro tra adulti e giovani
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animare
• organizzare incontri per valorizzare i servizi presenti in
parrocchia, invitando le persone a partecipare con il proprio
contributo volontario
• i gesti descritti nel libretto possono essere riproposti alla
riflessione di tutti per un impegno comune
• avviare una riflessione sul rapporto tra annuncio e testimonianza, invitando a portare la propria testimonianza anche
da parte di chi vive un servizio quotidiano (famiglie con persone disabili, esperienze di "buon vicinato", servizio agli anziani, giovani che si impegnano in campi di lavoro, ecc.)
Album per i bambini
È un "cammino verso la Pasqua"; i bambini sono invitati attraverso un sentiero che si snoda pagina per pagina a raccontare le proprie esperienze, i propri sentimenti, fino al giorno in cui "l'amore
ci fa volare".
Si potrebbe…
coinvolgere
• proporne l'utilizzo agli educatori parrocchiali e ai catechisti, badando che si coordinino tra loro se si rivolgono agli
stessi bambini
• invitare i genitori di bambini più piccoli a utilizzarlo in
casa, trasformando questa attività in un momento di gioco e
impegno comune
animare
• le esperienze raccontate dai bambini possono essere valorizzate con cartelloni che si arricchiscono domenica per
domenica, fino alla Pasqua, dove si può riprodurre il disegno finale lasciando che i bambini esprimano la loro gioia
• i bambini possono scrivere la frase di Santa Teresina pubblicata sulla copertina e offrirla a inizio Quaresima a tutti,
alla fine della celebrazione eucaristica: "La paura mi fa
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indietreggiare, con l'amore non soltanto vado avanti, ma
volo"
Poster
I protagonisti – un uomo e un bambino – stanno giocando come
spesso i papà giocano con i propri figli. Per il bambino il brivido
di paura viene superato dalla sicurezza delle braccia forti che
lo… "strapazzano". È un modo diverso di intendere l'abbraccio
che rivela la paternità di Dio: … come io vi ho amato, la frase del
vangelo di Giovanni viene interpretata in modo gioioso. La scena
si svolge in un campo profughi a Sisak, in Croazia, dove ancora
vivono serbi e rom in attesa di una sistemazione; un campo in cui
molti volontari della Caritas di Genova si avvicendano per animare bambini e anziani.
Si potrebbe…
sensibilizzare
• esporlo fuori e dentro la chiesa: sulle porte, in fondo, nell'abituale bacheca…
• esporlo in ogni luogo comunitario… dove la comunità e i
suoi vari gruppi si riuniscono abitualmente
• regalare un poster ad ogni famiglia, ad ogni gruppo familiare, invitando a commentarlo insieme
• a inizio Quaresima, illustrare l'immagine e il tema durante
la Messa
• offrirlo durante l'offertorio del Mercoledì delle Ceneri o
della Prima Domenica di Quaresima come testimonianza della volontà di iniziare un cammino comune
coinvolgere
• invitare i gruppi giovanili e i gruppi di catechismo a commentarlo insieme: cosa ci vuole raccontare questa immagine?
Cosa sappiamo delle popolazioni coinvolte nelle guerre in
Croazia, Bosnia, Serbia, Kosovo? Possiamo approfittare del
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soggetto del poster per capire meglio la situazione, soprattutto se la Caritas diocesana ha ancora collegamenti con le Chiese di quei paesi
animare
• concordare sul territorio punti di affissione del manifesto,
chiedendo di coinvolgersi a persone che condividano questo
slogan; lo spazio bianco può servire per aggiungere e personalizzare il messaggio
Salvadanaio
Dove si propongono raccolte, è uno strumento utile per educare
ad un coinvolgimento che si esprima attraverso un contributo anche piccolo, ma quotidiano, favorendo l'idea di una condivisione
non occasionale. L'immagine è la stessa dell'opuscolo per famiglie
Si potrebbe…
coinvolgere
• rispetto ai bambini, promuovere un impegno finalizzato
alla condivisione e alla solidarietà (pulizia collettiva della sala del catechismo con micro "retribuzione" finale, in famiglia
gettare la spazzatura o fare le pulizie con piccole ricompense,
ecc.)
• distribuirli alle famiglie, perché i bambini possano vedere
concretamente il frutto del loro impegno
• in parrocchia, nei gruppi di catechismo, costruirne uno
ingrandito per seguire meglio l'impegno dei bambini
sensibilizzare
• le offerte potrebbero essere aggiornate periodicamente su
di un grafico che spieghi l'andamento della situazione con
accanto la descrizione del progetto che si intende sostenere.
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∗
Verbale Consulta Consiglieri Ecclesiastici Regionali
Roma 10/11 gennaio 2007
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VERBALE CONSULTA CONSIGLIERI ECCLESIASTICI
REGIONALI
10 -11 Gennaio 2007
Verbale n. 5
Ordine del giorno:
DSC – Ruolo degli accompagnatori.
Intervento Movimenti e Patronato Epaca.
Dopo Verona.
Incontri regionali. Ipotesi di lavoro.
Viaggio studio.
XXXV Convegno Nazionale dei Consiglieri Ecclesiastici.
Varie ed eventuali.
Sono presenti: De Palma don Giovanni (Basilicata), Megna don
Giuseppe (Calabria), Toscano padre Emilio (Campania), Gallerani don Carlo (Emilia Romagna ), Bonetti mons. Paolo (Friuli Venezia Giulia), Carlotti don Paolo(Lazio), Arrigoni don Italo
(Liguria), Branchesi don Giuseppe (Marche), Frigato don Sabino
(Piemonte), Macculi don Nicola (Puglia), Di Natale don Salvatore (Sicilia), Gerini don Gabriele (Toscana), Tiacci don Giovanni
(Umbria), De Berti don Aleardo (Veneto).
Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale Gaglianone padre Renato,
con la preghiera a Maria, apre la Consulta con un cordiale benvenuto ai partecipanti, illustrando ai presenti la progressione dell’ordine del giorno ed il programma dei lavori. Presenta il nuovo
Consigliere Ecclesiastico Regionale del Lazio don Paolo Carlotti.
Incontro con la Federpensionati
Mercoledì pomeriggio dieci gennaio il Consigliere Ecclesiastico
Nazionale dà la parola al sen. Carlotto Natale Presidente Federpensionati della Confederazione Nazionale Coldiretti. Il relatore
ricorda l’itinerario storico della sua formazione maturato all’interno dei Comitati Civici Rurali dove ha conosciuto Gedda e il
mondo agricolo che incominciava a rappresentare. Significative
sono state per lui le relazioni con Monsignor Pietro Pavan e Pao-
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lo Bonomi. Da questi primi passi ne è seguito l’impegno alla Camera dei Deputati e al Senato. La Federpensionati rappresenta un
mondo che ha al centro il valore della persona, sempre al centro
nella storia della Coldiretti. Anche per il futuro, ammonisce, la
competenza del servizio va coniugata con la chiarezza dei valori
che hanno fatto grande questa Organizzazione. Tecnologia e relazionalità devono concorrere insieme a promuovere, prima, le persone, i valori e poi l’efficienza delle imprese. Anche Coldiretti
non sfugge al rischio di essere solo una organizzazione di servizi
e non un associazione di persone. Il Sen. Carlotto sottolinea poi il
ruolo del Consigliere Regionale che deve essere presente nei momenti significativi della vita della Coldiretti sul territorio e non
soltanto una volta all’anno per la celebrazione della Giornata del
Ringraziamento, perché in gioco ci sono aspetti importanti della
dottrina sociale della Chiesa come il tema della salute, l’anzianità, la disabilità, la famiglia.
Su questi spunti intervengono i Consiglieri Ecclesiastici del Molise, del Piemonte, della Lombardia, del Veneto che rilevano la
nuova fase storica dell’ agricoltura in Italia con culture sempre
più diversificate, con una imprenditoria aperta al mercato globale, con costi d’investimento sempre maggiori, con una burocrazia
soffocante. Risponde il relatore suggerendo il valore della solidarietà come anima della categoria, perché non prevalga l’individualismo a isolare l’imprenditore agricolo. L’efficienza dell’impresa, la qualità e quantità dei prodotti, la ricerca del reddito non
devono esasperare i problemi del settore, dimenticando il bene
comune che apre ai bisogni di una società sempre più in sofferenza. Ora che l’imprenditore agricolo ha acquisito pari dignità con
le altre figure del mondo economico, non può non offrire il proprio originale contributo alla vita sociale del territorio. Intervengono i Consiglieri Ecclesiastici dell’Emilia Romagna, del Veneto
e del Piemonte per mettere l’accento sul valore dei nuovi mezzi
della comunicazione, sulla Coldiretti perché da grande associazione di rappresentanza non dimentichi di essere anche sindacato
che promuove la socialità.
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DSC – Ruolo degli accompagnatori
Il Consigliere Ecclesiastico Regionale del Piemonte don Sabino
Frigato illustra il ruolo dei Consiglieri Ecclesiastici con l’aiuto
del Power Point. Ruolo di aiuto a riflettere sui valori etici presenti già nelle strategie della Coldiretti che ha intuito da anni la responsabilità sociale dell’Organizzazione: campagna amica, patto
con i consumatori, tracciabilità, qualità dei prodotti, attenzione al
territorio; il legame della vita delle Federazioni con gli eventi ecclesiali, la creazione di momenti di riflessione sui temi della dottrina sociale della Chiesa inerenti la responsabilità nell’impresa e
sua finalità, i cambiamenti nel mondo rurale, novità e sfide, gestione unica o aperta dell’impresa, superamento della divisione
tra economia e società, vocazione dell’imprenditore. Il relatore
conclude ridicendo la grande importanza del Consigliere Ecclesiastico che accompagna la riflessione sui cambiamenti epocali
nell’agricoltura ma anche perché ripresenta la dottrina sociale
della Chiesa che valorizza l’impresa come luogo di relazione per
far crescere i rapporti umani nella crescita della persona che in
agricoltura trova una funzione sociale e solidale. Il valore del bene comune, della cittadinanza, della responsabilità sono percorsi
di approfondimento mai sufficienti. Intervengono i Consiglieri
Ecclesiastici della Calabria, delle Marche, della Sicilia, del Friuli,
della Puglia, che espongono la difficoltà di programmare per i
dirigenti e per i funzionari uno o due momenti all’anno sui quali
convergere per una riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa.
Bisognerebbe passare dalla disponibilità alla fattibilità. Sono emersi dagli interventi alcune osservazioni che riguardano la necessità di riprendere il rapporto con la base che sono i soci, su
quale sostegno e prospettiva dare alle piccole imprese agricole,
come accompagnare i funzionari nel loro faticoso impegno quoti
diano, quale apporto offrire alla impresa agricola che si misura
sempre più con la globalizzazione in difetto di regole certe.
Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta il segretario della
Federpensionati dott. Danilo Elia che richiama i pilastri della
Organizzazione: pilastro economico, dei servizi e dell’area socia-
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le. La Coldiretti non può non puntare sul terzo pilastro: l’economia divide, i servizi sono neutri, la società lega e crea socializzazione. Il relatore paventa il pericolo della concorrenza privata nei
servizi. Ecco perché è importante che i giovani acquisiscano anche i valori che stanno alla base della Coldiretti sorgente di una
appartenenza che non è solo scambio di servizi. Lavoro, reddito,
impegno nella società civile, il valore delle relazioni umane non
possono non tener conto della domanda di socializzazione presente sul territorio. Fare il bilancio non è l’unico ed esclusivo obiettivo dell’impresa. Intervengono i Consiglieri Ecclesiastici del
Lazio, della Toscana, dell’Umbria che confermano l’importanza
della formazione e degli aspetti etici dell’economia, per mantenere e promuovere l’ispirazione della Coldiretti alla dottrina sociale
della Chiesa. Non tutto è politica ma anche qualità della persona.
Formazione permanente e condivisa. C’è tanto da fare per il Consigliere Ecclesiastico in questi percorsi formativi ma si riconosce
anche lo scarso tempo a disposizione. Potrebbe essere interessante incontrarsi e confrontarsi con altri Consiglieri Ecclesiastici delle altre Associazioni sociali di ispirazione cristiana. Brevemente
riassunte alcune ipotesi di lavoro: 1) sostenere tutte le iniziative
formative che possono incrementare le relazioni fra i collaboratori, i dirigenti e i funzionari delle Federazioni; 2) di notevole interesse l’esperienza del Piemonte che già da anni realizza una giornata di ritiro annuale a tema per dirigenti e dipendenti; 3) vanno
colte le occasioni offerte dai Movimenti nelle loro iniziative formative; collaborare con la Pastorale del lavoro.
Dopo Verona
Il Consigliere Ecclesiastico della Puglia, don Nicola Macculi illustra l’intervento di Franco Giulio Brambilla, docente di Cristologia e Antropologia teologica e preside della Facoltà Teologica
dell’Italia Settentrionale di Milano che ha svolto il 17 ottobre 2006 a Verona. La sua relazione teologico pastorale ha aperto lo
sguardo sugli spazi, i tempi e i modi per testimoniare la speranza
dentro una società ripiegata su se stessa e sull’immediato. Il cat-
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tolicesimo italiano ha sempre saputo esprimere testimoni autentici nella cultura, nell’economia, nella scienza, nell’operosità sociale per dare un anima sociale al tessuto civile del paese. Anche
la dottrina sociale della Chiesa può essere un aiuto agli uomini e
alle donne di oggi per essere rigenerati dentro la vita concreta
delle persone perché riscoprano il valore della comunione e della
fecondità delle azioni concrete solidali.
Incontro con il dott. Franco Pasquali
Giovedì mattina undici gennaio dopo la celebrazione della S.
Messa Padre Renato espone al Segretario Nazionale dott. Franco
Pasquali le iniziative formative realizzate nelle Regioni. Il dott.
Pasquali introduce il suo intervento sullo stile Coldiretti impegnata ad interpretare le esigenze della imprenditoria agricola del
tempo presente, coniugando tradizione e rinnovamento nei suoi
percorsi e nei suoi impegni. Continuità frutto di scelte meditate
perché Coldiretti sia forza sociale e non corporativa con proposte
di sviluppo credibile, portatrice di un futuro convincente. Al centro il valore della persona, anima della crescita economica; dell’ambiente e del clima, nuova frontiera dello sviluppo; l’inclusione
di cittadini di altre nazioni, nuova opportunità di una integrazione
senza confini; il tema demografico con l’allungamento della vita
portatrice di nuove dinamiche; i segnali nuovi offerti dalle energie alternative, l’emergenza acqua, l’OGM; l’Europa che apre a
nuovi confronti con i popoli dell’Est e con i popoli del bacino
Mediterraneo. Prospettive nuove da cogliere da attori attivi con
risposte originali, con stili di vita e di produzione inediti. I cambiamenti nel mondo agricolo sono sotto gli occhi di tutti: le imprese agricole non più omogenee, ma multifunzionali che si diversificano sempre di più; non solo prodotto ma anche territorio,
modello di sviluppo non solo estensivo ma intensivo, compatibile, nuovo dialogo fra Nord e Sud. Su questi scenari è importante
l’apporto della Dottrina Sociale della Chiesa a sostegno del nuovo modello di sviluppo aperto ad una agricoltura rigenerata, per
aiutare gli agricoltori ad inserirsi in nuovi colloqui e rapporti con
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il mondo ambientalista, con la sanità, con la scuola, con le Amministrazioni comunali. Su questi nuovi frontiere la Coldiretti
pone al centro la formazione con iniziative di approfondimento
anche etico, per riscrivere il servizio e per adeguare le risorse dell’Organizzazione. Preparare le persone, rinnovare il rapporto con
il socio, qualità e non quantità dei servizi alcuni aspetti della nuova stagione di Coldiretti. Numerosi gli interventi da parte dei
Consiglieri Ecclesiastici del Veneto, dell’Emilia Romagna, dell’Umbria, del Friuli, del Piemonte: come sostenere le aziende agricole più deboli, come interagire con le multinazionali, come
leggere la riduzione del numero delle imprese, come trasmettere
il patrimonio storico-etico di Coldiretti alle nuove generazioni,
come far crescere su questi nuovi scenari i soci, come preparare i
funzionari dell’Organizzazione, vera sfida per il futuro dell’Associazione, come mettere a disposizione dei giovani la Dottrina Sociale della Chiesa. Riprende il dott. Pasquali con un invito alla
fiducia, al coraggio di offrire alle aziende agricole le nuove opportunità accompagnandole ad investire nelle nuove situazioni;
rimettere in gioco il territorio fonte di filiere corte in dialogo con
le multinazionali, valorizzare i Segretari di zona come sentinelle
sul territorio ad intercettare le domande di relazionalità per un
nuovo stare insieme in agricoltura dei soci, essere protagonisti
nel racconto sociale su iniziative concrete solidali sul territorio
che danno visibilità, dignità e rinnovata appartenenza alla Coldiretti e presenza attiva nella comunità locale.
Incontro con DonneImpresa Coldiretti
Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta la dott. Alessandra Tazza di Donne Impresa. Una occasione propizia per conoscere l’impegno delle donne della Coldiretti, in agricoltura e nel
mondo rurale. L’imprenditoria femminile, dice la relatrice, è anima del territorio, presenza giovane, dinamica che sa introdurre la
fantasia nel fare impresa, impegnata a cogliere il cambiamento.
Donne Impresa offre il suo sostegno sia sul versante dell’investimento sui nuovi filoni di fare impresa, sia accompagnando i per-
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corsi di formazione e di attenzione alle nuove frontiere nel sociale sul territorio In particolare il profilo degli incentivi, il rapporto
con le Istituzioni, l’accesso al credito, trasformazione dei prodotti, filiere corte, vendita diretta ma anche fattorie didattiche, agriasilo con orari flessibili, accoglienza dei disabili, del mondo della
prostituzione, delle carceri, delle terapie oncologiche. Sviluppo
sostenibile e responsabilità sociale si intrecciano sullo sfondo di
una imprenditoria femminile capace di mettersi in rete e che si
affaccia non solo sul mondo mediterraneo per un suo riconoscimento internazionale. Numerosi gli interventi dei Consiglieri Ecclesiastici del Piemonte, del Friuli, della Calabria sulla collocazione dell’imprenditoria femminile sul territorio nazionale, sul
rapporto con l’impresa-famiglia, sulla identità della figura dell’imprenditrice, sul riconoscimento del lavoro femminile, sulle
mutazioni sociali, sul lavoro femminile, sulla presenza di imprese femminili di immigrate, sul ruolo del Consigliere Ecclesiastico.
Incontro con il Patronato Epaca
Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta il dott. Fiorito
Leo. Il relatore espone i nuovi percorsi legati ai mutati bisogni
che richiedono non solo assistenza ma anche progetti in risposta
alle domande della modernità. Un Ente chiamato ad intercettare
le necessità all’interno delle nuove mutazioni sociali. E’ cambiata
la famiglia, l’impresa, la società. Anche il Patronato non è solo a
servizio dell’agricoltura ma a tutti i cittadini per dare soluzione
sia ai problemi tradizionali legati alla previdenza, alle malattie
professionali ma anche ai nuovi temi legati alla consulenza sanitaria, al diritto di famiglia, al mercato del lavoro, all’immigrazione, alla previdenza complementare. Il dott. Leo conferma che il
Patronato Epaca vuole essere protagonista delle politiche sociali
sui provvedimenti, sulla gestione dei servizi ma anche portatore
di valori con risposte non univoche in rapporto ai bisogni emergenti, all’ambito geografico e al metodo. Si rivolge in modo particolare alle imprese, in quanto persone che nelle aree rurali vivo-
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no direttamente le mutazioni, ad attivarsi per dare risposte nell’interesse delle aziende e dei bisogni del territorio. Reddito e
solidarietà possono coniugarsi ai fini della socializzazione delle
comunità locali. Le idee possono diventare progetti condivisi da
articolarsi in attività socio-assistenziali e di promozione: sportelli
sociali, cascine solidali, aeroterapia ed altre iniziative che possono essere frutto della creatività d’impresa.
Incontro con GiovaniImpresa
Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta il dott. Andrea
Fugaro. Il Segretario di GiovaniImpresa commenta brevemente i
percorsi formativi rivolti ai giovani imprenditori. Mettere al centro la formazione è un atto di grande responsabilità verso il futuro
delle persone, dell’Organizzazione e dell’impresa. Il riferimento
ai valori è la strada sicura per aiutare i giovani imprenditori a capire il cambiamento e poi a guidarlo, preparandoli ad offrire il
proprio contributo propositivo e coinvolgimento coerente. Non
basta esserci in agricoltura ma anche rapportarsi con i bisogni del
territorio, non basta appartenere ad una grande Organizzazione
ma anche esserne protagonisti con ragioni forti e convinzioni
condivise.
Viaggio di studio
Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale comunica la disponibilità
della Coldiretti di Piacenza ad ospitare il viaggio studi dei Consiglieri Ecclesiastici Regionali. La Consulta accoglie l’invito e sollecita il Consigliere Nazionale ad attivarsi per l’organizzazione di
detto viaggio da effettuarsi nella settimana dal 25 al 30 giugno
2007
XXXV Convegno Nazionale dei Consiglieri Ecclesiastici
Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale ricorda che quest’anno si
tiene il tradizionale Convegno nazionale. Dopo approfondita discussione sulle possibili date e sui temi da affrontare, si conviene
di celebrare l’evento nei giorni 04-07 settembre e affrontare il
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tema della Formazione. Il Consigliere della Toscana Don Gabriela Gerini è incaricato di predisporre una ipotesi di lavoro su cui
alcuni Consigliere si confronteranno per mettere a punto l’articolazione del Convegno stesso.
Con la recita della preghiera dell’Angelus, alle ore 13.15 si conclude la Consulta dei Consiglieri Ecclesiastici Regionali con il
ringraziamento di padre Renato e con un arrivederci a giugno.
Il segretario
Don Paolo Bonetti
Consigliere Ecclesiastico Regionale del Friuli Venezia Giulia
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