Anno 3
Numero 1
Gennaio 2010
Guest Editor
Pier Mannuccio Mannucci
Editorial Board
Giancarlo Castaman
Silvia Linari
Augusto Bramante Federici
Francesco Antonio Scaraggi
FOCUS:
La malattia
di von Willebrand
Anno 3 1/10
FOCUS:
La malattia
di von Willebrand
Guest Editor
Pier Mannuccio Mannucci
Editorial Board
Giancarlo Castaman
Silvia Linari
Augusto Bramante Federici
Francesco Antonio Scaraggi
INDICE
FOCUS:
La malattia di von Willebrand
Introduzione
5
Pier Mannuccio Mannucci
Ruolo dello score emorragico
nella malattia di von Willebrand
7
Giancarlo Castaman
Profilassi nei pazienti
con malattia di von Willebrand
15
Silvia Linari
Diagnosi e trattamento degli inibitori
del fattore von Willebrand nei pazienti
con malattia di von Willebrand ereditaria
21
Augusto Bramante Federici
Trattamento combinato con fattore VIII
ad intermedia purezza e fattore VIII ricombinante
in soggetto con malattia di von Willebrand tipo 3
e alloanticorpi anti-fattore von Willebrand
25
Francesco Antonio Scaraggi e Renato Marino
Focus review
29
Notizie su WISH
30
Focus Emostasi Anno 3 - N. 1 - Gennaio 2010
Direttore responsabile Emilio Polverino
Registrazione al Tribunale di Milano al n. 129 del 26/02/2008
Periodico quadrimestrale edito da Alter M&P S.r.l.
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Introduzione
La malattia di von Willebrand (VWD) è, insieme all’emofilia A, il più frequente difetto congenito dell’emostasi, associato ad una tendenza emorragica di media gravità. La sua diagnosi è complessa, ma in questi ultimi anni è diventata più generalmente disponibile, nel
nostro come in altri Paesi del mondo. Anche la terapia è in genere ottimale, attraverso l’impiego di un farmaco sintetico come la desmopressina nei pazienti con malattia di tipo 1,
e di concentrati plasmatici contenenti i due fattori mancanti nella VWD [(il fattore VIII
(FVIII) e il fattore von Willebrand (VWF)] nei casi con malattia di tipo 2 e 3. Saranno presto
disponibili anche altri prodotti plasmatici ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante che
contengono solo VWF. L’impiego di questi ultimi prodotti è giustificato dal fatto che nella
VWD il difetto primario è quello del VWF, e che quindi quando questo difetto viene corretto
la carenza ad esso secondaria di FVIII viene a sua volta corretta. Non è ancora chiaro in
quali situazioni cliniche vi sia una reale indicazione per questi nuovi prodotti, ma è probabile che le indicazioni verranno chiarite nei prossimi anni, con l’accumulo di maggiore
esperienza da parte dei clinici.
Vi sono alcuni problemi non risolti nella terapia delle VWD, che in gran parte sono affrontati
da ricercatori clinici esperti che hanno contribuito a questo numero di FOCUS EMOSTASI.
Una percentuale per fortuna bassa di pazienti con la forma più grave di VWD (tipo 3)
sviluppa alloanticorpi che si legano al VWF inattivandolo e rimuovendolo dal plasma. Gli
autoanticorpi, inoltre, causano spesso le formazioni di complessi immuni che a loro volta
sono associati a reazioni anafilattiche anche gravi. I problemi aperti sono appunto la reale
prevalenza di queste gravi complicanze della terapia sostitutiva, la terapia più efficace e
sicura delle manifestazioni emorragiche nei pazienti, nonché i metodi di eradicazione degli
anticorpi. Un altro quesito è rappresentato dall’individuazione delle reali indicazioni a una
terapia profilattica nei pazienti senza anticorpi. La profilassi consiste nella somministrazione dei prodotti terapeutici sostitutivi non solo e soltanto in occasione delle manifestazioni
emorragiche, ma altresì ad intervalli regolari, con lo scopo di mantenere nel plasma livelli
sempre misurabili di FVIII e VWF e prevenire così le emorragie. È necessario che questo
approccio terapeutico, sicuramente efficace ma anche costoso, trovi indicazioni più precise. Altri problemi non pienamente risolti sono l’attuale trattamento e l’eventuale prevenzione delle emorragie gastroenteriche, che sviluppano soprattutto nei pazienti più anziani,
legate ad angiodisplasie e che purtroppo non sempre rispondono alla terapia sostitutiva.
Rimane da vedere se i farmaci che inibiscono l’angiogenesi come la talidomide e le statine
possano essere utilizzate per prevenire queste emorragie, come alcuni dati preliminari
sembrano indicare.
Infine, qual è il trattamento ottimale della menorragia nelle numerose donne con VWD che
ne soffrono? Vari farmaci sono stati e sono utilizzati, come gli aminoacidi antifibrinolitici
5
(acido tranexamico), la desmopressina, la terapia estroprogestinica. Sarebbe utile avere
dati più solidi sull’efficacia comparativa di questi approcci, anche in rapporto alla gravità
delle manifestazioni emorragiche e all’età della donna.
Nel complesso, la VWD è una sindrome emorragica che gode di una terapia efficace e
sicura: ma i problemi residui menzionati in questa Introduzione necessitano di uno sforzo
di miglioramento delle conoscenze e della loro applicazione.
6
Pier Mannuccio Mannucci
Direttore, Centro Emofilia e Trombosi A. Bianchi Bonomi
IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Milano
Ruolo dello score emorragico
nella malattia di von Willebrand
Giancarlo Castaman
Dipartimento di Terapie Cellulari ed Ematologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza
Abstract
La quantificazione della severità dei sintomi emorragici nella malattia di von Willebrand (VWD)
tramite l’uso di uno score emorragico potrebbe rappresentare uno strumento utile per una
diagnosi che utilizzi criteri più oggettivi. Lo score emorragico è dato dalla somma di gradi
arbitrari di severità del sanguinamento per i diversi sintomi emorragici e nei soggetti normali è
usualmente <3. Nella diagnostica della VWD tipo 1, l’uso dello score emorragico è risultato in
un’alta specificità (99.1%) ed una soddisfacente sensibilità (64.2%) in uno studio multicentrico
retrospettivo. Lo score emorragico è strettamente correlato a tutti i test che esplorano l’attività
del VWF, incluso il tempo di chiusura con PFA-100®. Lo score emorragico potrebbe essere
usato per stabilire nella VWD l’influenza sui sintomi emorragici da parte di altri fattori biologici.
In conclusione, lo score emorragico rappresenta un promettente strumento clinico per l’analisi
dei sintomi emorragici nella VWD, sebbene siano necessari ulteriori studi di validazione prima
del suo uso esteso nella pratica clinica.
Malattia di von Willebrand tipo 1: un problema diagnostico
La malattia di von Willebrand (VWD) è un disordine emorragico a trasmissione autosomica dominante
causato dalla carenza o alterata funzione del fattore di von Willebrand (VWF) (1, 2). Il VWF è una proteina multimerica polifunzionale che media l’adesione piastrinica al sottoendotelio e ad elevate condizioni di shear stress contribuisce all’interazione piastrina-piastrina (3). L’interazione mediata dal VWF
fra piastrina, tramite il recettore Gp Ib, ed il sottoendotelio è simulabile in vitro dal dosaggio di attività
di cofattore della ristocetina (VWF:RCo), che ancor oggi rappresenta il test funzionale per misurare
l’attività del VWF. Il VWF ha, inoltre, un ruolo critico nel proteggere il FVIII nel plasma dalla proteolisi,
localizzandolo in sede di danno vascolare (4). La VWD rappresenta il più frequente disordine emorragico ereditario, con una prevalenza nella popolazione generale attorno all’1% (5). La maggior parte di
questi pazienti (fino all’80%) presenta un difetto quantitativo parziale di VWF (tipo 1) (6). Nella VWD
tipo 1 gli esami di laboratorio mostrano una riduzione consensuale dell’antigene del VWF (VWF:Ag)
e del VWF:RCo, senza grossolane anomalie nella distribuzione e struttura multimerica del VWF (7).
Il rimanente 20% dei casi presenta un VWF anomalo qualitativamente e vengono classificati come
tipo 2. In questi pazienti si assiste ad un calo sproporzionato del VWF:RCo rispetto al VWF:Ag, con
evidenti anomalie del pattern multimerico del VWF plasmatico, fatta eccezione per il tipo 2 N, in cui il
difetto è situato nella regione NH-2 terminale del VWF preposto al binding del FVIII e che presenta
solitamente multimeri normali ed un calo sproporzionato del FVIII rispetto al VWF. Infine, rari pazienti
(circa 3-5 casi per milione) presentano un’ereditarietà recessiva dovuta alla presenza di due alleli
difettosi con completa assenza del VWF nel plasma e nelle piastrine (VWD tipo 3) (8).
7
La diagnosi di VWD tipo 1 rappresenta il paradigma delle difficoltà che si incontrano nella pratica clinica nella diagnostica dei disordini emorragici eterozigoti. Le malattie trasmesse in forma omozigote (ad
esempio VWD tipo 3 o carenza di FVII) o emizigote (vedi sindromi emofiliche) presentano in genere
un evidente quadro clinico e di laboratorio, caratterizzato da una diatesi emorragica severa con virtuale assenza del fattore in circolo. In contrasto, disordini emorragici come la VWD tipo 1 presentano un
fenotipo clinico e di laboratorio lieve o moderato. La penetranza incompleta e la variabile espressività
dovuta a fattori ambientali (ad es., età, stress, gravidanza, mestruazioni, farmaci) ed epigenetici (ad
es., gruppi sanguigni ABO) contribuiscono a spiegare l’eterogeneità di questo fenotipo.
è ben nota l’ampia sovrapposizione dei livelli plasmatici di VWF che si osserva tra i pazienti con forme
lievi di VWD tipo 1 e i soggetti normali determinando una bassa sensibilità dei test laboratoristici nella
VWD (9, 10). D’altra parte, sulla base dei dati storici riportati in letteratura, anche la storia emorragica
risulta scarsamente discriminante, visto che almeno 1 sintomo emorragico è riportato fino al 25% dei
soggetti “normali” (11). Sulla base di questa scarsa sensibilità dei test di laboratorio e la bassa specificità della storia emorragica che complica la diagnostica delle forme lievi di VWD, si è suggerito di
considerare la presenza di bassi livelli di VWF come un “fattore di rischio” emorragico (12).
Pertanto, una più precisa definizione della storia emorragica diventa importante per evitare test di
laboratorio inconclusivi e falsi positivi, con l’inerente rischio di trattamenti eccessivi. In generale, nelle
diatesi emorragiche lievi, la stima quantitativa dei sintomi emorragici potrebbe offrire la possibilità di
diagnosi più riproducibili, consentire di esplorare i fattori fisiopatologici che modulano la severità dei
sintomi e possibilmente identificare quei pazienti che necessitano di profilassi anti-emorragica.
Recentemente, il nostro gruppo ha sviluppato un questionario specifico per la misura semi-quantitativa
dei sintomi emorragici nella VWD, che tenga in considerazione sia il loro numero che la severità (13).
Ruolo della valutazione clinica nella diagnosi di VWD tipo 1
Il primo passo per ottenere una più precisa valutazione clinica della VWD è quello di definire la
tipologia dei sintomi osservati in una data popolazione con diagnosi di VWD e di confrontarla con
quella osservata nei soggetti normali. In aggiunta a precedenti lavori descrittivi (14), quattro studi
hanno esaminato in dettaglio la presentazione clinica della VWD sia nei maschi che nelle femmine,
descrivendo la percentuale di pazienti con VWD tipo 1 e i loro sintomi specifici (13,15-17). Per la
maggior parte dei sintomi è stata riportata una vasta eterogeneità, probabilmente dovuta alla diversità
dei criteri di selezione. La figura 1 riporta le percentuali di pazienti con VWD tipo 1 con uno specifico
sintomo emorragico (13,16,17). La prima descrizione sistematica della sintomatologia emorragica
nella VWD è stata riportata da Silwer, che descrisse 264 pazienti, seguiti da 3 Centri Svedesi negli
anni 1956-1967 (15), ma questi pazienti tuttavia vennero diagnosticati in base alla riduzione del
FVIII: C e di un allungamento del tempo di emorragia, senza alcuna distinzione tra tipo 1 e tipo 2 e 3,
che presentano una diversa o più severa espressione clinica della malattia (18,19). Federici et al. hanno esaminato i sintomi emorragici in una coorte retrospettiva di 944 pazienti italiani con VWD tipo 1
registrati in un registro nazionale con casi segnalati da 16 Centri Emofilia (16). Tosetto et al. hanno
recentemente analizzato i sintomi emorragici di 712 soggetti appartenenti a 144 famiglie con VWD
tipo 1 provenienti da 9 Paesi europei arruolati nel Progetto “Molecular and Clinical Markers for the
Diagnosis and Management of Type 1 VWD Study” (MCMDM-1 VWD) (17). Lo studio includeva 144
propositi, 263 familiari affetti e 295 membri familiari non affetti, oltre a 195 soggetti normali. Poiché i
propositi sono generalmente più sintomatici dei membri familiari affetti, un bias di selezione potrebbe
spiegare le differenze osservate fra questi due studi. Per superare questo problema, Rodeghiero et al.
(13) hanno analizzato i sintomi emorragici in 42 carrier obbligatori (CO) per VWD tipo 1, identificati
attraverso la presenza di un figlio/a ed un altro familiare di primo grado con diagnosi di VWD tipo 1,
confrontandoli con la storia clinica di 215 soggetti normali. Dal momento che i CO potevano venire
selezionati solo studiando famiglie con elevata penetranza, i casi meno sintomatici potrebbero non
essere stati identificati. Nonostante queste limitazioni, tutti gli studi considerati indicano che la VWD
tipo 1 è caratterizzata principalmente da sintomi muco-cutanei, ed in particolare facilità ecchimotica,
epistassi e sanguinamenti da ferite minori, mentre le manifestazioni meno frequenti sono rappresen-
8
Focusemostasi
Cutanei
Epistassi
Gastroenteriche
Menorragia
Ferite lievi
Cavo orale
Post -estrazione
Post-partum
Post-chirurgia
0
20
40
60
% di pazienti con il sintomo
Federici, 2004
MCMDM-1 VWD, 2006
80
IMS, 2005
Figura 1. Percentuale di pazienti con malattia di von Willebrand di tipo 1 riportanti uno specifico sintomo emorragico in
3 studi retrospettivi (vedi testo) (13,16,17).
tate dai sanguinamenti post-chirurgici, emorragie post-partum o del tratto gastroenterico (Figura 1).
Molto rari gli emartri e le emorragie del SNC. L’utilità clinica di ogni sintomo tuttavia dovrebbe essere
vagliata rispetto alla frequenza di quel sintomo nella popolazione generale, calcolando le likelihood
ratio in favore della VWD per ogni sintomo (20). Con questo approccio, i sanguinamenti cutanei e le
emorragie post-estrattive o post-chirurgiche sono risultati essere i sintomi maggiormente predittivi
di VWD tipo 1 (13). Tuttavia, nessun sintomo preso singolarmente è sufficientemente specifico o
sensibile nell’individuazione dei pazienti con VWD e, pertanto, è necessario combinare più sintomi.
Usando l’analisi CART (21), i due sintomi maggiormente predittivi sono le emorragie post-estrattive
o post-chirurgiche, seguite dai sintomi cutanei (13). Di nuovo, un approccio basato solo sul tipo di
sintomo risulta insoddisfacente, dato che questi criteri hanno una buona sensibilità (80.1%) ma una
scarsa specificità (91.6%) risultando in un basso potere predittivo positivo (8.9%) nella popolazione
non selezionata, anche con una prevalenza di VWD dell’1% (5).
Un miglior approccio potrebbe essere rappresentato dal numero di sintomi piuttosto che dal tipo.
Nello studio di Rodeghiero et al. solo 1 di 215 controlli aveva riferito la presenza di più di 2 sintomi
emorragici rispetto a 21/42 carrier obbligatori di VWD di tipo 1, con una sensibilità di 50% ed una
specificità del 99.5% secondo il criterio della presenza di più di due sintomi emorragici (13). Il valore
predittivo positivo raggiungeva il 52.1% nella popolazione generale.
Score emorragico
Lo score emorragico (BS, bleeding score) ha lo scopo di valutare se un indice che consideri il
numero e la severità dei sintomi emorragici possa migliorare la sensibilità e specificità nell’identificazione di portatori obbligatori di VWD (13). Il BS viene generato dalla somma della severità
di tutti i sintomi emorragici di un dato paziente secondo un punteggio attribuito a priori usando
una scala arbitraria che potesse avere un significato clinico chiaro (Tabella 1). Il punteggio varia
da 0 (completa assenza di sintomi) a 3 (intervento attivo del medico per la presenza del sintomo).
Focusemostasi
9
Successivamente, il numero di gradi di severità è stato aumentato a priori inserendo il -1 e il 4 (Tabella
2) (17) per migliorare la sensibilità e specificità. Il punteggio 4 venne aggiunto per riportare l’episodio
più severo (richiedente trasfusione o chirurgia) ed il –1 per introdurre nella valutazione l’assenza di
sintomi nonostante lo stress emostatico come nella chirurgia o nelle estrazioni dentarie. è importante
sottolineare che il BS è stato usato e validato per i sintomi emorragici presenti alla diagnosi e quindi
prima dell’eventuale uso della profilassi anti-emorragica. I questionari sono disponibili in http://www.
med.unc.edu/isth/SSC/collaboration/Bleeding_Type1_VWD. pdf per lo score “0-3” e http://www.
shef.ac.uk/euvwd/bleed_score.htm per lo score “-1”.
Dato che il BS è la somma di numerose variabili ordinali (i punteggi per ogni sintomo emorragico),
la valutazione statistica del BS va interpretata con cautela e dovrebbe essere analizzata in termini di
distribuzione piuttosto che di medie tra i gruppi. Allo stesso modo, stabilire i valori “normali” del BS
rappresenta un problema, data la distribuzione non-continua dei valori. Tuttavia, a seconda dello score
emorragico usato (lo “0-3” o il “-1” score), i soggetti normali hanno score emorragici <3 (o <5 nelle
femmine se viene usato lo score “0-3”). Al momento non è ancora chiarito quale BS (lo “0-3” o il “-1”)
sia da preferirsi nella pratica clinica, anche se lo “0-3” è stato formalmente validato in una coorte di
portatori obbligatori ed il “-1” è stato usato solo a scopi descrittivi.
Score emorragico nella diagnosi di VWD tipo 1
Usando il criterio BS >3 nei maschi e >5 nelle femmine, la sensibilità del BS (64.3 %) nella diagnosi di
VWD di tipo 1 era migliore di quella ottenuta usando il criterio “più di due sintomi emorragici”.
Tabella 1. Score emorragico utilizzato nella valutazione dei sintomi emorragici nell’International Multicenter Study (13)
SCORE
Sintomo
0
1
2
3
Presente
Tamponamento,
cauterizzazione
Trasfusione di sangue,
terapia sostitutiva
Ematomi
Consulenza
Consulenza
Emostasi chirurgica
Epistassi
No o banale
Emorragie cutanee
No o banale
Emorragie da piccole ferite
No o banale
Emorragia cavo orale
No o banale
Presente
Consulenza
Chirurgia/Trasfusione di sangue
Emorragie tratto
gastroenterico
No o banale
Presente
Consulenza
Chirurgia/Trasfusione di sangue
Emorragia post-estrazione
No o banale
Presente
Sutura o tamponamento
Trasfusione di sangue
Emorragia post-chirurgia
No o banale
Presente
Sutura o re-intervento
Trasfusione di sangue
Menorragia
No o banale
Presente
Consulenza, estroprogestinici,
terapia marziale
Trasfusione di sangue,
isterectomia, revisione cavità
uterina, terapia sostitutiva
Emorragia post-partum
No o banale
Presente,Terapia
marziale
Trasfusione di sangue,
revisione cavità uterine, sutura
Isterectomia
Ematomi muscolari
No o banale
Presente
Solo consulenza
Chirurgia/Trasfusione
di sangue/Terapia sostitutiva
Emartri
No o banale
Presente
Consulenza
Chirurgia/Trasfusione di sangue
Petecchie o
ecchimosi
Presenti (1-5 episodi/
anno)
Assumendo tuttavia una prevalenza della VWD tipo 1 dell’1% (5), l’aumento della sensibilità offerto
dal BS è bilanciato dalla sua più bassa specificità, fornendo così valori predittivi positivi e negativi
sovrapponibili per i due criteri diagnostici. Tuttavia, l’utilizzo del BS piuttosto che del semplice criterio
“>2 sintomi emorragici” sta nella sua possibilità di stabilire le probabilità (Likelihood ratio, LR) di VWD
per ogni livello di BS. Usando le LR si può quantificare l’aumento delle probabilità di avere la VWD in
un paziente sulla base del BS. Questi dati sono stati forniti dall’analisi dei dati dello studio MCMDM-1
Study (17), e dimostrano che la probabilità di VWD aumenta grosso modo esponenzialmente per
ogni unità di incremento del BS. Così il BS appare particolarmente informativo per i valori estremi e la
diagnosi di VWD appare improbabile per BS <0 e molto probabile per BS >4. Inoltre, dato che le LR
10
Focusemostasi
possono essere combinate, è possibile integrarle negli stessi dati quantitativi clinici e di laboratorio
fornendo una più solida base alla diagnosi di VWD.
Tabella 2. Score emorragico usato nello studio MCMDM-1 VWD
SCORE
Sintomo
-1
0
1
2
3
Epistassi
-
No o banali (<5)
>5 o >10’
Consulenza
Emorragie
cutanee
-
No o banali
(<1 cm)
>1 cm senza
trauma
Consulenza
Sanguinamenti da piccole ferite
No o banali (<5)
>5 o >5’
Emorragie
cavo orale
-
No
Riferita almeno 1
Emorragie
gastroenteriche
No
Associate
Spontaneo
con ulcera,
ipertensione
portale, emorroidi,
angiodisplasia
Emorragia
post-estrazioni
dentarie
No emorragia
in almeno 2
estrazioni
Non eseguita
Emorragia in
o no emorragia
<25% di tutte
dopo 1 estrazione le procedure
Emorragia
post-chirurgia
No emorragia
in almeno 2
chirurgie
Non eseguita
o no emorragia
in 1 procedura
Emorragia in
<25% di tutte
le procedure
Menorragia
-
No
Consulenza
Emorragia Post- No emorragia
partum
in almeno
2 parti
Nessun parto
o no emorragia
in 1 parto
Consulenza
Revisione
cavità uterina,
Terapia marziale,
Antifibrinolitici
Trasfusione di
sangue o terapia
sostitutiva
o desmopressina
Ematomi
muscolari
-
No
Post trauma;
nessuna terapia
Spontaneo,
nessuna terapia
Spontaneo o
traumatico,
trattato con
Desmopressina o
terapia sostitutiva
Emartri
-
No
Post trauma;
nessuna terapia
Spontaneo,
nessuna terapia
Spontaneo o
traumatico,
trattato con
desmopressina o
terapia sostitutiva
Sanguinamento SNC
No
-
-
Subdurale,
qualsiasi
provvedimento
4
Tamponamento o
cauterizzazione o
antifibrinolitici
Trasfusione di
sangue o terapia
sostitutiva
o desmopressina
Consulenza
Emostasi
chirurgica
Trasfusione
di sangue o terapia
sostitutiva
o desmopressina
Consulenza
Emostasi
chirurgica
o antifibrinolitici
Trasfusione
di sangue o terapia
sostitutiva
o desmopressina
Emorragia in
>25% di tutte
le procedure;
nessun
provvedimento
Emorragia in
>25% di tutte
le procedure;
nessun
provvedimento
Antifibrinolitici,
Estroprogestinici
Emostasi
chirurgica,
trasfusione
di sangue,
terapia sostitutiva,
desmopressina,
antifibrinolitici
Risutura
Trasfusione
o tamponamento
di sangue o terapia
sostitutiva
o desmopressina
Emostasi
chirurgica
o antifibrinolitici
Trasfusione
di sangue o terapia
sostitutiva
o desmopressina
Revisione cavità
uterina, terapia
marziale
Trasfusione di
sangue o terapia
sostitutiva
o desmopressina
o isterectomia
Isterectomia
Spontaneo
o traumatico,
richiedente
chirurgia o
trasfusione
di sangue
Spontaneo
o traumatico,
richiedente
chirurgia
o trasfusione
di sangue
Intracerebrale,
qualsiasi
provvedimento
Focusemostasi
11
Score emorragico nei pazienti con VWD tipo 1
Un’altra applicazione del BS è rappresentata dal suo uso nell’analisi delle emorragie nei pazienti con VWD tipo 1, in particolare per identificare i determinanti dei sanguinamenti.
Nello studio MCMDM-1 VWD, lo score “-1” BS correla in modo lineare sia con i livelli di VWF o di
FVIII: C (17). Anche piccole differenze di livelli di VWF sono associate con l’aumento dei quintili di BS,
indicando che i livelli di VWF possono aumentare il rischio emorragico, anche se non sostanzialmente
ridotti. Dati preliminari riportano un’associazione tra i tempi di chiusura con il Platelet Function Analyzer (PFA-100®) e il BS (22). In 195 controlli normali, il BS era circa 0 sia nei maschi che nelle femmine
e non mostrava una tendenza all’aumento con il crescere dell’età in contrasto con quanto osservato
nei pazienti con VWD tipo 1, suggerendo così che ci sia un costante rischio emorragico durante
l’intera vita di questi pazienti. Le femmine con VWD hanno uno score maggiore dei maschi e circa il
20% dello score totale nelle donne in età fertile è dovuto alla menorragia. Infine, non c’è correlazione
tra BS e gruppo sanguigno.
Kunicki et al. hanno usato una variante del BS “0-3” per analizzare l’influenza di 5 aplotipi di glicoproteine piastriniche sul rischio emorragico nella VWD tipo 1 (23). A tale scopo sono stati valutati 14
propositi, 18 familiari affetti e 38 non affetti di famiglie arruolate nel progetto MCMDM-1 VWD. In
queste famiglie il BS è risultato essere principalmente in relazione con i livelli di VWF, ma anche con
l’aplotipo ITGA2, caratterizzato da variazioni polimorfiche in posizione 807 e 1648 del gene dell’integrina piastrinica α2β1. La differenza significativa di BS osservata tra carrier e non carrier dell’aplotipo
potrebbe in parte spiegare alcune difficoltà nella differente diatesi emorragica nei pazienti con VWD
tipo 1. L’aplotipo ITGA2 è risultato, inoltre, essere associato anche con la severità della diatesi emorragica in 11 famiglie con VWD tipo 2 (24).
Score emorragico nei pazienti con VWD tipo 3
I pazienti con VWD tipo 3 sono solitamente omozigoti o eterozigoti composti per mutazioni nel gene
del VWF in contrasto con i pazienti con VWD tipo 1 in cui solitamente un solo allele è mutato. Questo
spiega la severa riduzione o assenza di VWF nel plasma e nelle piastrine dei pazienti con VWD tipo
3 (8). I CO per VWD tipo 3 dovrebbero tuttavia essere genotipicamente simili ai pazienti con VWD
tipo 1 dato che anche in essi un solo allele è mutato. Tuttavia, i CO di VWD tipo 3 sono in gran parte
asintomatici e per questo motivo la VWD tipo 3 è considerato un disordine recessivo, anche se in rare
occasioni i CO di tipo 3 VWD possono aver sintomi e soddisfare i criteri diagnostici di VWD tipo 1
(25,26). Usando il BS, recentemente abbiamo confrontato la severità dei sintomi emorragici in 70 CO
per VWD tipo 3, 42 CO di VWD tipo 1 e 215 soggetti normali (27). I CO di tipo 3 hanno una storia
emorragica nettamente meno severa dei CO di tipo 1, ma comunque distinguibile dai soggetti normali, avendo epistassi più severe, sintomi emorragici cutanei ed un maggior rischio di sanguinamento
post-chirurgico, enfatizzando così ancora una volta l’eterogeneità della VWD nella sua componente
eterozigote.
Score emorragico è predittivo del rischio emorragico
È interessante capire se i pazienti con VWD e storia di sintomi emorragici severi siano a più elevato
rischio di sanguinamenti durante le procedure invasive (ad es., estrazioni dentarie, chirurgia), dato
che i livelli di VWF non hanno rilevanza nel guidare il trattamento anti-emorragico ottimale di questi
pazienti. Nello studio MCMDM-1 VWD, Tosetto et al. (17) hanno valutato l’associazione fra sintomi
emorragici mucocutanei (epistassi, emorragie cutanee, menorragia) e la presenza di emorragia postchirurgica o post-estrattiva. Sorprendentemente, il BS mostrava un valore predittivo simile ali livelli di
VWF per le emorragie post-estrattive, ma era superiore al livello di VWF nel predire il rischio emorragico post-chirurgico. Sebbene questi dati siano ottenuti retrospettivamente e quindi non immediatemente applicabili alla pratica clinica, essi suggeriscono che la profilassi anti-emorragica dovrebbe
sempre essere considerata nei pazienti con VWD e BS aumentato.
12
Focusemostasi
Conclusioni e prospettive
Lo score emorragico rappresenta un mezzo promettente nella valutazione clinica dei disordini emorragici, anche se al momento vi sono ancora dei limiti che devono essere superati prima di consigliarne
l’utilizzo esteso. Il BS si basa su una graduazione empirica dei sintomi e potrebbero essere scelti
diversi criteri per definire tale graduazione. Ad esempio, diversi BS sono già stati applicati ad altre
malattie emorragiche, come la piastrinopenia autoimmune o il difetto piastrinico tipo Quebec (28-30).
Rimane quindi da accertare se lo score emorragico qui descritto sia o no superiore ad altri BS. Inoltre,
il BS è potenzialmente soggetto a diversi limiti nella sua stima. La soglia oltre la quale un paziente
cerca la consulenza medica rimane soggettiva, e probabilmente determina un aumento dello score
in pazienti ansiosi con medici estremamente scrupolosi. Al contrario, pazienti che hanno sofferto di
episodi gravi o potenzialmente minacciosi per la vita possono trascurare il verificarsi di sintomi di minore entità e, ancora, altri pazienti non sono in grado di ricordare in maniera affidabile sintomi avuti in
passato. Inoltre, la riproducibilità del BS è sconosciuta, soprattutto tra i diversi osservatori, anche se
una recente esperienza ha mostrato che l’affidabilità nel definire come emorragico un soggetto usando un questionario è soddisfacente (31). A questo riguardo, la storia emorragica dovrebbe essere
preferibilmente raccolta da un medico esperto, tramite colloquio diretto con il paziente piuttosto che
con questionari completati dai pazienti da soli dato che questi ultimi risultano meno informativi nelle
malattie lievi (32). Infine, il BS è stato usato principalmente negli adulti e la sua applicazione in ambito
pediatrico necessita di ulteriori studi ad hoc.
Studi futuri dovranno valutare la qualità diagnostica del BS in altri gruppi di pazienti con VWD e si
dovrà procedere alla validazione prospettica in pazienti consecutivi riferiti per una valutazione emostatica (33). Tuttavia, va sempre ricordato che il BS non è un mezzo diagnostico esclusivo per la VWD
ma piuttosto dovrebbe essere parte integrante del suo processo diagnostico assieme alla misura del
VWF e all’accertamento della natura ereditaria del difetto (34).
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Profilassi nei pazienti
con malattia di von Willebrand
Silvia Linari
Agenzia per l’Emofilia e Centro Regionale Riferimento Coagulopatie Congenite
Dipartimento di Medicina e Chirurgia Generale e d’Urgenza - Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
Introduzione
La malattia di von Willebrand (VWD) è la più frequente coagulopatia emorragica congenita (1, 2). La
patologia è causata da un difetto quantitativo o qualitativo del fattore von Willebrand (VWF), una glicoproteina ad alto peso molecolare che gioca un ruolo fondamentale nel processo emostatico. Il VWF
promuove l’adesione piastrinica al sub-endotelio e l’aggregazione piastrinica (3) e forma nel plasma
un complesso non covalente col fattore VIII (FVIII) della coagulazione, proteggendolo dall’inattivazione e dalla clearance (4).
Nella maggior parte dei casi il difetto viene trasmesso in modo autosomico dominante, ma in alcuni
casi è descritta anche una trasmissione autosomica recessiva (5). La VWD viene classificata in tre
diversi fenotipi, che ne riflettono sostanzialmente la fisiopatologia: nel tipo 1 e nel tipo 3 si ha, rispettivamente, la parziale o virtualmente completa carenza del VWF, mentre nel tipo 2 è presente un difetto
qualitativo del fattore stesso. La VWD tipo 2 viene, a sua volta, classificata in quattro sottotipi (2A, 2B,
2M, 2N) in base a caratteristiche specifiche dell’espressione fenotipica (6) (Tabella 1).
Le manifestazioni cliniche riflettono il duplice difetto emostatico: eccessivi e prolungati sanguinamenti
post-traumatici, tipici delle coagulopatie, ed emorragie muco-cutanee, proprie delle piastrinopatie.
Nel sesso femminile il sintomo più caratteristico è la menorragia mentre i sanguinamenti gastrointestinali, spesso legati ad un’angiodisplasia, rappresentano una manifestazione anche pericolosa della
VWD (7). Nelle forme più gravi, in cui si ha un deficit secondario significativo di FVIII, si possono
manifestare emartri ed ematomi anche spontanei, come nell’emofilia A. Due studi hanno infatti messo
in evidenza che soggetti affetti dalla variante di tipo 3 hanno manifestato almeno un emartro rispettivamente nel 37% (8) e nel 45% (9) dei casi.
Tabella 1. Classificazione della malattia di von Willebrand
Tipo
Trasmissione Meccanismo patogenetico
Parametri di laboratorio
VWF:Ag VWF:RCo FVIII
Tipo 1
AD
Tipo 2
AD, AR
Tipo 3
Deficit quantitativo parziale di VWF
VWF:RCo/
Ripa Multimeri
VWF:Ag
R
R
N/R
>0.7
R
Presenti
Alterazione qualitativa di VWF
2A
Ridotta attività piastrino-dipendente
N/R
R
N/R
<0.7
R
Assenti alti P.M.
2B
Aumentata attività piastrinodipendente
N/R
R
N/R
<0.7
A
Assenti alti ed intermedi P.M.
2M
Ridotta attività piastrino-dipendente
R
R
N/R
<0.7
R
Normali
2N
Ridotta affinità per FVIII
N
N
R
>0.7
N
Normali
AR
Deficit completo di VWF
R
R
R
-
R
Assenti
Legenda: AD, autosomico dominante; AR, autosomico recessivo; vWF, fattore von Willebrand; FVIII, fattore VIII; vWF: Ag,
VWF antigene; vWF: RCo, vWF cofattore ristocetinico; Ripa, agglutinazione piastrinica indotta dalla ristocetina; R, riduzione;
N, normalità; A, aumento; P.M., peso molecolare
15
Dal punto di vista terapeutico il trattamento della VWD prevede la correzione del difetto dell’emostasi
primaria e della coagulazione (10), mediante l’impiego della desmopressina, che nei pazienti con
difetto lieve o moderato induce la secrezione nel plasma di VWF e FVIII autologhi con conseguente
transitorio incremento dei loro livelli circolanti (11), oppure di concentrati plasmaderivati che consentono una terapia sostitutiva allogenica. I concentrati di FVIII/ VWF rappresentano il trattamento
di scelta per i pazienti affetti dalla variante di tipo 3 e 2B, dato che in questi ultimi la desmopressina
può indurre una piastrinopenia transitoria; sono, inoltre, indicati nei tipi 1 e 2 che non rispondono alla
desmopressina stessa o che presentano controindicazioni al suo impiego (12). Per essere impiegato
nella VWD, un concentrato plasmaderivato di FVIII deve contenere VWF, essere stato sottoposto a
trattamento di inattivazione virale ed essere stato impiegato in studi retrospettivi e prospettici di farmacocinetica ed efficacia in pazienti con questa specifica coagulopatia (10).
I concentrati disponibili differiscono tra loro per il contenuto VWF, FVIII e pattern dei multimeri del
VWF (Tabella 2). Dopo l’infusione di un concentrato di VWF/FVIII si raggiungono elevate concentrazioni dei due fattori della coagulazione e, grazie all’effetto stabilizzante del VWF esogeno, si ottiene
un aumento significativo dell’emivita del FVIII circolante. Per questo motivo, in seguito a ripetute
infusioni si possono raggiungere livelli significativamente alti di FVIII con conseguente potenziale
aumentato rischio tromboembolico nel caso, soprattutto, di presenza di altri fattori di rischio protrombotico (10,12). Pertanto, quando vengono effettuate ripetute infusioni di concentrati di FVIII/VWF
per trattare un sanguinamento o in caso di profilassi post-chirurgica, è consigliabile un monitoraggio
quotidiano dei livelli del FVIII, per mantenerlo tra 50 e 150 U/dl. I livelli minimi emostatici del cofattore
ristocetinico del VWF (VWF: RCo) non sono definitivamente stabiliti, ma valori superiori a 30 U/dl
sono associati ad un basso rischio di sanguinamento mucoso (13).
Profilassi
Nella recente pubblicazione sulle raccomandazioni italiane per il trattamento della VWD (14) viene
preso in considerazione il possibile beneficio di una profilassi secondaria a lungo termine nei pazienti
con fenotipi gravi, che presentano emartri ripetuti, sanguinamenti gastrointestinali recidivanti o epistassi frequenti in età infantile. I vantaggi della profilassi sono già stati acquisiti nell’emofilia grave,
dove l’inizio precoce di un tale trattamento a lungo termine riduce il numero di emorragie e la comparsa di artropatia, con miglioramento della qualità di vita (15,16).
Studi retrospettivi
L’esperienza più vasta di profilassi secondaria a lungo termine nella VWD appartiene alla Svezia (17),
dove è stato condotto uno studio multicentrico, retrospettivo su 37 pazienti (20 donne e 17 uomini) affetti
da varianti gravi (28 soggetti di tipo 3, 3 soggetti rispettivamente di tipo 1, 2A e 2B). L’età media era di
33 anni (range 6-67 anni), mentre l’età media all’inizio della profilassi era di 13 anni (range 1-61 anni).
Dei 37 pazienti 8 (22%) hanno iniziato la profilassi prima dei 5 anni, 10 (27%) tra 5 e 15 anni, i restanti
19 dopo i 15 anni di età. Il numero medio di anni in trattamento di profilassi era pari a 11, con un’ampia variabilità (2-45 anni). Le indicazioni più frequenti per l’inizio della profilassi erano gli emartri e/o
Tabella 2. Concentrati di VWF/FVIII disponibili in Italia per il trattamento della malattia di von Willebrand
Prodotto
Industria
farmaceutica
Metodo di
purificazione
Metodo di inattivazione virale
VWF:RCo/Ag
(ratio)
VWF:RCo/FVIII
(ratio)
Alphanate
Alpha Therapeutics
S/D + calore secco
0.90
1.02
Fanhdi
Grifols
S/D + calore secco
0.83
1.48
Immunate
Baxter
D + calore secco
0.47
1.10
Haemate P
CSL Behring
Cromatografia
ad affinità
Cromatografia
ad affinità
Cromatografia
a scambio ionico
Precipitazioni multiple
Pasteurizzazione
0.96
2.54
Legenda: S/D, solvente/detergente (TNBP/polisorbato 80); D, detergente
16
Focusemostasi
le epistassi, più raramente i sanguinamenti gastrointestinali e le menorragie (Figura 1). Le indicazioni
alla profilassi risultavano strettamente dipendenti dall’età; infatti, nei pazienti più giovani, sotto i 5 anni,
solitamente il trattamento era proposto per recidivanti gravi epistassi o emorragie del cavo orale, per
le quali spesso era necessaria l’ospedalizzazione ed il supporto trasfusionale; negli adulti, invece, gli
emartri e l’artropatia erano la manifestazione più rappresentata.
Il trattamento di profilassi era definito come almeno 1 infusione settimanale per 45 settimane/anno.
I dosaggi impiegati variavano da 12 a 50 UI (Unità Internazionali) di FVIII/kg (media di 24 UI), con
una frequenza da 1 a 3 volte/settimana, schema simile a quello impiegato per l’emofilia. Fino a metà
degli anni ’80 è stato utilizzato il prodotto AHF-Kabi, poi sostituito dall’Haemate-P (CSL Behring,
Marburg, Germania), il concentrato plasmaderivato pasteurizzato di FVIII/VWF, caratterizzato da un
alto contenuto di VWF (rapporto VWF:RCo/FVIII=2.4) e un’alta percentuale di multimeri ad alto peso
molecolare. Haemate P negli oltre 25 anni di impiego clinico si è dimostrato estremamente efficace e
sicuro rispetto alla trasmissione di possibili agenti patogeni (18).
Il trattamento di profilassi ha consentito di ridurre significativamente il numero di sanguinamenti,
passando da 11 emorragie/anno (range: 2-100) ad una sola emorragia/anno (range: 0-5); inoltre,
i 12 bambini che avevano iniziato la profilassi prima dei 5 anni non avevano mai presentato emartri
o sviluppato segni di artropatia. Tre pazienti affetti da VWD di tipo 3 avevano sviluppato anticorpi
neutralizzanti il VWF (inibitori), due prima di iniziare la profilassi, uno durante un trattamento acuto;
due di questi pazienti, diventati tolleranti, hanno poi proseguito la profilassi, mentre il terzo è passato
ad un trattamento a domanda con concentrato ricombinante di FVIII. Nessun paziente ha presentato
eventi tromboembolici.
Negli ultimi anni, anche in Italia, la profilassi secondaria nella VWD ha iniziato ad essere proposta.
Presso il Centro Emofilia di Milano è stato condotto uno studio per valutare l’efficacia e la sicurezza
di questo approccio terapeutico (19). Su un totale di 89 pazienti che avevano richiesto terapia sostitutiva nei 2 anni precedenti la valutazione, 11/89 (pari al 12%) erano stati inclusi in un programma di
profilassi a lungo termine per sanguinamenti recidivanti a livello del tratto gastrointestinale (7 casi) o
emartri (4 casi). Lo schema di trattamento prevedeva l’infusione di 40 UI/kg di concentrato di FVIII ad
alta (Alphanate, Fanhdi) od intermedia (Haemate P) purificazione 2 volte/settimana (in caso di emartri), o a giorni alterni (sanguinamenti gastrointestinali). Grazie alla profilassi 8 pazienti hanno pratica-
Menorragie
8%
Sanguinamenti
gastrointestinali
11%
Altro
3%
Epistassi +
Emorragie del cavo orale
29%
1
2
3
4
5
6
Emartri
22%
Epistassi+Emartri
27%
Figura 1. Indicazioni alla profilassi in pazienti affetti da malattia di von Willebrand.
Focusemostasi
17
mente risolto i sanguinamenti, mentre 3 hanno significativamente ridotto i giorni di ospedalizzazione
e la richiesta di supporto trasfusionale. Rispetto al precedente periodo di trattamento a domanda, anche la dose totale annua di concentrato di FVIII impiegata risultava inferiore. Non sono stati descritti
eventi avversi neppure in questo studio.
Successivamente è stato condotto in Italia uno studio multicentrico retrospettivo sull’impiego clinico di
Haemate P in 100 soggetti affetti di VWD (20). Dodici pazienti (9 di tipo 3, 1 rispettivamente di tipo
1, 2B e 2M), con un’età media di 34.5 anni (range: 11-71 anni) sono stati trattati con 17 cicli di
profilassi per prevenire emorragie recidivanti del tratto gastrointestinale (47%) o delle articolazioni
(35%). I pazienti hanno ricevuto globalmente 5.60x106 UI di VWF:RCo in 1424 infusioni di Haemate P
somministrate 3 volte (53%) o 2 volte (47%) a settimana con un’eccellente risposta clinica. Il 70% era
affetto dalla variante di tipo 3 ed ha ricevuto il 54% del concentrato totale infuso (Tabella 3) nel corso
dei 4385 giorni di profilassi (media 201; range 30-730) si sono manifestati solo 4 episodi emorragici;
Haemate P è stato ben tollerato e non si sono avuti eventi avversi.
Studi prospettici
L’esperienza svedese e le due esperienze italiane retrospettive hanno suggerito la necessità di una
valutazione di costo/efficacia della profilassi in studi prospettici e di un confronto col trattamento a
domanda. Con questo fine è stato disegnato uno studio italiano prospettico, multicentrico, controllato, randomizzato (PRO.WILL) dove si prevede di arruolare 24 pazienti con fenotipi gravi di malattia di VWD. I criteri di inclusione prevedono un livello di VWF:RCo <10 UI/dl e di FVIII< 20UI/dl,
associati o meno ad un tempo di emorragia >15 minuti; i pazienti devono non rispondere alla vasopressina, avere sanguinamenti spontanei mucosi o articolari ed aver avuto nei 12 mesi antecedenti
l’arruolamento un’emorragia spontanea che ha richiesto trattamento sostitutivo.
Tutti i soggetti riceveranno una dose di carico di 40 UI/kg di VWF/FVIII plasmaderivato ad elevata purezza. I pazienti randomizzati nel gruppo di trattamento a domanda saranno trattati con una quantità
Tabella 3. Caratteristiche e risposte dei pazienti con malattia di von Willebrand trattati con Haemate P in regime
di profilassi
Profilassi
Emorragie gastrointestinali Emorragie articolari
Altro
Numero di pazienti
5
4
3
Sesso (M/F)
2/3
2/2
2/1
Età (anni)*
59 (46-71)
42 (2-87)
35 (11-71)
Peso (kg)*
70 (48-90)
68 (36-78)
50 (28-70)
Numero di cicli di profilassi
8
6
3
Durata (giorni)*
230 (92-730)
269 (30-365)
60 (36-730)
Totale VWF: RCoUI
3.024.000
1.357.000
826.000
VWF: RCo UI/kg/die*
60 (24-96)
72 (69-72)
86 (72-96)
Tipo 1
1 (2/settimana)
-
-
Tipo 2B
1 (3/settimana)
-
-
Tipo 2M
3 (3/settimana)
-
-
Tipo 3
1 (2-3/settimana)
4 (2/settimana)
1 (2/settimana)
Tipo 3
1 (2/settimana)
2 (3/settimana)
2 (3/settimana)
1 (3/settimana)
-
-
Eccellente/buona
100
100
100
Moderata/scarsa
-
-
-
Cicli (infusioni/settimana)
Tipo 3
Risposta clinica
*I risultati sono espressi come media (valore minimo – massimo)
18
Focusemostasi
di concentrato tale da mantenere rispettivamente il livello di VWF:RCo >di 30 UI/dl in caso di emorragia mucosa o di 50 UI/dl per gli altri tipi di emorragia. I pazienti randomizzati nel gruppo di trattamento
a profilassi, invece, riceveranno 40 UI/kg di FVIII/VWF a giorni alterni in caso di emorragia mucosa o
ogni 3 giorni per altri tipi di emorragia (21).
Inoltre, per comprendere pienamente il ruolo della profilassi nelle forme gravi della VWD si è costituito
un gruppo di studio internazionale, il VWD Prophylaxis Network (VWDPN), di cui fanno parte 74 centri
specialistici europei e nord americani, che seguono in totale 6208 pazienti affetti dalla patologia, dei
quali 102 in profilassi (74.5% tipo 3, 17.6% tipo 2 e 7.8% tipo 1). I pazienti di tipo 3 tendono ad essere sottoposti a regime di profilassi più in Europa (28.7%) che negli Stati Uniti (12.2%) (p=0.0004),
mentre l’impiego della profilassi nei tipi 2 e 1 è rara ovunque. Le indicazioni alla profilassi sono sovrapponibili a quelle degli studi retrospettivi: emartri (40%), epistassi o emorragie del cavo orale (23%),
sanguinamenti gastrointestinali (14%) e menorragie (5%). Il VWDPN ha proposto lo studio”VWD
International Prophylaxis” (VIP) con diverse finalità: stabilire gli schemi di trattamento più idonei e gli
effetti della profilassi sulla frequenza dei sanguinamenti, analizzare il rapporto costo/beneficio e la
qualità di vita dei pazienti in base al programma terapeutico, valutare retrospettivamente la gestione
clinica del post-partum in queste pazienti, ottenere dati sulla storia naturale delle emorragie del tratto
gastroenterico. I criteri di inclusione per le valutazioni prospettiche sono la presenza di un fenotipo
grave di malattia (tipo 3 o non responder alla desmopressina), con manifestazioni emorragiche articolari e/o mucose. I soggetti arruolati saranno trattati con dosi crescenti di concentrato di FVIII/VWF: da
50 UI/kg una volta/settimana a 3 volte/settimana. La scelta del prodotto per la terapia sostitutiva sarà
a discrezione del clinico. Dopo l’arruolamento, ogni paziente sarà seguito per almeno un anno (22).
Conclusioni
Dagli studi retrospettivi, purtroppo limitati, appare giustificato un trattamento di profilassi secondaria
a lungo termine nella VWD nella maggior parte dei soggetti di tipo 3 ed in alcuni sottotipi diversi a
fenotipo grave. La vasta esperienza della profilassi nell’emofilia, alla quale tendiamo a riferirci, non può
essere trasferita direttamente alla VWD e gli studi prospettici in corso consentiranno di comprendere
meglio gli schemi di terapia più idonei e di avere una valutazione costo/beneficio della profilassi rispetto al trattamento a domanda nella VWD.
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Diagnosi e trattamento degli
inibitori del fattore von Willebrand
nei pazienti con malattia
di von Willebrand ereditaria
Augusto Bramante Federici
Professore Associato di Ematologia, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Milano
Introduzione, definizioni generali e frequenza
A differenza dei pazienti affetti da forme moderate-gravi di emofilia A in cui possono comparire inibitori anti-fattore VIII in circa il 20-30% dei casi, gli anticorpi diretti contro il fattore di von Willebrand
(inibitori anti-VWF) rappresentano una complicanza rara della terapia sostitutiva nei pazienti trasfusi
affetti da malattia di von Willebrand di tipo 3 grave (VWD3) (1-3). Questi inibitori anti-VWF sono alloanticorpi e sono principalmente correlati alla presenza di delezioni del gene VWF, che generalmente
causa queste forme gravi di VWD3 (4-6): alloanticorpi contro il VWF non sono stati finora mai identificati nei pazienti con quantità misurabili di VWF circolante, sia in quelli affetti da VWD1, caratterizzati
da un deficit parziale di VWF sia in quelli con VWD2A, VWD2B, VWD2M e VWD2N, caratterizzati da
livelli disfunzionali di VWF. La comparsa di un alloanticorpo diretto contro il VWF nei pazienti politrasfusi affetti da VWD3 grave è stata descritta per la prima volta nel 1974 (1). Uno studio osservazionale
internazionale ha riportato un’incidenza del 7.5-9.5% su 150 casi esaminati (7). Nel più recente studio
retrospettivo realizzato dall’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE), sono stati descritti 96 pazienti
con VWD3 (5.8%) tra i 1650 contenuti nel Registro, con una prevalenza di 1.6 casi per milione di abitanti; sono stati individuati inibitori anti-VWF soltanto in 7 pazienti, appartenenti a 3 famigli con VWD3
(8). In questi casi, le concentrazioni di VWF non solo sono inefficaci, ma possono perfino provocare
un’anafilassi post-infusiva potenzialmente letale, a causa della formazione di immunocomplessi (9,10).
Patogenesi degli alloanticorpi versus quella
degli autoanticorpi
Poiché non tutti i pazienti politrasfusi affetti da VWD3 grave sviluppano anticorpi, altri fattori, oltre
all’esposizione al VWF allogenico trasfuso con concentrati di VWF ottenuti dal plasma, devono influenzarne la comparsa. Diversi Autori hanno riportato un’associazione con le delezioni dei geni VWF
(4-6); tuttavia, sono stati anche descritti pazienti con alloanticorpi contro il VWF, caratterizzati da
mutazioni nonsense causate da stop codon nell’esone 20 (11). Le anomalie genetiche più frequentemente associate alla comparsa di alloanticorpi nei pazienti con VWD3 severa sono descritte di seguito. Questi alloanticorpi dovrebbero essere nettamente differenziati dagli autoanticorpi, i quali sono
correlati a diverse condizioni cliniche acquisite in soggetti privi di deficit del gene VWF: infatti, nei
pazienti con disordini linfoproliferativi come la leucemia linfatica cronica (LLC) e la gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS), in quelli con disordini immunologici come il lupus eritematoso
sistemico (LES) ed in quelli affetti da neoplasie maligne, possono essere individuati autoanticorpi capaci di causare una forma acquisita di sindrome di von Willebrand (AVWS), come precedentemente
descritto (12).
21
Diagnosi di laboratorio e proprietà immunologiche
Tra gli esperti di emofilia esiste consenso generale sulle metodiche di laboratorio per il dosaggio degli
inibitori contro il FVIII nei pazienti affetti da questa malattia. Per valutare questi inibitori, viene attualmente impiegato il metodo Bethesda con modificazione secondo Nijmegen (con risultati espressi in
Unità Bethesda, BU).
Sfortunatamente, non è stato raggiunto un consenso generale sui test diagnostici per il riconoscimento degli anticorpi anti-VWF nei pazienti affetti da VWD3. I test sono attualmente disponibili soltanto in
pochi laboratori specializzati e sono simili al metodo Bethesda per il dosaggio degli inibitori emofilici:
si valuta l’attività del VWF e del FVIII in miscele di plasma di pool di pazienti normali dopo 2 ore di
incubazione a 37 °C. Il titolo degli inibitori anti-VWF viene calcolato mediante diluizione corrente del
plasma di pazienti affetti da VWD capace di inibire il 50% del plasma del pool di soggetti sani diluito
1:2 rispetto alla miscela di controllo.
Diversi Autori per dosare gli inibitori anti-VWF hanno utilizzato l’agglutinazione piastrinica indotta dalla
ristocetina (RIPA) nel plasma normale arricchito di piastrine (PRP). Tuttavia, dovrebbero essere analizzate tutte le funzioni del VWF, come l’anti-VWF antigene (anti-VWF:Ag), l’attività di cofattore della
ristocetina dell’anti-VWF (anti-VWF:RCo), il legame dell’anti-VWF al collagene (anti-VWF:CB) e l’antiFattore VIII (anti-FVIII). Queste tecniche dovrebbero essere standardizzate prospetticamente da uno
studio multicentrico organizzato da parte del sottocomitato sul VWF dell’ISTH-SCC.
Nei casi in cui è stata realizzata la tipizzazione immunologica questi alloanticorpi erano di classe IgG
e contenevano entrambi i tipi di catene, il che indica che la maggior parte degli alloanticorpi contro
il VWF sono di origine policlonale. Un’altra importante proprietà di questi alloanticorpi consiste nella
loro capacità di far precipitare il VWF nel plasma normale: di conseguenza, essi non soltanto possono
inibire l’attività del VWF (anticorpi neutralizzanti) ma sono anche in grado di farlo precipitare dopo
formazione di immunocomplessi (anticorpi precipitanti).
Questi alloanticorpi contro il VWF, osservati nei pazienti con VWD3, sono stati anche analizzati in vitro
relativamente alla loro capacità di legare il FVIII purificato: è stato mostrato che essi non inattivano il
FVIII e che la ridotta attività di quest’ultimo che si osserva nel plasma in seguito alla somministrazione
di concentrati di VWF/FVIII è dovuta all’ostacolo sterico del legame della molecola del FVIII con il
VWF. Queste osservazioni in vitro rivestono una notevole importanza nella scelta di utilizzare il FVIII
ricombinante privo del VWF nei pazienti con VWD3 con un elevato titolo di alloanticorpi (vedi in seguito).
Marcatori molecolari degli alloanticorpi nella VWD3
Negli anni ’80, i primi difetti molecolari nei pazienti con VWD3 sono stati individuati con la tecnica
Southern blot. Delezioni complete in omozigosi del gene VWF sono state individuate in 2 pazienti con
VWD3 su 19 da Shelton-Inloes et al. (4) e delezioni complete in omozigosi ed in eterozigosi sono
state osservate in sei pazienti con VWD3 da Ngo et al. (5).
Negli anni ‘90, Schneppenheim et al. hanno individuato una delezione completa in omozigosi ed una
parziale in eterozigosi in 28 pazienti Tedeschi con VWD3, mentre è stata evidenziata una delezione
completa in eterozigosi del gene VWF in cinque pazienti italiani (13).
Recentemente, Schneppenheim et al. hanno individuato l’esatta estensione della delezione in questi
pazienti: essi condividono lo stesso difetto, che consiste in una delezione di 253.246 bp (Δ253-kb).
Il riconoscimento di un identico breakpoint in questi soggetti tedeschi ed italiani ha portato gli Autori
ad ipotizzare un comune background genetico. Sono state finora descritte sette delezioni parziali
omozigoti del gene VWF, che comprendono gli esoni 1-3, 6-16, 42, 33-38, 22-43, 23-52 e 17-18: tra
queste alterazioni, in diversi pazienti è stata evidenziata soltanto la delezione Alu-mediata degli esoni
1-3, la quale rappresenta il difetto più comune nei pazienti con VWD3 in Ungheria (14).
22
Focusemostasi
Conseguenze cliniche degli alloanticorpi
Nella maggior parte dei casi descritti, la comparsa di anticorpi è stata annunciata dalla scarsa risposta
clinica alla terapia sostitutiva, accompagnata da un recupero inferiore a quanto atteso del VWF nel
plasma e dall’assenza di un incremento ritardato e sostenuto del FVIII (risposta secondaria del FVIII).
Quando il titolo degli inibitori è relativamente basso, non è generalmente difficile trattare le emorragie
dei tessuti molli e prevenire il sanguinamento durante interventi chirurgici su questi soggetti. In alcuni
pazienti con livelli anticorpali particolarmente alti, la terapia sostitutiva non è soltanto inefficace per
controllare le emorragie delle mucose, ma può anche scatenare reazioni anafilattiche potenzialmente
fatali associate ad una marcata attivazione della via classica del complemento (9, 10). Un incremento
anamnestico dei livelli anticorpali si osserva generalmente 5-10 giorni dopo la terapia sostitutiva con
concentrati di VWF, con caratteristiche tipiche di una risposta secondaria ad un antigene estraneo.
Trattamento dei pazienti con VWD3 con alloanticorpi
I pazienti con VWD3 non rispondono alla desmopressina (DDAVP) e devono essere trattati con concentrati di VWF/FVIII. Tuttavia, nei rari pazienti con VWD3 che sviluppano alloanticorpi anti-VWF in
seguito a più trasfusioni, l’impiego di concentrati di VWF/FVIII non è soltanto inefficace, ma può talora
provocare un’anafilassi post-infusiva a causa della formazione di immunocomplessi; queste reazioni
sono potenzialmente fatali (9, 10). Per superare questo inconveniente, una paziente sottoposta ad
un intervento chirurgico addominale urgente è stata trattata con FVIII ricombinante in quanto questo
prodotto, che non contiene il VWF, non causava reazioni anafilattiche. Tenendo conto dell’emivita molto breve del FVIII privo del carrier VWF, il FVIII ricombinante è stato somministrato mediante infusioni
ev continue a dosi molto alte, per mantenere i livelli di questo fattore pari a circa 50 UI/dl per 10 giorni
dopo l’intervento. Un altro possibile approccio terapeutico consiste nell’impiego del fattore VII attivato
ricombinante (rFVIIa) che può essere usato nella VWD con alloanticorpi allo stesso dosaggio e con
gli stessi regimi impiegati per i pazienti con emofilia A in presenza di inibitori (15).
Prospettive future
Dal momento che i casi di pazienti con VWD3 con alloanticorpi contro il VWF sono molto rari, una
migliore comprensione della storia naturale di queste condizioni cliniche può derivare soltanto da
studi prospettici sulla prevalenza e sui marcatori clinico-molecolari degli alloanticorpi contro il VWF
in un’ampia coorte di pazienti con VWD3. Infatti, molti meccanismi sono ancora oscuri (16). A causa
della frequenza relativamente bassa della VWD3, dei costi e delle difficoltà per la diagnosi molecolare e per l’identificazione degli anticorpi anti-VWF, l’attuale prevalenza mondiale, la diagnosi clinicomolecolare ed il management di questa rara complicanza non sono chiari.
Inoltre, non sono finora disponibili i risultati degli studi prospettici sull’impiego dei concentrati di VWF
plasmaderivati versus quello del rFVIII o del rFVIIa. Abbiamo recentemente proposto uno studio diretto da ricercatori dal titolo “Prevalenza e marcatori clinico-molecolari degli alloanticorpi nei pazienti
con VWD3”. I principali obiettivi e metodi di tale studio sono elencati in tabella 1.
La diagnosi di VWD3 verrà fatta in accordo con le raccomandazioni dell’ISTH-SSC-SC-VWF: anamnesi positiva per gravi emorragie, nessun deficit grave di VWF nei genitori, allungamento del tempo
di emorragia, livelli non misurabili di antigene VWF e ridotte concentrazioni di FVIII, in base a quanto
valutato dai partecipanti. In particolare, la storia emorragica dei pazienti verrà raccolta attraverso un
questionario dettagliato in cui viene impiegato il bleeding-severity score (BSS), di recente pubblicato.
Saranno allestiti un data base computerizzato disponibile sul sito web e raccolte di campioni di plasma
e di DNA per le indagini centralizzate. Si prevede di arruolare almeno 300 pazienti con VWD3 dalla
maggior parte degli Centri Emofilia del mondo, selezionati in base ai requisiti imposti dal Comitato
Direttivo. Il Comitato Direttivo dello studio sarà composto da esperti che hanno fornito dati pubblicati
significativi sulla diagnosi clinica e molecolare di VWD3. Lo studio è appena iniziato in Italia e si estenderà al resto d’Europa, al Medio Oriente, al Nord e Sud America, all’Asia (compreso il Giappone) e
all’Australia.
Focusemostasi
23
Tabella 1. Studio “Prevalenza e marcatori clinico-molecolari degli alloanticorpi nei pazienti con VWD3”
Domande aperte sui marcatori clinici e molecolari dei pazienti con VWD3
1. Qual è la prevalenza di VWD3 nelle diverse nazioni?
2. La storia emorragica può essere diversa in base alle concentrazioni basali di fattore VIII?
3. I difetti molecolari del gene VWF come possono influenzare la storia emorragica?
4. Quanti pazienti necessitano di trasfusioni con concentrati di VWF?
5. Quanti giorni di terapia all’anno sono necessari?
6. Quali concentrati e quante unità di VWF/FVIII per anno?
7. Quanti pazienti necessitano di una profilassi secondaria a lungo termine?
8. Esistono altri eventi avversi maggiori/minori oltre alle reazioni anafilattiche?
9. Qual è la prevalenza di un titolo basso-alto di alloanticorpi?
10. Gli alloanticorpi possono essere correlati a specifici deficit genetici?
Obiettivi di un ampio studio prospettico e criteri di inclusione dei pazienti con VWD3
Indicazione sui marcatori clinici e molecolari di VWD3 in un’ampia coorte di VWD
• Database standardizzato a disposizione di un’estesa rete di Centri di Emofilia
• Campioni di plasma e DNA dei pazienti arruolati con VWD3 per lo studio nel laboratorio centralizzato
• Valutazione centralizzata della storia emorragica e dei parametri laboratoristici (VWF e FVIII)
• Metodi standardizzati per la ricerca nel plasma di anticorpi anti-VWF
• Metodi standardizzati per lo screening genetico (delezioni versus mutazioni)
Criteri di inclusione
•
•
•
•
•
•
•
Antigene VWF non misurabile
Eredità dominante esclusa
Dati standardizzati relativi alla storia emorragica (Bleeding Severity Score)
Numero/tipo delle pregresse emorragie
Precedente impiego di concentrati di VWF/FVIII: PUP identificato
Campioni di plasma mantenuti congelati a -70 °C per il FVIII concentrato e per l’antigene VWF
Isolamento del DNA per le analisi centralizzate dei difetti genetici
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Trattamento combinato con
fattore VIII ad intermedia purezza
e fattore VIII ricombinante
in soggetto con malattia
di von Willebrand tipo 3
e alloanticorpi anti-fattore
von Willebrand
Francesco Antonio Scaraggi e Renato Marino
Centro Emostasi e Trombosi – Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Consorziale, Bari
Introduzione
La malattia di von Willebrand (VWD) è il più frequente disordine emorragico ereditario determinato
da un deficit quantitativo parziale (tipo 1) o totale (tipo 3) del VWF, oppure da un’alterazione della sua
attività funzionale (tipo 2 con i suoi quattro sottotipi, 2A, 2B, 2M e 2N).
Il tipo 3 rappresenta la forma più rara ma anche più grave della VWD. La trasmissione ereditaria è di
tipo autosomico recessivo. Dal punto di vista laboratoristico si riscontrano livelli indosabili del VWF
antigenico e funzionale ed una consensuale grave carenza del FVIII plasmatico. La sintomatologia
emorragica, più grave rispetto agli altri tipi di VWD, è caratterizzata essenzialmente da emorragie mucose, ma non di rado possono manifestarsi ematomi muscolari ed emartri. I pazienti con VWD tipo 3
e portatori di ampie delezioni del gene del VWF sono ad alto rischio di sviluppare alloanticorpi antiVWF (1) come conseguenza di trasfusioni multiple. In questi pazienti, il trattamento con concentrato
di FVIII ricco in VWF non solo è inefficace, ma può provocare reazioni anafilattiche severe post-infusionali, legate alla formazione di immunocomplessi che attivano il complemento. Per tale motivo l’approccio terapeutico nei pazienti con VWD tipo 3 ed alloanticorpi anti VWF è alquanto problematico.
Descriviamo il caso di un trattamento combinato con concentrato di FVIII ad intermedia purezza e di
FVIII ricombinante per una grave emorragia in sede atipica in un paziente con VWD tipo 3 ed inibitore
anti-VWF.
Caso clinico
Il paziente è un uomo di 40 anni, figlio di genitori consanguinei (2), al quale venne formulata la
diagnosi di VWD tipo 3 all’età di 4 anni. L’analisi genetica ha documentato la presenza di un’ampia
delezione del gene del VWF. La storia clinica è caratterizzata da frequenti emorragie mucose (gengivorragie, epistassi e sanguinamenti gastro-intestinali) ed ematomi muscolari post-traumatici.
All’età di 6 anni il paziente sviluppò un alloanticorpo anti-VWF in seguito alle molteplici trasfusioni cui
era stato sottoposto negli anni precedenti. Peraltro presentò anche diversi episodi di reazioni allergiche post-infusionali, motivo per cui rifiutò qualsiasi terapia sostitutiva per più di venti anni. All’età di 33
anni iniziò trattamento on demand con concentrato di FVIII ricombinante (rFVIII).
All’età di 36 anni, il paziente, per una grave anemizzazione conseguente a ripetuti episodi di melena,
25
venne ospedalizzato e trattato con trasfusione di globuli rossi concentrati. Questi venivano lavati almeno due volte per eliminare le tracce di VWF al fine di evitare una risposta anamnestica. Avendo un
livello di inibitore anti-VWF di 2,0 U.B., iniziò da subito trattamento sostitutivo con rFVIII (Kogenate,
Bayer), al dosaggio di 30 U.I./kg di peso corporeo ogni 4 ore.
La gastroscopia eseguita in urgenza documentò la presenza di un focus emorragico a livello della
papilla del Vater. Dopo 10 giorni della suddetta terapia, non essendosi verificato un recupero dei livelli
di emoglobina e persistendo la positività del sangue occulto nelle feci, il paziente venne sottoposto
ad un trattamento combinato, alternando il concentrato di rFVIII (secondo i dosaggi suddetti) al
f attivato ricombinante (rFVIIa) (NovoSeven, Novo Nordisk), alla dose di 100 mcg/kg ogni 4 ore.
Questo trattamento combinato fu sospeso dopo 4 giorni, non solo per la sua inefficacia ma anche in
considerazione di un potenziale rischio “trombotico” (Figura 1).
n° Unità di EMAZIE
12
n° Infusioni giornaliere di KOGENATE (30 UI/kg=2 fl da 1000 U.I.
10
9,8
HB (gr/dl)
9,2
8,9
8
6
8,1
5,7
10,9
n° Infusioni giornaliere di NOVOSEVEN 1,2 mg (100 mcg/kg 5 fl)
10,3
8,4
8,1
9,8
8,7
8,6
8,4
9,5
8,2
7,7
8,5
7,7
7,3
7,5
7,3
6,7
7
5,9
4
2
0
1 2
3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 141516 171819 20 2122 23 24
Giorni
Figura 1. Curva della HB e trattamento sia con emazie concentrate e lavate che con concentrato di FVIII ricombinante
(Kogenate) e fattore VII attivato ricombinante (NovoSeven).
Dopo ulteriori 4 giorni di trattamento con rFVIII, il livello di emoglobina continuò a scendere, tanto
che il paziente fu trasfuso nuovamente con emazie concentrate e lavate. Si decise di sospendere
l’infusione del rFVIII e riprendere la somministrazione del rFVIIa, al dosaggio di 100 mcg/kg ogni 3
ore per ulteriori 10 giorni. Anche questo trattamento non sortì alcun beneficio clinico, in quanto il
sanguinamento persisteva, nonostante un tentativo di diatermocoagulazione della papilla di Vater,
risultato inefficace.
Un nuovo dosaggio dell’inibitore documentò un lieve aumento (3,7 U.B.), legato molto probabilmente
alla risposta anamnestica al VWF residuo delle sacche di globuli rossi concentrati, nonostante fossero
stati lavati per ben due volte.
In considerazione del continuo sanguinamento dalla papilla di Vater, si decise di sospendere la terapia
con rFVIIa e trattare il paziente con concentrato di Fattore VIII ricco in VWF (Haemate P, CSL Behring).
Dopo aver informato il paziente dei rischi correlati a questa terapia, in unità di terapia intensiva, sotto
stretto controllo dei colleghi rianimatori, si iniziò l’infusione. Dopo pochi minuti dall’inizio del trattamento, il paziente cominciò a presentare una sintomatologia caratterizzata da agitazione, dolore intenso
in regione lombare, dispnea, laringospasmo, associati a tachicardia e lieve ipotensione, L’infusione di
Haemate P fu prontamente interrotta e furono somministrati corticosteroidi (idrocortisone 500 mg ev).
La reazione anafilattica durò circa 30 minuti. Si riprese quindi la somministrazione di Haemate P (per
un totale di 5.000 U.I.) senza che si manifestassero ulteriori sintomi di tipo immuno-allergico.
26
Focusemostasi
La terapia con il concentrato di FVIII ricco in VWF, al dosaggio di 3000 U.I. (~40 U.I./Kg) ogni 12 ore
fu proseguita per ulteriori 3 giorni, in assenza di alcun tipo di reazione allergica, e venne associato un
trattamento con rFVIII in infusione continua, al dosaggio di 1000 U.I./ora (~15 U.I./Kg/h), per quattro
giorni e poi riducendo gradatamente il dosaggio, fino alla sospensione dopo circa 10 giorni (Figura 2).
Le condizioni cliniche del paziente migliorarono e l’emorragia si arrestò, come confermato dalla negatività della ricerca del sangue occulto nelle feci e dal progressivo incremento dell’emoglobina. A due
settimane dalle dimissioni ospedaliere, il livello di emoglobina si era stabilizzato a 12,5 g/dl, mentre il
titolo di inibitore anti VWF era aumentato a 458 U.B.
Discussione
Gli alloanticorpi precipitanti diretti contro il VWF possono svilupparsi in circa il 10% dei pazienti affetti
da VWD tipo 3 politrasfusi e soprattutto in portatori di ampie delezioni del gene del VWF.
Dal momento che possono determinare reazioni anafilattiche gravi, anche a rischio di vita, l’utilizzo
dei concentrati ricchi in VWF è generalmente controindicato in questi pazienti. Si presenta, quindi,
complessa la gestione terapeutica di tali pazienti, considerato anche le scarse esperienze cliniche
riportate in letteratura. Vi sono alcune segnalazioni riguardo l’efficacia clinica della somministrazione
dei concentrati di rFVIII (3,4,5) anche se ultimamente è stata riportata una reazione orticarioide, dopo
bolo di rFVIII di 1a generazione, verosimilmente legata a tracce di VWF responsabile di una risposta
anamnestica anticorpale.
Anche il rFVIIa è stato utilizzato con successo nella gestione di emorragie anche critiche (6,7,8), sia
in infusione di boli intermittenti, che in infusione continua, agli stessi dosaggi usati nei pazienti con
emofilia A grave ed inibitore anti-FVIII.
Nel caso descritto, l’utilizzo iniziale sia del rFVIII in boli intermittenti al dosaggio di 30 U.I./Kg ogni 4
ore che del rFVIIa al dosaggio di 100 mcg/Kg ogni 3-4 ore, da soli o in associazione, si è dimostrato
inefficace. Alla luce di tale insuccesso terapeutico e dal momento che il paziente presentava un titolo basso di inibitore anti-VWF, è stato deciso di utilizzare un plasmaderivato ad intermedia purezza
ricco in VWF, ben consapevoli del rischio di reazioni anafilattiche, peraltro già presentate in passato
dal paziente. Per tale motivo, si è reso necessario eseguire l’infusione del farmaco in Unità di Terapia
30
n° Infusioni giornaliere di HAEMATE P da 1000 U.I.
n° Infusioni giornaliere di KOGENATE (15 U.I./Kg= 1 fl da 1000 U.I.)
HB (gr/dl)
20
Unit’/die
25
15
10
9,2
8,6
9,1
10,7 11,1 8
9
10
9,8
9,5
8,7
8,7
10,1 5
0
1
2
3
4
5
6
7
Giorni
Figura 2. Curva della HB dopo infusione combinata di concentrato di FVIII ad intermedia purezza (Haemate P) e
concentrato di FVIII ricombinante (Kogenate).
Focusemostasi
27
Intensiva, ed è stato così possibile trattare con rapidità ed efficacia la reazione allergica scatenatasi
dopo l’infusione del primo bolo. Il plasmaderivato ricco in VWF è stato somministrato solo per 4 giorni
sia perché ha determinato l’arresto del sanguinamento e sia per evitare una reazione anafilattica più
grave da risposta anamnestica anticorpale.
Il concentrato di rFVIII, associato al plasmaderivato in infusione endovenosa continua, si è dimostrato
questa volta efficace, anche quando poi è stata proseguita la sua infusione come unico farmaco per
una settimana; questo si può spiegare con il fatto che, essendo l’emivita del FVIII infuso molto breve
(1-2 ore), in assenza del suo carrier fisiologico plasmatico, solo l’infusione continua del farmaco può
garantire livelli emostatici costanti di FVIII.
In conclusione, nei pazienti con VWD tipo 3 ed alloanticorpi anti-VWF, il concentrato plasmatico di
FVIII ricco in VWF deve essere utilizzato in casi altamente selezionati e sempre come estrema “ratio”, e
la sua somministrazione deve essere, comunque, effettuata sotto stretto monitoraggio clinico, in modo
tale da assicurare un’adeguata assistenza in caso di insorgenza di reazioni anafilattiche.
BIBLIOGRAFIA
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Focus Review
Segnaliamo di seguito alcuni significativi lavori scientifici recentemente pubblicati in merito al
tema delle coagulopatie emorragiche congenite.
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29
Notizie su WISH prospective
Studio osservazionale prospettico in pazienti trattati con Haemate P ed
Haemate P a volume ridotto nel trattamento della malattia di von Willebrand
Lo studio prospettico WISH sull’impiego di Haemate P nel trattamento della malattia di von Willebrand
(VWD) è uno studio osservazionale iniziato nel gennaio 2007 a cui partecipano 20 Centri Emofilia italiani
e che interessa ben 119 pazienti. Lo studio WISH stà così raccogliendo informazioni riguardanti una
popolazione di pazienti VWD tra le più ampie finora studiate prospetticamente, con una media di 7 CRF
a paziente. La popolazione in studio comprende un’elevata percentuale di pazienti di tipo 3 ed è caratterizzata da uno score ematico omogeneamente alto in tutte le tipologie di pazienti osservati (Tabella 1).
Tabella 1. Distribuzione dei pazienti per tipo di VWD e score emorragico
Score emorragico mediana (interTipo
N°
vallo)
Tipo 1
47,4%
13,5 (2-29)
Tipo 2A
7,0%
14,5 (7-25)
Tipo 2B
7,9%
13 (7-29)
Tipo 2M
0,9%
21
Tipo 3
36,8%
19 (4-36)
Il range di età dei pazienti WISH varia da 1 a 80 anni: 17 sono i pazienti al di sotto dei 18 anni,
76 pazienti hanno un’età compresa tra i 19 e i 60 anni e 27 sono i pazienti over sessanta. Complessivamente 67 pazienti sono di sesso femminile, 53 di sesso maschile.
I primi risultati dello studio sono stati presentati a Boston in occasione del XXII Congress of International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH) in un poster dal titolo “Interim Analysis of Prospective Observational Study on Italian VWD patients, monitoring Efficacy and Safety during a formulation
switch of a pasteurized FVIII/VWF Concentrate”. L’analisi ad interim in questione è stata condotta lo
scorso dicembre sui primi 50 pazienti che avevano raggiunto il primo anno di osservazione. Dall’analisi è emerso che 246 episodi emorragici erano stati trattati con 352 infusioni di Haemate P. L’efficacia del trattamento era risultata good/excellent nel 96,1% dei casi. Ben 14 pazienti avevano seguito
un regime di profilassi a lungo termine, mentre 17 pazienti erano stati sottoposti a trattamento con
Haemate P (89 infusioni) in occasione di 25 interventi chirurgici, senza alcuna complicanza emorragica o trombotica. Lo studio vedrà la sua conclusione nel dicembre 2010 ed al momento 7 Centri hanno
già completato i 2 anni di studio previsti.
Ci si augura che i risultati finali di WISH possano contribuire ad un ulteriore miglioramento della
conoscenza della patologia e delle sue modalità di trattamento.
I 20 Centri Emofilia partecipanti
Policlinico S. Matteo
PAVIA
Az. Osp. Universitaria
PADOVA
Osp. Pediatrico G. Di Cristina
PALERMO
Az. Osp. Univ. Careggi
FIRENZE
Az. Osp. Universitaria
FERRARA
IRCCS
Ospedale Maggiore Policlinico
MILANO
Osp. San Luca
VALLO DELLA LUCANIA
Az. Osp. Policlinico
S. Orsola-Malpighi
BOLOGNA
Osp. San Bortolo
VICENZA
Az. Osp. Ospedale Policlinico
VERONA
Az. Univ. Policlinico Federico II
NAPOLI
IRCCS Istituto Gaslini
GENOVA
30
Osp. Civile Santo Spirito
PESCARA
Az. Osp. S. Giovanni Battista
TORINO
Osp. Ferrarotto
CATANIA
Az. Univ. Policlinico
PALERMO
Az. Osp. Universitaria
UDINE
Osp. M. Bufalini
CESENA
Az. Osp. Universitaria.
PARMA
Az. Policlinico Umberto I
ROMA
Haemate®P - Riassunto delle caratteristiche del prodotto
1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE
Haemate P 500 UI/10 mL. Polvere e solvente per soluzione per infusione. Haemate P 1000 UI/15 mL. Polvere e solvente per soluzione per infusione.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Haemate P si presenta come polvere e solvente per soluzione per infusione. HAEMATE P 500 Un flacone di polvere contiene: Fattore VIII della coagulazione da plasma umano: 500 U.I. (FVIII:C, con attività nominale). Fattore von Willebrand: 1200 U.I. (attività nominale, come Cofattore della ristocetina) (VWF:RCo). Dopo ricostituzione con 10 mL di acqua per preparazioni iniettabili, Haemate P 500 contiene approssimativamente 50 U.I./mL (pari a 500 U.I./10
mL) di Fattore VIII della coagulazione da plasma umano e circa 120 U.I./mL (pari a 1200 U.I./10 mL) di Fattore von Willebrand
(VWF) da plasma umano. HAEMATE P 1000 Un flacone di polvere contiene: Fattore VIII della coagulazione da plasma umano:
1000 U.I. (FVIII:C, con attività nominale). Fattore von Willebrand: 2400 U.I. (attività nominale, come Cofattore della ristocetina)
(VWF:RCo). Dopo ricostituzione con 15 mL di acqua per preparazioni iniettabili Haemate P 1000 contiene approssimativamente
66,6 U.I./mL (pari a 1000 U.I./15 mL) di Fattore VIII della coagulazione da plasma umano e circa 160 U.I./mL (pari a 2400 U.I./15
mL) di VWF da plasma umano. L’attività (U.I.) del Fattore VIII è determinata utilizzando il test cromogenico secondo Farmacopea
Europea. L’attività specifica di Haemate P è di circa 2-6 U.I. di FVIII/mg di proteina. L’attività specifica di Haemate P come fattore von
Willebrand è approssimativamente pari a 3-17 U.I. di VWF:RCo/mg di proteina. Per l’elenco degli eccipienti, vedere sezione 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere e solvente per soluzione per infusione.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1. Indicazioni terapeutiche. Trattamento e profilassi di emorragie in caso di: - emofilia A (carenza congenita di fattore VIII)
- carenza acquisita di fattore VIII. Trattamento di pazienti con anticorpi anti-fattore VIII (inibitori) (vedere anche 4.2.1). Profilassi
e trattamento delle emorragie nella malattia di von Willebrand (VWD).
4.2. Posologia e metodo di somministrazione. Il trattamento dell’emofilia A e della malattia di VWD deve essere
effettuato sotto la supervisione di un medico esperto nel trattamento dei disordini dell’emostasi. Non sono disponibili dati clinici
sufficienti per l’impiego di Haemate P nei bambini.
4.2.1. Posologia. Emofilia A. La posologia e la durata della terapia sostitutiva dipendono dalla gravità della carenza di Fattore VIII,
dalla localizzazione e dall’entità dell’emorragia nonché dalle condizioni cliniche del paziente. Il numero delle unità di Fattore VIII da
somministrare è espresso in Unità Internazionali (U.I.), con riferimento allo standard attualmente vigente dell’OMS (WHO) per prodotti di Fattore VIII. L’attività di Fattore VIII nel plasma è espressa in percentuale (relativa al plasma umano normale) oppure in U.I. (in
conformità allo Standard Internazionale per il Fattore VIII nel plasma). Una unità internazionale di attività di Fattore VIII è equivalente
alla quantità di Fattore VIII in un mL di plasma umano normale. Il calcolo della dose necessaria di Fattore VIII è basato sul reperto empirico che 1 U.I. di Fattore VIII per kg di peso corporeo aumenta l’attività di Fattore VIII nel plasma di circa il 2% dell’attività normale
(2 U.I./dL). La dose necessaria viene determinata usando la seguente formula: Unità richieste = peso corporeo [kg] x aumento
desiderato di Fattore VIII [% o U.I./dL] x 0.5. La frequenza della somministrazione dovrebbe sempre essere basata sull’efficacia clinica ottenuta nei singoli casi. Nel corso del trattamento, è consigliabile eseguire un’appropriata determinazione dei livelli di Fattore
VIII per stabilire la dose da somministrare e la frequenza di ripetizione delle infusioni. In particolare, in caso di interventi di chirurgia
maggiore, è indispensabile eseguire un attento monitoraggio della terapia sostitutiva per mezzo della determinazione dell’attività
plasmatica del Fattore VIII. Singoli pazienti possono presentare variabilità nella propria risposta al Fattore VIII, raggiungendo livelli
differenti di recupero in vivo e differente emivita. Per la profilassi a lungo termine di emorragie in pazienti affetti da emofilia A
grave, le dosi usuali sono da 20 a 40 U.I. di Fattore VIII per kg di peso corporeo ad intervalli di 2-3 giorni. In alcuni casi, soprattutto
nei pazienti più giovani, possono rendersi necessari intervalli più brevi o dosi più elevate. I pazienti devono essere monitorati per lo
sviluppo di inibitori del Fattore VIII. Se non si raggiungono i livelli plasmatici attesi di attività di Fattore VIII o se l’emorragia non è
controllata con una dose adeguata, i pazienti devono essere monitorati per verificare l’eventuale comparsa di inibitore del Fattore
VIII. Nei pazienti con elevati livelli di inibitore, la terapia con Fattore VIII può rivelarsi non efficace per cui devono essere prese in
considerazione altre misure terapeutiche. In questi casi, inoltre, il trattamento deve essere effettuato sotto la responsabilità di
medici esperti nel trattamento dell’emofilia. Si veda anche sezione 4.4. Nel caso dei seguenti episodi emorragici, l’attività del
Fattore VIII non deve scendere al di sotto del livello di attività plasmatica indicato (in % o in U.I./dL) rispetto al livello normale. La
tabella seguente può essere impiegata come riferimento per il dosaggio nel caso di eventi emorragici o di interventi chirurgici:
Gravità dell’emorragia/
Tipo di intervento chirurgico
Livello richiesto di
Fattore VIII (% o U.I./dL)
Frequenza delle dosi (ore)/
Durata della terapia (giorni)
Emartro in fase iniziale, emorragie
intramuscolari o della cavità orale
20 - 40
Ripetere l’infusione ogni 12-24 ore per almeno 1 giorno fino a che,
a cessazione del dolore, l’episodio emorragico sia risolto o si sia
giunti a guarigione.
Emartri più estesi, emorragie
intramuscolari o ematomi
30 - 60
Ripetere l’infusione ogni 12-24 ore per 3-4 giorni o più fino
alla risoluzione del dolore e dell’invalidità acuta.
Emorragie a rischio per la vita
60 - 100
Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore, fino alla risoluzione dell’evento.
Emorragia
Gravità dell’emorragia/
Tipo di intervento chirurgico
Livello richiesto di
Fattore VIII (% o U.I./dL)
Frequenza delle dosi (ore)/
Durata della terapia (giorni)
Chirurgia minore,
estrazioni dentarie incluse
30 - 60
Ogni 24 ore, per almeno 1 giorno, fino al raggiungimento
della guarigione.
Chirurgia maggiore
80 - 100
(pre- e post-operatorio)
Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore fino al raggiungimento di
un’adeguata cicatrizzazione; successivamente continuare la terapia
per almeno 7 giorni per mantenere una attività di Fattore VIII
compreso tra il 30-60% (U.I./dL).
Chirurgia
Malattia di von Willebrand La somministrazione di 1 U.I./kg di VWF:RCo determina, in genere, un aumento del titolo di
VWF:RCo in circolo pari a 0,02 U.I./mL (2 %). Devono essere conseguiti livelli di VWF:RCo > 0,6 U.I./mL (60%) e di FVIII:C > 0,4
U.I./mL (40%). Di norma, per il conseguimento dell’emostasi si raccomanda la somministrazione di 40-80 U.I./kg di VWF:RCo e
di 20-40 U.I. di FVIII:C/kg di peso corporeo. La somministrazione di una dose iniziale di 80 U.I./kg di Fattore di von Willebrand
può risultare necessaria soprattutto per pazienti con malattia di von Willebrand del Tipo 3: in questo caso, infatti, il mantenimento di titoli adeguati può richiedere il ricorso a dosi più elevate rispetto agli altri tipi della malattia di von Willebrand. Prevenzione dell’evento emorragico in caso di intervento chirurgico o di grave episodio traumatico: per prevenire un eccessivo sanguinamento durante o dopo un intervento chirurgico la somministrazione dovrebbe avvenire 1-2 ore prima dell’intervento stesso.
Dosi adeguate dovrebbero poi essere successivamente somministrate ogni 12-24 ore. La dose da somministrare e la durata del
trattamento dipendono dalla situazione clinica individuale, dal tipo e dalla gravità dell’emorragia e dai livelli di VWF:RCo e di
FVIII:C. Quando si usano preparati di Fattore VIII contenenti Fattore von Willebrand, il medico deve tener presente che un trattamento protratto può determinare un aumento eccessivo del titolo di FVIII:C. Per evitare un aumento incontrollato di FVIII:C,
dopo 24- 48 ore di trattamento sarebbe opportuno ridurre la dose e/o aumentare l’intervallo di tempo fra le somministrazioni.
Metodo di somministrazione. Il prodotto deve essere ricostituito come descritto al paragrafo 6.6. Prima della somministrazione la preparazione ricostituita deve essere portata a temperatura ambiente o corporea. Iniettare lentamente per via endovenosa, ad una velocità confortevole per il paziente. Nel caso in cui sia necessaria la somministrazione di dosi più elevate di
Fattore VIII, si può procedere mediante infusione, trasferendo il prodotto ricostituito in un sistema per infusione appropriato.
La velocità di iniezione o di infusione non deve eccedere i 4 mL/minuto. Tenere sotto osservazione il paziente per la comparsa
di qualsiasi reazione immediata. Nel caso abbia luogo una qualsiasi reazione correlabile con la somministrazione di Haemate
P, ridurre la velocità di infusione o interrompere la somministrazione a seconda delle condizioni cliniche del paziente (vedere
anche sezione 4.4).
4.3. Controindicazioni. Ipersensibilità nota ad uno qualsiasi dei componenti del prodotto.
4.4. Avvertenze particolari e speciali precauzioni per l’uso. Come per qualsiasi altro prodotto di origine plasmatica somministrato per via endovenosa, sono possibili reazioni di ipersensibilità di tipo allergico. I pazienti devono essere informati circa
le reazioni di ipersensibilità di tipo immediato, compresi: orticaria, orticaria generalizzata, senso di costrizione toracica, dispnea,
ipotensione ed anafilassi. I pazienti devono essere informati che, in caso di comparsa di questi sintomi, devono interrompere
immediatamente l’utilizzo del prodotto e rivolgersi al proprio medico. In caso di shock devono essere osservate le procedure
mediche standard per il trattamento dello shock. Haemate P contiene fino a 140 mg di sodio per 1000 U.I. Ciò deve essere
tenuto in debita considerazione dai pazienti che seguono una dieta controllata per il sodio. Le misure standard per prevenire
infezioni conseguenti all’uso di prodotti medicinali derivati da sangue o plasma umano comprendono la selezione dei donatori,
il controllo delle donazioni individuali e dei pool di plasma per specifici marcatori di infezione (HbsAg, ed anticorpi HIV e HCV) e
l’adozione di procedure di produzione efficaci per l’inattivazione / rimozione di virus. Ciò nonostante, quando si somministrano
prodotti derivati da sangue o plasma umano, non può essere totalmente esclusa la possibilità di trasmissione di agenti infettivi.
Tale concetto si applica anche a virus sconosciuti o emergenti e ad altri patogeni. Le misure adottate sono considerate efficaci
per i virus capsulati quali HIV, HBV, HCV e per il virus non-capsulato HAV. Le misure adottate possono essere di limitato valore
verso virus non-capsulati quali il parvovirus B19. Le infezioni da parvovirus B19 possono essere gravi per le donne in gravidanza (infezione fetale) e per gli individui con immunodeficienza o aumentata eritropoiesi (per esempio anemia emolitica). Per i
pazienti che ricevono regolarmente / ripetutamente prodotti derivati da plasma umano, deve essere presa in considerazione
l’opportunità di procedere ad un’appropriata vaccinazione (epatite A ed epatite B). Si raccomanda vivamente che ogni volta che
Haemate P è somministrato a un paziente sia registrato il nome e il numero di lotto del prodotto allo scopo di mantenere una
correlazione tra il paziente ed il lotto del prodotto somministrato.
Emofilia A. La formazione di anticorpi neutralizzanti (inibitori) il Fattore VIII è una complicanza nota nel trattamento di soggetti
affetti da emofilia A. Questi inibitori sono generalmente immunoglobuline IgG dirette contro l’attività procoagulante del Fattore
VIII e sono misurati in unità Bethesda (BU) per mL di plasma, utilizzando il test modificato. Il rischio di sviluppare inibitori è correlato all’esposizione al Fattore VIII antiemofilico ed è più elevato entro i primi 20 giorni di esposizione. Raramente gli inibitori
possono svilupparsi dopo i primi 100 giorni di esposizione. I pazienti trattati con Fattore VIII plasmatico umano devono essere
monitorati attentamente per accertare lo sviluppo di inibitori, mediante adeguate valutazioni cliniche e test di laboratorio. Nei
pazienti con un alto titolo di inibitori, la terapia può rivelarsi inefficace e sarà opportuno prendere in considerazione altre opzioni terapeutiche. Vedere anche la sezione 4.8 Effetti indesiderati.
Malattia di von Willebrand. Esiste il rischio che si verifichino episodi trombotici, in particolare in quei pazienti in cui sono
noti fattori di rischio clinico o laboratoristico. Pertanto, i pazienti a rischio devono essere monitorati per accertare l’insorgenza
dei primi segni di trombosi. Se è il caso, deve essere instaurato un regime di profilassi contro il tromboembolismo venoso, in
conformità alle vigenti raccomandazioni. In caso di impiego di prodotti contenenti VWF, il medico curante deve tener presente
che un trattamento protratto può determinare un aumento eccessivo del livello di FVIII:C. I pazienti che ricevono prodotti di
FVIII:C contenenti VWF, dovrebbero essere attentamente monitorati per evitare un eccessivo aumento dei livelli plasmatici di
FVIII:C, con conseguente aumento del rischio di eventi trombotici. Se richiesto, deve essere considerata l’opportunità di attuare
provvedimenti antitrombotici. I pazienti con malattia di von Willebrand, specialmente di Tipo 3, possono sviluppare anticorpi
neutralizzanti il VWF (inibitori). Se non vengono raggiunti i livelli attesi di attività di VWF:RCo nel plasma o se la dose necessaria
somministrata non è in grado di controllare efficacemente l’emorragia, sarà opportuno effettuare un test appropriato in modo
da accertare l’eventuale presenza di inibitori del VWF. Nei pazienti con un alto titolo di inibitori, la terapia può rivelarsi inefficace
e sarà opportuno prendere in considerazione altre opzioni terapeutiche.
4.5. Interazioni con altri medicinali e a altre forme di interazione. Non sono note interazioni di Haemate P con altri farmaci.
4.6. Gravidanza ed allattamento. Non sono stati condotti studi sulla riproduzione animale con Haemate P. In considerazione
della rarità dell’occorrenza dell’emofilia A nella donna, non sono disponibili esperienze riguardanti l’impiego di Fattore VIII in
gravidanza e nell’allattamento. La situazione è differente per la malattia di von Willebrand, stante la sua ereditarietà autosomica. Le donne ne sono maggiormente affette degli uomini per la presenza di rischi emorragici specifici, come mestruazioni,
gravidanze, travaglio, parto e complicanze ginecologiche in genere. In base alle esperienze acquisite successivamente alla
commercializzazione del prodotto, risulta che può essere raccomandata la sostituzione di VWF nel trattamento e nella prevenzione di eventi emorragici acuti. Non sono invece disponibili studi clinici concernenti la terapia sostitutiva con VWF durante la
gravidanza o l’allattamento. Pertanto FVIII e VWF dovrebbero essere impiegati durante la gravidanza e l’allattamento soltanto
se specificatamente indicati.
4.7. Effetti sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine. Non sono stati osservati effetti sulla capacità di guidare e
sull’uso di macchinari.
4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti indesiderati qui riportati si basano sulle esperienze acquisite dalle sperimentazioni cliniche
e dall’esperienza postmarketing. Per registrare la frequenza della comparsa di tali effetti indesiderati sono state adottate le seguenti regole standard: Molto frequente >1/10; Frequente >1/100 e < 1/10; Non frequente >1/1.000 e <1/100; Raro >1/10.000
e <1/1.000; Rarissimo <1/10.000.
• Disturbi a carico del sistema immunitario. In rarissimi casi sono state osservate reazioni da ipersensibilità o di tipo allergico
(che possono comprendere: angioedema, sensazione di bruciore e di puntura nel sito dell’iniezione, brividi, flush, orticaria generalizzata, cefalea, orticaria, ipotensione, letargia, nausea, sensazione di stanchezza, tachicardia, senso di costrizione toracica,
formicolio, vomito, dispnea). In taluni casi è stato osservato un progressivo peggioramento fino ad anafilassi grave (incluso lo
shock). Per la sicurezza nei confronti di patogeni trasmissibili, vedere sezione 4.4.
• Disturbi di carattere generale. In rare occasioni è stato osservato un rialzo della temperatura corporea.
• Disturbi a carico del sistema sanguigno e del sistema linfatico. In caso siano necessarie somministrazioni di dosi molto
elevate o frequentemente ripetute, quando sono presenti degli inibitori o se si attuano provvedimenti pre- e post-chirurgici, è
opportuno tenere sotto attento monitoraggio tutti i pazienti, allo scopo di osservare l’insorgenza dei primi segni di ipervolemia.
Inoltre, i pazienti con gruppi sanguigni A, B e AB devono essere monitorati per accertare la presenza di eventuali segni di emolisi
intravascolare e/o di riduzione del valore dell’ematocrito.
Emofilia A
• Disturbi a carico del sistema immunitario. Pazienti con emofilia A possono sviluppare anticorpi (inibitori) neutralizzanti il
Fattore VIII. La loro presenza sarà resa direttamente manifesta dall’inadeguatezza della risposta clinica al trattamento effettuato.
In tal caso si raccomanda di contattare un centro specializzato nel trattamento dell’emofilia. L’esperienza acquisita dagli studi
clinici con Haemate P in pazienti precedentemente non trattati (PUPs) è molto limitata. Pertanto, non possono essere forniti dati
validati sull’incidenza di specifici inibitori clinicamente rilevanti.
Malattia di von Willebrand
• Disturbi a carico del sistema immunitario. In rarissimi casi pazienti con VWD, specialmente di Tipo 3, possono sviluppare
anticorpi neutralizzanti il VWF (inibitori). La loro presenza sarà resa direttamente manifesta dall’inadeguatezza della risposta clinica al trattamento effettuato. Tali anticorpi precipitanti possono presentarsi in concomitanza a reazioni anafilattiche. Pertanto,
i pazienti che hanno avuto esperienze di reazioni anafilattiche devono essere valutati per la presenza di inibitori. In tutti questi
casi si raccomanda di contattare un centro specializzato nel trattamento dell’emofilia.
• Disturbi a carico del sistema vascolare. Sussiste il rischio di eventi trombotici, particolarmente in quei pazienti in cui è nota
la presenza di fattori di rischio clinico o laboratoristico. Nei pazienti sotto trattamento con prodotti contenenti VWF, la presenza
di elevati livelli plasmatici di FVIII:C può aumentare il rischio di eventi trombotici (vedere anche sezione 4.4).
4.9. Sovradosaggio. Finora non sono stati segnalati effetti da sovradosaggio di Haemate P.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1. Proprietà farmacodinamiche. Gruppo farmaco-terapeutico: Emostatici/antiemorragici Codice ATC: B02BD02 Il complesso fattore VIII/fattore von Willebrand è formato da due molecole (FVIII e VWF) con diverse funzioni fisiologiche. Il fattore VIII è
determinante per la funzione coagulatoria. Come cofattore con il fattore IX esso accelera la conversione del fattore X a fattore
X attivato (Xa). Il fattore Xa converte la protrombina in trombina; la trombina a sua volta converte il fibrinogeno in fibrina inducendo la formazione del coagulo. Poiché l’attività del fattore VIII è notevolmente ridotta nei pazienti affetti da emofilia A, la
terapia di sostituzione risulta necessaria. Il fattore von Willebrand è il mediatore dell’adesione piastrinica all’endotelio vascolare
ed è un determinante dell’aggregazione piastrinica: è pertanto indispensabile nella terapia sostitutiva nei pazienti affetti da sindrome di von Willebrand. L’attività del VWF è misurata come von Willebrand factor: co-fattore ristocetinico (VWF:RCo). In gravi
casi di sindrome di von Willebrand l’attività del fattore VIII è considerevolmente ridotta. Uno specifico passaggio produttivo di
purificazione assicura il più alto grado di rimozione del fibrinogeno (determinato secondo il metodo di Clauss).
5.2. Proprietà farmacocinetiche. Dopo iniezione del prodotto, da 2/3 a 3/4 circa del fattore VIII restano in circolo. L’obiettivo
terapeutico è il mantenimento di un’attività plasmatica del Fattore VIII compresa tra l’80 ed il 120%. Il decadimento dell’attività
del Fattore VIII nel plasma segue una cinetica esponenziale a due fasi. Nella fase iniziale la distribuzione tra spazio intravascolare
ed altri compartimenti liquidi ha un’emivita di eliminazione di 3-6 ore. Nella successiva fase più lenta (che probabilmente riflette
il consumo di Fattore VIII), l’emivita varia tra 8-20 ore, con una media di 12 ore, che sembra corrispondere all’effettiva emivita
biologica. In uno studio clinico in pazienti affetti da emofilia A il recupero in vivo di F VIII è stato del 101,5%. Con riferimento
alla somministrazione di 1 U.I. di Fattore VIII:C/kg di peso corporeo l’aumento medio di F VIII è del 2,3% della norma. L’emivita
biologica è di 15,3±5,5 ore. In singoli casi l’emivita biologica può variare. In uno studio clinico in pazienti con sindrome di von
Willebrand il recupero medio in vivo di VWF:RCo è stato del 63% nei pazienti di tipo 1, del 87% nei pazienti di tipo 2 e del 72%
nei pazienti di tipo 3. Con somministrazione di 1 U.I./kg di peso corporeo l’aumento medio di VWF:RCo è stato del 1,5±0,3%
della norma. L’emivita biologica media è risultata compresa in un intervallo tra 7 ore (pazienti di tipo 3) e 13,8±2,1 ore (pazienti
di tipo 1). A seguito della terapia sostitutiva con Haemate P si è riscontrata nel plasma dei pazienti una struttura multimerica
quasi normale per un periodo di parecchie ore.
5.3. Dati preclinici di sicurezza. Haemate P contiene il Fattore VIII e il Fattore di von Willebrand come principi attivi derivati
dal plasma umano e la cui azione è analoga a quella dei costituenti plasmatici endogeni. La somministrazione di dosi singole
di Haemate P a diverse specie di animali non ha evidenziato l’insorgenza di effetti tossici. A seguito dello sviluppo di anticorpi
conseguenti all’applicazione di proteine umane eterologhe, non è logicamente possibile - nei tradizionali modelli animali l’effettuazione di studi preclinici (tossicità cronica, cancerogenicità e mutagenicità), basati sulla somministrazione ripetuta del
prodotto.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1. Elenco degli eccipienti. Albumina umana, acido aminoacetico, sodio cloruro, sodio citrato, sodio idrossido o acido cloridrico (in piccole quantità per la correzione del pH). Solvente: acqua per preparazioni iniettabili, 10/15 mL.
6.2. Incompatibilità. Questo prodotto medicinale non deve essere miscelato con altri farmaci, solventi e diluenti, ad eccezione
di quelli forniti con la confezione.
6.3. Validità. Haemate P ha una validità di 3 anni, se conservato tra +2 e +8°C. Dopo ricostituzione, il prodotto ha dimostrato
stabilità chimicofisica per 48 ore a temperatura ambiente (max. +25 °C). Dal momento che Haemate P non contiene conservanti, dal punto di vista microbiologico il prodotto ricostituito va utilizzato immediatamente. Se non utilizzato immediatamente, il
tempo e le condizioni di conservazione in uso prima del successivo utilizzo sono responsabilità dell’utilizzatore. Non si dovranno
comunque superare le 8 ore di conservazione a temperatura ambiente (25°C), a meno che la ricostituzione del prodotto sia
avvenuta in condizioni asettiche, convalidate e controllate. Una volta ricostituito, il prodotto non deve essere congelato.
6.4. Speciali precauzioni per la conservazione. Haemate P deve essere conservato a temperatura tra +2° e +8°C. Non congelare. Conservare il contenuto nella confezione.
6.5. Natura e contenuto del contenitore. Flaconi di polvere 500 U.I. e 1.000 U.I.: Flaconi di vetro di tipo II (Farm. Eur.), sigillati con tappo per infusione in gomma bromobutilica, disco in plastica e cappuccio in alluminio. Flaconcini per solvente (acqua
per preparazioni iniettabili): Flaconcini di vetro di tipo I (Farm. Eur.), incolore, sigillati con tappo per infusione in gomma (senza
lattice), disco in plastica e cappuccio in alluminio.
Confezioni
• Haemate P 500. 1 flacone di polvere, 1 flacone con 10 mL di acqua per preparazioni iniettabili, 1 sistema di travaso con filtro
20/20 - Mix2Vial, 1 siringa monouso da 10 mL senza ago, 1 set per infusione, 2 tamponi imbevuti di alcool, 1 cerotto.
• Haemate P 1000. 1 flacone di polvere, 1 flacone con 15 mL di acqua per preparazioni iniettabili, 1 sistema di travaso con
filtro 20/20 - Mix2Vial, 1 siringa monouso da 20 mL senza ago, 1 set per infusione, 2 tamponi imbevuti di alcool, 1 cerotto.
6.6. Istruzioni per l’uso/per l’impiego.
Istruzioni generali: - Non usare dopo la data di scadenza indicata sulla confezione. - Non usare soluzioni torbide o contenenti
residui (depositi/particelle). - Ricostituzione e prelievo devono essere effettuati in condizioni asettiche. - Dopo somministrazione,
la soluzione non utilizzata e i dispositivi per la somministrazione vanno eliminati in modo appropriato.
Ricostituzione. Portare il solvente a temperatura ambiente. Accertarsi di aver tolto i cappucci flip-off dei flaconi, contenenti
rispettivamente il prodotto e il solvente. Disinfettarne i tappi con una soluzione antisettica e aspettare che questa si sia asciugata
prima di aprire la confezione di Mix2Vial.
1. Aprire la confezione di Mix2Vial,
staccandone la copertura.
2. Posizionare il flacone del diluente su una
superficie piana e pulita, tenendo il flacone
ben fermo. Prendere il Mix2Vial insieme
con tutta la confezione e fissare la parte
blu terminale sul tappo del solvente.
3. Togliere con prudenza la confezione dal set
Mix2Vial. Assicurarsi di tirare verso l’alto
soltanto la confezione esterna e non il set
Mix2Vial.
4. Posizionato in modo sicuro il flacone
della polvere su un piano d’appoggio,
capovolgere il flacone del solvente
connesso con il set e inserire l’adattatore
trasparente sul tappo del flacone
contenente la polvere. Automaticamente
il solvente sarà trasferito nel flacone che
contiene la polvere.
6. Impugnando con una mano la parte del
set Mix2Vial con la soluzione ottenuta e
con l’altra mano la parte del set Mix2Vial
con il flacone (ora vuoto) del solvente,
separare in 2 parti il set svitandolo.
Prelievo e somministrazione
7. Prendere la siringa vuota sterile fornita
con il set e aspirare aria. Con il flacone
della soluzione ricostituita in posizione
verticale, inserire la siringa nel set
Mix2Vial e iniettare l’aria nel flacone
contenente la soluzione. Mantenendo
premuto lo stantuffo della siringa
capovolgere il sistema e aspirare la
soluzione nella siringa tirando indietro lo
stantuffo lentamente.
8. Dopo che tutta la soluzione è stata
trasferita nella siringa, afferrare in modo
fermo il cilindro della siringa (tenendo
lo stantuffo della siringa rivolto verso il
basso) ed estrarre il set Mix2Vial dalla
siringa.
5. Tenendo il flacone del solvente e quello
della polvere stabilmente connessi l’uno
all’altro ruotare lentamente il flacone della
polvere in modo da ottenere la completa
solubilizzazione del suo contenuto. Non
agitare il flacone.
Somministrare lentamente la soluzione per via endovenosa
(vedere: 4.2 “Modo di somministrazione”)
7. TITOLARE DELLA AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. CSL Behring GmbH Emil-von-BehringStr. 76, D-35041 Marburg, Germania. Rappresentante per l‘Italia: CSL Behring S.p.A. P.le Stefano Türr, 5 - 20149 Milano.
8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Haemate P 500: A.I.C. 026600080;
Haemate P 1000: A.I.C. 026600078.
9. REGIME DI DISPENSAZIONE AL PUBBLICO. Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica.
10. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Giugno 2005.
11. DATA DI (PARZIALE)/REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007.
Bibliografia
1. Budde at al. - Comparative analysis and classification of von Willebrand factor/factor VIII concentrates: impact on treatment of patients with von Willebrand
disease - Seminars in thrombosis and haemostasis (2006), Vol. 33 (4), 626-635.
2. Dobrkovska A. et al. Pharmacokinetics, efficacy and safety of Haemate® P in von Willebrand disease. Haemophilia (1998), 4 (Suppl. 3), 33-39.
3. S. Lethagen et al. A comparative in vitro evaluation of six von Willebrand factor concentrates. Haemophilia (2004), 10, 243-249.
4. Metzner H.J. et al. Characterization of factor VIII/von Willebrand factor concentrates using a modified method of VWF multimer analysis. Haemophilia (1998),
4 (Suppl. 3), 25-32.
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