UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI BRESCIA
FACOLTÁ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN TECNICHE DI RADIOLOGIA MEDICA
PER IMMAGINI RADIOTERAPIA
ASPETTI TECNICI E DOSIMETRICI NELLA
COLONSCOPIA VIRTUALE: OTTIMIZZAZIONE
DELLA DOSE IN FUNZIONE DEL PESO DEL
PAZIENTE
Relatore:
Prof. ROBERTO MAROLDI
Correlatore:
Dott. LUCIO OLIVETTI
TSRM MARGHERITA PAPINI
Tesi di laurea di:
VIOLA
IMPAGNATIELLO
Matricola n° 63026
ANNO ACCADEMICO 2007-2008
INDICE
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
CAPITOLO 2 ANATOMIA E PATOLOGIA DEL COLON-RETTO
2.1: Anatomia del colon-retto
2.2: Patologia del colon-retto
2.2.1: Rettocolite ulcerosa
2.2.2: Morbo di Crohn
2.2.3: Malattia diverticolare
2.2.4: Neoplasie del colon-retto
CAPITOLO 3 METODI DI INDAGINE DEL COLON
3.1: Metodica endoscopica
3.2: Clisma opaco a doppio contrasto
3.3: Colonscopia virtuale (colon-TC)
CAPITOLO 4 COLONSCOPIA VIRTUALE CON MSTC
4.1: Indicazioni
4.2: Preparazione
4.3: Confronto tra colon-TC e colonscopia ottica
CAPITOLO 5: TC MULTISTRATO
5.1: Aspetti generali della TCMS. Acquisizione ed elaborazione
5.2: Siemens Somatom Sensation Cardiac
CAPITOLO 6: ESECUZIONE DELL’ESAME COLON-TC
6.1: Il ruolo del TSRM
6.2: Il post processing
CAPITOLO 7: LA RADIOPROTEZIONE DEL PAZIENTE
7.1:Effetti biologici delle radiazioni
7.2: Grandezze dosimetriche fondamentali
CAPITOLO 8: MATERIALI E METODI
8.1: Valutazione dosimetrica nella Colonscopia virtuale (colon-TC)
8.2: Sistema di valutazione della dose, ImPACT
8.3: Prove di acquisizione con fantoccio antropomorfo
8.4: Valutazione dosimetrica su paziente
CAPITOLO 9: RISULTATI E DISCUSSIONE
CAPITOLO 10: CONCLUSIONI
RINGRAZIAMENTI
BIBLIOGRAFIA
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
La mia tesi tratta un argomento molto dibattuto e, forse, ancora poco conosciuto e
poco apprezzato. La colon-TC è una metodica molto affascinante che permette la
“navigazione” all’interno del corpo umano evitando i discomfort o i rischi in
termini di morbilità e mortalità insiti nelle metodiche convenzionali quali il clisma
opaco e la colonscopia endoscopica.
Questo è possibile grazie alle nuove apparecchiature TC multislices sempre più
sofisticate e precise, dotate di un’elevata risoluzione spaziale; il progressivo
miglioramento dei software ha permesso inoltre una rielaborazione delle immagini
che consente di esplorare, ingrandire, sezionare il colon secondo le tre dimensioni
dello spazio.
Al TSRM ha permesso di ampliare le conoscenze sulle molteplici funzioni
dell’apparecchiatura con la quale lavora, quali le ricostruzioni 3D dedicate per la
colonscopia virtuale.
Peraltro l’interesse nei confronti della colon-TC è forte e la richiesta è alta
soprattutto nei Paesi Occidentali dove il carcinoma del colon-retto è al secondo
posto per incidenza tra le neoplasie maligne e rappresenta la terza causa di morte
dopo il tumore alla mammella nella donna e il tumore al polmone nell’uomo.
Le procedure diagnostiche comunemente utilizzate presentano alcune limitazioni
per poter rappresentare un test preoperatorio “ideale”: il clisma opaco a doppio
contrasto può fornire informazioni solo sulla massa tumorale, la colonscopia
tradizionale spesso risulta incompleta e non può stadiare il tumore; la TC può
fornire un’accurata valutazione dell’estensione della lesione neopastica e, dopo
infusione di m.d.c. endovenoso, dell’eventuale presenza di linfoadenopatie e
metastasi a distanza. In caso invece di patologia non tumorale, bensì per esempio
diverticolare, la colon-TC a differenza delle altre due metodiche permette anche un
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giudizio sullo spazio pericolino, sovente coinvolto nei processi flogistici
diverticolari.
Nell’esperienza dell’U.O. di Radiologia dell’Ospedale Maggiore di Cremona, in
linea con la letteratura scientifica, la colonscopia virtuale in pazienti adeguatamente
preparati consente di identificare il 95% dei polipi con diametro superiore ai 9 mm,
il 60% dei polipi di dimensioni comprese tra i 6 e i 9 mm ed il 45% di quelli più
piccoli di 6 mm.
Il seguente lavoro propone un diverso approccio del TSRM sia nei confronti della
metodica tradizionale nello studio dell’addome sia nel pianificare un esame
diagnostico adeguandolo al peso corporeo di ogni singolo paziente al fine di ridurre
la dose. La dose assorbita dal paziente rappresenta infatti il limite intrinseco di
questa tecnica ed è per questo che la maggior parte dei centri di studio in questo
ambito sta perfezionando svariati protocolli di “low-dose”. Questo studio intende
introdurre anche il “fattore peso corporeo” come elemento aggiuntivo al fine di
ottimizzare il protocollo di acquisizione dal punto di vista dosimetrico, pur
mantenendo inalterata la qualità dell’immagine ovvero l’accuratezza diagnostica.
Indispensabili infatti, per un buon TSRM, sono le nozioni di radioprotezione e
radiobiologia che lo aiutano sia a responsabilizzarsi nell’utilizzo delle radiazioni
ionizzanti (e non solo) come “strumento di lavoro” e sia a conoscere profondamente
cioè che sta alla base della propria professione.
E’ molto importante per la salvaguardia della popolazione, del paziente e di noi
stessi.
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CAPITOLO 2
ANATOMIA E PATOLOGIA DEL COLON-RETTO
2.1 ANATOMIA DEL COLON-RETTO
L’intestino crasso (o colon) (fig 1) fa seguito a livello della valvola ileocecale,
all’intestino tenue e termina aprendosi all’esterno in corrispondenza dell’orefizio
anale. E’ situato in gran parte nella cavità peritoneale dell’addome, ma il suo tratto
terminale attraversa lo scavo pelvico, e quindi il pavimento pelvico, per terminare
all’esterno nella regione perineale.
Figura 1:anatomia del colon
La strutture del colon è molto particolare: il suo calibro è notevolmente ampio
rispetto
al
tenue,
presenta
dei
rigonfiamenti
tipici
(haustre)
separate
perpendicolarmente da solchi e parallelamente da tenie.
Il crasso, lungo circa 1,6 m, è suddivisibile in tre porzioni: l’intestino cieco, il colon
e l’intestino retto.
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Figura 2: colon cieco
La prima porzione è una tasca a fondo cieco (fig 2) che fa seguito all’ultima ansa
dell’ileo, generalmente in fossa iliaca destra; il passaggio tra ileo e cieco è regolato
dalla valvola ileocecale che non permette il reflusso del chilo. Nel cieco è presente
un diverticolo naturale definito appendice vermiforme.
La seconda porzione è rappresentata dal colon ascendente lungo mediamente 14 cm
che si porta in alto fino al lobo destro del fegato dove si flette medialmente e
anteriormente creando la flessura epatica (o colica) e assumendo la denominazione
di colon trasverso. Quest’ultimo, della lunghezza all’incirca di 50 cm percorre
trasversalmente da destra a sinistra i quadranti addominali superiori fino alla milza
dove crea una piega, la flessura splenica, verso il basso. Forma così il colon
discendente, lungo circa 25 cm, il quale dalla fossa iliaca sinistra si dirige in modo
tortuoso verso lo scavo pelvico (sigma).
A livello della terza vertebra sacrale piega nuovamente verso il basso costituendo la
terza porzione dell’intestino crasso, il retto.
L’ampolla rettale, estesa per circa 15 cm termina attraverso un canale più ristretto
ed infine con l’orifizio anale.
L’intestino crasso è irrorato da rami delle due arterie mesenteriche: l’arteria
mesenterica superiore fornisce rami per l’emicolon destro mentre l’arteria
mesenterica inferiore vascolarizza i tratti colici più distali (fig 3).
Le vene reflue sono tributarie delle vene mesenteriche superiore ed inferiore e,
quindi, del sistema portale. Nella parte più inferiore del retto le vene rettali (o
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emorroidali) sono tributarie della vena iliaca interna e, quindi, della cava.
L'innervazione del colon proviene dal plesso mesenterico superiore e dal plesso
mesenterico inferiore, che seguono il decorso delle arterie, e che,quindi, si
distribuiscono, rispettivamente, al colon destro ed al colon sinistro.
Figura 3: irrorazione dell’intestino crasso
2.2 PATOLOGIA DEL COLON-RETTO
Si distinguono condizioni patologiche benigne e maligne: le prime sono
rappresentate dalle malattie infiammatorie croniche (rettocolite ulcerosa e morbo di
Crohn a localizzazione colica), dalla malattia diverticolare e dai polipi non
neoplastici.
Le seconde invece ricadono sotto il vasto capitolo del Carcinoma del colon-retto.
2.2.1 La rettocolite ulcerosa (RCU)
è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino crasso a eziologia sconosciuta.
Fattori di varia natura sono stati ritenuti responsabili dell’insorgenza della malattia e
del suo andamento cronico. Le teorie infettiva e alimentare non sono state
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supportate da evidenze scientifiche convincenti . E’ inoltre opinione comune che la
rettocolite ulcerosa (fig 4) sia negativamente influenzata da fattori psicologici e che
eventi stressanti siano alla base della malattia o quantomeno delle sue
riacutizzazioni.
Figura 4: rettocolite ulcerosa
Negli ultimi anni hanno destato grande interesse le ricerche immunologiche le quali
hanno permesso di confutare la primitiva ipotesi che la malattia potesse derivare da
una allergia alle proteine del latte vaccino. E’ stato dimostrato che le alterazioni
immunitarie svolgono un ruolo determinante nell’amplificarsi e nel perpetuarsi del
danno tissutale intestinale.
Negli ultimi anni è stata avanzata l’ipotesi che fattori ambientali e/o genetici
possano avere un peso determinante nello sviluppo della rettocolite ulcerosa e
grande attenzione è stata posta all’alimentazione. Sembra infatti che una dieta ricca
di grassi e zuccheri aumenterebbe significativamente il rischio di malattia mentre, al
contrario, una dieta ricca di fibre e vitamine, eserciterebbe un effetto protettivo. Un
altro fattore ambientale molto spesso associato allo sviluppo della RCU è il fumo da
sigaretta.
Ampi studi hanno inoltre evidenziato una forte tendenza alla familiarità e una
componente genetica nella genesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali.
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Il retto è sempre coinvolto, almeno a livello istologico, e le lesioni tendono a
estendersi in modo continuo e uniforme fino a poter interessare tutto il colon. Il
sanguinamento rettale è il sintomo più costante e il decorso è cronico intermittente.
I tassi di incidenza e prevalenza più elevati si registrano nei Paesi a maggior
sviluppo industriale. Per quanto riguarda l’Italia la distribuzione della malattia non
sembra differire rispetto a quella degli altri Paesi europei.
La malattia colpisce indifferentemente maschi e femmine. L’esordio clinico avviene
solitamente in età giovanile con un picco di incidenza fra i 25 e i 40 anni ma può
insorgere in qualsiasi età.
Il sanguinamento rettale è sempre presente quando vi sono lesioni attive. I pazienti
con lesioni limitate al retto (proctite) lamentano la perdita di sangue rosso vivo
separato dalle feci o striato su feci normali. Quando la malattia si estende oltre il
retto il sangue è commisto alle feci.
La maggior parte dei pazienti con lesioni attive lamenta diarrea: frequente
emissione di feci liquide.
Anemia ipocromica sideropenica si osserva in oltre la metà dei casi, secondaria alle
perdite ematiche.
Nel 40% dei casi è presente un significativo dimagrimento, legato al diminuito
apporto calorico, alla perdita di proteine, all’ipercatabolismo. Reperti obiettivi di
rilievo si osservano solo in caso di riaccensioni severe, potendosi riscontrare
distensione addominale, dolorabilità, riduzione dei rumori intestinali.
Nella maggioranza dei casi (3/4), la colite ulcerosa ha un decorso intermittente
caratterizzato da fasi di riacutizzazione alternate a lunghe fasi di quiescenza della
malattia spontanea o terapeutica. La qualità della vita dei pazienti portatori di colite
ulcerosa è generalmente accettabile e la malattia non impedisce, se non con
l’insorgenza di gravi complicanze, una normale attività lavorativa, sociale e
familiare. Solo nel 20% dei casi è richiesto un intervento chirurgico di colectomia.
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2.2.2 Morbo di Crohn
E’ una malattia infiammatoria osservata a vari livelli dell'apparato digerente che
colpisce più frequentemente la porzione terminale dell'intestino tenue, il colon e la
regione anale. L’infiammazione coinvolge tutta la parete del tratto interessato e
spesso si estende al vicino mesentere e ai linfonodi.
La parete intestinale perde la sua lucentezza, si infiamma e diviene più spessa e
rigida con un conseguente restringimento luminale. La delimitazione tra un tratto
malato e uno sano è netta
La malattia interessa all'inizio la mucosa formando lesioni ulcerate, che, lentamente,
si approfondiscono negli altri strati dell'intestino. La lentezza in questo processo,
provoca aderenze tra le anse dell'intestino, a causa della reazione del peritoneo che
genera un liquido fibrinoso che congloba le anse; ciò può generare fistole enteroenteriche.
Il processo patologico avanza seguendo il percorso dei vasi linfatici, arrivando fino
alle linfoghiandole del mesentere.
I sintomi variano in base alla localizzazione della malattia. Il quadro paradigmatico
è rappresentato dal giovane adulto, che presenta dolori crampiformi ai quadranti
addominali inferiori, diarrea, febbricola e calo ponderale.
Quando la malattia interessa l’ileo la diarrea è di moderata gravità; se interessa il
colon l’incontinenza fecale, il tenesmo e le rettorraggie sono piuttosto frequenti.
Il dolore tende ad essere costante, spesso accentuato dalla peristalsi intestinale.
Compaiono talvolta episodi di occlusione o subocclusione intestinale. I pazienti con
interessamento dello stomaco o del duodeno lamentano dolore epigastrico che può
essere indicativo di ulcera perforata.
Il deficit nutrizionale, dovuto al ridotto apporto dietetico per anoressia e
autorestrizione, determina steatorrea, anemia microcitica o megaloblastica,
ipoprotidemia, edema, demineralizzazione ossea, ipokaliemia e disidratazione.
Si tratta di una malattia relativamente frequente con un aumento dei casi negli
ultimi anni, colpisce indistintamente popolazione maschile e femminile e a
qualunque età.
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È una malattia, di solito, cronica con un'alternanza di periodi con manifestazioni
infiammatorie di gravità variabile con altri di remissione, talvolta prolungati.
Contrariamente alla rettocolite emorragica, il Morbo di Crohn può interessare in
successione, simultaneamente o isolatamente uno o più segmenti dell'intestino.
Esistono dei casi familiari di malattia (gemelli o fratelli e sorelle si ammalano
entrambi), certe malattie, come la spondilartrite anchilosante, sono a volte associate
alla Malattia di Crohn; è soprattutto frequente in America del nord e nel nord
Europa (Scandinavia).È di frequenza intermedia nel sud Europa. È rara nella
maggior parte delle altre regioni del mondo, è più frequente a livello urbano che a
quello rurale.
2.2.3 Malattia diverticolare
I diverticoli sono piccole sacche estroflesse costituite da mucosa e sottomucosa che
si formano nel tratto digestivo, soprattutto nel sigma.
La loro presenza, chiamata diverticolosi o malattia diverticolare, interessa più del
50% della popolazione oltre i 60 anni ma tendenzialmente è asintomatica.
I diverticoli si formano nelle zone più deboli dell'intestino, a causa della pressione
endoluminale al passaggio delle feci dovuta a feci troppo dure e secche e alla
stitichezza cronica.
Attualmente si pensa che la diverticolosi sia causata da una dieta povera di fibre. Le
fibre, infatti, aumentano il volume e la morbidezza delle feci, facilitandone il
transito nell'intestino e di conseguenza riducendo la pressione al suo interno.
I diverticoli tendono nel tempo ad aumentare le proprie dimensioni, con il rischio
che le feci si accumulino all'interno di essi andando incontro a infezione con
conseguente flogosi di parete (diverticolite). I quadri evolutivi più gravi sono:
perforazioni del diverticolo con conseguente peritonite, fistole, cioè passaggi
anormali che mettono in collegamento intestino e cavità addominale o altri organi
come la vescica (fig 10), la vagina o la pelle; ascessi, quando l'infezione del
diverticolo provoca la formazione di pus e in casi più gravi peritonite.
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Nel 15-20% dei soggetti i diverticoli si infiammano, causando la comparsa dei
sintomi e la necessità di un trattamento: si parla allora di diverticolite, ovvero di
infiammazione dei diverticoli. (fig 9)
La diverticolite (fig 5-6-7-8) presenta in genere con un dolore nella parte inferiore
sinistra dell'addome, che può essere intenso e improvviso oppure insorgere
lentamente, a seconda dei casi. Possono verificarsi altri sintomi, quali nausea,
febbre, diarrea; raramente si hanno vomito, gonfiori addominali, sangue nelle feci.
I casi meno gravi di diverticolite si curano con una dieta povera di fibre, che
consente di far riposare e guarire il colon.
Eventualmente si può associare una cura antibiotica per aiutare il sistema
immunitario a debellare i batteri causa dell'infezione.
Se gli episodi diverticolitici risultano molto frequenti è possibile che si sviluppi
addirittura una lesione infiammatoria a manicotto che può determinare una stenosi o
substenosi luminale (fig 11): si deve allora ricorrere all'intervento chirurgico per
resecare la parte di colon interessata dall'infezione.
Per prevenire la formazione dei diverticoli è sufficiente adottare una alimentazione
corretta, che consenta il mantenimento del peso forma, quindi naturalmente ricca di
frutta e verdura, che consentono il raggiungimento della quantità giornaliera
consigliata di fibre.
Da notare che il sovrappeso è una causa indiretta della formazione dei diverticoli, in
quanto un soggetto sovrappeso o obeso tenderà a preferire cibi poco sazianti e più
"pesanti", quindi ad assumere meno frutta e verdura e di conseguenza meno fibra.
In presenza di diverticolosi, bisognerà aumentare ulteriormente la quantità di fibra,
aumentando il consumo di cereali integrali, e aumentare il consumo di acqua.
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Figura 5: estroflessioni diverticolari del
Figura 6: estroflessione diverticolare del
discendente-sigma (MP sagittale)
sigma (3D)
Figura 7: diverticolosi del sigma (3D)
Figura 8: diverticolosi del sigma
(MP assiale)
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Figura 9: diverticolite acuta al passaggio discendente-sigma con flogosi peridiverticolare
Figura 10: fistola colo-vescicale
(clisma opaco con m.d.c. idrosolubile)
Figura 11: pseudotumore infiammatorio
del sigma in quadro di diverticolosi severa
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2.2.4 Neoplasie del colon-retto
Il carcinoma del colon retto rappresenta una delle più frequenti cause di morte per
neoplasia nei Paesi occidentali. La sua incidenza è in aumento in tutto il mondo ed
in Europa vengono diagnosticati ogni anno 200.000 nuovi casi.
È una neoplasia è rara prima dei 40 anni, presentandosi più frequentemente intorno
ai 60 anni. L’incidenza nei due sessi non mostra differenze per quanto riguarda la
localizzazione colica, mentre a livello rettale sembra essere leggermente più
frequente nel sesso maschile. Le sedi più colpite sono il retto (50% dei casi) ed il
sigma (20% dei casi), mentre il colon ascendente ed il trasverso con la flessura
splenica sono interessati rispettivamente nel 16% e nell’8% dei casi.
Il 70% dei pazienti si presenta alla diagnosi con malattia chirurgicamente
aggredibile, il 30% con malattia metastatica; il 25% dei pazienti operati
radicalmente presenterà una ripresa di malattia dopo un tempo variabile.
L’eziologia è sconosciuta, anche se studi epidemiologici hanno identificato possibili
fattori di rischio:
 abitudini alimentari: alcune osservazioni attribuiscono ad una dieta
povera di fibre e ricca di grassi un ruolo importante. Il grasso alimentare
può avere una azione diretta aumentando il turnover epiteliale, oppure
può agire indirettamente attraverso la sua via metabolica che porta alla
formazione di acidi biliari che, una volta escreti, sono convertiti in
promotori tumorali dai batteri presenti nel lume intestinale. Le fibre
alimentari al contrario avrebbero la capacità di legare ed amalgamare i
grassi e gli acidi biliari o inibire la loro attività promotrice con una azione
di diluizione.
 fattori genetici: è possibile identificare alcune sindromi ereditarie
associate alla presenza di polipi adenomatosi e ad alto rischio di
sviluppare neoplasie del grosso intestino: una di queste è la poliposi
familiare adenomatosa (FAP). Un’altra
condizione genetica è
rappresentata dal cancro colo-rettale ereditario non polipotico (HNPCC).
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 malattie infiammatorie intestinali, la storia naturale della colite ulcerosa,
può essere contrassegnata dallo sviluppo di un carcinoma del colon-retto,
a sua volta condizionato dalla durata e dall’estensione della malattia. Il
rischio è circa 20 volte superiore a quello della popolazione generale per i
pazienti con una malattia datante da più di 10 anni.
In generale, in presenza di polipi adenomatosi la trasformazione maligna è più
frequente negli adenomi villosi (35-40%) e tubulo-villosi (16-22%) rispetto ai
tubulari (1-4%), e nelle lesioni multiple ed in quelle con maggiori dimensioni (oltre
i 2.5 cm).
Clinicamente, la neoplasia esordisce con una serie di sintomi e segni che oltre allo
stadio della malattia, dipendono anche dalla sua localizzazione colica. Le lesioni
che si sviluppano nell’emicolon destro sono in genere vegetanti, spesso di notevoli
dimensioni, talvolta ulcerate e facilmente sanguinanti. Possono quindi determinare
anemia secondaria allo stillicidio cronico, dolore di tipo gravativo non molto
intenso e subcontinuo localizzato ai quadranti addominali di destra, astenia, massa
palpabile all’emiaddome destro nelle fasi avanzate di malattia, anoressia e
dimagrimento.
I tumori che interessano il colon sinistro hanno uno sviluppo prevalentemente di
tipo anulare ed infiltrante con conseguente ostacolo alla canalizzazione.
Si presentano con alternanza dell’alvo, presenza di sangue nelle feci a volte in
misura copiosa associato ad emissione di muco, dolore addominale spesso
intermittente localizzato in genere ai quadranti sinistri.
Le neoplasie rettali sono prevalentemente vegetanti ed ulcerate e facilmente
sanguinanti. Tra queste, le neoplasie sovra-ampollari si presentano con una
sintomatologia analoga a quella descritta per il colon sinistro. I tumori ampollari
danno invece luogo a tenesmo, senso di corpo estraneo o ad un senso di peso, talora
associati ad un dolore di tipo gravativo e a rettorragia sia durante che dopo la
defecazione o indipendentemente da essa con mucorrea. Infine, le neoplasie sottoampollari si presentano con tenesmo imponente, dolore perineale e perianale che si
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accentua durante la defecazione ed evacuazione di feci nastriformi, frammiste a
sangue e muco.
Dal punto di vista cito-istologico, gli adenocarcinomi rappresentano il 95% delle
neoplasie del grosso intestino; i rimanenti istotipi comprendono carcinoidi, sarcomi
e linfomi.
Il carcinoma del colon-retto può diffondere attraverso varie vie: per continuità,
infiltrando in profondità la parete intestinale; per contiguità, infiltrando organi vicini
con possibile formazione di fistole nel tenue, nella vescica, nello stomaco, etc.; per
propagazione
endocavitaria,
causando
carcinosi
peritoneale
e
talvolta
metastatizzazione a livello pelvico; per via linfatica lungo le stazioni linfonodali
pericoliche, paracoliche ed intermedie; per via ematica col coinvolgimento di fegato
e polmone in prima istanza .
Per quanto riguarda la stadiazione, sono molti i sistemi proposti e tra questi il più
usato è stato quello introdotto da Dukes nel 1932 , modificato circa 20 anni dopo da
Astler e Coller. Attualmente si utilizzano più comunemente la classificazione TNM
e le classificazioni associate AJCC (American Joint Commettee on cancer) e UICC
(Union Internationale contre le Cancer). Altri criteri prognostici maggiori possono
essere suddivisi schematicamente in criteri clinici, istopatologici e biologici.
I criteri prognostici sono: età (prognosi peggiore nei soggetti giovani), sesso (le
donne hanno una prognosi migliore), sintomatologia, sanguinamenti rettali,
ostruzioni e perforazioni (complicazioni che spesso portano all’exitus), sede (il
carcinoma del retto e del retto-sigma presenta una prognosi peggiore).
La forma vegetante ha una prognosi migliore rispetto a quella infiltrante.
Le caratteristiche istologiche comprendono: diversi gradi di differenziazione e di
varietà tumorali, contenuto in DNA, invasione dei vasi linfatici e dei sanguigni
venosi, invasione perineurale, risposta immune al tumore primitivo, infiltrazione
linfocitaria. Da un punto di vista terapeutico bisogna sottolineare come l’andamento
delle curve di incidenza e mortalità dell’ultima decade testimonino il successo della
diagnosi precoce e l’efficacia delle terapie attuate. Esiste pieno accordo nel
15
riconoscere la chirurgia come unico trattamento con possibilità di guarigione, alla
quale possono essere utilmente associate la radioterapia e la chemioterapia.
Il miglioramento delle tecniche diagnostiche chirurgiche negli ultimi 40 anni ha
determinato un miglioramento della prognosi. Generalmente il 70% dei pazienti
viene sottoposto ad interventi chirurgici apparentemente radicali; invece nel restante
30% dei casi, già in fase avanzata di malattia al momento della diagnosi, viene
eseguita una chirurgia a scopo palliativo o, nella malattia avanzata, per prevenire
complicanze, come occlusioni, sanguinamenti o perforazioni. Negli adenocarcinomi
del retto, nei quali è più frequente la recidiva locale, vengono proposti trattamenti
radio-chemioterapici adiuvanti. Nella gestione dei pazienti affetti da carcinoma del
colon retto in fase metastatica sono state impiegate diverse modalità terapeutiche.
La chemioterapia sistemica, la chemioterapia locoregionale, le terapie ablative, la
chirurgia e la combinazione di tutti i trattamenti hanno un ruolo nella gestione di
questi pazienti.
Figura 12: Carcinoma stenosante a livello della giunzione retto-sigma (rielaborazione 3D)
16
Figure 13-14: polipo a corto peduncolo del colon discendente (1,27 cm)
(MP coronale e 3D)
Figure 15-16: polipo millimetrico del colon traverso (3D e assiale)
17
CAPITOLO 3
METODI DI INDAGINE DEL COLON
3.1 METODICA ENDOSCOPICA
La colonscopia è la metodica di riferimento, il gold standard, per la valutazione del
colon-retto. Permette un’esplorazione completa ed affidabile ed è terapeutica
allorchè permette la rimozione di piccoli polipi.
La colonscopia richiede un’adeguata preparazione del colon ottenuta mediante
assunzione per os di lassativi . Inoltre, il paziente prima dell’indagine viene sedato
mantenendo però lo stato di coscienza, in modo da garantire l’interazione con
l’operatore. L'esame viene effettuato attraverso l'introduzione per via anale di una
sonda che ha un diametro da circa 11 mm a 13 mm. La sonda, munita di
microcamera, mostra in tempo reale l'interno del colon. Per facilitare la
penetrazione della sonda, il colon stesso viene disteso insufflando aria all'interno.
La sonda risale per oltre un metro all'interno del colon (la lunghezza della sonda
varia dai 130 cm ai 170 cm) (fig 17-18).
L’esame dura circa 20 minuti e il paziente può tornare a casa un paio di ore dopo,
terminato l’effetto dei farmaci sedativi.
Pur essendo l’esame ottimale per lo studio del colon, anche la colonscopia presenta
alcuni limiti: le lesioni inferiori ai 5 mm vengono riconosciute solo nel 25% dei casi
ed il cieco viene raggiunto nell’80-95% degli esami.
Figure 17-18: visione endoluminale del colon attraverso la sonda munita di microcamera
18
2 CLISMA OPACO A DOPPIO CONTRASTO
Anche in questa metodica è fondamentale la preparazione del pz fatta con dieta
specifica e lassativi.
Nella sala radiologica il paziente viene insondato e per forza di gravità viene
introdotto nel corpo del mezzo di contrasto baritato (circa 400-500 cc), il paziente
deve compiere alcuni giri sul lettino per permettere al bario di aderire alle pareti e di
arrivare anche a livello del cieco (fig 19), dopodiché è insufflata aria dalla stessa
via; in questo modo le pareti si distendono e il bario in eccesso è espulso, tornando
nella sacca. Si scattano diversi radiogrammi nelle diverse posizioni che permettono
la visualizzazione di tutto il colon sia in decubito sia in stazione eretta.
Figura 19: clisma opaco a pieno riempimento (proiezione antero-posteriore)
Lesione stenosante del III laterale del colon trasverso
3.3 COLONSCOPIA VIRTUALE
Permette di visualizzare l’intero colon tramite l’esecuzione di una TC dell’addome
previa insufflazione di aria nell’intestino. Inizialmente lo studio del colon con
apparecchiatura TC veniva appunto chiamato “colon-TC” e realizzato distendendo
il lume intestinale con dell’acqua (all’incirca 1 litro) introdotta con una sonda per
via rettale. Le acquisizioni ottenute con bassi valori di collimazione venivano
rielaborate su diversi piani spaziali producendo immagini 2D per la refertazione
medica. Attualmente invece, con l’utilizzo della distensione gassosa è possibile
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ottenere una ricostruzione tridimensionale di normali sezioni assiali trasverse
dell'addome e sfruttare quindi la possibilità di creare una visione endoscopica
dell'organo, grazie alla quale l'operatore percorre in maniera virtuale la cavità. La
corretta esecuzione dell’esame necessita di una buona pulizia intestinale che si
ottiene mediante adeguata preparazione. Le immagini ottenute vengono
successivamente elaborate da un software dedicato che consente la ricostruzione
del colon in 2 – 3 dimensioni con la possibilità da parte del medico radiologo di
studiarlo navigando virtualmente al suo interno. La navigazione avviene dal cieco
al retto e si ripete nel verso opposto. L’analisi delle immagini è interattiva e il
radiologo può scegliere l’angolo di migliore visualizzazione, passare attraverso
stenosi e guardare gli organi e le strutture adiacenti alla parete colica. (fig 20-21)
L’esame consente inoltre la valutazione degli organi addominali come una
tradizionale TC.
Figure 20-21: colonscopia virtuale: rielaborazione dal topogramma.
visione endoscopica tramite colon-TC
20
CAPITOLO 4
COLONSCOPIA VIRTUALE CON MSCT
4.1 INDICAZIONI
La CTC non rappresenti un esame sostitutivo della colonscopia tradizionale, ma una
tecnica integrativa a quest’ ultima.
La colonscopia classica, quando possibile, va eseguita poiché consente una
visualizzazione diretta e reale della mucosa colica e di effettuare il prelievo bioptico
di lesioni sospette da valutare con esame istologico.
Ci sono tuttavia delle condizioni in cui non è possibile da parte dell’endoscopista
eseguire l’esame o completarlo: è proprio in questi casi che la colon-TC si offre
come metodica complementare o alternativa.
Attualmente le più importanti indicazioni allo studio con colonscopia virtuale sono
rappresentate da una colonscopia incompleta, conseguente alle difficoltà di
esplorare tutto il colon per la presenza di varianti anatomiche, dall’intolleranza del
paziente alla procedura e, infine, dalla ostruzione del lume provocata da un tumore
stenosante, da una patologia infiammatoria cronica o per esiti di aderenze postchirurgiche.
Può essere inoltre impiegata qualora un’importante diverticolite con periviscerite
renda rischioso il proseguimento dello strumento con la colonscopia tradizionale.
Non essendo influenzata da ostacoli meccanici invalicabili dall’endoscopio, nel
caso di presenza di neoformazioni occlusive o subocclusive non superabili dal
colonscopio, la colon-TC può valutare i tratti intestinali a monte dell’ostacolo
dimostrando eventuali lesioni tumorali sincrone. Può inoltre fornire una precisa
localizzazione topografica e una corretta valutazione dell’estensione extracolica
della neoplasia, informazioni particolarmente utili nella stadiazione preoperatoria.
Un altro importante impiego della colonscopia virtuale e’ rappresentato dallo studio
del colon in quei pazienti nei quali effettuare una colonscopia tradizionale possa
essere a rischio per età avanzata o per patologie concomitanti (cardiache o
21
polmonari) che determino un aumentato rischio di complicanze in caso di esame
endoscopico.
4.2 PREPARAZIONE
La preparazione per la TC-colonscopia, come per la colonscopia convenzionale, è
un aspetto fondamentale per la buona riuscita dell’esame.
Si basa sui seguenti punti:
- Nei due giorni precedenti l’esame è necessario seguire una dieta priva di scorie
cioè evitare pane, pasta, frutta (compresi i succhi di frutta) e verdura.
Sono invece concessi: carne, pesce, formaggi e altri latticini, salumi.
- Il pomeriggio del giorno precedente l’esame è necessario assumere un lassativo:
Isocolan (2 buste per ogni litro di acqua naturale)
o SELG buste da 1000 mg (1 busta per ogni litro di acqua naturale)
o SELG-ESSE buste da 1000 mg (1 busta per ogni litro di acqua naturale)
da diluire in 4 litri di acqua complessivi da assumere tra le 15 e le 19.
Nei pazienti con necessità di introdurre una minore quantità di liquidi (es. IRC,
scompenso cardiaco, cirrosi epatica con storia di scompensi ascitici, etc) è
consigliabile l’assunzione del Fosfo-Soda Fleet da assumere il giorno precedente
l’esame nel seguente modo: alle ore 8 1 flacone da 45 ml diluito in
⁄2 1bicchiere
d’acqua seguito da 2 bicchieri d’acqua; e alle ore 17 1 flacone da 45 ml diluito in
1⁄2 bicchiere d’acqua seguito da 2 bicchieri d’acqua.
Tali lassativi agiscono con meccanismo di tipo iso-osmotico ovvero si tratta di
sostanze non assorbibili e completamente inerti (polietilenglicole) in una soluzione
salina bilanciata che impedisce gli scambi idro-elettrolitici lungo il compartimento
intestinale consentendo un’azione di lavaggio e detersione del lume intestinale in
modo da ottenerne la massima pulizia.
Possono indurre dolori addominali di tipo crampiforme, nausea, senso di ripienezza
addominale. Meno frequentemente vomito, irritazione rettale e reazioni cutanee di
tipo allergico.
 E’ indispensabile il digiuno da almeno 12 ore.
22
 La sera precedente l’esame sono concessi the zuccherato, camomilla o
comunque una dieta liquida.
 I farmaci prescritti per un’eventuale terapia in corso possono essere assunti
anche il mattino dell’esame.
Al termine dell’esame il paziente e’ libero di seguire il suo normale regime
alimentare.
Le tecniche di fecal tagging prevedono l’assunzione di mezzi di contrasto baritati o
iodati per via orale nei giorni che precedono quello dell’esame. Queste sostanze ad
alta densità entrano nella costituzione delle feci e consentono quindi la “marcatura”
di eventuali residui solidi o liquidi. (fig 22)
Figura 22: m.d.c. iodato idrosolubile. Gastrografin®
La procedura di fecal tagging necessita di software più evoluti rispetto a quelli
comunemente usati per la CV. I dati ottenuti dalla stazione di acquisizione vengono
trasferiti su stazione di lavoro dedicata, dove le immagini sono elaborate in modo
tale che, in ogni sezione traversa, i pixel che hanno valore di densità più alto della
soglia di 150 HU vengono elettronicamente marcati. Questa soglia viene scelta
arbitrariamente come valore di riferimento per l’identificazione dei residui marcati
23
col contrasto baritato rispetto ai tessuti molli adiacenti; le aree così evidenziate,
vengono poi sottoposte a sottrazione digitale (thresholding) con software dedicato.
Dati in letteratura dimostrano l’aumento della specificità nella differenziazione tra
polipi e residui fecali ottenuto con la tecnica del fecal tagging; con questa tecnica
inoltre si riduce in modo significativo il fastidio connesso alla procedura causato
dalla preparazione intestinale, che, infatti, può essere modificata o addirittura
omessa, secondo alcuni autori. Questi risultati promettenti sono però inficiati dalla
formazione di artefatti legati per esempio alla incompleta opacizzazione dei residui
fecali con il mezzo di contrasto o alla formazione di bolle d’aria che sarebbero
falsamente interpretate come polipi .
4.3 CONFRONTO TRA COLON-TC E COLONSCOPIA OTTICA
Come ogni metodica diagnostica anche la colon-TC ha dei vantaggi e degli
svantaggi. Di conseguenza nasce anche il confronto con la colonscopia che mette a
confronto le due tecniche. (fig 23-24)
Innanzitutto la colonscopia virtuale prevede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti, a
differenza della colonscopia tradizionale.
La metodica TC è molto meno invasiva rispetto alla colonscopia, questo perché non
ha bisogno di inserire nel retto del paziente la telecamera a fibre ottiche, nella
colon-TC è introdotto attraverso l’ano per pochi minuti una sonda rettale o un
catetere di Foley per l’insufflazione di aria che non comporta particolare fastidio al
paziente.
L’esame è meglio tollerato anche per quanto riguarda le tempistiche, la colonscopia
virtuale dura all’incirca 15 minuti contro i 45 circa della colonscopia.
Inoltre,terminato l’esame il paziente può subito tornare alla propria vita senza
problemi, nella metodica endoscopica invece è necessario un periodo di riposo di
una ventina di minuti perché svanisca l’effetto della sedazione (diazepam).
La colonscopia è decisamente più fastidiosa e a volte addirittura dolorosa rispetto
alla colon-TC però permette l’individuazione e di conseguenza l’asportazione di
materiale da analizzare nella stessa seduta; infatti, se durante una colonscopia
24
virtuale viene identificata una qualche anomalia che prevede la valutazione
istologica è necessario provvedere ad effettuare una colonscopia tradizionale con il
relativo prelievo bioptico.
Talvolta il dolore avvertito dal paziente è dovuto ad una conformazione particolare
dell’intestino o ad una patologia occlusiva che non permettono le manovre
endoscopiche e che interrompono l’esame. Nella colon-TC questo non avviene
perché le ricostruzioni software permettono la navigazione anche nei tratti più
tortuosi o stretti.
Infine, un ulteriore vantaggio per la colon-TC è dato dal fatto che quando viene
individuato un preciso dato patologico è possibile analizzarne l’estensione
attraverso la parete ed eventualmente negli organi addominali vicini, questo perché
la TC permette una visualizzazione d’insieme di tutti i visceri nei tre piani
(metodica panesplorante). Inoltre di fronte alla patologia tumorale l’utilizzo di mdc
permette di fornire informazioni preziose al chirurgo e all’oncologo ovvero sia di
studiare la malattia per la definizione di un TNM.
Figure 23-24: stesso tratto di colon visualizzato con la colonscopia virtuale( a sinistra) e
colonscopia ottica (a destra)
25
CAPITOLO 5
TC MULTISTRATO
5.1 ASPETTI GENERALI DELLA TCMS. ACQUISIZIONE E
RIELABORAZIONE
I tomografi computerizzati multistrato (TCMS) rappresentano un’evoluzione dei
tomografi computerizzati spirale (fig 25) introdotti negli anni ’90; essi si basano
sull’acquisizione simultanea di più strati di scansione per rotazione attorno al
paziente, sia in modalità assiale che in modalità spirale.
A differenza dei sistemi tradizionali che utilizzano un solo arco di detettori, i
sistemi multistrato sono forniti di due o più schiere di rivelatori disposti in modo
parallelo, utilizzando sempre il principio di sincronia tra tubo e detettori.
Figura 25: TC spirale, principio di acquisizione dell'immagine
Il fascio radiante è un sottile ventaglio di apertura tale da inquadrare completamente
un campo di misura di circa 50 cm di diametro, il quale investe un sistema detettori
costituito da diverse centinaia di rivelatori compattati su più archi, disposti
parallelamente e centrati sul fuoco del tubo radiogeno.
Per poter acquisire simultaneamente più strati del paziente sono necessari una
matrice bidimensionale di rivelatori e un sistema di canali di rivelazione che preleva
il segnale da uno o più rivelatori uniti elettronicamente. Il numero massimo di strati
26
acquisibili contemporaneamente è determinato da numero di canali di rivelazione
utilizzati e dalla collimazione.
Nella TCMS i rivelatori hanno la stessa dimensione nel piano x-y mentre lungo
l’asse z (asse di rotazione del tubo radiogeno) possono trovarsi in una
configurazione fissa o adattativa. In quest’ultimo caso i detettori hanno dimensioni
minori al centro rispetto alla periferia. (fig 26)
Figura 26: schema rappresentativo dei detettori a matrice fissa (sopra) e a matrice
adattabile (sotto)
La TCMS rientra nella categoria delle TC di terza generazione, quindi possiede un
sistema di rotazione sincrona tubo-detettori che può essere considerato un blocco
solidale.
Questo si è reso possibile con l’avvento della tecnologia “slip-ring” grazie alla
quale i cavi di collegamento tra dispositivi rotanti all’interno del gantry e strutture al
27
di fuori di esso sono stati eliminati evitando necessità di effettuare una rotazione di
svolgimento dei cavi stessi al termine di ogni scansione. (fig 27)
Figura 27: tecnologia “slip-ring”
Il tubo radiogeno ruota in modo continuo su una serie di anelli di materiale
conduttivo, fissi, a livello dei quali, mediante contatti striscianti, si provvede sia
all’alimentazione del tubo stesso sia al trasferimento dei dati dai detettori
all’elaboratore.
L’impiego di questa tecnica, associata ad una consistente capacità di dispersione del
calore dell’apparecchiatura, hanno portato ad un abbassamento dei tempi di
rotazione del gantry. Ciò ha consentito una sensibile riduzione del tempo di
esecuzione dell’esame e, di conseguenza, l’acquisizione di ampi volumi in una
singola apnea respiratoria limitando così la produzione di artefatti da movimento.
La tecnica TC tradizionale si basava sul principio di una successione di scansioni
singole e separate tra loro da un intervallo necessario per lo spostamento del lettino
e per lo svolgimento dei cavi. Nella tecnica spirale invece il fascio radiogeno
descrive una spirale intorno al paziente cosicchè il risultato è un’acquisizione
volumetrica dei dati che, in un secondo tempo, verranno elaborata dal software in
ricostruzioni multiplanari e tridimensionale di alta qualità.
I parametri di acquisizione sono:
28
 COLLIMAZIONE: il valore di collimazione, che indica lo spessore
nominale della scansione, può essere generalmente selezionato tra 1 mm e 10
mm. Tale parametro non può essere modificato retrospettivamente e pertanto
esso esprime lo spessore del voxel di ogni immagine assiale comunque essa
venga ricostruita. La collimazione ha enorme effetto sulla risoluzione
spaziale sull’asse z e sulla risoluzione di contrasto sul piano assiale dato che
scansioni a strato sottile riducono lo spessore del voxel e di conseguenza
l’entità dell’effetto di volume parziale.
 TEMPO DI ROTAZIONE: la possibilità di disporre di tempi di rotazioni
molto brevi, inferiori al secondo, è uno dei fattori, insieme alla potenza del
generatore ed alla capacità termica del tubo radiogeno, che caratterizza il
livello qualitativo di un’apparecchiatura TC. Il tempo di rotazione
condiziona da un lato il numero di proiezioni utilizzate nella formazione
dell’immagine e quindi la sua qualità.
 VELOCITA’ DEL TAVOLO: lo spostamento del tavolo per ogni rotazione
del tubo influenza il volume esplorabile: quanto maggiore lo spostamento,
tanto maggiore è il volume esplorato per la durata della scansione. Per le
acquisizioni in spirale si introduce il concetto di pitch, cioè il numero che
esprime il rapporto tra spostamento del tavolo per singola rotazione del
complesso tubo-detettori e collimazione.
P=
spostamentodeltavolo(mm / s ) ⋅ rotazione( s )
collimazione(mm)
Il valore del pitch varia generalmente da 1 a 2. Non è consigliabile scegliere
valori inferiori a 1, pena un’eccessiva dose al paziente ed una riduzione del
volume esplorabile; d’altra parte non è consentito superare il valore di 2
perchè la qualità dell’immagine sarebbe notevolmente compromessa.
29
 DURATA DELL’ACQUISIZIONE: la durata complessiva della scansione
può essere limitata da fattori tecnici quali la capacità termica del tubo e il
sistema di elaborazione.
 TENSIONE AL TUBO: il voltaggio è generalmente è di 120 kV
 CORRENTE AL TUBO: l’amperaggio non è sempre fisso; esso può essere
determinato dal sistema di modulazione della dose.
5.1.2 Elaborazione
I parametri di ricostruzione possono essere scelti all’inizio della scansione ma
possono, a differenza dei dati di acquisizione, essere liberamente modificati
retrospettivamente conservando i raw data.
 ALGORITMO DI RICOSTRUZIONE: poichè l’acquisizione volumetrica si
effettua durante il movimento del tavolo, se i dati relativi ad un segmento di
spirale fossero ricostruiti direttamente come nella tecnica tradizionale
l’immagine risulterebbe gravata da artefatti da movimento. Il passaggio
necessario è l’interpolazione, attraverso algoritmi matematici, dei dati
relativi a segmenti contigui di spirale. L’unico fattore negativo è
l’allargamento del profilo di sensibilità della scansione (SSP), cioè lo
spessore reale della scansione risulta superiore rispetto al valore nominale
della collimazione scelta a causa dello spostamento del lettino.
L’interpolazione lineare a 360° garantisce un’ottima qualità d’immagine
grazie ad un elevato rapporto segnale/rumore gravato tuttavia da un marcato
effetto dell’allargamento del SSP. Per ovviare a questo inconveniente si è
preferito passare all’interpolazione lineare a 180°, essa esegue interpolazioni
lineari tra punti distanti 180° e cioè tra punti corrispondenti a linee di
proiezione con lo stesso orientamento ma provenienti da direzioni opposte di
ogni singolo segmento di spirale.
30
 INTERVALLO DI RICOSTRUZIONE: è il parametro, espresso in
millimetri, che permette la ricostruzione le immagini assiali in qualsiasi
punto del volume esplorato; questo significa stabilire a quale intervallo ogni
immagine deve essere ricostruita.
5.2 SIEMENS SOMATOM SENSATION CARDIAC
Nell’U.O. di Radiologia dell’Ospedale Maggiore di Cremona è presente una TC
Siemens Somatom Sensation Cardiac, equipaggiata con un un tubo Straton che offre
significative innovazioni quali la riduzione del tempo di raffreddamento del tubo tra
una scansione e l’altra e un incremento della potenza.
La matrice dei detettori è di tipo adattativo con la parte centrale costituita da 16
elementi da 0.75 mm nella parte centrale e 8 elementi (4 per lato) da 1.5 mm nella
zona periferica. La scansione può essere di tipo spirale o sequenziale con i
parametri di acquisizione collimazione e spessore slice riportati in tabella 1 e 2.
MODALITA' SPIRALE
COLLIMAZIONE
DIMENSIONE SLICE
0,75 mm
0.75, 1, 1.5, 2,3,4,5,6,7,8,10 mm
1.5 mm
2,3,4,5,6,7,8,10 mm
Tabella 1: collimazione e spessore slices in modalità spirale
MODALITA' ASSIALE
COLLIMAZIONE
DIMENSIONE SLICE
0,75 mm
0.75, 1.5,3,4.5,9 mm
1 mm
1,2 mm
1.5 mm
1.5,3,4.5,6,9 mm
5 mm
5,10 mm
Tabella 2: collimazione e spessore slices in modalità assiale
31
Il fattore pitch può variare da 0.45 a 2.
In consolle è applicabile una tensione di 80,100,120,140 kV e una corrente di 30350 mAs di riferimento.
Sull’apparecchiatura
è
installato
il
programma
di
controllo
automatico
dell’esposizione “CARE Dose 4D”, che ha la funzione di adattare la corrente del
tubo alla tipologia e alla corporatura del paziente ad ogni rotazione del gantry.
Adattare la corrente del tubo significa sia bilanciare la qualità globale di ogni slice
che abbassare i livelli di dose al paziente.
Il sistema di modulazione della dose estrapola i dati necessari all’adattamento della
corrente del tubo da un’acquisizione in antero-posteriore o latero-laterale a seconda
della tipologia di indagine. Nel caso della colon-TC il topogramma è in anteroposteriore. Sulla base del topogramma, il Care dose 4D determina il livello di
corrente al tubo adeguato per ogni sezione del paziente e, partendo da tali livelli
modula la corrente al tubo on-line, durante ogni rotazione, in relazione al profilo di
attenuazione angolare del paziente.
Prima di effettuare l’acquisizione con il Care Dose è necessario impostare i mAs di
riferimento mAs ref. In funzione dell’impostazione di tale valore, che corrisponde
ad una “qualità immagine considerata di riferimento”, il CARE Dose 4D adatta
automaticamente i mAs (effettivi) in base alla corporatura del paziente e alle
variazioni di attenuazione nella regione di scansione. Scegliendo il valore di mAs
ref (Image Quality Reference mAs) l’utilizzatore (TSRM) può adattare la qualità
immagine (rumore dell’immagine) alle esigenze diagnostiche o alle richieste del
radiologo.
Il CARE Dose 4D combina due tipi di modulazione:
 LUNGO L’ASSE Z: la corrente del tubo viene modulata rotazione dopo
rotazione tenendo conto della variazione nell’attenuazione lungo l’asse z del
paziente. In questo modo il livello medio di rumore in uno strato si mantiene
approssimativamente costante per diverse posizioni lungo z. (fig 28-29)
32
Figura 28: esempio di profilo di attenuazione latero-laterale e antero-psteriore valutate a
partire dal topogramma
Figura 29: modulazione della dose lungo l'asse z del paziente
33
 MODULAZIONE ANGOLARE: essa avviene durante ogni singola
rotazione, in modo tale da compensare grosse deviazioni dalla simmetria
circolare del paziente: ad esempio in corrispondenza delle spalle i fasci
provenienti anteriormente sono molto meno attenuati rispetto a quelli laterali
e quindi l’intensità del fascio anteriore può essere ridotta senza
compromettere in modo importante la qualità immagine. (fig 30-31)
Figure 30-31: modulazione angolare della dose
Figura 32: Siemens Somaton Sensation Cardiac
34
CAPITOLO 6
ESECUZIONE DELL’ESAME COLON-TC
6.1 IL RUOLO DEL TSRM
Il TSRM ha il compito di eseguire correttamente l’esame ma anche di occuparsi
dell’accoglienza e dei rapporti interpersonali con i pazienti al loro ingresso nella
sala diagnostica TC.
Il paziente arriva nell’unità radiologica dopo tre giorni di preparazione dietetica
durante i quali ha seguito una dieta particolare povera di scorie e ha assunto 100 ml
di m.d.c. iodato idrosolubile come il Gastrografin®.
Il Gastrografin® ha una duplice funzione: innanzi tutto consente di ottenere la
marcatura delle feci e, in secondo luogo, presenta caratteristiche intrinseche di tipo
lassativo che contribuiscono alla toilette entero-colica.
L’utilizzo del faecal
tagging e del Gastrografin® in questo protocollo di
preparazione è routinario presso l’U.O. di Radiodiagnostica degli Istituti Ospitalieri
di Cremona, ma non è univocamente applicato da tutti i centri radiologici che si
occupano di colon-TC. Alcuni somministrano 100 – 150 ml di Gastrografin® non il
giorno antecedente l’esame bensì la mattina dello stesso giorno dell’indagine. Altri
preferiscono sostituire il m.d.c. iodato con il m.d.c. baritato (soluzione a bassa
concentrazione di solfato di bario). Altri centri ancora non praticano procedure di
faecal tagging.
Ebbene, nel caso della colon-TC il paziente viene fatto entrare nella sala TC in slip,
viene fatto coricare sul lettino radiologico e viene possibilmente tranquillizzato da
parte del personale TSRM in merito alla metodica che è minimamente invasiva ed è
poco fastidiosa. La componente psicologica dei pazienti, il più delle volte anziani o
reduci da precedenti esperienze pesanti con la colonscopia ottica, è frequentemente
considerevole; per cui l’approccio umano oltre che professionale del TSRM è
fondamentale per rendere meno gravoso il discomfort del soggetto.
35
A questo punto il medico provvede alla somministrazione e.v. di un farmaco
spasmolitico (solitamente Buscopan® o Spasmomen®) in grado di rilassare la
muscolatura liscia del tratto gastrointestinale.
Trattandosi di un derivato ammonico quaternario, alle dosi terapeutiche consigliate,
l'N-butilbromuro di joscina non entra nel sistema nervoso centrale e quindi non si
manifestano gli effetti indesiderati sul SNC dovuti agli anticolinergici. L'effetto
anticolinergico periferico è dovuto sia al blocco dei gangli siti nella parete viscerale
che all'attività antimuscarinica.
Esistono alcune controindicazioni all’uso dei farmaci spasmolitici per via
endovenosa che naturalmente il medico deve conoscere ma che anche il TSRM non
dovrebbe disdegnare dal conoscere:
 ipersensibilità al principio attivo o ad altre sostanze strettamente correlate dal
punto di vista chimico;
 glaucoma ad angolo acuto;
 ipertrofia prostatica o altre cause di ritenzione urinaria;
 stenosi pilorica ed altre condizioni stenosanti il canale gastroenterico;
 ileo paralitico, colite ulcerosa, megacolon;
 atonia intestinale dell’anziano e dei soggetti debilitati;
 miastenia grave;
 tachiaritmie cardiache.
Per l’esecuzione di una colon-TC non è prevista la raccolta di un consenso
informato firmato.
Il paziente viene allora posizionato su un fianco, preferibilmente il sinistro: il
medico introduce attraverso il canale anale un catetere di Foley (meglio se di tipo
siliconato) fino all’ampolla rettale. La procedura non è dolorosa perché il catetere
usato è di tipo tipicamente vescicale e quindi di calibro molto sottile, generalmente
un 20-22 Fr. (fig 33)
36
Figura 33: introduzione del catetere di Foley e insufflazione gassosa
Questo catetere è dotato di un palloncino terminale che, gonfiato con acqua,
favorisce il mantenimento in sede. (fig 34)
Figura 34: catetere di Foley con palloncino gonfiato
Quando si è sicuri che il catetere non fuoriesce si può insufflare aria tramite una
pompetta a mano. In alcuni centri si dispone di una apparecchiatura in grado di
insufflare CO2 (meglio tollerata dal paziente perché parzialmente riassorbita dalle
pareti intestinali) a pressioni controllate.
Il paziente avvertirà progressivamente una sensazione di gonfiore meteorico e di
tensione addominale. Quando giunge al limite della tolleranza si arresta
l’insufflazione gassosa, si posiziona correttamente in decubito supino con gli arti
inferiori abdotti sopra il capo e si esegue la centratura nel gantry.
L’applicazione colon-TC preimpostato nell’apparecchiatura (fig 35) prevede:
 Topogram (fig 36)
37
 Prima acquisizione a paziente supino
 Topogram (fig 37)
 Seconda acquisizione a paziente prono
Figura 35: applicazione colon-TC
Figure 36-37: topogramma supino (a sinistra) e topogramma prono (a destra)
38
Nella prima scansione il paziente è supino con le braccia sopra la testa, la centratura
del laser centrale è collocata a metà sterno e di quelli laterali è a metà addome.
Figura 38: in rosa i limiti della scansione
La scansione deve comprendere le cupole diaframmatiche superiormente ed
inferiormente deve giungere alla pelvi per permettere lo studio di tutto il tratto
intestinale colo-rettale.(fig 38)
Nella seconda scansione il paziente è invece prono con le braccia sopra la testa, la
centratura viene localizzato a 3 cm circa sotto le scapole.
La scansione, come la prima, deve coprire il tratto corporeo dalle cupole
diaframmatiche alla pelvi.
L’utilizzo di entrambi i decubiti determina una differente disposizione dell’aria e
dei residui fecali nei vari segmenti intestinali, con ridistribuzione nelle sedi declivi
del contenuto fluido. Entrambe le scansioni vengono acquisite in apnea per evitare
artefatti da movimento.
L’esame dura all’incirca 10 minuti, dopodiché il paziente, a cui viene estratto il
catetere, viene fatto accomodare in sala d’attesa per il tempo necessario affinchè
svanisca l’effetto del farmaco spasmolitico.
Il paziente può da subito tornare alla sua dieta abituale.
39
6.2 IL POST PROCESSING
Le operazioni di post-processing sono appannaggio del medico radiologo che lavora
su una workstation parallela.
Il TSRM con l’acquisizione dei dati nel duplice decubito e la successiva
ricostruzione delle immagini mette a disposizione del personale medico due
“pacchetti” di dati relativi a strati corporei assiali dello spessore di 1 mm ed
overlapping di 0,7 mm. A questo punto termina il ruolo del TSRM alla consolle; si
può così di nuovo occupare direttamente del paziente a cui viene estratto il catetere
posizionato in ampolla rettale e che viene accompagnato nello spogliatoio. I
soggetti ai quali durante l’esame viene praticata un’infusione endovenosa di
farmaco spasmolitico è bene che siano trattenuti per una ventina di minuti nella sala
d’attesa della TC per monitorare eventuali episodi (comunque assai rari) di
ipotensione dovuti sia all’azione del farmaco e sia alla rapida distensione gassosa
intestinale .
Il medico, grazie all’applicazione “Colon” presente sul software della consolle
“Wizard”, ha la possibilità di valutare il lume intestinale sia su piani bidimensionali
(coronale ed assiale, comunque dall’orientamento modificabile) e sia in immagini
tridimensionali di navigazione endoluminale. A tal proposito vi sono diverse scuole
di pensiero riguardo a quali immagini debbano essere valutate in prima istanza: la
maggior parte dei radiologi prende in considerazione le immagini 3D e, in presenza
di un reperto di interesse, chiede conforto alle immagini bidimensionali.
La navigazione endoluminale avviene nella direzione ampolla rettale – cieco e
viceversa per entrambi i decubiti. E’ possibile selezionare determinati rilievi,
ingrandirli, misurarli e naturalmente stamparli su pellicola o, in un’ottica di
radiologia paperless, salvarli in un folder specifico su CD.
40
CAPITOLO 7
RADIOPROTEZIONE DEL PAZIENTE
Le dosi assorbite dal paziente nel corso di esami TC sono elevate e dipendono da
numerosi
fattori,
alcuni
fissi,
come
le
caratteristiche
tecnologiche
dell’apparecchiatura e altre sulle quali si possono apportare delle modifiche per
ridurre la dose al paziente.
Inoltre non è da dimenticare che uno dei principi ai quali fa riferimento la
professione radiologica è il “principio di ottimizzazione”.
A livello legislativo, con il DLg 187/2000, è stata recepita a livello nazionale la
direttiva europea 97/43/EURATOM in materia di protezione sanitaria delle persone
contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche. Nell’
art. 4 del DLg 187/2000 si fa espressamente riferimento al principio di
ottimizzazione”: “…tutte le dosi a esposizione medica per scopi radiologici devono
essere mantenuti al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il
raggiungimento dell’informazione diagnostica richiesta, tenendo conto dei fattori
economici e sociali; questo principio riguarda la scelta delle attrezzature, la
produzione adeguata di un’ informazione diagnostica appropriata o del risultato
terapeutico….”. L’importanza di tale principio, sottolineata anche a livello
legislativo, deriva da considerazioni generali sugli effetti nocivi delle radiazioni
ionizzanti sul corpo umano e in particolare sull’impiego delle radiazioni a scopo
diagnostico.
7.1 EFFETTI BIOLOGICI DELLE RADIAZIONI
I processi di ionizzazione e di eccitazione degli atomi e delle molecole associati al
passaggio delle radiazioni ionizzanti nella materia, sono all’origine degli effetti
indotti osservati nei mezzi attraversati, in particolare degli effetti biologici che si
manifestano nei tessuti umani irradiati.
41
La ionizzazione atomica e molecolare producendo, nel migliori dei casi in via
transitoria, un danno cellulare; il più importante è il danno al DNA che, se non
adeguatamente riparato, può impedire la sopravvivenza o la riproduzione della
cellula stessa, oppure dar luogo alla formazione di una cellula modificata ma capace
di riprodursi.
Per danni deterministici s'intendono quelli in cui la frequenza e la gravità variano
con la dose e per i quali è individuabile una dose-soglia, al di sopra della quale
vengono colpiti la quasi totalità degli irradiati e mostrano un aggravio dei sintomi
all’aumentare della dose. A piccole dosi la probabilità di danno è prossima allo
zero, superato il livello soglia aumenta rapidamente fino ad 1 (100%). (fig 38)
Figura 38: andamento dell'effetto biologico all'aumentare della dose
La loro diretta conseguenza è la morte cellulare che porta alla totale perdita della
funzionalità tissutale.
La comparsa degli effetti è in alcuni casi molto rapida, nell’ordine delle ore/giorni
per dosi assorbite molto elevate; alcuni esempi di danni deterministici sono: eritemi
cutanei, dermatiti, fibrosi e necrosi, epilazione, perdita di capelli e induzione di
cataratta.
Le informazioni sugli effetti deterministici sull’uomo provengono da:
42
 Effetti secondari della Radioterapia
 Effetti dei bombardamenti atomici
 Effetti sui radiologi anziani
A differenza degli effetti precoci delle radiazioni che sono prodotti da dosi
relativamente alte, gli effetti tardivi (o stocastici) sono determinati da piccole dosi
assorbite in un lungo periodo di tempo.
I danni stocastici (che si esprimono con una probabilità di accadimento) possono
comprendere: danni somatici, come le leucemie e i tumori solidi e danni genetici,
cioè riferiti alle conseguenze dei danni prodotti sulle cellule germinali e trasmessi
alla progenia.
Nei danni tardivi soltanto la probabilità d'accadimento, e non la gravità, è in
funzione della dose ed è cautelativamente esclusa l'esistenza di una dose-soglia.
Oltre alla proporzionalità con la dose la probabilità di neoplasia aumenta anche in
base al tipo e all’energia della radiazione, è per questo motivo che si corregge la
dose assorbita mediante il fattore di qualità della radiazione wr.
Il rischio di effetto stocastico viene meglio interpretato, per non sottovalutare il
danno, con il “modello lineare senza soglia” rispetto al “modello lineare
quadratico”.
Questo modello ha permesso di utilizzare i dati sperimentali raccolti e ha portato
allo sviluppo del sistema di protezione radiologica (principi d giustificazione,
ottimizzazione e limitazione della dose) affinché le dosi siano mantenute al livello
più basso ragionevolmente ottenibile (ALARA).
Il “modello lineare senza soglia” introduce l’ipotesi secondo la quale non esiste
dose che non produca un danno biologico e che non esiste un incremento della dose
che non corrisponda ad un aumento del rischio di induzione neoplastica secondo
una rappresentazione lineare. (fig 39)
43
Figura 39: "modello lineare senza soglia" (in rosso) e
"modello lineare quadratico" (in giallo)
I danni tardivi sono a carattere probabilistico in quanto sono distribuiti casualmente
nella popolazione esposta; i tempi di latenza sono molto ampi, anche decenni
dall’esposizione. È quindi per questi motivi che spesso le patologie neoplastiche
non sono riconducibili direttamente al danno radiologico.
Le fonti di studio per danno stocastico sono:
 Studi sui sopravvissuti agli attacchi atomici
 Studi sui pazienti irradiati nel corso di procedure radiodiagnosticheterapeutiche
 Studi su gruppi di persone esposte in ambito lavorativo
La radiologia diagnostica è quasi esclusivamente interessata agli effetti stocastici
per esposizione alle radiazioni ionizzanti, e quindi con la relazione dose-risposta di
probabile tipo lineare senza soglia, presupponendo una risposta biologica a qualsiasi
dose, indipendentemente dal suo valore, in quanto non esiste il “rischio zero”.
È bene però ricordare che nella maggior parte dei casi entrambe gli effetti biologici
sono in ogni caso da considerare accettabili di fronte ad un’attenta analisi del
rapporto rischio/beneficio in seguito all’esecuzione di indagini radiologiche.
44
7.2 GRANDEZZE DOSIMETRICHE FONDAMENTALI
La grandezza dosimetrica fondamentale in radioprotezione è la dose assorbita (D)
che rappresenta la quantità di energia assorbita da un materiale o tessuto per unità di
massa. La dose assorbita si misura in gray (Gy), dove 1Gy rappresenta 1J di energia
assorbita per 1kg di massa. E’ utile definire un dose assorbita mediata sull’organo o
tessuto Dt (dose agli organi) data dal rapporto tra l’energia totale assorbita
dall’organo o tessuto e la sua massa.
La dose equivalente (H), a differenza della dose assorbita, considera i diversi effetti
che i vari tipi di radiazione possono causare su un determinato organo o tessuto.
Questa grandezza si ottiene moltiplicando la dose assorbita da un organo o da un
particolare tessuto ad un fattore numerico wr. Questo valore, chiamato fattore di
ponderazione delle radiazioni rappresenta quindi un parametro che tiene conto della
pericolosità dei vari tipi di radiazione rispetto alla radiazione di riferimento (fotoni)
a cui viene assegnato per definizione il valore di wr= 1. L'equazione che lega tra
loro la dose assorbita (A) e la dose equivalente (Ht) in un tessuto è:
Ht = wr×A
La dose equivalente si misura in Sievert (Sv). Un Sv a differenza di un Gy, produce
gli stessi effetti biologici indipendentemente dal tipo di radiazione considerata.
La dose efficace (E) rappresenta la somma ponderata delle dosi equivalenti ai vari
organi e tessuti; i pesi wt che si usano in questo contesto tengono conto della diversa
radiosensibilità degli organi e dei tessuti irraggiati. (tab 3)È quindi possibile
scrivere la relazione matematica che la lega alla dose equivalente:
E=
∑W H
t
t
T
La dose efficace, come la dose equivalente si misura in Sievert, Sv.
45
Tabella 3: fattori peso della radiazione in base al tessuto o organo
Facendo riferimento ai livelli di esposizione alle radiazioni usate in ambito medico
la dose efficace e la dose assorbita vengono misurate rispettivamente in mSv e in
mGy.
La caratterizzazione in termini dosimetrici di un’apparecchiatura TC viene
effettuata attraverso un indice di dose CTDI (Computed Tomography Dose Index)
definito nel seguente modo:
1
CTDI = T
z'
∫ D( z )dz
z
dove:
z, z’= limiti di integrazione lungo l’asse z
D(z)= profilo di dose lungo una sola scansione assiale
T= spessore nominale dello strato o l’ampiezza dei gruppi di rivelatori nel caso di
TC multistrato
Il valore di CTDI misurato in aria libera (CTDIair) con una camera a ionizzazione
allineata all’asse di rotazione, consente di confrontare fra loro, dal punto di vista
46
dosimetrico, diverse apparecchiature oppure la stessa apparecchiatura in condizioni
differenti.
La misura del CTDI può anche essere eseguita utilizzando una camera a
ionizzazione del tipo pencil, con diametro di 10 mm e lunghezza di 100 mm così da
fornire una misura del CTDI100, espressa in mGy e successivamente normalizzata in
mGy/mAs (nCTDI100).
Le misure possono anche essere fatte su fantocci cilindrici in PMMA, di 16 cm di
diametro per simulare la testa (head) e 30 cm di diametro per il corpo (body). (fig
40) Questi fantocci sono utili perché possono dare un’idea dell’assorbimento di
radiazione da parte del corpo. In questo caso il CTDI viene definito l’indice di dose
CTDIw:
CTDIw =
1
3
CTDI100,centro +
2
3
<CTDI100,periferia>
dove:
CTDI100,centro e CTDI100,periferia= misure al centro e alla periferia del fantoccio.
Figura 40: fantocci cilindrici body e head in PMMA
Il CTDIw non prevede però nessuna correzione per il valore del pitch utilizzato nella
scansione spirale; il nuovo indice introdotto per ovviare a questo problema è il
47
CTDIvol, cioè il CTDIw/pitch. Infatti riferendosi alla TC spirale lo strato irraggiato a
parità di erogazione del tubo assorbe più o meno dose in funzione del pitch
impostato.
L’altro indice di dose fondamentale, indicatore del rischio stocastico, è il DLP
(Dose Lenght Product); esso fornisce informazioni sull’esposizione totale nel caso
di un esame TC completo ed è il prodotto della dose media nello strato moltiplicata
per la lunghezza totale della scansione e si misura in mGy×cm.
DLP= CTDIvol × L
La stima del rischio connesso con gli esami radiologici è espressa in modo
appropriato dalla dose efficace E, definita sopra, in quanto esprime globalmente gli
effetti delle radiazioni ionizzanti sul paziente sottoposto a tali indagini.
Esistono diverse modalità per la valutazione della dose efficace che può essere
effettuata mediante:
 valutazione del DLP e utilizzo di opportuni fattori di conversione,
 misure fisiche in fantocci antropomorfi,
 metodi di calcolo che simulano l’interazione del fascio con un fantoccio
matematico basati su Metodo Monte Carlo.
48
CAPITOLO 8
MATERIALI E METODI
Scopo di questo studio è quello di valutare, sull’apparecchiatura TC Somaton
Sensation Cardiac, l’ottimizzazione del protocollo d’esame colon-TC in modo da
ottenere immagini con valore diagnostico mantenendo la dose al paziente la più
bassa possibile.
Un primo approccio verso la riduzione della dose consiste nello sfruttare al meglio
tutte le opzioni offerte in tal senso dall’apparecchiatura stessa. In particolare
l’apparecchiatura Siemens Sensation consente l’effettuazione di scansioni body sia
con carico radiologico fisso che con sistema di modulazione della dose CARE
DOSE 4D inserito. L’impiego del care dose presuppone la scelta del parametro mAs
ref , che corrisponde ad un certo livello di qualità dell’immagine per un paziente di
peso standard di circa 70-80 kg. Il carico radiologico effettivamente erogato per il
particolare esame viene poi adattato, sulla base delle informazioni acquisite nel
topogramma iniziale, alle caratteristiche di attenuazione del singolo paziente per
ottenere la qualità dell’immagine di riferimento di cui sopra. Pertanto, se il paziente
ha peso minore (maggiore) di quello standard, il carico effettivo necessario per
mantenere circa la stessa qualità di immagine risulta inferiore (superiore) a quello di
riferimento.
Il lavoro sperimentale di questa tesi è stato suddiviso in diverse fasi:
 studio del “funzionamento” del sistema di modulazione della dose su un
campione di 30 pazienti sottoposti all’esame colon TC, con protocollo di
acquisizione standard presente sull’apparecchiatura. Si è analizzato in
particolare l’andamento dei dati in funzione del peso del paziente;
 studio preliminare su fantoccio antropomorfo per valutare la qualità
immagine e la riduzione della dose ottenibile al variare dei mAs ref
impostati;
49
 Stime di dose efficace e analisi immagini ottenute su pazienti con protocollo
ottimizzato.
8.1 VALUTAZIONE DOSIMETRICA NELLA COLON-TC
Per esprimere una valutazione dosimetrica accurata sono stati raccolti tutti i
parametri tecnici relativi a ciascuna indagine radiologica eseguita.
Di ogni paziente sono stati rilevati:
 peso
 età
 sesso
Di ogni scansione sono stati raccolti i seguenti dati:
 mAs ref, che determina la qualità dell’immagine
 mAs eff: sono i mAs effettivamente erogati in media dall’apparecchiatura
(mAs/pitch)
 collimazione e spessore di strato
 pitch
 CTDIvol: è l’indice di dose in TC, espresso in mGy
 DLP: indicatore di dose espresso in mGy×cm
 Estensione del volume irradiato
A conclusione dell’esame il sistema allega allo studio il “Patient Protocol” che può
essere visualizzato da parte del TSRM per una valutazione indicativa della dose
erogata sulla base dei valori di CTDIvol e DLP. È riportato un esempio di report per
un esame colon-TC in fig 41.
50
Figura 41: Patient protocol
8.2 SISTEMA DI VALUTAZIONE DELLA DOSE: IMPACT
I parametri raccolti sono stati inseriti nel programma di calcolo della dose
“ImPACT CT Patient Dosimetry Calculator” che fornisce la stima di dose
equivalente ad ogni organo e la stima di dose efficace al paziente sottoposto ad
indagine TC. Fornendo al sistema di calcolo i dati relativi al particolare tipo di
apparecchiatura, i parametri di acquisizione previsti e impostando manualmente il
volume irradiato, vengono ricreate le caratteristiche del fascio del tomografo
utilizzato e viene simulata la sua interazione con la sede corporea di interesse, sulla
base dei dati NRPB Monte Carlo riferiti all’irradiazione di un fantoccio matematico.
Questo sistema tiene conto di tutti i parametri, sia del paziente che
dell’apparecchiatura utilizzata per l’esame TC. (fig 42)
I dati necessari per il calcolo sono:
51
 Casa costruttrice dell’apparecchiatura
 Modello dell’apparecchiatura
 Regione di interesse (corpo o testa)
 Sesso del paziente
 kV e mA
 tempo di rotazione del gantry
 collimazione
 pitch
 dimensione slice
 CTDI
 Campo di indagine (fig 43)
Figura 42: ImPACT
52
Figura 43: campo di indagine sul fantoccio
53
8.3 PROVE DI ACQUISIZIONE CON FANTOCCIO
ANTROPOMORFO
Con lo scopo di ottimizzare il protocollo di acquisizione standard sono state
effettuate delle prove di acquisizione su un fantoccio antropomorfo Alderson-Rando
che è un fantoccio costituito da materiale equivalente al tessuto umano, modellato
intorno ad una componente scheletrica e suddiviso in 35 strati alti 2,5 cm. (fig 44)
Figura 44: sezioni del fantoccio
Esso ha la funzione di riprodurre indicativamente l’assorbimento delle radiazioni
ionizzanti utilizzate in diagnostica nel tessuto umano.
Il fantoccio è stato posizionato sul lettino della TC (fig 45) in posizione supina,
esattamente come se fosse un paziente normale. Dopo di che si è proceduto
centrandolo ed impostando l’acquisizione dalla console.
54
Figura 45: posizionamento del fantoccio sul lettino TC
Si è eseguito il topogramma standard, a 120 kV e 50 mAs.
Sulla scansione si è individuato il campo di interesse (dal diaframma alla pelvi) e si
sono effettuate diverse scansioni mantenendo fisso il kilovoltaggio (120 kV) e
variando i mAs di riferimento (120, 100, 80, 60, 40 e 30 mAs ref).
Il lavoro successivo è stato quello relativo all’analisi e rielaborazione dei dati.
Su ogni immagine ricostruita secondo il protocollo colon-TC sono state posizionate,
sempre nella stessa posizione e sulla stessa slice, le ROI (Region of Interest) di 7,6
cm2 dalle quali sono state estrapolate le deviazioni standard SD in quell’area.
Le ROI sono state posizionate a livello dell’addome superiore e dell’addome
inferiore. La standard deviation è un indice che permette di valutare la dispersione
delle unità Hounsfield nell’area considerata; essa è associata alla rumorosità delle
immagini e di conseguenza alla qualità delle stesse.
8.4 VALUTAZIONE DOSIMETRICA SU PAZIENTE
Dopo la simulazione su fantoccio è stato applicato il protocollo ottimizzato su un
campione di pazienti caratterizzati da diverso peso.
Il nostro studio si estende da Marzo 2008 a Settembre 2008 e comprende una
casistica di pazienti a cui è stato applicato il protocollo standard colon-CT
(antecedente alle nostre modifiche) composto da 30 elementi e un gruppo di 13
55
persone alle quale è stato applicato il protocollo colon-CT ottimizzato in termini di
dose efficace.
I primi 30 pazienti sono stati sottoposti a indagine con colonscopia virtuale
tradizionale, cioè la metodica standard che prevede due acquisizioni, una supina ed
una prona a 120 kV e 120 mAs di riferimento.
Il secondo gruppo è stato acquisito sempre in due scansioni (supina e prona)
mantenendo fissi i kV e variando solo i mAs ref.
I dati considerati sono:
 peso del paziente
 mAs di riferimento e mAs effettivi
 DLP
 CTDIvol
 SD upper, che è la deviazione standard in una ROI tracciata all’interno del
colon trasverso disteso dall’aria
 SD lower, che è la deviazione standard in una ROI tracciata all’interno
dell’ampolla rettale o dal sigma distesi dall’aria.
56
CAPITOLO 9
RISULTATI E DISCUSSIONE
In fig 46 sono riportati i risultati ottenuti analizzando, per il gruppo di pazienti
sottoposto a colon-TC con protocollo standard (120kV, 120mAs), i valori di mAs
eff erogati dall’apparecchiatura al variare del peso del paziente. L’andamento
decrescente dei mAs effettivamente erogati durante l’esame al diminuire del peso
del paziente, tuttavia, non è sufficiente ad attribuire, in questa fase, al Care Dose il
ruolo di “riduttore della dose” in senso assoluto.
mAs eff supino
mAs ref
m As eff -supino
160
mAs
120
80
40
0
30
50
70
peso (kg)
90
110
130
Figura 46: variazione dei mAs erogati al variare del peso
Infatti, confrontando i valori di dose efficace ottenuti a partire dai mAs
effettivamente erogati, con quelli che si stima ottenere con carico fisso pari a 120
mAs in assenza di CARE Dose 4D, si osserva che per pesi inferiori a circa 80 kg
viene confermato il ruolo del CARE Dose nell’offrire una significativa riduzione
della dose al paziente. Tuttavia per valori maggior di circa 80 kg l’andamento si
inverte cioè l’applicazione del CARE Dose modula la corrente al tubo in modo da
aumentare la dose al paziente. (fig 47)
57
Delta % E (mAs eff vs mAs fissi 120)
40
delta %
20
0
-20
-40
-60
20
40
60
80
peso (kg)
100
120
Figura 47: Delta % mAs in riferiti al peso
Questa apparente contraddizione è spiegata in termini di caratteristiche intrinseche
del sistema in questione. Infatti il CARE Dose nasce come sistema di controllo
dell’esposizione (Automatic Exposure Control) e non ha lo scopo di riduzione della
dose in senso assoluto. Il settaggio del CARE Dose richiede l’impostazione di un
valore di mAs ref che corrisponde, per un paziente standard di 70-80 kg, ad un certa
qualità di immagine. Pertanto la funzione centrale del CARE Dose è quella di
modulare il fascio, sulla base del profilo di attenuazione del paziente, per ottenere la
qualità di immagine impostata in origine. Questo implica necessariamente che i
pazienti con peso minore di quello considerato standard beneficeranno della
riduzione della dose, mentre i pazienti di peso superiore subiranno un incremento di
dose per mantenere la qualità di immagine voluta. Il sistema CARE Dose può essere
impostato su tre diversi livelli di intensità di adattamento, ma tale operazione non
può essere sospesa a meno di rinunciare al CARE Dose stesso, e ai suoi vantaggi,
per i pazienti con peso superiore a quello critico.
La soluzione, prevista a livello software dal sistema, è strettamente legata
all’intervento del radiologo che deve selezionare la qualità dell’immagine di
riferimento ottimale tramite la scelta del parametro mAs ref. L’ottimizzazione si
può dire raggiunta quando, per lo specifico protocollo, l’immagine che si ottiene ha
58
la qualità più bassa possibile tra le immagini con valore diagnostico ottenibili dal
sistema. In questo modo si concilia la certezza della possibile refertazione con la
riduzione della dose.
Si riportano ora i risultati delle misure preliminari effettuate sul fantoccio
antropomorfo RANDO per valutare la risposta dosimetrica al variare dei mAs ref.
In figura 48 sono riportati i valori di dose efficace E ottenuti al variare dei mAs ref
in un range da 120 a 30 mAs ref con i seguenti parametri di scansione: 120kV,
configurazione 16x0.75mm, pitch 1,5, t scansione 12.66 sec.
Dose efficace - RANDO 120 kV (ImPACT)
6,0
E (mSv)
5,0
4,0
3,0
2,0
1,0
0,0
0
20
40
60
80
100
120
140
mAs ref
Figura 48: variazione di E al variare dei mAs ref
L’andamento dei dati mostra che una riduzione dei mAs ref, purchè sia mantenuta
una buona qualità dell’immagine, è uno strumento strategico di riduzione della
dose. Ad esempio passando da 120 mAs ref a 100 mAs ref si stima una riduzione
della dose efficace su fantoccio pari a circa il 16%.
Il protocollo standard colon-TC prevede un valore di mAs ref pari a 120; in tabella
1 sono riportate le variazioni % che si ottengono confrontando i valori stimati di E
per il range di mAs ref indicato con i valori di E ottenuti applicando il protocollo
standard.
La tabella include anche le analoghe variazioni percentuali in termini di SD valutate
su sezioni upper e lower.
59
I valori di SD ottenuti nelle due condizioni al variare dei mAs ref sono riportati in
figura 49. L’andamento crescente della SD al diminuire dei mAs ref si traduce in un
peggioramento della qualità dell’immagine.
Variazioni % di E e SD rispetto al protocollo standard
(120 kV-120 mAs ref)
mAs ref
∆% E
∆% SD
120
-
-
100
-16,4
3,0
80
-33,6
14,5
60
-50,0
28,7
40
-66,8
57,1
-75,3
30
90,9
Tabella 1: variazioni % di E e SD rispetto al protocollo
Si osserva che la riduzione dei mAs eff corrisponde per il sistema CARE Dose
all’adattamento delle condizioni di erogazioni del tubo a fronte di una diversa
qualità di immagine richiesta.
SD-up
SD-low
SD
70
SD rando
60
50
40
30
20
10
0
0
20
40
60
80
100
120
140
m As ref
Figura 49: valori di SD-up e SD-low al variare dei mAs ref
60
Figura 50: confronto tra ROI in scansioni da 120 mAs ref e 100 mAs ref
Figura 51: confronto tra ROI in scansioni da 120 mAs e 30 mAs
61
La casistica dei pazienti a cui è stato applicato il protocollo ottimizzato è stata
indagata a step successivi con riduzione graduale dei mAs ref.
Per avere un confronto immediato, in fig 52-53-54-55 sono riportati i valori di Dose
efficace, al variare del peso dei pazienti, per diversi valori di mAs ref impostati.
E care dose ON
E (mSv) -120 mAs ref
14
12
E (mSv)
10
8
6
4
2
0
20
40
60
80
100
120
peso (kg)
Figura 52: dose efficace al variare del peso utilizzando 120 mAs
E care dose ON
E (mSv) - 100 mAs ref
14
12
E mSv)
10
8
6
4
2
0
20
40
60
80
100
120
peso (kg)
Figura 53: dose efficace al variare del peso utilizzando 100 mAs
62
E care dose ON
E (mSv) - 80 mAs ref
14
12
E (mSv)
10
8
6
4
2
0
20
40
60
80
peso (kg)
100
120
Figura 54: dose efficace al variare del peso utilizzando 80 mAs
E care dose ON
E (mSv) - 60 mAs ref
14
E (mSv)
12
10
8
6
4
2
0
20
40
60
80
peso (kg)
100
120
Figura 55: dose efficace al variare del peso utilizzando 60 mAs
I risultati dimostrano globalmente una diminuzione della dose efficace al paziente
sottoposto ad esame del colon con il protocollo ottimizzato (fig.53-54-55) rispetto
all’andamento medio osservato per pazienti studiati con protocollo standard
(fig.52).
In particolare la riduzione di dose nel passaggio da 120 a 100 mAs ref è di circa il
16-17%, mentre arriva al 50-55% per riduzione da 120 a 60 mAs ref, nel range 50108 kg.
L’analisi qualitativa delle immagini da parte del radiologo converge verso un
giudizio di refertabilità di grado ottimo-buono per i valori da 120 a 60 mAs che
63
sono stati indagati. Tuttavia il livello qualitativo è tale da lasciare un ampio margine
per un’ulteriore riduzione di mAs ref.
La possibilità di riduzione importante del valore di mAs ref per l’esame colon-TC
risulta supportata dai risultati di queste prime misure ed è in linea con i dati di
letteratura in cui si riportano anche valori dell’ordine dei 30 mAs.
Un elemento importante risiede certamente nella particolare tecnica d’esame che,
prevedendo la distensione delle pareti coliche con aria, fornisce immagini di elevato
contrasto tra le eventuali lesioni da individuare a livello del colon e l’aria insufflata.
In Fig.56 viene quantificata la perdita di qualità dell’immagine dovuta alla
riduzione dei mAs da 120 fino a 60 mAs ref, per pazienti aventi circa lo stesso peso,
in termini di aumento di SD valutata all’interno del colon trasverso disteso dall’aria.
120 mAs-SD upper
100 mAs- SD upper
60 mAs- SD upper
SD
35
30
SD
25
20
15
10
5
0
0
20
40
60
80
100
120
peso (kg)
Figura 56: perdita di qualità alla riduzione dei mAs ref
64
In figura 57 sono rappresentati i corrispondenti valori di DLP.
120 mAs
100 mAs
60 mAs
DLP
700
600
DLP
500
400
300
200
100
0
0
20
40
60
80
100
120
peso (kg)
Figura 57: variazione dei valori di DLP alla riduzione dei mAs ref
65
Figura58: ROI posizionata in addome superiore
Figura59: ROI posizionata in addome inferiore
66
CAPITOLO 10
CONCLUSIONI
La colonscopia virtuale (colon-TC) è una metodica che, grazie all’evoluzione
tecnologica delle apparecchiature TC a livello hardware e software, sta assumendo
un ruolo rilevante nel panorama dei possibili approcci diagnostici delle malattie del
colon in considerazione soprattutto dei costi e della invasività nettamente inferiori
rispetto alla colonscopia tradizionale.
La criticità insita nella metodica risulta essere essenzialmente di natura dosimetrica;
infatti l’esame colon-CT comporta dosi elevate soprattutto per i pazienti di
corporatura robusta. Per questa ragione si è studiato, in fasi successive, la
problematica dell’ottimizzazione di tale protocollo.
Dall’esperienza condotta sull’apparecchiatura Somaton Sensation Cardiac-Siemens,
presente presso la U.O. di Radiologia degli Istituti Ospitalieri di Cremona, si evince
come il punto fondamentale ai fini della riduzione della dose, sia la conoscenza
approfondita da parte del tecnico di radiologia in prima istanza e poi anche del
personale medico del funzionamento del sistema Care Dose 4D di controllo
automatico dell’esposizione. Infatti l’ottimizzazione viene realizzata impostando un
parametro mAs ref adeguato per ottenere la qualità necessaria per la refertazione per
un paziente standard di 70-80 kg. Lo studio sperimentale su fantoccio antropomorfo
ha indicato una riduzione di dose di circa il 16% passando da 120 a 100 mAs ref e
una riduzione del 50% passando da 120 a 60 mAs ref.
Lo studio prospettico in vivo ha consentito di riscontrare innanzitutto come lo stesso
sistema di Care Dose per soggetti del peso superiore agli 80 kg non sia in grado di
modulare la dose erogata in termini di riduzione quantitativa, bensì di adattare la
stessa al riferimento qualitativo preimpostato portandola a valori superiori ai 120
mAs. E’ compito del tecnico TC a questo punto, sotto la supervisione del medico
radiologo, ridurre il valore dei mAs-ref con conseguente risparmio di dose al
67
paziente con una qualità di immagine sostanziale invariata (dimostrato attraverso
valori di SD e di valutazione soggettiva medica nel nostro studio).
Secondariamente dal nostro lavoro, comunque preliminare, può emergere come vi
sia una stretta correlazione peso-dose e che quest’ultima possa essere ridotta
riducendo i mAs-ref: si possono così trarre interessanti protocolli di ultra-low-dose
già ipotizzati da altri gruppi di studio.
68
Un grazie particolare…..
Al correlatore dott. Lucio Olivetti.
Al dott. Giancarlo Mazza e alla dott.ssa Felicita Luraschi che hanno contribuito
pazientemente alla stesura della tesi.
A tutto il personale dell’U.O.di Radiologia dell’Ospedale Maggiore di Cremona e
dell’ospedale “Carlo Poma” di Mantova.
Ai miei due coordinatori Agostino Tonarelli e Socrate Ghisini e a Nicola Pini.
A tutta la mia famiglia, in particolare a mia mamma, la quale mi ha seguito,
insegnato ed aiutato in tutto il mio percorso di formazione come TSRM.
Ai miei compagni di classe, specialmente ad Alessandro, “il mio compagno di
avventura”.
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