1° Congresso Nazionale
SIAATIP
24 - 25 - 26 Maggio 2012
ANCONA
Villa Stella Maris
Torrette di Ancona
Anestesia Pediatrica e Neonatale, Vol. 10, N. 1 suppl. 1, May-July 2012
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1° Congresso Nazionale
SIAATIP
Societa Italiana di Anestesia, Analgesia e Terapia Intensiva Pediatrica
Presidente Nazionale SIAATIP: Dario Galante
Presidente del Congresso: Marco Caruselli
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24 - 25 - 26 Maggio 2012
ANCONA
Segreteria Scientifica
Segreteria Organizzativa
M. Caruselli
A. Ferretti
SIAATIP - Società Italiana di Anestesi,
Analgesia e Terapia Intensiva Pediatrica
www.siaatip.it
Congredior s.r.l.
Provider ECM n. 737 (con avvalimento scientifico della Facoltà
di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche)
Vicolo della Regina, 20 60122 Ancona
www.congredior.it - info @ congredior.it
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I
ndice
L’empiema pleurico nel paziente pediatrico
Il punto di vista del pneumologo
Il punto di vista del chirurgo
Il punto di vista dell’ anestesista
F.M. De Benedictis
G. Cobellis
G. Rocchi
pag. 11
pag. 13
pag. 15
P. Colonna
P. E. Cogo
C. Munch
pag. 18
pag. 20
pag. 21
Il neonato cardiopatico
Le cardiopatie congenite Gestione del bambino in scompenso cardiaco
Approccio anestesiologico nel paziente affetto da cardiopatia
congenita
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Anestesia
Gestione anestesiologica del paziente con patologia rara Anestesia locoregionale e tecnica eco guidata
Anestesia locoregionale vs anestesia generale nella chirurgia minore
Anestesia per intervento di impianto stimolatore vagale
Gestione anestesiologica in corso di laparoscopia
Situazione dell’anestesia pediatrica nell’Africa sub-sahariana
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S. Meola
D. Galante
V. Sonzogni
G. Piattellini
F. Dones
F. Ventrella, P. Bechi
pag. 23
pag. 26
pag. 28
pag. 30
pag. 32
pag. 35
C. Flumini, V.P. Carnielli
P. Iuliano
L. Tortorolo
G. Ciambra,
S. Nobile,V.P. Carnielli
pag. 38
pag. 39
pag. 41
pag. 43
A. Giannini
I. Laganà
pag. 45
pag. 46
Terapia intensiva
Uso dell’ossigeno nel neonato in terapia intensiva
Ossigenoterapia iperbarica nel bambino: quando e come
Uso del surfattante esogeno nell’ARDS pediatrica Fisiopatologia e trattamento intensivo della NEC
La rianimazione aperta: un sogno impossibile o una
innovazione possibile?
Terapia Intensiva aperta: le ragioni di una scelta
L’ esperienza della Rianimazione Pediatrica Salesi Infermieristica legale e forense
Emergenza
Rete dei trapianti pediatrici in Italia: lo stato attuale
Il donatore pediatrico: l’esperienza di Ancona
L’uso dell’ecografia in emergenza pediatrica
Gestione delle vie aeree difficili
G. Cardoni
R. Pallotto
S. Marzini
L. Bussolin
pag. 48
pag. 50
pag. 53
pag. 55
Gestione del bambino con grave disabilità
Anestesia in odondostomatologia nel bambino disabile
Domiciliazione protetta del bambino in ventilazione meccanica con
gravi disabilità
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G. De Francisci
R. Giretti, M. Caruselli
pag. 56
pag. 57
F. Benini
D. Pedrotti
L. Giuntini
G. Palego
pag. 59
pag. 61
pag. 62
pag. 65
Anestesia al di fuori della sala operatoria
In oncoematologia
In radiologia
M. Giancursio, M. Amici
M. Passariello
pag. 67
pag. 68
SESSIONE INFERMIERISTICA
Terapia intensiva
La cartella informatizzata in rianimazione
Il politrauma pediatrico Gestione del potenziale donatore d’organo
S. Genova
E. Cortigiano
pag. 73
pag. 75
Anestesia
Organizzazione del Blocco Operatorio per il prelievo multiorgano
Anestesia loco regionale in età pediatrica
Controllo del dolore postoperatorio
pag. 76
V. Gatti
A. Galeazzi, A. Ligero Bilbao pag. 77
I. Antoniani
pag. 78
SESSIONE POSTER
Analgesia
Terapia del dolore nel paziente oncologico
Farmaci per la gestione del dolore postoperatorio nel neonato
Farmaci per la gestione del dolore postoperatorio nel bambino
Accogliere e trattare il dolore: l’approccio non farmacologico
Il bambino abusato
Responsabilità dell’ infermiere in ambito pediatrico
G. Zippo, R. Leo
M. Costa
A. Lettieri, P. Paolinelli
pag. 69
pag. 70
pag. 72
Fast track nel paziente pediatrico: peso e circolazione extracorporea
sono fattori di rischio?
M. Agulli
pag. 80
Utilizzo della maschera laringea AIR-Q per la ventilazione e
l’intubazione di un neonato ed un bambino con vie aeree difficili
V. Alessandri
pag. 81
Aspetti e problematiche dell’O.T.I. in eta’ pediatrica
M. G. D. Barile
pag. 82
La nostra esperienza nella gestione antalgica intra-/post-operatoria
presso l’unità pediatrica di anestesia e rianimazione dell’ospedale
Motol di Praga
C. Bonetti
pag. 84
Gestione anestesiologica in corso di ex utero intrapartum treatment
(exit) in feto portatore di voluminoso linfangioma del collo:
case report
L. Carboni
pag. 86
Risonanza magnetica pediatrico-neonatale in sedazione: un anno di
esperienza
M. Cascione
pag. 88
Vantaggi dei picc power injectable in terapia intensiva pediatrica:
studio retrospettivo
D. Celentano
pag. 89
Anestesia al di fuori della sala operatoria: esperienza in rnm con i
bambini disabili, in un ospedale non pediatrico
P. De Stefanis
pag. 90
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Perioperative airway management during cleft lip and palate surgery:
our experience
G. Foresta
pag. 92
Il management respiratorio nella sindrome charge:
casistica personale
F. Zallocco
pag. 118
Il Transversus Abdominis Plane (TAP) Block Ecoguidato per
l’analgesia postoperatoria nel paziente pediatrico
D. Galante
pag. 93
Il sistema broselow nella gestone del potenziale donatore di organi
pediatrico
A. Zorzenon
pag. 119
Utilità della prevalutazione ecografica come metodo predittivo del
fallimento del blocco peridurale caudale pediatrico. Nostra esperienza
D. Galante
pag. 95
Un protocollo multidisciplinare per la gestione del potenziale
donatore di organi pediatrico
A. Zorzenon
pag. 120
Gestione del dolore intra e postoperatorio per interventi inguinali e
correzione dell’ipospadia
C. Ferrazza
pag. 96
Necrotizing pneumonia in children: comparing different approaches
C. Giorgietti
pag. 98
Emergenza corno d’ Africa: un’esperienza pediatrica
L. Grottini
pag. 99
Problemi anestesiologici nelle MPS: esperienza del centro per le
malattie rare di ancona
M. Manna
pag. 102
Tecnica blind vs tecnica ecoguidata
Update nella venipuntura centrale pediatrica
S. Meola
pag. 104
Trasporto neonatale di emergenza: risk management
F. Osimani
pag. 106
Ventilazione domiciliare nei bambini in carico presso un Centro
Regionale di Cure Palliative Pediatriche: modello di assistenza
C. Po’
pag. 108
Anesthesia for infants undergoing craniosynostosis surgery:
our experience
V. Russotto
pag. 110
L’approccio al dolore nel bambino: primi dati nell’ospedale di treviso
F. Scozzola
pag. 111
La sedazione/analgesia in oncoematologia pediatrica:
5 anni di attivita’
V. Sonzogni
pag. 112
Reversibilità precoce del blocco neuromuscolare profondo indotto in
età pediatrica: risultati preliminari
V. Sonzogni
pag. 113
Real-time ultrasound evaluation of caudal anesthesia spread
for piloric stenosis surgery: preliminary study
I. Toretti
pag. 114
Anesthesia for pediatric forearm fracture: ultrasound guided axillary
block with tci conscious sedation
A.Vilardi
pag. 116
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L’EMPIEMA PLEURICO NEL PAZIENTE PEDIATRICO
IL PUNTO DI VISTA DELLO PNEUMOLOGO
Fernando Maria de Benedictis
Autori: De Benedictis F.D., Gobbi S., Palumbo P.
SOD Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”, Presidio MaternoInfantile “Salesi”, Ancona
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In età pediatrica la presenza di fluido nella cavità pleurica è nella maggior parte dei casi conseguenza di
un processo infettivo polmonare. L’interessamento della pleura può limitarsi ad una semplice condizione
irritativa, ma in quasi la metà dei casi si sviluppa un versamento di entità variabile. Il processo inizialmente è limitato ad uno stadio essudativo con fluido sterile (versamento parapneumonico non complicato), ma
può evolvere entro pochi giorni verso uno stadio fibrino-purulento caratterizzato da fluido infetto, coaguli
di fibrina e tendenza alla loculazione (versamento parapneumonico complicato). In circa il 20% dei casi il
fluido pleurico è francamente purulento (empiema). L’evoluzione naturale di un versamento pleurico con
tali caratteristiche è lo stadio organizzativo, in cui le membrane di fibrina si trasformano gradualmente in
una corteccia pleurica tenace e non elastica che impedisce la regolare espansione del polmone.
Accertare con precisione lo stadio evolutivo di un versamento pleurico è fondamentale per il successivo
itinerario terapeutico. Un giudizio sullo stadio di malattia è formulabile sulla base di dati anamnestici,
clinici e radiologici. In particolare le tecniche di immagine possono permettere una definizione abbastanza
precisa delle caratteristiche quantitative e qualitative del versamento. La radiografia del torace nelle due
proiezioni classiche è l’esame di prima scelta per definire le condizioni del parenchima polmonare, l’entità
del versamento e la mobilità del fluido nel cavo pleurico. L’ultrasuonografia è molto utile nel definire le
caratteristiche del versamento e nell’evidenziare quelli di piccole dimensioni. L’esame è in grado di distinguere i trasudati (anecoici) dagli essudati (pattern ecogeno di diversa intensità) e di accertare la presenza
di setti e loculazioni. La tomografia computerizzata, preferibilmente con mezzo di contrasto, consente
di evidenziare con precisione le caratteristiche dell’essudato, le eventuali loculazioni, lo stato dei foglietti
pleurici e le condizioni del parenchima polmonare. La risonanza magnetica nucleare non presenta vantaggi rispetto alla TC.
Gli obiettivi primari del trattamento sono la sterilizzazione della cavità pleurica e il drenaggio del versamento per ottenere l’espansione del polmone e il ripristino della normale circolazione del fluido pleurico. Il tipo di trattamento da adottare dipende dalla fase di malattia. Nello stadio essudativo iniziale il
trattamento antibiotico è solitamente sufficiente. Differentemente dall’adulto in cui le caratteristiche del
liquido pleurico sono molto importanti nel suggerire le decisioni terapeutiche, la toracentesi evacuativa è
necessaria solo in pochi casi. Un drenaggio pleurico va invece applicato immediatamente se le condizioni
cliniche e l’aspetto radiologico lo suggeriscono (es. persistenza di febbre dopo 24 ore di terapia antibiotica
in presenza di versamento pleurico; verosimile stadio fibrino-purulento; presenza di setti o loculazioni). Il
posizionamento di un drenaggio risulta risolutivo in circa il 70-80% dei casi e, in genere, il miglioramento clinico è già evidente nelle prime 24 ore. Cause di insuccesso sono l’occlusione del catetere da parte di
detriti di fibrina o la presenza di raccolte saccate che impediscono la completa evacuazione del fluido. Per
tale motivo l’instillazione endopleurica di agenti fibrinolitici (streptochinasi, urochinasi, altaplase), con lo
scopo di indurre la lisi enzimatica delle aderenze e facilitare il drenaggio, ha avuto una larga utilizzazione
negli ultimi 10 anni. Anche se gli studi controllati in età pediatrica sono pochi, la British Thoracic Society
ne raccomanda l’utilizzo nel trattamento dei versamenti pleurici complicati e degli empiemi. L’urochinasi è
risultata più efficace nel ridurre il tempo di ospedalizzazione rispetto alla semplice instillazione endopleurica di soluzione fisiologica e presenta meno effetti collaterali della streptochinasi. L’esperienza con altaplase è ancora preliminare. Negli ultimi anni alcuni autori hanno fortemente suggerito l’utilizzazione della
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toracoscopia video-assistita (VATS), tecnica molto efficace nel risolvere le aderenze pleuriche e favorire
il drenaggio di fluido concamerato, come intervento di prima scelta nell’empiema. Studi controllati non
evidenziano differenze significative di efficacia tra fibrinolitici e VATS. Essendo una procedura più invasiva
e costosa, la VATS andrebbe pertanto utilizzata preferenzialmente in presenza di una mancata risposta al
trattamento fibrinolitico. La toracotomia con decorticazione pleurica è un intervento non esente da rischi
operatori e va considerata solo in caso di fallimento delle altre opzioni terapeutiche o nella fase di avanzata
organizzazione del processo.
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IL PUNTO DI VISTA DEL CHIRURGO
Giovanni Cobellis,
Autori: Cobellis G., Noviello C., Martino A.
SOD Chirurgia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
La raccolta di liquido infetto nel cavo pleurico, o empiema, costituisce nella maggior parte dei casi la
complicanza di una polmonite batterica la cui evoluzione è estremamente variabile. L’American Thoracic
Society nel 1962 definì le tre fasi evolutive dell’empiema pleurico: lo stadio essudativo, lo stadio fibrinopurulento e lo stadio di organizzazione. Il tipo di trattamento da adottare dipende dallo stadio di malattia.
Nello stadio essudativo in genere è sufficiente la sola terapia medica. Il drenaggio toracico è necessario nei
versamenti più abbondanti, che determinano dislocazione mediastinica, con compromissione respiratoria
o con stato settico ingravescente. Negli stadi più avanzati di malattia (fibrino-purulento o di organizzazione), nei quali il versamento è più difficile da evacuare, il posizionamento del drenaggio pleurico risulta
per lo più inefficace per la presenza di concamerazioni o di materiale organizzato in cotenne fibrose. Le
varie opzioni terapeutiche in questi casi più gravi comprendono: il posizionamento del drenaggio pleurico
con somministrazione di fibrinolitici (urokinasi) e il trattamento toracoscopico (sbrigliamento /decorticazione). Il trattamento toracoscopico (VATS: videoassisted thoracoscopic surgery) è stato introdotto a
partire dai primi anni ‘90 nel trattamento precoce dell’empiema pleurico, al fine di accelerare la guarigione
e ridurre i tempi di degenza. Negli stadi fibrinopurulento e di iniziale organizzazione la VATS si è dimostrata efficace, consentendo di eseguire lo sbrigliamento pleuro-polmonare e la decorticazione pleurica
con ottimale posizionamento del drenaggio. Vengono candidati a questo tipo di trattamento pazienti nei
quali all’ecografia toracica vengano evidenziate loculazioni del liquido pleurico. L’esame TC viene eseguito
preoperatoriamente per meglio valutare lo stato del parenchima polmonare e porre in evidenza eventuali
cotenne pleuriche (stadio di organizzazione). Recenti studi prospettici randomizzati hanno dimostrato
che non vi sono differenze terapeutiche tra fibrinolisi intrapleurica e VATS. Tuttavia in questi studi viene
riportata una percentuale di fallimento della terapia fibrinolitica con conseguente necessità di VATS del
16%. Attualmente non sono stati individuati indicatori predittivi del fallimento della terapia fibrinolitica.
Presso il nostro centro tra febbraio 2003 e Febbraio 2012 sono stati osservati 53 bambini (31 maschi) con
empiema pleurico. I pazienti con evidenza radiologica di empiema nello stadio essudativo sono stati trattati conservativamente o con drenaggio toracico. Nei pazienti con empiema nello stadio fibrino-purulento
è stato eseguito un trattamento con fibrinolitici intrapleurici o VATS che è stato sempre il trattamento di
scelta nei pazienti con empiema nello stadio di organizzazione. Un totale di 25 pazienti è stato sottoposto
a VATS. L’intervento viene eseguito in anestesia generale con paziente in decubito laterale. La procedura
viene facilitata dall’esclusione del polmone affetto; tuttavia viene effettuata con successo anche con la ventilazione tracheale, sicuramente più agevole nel bambino piccolo. Un pneumotorace viene indotto artificialmente insufflando anidride carbonica nel cavo pleurico. Presso il nostro centro la procedura viene eseguita
con un unico trocar posizionato a livello del IV-V spazio intercostale sulla linea ascellare media, utilizzando un ottica da 10 mm con canale operativo che permette l’introduzione di strumenti per effettuare lo
sbrigliamento pleuro-polmonare e la decorticazione pleurica. L’intero cavo pleurico deve essere liberato. Al
termine della procedura viene posizionato un drenaggio toracico nel seno costo-frenico posteriore. L’istillazione intrapleurica di agenti fibrinolitici (Urokinasi: 40.000 U.I. / dose x 2 in bambini di età superiore
all’anno, per un totale di 6 dosi) può essere avviata 24-48 ore dopo VATS. Nei 25 pazienti operati il tempo
operatorio medio è stato di 96 minuti (range 60-160 minuti). Non ci sono state complicanze perioperatorie. Il drenaggio è stato rimosso dopo un tempo medio post-operatorio di 9,7 giorni. Una paziente è stata
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sottoposta a toracotomia secondaria per una fistola bronco-pleurica persistente.
In conclusione possiamo affermare che il management dell’empiema pleurico nel bambino è ancora
dibattuto. La VATS rappresenta un’opzione terapeutica vantaggiosa negli stadi più avanzati di malattia ed
in caso di fallimento della terapia con fibrinolitici per via intrapleurica. La tecnica da noi utilizzata con
trocar unico ed ottica operativa è efficace e meno invasiva nell’esecuzione dello sbrigliamento e della
decorticazione pleurica presentando minima morbilità e risultati soddisfacenti anche a lungo termine.
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L’EMPIEMA PLEURICO NEL PAZIENTE PEDIATRICO
IL PUNTO DI VISTA DELL’ANESTESISTA
Giovanni Rocchi,
Autori: Rocchi G., Caruselli M.
SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero UniversitariaOspedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
L’empiema pleurico in età pediatrica ha un’incidenza di 3.3 su 100.000 bambini e come nell’adulto si verifica quando sulla membrana si insediano germi patogeni che provocano infiltrazione di granulociti neutrofili e formazione di essudato purulento.
Gli agenti patogeni più frequenti sono S. pneumoniae, S. pyogenes e S. aureus.
L’infezione pleurica si suddivide convenzionalmente in tre fasi:
•Fase essudativa
•Fase fibrinopurulenta
•Fase organizzata
I principali sintomi clinici dell’empiema pleurico sono tosse, febbre accompagnata a dolore toracico, tachicardia, perdita di appetito e dispnea che in alcuni casi, specie nel bambino, può evolvere drammaticamente
in un’insufficienza respiratoria tale da richiedere l’intubazione tracheale d’urgenza e la ventilazione meccanica.
Esami strumentali
•Rx torace – ipodiafania dell’emitorace interessato.
•Eco torace – presenza di liquido a livello pleurico.
•TAC torace –stato del parenchima polmonare ed eventuale fistola broncopleurica.
Esami di laboratorio
•Emocoltura
•Coltura dell’escreato o tracheoaspirato
•Coltura liquido pleurico (il primo che viene estratto dal drenaggio.)
La terapia deve essere orientata su:
•Sostegno della funzione ventilatoria commisurata al grado di gravità.
•Antibiotici a largo spettro per via parenterale.
•Posizionamento precoce di un drenaggio pleurico di calibro adeguato.
•Fibrinolisi con Urokinasi nella fase fibrinopurulenta;
•Nella fase di cronicizzazione dell’empiema, quando si è formata una spessa cotenna che impedisce l’espansione del polmone, trattamento chirurgico di decorticazione che attualmente viene eseguito per via toracoscopica (VATS).
Considerazioni anestesiologiche
Ove si debba intervenire in anestesia generale con intubazione in presenza di un empiema pleurico occorre considerare il rischio della contaminazione del polmone sano; Tale evento si correla alla presenza di
un’eventuale fistola broncopleurica che va pertanto indagata preoperatoriamente.
In caso di fistola broncopleurica significativa ed in presenza di empiemi saccati in fase fibrinopurulenta
può essere opportuno ricorrere ad un’intubazione bronchiale selettiva con ventilazione monopolmonare.
Questa procedura, nel bambino al di sotto dei 7-8 anni, può risultare complessa per la mancanza di tubi
bilume cuffiati di calibro inferiore ai 26-28Fr.
Possono tuttavia essere utilizzati in alternativa i seguenti devices.
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•Intubazione bronchiale con Tubo Convenzionale (cuffiato o non) di calibro adeguato al bronco che si
vuole ventilare. L’intubazione può essere agevolata ponendo il paziente con la spalla opposta al lato da
imbroncare, sollevata.
Svantaggi: possibile dislocazione tubo, inadeguata ventilazione in caso di ostruzione, difficoltosa riespansione del polmone collassato.
•Univent Tube ®: è un tubo tracheale monolume (attualmente disponibile fino al Ø3,5 mm) fornito di un
bloccatore bronchiale mobile incorporato nella struttura. Il bloccatore bronchiale con cuffia è spinto avanti
nel bronco principale o in uno segmentario da escludere. Il posizionamento può essere fatto alla cieca o
sotto visione fibroscopica.
Svantaggi: richiede un posizionamento intraoperatorio, può determinare ischemia mucosa tracheo-bronchiale, risulta difficoltosa la riespansione del polmone collassato.
•Bloccatori bronchiali: I Fogarty Embolectomy Catheters usati per lungo tempo come bloccatori endobronchiali nel bambino al di sotto dei 6 anni.
Anche gli Arterioseptostomy Chatheters e i Pulmonary Artery Chatheters possono essere usati per l’esclusione polmonare, hanno il vantaggio di avere il lume centrale che permette l’aspirazione delle secrezioni,
la somministrazione di ossigeno e l’applicazione di CPAP sul polmone escluso. Con le stesse finalità è stato
anche utilizzato il Catetere di Swan Ganz.
Svantaggi: eccesiva riduzione del calibro delle vie aeree in neonati e lattanti con relativa insufficiente ventilazione.
•Tubo bilume pediatrico: il Marraro Paediatric Endobronchial Bilumen Tube®, prodotto quale materiale
speciale dalla Sims-Portex, può essere impiegato nel trattamento di bambini sino a 2-3 anni. Questo tubo
non presenta cuffie per massimizzare il diametro interno ed è privo di sperone carenale per ridurre al
minimo il trauma alla trachea.
Svantaggi: difficile mantenimento della pervietà dei due lumi nei trattamenti di lunga durata, il posizionamento richiede esperienza, non è disponibile un calibro idoneo soprai 3 anni.
•In tutti i casi è consigliabile il controllo FBS dell’esclusione bronchiale.
La ventilazione monopolmonare è ben tollerata dal bambino quando nel polmone collassato la perfusione
è completamente esclusa. In caso di esclusione parziale possono comparire con facilità ipossia ed ipercapnia. Pertanto il setting ventilatorio da utilizzare prevede una FiO2 più elevata per ottimizzare la PaO2 ed
un Vt intorno a 10-15 ml/Kg, compatibilmente con Paw accettabili. In ogni caso il Volume/min va regolato
per mantenere una PaCO2 di 35-40 mmHg. Utile una PEEP di almeno 5 cm H2O.
La riespansione del polmone collassato deve essere fatta con cautela ed in modo progressivo onde evitare
barotraumi bronco-alveolari poiché il polmone non si riespande in modo omogeneo, ma piuttosto con
segmenti che possono rimanere inespansi alternati ad altri iperespansi. In effetti, nel bambino non sono
infrequenti il peggioramento dello scambio gassoso e la comparsa di ipossiemia dopo ventilazione monopolmonare, perché la chiusura delle piccole vie aeree avviene con più facilità rispetto all’adulto. Un periodo
di ventilazione artificiale con PEEP è molto utile per stabilizzare la pervietà del bronchiolo terminale e
degli alveoli e per risolvere le aree atelettasiche.
Trattamento Intensivo Postoperatorio
Una possibile complicanza degli empiemi pleurici metapneumonici è la fistola broncopleurica che ritarda
la risoluzione del quadro clinico, nonostante l’esecuzione di un intervento di decorticazione.
La sua presenza provoca, infatti, uno pneumotorace che, essendo continuamente rifornito, recidiva a ogni
tentativo di chiusura del drenaggio pleurico e impedisce la corretta riespansione del polmone.
In letteratura sono state utilizzate con buoni risultati diverse modalità ventilatore tra cui:
•la ventilazione a polmoni separati con ventilazione convenzionale per il polmone sano e Jet Ventilation ad
alta frequenza (HFJV) a livello del polmone patologico
•la ventilazione oscillatoria (HFOV) bipolmonare
Nella ventilazione oscillatoria il volume corrente è prodotto dal movimento di un pistone che genera un
movimento in avanti (inspirazione) e indietro (espirazione) di gas ad una frequenza tra i 5 e i 30 Hz (1 Hz
= 60 atti) con un Vt inferiore allo spazio morto.
Le vie aeree prossimali vengono ventilate per diffusione mentre le distali non vengono ventilate direttamente ma per turbolenza.
Il principio che accomuna queste due metodiche è favorire la chiusura spontanea della fistola utilizzando
volumi, pressioni di picco e di plateau bassi.
La HFOV ha in più il vantaggio rispetto alla HFJV di avere un’espirazione attiva che diminuisce il rischio
di “air trapping” e di iperdistensione alveolare.
In qualche caso raro si può verificare il fallimento di queste modalità ventilatorie e la persistenza della
fistola; in tal caso si rende necessaria la chiusura chirurgica e la HFOV trova indicazione nel trattamento
intensivo postoperatorio per favorire la corretta cicatrizzazione della sutura chirurgica.
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IL NEONATO CARDIOPATICO
LE CARDIOPATIE CONGENITE
Pierluigi Colonna
SOD Cardiochirurgia e Cardiologia Pediatrica Congenita, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti
“Umberto I°-Lancisi-Salesi”, Presidio Cardiologico “Lancisi”, Ancona
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Le cardiopatie sono le piu frequenti malformazioni congenite del neonato con un incidenza di 8 casi su
1000 nati vivi. Costituiscono la principale causa di morte in età neonatale, anche se i grandi progressi della cardiologia e cardiochirurgia pediatrica hanno aumentato di molto la sopravvivenza dei soggetti affetti
da cardiopatie congenite. E’ quindi fondamentale una diagnosi precoce di tali malformazioni per poter
effettuare subito un adeguato trattamento prima che si instaurino dei danni irreversibili.
Attualmente, con il progresso della tecnologia ecocardiografica, è possibile diagnosticare con molta precisione la maggior parte delle cardiopatie congenite già durante la vita fetale. Se la diagnosi di una cardiopatia ad alto rischio avviene in tale periodo è possibile programmare il parto in una struttura idonea che si
trovi vicino ad un centro di Cardiologia e Cardiochirurgia pediatrica di 3° livello dove possa essere fornita
un’ assistenza ed un trattamento immediato e qualificato evitando i rischi del trasporto d’urgenza di un
neonato instabile od ipossico.
I principali segni di una cardiopatia congenita neonatale sono un soffio cardiaco, la cianosi centrale o lo
scompenso cardiocircolatorio.
Il soffio cardiaco è un importante segno semiologico ed è dovuto ad una turbolenza del flusso ematico ;
non vi è però correlazione tra intensità del soffio e gravità della cardiopatia per cui vi sono cardiopatie di
lieve entità come i piccoli difetti interventricolari muscolari che si presentano con soffi intensi, mentre gravi cardiopatie ad alta mortalità come il cuore sinistro ipoplasico possono essere mute da un punto di vista
ascoltatorio.
La cianosi può essere centrale o periferica ed avere diverse cause, cardiache, polmonari, ematologiche ma
può anche dipendere da ipotermia o congestione venosa. La cianosi di origine cardiaca, da passaggio nel
circolo sistemico di sangue non ossigenato che ha saltato il circolo polmonare, può essere riconosciuta
dal fatto che non si riduce ma può anzi intensificarsi dopo somministrazione di ossigeno. Sono queste le
cardiopatie con flusso polmonare dotto dipendente ( stenosi severa ed atresia della valvola polmonare) in
cui l’ossigeno, favorendo la chiusura del dotto, riduce il flusso ematico verso i polmoni. In tali casi dopo
la diagnosi, oggi sempre possibile in maniera incruenta con l’ausilio dell’ecocardiografia, è importante
instaurare subito, anche prima di un eventuale trasporto, una terapia infusionale con prostaglandine per
mantenere o aumentare la pervietà del Dotto di Botallo. Un’altra cardiopatia ad alto rischio neonatale è
la trasposizione delle grandi arterie in cui, essendo le due circolazioni sistemica e polmonare in parallelo
e non in serie, l’unica possibilità di ossigenazione per il sangue è di passare da una circolazione all’altra
tramite dei difetti intracardiaci o a livello del dotto di Botallo. Importante quindi riconoscere subito questa
patologia e mantenere pervio il dotto con le prostaglandine ed eventualmente eseguire una atriosettostomia con catetere a pallone di Rashkind in sala di emodinamica.
Lo scompenso cardiaco nel neonato ha un’ eziologia in prevalenza secondaria a cardiopatie congenite che
provocano un sovraccarico emodinamico su un muscolo intrinsecamente normale . Nel 50% dei casi si
tratta di cardiopatie con shunt sx-dx che provocano un iperafflusso polmonare ed un aumentato lavoro
cardiaco ( difetto interventricolare, canale atrio-ventricolare , pervietà del dotto di Botallo, finestra aortopolmonare), nel 30% dei casi di ostruzioni del cuore sinistro ( stenosi aortica, coartazione aortica, cuore sx
ipoplasico). In questi ultimi casi si associa spesso un’ alterazione del muscolo cardiaco sottoposto cronicamente durante la vita fetale ad un sovraccarico di pressione per cui si ha una fibroelastosi endocardica che
riduce la contrattilità. Nei restanti casi può trattarsi di anomalie congenite delle coronarie o di patologia
del miocardio secondaria ad ipossia, ipoglicemia, acidosi, ipocalcemia, anemia.
Il trattamento della maggior parte delle cardiopatie congenite consiste nella correzione chirurgica che
può essere effettuata con un solo intervento (radicale) o richiedere più stadi che consistono in interventi
palliativi tesi a migliorare le condizioni cliniche e a favorire la crescita del bambino in modo che possa
affrontare con un minor rischio la correzione definitiva.
Oggigiorno si sta sempre più sviluppando la possibilità di correggere alcune cardiopatie mediante procedure di emodinamica interventistica o procedure ibride eseguite in collaborazione tra il cardiochirurgo e
l’emodinamista.
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GESTIONE DEL BAMBINO IN SCOMPENSO CARDIACO
APPROCCIO ANESTESIOLOGICO NEL PAZIENTE AFFETTO DA CARDIOPATIA CONGENITA
Paola Elisa Cogo
Christopher Münch,
Autori: Münch C., Mancinelli G., Rocchi S., Comi S., Ruzzi S., Ascenzi S., Serio P., Burchiani M.
Unità di Anestesia e Terapia Intensiva Cardiochirurgica, Dipartimento di Cardilogia e Cardiochirurgia Pediatrica,
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
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La mortalità dei bambini in scompenso cardiocircolatorio è migliorata significativamente con lo sviluppo
delle cure intensive pediatriche e la centralizzazione dei bambini critici in reparti dedicati di rianimazione pediatrica. Nel 2002 l’American College of Critical care Medicine ha pubblicato delle linee guida per il
trattamento dello shock pediatrico e neonatale che hanno portato a una ulteriore riduzione della mortalità.
Basti pensare che la mortalità per shock settico si è assestata, dopo l’implementazione delle linee guida,
dallo 0 al 5% nel bambino precedentemente sano, e intorno al 10% nel bambino con concomitante patologia cronica.
Lo shock può essere definito in base variabili cliniche, emodinamiche, e di consumo di ossigeno o di funzionalità cellulare. Idealmente però lo shock dovrebbe essere diagnosticato prima dell’insorgenza dell’ipotensione arteriosa, da segni clinici indiretti di ipoperfusione d’organo, quali ipotermia periferica, stato
confusionale, tachicardia, oliguria, e rallentato tempo di ricircolazione capillare.
L’approccio al bambino in shock è accuratamente descritto nelle linee guida del 2002 e nella successiva revisione del 2009. E’ importante sottolineare che l’applicazione delle linee guida richiede il rigoroso rispetto
dei tempi di esecuzione delle diverse tappe terapeutiche. Questo è risultato un fattore fondamentale per un
buon “outcome” del paziente. Pertanto ne consegue che non solo il rianimatore, ma tutta l’equipe dell’urgenza deve lavorare in modo coordinato e armonico per stabilizzare il bambino critico.
La relazione ripercorrerà tutte le tappe della stabilizzazione del neonato e del bambino critico in shock,
riassumerà le caratteristiche dei farmaci inotropi e le loro peculiarità in età pediatrica e accennerà alle
indicazioni e all’uso di tecniche di assistenza meccanica, nel caso le la terapia convenzionale fallisse.
Una particolare attenzione deve essere posta per il bambino con cardiopatia congenita, dove non sono
applicabili sempre le linee guida pubblicate. Riassumeremo brevemente i quadri fisiopatologici che un
intensivista pediatrico deve affrontare e le differenze di trattamento che vi sono rispetto al bambino con
anatomia cardiaca normale.
Infine riassumeremo le principali tecniche di assistenza meccanica in caso di scompenso cardiaco irreversibile, sia quando utilizzate come terapia in attesa di miglioramento della sindrome da bassa gittata, sia se
utilizzate come “destination therapy”, o come bridge” bridge “ al trapianto cardiaco.
Analizzeremo la mortalità e morbidità di queste tecniche, e i possibili avanzamenti tecnologici e di ricerca
che possibilmente ci porteranno a un miglioramento dell’outcome dei bambini con scompenso cardiaco
terminale.
SOD Anestesia e Rianimazione Cardiochirurgica, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto
I°-Lancisi-Salesi”, Presidio Cardiologico “Lancisi”, Ancona
Le cardiopatie congenite rappresentano il 30% di tutte le patologie congenite ma, grazie al rapido progresso
della cardiochirurgia e cardiologia pediatrica, e della tecnologia medica in generale, oltre il 90% dei neonati
affetti da cardiopatia congenita oggi raggiunge l’età adulta. L’incidenza delle cardiopatie congenite è di circa
lo 0,8%, ad essa corrisponde un’incidenza reale ‘in utero’ da 2 a 3 volte superiore, tale differenza è testimone
del fatto che in molti casi la gravidanza non giunge a termine in quanto la cardiopatia è incompatibile con la
sopravvivenza del feto. Nel 10%-15% dei casi si osservano altre patologie associate che possono coinvolgere
l’apparato respiratorio, intestinale o scheletrico. Un numero ridotto di bambini nati a termine potrà crescere
fino all’età adulta senza alcun trattamento specifico della propria malformazione ma, nella maggior parte dei
casi, si manifestano segni e sintomi, spesso piuttosto aspecifici, già nel periodo neonatale, motivo per il quale
questi bambini giungono precocemente all’osservazione del medico.
Si stima che oggi in Italia vivano circa 60 mila pazienti cardiopatici di età inferiore ai 21 anni e circa 6000
pazienti di età più avanzata; entrambi i gruppi hanno costante bisogno di assistenza medica e talvolta chirurgica qualificate.
Ciascun paziente, sia esso giovane o anziano, presenta caratteristiche peculiari legate al tipo di cardiopatia
congenita, agli effetti emodinamici prodotti dalla stessa patologia sulle cavità cardiache nel tempo e, non
meno importante, agli effetti riconducibili all’eventuale trattamento cardochirurgico, sia esso di tipo palliativo o correttivo. Nel tempo, entrambe le soluzioni possono causare delle complicanze come aritmie, shunt
residui, disfunzioni ventricolari, ipertensione polmonare e difetti valvolari residui che talvolta richiedono
nuovi interventi cardiochirurgici correttivi.
Il professionista di riferimento per il paziente con cardiopatia congenita è il cardiologo, colui che accompagna il malato durante tutto il percorso pre- ed intraospedaliero, e che tante volte continuerà a seguirlo anche
nel percorso extraospedaliero successivo al ricovero.
Di conseguenza, è proprio il confronto continuo con il cardiologo, ancor prima che con il cardiochirurgo,
a rappresentare la principale fonte di informazioni cliniche utili per la gestione anestesiologica rianimatoria del paziente. Infatti, solo attraverso il dialogo con il cardiologo l’anestesista è in grado di completare
l’inquadramento clinico specifico e di arricchirlo ulteriormente con dettagli sulla storia clinica remota, e
sul follow-up dopo lo stesso intervento chirurgico. Nell’ambito di questo scambio il cardiologo è chiamato a partecipare alle decisioni cliniche sia durante che dopo l’intervento chirurgico, vale a dire, proprio in
quell’intervallo di tempo storicamente riservato alla competenza quasi esclusiva dell’anestesista rianimatore.
Nella nostra realtà la positiva sperimentazione di un approccio ecocardiografico congiunto tra cardiologo ed
anestesista durante l’intervento cardochirurgico ha stimolato entrambi i gruppi al reciproco coinvolgimento
anche durante tutto il restante percorso diagnostico-terapeutico.
Da qui la conferma che il successo terapeutico del trattamento cardiochirurgico non dipende soltanto dalla
qualità del gesto tecnico chirurgico, ma risente piuttosto della collaborazione attiva di tutti i professionisti
coinvolti nelle cure del paziente cardiopatico.
Il contributo professionale specifico dell’anestesista rianimatore al successo dell’intervento chirurgico si
concretizza soprattutto in alcuni momenti cruciali del periodo peri-operatorio.
Un primo momento è quello dell’eventuale ricovero preoperatorio che riguarda quel gruppo di pazienti che
necessitano di stabilizzazione e di cure intensive per periodi più o meno lunghi prima dell’intervento stesso.
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ANESTESIA
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stino del corretto equilibrio tra le circolazioni polmonare e sistemica. Infatti, nei pazienti con flussi polmonari o sistemici dotto-dipendenti può essere indispensabile intervenire farmacologicamente sulle resistenze
vascolari polmonari o sistemiche mantenendo, il più possibile, la pervietà del dotto di Botallo attraverso
l’infusione di prostaglandine.
L’altro momento cruciale è chiaramente l’induzione dell’anestesia in sala operatoria, di particolare importanza per la buona riuscita dell’intervento chirurgico. Una condotta anestesiologica ottimale implica infatti
la conoscenza sia degli effetti che ciascun farmaco anestetico e cardiovascolare esercita sull’emodinamica
del paziente cardiopatico e sia delle ripercussioni che la patologia specifica del paziente ha sull’efficacia degli
stessi farmaci (ad esempio la presenza di shunt intracardiaci si ripercuote sulla velocità di induzione dell’anestesia). Altro fattore critico è l’accesso vascolare che può essere particolarmente difficoltoso, specie nei
candidati a re interventi, e richiedere una preparazione chirurgica dei vasi. Non meno rilevanti le possibili
variazioni improvvise della volemia e modifiche della modalità ventilatoria che producono profondi effetti sull’emodinamica del paziente: in particolare si osservano alterazioni della portata cardiaca, del ritorno
venoso e del rapporto tra resistenze vascolari polmonari e sistemiche. E’ pertanto evidente che eventuali
errori di valutazione durante le manovre di induzione anestesiologica possono severamente compromettere
il risultato dell’intervento stesso.
Nel corso dell’intervento chirurgico particolarmente delicate sono le fasi di avvio e mantenimento della
circolazione extracorporea (CEC) che richiedono una dettagliata conoscenza dei meccanismi fisiopatologici, specie nei pazienti in età neonatale, nei quali la circolazione extracorporea produce degli effetti profondamente diversi da quelli osservati nel paziente adulto. Così come l’avvio, anche la separazione dalla
circolazione extracorporea rappresenta un momento di particolare apprensione per il team cardochirurgico
poiché il miocardio non sempre è in grado di riprendere efficacemente e rapidamente la propria attività e
anzi necessita, a volte, di particolare sostegno farmacologico o perfino meccanico per superare la fase critica.
Anche in questa situazione l’anestesista interviene, sulla base delle proprie conoscenze e della propria esperienza, in collaborazione con il chirurgo e con il cardiologo, per ottimizzare il più possibile tutte le variabili
fisiologiche e per concordare le terapie più adeguate al caso specifico.
Di fronte ad uno scenario così complesso come quello delle cardiopatie congenite risulta pertanto indispensabile sviluppare protocolli anestesiologici standardizzati, tuttavia, l’anestesista non può esimersi da un
approccio adattativo e specifico considerando, caso per caso, le peculiari esigenze emodinamiche di ogni
paziente.
GESTIONE ANESTESIOLOGICA DEL PAZIENTE CON PATOLOGIA RARA
Salvatore Meola
Clinica di Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti”, Foggia
L’Epidermolisi Bollosa (EB) è una rara genodermatosi ereditaria la cui trasmissione può avvenire con modalità autosomica dominante o recessiva. La causa è stata individuata in anomalie dei geni coinvolti nella
produzione di proteine strutturali della pelle 1, 2.
La diagnosi dell’EB è generalmente semplice e clinica, ma necessita della conferma istologica che viene effettuata su prelievo bioptico della cute.
La manifestazione clinica principale consiste nella formazione di bolle a contenuto siero-emorragico che
esitano in ulcerazioni superficiali dolorose che guariscono lentamente, con esiti cicatriziali. Cicli ripetuti di
formazione di bolle ed ulcerazioni provocano la formazione di manifestazioni cicatriziali detraenti, invalidanti e talora deturpanti.
Le sedi più interessate sono quelle sottoposte a stimoli meccanici cronici: cute delle mani e dei piedi, regione
nucale, spalle, natiche, ecc. Il coinvolgimento delle dita, comporta la progressiva riduzione degli spazi interdigitali, con formazione di aderenze, pseudosindattilia e, infine, completa fusione delle dita che appaiono
inglobate in un sacco cutaneo.
Management anestesiologico del paziente affetto da EB
Le stigmate sopra descritte, fanno si che la prevenzione della stimolazione meccanica trasversale di cute e
mucose sia alla base del management anestesiologico.
Fin dai primi anni di vita, i pazienti affetti da EB vengono sottoposti ad interventi chirurgici necessari a
limitare gli esiti delle stigmate della malattia.
Gli interventi chirurgici più frequenti consistono nella dilatazione delle stenosi esofagee (38%), nello sguantamento e nella lisi delle pseudosindattilie (27%), nelle procedure post-chirurgiche per la medicazione e la
sostituzione di bendaggi e medicazioni (21%), nel confezionamento di gastrostomie (PEG – 8%), e nella
circoncisione (2%).
Tutte queste procedure richiedono l’intervento dell’anestesista; finché è possibile, vengono effettuate in narcosi con intubazione orotracheale (48%), altrimenti è possibile ricorrere ad un’anestesia inalatoria in maschera facciale (21%) o ad un’anestesia totalmente endovenosa (TIVA – 31%)11,12.
Il reiterarsi delle lesioni nella cavità orale, provoca un sovvertimento dei rapporti anatomici delle strutture
in essa contenute, con conseguente difficoltà parziale o totale di intubazione oro tracheale2.
È per questo motivo che l’anestesia loco-regionale viene preferita soprattutto quando questi pazienti siano
stati sottoposti ripetutamente a narcosi13.
La fragilità cutanea impone misure precauzionali anche durante il monitoraggio pre e postoperatorio dei
parametri vitali: il tracciato elettrocardiografico viene eseguito utilizzando pads privati della parte adesiva, la misurazione della pressione arteriosa richiede l’interposizione di cotone germanico fra la cute ed il
bracciale dello sfigmomanometro, il monitoraggio della saturimetria periferica di ossigeno viene effettuato
utilizzando sensori morbidi a pinza.
Qualora sia necessario effettuare una anestesia inalatoria in maschera facciale, la narcosi viene effettuata
utilizzando medicazioni particolari2 costituite da:
•Uno strato di silicone denominato Safetac®
•Uno strato flessibile in schiuma di poliuretano (PUR) assorbente ricoperto da un film traspirante ma impermeabile all’acqua.
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quali: ulcere degli arti inferiori, piaghe da decubito e ferite traumatiche; le sue caratteristiche suggeriscono,
però, nuove applicazioni: sagomata opportunamente, questa può essere interposta fra la maschera facciale
e il volto del paziente prevenendo la formazione di ferite traumatiche2 sulla cute di naso, regione periorale
e regione sottomandibolare.
Per somministrare i farmaci, è indispensabile incannulare un vaso periferico.
A tal proposito, è necessario ricordare che le cicatrici cutanee rendono la cute tesa ed anelastica; ciò rende l’
incannulamento difficile, con una elevata percentuale d’insuccesso (50%).
Nell’esperienza maturata dallo scrivente, l’incannulamento del vaso è stata effettuata usando un laccio emostatico previa interposizione di cotone germanico, per evitare il pinzamento o lo strofinamento della cute.
La detersione del sito di puntura viene effettuata tamponando la cute; il fissaggio dell’agocannula viene eseguito confezionando con il MEPILEX® una cravattina sulla quale viene avvolta della garza grassa che rende
il sistema di fissaggio solidale alla cute.
Queste precauzioni assicurano la disponibilità di una via d’infusione durante l’intervento chirurgico e
nell’immediato post-operatorio, ma non consentono di mantenere l’agocannula in situ per più di 48-72 ore.
Per questo motivo, le medicazioni successive all’intervento chirurgico vengono effettuate sottoponendo il
paziente a narcosi inalatoria in maschera facciale, senza provvedere all’incannulamento di alcun vaso periferico.
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Introduzione dell’Accesso Venoso Periferico Ecoguidato nel management anestesiologico del paziente
affetto da EB
Dal punto di vista della Classificazione, gli accessi venosi possono essere distinti in Accessi Venosi Centrali
e Periferici (AVP). Gli AVP, a loro volta, possono essere distinti in:
•AVP a breve termine:Aghi-cannula
•AVP a medio termine:
Sistemi Midline
L’Ago-cannula è un presidio finalizzato alla somministrazione continua di liquidi o alla somministrazione
endovenosa continua di farmaci.
Secondo le linee guida dei CDC di Atlanta, dovrebbero essere rimossi dopo 96 ore, anche in assenza di
complicanze.
I Sistemi Midline sono sistemi venosi a medio termine, destinati ad un utilizzo sia continuo che discontinuo,
intra ed extra-ospedaliero, per un periodo di tempo di solito compreso tra 1 settimana e 3 mesi.
Vengono inseriti attraverso l’incannulamento di una vena periferica dell’arto superiore, utilizzando la tecnica di Seldinger diretta o indiretta. Sono proscritti, al pari degli aghi-cannula, nei casi in cui sia necessario
somministrare farmaci antiblastici, soluzioni ipertoniche, soluzioni basiche/acide e soluzioni vescicanti ed
irritanti sull’endotelio.
In quanto CVP, nella vena ascellare succlavia o, comunque, in posizione non “centrale”.
I Midline possono essere inseriti
a)mediante semplice puntura e incannulamento di una vena superficiale visibile al gomito o al braccio (venipuntura ‘blind’)
b)mediane venipuntura ecoguidata di vene profonde del braccio (v. basilica o vv. brachiali) a livello del terzo
medio del braccio, utilizzando la tecnica del microintroduttore.
Rispetto alla tecnica Blind, l’incannulamento ecoguidato associato alla tecnica del microintroduttore presenta due grandi vantaggi:
•garantisce il posizionamento del Midline pressoché in qualunque paziente, anche in presenza di esaurimento
del patrimonio venoso periferico;
•consente di allontanare la sede di inserzione del dispositivo dalla piega del gomito, eliminando il traumatismo legato ai movimenti dell’avambraccio sul braccio;
•consente la riduzione delle complicanze locali (ematomi secondari a punture ripetute, infezioni, ecc);
•azzera la percentuale di rischio all’inserzione anche in pazienti scoagulati.
Proviamo a fotografare il prototipo di paziente di affetto da EB:
si tratta di un paziente che ricorre alle cure dei chirurghi per recuperare la funzionalità delle mani. Dal punto di vista anestesiologico è caratterizzato da fragilità cutanea e mucosa estrema che impediscono l’utilizzo
delle usuali procedure di intubazione orotracheale e di incannulamento delle vene periferiche; le difficoltà
nel reperimento e nell’incannulamento di una vena periferica, nonché nella gestione di aghicannule per
periodi di tempo superiore alle 48-72h, rende complicata la somministrazione di farmaci analgesici nel perioperatorio e di farmaci anestetici in occasione delle numerose medicazioni in narcosi alle quali il paziente
dev’essere sottoposto.
L’utilizzazione di un PROACTIVE VASCULAR PLANNING14 ci consente di individuare nel Midline il
CVP più utile ed indicato alla gestione “ragionata” dell’accesso venoso periferico nel paziente affetto da EB:
l’incannulamento ecoguidato di una grossa vena del braccio è una tecnica rapida ed abbastanza traumatica,
. Non potendo utilizzare cerotti, il catetere deve essere assicurato alla cute utilizzando fili di sutura, avendo
cura di evitare che il catetere decubiti sulla cute; il midline, concepito per un uso continuo e discontinuo,
può essere lasciato in situ per tutto il periodo di tempo necessario.
Questo espediente consente all’anestesista di eliminare completamente l’uso della maschera facciale, azzerando il rischio di lesioni traumatiche alla cute del volto ed aumentando la compliance dei pazienti e dei
loro genitori.
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ANESTESIA LOCOREGIONALE E TECNICA ECOGUIDATA
Dario Galante
Presidente SIAATIP - Struttura complessa Anestesia e Rianimazione Universitaria - Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti”, Foggia
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L’utilizzo degli ultrasuoni in anestesia locoregionale ha migliorato in modo significativo la sicurezza e
l’efficacia delle procedure eseguite in capo pediatrico e neonatale. Le recenti e innovative tecnologie hanno
consentito di mettere a punto ecografi di dimensioni ridotte e sonde dedicate ai piccoli pazienti con elevata
risoluzione e maggiore precisione. Si possono così ottenere immagini straordinarie di alcune strutture anatomiche come ad esempio quelle neurassiali che nel neonato e nel lattante sono visualizzabili sin nei minimi dettagli. Infatti, in questi piccoli pazienti il processo di ossificazione è ancora ai primi stadi e le strutture sono più superficiali ripetto al paziente adulto. Ciò consente di identificare con estrema precisione le
strutture ossee, la cauda equina, la dura madre, il ligamento flavum, il cono midollare e lo spread dell’anestetico locale insieme allo spostamento della dura madre durante l’esecuzione di anestesie peridurali (1, 2).
L’intera tecnica di anestesia peridurale, compresa l’introduzione del cateterino, può essere eseguita in real
time avendo la certezza del suo corretto posizionamento e del livello di blocco eseguito salvaguardando le
strutture vascolari e limitando i rischi di puntura accidentale (3,4). In età pediatrica le strutture neurovascolari sono estremamente ravvicinate e di minori dimensioni rispetto agli adulti, ne deriva un potenziale
maggior rischio di danno e scarsa precisione dei blocchi eseguiti con tecnica tradizionale o con l’utilizzo di
elettroneurostimolatore. L’intera colonna vertebrale può essere visualizzata secondo piani trasversali, sagittali o paramediani. L’approccio paramediano consente di ottenere le immagini migliori grazie alla presenza
dei forami intervertebrali che aumentano le dimensioni della finestra acustica (5). In età neonatale e pediatrica sono possibili tutti i tipi di blocchi ecoguidati, da quelli neurassiali a quelli periferici e addominali.
Un esempio tra questi ultimi è rappresentato dal “TAP Block” ecoguidato (Ultrasound Transversus Abdominis Plane Block) che consente di ottenere un’eccellente analgesia parietale postoperatoria realizzando tra
le strutture muscolari quel che mi piace definire un “elastomero naturale” costituito dall’anestetico somministrato tra i muscoli obliquo interno e trasverso dell’addome. Il TAP block ecoguidato consente di ridurre
in misura significativa i rischi di puntura accidentale di fegato e milza che si potevano riscontrare con la
tecnica tradizionale “blind landmark technique” (6). Per la maggior parte dei blocchi ecoguidati in età
pediatrica è sufficiente disporre di una sonda di 7-10 MHz. Basti pensare che le strutture neurassiali sono
disposte a circa 1-4 cm dal piano cutaneo (la distanza varia in base all’età e al peso), peraltro l’incompleta
ossificazione, come si è già detto, consente di avere un’eccellente “finestra acustica”. Per esempio, la distanza
fra cute e spazio peridurale raramente supera i 2 cm. e nei neonati è spesso inferiore a 0.5 cm. Sono state
studiate numerose formule per calcolare la distanza fra cute e spazio peridurale, tutte più o meno valide
sebbene non sempre attendibili:
A. Spazio peridurale lombare
profondità in mm = (peso in kg. + 10) x 0.8
profondità in mm = (età in anni x 2) + 10
B. Spazio peridurale toracico
profondità in cm = 2.15 + (0.01 x età in mesi)
profondità in cm = 1.95 + (0.045 x kg)
Un’altra formula semplice da utilizzare in bambini di età compresa fra 6 mesi e 10 anni è quella di Bosenberg: 1 mm x kg di peso corporeo. Tutte queste formule sono piuttosto attendibili ma espongono in
ogni caso al rischio di puntura durale se eseguite alla cieca. Risulta invece interessante verificarle sotto guida ecografica poichè è possibile calcolare le distanze con estrema precisione. Ad onor del vero alla verifica
riscontro interessante che è stato possibile ottenere dagli studi ecografici riguarda il livello in cui termina il
midollo spinale nei neonati. Si è sempre detto che esso termina a livello del corpo vertebrale di L3, invece
secondo uno studio ecografico di Willschke (7) il cono midollare termina a livello di L2. In base alla mia
esperienza nel campo delle anestesie ecoguidate delle strutture neurassiali neonatali posso confermare
questo aspetto anatomico che in un certo senso dovrebbe portare presto alla correzione di qualche testo
di anatomia. L’anestesia regionale ecoguidata consente di vedere l’ago, la sua punta e lo spread dell’anestetico in real time in prossimità del nervo da bloccare. Per una migliore visualizzazione dello spread e della
punta dell’ago ci si può aiutare utilizzando il color doppler flow di cui tutti i più moderni ecografi dispongono ottenendo immagini suggestive e chiare e consentendo di studiare anche i rapporti fra emodinamica
e anestesia locoregionale (8). La sicurezza ed efficacia degli ultrasuoni in anestesia locoregionale pediatrica
sono indubbi ma rimane ancora da definire se il loro utilizzo debba considerarsi obbligatorio o almeno
raccomandabile in tutti i piccoli pazienti da sottoporre a tali procedure. La mia personale opinione è che,
allo stato delle conoscenze scientifiche attuali e per la disponibilità di ecografi ormai in tutti gli ospedali,
l’utilizzo dell’anestesia ecoguidata debba ritenersi fortemente raccomandabile nell’età pediatrica per giungere, nel più breve tempo possibile, a renderne obbligatorio l’utilizzo nel bambino e, a maggior ragione, nel
neonato. Anche l’anestesia caudale, sia pure semplice come tecnica e considerata da anni cavallo di battaglia in pediatrica, è caratterizzata da una percentuale d’insuccesso dell’11% circa. Insuccesso significa ripetizione dei tentativi, somministrazione di anestetico in sedi sbagliate e misconosciute, scelta di una tecnica
di anestesia diversa con aumento dei rischi. L’utilizzo degli ultrasuoni abbatte gli errori tecnici in misura
significativa. Poter vedere ciò che si sta facendo non solo è il risultato di un progresso scientifico ma deve
oggi ritenersi un obbligo deontologico.
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ANESTESIA LOCOREGIONALE vs ANESTESIA GENERALE NELLA CHIRURGIA MINORE
Dott. Valter Sonzogni
Autori: Sonzogni V., Benigni A., Sonzogni R., Spotti A.
USC Anestesia e Rianimazione I , AO Ospedali Riuniti Di Bergamo
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Malgrado l’ampio sviluppo dell’anestesia locoregionale (ALR), l’anestesia generale (AG) viene ancora praticata in una buona percentuale di casi ambulatoriali. I motivi di questa resistenza sono da ascriversi: alla
numerosità di centri a vocazione non esclusivamente pediatrica e quindi alla presenza di anestesisti con
cultura pediatrica limitata, al timore di comparsa di complicanze mascherate dalla sedazione profonda, alla
paura del sommarsi di eventi avversi derivanti dalle due tecniche e non ultimo dal ritenere inutile il ricorso
all’ALR in presenza già di una AG. Non meno importante è il ritenere il bambino un candidato non ideale
alla esecuzione di blocchi a causa della mancata collaborazione.
Risultano innegabili i vantaggi derivanti da una chirurgia minore associata ad tecnica locoregionale: tempestivo ritorno al domicilio, aumentato grado di soddisfazione del paziente/genitore, riduzione dei costi
della cura ma elevata qualità, linea di produzione snella ed efficace, riduzione di nausea e vomito e della
risposta neuroendocrina, ridotta sedazione e depressione respiratoria, mantenimento del respiro spontaneo
con tempi operatori compressi, migliorata analgesia postoperatoria. Ad una chirurgia anche minore sono
sempre associate perturbazioni emodinamiche, ormonali e metaboliche che risultano invece ben controllate
se non annullate dalle tecniche locoregionali. Le particolarità derivanti da un’ALR sono legate nel bambino
alle piccoli dimensioni, alla ridotta funzionalità dell’emuntorio e renale e, come sopra detto, dalla necessità
di eseguire la procedura in sedazione profonda essendo le tecniche identiche a quelle dell’adulto. Il bambino si differenzia dall’adulto per una minore capacità omeostatica e diminuito margine di adattabilità (a
causa delle ridotte riserve energetiche e maggiori richieste per la crescita): la risposta ormono-metabolica è
qualitativamente identica nel neonato, lattante, bambino rispetto alla persona adulta. E’ metodo altamente
specifico capace di raggiungere lo scopo.
Nella pratica pediatrica è quasi sempre richiesta un grado più o meno elevato di perdita di coscienza, per
ottenere cooperazione e immobilità e permettere l’esecuzione del blocco. Il bambino è troppo piccolo per
comprendere il suo problema e la necessità di un intervento chirurgico; allo stesso modo non sa giustificare
il fatto di avere successivamente dolore. Rispetto ad un paziente sveglio, la sedazione può produrre la condizioni ideali, ma non può garantirle.
Una prima obiezione deriva dal timore del sommarsi di complicanze derivanti dalla doppia tecnica; è un’osservazione più teorica che reale, mentre ben superiori sono i benefici rispetto agli svantaggi. La stessa osservazione potrebbe valere dall’associazione di più farmaci in AG.
Una seconda obiezione deriva dalla necessità che un operatore assista il bambino mentre l’anestesista pratica
il blocco: una nurse è certamente capace di mantenere le vie aeree soprattutto se ben guidata dall’anestesista.
Il terzo dubbio ha teoricamente più fondamento e deriva dal fatto che il bambino anestetizzato non può dare
indicazioni sulla comparsa di parestesie o puntura diretta del nervo. Il successo di un blocco centrale deriva
dal posizionamento corretto dell’ago nello spazio anatomico e non da quanto sia vicino al nervo; nel caso di
bocco subaracnoideo la puntura al di sotto del terzo spazio lombare mette al riparo dall’insorgenza di danni.
La maggior parte dei nervi periferici è di tipo misto per cui lo stimolatore nervoso è capace di evocare risposte motorie anche se il bambino è sedato. Unica eccezione è rappresentata dal nervo dorsale del pene (nervo
sensitivo) per il quale preferiamo il ricorso all’anestesia caudale anche se il piccolo rischio di danneggiare il
nervo con un blocco penieno è ben bilanciato dagli ampi benefici di un postoperatorio.
Alcuni ritengono che l’esecuzione dei blocchi centrali o periferici in pazienti sedati porti ad un aumento delle complicanze mascherandone la comparsa; i dati della Letteratura dimostrano invece un mancato incre-
survey pubblicata nel 1996 (utilizzo delle tecniche di anestesia locoregionale e registrazione delle complicanze) a cura degli anestesisti pediatrici di lingua francese (ADARPEF) relativa a 24.409 ALR praticate in
bambini di tutte le età, registra la bassa presenza di complicanze (25), peraltro definite minori e non accompagnate da sequele medico-legali; la maggior parte delle complicanze era associata ai blocchi centrali mentre
sicure sono risultate le anestesie locali e i blocchi periferici. In altri studi compare una maggiore incidenza
di complicanze per interventi eseguiti in AG rispetto a quelli che hanno utilizzato ALR da sola o in associazione con sedazione profonda; sarebbe semplicistico ritenere l’AG più pericolosa rispetto all’ALR perché la
selezione dei pazienti è diversa e soprattutto diversa è la complessità chirurgica nei due gruppi.
Il costante monitoraggio del paziente (modificazioni elettrocardiografiche, cambiamento del pattern respiratorio, comparsa di convulsioni) permette d’individuare una accidentale iniezione endovenosa o intratecale
di anestetico locale. Le raccomandazioni che siamo soliti dare nel paziente sveglio adulto valgono soprattutto nel pediatrico sedato: lenta somministrazione dell’anestetico, test di aspirazione, individuazione e visione
diretta del plesso/nervo mediate stimolatore nervoso o meglio con guida ecografica la dove possibile, scelta
dei blocchi periferici rispetto ai centrali perché godono di un miglior rapporto beneficio/rischio, utilizzo di
ropivacaina o levobupivacaina a motivo della minore intensità del blocco motorio pur con un onset e una
durata dell’analgesia equivalente alla bupivacaina.
Di recente ha destato grande interesse l’uso degli ultrasuoni nell’esecuzione dei blocchi nervosi anche nei
bambini. La commercializzazione di apparecchiature ad alta risoluzione, compatte, portatili ne ha permesso
l’introduzione e l’utilizzo tanto da aspirare al nuovo ruolo di standard di cura. Il costo è sicuramente giustificato dalla risoluzione e visibilità delle strutture nervose, nonché dall’utilizzo in caso di cannulazione di vasi
centrali. La visualizzazione diretta del nervo permette il corretto posizionamento dell’ago e la riduzione del
dosaggio anestetico aumentando la percentuale di successi e riducendo il rischio di sovradosaggio. Il timore
di complicanze rappresenta il deterrente all’applicazione routinaria dell’ALR in area pediatrica; la corretta
osservanza delle indicazioni, la tenuta conto delle controindicazioni, la prevenzione delle complicanze costituiscono il miglior metodo per l’esecuzione dell’ ALR e miglior veicolo di promozione.
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ANESTESIA PER INTERVENTO DI IMPIANTO STIMOLATORE VAGALE
Gian Marco Piattellini
SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
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La stimolazione del nervo vago (VNS) rappresenta un importante trattamento per l’epilessia farmaco-resistente. Il neuroCyberneti Prosthesis system è il solo VNS approvato dalla FDA e consiste in un generatore
d’impulsi completamente impiantabile con un cavo bipolare in silicone. All’estremità del cavo sono posti
elettrodi costituiti da tre bobine elicoidali che vanno ad avvolgere la porzione cervicale del nervo vago di
sinistra.
Nel 1985 Jacob Zabara ha condotto studi sull’utilizzo della stimolazione elettrica del nevo vago utilizzata per
desincronizzare lo stato di ipersincronia delle interazioni neuronali corticali e talamo-corticali che sono alla
base dell’epilessia in modelli animali e negli studi elettrofisiologici nell’uomo.
Molti studi randomizzati hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza della stimolazione del nervo vago sull’epilessia farmaco-resistente. De Giorgio et al., nel loro studio randomizzato a doppio cieco, ha concluso che
il VNS è un efficace trattatamento a lungo termine per l’epilessia farmaco-resistente e che la riduzione media
delle crisi è del 46% con un massimo del 75% nel 20% dei pazienti studiati. Meno dati sono disponibili per
la popolazione pediatrica.
Il VNS è sicuro e ben tollerato. Nello studio multicenntico prima citato, gli effetti collaterali si sono verificati nel 5% dei pazienti e son stati: raucedine, mal di gola, dispnea. Le complicanze perioperatorie descritte
nel 10% dei pazienti sono state: dolore, tosse, alterazione della voce, dolore toracico e nausea. Esistono in
letteratura report di complicanze maggiori come bradicardia intensa, blocco atrio-ventricolare completo e
asistolia comparse alla prima stimolazione intraoperatoria del nervo vago.
Considerazioni anestesiologiche
Il posizionamento del VNS viene di solito eseguito in anestesia generale, anche se esistono poche esperienze
di utilizzo del blocco cervicale superficiale e profondo in pazienti svegli. La tecnica chirurgica prevede una
incisione tra i due capi del muscolo sternocleidomastoideo ed esposizione del nervo vago tra l’arteria carotide comune e la vena giugulare interna e un’altra incisione al margine superiore del muscolo pettorale per
creare una tasca che andrà ad ospitate il generatore d’impulsi.
I pazienti presentati per l’intervento hanno una lunga storia di epilessia scarsamente controllata e sono in
trattamento con più farmaci antiepilettici. Molti di questi pazienti sono affetti da epilessia sintomatica con
diversi quadri di danno neurologico associato a gradi diversi di deficit motorio e cognitivo.
La raccomandazione corrente è quella di continuare la terapia antiepilettica fino la mattina dell’intervento.
In una esaustiva review sono stati esaminati gli effetti sulle convulsione dei più comuni farmaci usati in anestesia sia su pazienti epilettici che non epilettici. Gli autori concludono che molti farmaci sia inalatori che
endovenosi, mostrano un’attività sia proconvulsivante che anticonvulsivante.
L’area dermatomerica della stimolazione chirurgica va da C3 a T2 con interessamento del nervo mediale sovraclaveare (C3-C4) e il primo e secondo nervo intercostale. Winnie, dopo gli studi pioneristici di Burnham
ha sviluppato il concetto di di anestesia neurovascolare del plesso brachiale. Nel suo studio ha dimostrato,
con l’uso di vari volumi di una soluzione anestetica radiopaca, il livello di blocco sia clinico che con visualizzazione radiologica, dimostrando che la somministrazione di un adeguato volume di anestetico si traduce
in un completo blocco sensoriale e motorio dei plessi cervicale e brachiale.
Metodo
Tutti i pazienti sono stati valutati nel nostro ambulatorio e dopo la compilazione della cartella d’anestesia è
stato richiesto il consenso informato. Tutti i pazienti hanno continuato ad assumere la loro terapia anticomiziale fino alla mattina dell’intervento. Le caratteristiche demografiche e patologiche dei pazienti includono: 8 femmine e 7 maschi, età media 11, 8 anni, durata media dell’epilessia 10,3 anni, numero medio di
crisi mensili 121,3. Inoltre 8 pazientierano affetti da pseudo Lennaux-Gastaud, 3 da Lennaux-Gastaud, 4 da
epilessia parziale. L’eziologia dell’epilessia era criptogenetica in 2 pazienti e sintomatica in 13. La valutazione
neuropsicologica ha mostrato grave ritardo mentale in 8 pazienti, moderato ritardo in 6 e lieve ritardo in 1.
Disturbi neurologici erano presenti in 3 pazienti tra cui atassia e tetraparesi. Tutti i pazienti erano trattati
con 2 o più farmaci antiepilettici.
Condotta anestesiologica
12 pazienti sono stati premedicati con Midazolam orale a un dosaggio 0,1-0,4 mg/Kg 15 minuti prima di
essere trasferi in sala operatoria, 3 pazienti non ha ricevuto nessuna premedicazione. Su tutti Il blocco è stato eseguito sotto sedazione in respiro spontaneo con diversi schemi farmacologici. Durante l’intervento 11
pazienti hanno continuato la sedazione in respiro spontaneo con l’infusione continua di Propofol, 3 pazienti
nessuna sedazione e 1 la somministrazione di Sevofluorane in maschera laringea.
Il blocco è stato effettuato con la tecnica descritta da Winnie e l’individuazione del plesso è avvenuta con
l’uso di ago elettrostimolato (Locoplex, Vygon, 21 G, 5 cm 30°) ed elettrostimolatore (Plexival, Medival).
Per il blocco abbiamo usato in 11 pazienti Levobupivacaina a concentrazioni variabili (0,37%-0,75%) con
dose media di 2,4 mg/Kg e in 4 Ropivacaina 0,75% con dose media di 2,1 mg/Kg. Per tutti i pazienti il volume medio è stato di 0,46 ml/Kg con volume massimo di 20 ml.
Risultati
Il blocco ha garantito un’anestesia ottimale in 14 pazienti. In 1 paziente è stato necessario applicare una maschera laringea per somministrare Sevofluorane a causa di una copertura non ottimale del blocco.
Non è stata rilevata nessuna complicanza ne intra ne post operatoria e tutti i pazienti sono stati inviati al
reparto d’appartenenza dopo un periodo d’osservazione di 10-15 minuti. Non è stata riferita nessuna complicanza nelle 24 ore successive all’intervento.
Discussione
Il numero degli interventi di impianto di VNS è troppo piccolo per un’analisi comparativa statisticamente
significativa. Dati i limiti di uno studio retrospettivo e con piccoli numeri possiamo solo affermare che questa tecnica di anestesia loco-regionale è efficace e sicura e può essere una valida alternativa alle tecniche di
anestesia generale.
Conclusioni
Questa review può servire a stimolare da una parte studi prospettici standardizzati e dall’altra a guardare in
un ottica diversa l’approccio anestesiologico per questo tipo d’intervento. Il blocco del plesso brachiale per
via interscalenica è una tecnica a basso rischio di complicanze maggiori che possono ulteriormente essere
ridotte con la tecnica ecoguidata. Sapere che questo approccio può essere altrettanto valido ci offre una
possibilità in più nella gestione di questi pazienti che spesso presentano un omeostasi in equilibrio precario.
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GESTIONE ANESTESIOLOGICA IN CORSO DI LAPAROSCOPIA
Francesco Dones
Servizio Anestesia Materno-Infantile e Partoanalgesia, AOUP “Giaccone”, Palermo
Nell’ultimo decennio, telecamere computerizzate, monitor ad alta definizione, apparati laser e l’inizio della
robotica, hanno consentito il superamento dei tradizionali confini diagnostico-ispettivi della tecnica, e la
nascita di una vera e propria chirurgia laparoscopica.
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Visita Preoperatoria
È evidente che, la peculiarità della tecnica laparoscopica e le interazioni dello pneumoperitoneo con la
fisiologia respiratoria e cardiovascolare, implicano una valutazione particolarmente approfondita di eventuali patologie d’organo concomitanti. Occorre raccogliere un’approfondita anamnesi familiare, personale
e farmacologica, sulla base della quale richiedere eventuali approfondimenti strumentali, laboratoristici
e specialistici. La visita preoperatoria costituisce un’insostituibile occasione per instaurare un rapporto di
confidenza e di fiducia con il bambino e i genitori.
La medicazione preanestetica può essere somministrata per via orale, intramuscolare, endovenosa e rettale, o sublinguale e nasale, in base a stato fisico ed emozionale del piccolo paziente e in base ai protocolli
dell’ospedale. Il protocollo adottato da noi adottato prevede la somministrazione per via rettale di midazolam 0,6 mg/Kg, ottenendo dopo circa 20 minuti un soddisfacente grado di sedazione per la successiva
induzione.
Monitoraggio Ed Induzione Dell’anestesia
In chirurgia laparoscopica l’anestesia generale con intubazione oro-tracheale è la tecnica raccomandata,
poiché consente un adeguato controllo della ventilazione, un buon rilasciamento muscolare, la protezione
dal rischio di inalazione e un’adeguata analgesia. L’induzione costituisce uno dei momenti più importanti
in anestesia pediatrica; può essere sia inalatoria che endovenosa. La tecnica adottata è la “crush induction”, che risulta più vantaggiosa in termini di rapidità e di comfort per il piccolo paziente, piuttosto che la
tecnica “step by step”. Tale tecnica prevede l’inalazione di concentrazioni elevate di Sevofluorano (8%), per
ottenere una rapida perdita di coscienza, che consente l’incannulazione di un accesso venoso in condizioni ottimali, evitando al piccolo paziente il trauma della venipuntura. Viene data preferenza ai vasi venosi
degli arti superiori, perchè l’aumento della IAP durante l’intervento causa una compressione di grado variabile della cava inferiore, che potrebbe ridurre la circolazione di eventuali farmaci da somministrare in
emergenza. La concentrazione inspiratoria di sevoflurano dall’ 8% viene progressivamente ridotta sino al
dosaggio di mantenimento (3%). In ogni caso, Sinha et al utilizzarono in trenta bambini la classica IOT e
in trenta la maschera laringea ProSeal, dimostrando l’assenza di significative differenze in termini di SpO2
e PEtCO2 prima e dopo l’insufflazione del peritoneo, e la sicurezza ed efficacia della maschera laringea,
assolutamente paragonabile a quella del tubo endotracheale. E’ necessario comunque verificare più volte il
corretto posizionamento del tubo endotracheale, e sospettare intubazione endobronchiale accidentale, in
presenza di un aumento di pressione nelle vie aeree, un incremento dell’EtCO2 ed una ridotta SpO2. E’
utile posizionare un sondino naso-gastrico: ciò agevola il lavoro del chirurgo, previene l’accidentale inserzione del trocar in stomaco, e protegge dal rischio di sindrome di Mendelson. L’inclinazione del tavolo
non dovrebbe superare i 15° e dovrebbe essere raggiunta lentamente per evitare improvvise alterazioni
emodinamiche e respiratorie. Per quanto riguarda il mantenimento, può essere adottata un’anestesia bilanciata con un agente inalatorio, oppioidi e miorilassanti, oppure un TIVA. Riguardo l’uso del N2O alcuni
autori scelgono miscele al 50%; tuttavia si ritiene sia più prudente non utilizzarlo. considerato che qualora
accidentale perforazione intestinale, determinare distensione delle anse intestinali ed aumentare il volume
di eventuali emboli gassosi.
Lo standard di monitoraggio intraoperatorio include: ECG, HR (Heart Rate), pulsossimetria, NIBP (Non
Invasive Blood Pressure), temperatura corporea esofagea, TOF (Train Of Four), EtCO2, valore di entropia
e parametri respiratori quali PIP, volume espiratorio e compliance. Per quanto riguarda il monitoraggio
emodinamico, è invece utile fare una premessa relativamente alle numerose possibilità esistenti attualmente.
L’insufflazione intraperitoneale di anidride carbonica durante procedure laparoscopiche esercita pressioni
che determinano modificazioni sia di tipo ventilatorio oltre che di tipo emodinamico ancora più evidenti in età pediatrica. Pertanto è necessario valutare gli effetti emodinamici dell’incremento delle pressioni
endoaddominali sui pazienti pediatrici mediante ecocardiografia e precisamente l’incidenza della riduzione della gittata cardiaca, le eventuali modificazioni della EF (frazione di eiezione) e della FS (fractional
shortering), aumento del volume di fine diastole e sistole del ventricolo sinistro e ad anomalie della cinesi
ventricolare.
Il monitoraggio emodinamico, a vari livelli e gradi di invasività, può essere considerato un valido ausilio
nel mantenimento dell’omeostasi, nei pazienti da sottoporre ad anestesia per intervento chirurgico. L’anestesia generale e/o l’intervento chirurgico sono infatti condizioni che alterano i normali meccanismi fisiologici che regolano l’omeostasi dell’organismo. Il termine monitoraggio definisce oggi situazioni cliniche
diverse ed una varietà di device a diversa tipologia con diversi tempi e modi di applicazione (pre-, intra-,
e post-operatorio), differenti livelli di complessità e di invasività, che forniscano altrettanti tipi di parametri con lettura in modo intermittente o continuo. Nella comune pratica anestesiologica il monitoraggio
standard permette di orientare la condotta dell’anestesia nei confronti di tutte quelle modificazioni emodinamiche che iniziano con l’induzione dell’anestesia e continuano nelle diverse fasi intraoperatorie. Tra le
tecniche invasive di monitoraggio: Cateterismo dell’arteria polmonare
Il catetere arterioso polmonare di Swan-Ganz , nonostante l’”età” e il dibattito ancora aperto in letteratura
sulla sua utilità rispetto a costi, benefici e complicanze, è ancora una pietra miliare, soprattutto in campo
cardiorespiratorio, in quanto è ancora l’unico strumento a nostra disposizione per la misurazione delle
pressioni arteriose polmonari. Inoltre, l’opportunità di conoscere parametri come SvO2, gittata cardiaca
in continuo, frazione di eiezione EF (Ejection Fraction), volume di fine diastole, possibile con i cateteri
polmonari modificati, rende tale strumento il gold-standard per la gittata cardiaca. Un monitoraggio più
approfondito della funzionalità cardiovascolare è indicato in pazienti a rischio elevato, come nel caso delle
cardiopatie congenite sensibili alle variazioni del pre e del postcarico che si verificano in corso di laparoscopia. Tra le metodiche di monitoraggio mini e non invasive: E’ al vaglio, una serie di tecniche che possono continuare a dare informazioni sullo stato volemico e la perfusione d’organo, esponendo il paziente
ad un minor rischio di complicanze. Nel corso degli ultimi anni, l’accento si è spostato sul concetto di
monitoraggio emodinamico volumetrico, da cui l’esigenza di nuovi strumenti atti a quantificare i volumi
intracardiaci e intratoracici: termodiluizione transpolmonare del singolo indicatore con il sistema PiCCO,
o con il LiDCO plus,.
Il monitoraggio non invasivo, rappresentato dalla cardioimpendenza toracica, dal doppler esofageo, dal
TEE e dal NICO2, rappresenta probabilmente il futuro. La TEE è forse tra le metodiche più interessanti,
attualmente però più con indicazioni diagnostiche più che di monitoraggio. L’ecocardiografia trans esofagea può fornire all’anestesista informazioni sul precarico cardiaco e sulla funzione sistolica dei ventricoli e
permette il controllo di importanti aspetti chirurgici, in particolare durante chirurga specialistica. L’ecocardiografia transesofagea e transtoracica potrebbero entrare a far parte del monitoraggio routinario, per la
diagnosi precoce di eventuali episodi embolici, episodi ischemici (myocardial disfunction), anomalie di cinesi settale, ventricolare e valvolari. Nell’ultima decade la TEE è stata utilizzata sempre più frequentemente
per la quantizzazione del preload, e la determinazione dell’area telediastolica del ventricolo sinistro si è
dimostrata una misura correlata alla gittata sistolica in diverse condizioni cliniche. I dati ecocardiografici
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valutati sono: EF, FS, ESV, EDV e cinesi del ventricolo sinistro. Tali parametri vanno rilevati e confrontati
in quattro momenti principali: T0 prima dell’induzione; T1 dopo l’induzione; T2 15 minuti dopo la creazione dello pneumoperitoneo; T3, 5 minuti dopo la desufflazione. Tali valori vanno rapportati con i dati
rilevati dall’insufflatore relativi alla quantità di CO2 erogata ed alle pressioni intra-addominali nei diversi
tempi di rilevazione ecocardiografica.
Per quanto riguarda il bilancio dei liquidi non è sempre facile stimare con esattezza le perdite; sono
comunque di norma inferiori rispetto a quelle che si verificano durante interventi con tecnica chirurgica
tradizionale. Alcuni Autori somministrano 20 ml/Kg di liquidi prima della creazione del pneumoperitoneo, allo scopo di correggere un’eventuale ipovolemia e ridurre così le conseguenze emodinamiche dell’incremento della IAP (in particolare l’oliguria, legata alla stasi venosa. .Renè Truchon in un’interessante
review, afferma che l’iperidratazione non solo non previene l’oliguria da elevata IAP ma può anche aumentare il tasso di morbidità delle procedure.
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Decorso Postoperatorio
Il monitoraggio delle funzioni vitali deve proseguire in sala di risveglio, considerando che l’incremento
delle SVR indotto dal pneumoperitoneo permane anche dopo la sua cessazione e che il carico di CO2 da
eliminare potrebbe essere tale da richiedere la somministrazione di O2.
Abitualmente si esegue un’infiltrazione dei siti di incisione chirurgica con anestetico locale; pertanto il dolore post-operatorio è sostanzialmente di tipo viscerale, legato in parte alla quota di CO2 residua in cavità
peritoneale, con azione irritante, e stimolazione del peritoneo diaframmatico (tipico dolore riferito alla
spalla destra e al collo). E’ importante quindi procedere ad un’accurata desufflazione del pneumoperitoneo.
Il dolore postoperatorio è comunque ridotto dopo chirurgia videolaparoscopica rispetto alla tecnica chirurgica tradizionale, come si rileva indirettamente dal tipo e dal dosaggio di analgesici utilizzati. La gestione dell’analgesia postoperatoria può essere efficace solo se affrontata con approccio multimodale:
-Infiltrazione con anestetico locale dei siti di introduzione dei trocar;
-Introduzione di anestetico locale attraverso il trocar per diffonderlo sulla superficie peritoneale;
-FANS con azione sul dolore riferito legato a irritazione della superficie peritoneale diaframmatica.;
-Farmaci oppioidi che possono essere somministrati in infusione endovenosa continua mediante pompe
elastomeriche, o con tecniche PCA.
L’anestesia loco-regionale infine può essere una valida proposta a seconda del sito chirurgico, per cui si
può prevedere un’infusione di anestetico locale attraverso un catetere epidurale posizionato a livello caudale, lombare e toracico per le prime 24-48 h.
Nella nostra esperienza possiamo concludere che per pressioni intraaddominali al di sotto di 10 mmHg
non sono state messe in evidenza modificazioni significative relative a EF, FS, EDV, ESV. Mentre paziente
più piccoli (<2 mesi, <5 Kg) hanno mostrato una significativa ipocinesia settale, senza però alterazioni
della motilità della parete ventricolare anteriore e posteriore.
SITUAZIONE DELL’ANESTESIA PEDIATRICA NELL’ AFRICA SUB SAHARIANA
Patrizia Bechi, Francesco Ventrella
SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria - Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
Introduzione
In molti paesi in via di sviluppo le risorse per la sanità vengono stressate da fattori come l ‘HIV, i disastri naturali e le guerre che associati alla fame, alla povertà estrema e alla carenza di personale sanitario producono
un quadro disastroso.
La sicurezza in anestesia negli ultimi anni ha fatto passi da gigante nei paesi industrializzati, ma questi miglioramenti non sono stati estesi ai paesi in via di sviluppo dove l’ anestesia rappresenta ancora un rischio
reale e consistente per il paziente, in particolare per due categorie: le donne in gravidanze ed i bambini in
cui le percentuali di mortalità e morbidità legate all’ anestesia rimangono drammaticamente elevate
Anestesia Nei Paesi In Via Di Sviluppo
le problematiche principali sono legate a:
carenza di personale qualificato
in tutta l Africa subsahariana francofona (13 paesi con una popolazione di
circa 100 milioni) nel 1998 erano presenti 122 medici anestesisti e 828 infermieri di anestesia, questo vuol
dire 1 anestesista ogni 800 mila persone e 1 infermiere di anestesia ogni 100 mila persone. All’interno di
ogni paese c’è poi una netta distinzione nella distribuzione geografica del personale sanitario con l’ 80 % dei
medici anestesisti e il 60 % degli infermieri anestesia che lavorano nelle città capitali. In paesi come il Niger,
il Congo, il Chad, il Togo non esistono medici anestesisti nelle località rurali. L’isolamento intellettuale è
un’altra caratteristica delle strutture sanitarie locali: il 50 % degli infermieri di anestesia non ha mai lavorato
con medici anestesisti e ha ricevuto un addestramento esclusivamente pratico
carenza di attrezzature essenziali e farmaci
l’anestesia in questi paesi è caratterizzata dalla carenza di farmaci
e attrezzature, nessuna manutenzione delle attrezzature, carenze nella gestione preoperatoria e inadeguatezza o assenza di strutture e mezzi per il postoperatorio. Elementi essenziali come l’elettricità, la disponibilità
di ossigeno e acqua corrente sono spesso non disponibili, rendendo obbligate alcune scelte anestesiologiche
“rischiose”.
La disponibilità di farmaci come morfina, propofol, succinilcolina, efedrina è spesso molto limitata; i farmaci più comunemente usati sono la Ketamina, il tiopentale, il fentanyl, la petidina, l’ atropina
e la lidocaina.
Ai problemi di disponibilità vanno poi associati quelli di stoccaggio, conservazione e approvvigionamento.
Chirurgia Pediatrica
Nonostante i pochi dati disponibili si stima che circa il 6-12 % delle ammissioni pediatriche siano pazienti
chirurgici.
Le patologie più frequenti sono le anomalie congenite,le infezioni e gli incidenti della strada.
La chirurgia pediatrica nei paesi in via di sviluppo è caratterizzata dalla mancanza di cure intensive neonatali, dalla carenza di strutture per la gestione pre e post operatorie dei piccoli pazienti nonché dalla carenza
di personale chirurgico addestrato.
Nel 2002 in tutta la west africa operavano soltanto 10 chirurghi pediatrici. La maggior parte delle chirurgia
pediatrica viene quindi svolta da chirurghi generali.
Anestesia Pediatrica
Le problematiche maggiori riguardano anche in questo caso la gestione preoperatoria, il ritardo con cui
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spesso si presentano i pazienti, le tecniche anestesiologiche disponibili e le strutture per la cura postoperatoria.
L’urgenza chirurgica pediatrica è dominata dalla patologia addominale: la patologia principale è sicuramente la perforazione intestinale tifoidea. L’età più comune di presentazione è attorno ai 6 anni, il trattamento
chirurgico è spesso ritardato e in alcuni ospedali solo il 41 % dei casi di perforazione viene gestito con urgenza entro le 24 h dal ricovero.
Anche nel neonato la maggior parte degli interventi sono addominali: 67 % per ostruzioni intestinali o
malformazioni anorettali, 21 % per onfalocele o gastroschisi. Il 40 % di questi interventi viene eseguito in
urgenza.
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Valutazione preoperatoria
La valutazione preoperatoria non può prescindere da un accurata anamnesi e valutazione fisica che in molti
casi può rendersi difficoltosa per differenze linguistiche e culturali presenti all’interno della stessa nazione
tra etnie diverse.
Andrebbero poi ricercate tutte quelle patologie infettive e nutrizionali che potrebbero influenzare la condotta anestesiologica, per poi concludere il quadro valutativo con esami ematici ed eventualmente strumentali.
Purtroppo queste necessità si scontrano con carenze strutturali e di mezzi per cui spesso bisogna accontentarsi di avere il valore dell’ emoglobina, della glicemia, il test per la malaria e una lastra.
Un discorso a parte riguarda l’eventuale necessità di sangue: vista infatti l’ esigua riserva di emazie la prassi
convenzionale è quella dell’approvvigionamento da parte dei familiari diretti del paziente che vanno però
innanzitutto reperiti e soprattutto convinti.
Tutti questi aspetti devono essere proiettati in una realtà che vede spesso il paziente arrivare in ospedale da
zone molto lontane, dopo un viaggio fatto il più delle volte a piedi o con mezzi di fortuna, accompagnato da
un solo familiare, e in cui ogni giorno di degenza rappresenta una giornata lavorativa saltata e quindi una
giornata in cui non si è guadagnato il necessario per sfamare la famiglia
Tecniche anestesiologiche
Nella chirurgia pediatrica le tecniche di anestesia più utilizzate sono l’anestesia generale e l’infiltrazione
locale.
La maggior parte delle anestesia generali viene eseguita utilizzando induzione e mantenimento con Alotano
con i pazienti in respiro spontaneo o in assistenza manuale. L ‘alotano è il gas di scelta per il basso costo, la
disponibilità, la sua farmacocinetica e farmacodinamica e per la possibilità di utilizzare la frequenza cardiaca per giudicare la profondità dell’anestesia.
Per effettuare questo tipo di anestesia vengono utilizzati rudimentali apparecchi di anestesia costituiti da:
-fonte di ossigeno: nella migliore delle ipotesi è disponibile un cilindro di ossigeno di capienza variabile,
questo però pone il problema dello stoccaggio e soprattutto dell’approvvigionamento che in zone rurali diventa estremamente difficoltoso per cui la soluzione più utilizzata ed economica è costituita dai concentratori di ossigeno che però forniscono concentrazioni di O2 non elevate, flussi modesti e soprattutto necessitano
di energia elettrica per funzionare
-vaporizzatore flow over a bypass variabile: generalmente il vaporizzatore
non avrà una calibrazione recente quindi la concentrazione effettiva di gas può variare in maniera significativa da quella impostata
- Pallone ambu da preferire al sistema va e vieni che non può fornire una ventilazione adeguata senza una
sorgente di gas compresso
Le tre componenti vengono generalmente assemblate con vari tubi corrugati a
formare rudimentali sistemi di ventilazione tipo Mapleson A o F.
Il ricorso all’anestesia generale in pediatria può essere associato a complicazioni dovute alla mancanza di
esperienza di ventilazione in ambito pediatrico, alla mancanza di monitoraggio, alla difficoltà nel prevenire
infezioni iatrogene legate al riutilizzo del materiale di consumo, alla mancanza di materiale dedicato alla
pediatria. Nei centri periferici al contrario la tecnica di scelta, percepita come più veloce, più semplice, più
affidabile e conveniente è l’anestesia endovenosa con Ketamina, con o senza oppiacei, con o senza
intubazione orotracheale.
La ketamina viene ampiamente utilizzata sia in chirurgia pediatrica che in chirurgia generale per l’ ampia
finestra terapeutica che lo rende un farmaco sicuro anche in mani poco esperte, per il costo ridotto, la disponibilità elevata, il basso numero di effetti collaterali ( mancata depressione respiratoria, effetto cardiostimolante a fronte di effetti psicotropi “trascurabili” ), la possibilità di utilizzo sia per via ev (1-2 mg/kg) che
im (4-5 mg/kg), la sua versatilità (può essere utilizzato per l’induzione e il mantenimento dell’anestesia e per
l analgesia po)
Nella maggioranza dei casi l’unico monitoraggio disponibile è dato dal pulsiossimetro (se sono disponibili
elettricità o batterie) e soprattutto dallo stetoscopio precordiale e dallo sfigmomanometro.
L’anestesia regionale è raramente utilizzata per i bambini nonostante il fatto che le tecniche e i benefici siano
ormai ben consolidati.
E’ difficile individuare i motivi per cui una tecnica utile e poco costosa come la caudale o la spinale non trovi
ampia applicazione nella pratica quotidiana, ma questo probabilmente si riferisce alla mancanza di istruzione, formazione e attrezzature.
Post Operatorio E Complicanze
Nei paesi in via di sviluppo i servizi di chirurgia pediatrica sono scarsamente organizzati e non ci sono strutture per la terapia intensiva neonatale, il post operatorio e la gestione del dolore, già scarsi nell’adulto, sono
ancora più problematiche nel bambino.
A peggiorare ulteriormente ci sono le difficoltà di accesso agli emoderivati, agli antibiotici e ai supplementi
nutrizionali. Tutti questi fattori incidono negativamente sugli esiti post operatori e in particolare sulla prognosi della peritonite da perforazione tifoidea.
Le emergenze neonatali sono sicuramente le più problematiche, con indici di mortalità perioperatoria dell’
11,5 %riferito a neonati sottoposti a colonstomia per malformazioni anorettali; le infezioni postoperatorie
con o senza distress respiratorio sono la principale causa di morte nel 30 % di questi bambini.
Conclusioni
l’anestesia pediatrica nell’africa subsahariana è lungi dall’essere sicura. Diversi motivi interconnessi sono
alla base di questa situazione: la povertà, la difficoltà all’accesso alle cure, lo scarso numero di professionisti
anestesisti e chirurghi pediatrici.
L’aiuto della comunità internazionale diventa quindi prioritario;: la presenza di personale sanitario qualificato, ponendo l’accento sulla qualità della formazione piuttosto che sulla quantità di lavoratori, diventa un
fattore fondamentale in una specialità come l’anestesia pediatrica.
Miglioramenti a lungo termine saranno possibili solo se le politiche nazionali riconosceranno che i servizi
sanitari rappresentano uno strumento di sviluppo.
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TERAPIA INTENSIVA
USO DELL’OSSIGENO NEL NEONATO IN TERAPIA INTENSIVA
OSSIGENOTERAPIA IPERBARICA NEL BAMBINO: QUANDO E COME
Virgilio Paolo Carnielli, Cristiano Flumini
Pietro Iuliano
SOD Neonatologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”, Presidio
Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
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L’ossigeno è uno dei farmaci più usati in Terapia Intensiva Neonatale con lo scopo di ottenere una sua
adeguata distribuzione ai tessuti. Per molti anni è stato considerato una terapia consolidata nel neonato e
non è stato affatto messo in discussione. Negli ultimi 25 anni sulla base di molteplici studi le Linee Guida
della Rianimazione Neonatale della American Academy of Pediatrics dal 1992 ad oggi ne hanno radicalmente cambiato le modalità d’uso nel neonato. L’ultima edizione 2010 indica target di saturazione
progressivamente maggiori fino a circa 10 minuti dopo la nascita, da misurare con il pulsossimetro.
Inoltre in caso di necessità di ossigeno si consiglia di usare il miscelatore aria/ossigeno per fornire la quantità
di ossigeno strettamente necessaria, riducendo il rischio dello stress ossidativo. Nel neonato a termine viene
indicata la possibilità di iniziare le manovre di rianimazione con l’aria ambiente, mentre nel neonato
pretermine, poiché non ci sono sicure evidenze che guidano una SatO2 ottimale, si suggerisce un range
assai ampio con FiO2 tra 30 e 90%. Alcuni recenti studi hanno rilevato proprio come nei neonati pretermini
alle alte saturazioni (91-95%) si abbia una riduzione della mortalità ma un aumento di Displasia
Broncopolmonare (BPD) e Retinopatia della prematurità (ROP), mentre alle basse saturazioni (85-89%)
una riduzione della ROP e BPD e un aumento della mortalità. Attualmente non è noto un target di SpO2
nei pretermini, che riesca a bilanciare mortalità e morbilità, e questo dovrà essere oggetto di ulteriori studi.
Anestesia Rianimazione e Terapia Iperbarica del Centro di Medicina Subacquea ed iperbarica, Azienda Ospedaliera
“Santobono-Pausilipon”
La Camera Iperbarica è un ambiente pressurizzato con aria in modo da aumentare la pressione interna a
valori superiori a quelle di esercizio ed adibita ad alloggiare più pazienti, anche quelli che necessitano di
barella e relativo personale sanitario e parasanitario .
Il trattamento iperbarico ( OTI ) utilizza pertanto come elementi terapeutici sia la pressione che la somministrazione per via inalatoria di ossigeno al 100% mediante l’uso di maschere facciali, caschi, tubi endotracheali, applicate per un tempo non inferiore a 60 minuti.
Fisiologia Dell’ossigeno
L’assorbimento e la diffusione tessutale dell’ossigeno iperbarico è regolata dall’applicazione di leggi fisiche dei
gas (legge di Henry, Boyle-Mariotte, Dalton).
La legge di Henry afferma che la quantità di un gas ( O2 ) che si discioglie in un liquido ( plasma ) è direttamente proporzionale alla pressione che il gas esercita sulla superficie del liquido e dal suo coefficiente di
solubilità. La Legge di Boyle-Mariotte afferma che a temperatura costante, il volume di una certa quantità
di gas varia in modo inversamente proporzionale alla pressione a cui viene sottoposto. Ciò comporta che,
aumentando la pressione, il volume del gas contenuto nelle cavità corporee e nelle attrezzature si riduca,
viceversa il volume aumenta.
Legge delle pressioni parziali di Dalton La pressione totale esercitata da una miscela di gas è uguale alla
somma delle pressioni parziali dei gas componenti la miscela stessa. Variando la pressione dell’aria respirata
variano anche le pressioni parziali dei gas che la compongono e variano di conseguenza gli effetti provocati
sull’organismo dai gas stessi. Ad esempio l’ossigeno, che costituisce circa il 21% dell’aria che respiriamo ha
una pressione parziale di 200 millibar se respirato ad una profondità di 30 metri ( 4 ATA) ha una pressione
parziale di 800 millibar. L’ossigeno diviene tossico se respirato ad una pressione parziale di circa 2 bar, se
respirato miscelato nell’aria della bombola diviene quindi tossico a 90 metri (10 ATA), respirato invece in
forma pura ossigeno) diviene tossico a 10 metri.
Un soggetto a pressione ambiente (760 mmHg o 1 ATA) respira aria formata da O2 al 21% e N2 al 79%. L’ossigeno in condizioni normali è trasportato dai globuli rossi legato all’emoglobina per il 97%. un grammo di
Hb trasporta 1.34 ml di O2 la quantità di Hb presente in 100 ml di sangue è di 15 grammi quindi la quantità
di O2 trasportato dai Globuli Rossi in 100 ml di sangue è di 19,7 ml mentre la quantità di O2 fisicamente
disciolto nel plasma in 100 ml di sangue è di 0.32 ml.
In condizioni normobariche la respirazione di ossigeno al 100% (FiO2=1) determina variazioni minime
dell’ossigeno legato all’emoglobina che passa da valori di 19.7 a 20.1 ml per 100 ml di sangue, mentre la quota
di O2 disciolta nel plasma passa da 0.32 a 2.09 ml per 100 ml di sangue.
In condizioni Iperbariche, alla pressione di 2.0-2.8 ATA, la respirazione di ossigeno al 100% (FiO2 =1)
determina un aumento delle pressioni parziali dell’ ossigeno fino ad arrivare a valori di 1560-2280 mmHg.
pertanto per la legge di Henry l’O2 legato all’emoglobina in condizioni iperbariche non subisce variazioni,
mentre la quota disciolta nel plasma ha un notevole incremento passando da 0.32 ml per 100 ml di sangue
a ml per 100 ml di sangue.
Effetti
L’aumento della pressione parziale e l’incremento quindi di O2 trasportato dal plasma determina da un lato
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una maggiore disponibilità in periferia favorendo l’azione di stimolo sui processi riparativi cellulari, la proliferazione fibroblastica, la neoangiogenesi, l’attività battericida\batteriostatica (anaerobi ), dall’altro ripristina
un corretto legame O2 - Hb “spiazzando” quelle sostanze con maggiore affinità (monossido di carbonio - CO )
che ne rendono instabile la molecola.
USO DEL SURFACTANTE ESOGENO NEL’ ARDS PEDIATRICA
Indicazioni
1. Malattia da Decompressione
2. Embolia gassosa arteriosa (iatrogena o barotraumatica)
3. Gangrena gassosa da clostridi
4. Infezione acuta e cronica dei tessuti molli a varia eziologia
5. Gangrena e ulcere cutanee nel paziente diabetico
6. Intossicazione da monossido di carbonio
7. Lesioni da schiacciamento e sindrome compartimentale
8. Fratture a rischio
9. Innesti cutanei e lembi a rischio
10. Osteomielite cronica refrattaria
11. Ulcere cutanee da insuffi cienza arteriosa, venosa e post-traumatica
12. Lesioni tissutali post-attiniche
13. Ipoacusia improvvisa
14. Osteonecrosi asettica
15. Retinopatia pigmentosa
16. Sindrome di Meniere
17. Sindrome Algodistrofica
18. Parodontopatia
Patologie come l’ Acute Respiratory Distress Syndrome (ARDS) e/o l’ Acute Lung Injury (ALI) sono la
maggiore causa di mortalità in età pediatrica dopo il trauma cranico e sono anche tra le maggiori cause di
ricovero e morbilità in terapia intensiva pediatrica. La sindrome continua a presentare un’elevata mortalità nonostante i progressi in campo patofisiologico e le differenti modalità di trattamento proposte (HFJV,
HFOV; ECMO, Inverted ratio, nitric oxide).
Controindicazioni
Assolute:
Broncopneumopatie croniche ostruttive di grado medio grave
Enfisema bolloso
Pneumotorace spontaneo
Asma
Epilessia
Patologie cardiache ischemiche e/o congestizie
Gravidanza
Claustrofobia e panico
Febbre
Sferocitos
Relative:
Otite e/o sinusite recidivante
Ipertensione arteriosa non trattata farmacologicamente
Patologie polmonari restrittive e/o restrittive di grado elevato
Glaucoma, distacco di retina anche se trattato chirurgicamente (manovre di compensazione)
Tutti i casi che si presentano in condizioni gravi e urgenti, consentono di anteporsi alle controindicazioni
relative, pur conducendo i relativi trattamenti con le cautele che queste impongono.
Lo stato di coma si antepone allo stato di male epilettico e alla claustrofobia.
In presenza di avvelenamento di monossido di carbonio la donna in stato di gravidanza può essere trattata
in camera iperbarica.
Luca Tortorolo
Terapia Intensiva Pediatrica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
L’ARDS/ALI è caratterizzata da un danno dell’endotelio arteriolo/capillare e dell’epitelio alveolare, con interessamento degli pneumociti di I° e II° tipo, dovuto a differenti cause tra le quali hanno maggiore incidenza
la sepsi, la sindrome d’aspirazione, il politrauma e l’eccessiva infusione di liquidi.
La perdita delle funzioni del surfattante può essere dovuta a:
1. inibizione da parte delle proteine plasmatiche presenti nell’alveolo;
2. distruzione del surfattante da parte delle fosfolipasi;
3. formazione di prodotti di perossidazione inattivi;
4. produzione e possibile distruzione di apoproteine;
5. spiccata conversione in piccoli aggregati che risultano inattivi.
Il danno della membrana alveolo-capillare favorisce la perdita di surfattante per passaggio nell’interstizio
polmonare e nel sangue. L’ipossia, l’ipercapnia, l’acidosi e la ridotta capacità funzionale residua partecipano
nell’inibizione del metabolismo del surfattante. Infine, la ventilazione artificiale con grandi volumi correnti
ed elevate concentrazioni di ossigeno possono ulteriormente ridurre o danneggiare il surfattante alveolare
e bronchiolare.
Per tutti questi motivi, il surfattante naturale esogeno trova un razionale nel trattamento dell’ARDS, in
quanto può restaurare l’attività del sistema surfattante, stabilizzare e mantenere pervi gli alveoli e i bronchioli
che hanno la tendenza al collasso e permettere la riventilazione di aree non ventilanti. Diversi studi sperimentali hanno evidenziato l’ efficacia della somministrazione di surfactante esogeno in modelli animali di
ARDS/ALI dovute alle eziologie più varie. In questi studi il surfactante esogeno si è dimostrato una sostanza
molto potente ed efficace nel far regredire l’ insufficienza respiratoria migliorando gli scambi gassosi a livello
alveolare. Passando agli studi su soggetti umani oltre l’ età neonatale i risultati non sono così esaltanti. Al
di fuori dell’ età neonatale l’ eziologia che sottende all’ ARDS/ALI è molto etereogenea ed è difficile creare
popolazioni di studio omogenee e confrontabili. Altro fattore che sicuramente influenza i risultati, riguarda il dosaggio e la modalità di somministrazione che, al di fuori dell’ età neonatale, ancora non sono state
affatto standardizzate. Comunque nonostante tutti questi problemi che influenzano negativamente l’ attendibilità dei risultati, esistono alcune pubblicazioni in letteratura che hanno già dimostrato l’ efficacia del
surfactante in alcune casi specifici di insufficienza respiratoria del bambino come nelle bronchioliti. Infatti
concentrandosi su una popolazione ristretta e molto omogenea come quella dei bambini con bronchiolite
si sono riusciti ad ottenere risultati di evidente efficacia del surfactante relativamente ai maggiori indici di
outcome come mortalità, durata della ventilazione, ossigenoterapia, durata del ricovero in terapia intensiva
etc. Rimangono però ancora da chiarire molti aspetti importanti. In certi studi si è preferito somministrare
il surfactante tramite la classica instillazione tracheale come avviene nei neonati prematuri, ma altri hanno
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utilizzato una somministrazione tramite broncoscopio che permette di essere molto più selettivi ed accurati nel raggiungere le zone che maggiormente necessitano della supplementazione di surfactante. Un’altra
modalità prospettata è, poi, quella del broncolavaggio che introduce alcune prospettive di utilizzo molto
interessanti in quanto, in questo caso, il surfactante esogeno non verrebbe utilizzato soltanto come sostituzione di quello alterato ma, in un primo tempo, servirebbe come detergente per ripulire l’alveolo da tutte
quelle sostanze infiammatorie ed ossidanti che causano la stessa inattivazione del surfactante endogeno.
Infatti mentre in età neonatale si ha prevalentemente un problema di ridotta produzione di surfactante, nel
bambino più grande, qualsiasi sia la causa dell’ ARDS, la dinamica prevalente del danno è dovuta ad una
inattivazione del surfactante endogeno da parte delle sostanze infiammatorie ed ossidanti che riempiono l’
alveolo. Questo tipo di approccio sembra il più razionale e conseguente in quanto prima si ripulisce l’alveolo
riaspirando il surfactante esogeno instillato utilizzando le sue propietà detergenti e poi in un secondo tempo
si utilizza una piccola dose come supplementazione. Fra l’ altro ciò permette di usare dosi minori in quanto
se gli alveoli risultano ben ripuliti il surfactante esogeno ha meno possibilità di essere inattivato. Il broncolavaggio inoltre può essere fatto anche con il broncoscopio che ne aumenta l’ efficacia detergente e ne riduce
ancora di più le dosi di supplementazione. Da tutto ciò risulta anche abbastanza evidente il perché non
esista un dosaggio standardizzato per l’ utilizzo del surfactante al di fuori dell’ età neonatale, e come questo
possa essere influenzato in maniera importante dalla modalità di somministrazione. Nel broncolavaggio
inoltre si utilizza un surfactante diluito fino a 10 volte rispetto a quello usato nella normale supplementazione. Tutti questi aspetti legati ai dosaggi ed alle modalità di somministrazione sono già stati oggetto di
diversi studi sperimentali su animali ed iniziano a comparire i primi studi pilota sull’ uomo. Si tratta per ora
di piccole casistiche che non possono dare risultati definitivi ma che vanno tutti nella direzione di una certa
maggiore efficacia quando il surfactante viene somministrato con la tecnica del broncolavaggio e/o tramite
broncoscopio.
Sempre riguardo alle modalità di somministrazione una possibilità ancora però ad uno stadio molto sperimentale è quella della somministrazione x via aerosolica. Tale tecnica di somministrazione, che era già
stata sperimentata su soggetti adulti diversi anni fa, aveva incontrato notevoli difficoltà nel far raggiungere
quantità adegaute di surfactante a livello alveolare. Innanzitutto la maggior parte della sostanza durante l’aerosolizzazione già subiva alterazioni strutturali importanti che la rendevano inattiva e poi un’ altra grossa
parte della sostanza si fermava nel circuito di somministrazione e nelle prime vie aeree senza raggiungere
mai l’alveolo. In questi ultimi anni si stanno mettendo appunto apparecchiature x aerosol molto più efficaci
che sono in grado di far raggiungere una adeguata quantità di surfactante fino all’ alveolo senza alterarne
la struttura. Inoltre sono allo studio anche nuove molecole di surfactante sintetico che sembrano essere più
resistenti ai traumi meccanici legati alla somministrazione x aerosol e quindi avere maggiore possibilità di
raggiungere le vie aeree rimanendo funzionalmente attive. Questi surfactanti sintetici oltre a essere più adatti alla somministrazione aerosolica sarebbero anche più resistenti alla degradazione e all’ inattivazione da
proteine infiammatorie e sostanze ossidanti. Ciò li rende particolarmente interessanti all’ utilizzo specifico
nell ‘ ALI/ARDS dove il danno maggiore è proprio legato alla presenza di queste sostanze nell’ alveolo. La
somministrazione aerosolica aprirebbe inoltre la possibilità di un trattamento precoce cercando di intervenire anche su forme di insufficienza respiratoria ancora in fase iniziale che non necessitano di intubazione
ed assistenza respiratoria meccanica. Il vantaggio di un trattamento precoce potrebbe migliorare l’ efficacia
ed anche ridurne ulteriormente il dosaggio.
In conclusione è evidente che esiste un forte razionale x l’ utilizzo di surfactante esogeno nel trattamento
dell’ ALI/ARDS del bambino. Devono ancora essere ben definiti i dosaggi efficaci e le modalità di somministrazione più accurate, ed un grosso sforzo deve essere fatto nel tentativo di organizzare studi con casistiche
numerose ma con popolazioni il più omogenee possibili. Altra possibilità di grosso sviluppo è la messa a
punto di surfactanti specifici che siano più resistenti all’ inattivazione e più consoni alla somministrazione
FISIOPATOLOGIA E TRATTAMENTO INTENSIVO DELLA NEC
Virgilio Carnielli, Gianluca Ciambra, Stefano Nobile
SOD Neonatologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”, Presidio
Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
La NEC è una patologia gastrointestinale grave, potenzialmente letale di cui non si conosce a tutt’oggi la
causa, che colpisce principalmente i neonati pretermine. L’incidenza è del 5-8% dei ricoverati in terapia
intensiva neonatale (TIN) all’anno, variabile da Centro a Centro e risulta inversamente correlata all’età
gestazionale (EG) del paziente. La mortalità varia dal 20 al 40%.
L’eziopatogensi è complessa, di natura multifattoriale conseguenza dell’interazione di fattori quali la prematurità, la ridotta perfusione intestinale, la nutrizione enterale con osmolarità elevata, la sovrainfezione
batterica. L’ipotesi patogenetica più probabile prevede un iniziale danno ischemico a carico della mucosa
che predispone alla sovrainfezione batterica mentre l’alimentazione enterale costituirebbe un substrato
per la proliferazione batterica. La prematurità però rappresenta da sola il fattore di rischio più importante;
prematurità intesa come immaturità della motilità gastrointestinale, dell’abilità digestiva, della regolazione
vasomotoria circolatoria, della barriera e delle difese immunitarie. L’immaturità di queste funzioni predispone al danno intestinale e all’inappropriata risposta ad esso. Un ruolo importante difatti è attribuito
anche alla risposta immunitaria; le cellule intestinali immature mostrano avere un’esagerata risposta infiammatoria agli stimoli patogeni in parte conseguente ad un anomala o immatura espressione dei Pattern
Recognition Receptor, recettori coinvolti nel riconoscimento delle cellule batteriche e conseguentemente
nell’attivazione dell’infiammazione e nella regolazione dell’apoptosi cellulare.
Dal punto di vista clinico i segni possono essere locali quindi addominali come la distensione addominale,
l’intolleranza all’alimentazione (ristagni, vomito), la presenza di sangue nelle feci o sistemici come la letargia, le apnee di non altra natura, l’acidosi metabolica, lo stato di shock.
Gli esami di laboratorio mostrano un quadro di leucocitosi neutrofila a cui può associarsi una piastrinopenia e un rialzo degli indici di flogosi non dissimile da un quadro settico.
Dirimente sono invece le alterazioni radiologiche ad una diretta addome come la presenza di pneumatosi
intestinale (aria all’interno della parete intestinale) o i segni di pneumoperitoneo (es falce d’aria sottodiaframmatica) altri segni meno specifici ma comunque utili possono essere la presenza di aria a livello
portale, la presenza di un’ansa fissa, i livelli idroaerei o l’ispessimento della parete intestinale.
Dal punto di vista diagnostico la NEC può essere inquadrata in 5 stadi secondo la classificazione di Bell
(a seconda della presenza e dell’associazione di vari segni clinici e/o radiologici).
Bell I
NEC sospetta
Bell IIa
NEC certa (lieve)
Bell IIb
NEC certa
(moderata)
Bell IIIa
NEC grave
con alto
rischio di
perforazione
Bell IIIb
NEC con
perforazione
Poiché il paziente può andare incontro a un deterioramento rapido delle condizioni generali, assume fondamentale importanza un adeguato monitoraggio delle condizioni cliniche, che consta di: frequente esame
obiettivo e rilievo dei parametri vitali per identificare precocemente l’insorgenza di shock o complicanze;
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LA RIANIMAZIONE APERTA: UN SOGNO
IMPOSSIBILE O UNA INNOVAZIONE POSSIBILE?
RX diretta dell’addome, EGA e conta piastrinica ogni 6-8 ore; posizionamento di un catetere venoso
centrale per infusione di fluidi/amine e di un catetere arterioso per il monitoraggio cruento della pressione
arteriosa; monitoraggio della funzione cardiaca tramite ecocardiogramma; monitoraggio della perfusione
periferica utilizzando NIRS cerebrale/addominale, valutazione del peso, bilancio idrico, diuresi.
La terapia medica può essere schematizzata come segue a seconda dello stadio di malattia:
Bell I
Bell IIa
Bell IIb
Bell IIIa
Bell IIIb
Digiuno, SNG
Digiuno, SNG
Digiuno, SNG
Digiuno, SNG
Digiuno, SNG
Antibiotici per
72 ore in attesa
di emocoltura
Antibiotici per
7-10 gg
Antibiotici per 14 gg
Antibiotici per 14 gg
Antibiotici per
14 gg
Prevenzione/terapia Prevenzione/terapia
dello shock
dello shock
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Prevenzione/
terapia dello shock
Paracentesi
(se < 1000 g ed
instabile)
Intervento o
Paracentesi
(se < 1000 g
ed instabile)
Assistenza
ventilatoria,
correzione acidosi
metabolica
Assistenza
ventilatoria,
correzione
acidosi
metabolica
Le indicazioni all’intervento chirurgico sono:
1.Perforazione intestinale;
2.Shock non responsivo al trattamento;
3.Piastrinopenia grave e persistente o ingravescente;
4.Acidosi metabolica ingravescente con SBE in riduzione di più di 10 punti o lattato in aumento.
Nel periodo post-operatorio, il paziente resta a digiuno per un periodo di tempo variabile tra una e due
settimane, e successivamente viene rialimentato con formule semi-elementari e latte materno.
Altri aspetti di fondamentale importanza nel post-intervento sono la gestione dei fluidi (può verificarsi un
sovraccarico di fluidi durante l’intervento), la terapia del dolore, l’identificazione precoce di complicanze
addominali quali deiscenza di suture, emorragie, fistole, necrosi di anse non ben perfuse eventualmente
lasciate in sede.
TERAPIA INTENSIVA APERTA: LE RAGIONI DI UNA SCELTA
Alberto Giannini
Terapia Intensiva Pediatrica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Con il termine di Terapia Intensiva (TI) “chiusa” ci si riferisce in genere ad un reparto con accesso limitato
e che, pertanto, contiene o interdice la presenza – e talora anche la sola visita - dei familiari (e degli altri
visitatori). Di fatto, però, questa chiusura non si esaurisce solo sul piano temporale, ma si esprime anche
sul piano fisico e, soprattutto, su quello relazionale. Al piano fisico appartengono tutte le barriere che,
con motivazioni diverse, vengono proposte o imposte al visitatore (assenza di contatto fisico col paziente,
camice, mascherina, guanti, ecc.). A quello relazionale appartengono invece tutte le espressioni, sia pure
di diversa intensità, di una comunicazione frammentata, compressa o addirittura negata fra i tre elementi
che costituiscono i vertici del particolare “triangolo relazionale” che si viene a costituire in TI: il paziente,
l’équipe curante e la famiglia.
Per analogia, ma in modo quasi antitetico, la TI “aperta” può essere invece definita come la struttura di
cure intensive dove uno degli obiettivi dell’équipe è una razionale riduzione o abolizione di tutte le limitazioni non motivatamente necessarie poste a livello temporale, fisico e relazionale.
Due recenti studi hanno posto in evidenza come in Italia la quasi totalità delle TI abbia politiche restrittive
in tema di presenza di familiari e visitatori. In concreto, il tempo di visita a disposizione è molto limitato
- in media due ore al giorno - e vengono attuate restrizioni sia sul numero dei visitatori (92% delle TI) sia
sul tipo di visitatori (il 17% dei reparti ammette solo familiari stretti, il 69% non permette che i bambini
facciano visite). Parte delle TI, inoltre, non modifica le sue regole per l’acceso dei visitatori se il paziente ricoverato è un bambino (9%) né se il paziente sta morendo (21%). I reparti con elevato numero di ricoveri
e quelli appartenenti alle regioni del Sud e delle Isole hanno orari di visita significativamente più bassi. Un
quarto delle TI non ha una sala d’attesa per i familiari e, infine, il 95% di esse obbliga i visitatori a indossare
indumenti protettivi.
La possibilità di stare accanto al proprio caro rappresenta uno dei cinque bisogni principali (insieme a
informazione, rassicurazione, sostegno e confort) dei familiari di pazienti ricoverati in TI, ma medici e
infermieri speso sottostimano questo aspetto. Il ricovero in TI e la separazione dal proprio mondo degli
affetti rappresentano un motivo di grande sofferenza sia per il paziente sia per la famiglia, e numerosi dati
suggeriscono che la liberalizzazione dell’accesso alla TI per familiari e visitatori non solo non è in alcun
modo pericolosa per i pazienti ma è anzi benefica sia per loro sia per le famiglie. In particolare l’”apertura”
della TI non causa un aumento delle infezioni nei pazienti, mentre si riducono in modo statisticamente
significativo tanto le complicanze cardio-vascolari quanto gli indici di ansia e stress. Un ulteriore effetto
positivo è rappresentato poi dalla netta riduzione dell’ansia nei familiari.
La presenza dei familiari di per sé non riduce il livello di assistenza al paziente, anche se può essere percepita dagli infermieri come un elemento di interferenza - e di sovraccarico – nella loro attività.
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L’ESPERIENZA DELLA RIANIMAZIONE PEDIATRICA SALESI
Ignazia Laganà,
Autori: Laganà I, Giretti R.
SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
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Cinque anni fa la Direzione Generale dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona, decideva di dare il via al progetto di apertura delle Rianimazioni dell’Azienda stessa ai familiari dei degenti. La Rianimazione Pediatrica
del Presidio Ospedaliero Salesi venne scelta come “pilota” del progetto.
Negli ultimi anni che precedettero l’apertura, la situazione della Rianimazione del Salesi era quella di una
struttura “semiaperta” in cui era “consentito” l’ingresso dei familiari dei degenti due volte al giorno, per un
tempo di “visita” di 45-60 minuti (dalle 13 alle 14 e dalle 18 alle 19). In alcuni casi, era concesso il “permesso”, ad un familiare, di assistere il bambino in modo continuativo. Quando si aprì la Rianimazione esisteva
quindi già una situazione di “semiapertura” si potrebbe dire “allargata”, ma si trattava di una situazione non
codificata e in qualche modo caotica, perché la scelta di “permettere” ai genitori di restare con i loro figli
oltre gli orari canonici di visita era vincolata a decisioni prese di volta in volta dai Sanitari in base a loro personali criteri di giudizio. La Rianimazione “aperta” del Presidio Salesi fu inaugurata il 6 aprile 2009. Nei due
anni precedenti il personale aveva seguito un percorso formativo obbligatorio. Concluso quest’ultimo erano
state apportate le modifiche strutturali ai locali della Rianimazione suggerite dagli operatori stessi al termine
della formazione. Il percorso formativo dal titolo “Verso una Rianimazione aperta” era articolato in quattro
giornate. Nelle prime tre venivano spiegate da Psicologi e Medici esperti sull’argomento le motivazioni che
spingevano all’apertura. Venivano illustrati i principi della Carta di Leida e di quella dei diritti dell’infanzia.
L’intervento di colleghi Medici ed Infermieri provenienti da varie Rianimazioni “aperte” d’Italia apportava
il contributo indispensabile dell’esperienza maturata in questo campo. Nella quarta giornata gli operatori,
con il supporto di due Psicologi traevano le conclusioni del percorso formativo, identificavano le criticità
architettoniche della struttura proponendo le possibili modifiche da apportare e definivano le regole da rispettare per il personale e per l’utenza. A tre anni di distanza dall’apertura l’esperienza della Rianimazione
del Salesi è ancora in divenire. Alcune delle regole stabilite all’inizio sono state modificate più volte, alla
luce dell’esperienza maturata con il tempo (es. orario di ingresso ed uscita, chi possa o meno entrare, etc).
Lo scorso anno è stato istituito un “Comitato di controllo” composto da due Medici e due Infermieri (che
quest’anno saranno affiancati dal Direttore e dal Coordinatore). Il compito del Comitato è di sovrintendere
all’andamento generale della Rianimazione aperta, raccogliendo le segnalazioni delle criticità emergenti e
proponendo soluzioni ad esse. Lo scorso anno è stato somministrato al Personale un “Questionario di soddisfazione” in cui veniva anche chiesto di suggerire proposte di miglioramento nel caso venissero rilevate
delle criticità. Dai 29 questionari rientrati compilati risulta che 20 operatori avevano già avuto esperienze di
lavoro in Rianimazioni chiuse, mentre 9 avevano lavorato solo in strutture aperte.
Risultati: Solo il 10% degli operatori non si sente condizionato dalla presenza dei familiari dei degenti, il 56%
si sente condizionato solo in alcune fasi del lavoro, il 34% prova un condizionamento costante. Il condizionamento incide per il 15% sul rendimento
lavorativo, per il 20% sul carico emozionale, per il 65% su
entrambi. La presenza dei genitori è ritenuta positiva per il paziente dal 72,4% degli operatori, per il 13,7%
è controproducente, il 17,2% la ritiene inutile . Nella Rianimazione aperta i genitori sono più diffidenti per
il 60% degli operatori, più fiduciosi per il 26,6%, come nella Rianimazione chiusa per il 13,3%. Il 90% degli
operatori che hanno lavorato in Rianimazioni chiuse ritiene sia ora più gravoso il carico emotivo, per il 10%
è come prima, per nessuno è meno gravoso. Il personale si sente meno gratificato nel 35% dei casi, più gratificato nel 20%, come prima nel 45% dei casi. Il 32% degli operatori si sente abbastanza preparato al lavoro
in una Rianimazione aperta,il 21% sufficientemente, il 25% poco e il 14,2% assolutamente non preparato.
La presenza di uno psicologo “dedicato” al personale è utile per il 50% degli operatori, indispensabile per il
32,2%, indifferente per il 17,8%. I limiti strutturali della Rianimazione sono tollerabili per il personale nel
45,8% dei casi, intollerabili nel 25% , mentre il 28% degli operatori non risponde. Dall’analisi dei dati del
questionario si evince che la maggior parte degli operatori vive ancora con difficoltà l’esperienza dell’apertura della Rianimazione e questo nonostante buona parte di essi (72%) ritenga positiva per i pazienti la presenza dei familiari. A nostro avviso quello che manca ed emerge dalle risposte (anche da quelle alle domande
aperte in cui venivano richiesti suggerimenti agli operatori e che qui non sono riportate) è una maggiore responsabilizzazione dei singoli che faccia sentire ognuno artefice e non solo strumento di questa nuova realtà.
Il Comitato di controllo avrà il compito di esaminare le problematiche portate dai rappresentanti del personale medico ed infermieristico e proporre soluzioni da esaminare poi in riunioni plenarie del personale. Incontri di formazione, anche di breve durata ma periodici sarebbero molto utili, anche in considerazione del
continuo turn-over del personale soprattutto infermieristico. La presenza di uno psicologo per il personale
sarà tra breve realtà e senz’altro rappresenterà un forte supporto per gli operatori come richiesto dall’80%
di essi. Nel contempo sarà necessario anche un maggiore impegno sul fronte “educazione dell’utenza alla
Rianimazione aperta”, che è sempre comunque appannaggio di noi operatori e che è imprescindibile da una
nostra precedente formazione e dal nostro aver assimilato e fatto propri i principi che sono alla base dell’apertura delle Rianimazioni. Nello svolgimento di questa relazione abbiamo evidenziato espressioni come
“permettere” di restare, ingresso “consentito” perché la rivoluzione di pensiero che sottende all’apertura di
strutture di area critica tradizionalmente “chiuse” è proprio questa: capire che non si permette o si concede
nulla, i pazienti ed i loro familiari hanno diritto di restare vicini in un momento così difficile della loro vita,
aberrazione è pensare che la separazione sia inevitabile , necessaria o addirittura funzionale alla guarigione.
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EMERGENZA
RETE DELL’EMERGENZA PEDIATRICA NELLA REALTÀ ITALIANA
Giovanni Cardoni
Dipartimento di Emergenza Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”, SOD Medicina e Chirurgia d’accettazione e urgenza pediatrica, Presidio Materno-Infantile “Salesi” Ancona
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L’emergenza-urgenza in età evolutiva presenta delle caratteristiche fisiopatologiche che condizionano un
corretto approccio assistenziale. Innanzitutto, il fattore età condiziona fortemente la manifestazione clinica
ed il corretto intervento terapeutico: la precarietà dei meccanismi preposti all’omeostasi, spesso compromessi nel neonato immaturo, la presenza di malformazioni congenite, la variabilità espressiva verbale e
dolorifica, la debole e spesso relativa azione di compenso ad una iniziale e progressiva insufficienza respiratoria e cardiocircolatoria condizionano l’esito delle cure soprattutto nei primi anni di vita. Statisticamente,
le emergenze pediatriche sono più rare rispetto all’adulto, ma più imprevedibili e talora sconcertanti nella
progressione evolutiva sfavorevole; le emergenze riguardano essenzialmente l’apparato respiratorio, più rare
quelle neurologiche, ancor più quelle cardiovascolari, prevalenti invece nell’adulto; inoltre, le emergenze
pediatriche sono più connesse, rispetto a quelle dell’adulto, a problematiche di natura chirurgiche.
La tematica relativa alle urgenze pediatriche è più complessa e variabile: c’è infatti la necessità di distinguere
le urgenze vere, riferibili a sintomi e segni clinici obiettivamente rilevabili, da quelle soggettive, ben più numerose e che sottintendono variegati aspetti e motivazioni di ordine sociale, culturale, etico e religioso in un
rapporto operatore sanitario/paziente (genitore e bambino) spesso difficile. Il territorio deve assolutamente
riconsiderare l’intervento educativo-preventivo in età evolutiva, cercando soprattutto di correggere uno stile
di vita foriero di un costante incremento delle malattie cronico-degenerative ormai prevalenti nell’adulto
e che hanno costi molto elevati. Pertanto, un nuovo impegno territoriale (pediatria di famiglia, consultori
familiari e dipartimento di prevenzione) ed una razionalizzazione delle troppe pediatrie ospedaliere (che
limiti i punti nascita e privilegi soprattutto le funzioni di pronto soccorso) costituiscono gli assi portanti di
una nuova e più sobria organizzazione sanitaria pediatrica.
L’osservazione breve intensiva (OBI) è una forma assistenziale innovativa, che può essere attuata nei Pronto
Soccorsi pediatrici di ospedali specializzati e nei Pronto Soccorsi funzionali delle pediatrie ospedaliere: l’obiettivo primario dell’OBI è quello di inquadrare e risolvere nell’arco delle successive 12-24 ore criticità ad
intensità di cure medio-bassa a prevedibile buona risoluzione. Questa corretta gestione può esercitare una
efficace forma di filtro ai tanti ricoveri ospedalieri non appropriati.
L’attuale contesto sanitario nazionale dispone di poche strutture addette all’emergenza-urgenza pediatrica
con personale sanitario interamente dedicato, quando la patologia pediatrica si differenzia per un carattere
essenzialmente acuto: i pronto soccorso pediatrici autonomi multidisciplinare si contano sulla punta delle
dita e così le rianimazioni pediatriche. I DEA pediatrici operativi e funzionanti, che devono coordinare la
risposta sanitaria regionale nell’emergenza pediatrica sono appena una decina, quindi non sono attivi in
molte regioni. Attualmente le pediatrie ospedaliere con il pronto soccorso funzionale, il pronto soccorso e le
rianimazioni generali, il 118 e la pediatria di famiglia concorrono a diversi livelli a dare la risposta sanitaria
alle diverse condizioni di emergenza-urgenza e sono gli elementi essenziali della rete dell’emergenza così
articolata:
La rete regionale dell’emergenza – urgenza pediatrica
DIPARTIMENTO PEDIATRICO
CONTINUITA’ ASSISTENZIALE
(Pediatra di Libera Scelta e
Guardia medica)
DIPARTIMENTO
MATERNO – INFANTILE
Pronto Soccorso Pediatrico
Rianimazione Pediatrica
118
DEA PEDIATRICO
(Formazione, didattica e ricerca)
49
DEA GENERALE
Dallo schema risulta che il coordinamento funzionale ed operativo tra DEA Pediatrico (con i cardini dei
Servizi di Pronto Soccorso e di Rianimazione), Pediatria di Famiglia e 118 costituisce il “cuore” delle Rete
dell’Emergenza-Urgenza Pediatrica, integrata a sua volta nella più vasta rete dell’Emergenza-Urgenza con
cui deve dividere le strategie fondamentali.
L’obiettivo formativo dovrebbe essere il cardine principale del DEA Pediatrico: la strategia formativa, infatti, deve essere estesa ai vari livelli assistenziali che anche occasionalmente possano trovarsi a gestire una
condizione di emergenza-urgenza pediatrica, quindi ai corpi istituzionali preposti alla educazione ed alla
tutela del soggetto in ètà evolutiva, infine ai laici ed alla popolazione generale. La massima diffusione della
cultura pediatrica è il miglior supporto per avere una buona ricaduta assistenziale in termini di processo
e di esito delle cure: per una corretta gestione dell’emergenza pediatrica è fondamentale l’adeguatezza e la
tempistica dell’intervento nei primi 15-20 minuti; questo vuol dire che il primo fondamentale approccio
deve essere fatto nel territorio così come sul territorio deve essere attuato il primo obiettivo formativo volto
innanzitutto alla conoscenza del supporto delle funzioni vitali secondo le nuove tecniche di rianimazione
cardio-respiratoria di base (corsi di PBLS/D) ed avanzata ( PALS)..
Un accenno infine all’emergenza-urgenza neonatale attuata nell’ambito della rete neonatologica regionale
che differenzia i centri di 1°, 2° e 3° livello e che gestisce il trasporto neonatale: il centro di 3° livello regionale
è anche il centro di riferimento per le emergenze chirurgiche neonatali che vengono cogestite con la chirurgia pediatrica e la rianimazione pediatrica.
Una criticità assistenziale riguarda l’accesso al Pronto Soccorso e la successiva gestione assistenziale del neonato e del lattante: in particolare, sarebbe auspicabile un sistema organizzativo ospedaliero e territoriale che
preveda una maggiore attenzione alle complesse problematiche sanitarie dei primi mesi di vita.
IL DONATORE PEDIATRICO: L’ESPERIENZA DI ANCONA
Roberta Pallotto
SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
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La Rianimazione Pediatrica dell’ospedale Salesi, presidio materno-infantile degli Ospedali Riuniti di Ancona, è costituita da 9 posti letto, con una media annua di 264 ricoveri (dato riferito agli ultimi 10 anni).
La prima esperienza della Rianimazione Pediatrica in materia di prelievo d’organi, risale al gennaio 1988,
quando veniva eseguito il primo prelievo multiorgano della regione Marche.
Da allora presso l’Ospedale Salesi si sono succeduti 10 prelievi d’organo da donatore pediatrico (dato aggiornato al dicembre 2011).
L’età media dei donatori era di poco superiore agli 8 anni.
La causa di morte encefalica più frequente, quella traumatica:
-tre traumi cranici, di cui due stradali ed uno da arma da fuoco,
-due politraumi, da investimento e precipitazione
-un trauma da annegamento
-un colpo di calore
Tre le morti per cause organiche:
-Idrocefalo acuto di tipo ostruttivo (cisti colloide del forame del Monro)
-Meningite Meningococcica
-Crisi asmatica
In tutti i casi, dopo l’accertamento di morte secondo le normative di legge, si è proceduto a prelievi multiorgano.
Il Mantenimento Del Donatore Pediatrico
Il donatore è da ritenersi un paziente acuto, in un equilibrio estremamente instabile, necessita pertanto di
un monitoraggio completo funzionale e metabolico ,dei parametri vitali ed il trattamento deve essere indirizzato alla conservazione degli organi.
La morte encefalica non rappresenta soltanto la cessazione dell’attività neuronale e bioelettrica corticale, ma
anche l’interruzione definitiva della funzionalità del tronco encefalico.
Tale evento scatena infatti una serie di alterazioni neurovegetative che portano al deterioramento degli
organi in tempi estremamente brevi.. Per l’omeostasi di questo organismo il fattore tempo gioca un ruolo
essenziale.
L’obiettivo, quindi è preservare la funzionalità d’organo, per raggiungere questo scopo sono indispensabili i
monitoraggi.
Monitoraggi
I monitoraggi ci consentono di osservare il maniera continua i parametri vitali e la funzionalità cardiovascolare, respiratoria, ematologica, endocrina e metabolica.
Vengono classificati come:
-Funzionali: ECG, PA cruenta, PVC, SpO2, ETCO2, diuresi oraria, temperatura corporea.
-Metabolici: EGA, emocromo, coagulazione, elettroliti, glicemia, es. urine.
Eventi che caratterizzano la morte cerebrale
-Tempesta neurovegetativa: Evento che precede la morte, spesso mascherato dalle sedazioni, più evidente
nel donatore pediatrico, rispetto all’adulto, dovuto ad una massima liberazione adrenergica. Rappresenta
l’ultimo tentativo dell’organismo vivente di mantenere un’adeguata pressione di perfusione cerebrale. Precede la Morte Cerebrale.E’ caratterizzata da crisi ipertensiva arteriosa accompagnata da alterazioni elettrocardiografiche di tipo ischemico, fenomeni di vasocostrizione periferica, edema polmonare e coagulopatia. Il
trattamento è volto a contenere il danno ipossico-ischemico tissutale ed è basato su farmaci anti-adrenergici
o vasodilatatori e sedazioni ulteriori.
-Ipotensione arteriosa, dovuta alla cessazione dell’attività dei centri vasomotori del tronco, deve essere contrastata con adeguata terapia infusionale, modulata in base a PVC, equilibrio elettrolitico e concomitanti
alterazioni renali e solo successivamente con l’ausilio di farmaci inotropi.
Obiettivi emodinamici sono:
•Mantenimento di una PAS > = di 50mmHg nel neonato, 85mmHg da 1 a 6 mesi, 90mmHg da 6mm a 2aa,
100mmHg da 2 a 6aa, 110mmHg > di 6aa
•Mantenimento di una PVC tra 4-12cmH2O
•Mantenimento di una FC > a 100/min in età neonatale e compresa tra 70-100/min in età pediatrica
-Diabete Insipido: dovuto all’alterazione dell’asse ipotalamo-neuroipofisario, è caratterizzato da poliuria,
aumentata osmolarità plasmatica e ridotta osmolarità urinaria, ipernatriemia, ipokaliemia ed ipocalcemia.
Il trattamento è basato sulla normalizzazione della volemia, integrazione elettrolitica, somministrazione ev.
di Desmopressina.
-L’ipocapnia da ridotto metabolismo e minor produzione di CO2, deve essere compensata con una riduzione della ventilazione. Variazioni posturali, espansioni toraciche manuali periodiche, adeguati valori di vt,
PEEP e FiO2, ottimizzano l’ossigenazione. Obiettivi in questo senso sono:
•PaO2> 100mmHg
•pH = 7.40
•PaCO2 38-40mmHg
Monitoraggi indicati sono EtCO2, Sat.O2,EGA.
-Iperglicemia ed ipotiroidismo secondario, sempre dovuti all’interruzione dell’asse ipotalamo-adenoipofisario, vengono trattati, rispettivamente con insulina rapida e terapia sostitutiva.
-Coagulopatie da consumo e deficit di produzione dei fattori, devono essere trattate con la terapia trasfusionale.
-L’ipotermia, dovuta alla perdita della termogenesi, per il danno ipotalamico deve essere frenato con i mezzi
di riscaldamento: materassini termici, liquidi endovenosi riscaldati, lampade irradianti. L’obiettivo è una
temperatura centrale => 35°C.
-L’antibioticoterapia va somministrata, a scopo di profilassi d’organo e modulata in funzione della clearance
della creatinina.
Caso clinico
Bambina di 21 mesi, morta per colpo di calore e disidratazione.
•Giunge in Rianimazione con quadro di coma da colpo di calore e disidratazione.
•All’ingresso grave acidosi metabolica , ipertermia, ipertensione arteriosa con valori di PA 140-110mmHg,
frequenza cardiaca 200batt/min, elevati livelli di ematocrito ed ipernatriemia , alvo diarroico ,iniziali disfunzioni d’organo, miosi con atteggiamento in decerebrazione, GCS 5.
EEG: grave sofferenza cerebrale diffusa.
Primo controllo TAC eseguito in periferia risultava negativo.
•In seconda giornata: Controllo in RMN encefalo a dodici ore: segni di encefalopatia ipertensiva, edema cerebellare. Gli esami ematochimici indicano: CID, valori di insufficienza d’organo peggiorativi: ALT ed AST
>1500, creatinina >2, anemia.
Quadro neurologico caratterizzato da pupille isocoriche isocicliche, riflessi fotomotore e corneale torpidi, carenale presente, accenno di risposta in flessione allo stimolo algogeno. EEG: evoluzione in senso peggiorativo.
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Emodinamica stabile, in controllo farmacologico, ECO-cardio negativo.
Ventilazione in VGRP, EGA nei limiti.
Diuresi conservata 1,8ml/kg/h. Persiste alvo diarroico.
Durante la notte crisi ipertensiva con tachicardia sinusale, nessuna risposta allo stimolo algogeno, pupille
miotiche, riflessi torpidi. Inizia coma barbiturico.
•In terza giornata: RMN: evidenzia edema cerebrale sovra e sotto-tentoriale, durante l’esame compare midriasi fissa areagente.
Tentativo terapeutico di decompressiva cranica biparietale, durante intervento si posizionato catetere da
dialisi peritoneale per controllare equilibrio idro-elettrolitico, diuresi conservata.
Rimane midriasi areagente, si sospendono le sedazioni, riflessi non evocabili. EEG: morte cerebrale.
•Convocata il collegio medico-legale si decide di eseguire Angio-TAC intracranica, per trattamento con
barbiturico fino a dodici ore prima del decesso, in paziente con insufficienza d’organo. Assenza di circolo
cerebrale
Inizia accertamento di morte, durante il quale si mantengono le terapie farmacologiche, di supporto emodinamico, ventilatorie per la tendenza all’ipocapnia, mezzi di riscaldamento per l’ipotermia insorta, trasfusioni di emoderivati, correzione degli elettroliti, antibiotico-terapia e dialisi peritoneale.
•Al termine dell’accertamento la salma è sottoposta a prelievo multi-organo: reni, fegato e cuore.
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Conclusioni
Nella nostra esperienza, l’evento Morte Encefalica in età pediatrica è da definirsi un evento raro pari al 6,3%
delle morti in Rianimazione (dato aggiornato al dicembre 2011). All’85% di queste morti ha fatto seguito il
prelievo di organi, dato sensibilmente aumentato nell’ultimo decennio.
Il mantenimento del donatore può essere complesso dal punto di vista clinico e fisiopatologico almeno
quanto la terapia di un paziente critico. Il donatore è un paziente estremamente instabile quanto prezioso.
Il periodo di osservazione, ai fini dell’accertamento di Morte Encefalica, in età pediatrica e neonatale oggi è
non inferiore alle 6 ore come per il paziente adulto (DM 11 Aprile 2008, aggiornamento del DM 22 Agosto
1994, n.582.). Il lavoro di equipe rimane il cardine dell’assistenza al donatore: rianimatori, personale infermieristico, consulenti e psicologi sono le figure fondamentali che ruotano intorno a questo paziente e ai
familiari.
“La vita è un insieme di avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme.”
Italo Calvino
L’USO DELL’ECOGRAFIA IN EMERGENZA PEDIATRICA
Stefano Marzini
U.O. Pediatria, Sezione Terapia Intensiva Pediatrica e Patologia Neonatale, Ospedale Civile Maggiore, Verona
La persistente necessità di migliorare la qualità complessiva dell’assistenza e la prognosi dei pazienti che si
trovano in una situazione di emergenza o urgenza dovrebbe predisporre gli operatori sanitari del settore ad
essere fortemente motivati a conoscere ed applicare eventuali novità.
La moderna medicina nel campo della emergenza ed urgenza sta contribuendo a ridefinire le competenze
dei medici clinici inizialmente coinvolti. Non dovremmo più avere il medico clinico che, nella immediatezza
per la diagnosi e la verifica della terapia adottata, può solo utilizzare i suoi sensi e il fonendoscopio. Possiamo
adesso aspirare ad professionista del settore che sappia utilizzare l’ecografia.
Anche per sgomberare il campo da eventuali fraintendimenti, dobbiamo specificare che parleremo di un
esame ultrasonografico condotto nel reparto di appartenenza, dal medico non radiologo e al letto del paziente. L’indagine ha i seguenti obiettivi e peculiarità: rispondere a quesiti clinici molto mirati, ottenere delle
semplici informazioni, in tempi molto brevi, utili nella gestione complessiva del paziente e ripetibili tutte le
volte che il clinico pensa che sia necessario.
La “novità” di cui parleremo è quindi l’applicazione anche nel Pronto Soccorso Pediatrico (PSP) di tre concetti: la “Focused UltraSound” (FUS) ovvero “Point-Of-Care UltraSound” (POCUS) e anche la “Bedside
UltraSound” (BUS). Si rimanda per l’approfondimento di questa specifica parte a testi più autorevoli.
Non possiamo negare l’evidenza della realtà Pediatrica in Italia dove, tranne pochissime realtà, spesso il
collega Pediatra si trova ad operare in situazioni dove è difficile ottenere una ecografia in breve o brevissimo
tempo. La refertazione è spesso poco dirimente rispetto al quesito clinico. A volte la radiologia non è fisicamente vicina al reparto di degenza. Infine, dove è improponibile pensare di poterli ripeterli a distanza di
poche ore.
Come si può dedurre dalla bibliografia (in PUBMED), non vi è dubbio che l’applicazione di questi tre concetti (FUS, POCUS e BUS) sia tra le maggiori novità in campo medico degli ultimi 10 anni. A conferma di
questa affermazione possiamo constatare l’incremento medio del numero di articoli pubblicati per mese,
confrontando il quinquennio (2001-2005) rispetto al quinquennio successivo (2006-2010). Il trend sembrerebbe confermarsi anche nel biennio 2011-2012.
Oltre alla bibliografia, dobbiamo considerare anche il tumultuoso progresso tecnologico, che ha contribuito
a rendere fattibile l’introduzione della ecografia nella pratica clinica quotidiana. Infatti sono stati immessi
sul mercato ecografi caratterizzati da dimensioni ridotte, con perfomance eccellenti, robusti, semplici da
utilizzare e, cosa non irrilevante in questo periodo, con costi decisamente ridotti.
Sono molteplici gli aspetti della nostra vita professionale che potrebbero giovarsi della integrazione clinica
ecografica. Ne sottolineiamo in questa occasione tre. Il primo, incremento della nostra efficacia ed efficienza operativa, potendo per esempio ottenere diagnosi “salva vita” precocemente, contribuire nella gestione
della diagnostica differenziale, guidare le nostre procedure (diagnostiche e terapeutiche) invasive e potenzialmente pericolose, migliorare il monitoraggio clinico, verificare gli effetti o meno della terapia, ridurre
il dolore e la radio esposizione. Secondo aspetto, una maggior capacità di lavorare in sicurezza, cosa non
marginale in questo periodo dove le problematiche medico legali sono sempre più frequenti. Siamo infatti in
grado di giustificare meglio la nostra diagnosi e terapia. Terzo aspetto, la possibilità di ridurre il numero di
altri accertamenti strumentali come anche degli esami di laboratorio. Fatto non trascurabile in un periodo
dove le risorse per la sanità sono sempre più scarse per cui ci viene insistentemente chiesto dai nostri Amministratori di ridurre i tempi di permanenza in ospedale e di contenere i costi in generale.
In ambito degli adulti la ecografia non specialistica in emergenza ed urgenza è un dato oramai acquisito,
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in rapida diffusione e consolidamento. In ambito pediatrico siamo all’inizio di un percorso. A supporto di
quanto abbiamo detto fino adesso possiamo poi confrontarci con quanto sta avvenendo in altre realtà simili
alla nostra. Per esempio una interessante pubblicazione su PEM alla fine dello scorso anno (2011; 27: 628632) ha valutato lo stato dell’arte nell’introduzione della FUS nei PSP negli Stati Uniti. Circa il 90% hanno
un già programma o stanno sviluppando un programma di FUS. Più del 90% dei servizi censiti nello studio
hanno dal 51 al 100% del personale strutturato certificato o potenzialmente certificabile. Quasi il 90% dei
servizi coinvolti sono riusciti a formare i colleghi in training con una copertura dal 51% al 100%.
Dobbiamo evidenziare che per cominciare a formare il personale pediatrico negli Stati Uniti hanno dovuto
utilizzare docenti del pronto soccorso dell’adulto (dal 56 al 69% dei casi). I moduli didattici sono stati molto
variabili, a fianco di corsi di solo otto ore vi erano dei corsi più articolati con una durata di più di 40 ore. A
dimostrazione che molto debba essere fatto sulla via della standardizzazione, molto variabile è stata la risposta in termini di minimo di esami che dovevano eseguire i discenti per essere ritenuti in grado di eseguire
correttamente l’esame ecografico.
Non potendo avvalerci di immagini possiamo solo accennare degli esempi clinici eclatanti dove la ecografia
in PSP può essere determinate anche nelle mani del non radiologo.
Un primo esempio è la frequente necessità di escludere o dimostrare la diagnosi di polmonite. Nei pazienti
più piccoli il quadro clinico può essere parziale o ingannevole. Oppure possiamo avere una discrepanza tra
clinica e radiologia. Infine, la radiografia non permette di escludere o confermare la presenza di versamento, nel caso di una estesa zona radiopaca. Nel follow-up a breve\medio termine, possiamo evitare di dover
eseguire radiografie fino anche la esecuzione di TAC toraciche nei casi più complessi. La stessa cosa dicasi
per la valutazione del versamento, per sapere se è complesso o semplice. Questa valutazione è determinante
per la eventuale indicazione al posizionamento di un drenaggio e fibrinolisi o per una soluzione chirurgica.
Nel paziente dispnoico, possiamo distinguere dal punto di vista ecografico situazioni “semplici” o “complesse”. Per esempio nel caso della bronchiolite difficile possiamo distinguere se è solo complicata o associata
magari a una polmonite o a malattie cardiovascolari. Nel bambino più grande di età, con un apparente
bronscopasmo difficile o poco responsivo, possiamo mettere in evidenza una polmonite o oppure malattie
cardiovascolari.
In ambito pediatrico, è frequente la necessità di valutare la entità di una disidratazione. Il quesito clinico
non è semplice. Siamo consapevoli che in assenza di un peso recente da confrontare con quello attuale, la
specificità e sensibilità dell’esame clinico sono pericolosamente molto basse.
Il paziente con compromissione emodinamica fino allo shock, può avvalersi di una valutazione ecografica
integrata e panoramica di torace e addome, alla ricerca di condizioni cliniche che mettono a rischio la vita.
Nel trauma la ecografia può risultare molto utile nella valutazione dei versamenti addominali, non solo con
un esame iniziale, ma poi anche ripetuto nel caso di lesioni parenchimali gestite con un approccio conservativo. Nel caso di fratture superficiali come nel caso della clavicola o del cranio, che in genere non necessitano
di procedure maggiori ma possono, nel caso della seconda giustificare accertamenti di secondo livello per
escludere lesioni più profonde.
Nel caso di un paziente con CPR in corso per la iniziale presenza di un circolo scaduto e polso centrale assente associati magari ad ECG senza asistolia\FV\TV, una ecografia è dirimente per capire se c’è una PEA o
invece pseudoarresto da deficit di volume.
E’ già noto il possibile ruolo della ecografia nel caso di posizionamento di accessi vascolari periferici difficili
o come guida\assistenza al posizionamento di CVC. Adesso si può aggiungere anche la verifica del corretto
posizionamento di un accesso intraosseo.
In conclusione, la relazione si proporrà l’ambizioso obiettivo di almeno stimolare la curiosità e magari di
favorire l’introduzione di questo prezioso strumento nella pratica clinica nel PSP.
GESTIONE DELLE VIE AEREE DIFFICILI
Leonardo Bussolin
U.O. Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliero Universitaria “Meyer”, Firenze
Ciò che differenzia le vie aeree del bambino da quelle dell’adulto non sono solo le dimensioni anatomiche,
ma le peculiarità proprie del paziente pediatrico.
Nei primi 8 anni di vita, la problematica delle vie aeree è una situazione estremamente dinamica che si
accompagna a variazioni marcate in tempi brevi di peso, anatomia, maturità e funzione di tutti gli organi
coinvolti.
Quindi, già nell’ambito della situazione di normalità, la corretta e sicura gestione delle vie aeree pediatriche
deve tenere conto di tali differenze, rappresentate da:
1)Testa grossa e occipite prominente.
2)Macroglossia relativa.
3)Eventuale presenza di tonsille ed adenoidi ipertrofiche.
4)Epiglottide lunga e flaccida.
5)Laringe più anteriore e cefalica.
6)Respiro nasale obbligato nel neonato.
7)Diametro delle vie aeree più piccolo con conseguente instaurazione di stenosi critiche anche per
edema lieve.
8)Conseguenze di un tardivo controllo delle vie aeree più gravi che nell’adulto.
9)Incidenza superiore di ostruzione delle vie aeree nel bambino rispetto all’adulto.
10)Punto più stretto rappresentato dalla strittura cricoidea e non dalla rima della glottide come nell’adulto.
11)Corde vocali cartilaginee, flessibili e più angolate verso il basso
Al di fuori della normalità, nel bambino è generalmente prevedibile una difficoltà alla ventilazione e/o alla
intubazione, perché conseguente alla presenza di patologie sindromiche malformative che sono già evidenti
all’esame obiettivo. Al di fuori di tali situazioni, è inusuale di trovarsi di fronte in modo imprevedibile a vie
aeree difficili nella popolazione pediatrica.
I dimorfismi cranio-faciali sono le situazioni in cui più frequentemente ci possiamo trovare di fronte a vie
aeree difficili. Le alterazioni differiscono secondo il tipo di patologia malformativa:
a)Micrognatia (ad esempio sindrome di Pierre-Robin, di Crouzon, di Apert, di Goldenhar, di Cornelia
deLange)
b)Macroglossia (trisomia 21, ipotiroidismo congenito, mucopolisaccaridosi)
c)Rigidità del rachide cervicale (sindrome di Klippel-Feil, artrogriposi generalizzata).
In tali situazioni, è fondamentale pianificare con un’adeguata e ben definita strategia, che preveda anche la
disponibilità di tutto il materiale e gli strumenti necessari.
E’ consigliata l’acquisizione di conoscenza e capacità nell’utilizzo dei presidi sovraglottici alternativi al tubo
endotracheale che intendiamo impiegare, anche semplici e comuni come la maschera laringea.
Sono sconsigliate, ed ormai quasi del tutto abbandonate, tutte le tecniche di intubazione alla cieca perché
tecnicamente più complesse e perché la gestione ideale delle vie aeree difficili in età pediatrica si basa
principalmente sulla visualizzazione diretta. Anche se non condiviso da tutti, il gold standard nella gestione
delle vie aeree difficili è rappresentato dall’utilizzo del fibrobroncoscopio. L’acquisizione della manualità
necessaria rende superfluo l’uso della stragrande maggioranza dei presidi alternativi al tubo endotracheale
e, di fatto, annulla quasi completamente il concetto stesso di vie aeree difficili. Il fibrobroncoscopio è lo strumento più efficace nella gestione delle vie aeree difficili e ogni anestesista dovrebbe essere in grado di usarlo,
iniziando in centri specializzati o su modelli didattici.
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GESTIONE DEL BAMBINO CON GRAVE DISABILITA’
ANESTESIA IN ODONTOSTOMATOLOGIA NEL BAMBINO DISABILE
Giovanni de Francisci,
Autori: De Francisci G., Ferrazza C., Cordaro M., Gallenzi P., Giordano A.
Istituto di Anestesia e Rianimazione e Corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentaria, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Roma
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Presentiamo qui di seguito la nostra esperienza nel trattamento odontoiatrico in regime di Day Surgery di
pazienti con grave difficoltà di collaborazione. Gli interventi sono stati eseguiti insieme a odontoiatri pediatrici. Circa l’80% dei nostri pazienti è affetto da ritardo psico-motorio di media o grave entità e necessita fortemente di cure complesse che non potrebbero altrimenti essere eseguite con il solo utilizzo dell’anestesia locale. Il restante 20% è costituito da bambini con età inferiore ai 4 anni e con necessità di restauro/
estrazione di numerosi elementi dentari compromessi. La visita preoperatoria viene eseguita diversi giorni
prima dell’intervento, nell’ambulatorio di preospedalizzazione. I genitori devono portare tutta la documentazione in loro possesso relativa alla patologia del paziente. Non eseguiamo alcun tipo di esame preoperatorio, a meno che nel corso della visita non ne emerga l’indicazione. Non prescriviamo alcuna premedicazione e l’odontoiatra non richiede accertamenti radiologici se non indispensabili. Le indicazioni per il
digiuno prevedono che possono alimentarsi fino a mezzanotte, e bere liquidi chiari fino alle 5 del mattino.
La mattina dell’intervento, alle 7:30, i pazienti vengono ricoverati in un normale reparto di degenza,
adiacente alla sala operatoria di day-surgery. L’anestesia generale viene indotta, alla presenza di uno dei
genitori che si allontana appena il bambino ha perso coscienza, con ossigeno, aria e Sevoflurano all’ 8%.
Dopo miorisoluzione con Rocuronio 0,5 mg/kg, pratichiamo l’intubazione orotracheale e l’anestesia viene
mantenuta con O2, aria e Desflurano. Per garantire l’analgesia intra e postoperatoria somministriamo:
-Alfentanil 12,5-25 γ/kg
-Ketorolac 1 mg/kg
Inoltre l’odontoiatra esegue l’ infiltrazione con anestetico locale ovvero tubofiale di Carbocaina con o senza
vasocostrittore.
Al risveglio il bambino viene tenuto monitorizzato in una stanza del reparto operatorio; quando giudicato
stabile dall’anestesista viene inviato al reparto di degenza. Permettiamo l’immediata ripresa dell’alimentazione, iniziando con l’acqua e consentendo i cibi solidi se non si osservano nausea e vomito.
Fra le ore 14 e le 15 l’anestesista e uno degli odontoiatri valutano i pazienti, che vengono mandati a casa.
I problemi osservati finora, nella nostra esperienza, sono stati:
-la scarsa collaborazione della maggior parte dei bambini a causa del grave handicap psichico;
-due casi di intubazione difficile, risolti con videolaringoscopio. Da notare che il test di Mallampati la maggior parte delle volte non è eseguibile, per la scarsa collaborazione.
Tutti i nostri pazienti, anche quelli che erano stati intubati con difficoltà, sono stati dimessi in giornata.
In conclusione, possiamo affermare che:
-in odontoiatria è indicata l’anestesia generale con intubazione orotracheale (i nostri odontoiatri non hanno quasi mai richiesto l’intubazione nasotracheale);
-con il nostro protocollo, è possibile un risveglio rapido e la dimissione nel primo pomeriggio;
-siamo contrari alle tecniche di sedazione profonda senza intubazione tracheale;
-l’assistenza anestesiologica per l’odontoiatria ai bambini disabili deve svolgersi in una sala operatoria di un
ospedale generale, con un reparto di degenza per il post-operatorio e la terapia intensiva in caso di complicanze;
-dato che in alcune sindromi sono presenti anomalie craniofacciali, deve essere disponibile un videolaringoscopio.
DOMICILIAZIONE PROTETTA DEL BAMBINO IN VENTILAZIONE MECCANICA CON
GRAVI DISABILITA’
Marco Caruselli, Roberto Giretti
SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
L’evoluzione della medicina ed il sempre maggiore impiego di supporti tecnologici hanno consentito la sopravvivenza di molti bambini affetti da insufficienza respiratoria cronica causata da patologie disabilitanti
per le quali non è garantita la guarigione.
Questi pazienti, anche in condizioni di stabilità clinica, restano ventilatore-dipendenti ed interpellano la
nostra capacità di “fare” medicina in modo diverso.
La complessità del quadro clinico, le comorbilità, la rarità del fattore eziologico, il vasto impiego di sussidi
tecnologici, comportano un approccio estremamente difficoltoso per ogni singolo sanitario e per la famiglia che deve abituarsi ad una situazione di anormalità ne derivano troppo spesso lunghe ospedalizzazioni
e trattamenti sanitari inadeguati.
Numerosi studi clinici hanno evidenziato l’incremento dei bambini ventilati a lungo termine ed il netto
miglioramento del loro trattamento in ambiente domiciliare.
La stima della prevalenza in Italia desunta dalla prima survey condotta negli anni 2007-2008 è di
4,3/1000001.
L’azione legislativa italiana ha considerando questa nuova realtà assistenziale e la normativa stato regioni
ha recepito le criticità del problema. La conferenza stato-regioni sancisce che l’analisi delle esperienze
esistenti a livello internazionale fanno ritenere indispensabile l’organizzazione delle cure palliative pediatriche secondo modelli strutturati a rete che comprendano al loro interno risposte residenziali e domiciliari. Il Ministero della Salute nel documento tecnico sulle cure palliative del 20/12/2008 dice: “Solo un
intervento coordinato, preparato, elastico nell’adattarsi alla evolutività di un bambino in queste condizioni
potrà soddisfare in modo efficiente i suoi bisogni2.”
La rete è definita attraverso i luoghi in cui si compie l’attività (nodo). Ogni nodo si modifica nelle relazioni
reciproche adattandosi alle necessità. La rete trova la sua espressione nel PAI (piano assistenziale integrato)
il quale deve essere improntato ad un approccio multidisciplinare, multisettoriale deve essere integrato e
partecipato con la famiglia. Il Pai nel suo insieme deve prendere in carico (care) il bambino ed il suo nucleo familiare.
Il Pai viene proposto dal Centro di Riferimento al Direttore del Distretto e deve contenere tutte le prescrizioni tecnologiche, mediche e le figure professionali che saranno coinvolte nell’assistenza del bambino.
Un secondo step prevederà una visita congiunta del CR e del Distretto per valutare la dimissibilità del
bambino (verranno in tale sede valutati gli spazi abitativi e il contesto familiare).
Il Centro di riferimento provvederà all’educazione ed all’addestramento degli infermieri responsabili delle
cure domiciliari e del Care Giver.
La figura del Care Giver è identificata come la persona che provvede direttamente alle cure ed ha la responsabilità del bambino; la sua figura è il perno della buona riuscita del piano di domiciliazione.
I suoi compiti (american thoracic society- september 2008) spaziano dalla gestione della tracheotomia, alla
gestione del ventilatore, al monitoraggio clinico e strumentale, al riconoscimento dei segni di infezione
alla gestione delle urgenze/emergenze, si occupa inoltre della nutrizione enterale e della gestione degli
eventuali cateteri a permanenza e del nursing.
Il centro di riferimento ed il centro di erogazione delle cure domiciliari debbono continuare a dialogare
identificando le necessità e modificando le risposte erogate alla famiglia ed al bambino.
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ANALGESIA
Il Pai deve dunque identificare un Patient Manager esperto del centro di riferimento ed un Patient Manager territoriale con il compito di monitorare l’attuazione del Pai stesso.
Sono numerosi i lavori in letteratura che evidenziano come la qualità della vita delle famiglie peggiori con
il passare del tempo per cui è fondamentale identificare le difficoltà intercorrenti. Il dialogo tra la famiglia
e le figure di riferimento ci sembrano lo strumento migliore per centrare gli obiettivi terapeutici
Il Pai al suo interno deve inoltre prevedere i piani di emergenza ed attivazione del 118. La centrale territoriale dovrà essere informata della presenza del paziente sul territorio e degli specifici piani debbono essere
previsti mediante l’adeguata informazione dei PS di riferimento dei reparti di pediatria e della rianimazione territoriale.
L’esperienza accumulata nelle ospedalizzazioni domiciliari hanno portato alla luce i problemi che debbono
affrontare i carers dei bambini; la complessità del lavoro comporta infatti ricadute importanti sulla qualità
della vita, sulle capacità lavorative e non da ultimo sulle cure prestate ai bambini4.
Nell’ottica del coordinamento e del controllo dei piccoli pazieni il piano sanitario regionale prevede l’individuazione di strutture residenziali e semiresidenziali in grado di offrire soluzioni modulabili sulle necessità della famiglia e dei servizi territoriali.
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TERAPIA DEL DOLORE NEL PAZIENTE ONCOLOGICO
Franca Benini
Dipartimento di Pediatria -Università di Padova
Nel bambino con patologia oncologica, il dolore è un sintomo frequente: spesso segnale importante per la
diagnosi iniziale di malattia, fattore sensibile nell’indicarne evoluzioni positive o negative durante il decorso, innegabile presenza in corso di molteplici procedure diagnostiche e/o terapeutiche e costante riflesso di
paura e ansia per tutto quello che la malattia comporta. E’ fra tutti, il sintomo che più mina l’integrità fisica
e psichica del bambino e più angoscia e preoccupa i suoi familiari, con un notevole impatto sulla qualità
della vita, durante e dopo la malattia.
L’incidenza del dolore in corso di malattia oncologica in età pediatrica, è elevata: in più del 50% dei casi,
è presente fra i sintomi d’esordio e la percentuale aumenta durante il decorso della malattia. Nel 100% dei
bambini è presente dolore iatrogeno, secondario a procedure diagnostiche e/o terapeutiche.
Diverse, e spesso coesistenti nello stesso momento della storia clinica, sono le cause di dolore:
•La patologia: il dolore può essere dovuto a fenomeni irritativi e/o meccanici legati alla presenza delle lesioni neoplastiche (invasione midollare ed ossea, occlusioni di visceri cavi, processi invasivi o compressivi
a carico del sistema nervoso) . Il dolore è anche uno dei sintomi è che si associa a molte situazioni collegate
allo stato di defedamento della malattia neoplastica (infezioni, ulcere da decubito) e a episodi intercorrenti
(traumi) nei quali il bambino può incorrere.
•I trattamenti: il dolore spesso accompagna la terapia farmacologica, radioterapica o chirurgica antitumorale a cui è sottoposto il bambino (neuropatie periferiche, infezioni locali e/o generalizzate, dermatiti da
radiazioni, dolore postoperatorio).
•Le procedure: le procedure diagnostiche e/o terapeutiche costituiscono una parte importantissima ed
ineluttabile nella “quota” di dolore provato in corso di malattia oncologica: prelievi, rachicentesi, midolli e
biopsie sono procedure frequenti, dolorose, cariche di ansia e paura.
Quindi, la gestione del bambino affetto da neoplasia, non può prescindere da una corretta gestione del
dolore: gestione talvolta impegnativa e complessa sia per la molteplicità e variabilità delle situazioni in cui
il dolore si presenta, che per le difficoltà che diagnosi, valutazione e trattamento comportano.
Infatti, il dolore è un’ esperienza soggettiva ed individuale, risultato di una complessa interazione di fattori
diversi: fisiologici, clinici, ambientali, psicologici, sociali e culturali: la valutazione, pertanto deve indagare
sia la componente fisica che emotiva del sintomo e la terapia deve poter contare su interventi farmacologici e non farmacologici, in grado di interagire con i molteplici fattori, che intervengono nella genesi e
nel mantenimento del sintomo.
Per quanto riguarda LA VALUTAZIONE del dolore in ambito pediatrico, molto sono i progressi fatti negli
ultimi anni: attualmente sono a disposizione diversi metodi e scale, differenziati secondo età e capacità
cognitive, molti di facile applicazione clinica e di estrema efficacia diagnostica. I più usati sono la scala
FLACC, le Faccette di Wong Baker e la scala numerica da 0 a 10.
Anche per quanto riguarda L’APPROCCIO TERAPEUTICO attualmente si può contare su molteplici presidi: farmacologici, fisici e psicocomportamentali.
I farmaci indicati nella gestione del dolore oncologico in età pediatrica sono diversi e possono schematicamente essere raccolti, in 4 categorie: analgesici non oppioidi, oppioidi, adiuvanti ed anestetici locali. La
scelta dipende da molti fattori, in modo particolare, l’eziologia del dolore, la durata prevista della terapia, le
condizioni generali del bambino e la sua capacità di adattamento al trattamento proposto.
Indipendentemente dal farmaco scelto, le best practice dell’approccio farmacologico prevedono:
-Scelta del farmaco appropriato per tipologia di dolore
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60
-Se possibile, profilassi del dolore
-Somministrazione ad orario fisso
- Scheda di somministrazione adeguata ed individualizzata, nel rispetto (se possibile) del ritmo circadiano
-Scelta della via di somministrazione meno invasiva
-Anticipazione degli effetti collaterali
- Monitoraggio dell’efficacia ed eventuale aggiustamento della posologia
-Spiegazione e discussione del programma antalgico con il bambino ed i genitori.
Nell’ambito della terapia farmacologica, fra i Non Oppioidi i farmaci più utilizzati sono paracetamolo,
ibuprofene, ketoprofene, naprossene e ketorolac. Sono indicati soprattutto nella gestione del dolore medio-lieve di diversa origine, ma in associazione con gli oppioidi, anche nella gestione del dolore grave. I
farmaci oppioidi, sia per la loro efficacia che per l’ampia possibilità di utilizzazione clinica, occupano fra gli
analgesici un posto rilevante. Quelli più frequentemente usati in età pediatrica sono codeina, tramadolo,
morfina, oxicodone, fentanili e metadone. Sono indicati nella gestione del dolore moderato-severo da soli
o in associazione. Non presentano limiti d’indicazione legati all’età. Sono farmaci sicuri e gli effetti collaterali sono limitati e facilmente monitorabili.
Ampio ed efficace è l’utilizzo dei farmaci adiuvanti: farmaci con indicazioni primarie diverse dall’analgesia,
ma che usati da soli o in associazione trovano ampia indicazione in alcune tipologie di dolore (dolore neuropatico per esempio). I farmaci più usati sono anticomiziali, antistaminici, cortisonici ed antidepressivi.
Gli anestetici locali trovano ampia indicazione sia nella gestione del dolore procedurale che neuropatico.
Diverse le molecole a disposizione, come diverse le modalità di somministrazione previste (per contatto,
per istillazione, per infiltrazione, per infusione continua..).
La terapia antalgica non farmacologica comprende molti tipi d’intervento (psicologici e fisici) assai diversi
fra loro. Alcuni sono molto semplici ed attuabili da tutti gli operatori ed in qualsiasi situazione (tecniche
di distrazione come le bolle di sapone, lettura, giochi, musica..), altri, più complessi richiedono competenze e strumentazione specifiche (ipnosi, biofeedback, tecniche fioterapiche). Sono indicati nella gestione
di tutti i tipi di dolore (acuto, cronico, procedurale), vanno usati per lo più in associazione con la terapia
farmacologica e non presentano controindicazioni particolari.
Fra le tecniche psicologiche, le tecniche di supporto (ambientale e sociale), cognitive (adeguata informazione, tecniche di distrazione ed immaginative) e comportamentali (tecniche di rilassamento, biofeedback), sono le più usate nel bambino oncologico. Fra le tecniche fisiche sono il massaggio e la fisioterapia motoria, gli strumenti più utilizzati.
Le conoscenza raggiunte, sono a tutt’oggi tali e tante, da poter assicurare un corretto ed efficace approccio
antalgico nella maggior parte delle situazioni di dolore oncologico pediatrico. Nella realtà clinica attuale
però, la situazione è ancora lontana dalle reali possibilità: soprattutto la carenza di formazione e la paura
all’uso dei farmaci analgesici, sono alla base di persistenti situazioni di ipotrattamento del dolore, situazioni che richiedono ulteriori sforzi e strategie per un cambiamento reale.
FARMACI PER LA GESTIONE DEL DOLORE POSTOPERATORIO NEL NEONATO
Dino Pedrotti
U.O. Anestesia e Terapia Intensiva, APPS Ospedale “S. Chiara”, Trento
Esistono tutti i presupposti per poter affermare con certezza che il neonato, anche prematuro, prova dolore.
Già il feto alla 20ma/24ma settimana di gestazione è in grado di percepire sensazioni dolorose. In rapporto
alle conoscenze scientifiche degli ultimi anni, vi è evidenza che il neonato risponde allo stimolo doloroso
con una serie di reazioni comportamentali, metaboliche, ormonali. Nonostante queste evidenze, la valutazione e il trattamento del dolore nel neonato nelle procedure assistenziali sono generalmente ancora limitati
Il neonato ospedalizzato va incontro ad una serie di procedure diagnostiche e terapeutiche, la maggior parte
delle quali potenzialmente dolorose (come la puntura del tallone, la venipuntura, l’intubazione endotracheale). Il dolore è una esperienza soggettiva e in quanto tale difficile da valutare, questo vale a maggior ragione
per i neonati, che non sono in grado di esprimere verbalmente le proprie necessità e sensazioni. Quando
intrapresa, la terapia analgesica va personalizzata e attuata secondo regole ben precise quali utilizzo schemi
per prevenire il dolore, somministrazione ad orario fisso, impiego della via meno invasiva, monitoraggio
dell’efficacia, prevenzione degli effetti collaterali
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FARMACI PER LA GESTIONE DEL DOLORE POST OPERATORIO NEL BAMBINO
Laura Giuntini
Autori: Giuntini L., Martini N., Montone M., Puzzutiello R.
UOC Anestesia e Terapia antalgica, Azienda Ospedaliera Universitaria, Siena
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La prevenzione e la cura del dolore e’ un diritto fondamentale di ogni individuo e in particolare del bambino . L’interesse per il “problema dolore” è aumentato negli ultimi anni dopo un lungo periodo in cui è stato
sottovalutato .La letteratura al riguardo era,del resto,estremamente povera,di conseguenza,la pratica clinica
pediatrica relegava a un ruolo molto limitato l’analgesia e, in generale, qualsiasi cura nell’ambito del dolore
In questi anni hanno giocato a favore del “problema dolore “ diversi fattori:
maggior comprensione della fisiologia del dolore e migliori capacità diagnostiche;
sviluppo di scale adeguate per la valutazione;
maggiore disponibilità di farmaci specifici, più potenti e anche meglio compresi nel meccanismo d’azione,
nelle indicazioni e nei limiti;
utilizzo altre risorse non farmacologiche per il controllo del dolore.
Nonostante questi nuovi orientamenti, il dolore nel bambino non riceve ancora attenzione adeguata
anche se,fra tutti i sintomi,e’ quello che piu’ preoccupa e impaurisce lui e la famiglia. È ormai certo che
non esistono limiti d’età alla percezione del dolore:il feto possiede le strutture adeguate per percepire il
dolore,e sin dall’età neonatale esiste una“memoria del dolore”innescata da stimolazioni nocicettive ripetute.Il bambino è un paziente “particolare”,dove le continue modificazioni fisiche,psichiche,relazionali legate
all’accrescimento,condizionano la percezione e la risposta al dolore.
Se fino a pochi anni fa si credeva che i bambini percepissero meno dolore rispetto agli adulti,oggi, sappiamo che fin dalla 23a settimana di gestazione il sistema nervoso centrale(SNC) è anatomicamente e funzionalmente competente per la nocicezione.Il sistema nocicettivo si sviluppa in una serie di tappe funzionali
transitorie,che gradualmente trasmutano e vengono incorporate nelle risposte al dolore di tipo adulto.Il
dolore,evocato dall’apparato muscolo scheletrico e dalla cute,è mediato dai nervi somatici. La rappresentazione corporea della sua percezione è ben definita spazialmente a livello del cervello.
Il dolore a partenza dai visceri, si proietta attraverso fibre che decorrono nei nervi simpatici e parasimpatici viscerali, la rappresentazione di questo dolore è invece scarsamente definita a livello encefalico.
La sequenza evolutiva del dolore, si modifica nel tempo cosi’ come la sua espressione. I lattanti e i bambini
rispondono soprattutto con pianto,grossolani movimenti corporei e tentativi di fuga dallo stimolo doloroso.In età scolare e adolescenza invece, pianto e proteste sono più rare,mentre sono più comuni smorfie di
dolore, trasalimenti o descrizioni verbali delle sensazioni.
la prima linea-guida per l’Ospedale Senza Dolore è la legge n.149/2001 dove per la prima volta veniva sancito come diritto del cittadino la cura e il controllo del dolore acuto e cronico,
Il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, si propone “La definizione di linee guida nazionali sul trattamento del dolore nel bambino”.Per la prima volta,in un atto ufficiale,si considera il bisogno di“analgesia”del
neonato-bambino e si sottolinea anche la specificità e peculiarità del paziente pediatrico .Nel 2010 la legge
n.38 del15/3/2010,pone con forza l’accento sulla cura del dolore come diritto inalienabile del cittadino.
Questa legge sancisce l’obbligo di rilevare il dolore come parametro fondamentale per la vita, di annotarne
il trattamento e i risultati raggiunti segnando il passaggio della concezione del dolore non più solo come
sintomo ma come malattia.
Strategie Controllo Del Dolore
I farmaci usati nella prevenzione e nel trattamento del dolore pediatrico sono gli stessi usati negli adulti .
Studi di farmacocinetica e farmacodinamica hanno valutato indicazioni e limiti all’uso di farmaci antalgici
nella popolazione pediatrica;molte“false credenze”sull’uso dei farmaci analgesici,oppiacei in particolare,
sono crollate.Peraltro,a differenza dell’adulto,per il quale esiste un dosaggio valido in assoluto,in pediatria
la dose va stabilita considerando il livello di maturazione degli organi, la differente componente d’acqua
dell’organismo,la diversa concentrazione di proteine,il deficit funzionale delle barriere (ematoencefalica
p.e), numero e tipo di recettori, i limitati meccanismi di compenso in caso di effetti collaterali o intossicazione.Per questo il dosaggio va strettamente rapportato all’eta’,al peso o alla superficie corporea .
Il trattamento del dolore si avvale delle seguenti categorie di farmaci:
farmaci periferici: paracetamolo, FANS;
farmaci oppioidi: minori (codeina, tramadolo), maggiori (morfina, fentanili);
locali: lidocaina, mepivacaina, ropivacaina, levobupivacaina;
adiuvanti: clonidina;
locali: “crema EMLA”;
altri analgesici:ketamina.
Oppiacei.
I vantaggi dell’uso degli oppioidi in età pediatrica derivano dalla:
Lunga esperienza clinica,
Azione analgesica efficace e intensa,
Effetto sedativo,
Reversibilita’ con il naloxone
Anestetici locali
Rallentano la trasmissione dell’impulso nervoso dalla periferia ai centri di integrazione spinale.
Adiuvanti
Non sono farmaci analgesici in senso stretto,ma possono modularne l’effetto e/o controllarne gli effetti
collaterali.
Topici
L’emulsione eutectica di lidocaina 2,5% e prilocaina 2,5%(EMLA) è assorbita a livello dei tessuti cutanei
per circa l’80% senza dare tossicità.Previene il dolore procedurale da puntura arteriosa,venosa,nel posizionamento di cateteri percutanei,circoncisione,rachicentesi
Valutare il dolore nel bambino è difficile, per questo non esiste un metodo/scala di valutazione del dolore
valido per tutte l’età ,ma sono a disposizione scale/metodi diversi in grado di indagare in maniera efficace e
validata,le diverse fasi di sviluppo cognitivo,comportamentale,relazionale.
Strumenti di autovalutazione (soggettivi),generalmente usati nei bimbi piu’ grandi (> 3 anni)
Strumenti comportamentali (oggettivi) indicati in particolare nei neonati e nei lattanti:valutano parametri fisiologici e comportamentali
Il trattamento del Dolore in genere e del dolore post-operatorio in particolare non dovrebbe prescindere
dal poter organizzare nei servizi pediatrici un Acute Pain Service (APS) struttura organizzativa multidisciplinare che si occupa della prevenzione,valutazione,trattamento del dolore in tutte le sue forme.
Il primo modello di APS supervisionato da un anestesista ma basato su infermieri specializzati fu realizzato nel 1994 in Svezia avvalendosi del monitoraggio e applicando correttamente Protocolli Terapeutici.
L’analgesia postoperatoria dovrebbe tener conto dell’età,della tipologia di intervento chirurgico e del
quadro clinico del paziente.Tutti coloro che partecipano all’assistenza postoperatoria devono conoscere
i principi generali del trattamento del dolore nei bambini,le tecniche di valutazione,l’utilizzo di farmaci
analgesici e dei presidi adeguati alle diverse età.Il controllo del dolore postoperatorio deve essere ottenuto
attraverso un approccio multidisciplinare e multimodale caratterizzato dall’utilizzo di tecniche di anestesia
loco-regionale in associazione a farmaci non oppioidi (FANS), oppioidi e tecniche riabilitative e comportamentali.
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rispondere ai bisogni specifici di ogni classe di età.i protocolli permettono non solo di trattare in modo
uniforme tutti i pazienti,ma anche di ovviare a quelle che sono le cause più frequenti di inadeguato
trattamento del dolore come espresso nella tabella sottostante, ed accertati in due diversi studi da Meissner
e Nolli .
Cause di inadeguata gestione del dolore
Mancanza di una buona organizzazione
Mancanza di tempo
Mancanza di motivazione
Complessità del fenomeno dolore
Scarse conoscenze del personale medico
64
62%
62%
38%
37%
30%
L’adozione di protocolli, condivisi da tutte le
figure professionali interessate alla gestione
del paziente, permette di semplificare, organizzare e quindi ridurre il lavoro dei medici e degli infermieri.Minimizza gli errori
prescrittivi e attraverso il monitoraggio del
paziente permette il controllo,con una successiva analisi dei risultati.
ACCOGLIERE E TRATTARE IL DOLORE: L’APPROCCIO NON FARMACOLOGICO
Giulia Palego
1
2
Autori: Giulia Palego, Silvia Di Giuseppe
1. Psicologa Fondazione Salesi e Ass.Raffaello c/o Centro di Oncoematologia Pediatrica AIEOP 0901, Salesi,
Ancona
2. Psicologa Dirigente Sanitario UPM, Fac. Medicina, Dip. Scienze Cliniche ed Odontoiatriche, sez.di Pediatria,
SOD Clinica Pediatrica, U.O. Centro di Oncoematologia Pediatrica AIEOP 0901, Pres. Osped. materno-infantile
“G.Salesi”, Az. Osp. Univ. Ospedali Riuniti.Ancona
Questo lavoro espone alcune considerazioni tecniche e riflessioni teoriche maturate nel corso di cinque
anni di attività assistenziale all’interno di un progetto dedicato alla promozione e all’utilizzo delle Tecniche
Non Farmacologiche (TNF) presso il Centro di Oncoematologia Pediatrica del Presidio Materno-Infantile
“G.Salesi” di Ancona.
Il progetto è stato articolato in due fasi: l’acquisizione di una specializzazione in TNF e prime esperienze
applicative e successivamente l’avvio della pratica clinica presso il Centro AIEOP 0901 di Ancona, al fine di
contribuire al controllo del dolore, sia acuto che cronico, nel bambino.
Il progetto si è prefissato i seguenti obiettivi:
•applicare le TNF per attenuare la percezione del dolore provocato nel bambino da procedure diagnostiche
e terapeutiche e quindi potenziare la compliance del bambino al trattamento terapeutico;
•coinvolgere i genitori nell’utilizzo di tecniche non farmacologiche per la gestione del dolore;
•coinvolgere progressivamente l’equipe medica e paramedica mediante interventi formativi volti alla promozione e all’insegnamento delle TNF;
•redigere e distribuire una brochure ludico-interattiva sul dolore, rivolta ai giovani pazienti del Centro ed
alle loro famiglie.
L’esperienza acquisita ci ha fatto osservare come la compliance alla cura non farmacologica, e quindi l’efficacia delle TNF, sia influenzata da diversi fattori, primo tra tutti la relazione empatica che si viene a stabilire
tra l’operatore sanitario e il paziente. Quanto più si riesce a creare un rapporto di fiducia tanto più la tecnica
risulta accettata ed efficace per l’attenuazione del vissuto doloroso del paziente. E’ necessario sottolineare che
stabilire una relazione empatica con il paziente implica anche lo sviluppo di un intervento analogo con i parenti che prestano assistenza. Il principio ispiratore di ogni intervento di cura in oncoematologia pediatrica
non può prescindere da un approccio mirato all’alleanza terapeutica tra equipe curante e famiglia.
Un altro aspetto affettivo-relazionale che abbiamo iniziato a studiare è la possibile correlazione tra stile
d’attaccamento “care-giver e bambino” e l’atteggiamento del bambino e dei genitori verso il dolore e i suoi
margini di tollerabilità. La capacità di contenere le paure e le crisi emotive del figlio è un indice di ottime
competenze affettive ed educative dei genitori.
Inoltre abbiamo verificato la differenza nella percezione del dolore tra i pazienti al primo esordio di malattia
e quelli affetti da malattia recidivante. In quest’ultimo caso la soglia di tolleranza al dolore tende a diminuire,
e spesso anche la disponibilità del paziente e dei genitori ad accettare altro che non sia il “farmaco che toglie
il dolore”: è come se non ci fossero più tempo o risorse psichiche per impegnarsi anche nella gestione attiva
del dolore e si preferisca una soluzione spiccatamente farmacologica o psicofarmacologica.
Il lavoro di equipe è fondamentale per l’applicazione delle TNF per il dolore, soprattutto quando questo
diventa cronico. Esso necessita dell’attivazione di tutte le risorse possibili: sono di grande aiuto sia le attività
terapeutiche (clownterapia, musicoterapia, arteterapia) che quelle più genericamente ludico-distrattive.
Il dolore nel bambino, rivelatore e segnalatore sia di problematiche fisiche che psicologiche, non può essere
sottoposto a trattamento medico o psicologico se non previa adeguata diagnosi: riteniamo quindi impor-
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ANESTESIA AL DI FUORI DALLA SALA OPERATORIA
tante fare anche una diagnosi psicologica, oltre che tenere presente quella medica. Occorre imparare a conoscere i pazienti ed i loro familiari raccogliendo le loro storie per poter dare un contesto all’esperienza di
malattia. E’ importante privilegiare l’osservazione nei pazienti più piccoli per età e puntare invece a stabilire
anche una forma di comunicazione e dialogo con i pazienti più grandi. Il bambino/ragazzo deve sentire che
il suo dolore viene preso sul serio dall’equipe medica, a prescindere da quali siano le sue cause o la sua entità, soprattutto a prescindere dal fatto che possa alcune volte sembrare sproporzionato rispetto all’evento. E’
importante ricordare sempre che la paura e l’ansia giocano un ruolo molto importante nella percezione del
dolore, portando ad un’amplificazione che può sembrare inadeguata all’osservatore esterno, ma che è reale
per il paziente.
La capacità di “accogliere” il dolore e dargli una risposta a 360° aiuterà a costruire l’alleanza terapeutica con
i genitori: dal momento che sono loro a prestare un’assistenza continua al paziente possono diventare i nostri
migliori “alleati” nel rilevamento del dolore e nell’elaborazione dell’esperienza dolorosa.
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ANESTESIA AL DI FUORI DALLA SALA OPERATORIA: IN ONCOEMATOLOGIA
Mirco Amici , Mario Giancursio
SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”,
Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
L’aumento delle procedure dolorose in ambito della oncoematologia pediatrica ha portato allo sviluppo
di tecniche di analgo-sedazione in ambiente ambulatoriale per facilitare l’esecuzione di tali procedure sul
bambino, minimizzandone l’effetto traumatico psicologico e fisico, nonché aumentando la compliance
del paziente verso tali esami e procedure che spesso sono multiple durante tutto lo sviluppo naturale della
malattia e del trattamento terapeutico. Verranno prese in considerazione le basi del dolore da procedura,
analizzate le metodiche internazionali validate e la nostra esperienza personale nell’utilizzo dei farmaci
disponibili sul mercato e sui tempi e modalità di somministrazione. Verranno poi prese in considerazione le problematiche inerenti l’attuazione di tecniche anestesiologiche in un ambiente differente dalla sala
operatoria, analizzando i presidi di lavoro in termini di sicurezza ed i vari tempi nell’ottica della massimizzazione del risultato voluto e nella dimissibilità del paziente che viene ricoverato in regime di day-hospital
o ambulatoriale.
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SESSIONE INFERMIERISTICA
TERAPIA INTESIVA
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ANESTESIA AL DI FUORI DALLA SALA OPERATORIA: IN RADIOLOGIA
LA CARTELLA INFORMATIZZATA IN RIANIMAZIONE
Maurizio Passariello
Rossana Leo, Gianluca Zippo
Dipartimento Scienze Anestesiologiche, Medicina Clinica e Terapia del dolore, Azienda Policlinico Umberto I°,
Roma
SOS Rianimazione, SOD Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto
I°-Lancisi-Salesi”, Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
La richiesta di prestazioni anestesiologiche al di fuori della sala operatoria è in continuo aumento. Nell’ambito della radiologia, pazienti pediatrici possono essere sottoposti a procedure che richiedono la sola immobilità (radiodiagnostica o radioterapia) o a procedure invasive che richiedono anche il controllo del dolore
(procedure interventistiche). Le procedure interventistiche richiedono il più delle volte l’anestesia generale,
mentre per esami radiodiagnostici l’intervento anestesiologico può prevedere la sedazione o l’anestesia generale. Praticare l’anestesia al di fuori della sala operatoria significa lavorare in un ambiente non sempre
“pensato” per le necessità dell’anestesista: la disponibilità di materiali, farmaci, monitoraggio e di personale
può variare rispetto al lavoro in sala operatoria.
Valutare il rischio di complicanze legate alle pratiche anestesiologiche fuori dalla sala operatoria è molto
complesso a causa della variabilità delle strutture, professionalità coinvolte, tipologia di pazienti e di procedure. Alcuni dati, tuttavia, indicano che l’incidenza di complicanze legate alla sedazione/anestesia al di fuori
della sala operatoria sia più elevata rispetto a quella nelle sale operatorie . Le complicanze più frequenti sono
quelle legate a problemi respiratori transitori: desaturazione, ipoventilazione, laringospasmo, broncospasmo; sono riportati anche ipotermia, nausea/vomito, inalazione.
Uno studio analizza le complicanze della sedazione procedurale pediatrica e valuta l’incidenza e la natura
degli avventi avversi nel corso di circa 30,000 sedazioni al di fuori della sala operatoria da parte di varie figure professionali (anestesisti, medici di pronto soccorso ed internisti). Benchè non siano riportati decessi,
lo studio riporta un caso di arreso cardiaco, un caso di inalazione del contenuto gastrico; inoltre 1 sedazione
su 400 era associata a stridore, laringospasmo, broncospasmo od apnea; in 1 sedazione su 200 erano necessarie manovre d’intervento sulle vie aeree per ottimizzare ossigenazione e ventilazione. Questo studio mette
in luce quanto sia essenziale che le professionalità coinvolte debbano avere un’adeguata preparazione nella
gestione delle vie aeree pediatriche e debbano avere a disposizione monitoraggio, materiale e farmaci per
intervenire nel caso compaiano effetti avversi.
Società scientifiche italiane e straniere hanno stabilito degli standard per l’anestesia pediatrica al difuori
della sala operatoria per quanto concerne: valutazione preanestesiologica, digiuno, monitoraggio e osservazione prima della dimissione. L’anestesia generale e la sedazione profonda richiedono gli stessi standard rispetto a quelli impiegati nelle sale operatorie. Nei locali della risonanza magnetica questo implica l’impiego
di apparecchi di anestesia, pompe infusionali e monitor dedicati cosiddetti “RM-compatibili”.
Per quanto riguarda invece le tecniche, i farmaci o la loro combinazione impiegati per la sedazione in radiologia, la letteratura non indica la superiorità di una tecnica su un’altra. Esistono molti studi clinici che
dimostrano l’efficacia e la sicurezza di sedativi e anestetici generali usati da soli o in combinazione.
L’utilità della parziale deprivazione di sonno prima dell’esame è controversa anche se alcuni dati suggeriscono una ridotta necessità di sedativi.
Per neonati o lattanti nei primi mesi di vita è possibile eseguire molti esami radiodiagnostici senza sedazione
sfruttando il sonno naturale, soprattutto dopo la somministrazione di un pasto .
Nei bambini più grandi possono essere impiegate altre tecniche non farmacologiche in alternativa alla
sedazione.
La relazione contiene una breve descrizione sulle novità e i cambiamenti apportati nell’unità operativa
di rianimazione pediatrica di Ancona attraverso la digitalizzazione della cartella clinica.
La presentazione avviene ponendo l’attenzione soprattutto sull’uso pratico di tale strumento da parte
del personale infermieristico e medico, con dettagli sull’ordinamento legislativo che ne regola l’utilizzo,
sull’interfaccia del programma, sulla protezione dei dati sensibili.
Il lavoro sarà esposto alla luce dell’esperienza maturata nella pratica lavorativa giornaliera, con
l’ausilio di foto e/o piccoli file video dimostrativi acquisiti direttamente dal software di gestione della
cartella informatizzata.
Le conclusioni evidenziano come il processo di informatizzazione sia ormai divenuto parte integrante
della nostra realtà clinica. Di come, sin dalle prime fasi, abbia consentito un miglioramento tanto nella
metodologia di lavoro quanto nel ridurre l’incidenza di naturali errori umani, con conseguenti
ripercussioni positive sulla qualità dell’ assistenza erogata ai pazienti.
69
IL POLITRAUMA PEDIATRICO
Marta Costa
U.O.C. Anestesia e Rianimazione IRCCS Giannina Gaslini, Genova
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Il trauma è considerato oggi la causa di morte e di invalidità più frequente in età pediatrica dove morbilità e mortalità sono numericamente superiori a tutte le maggiori patologie tipiche dell’infanzia. Cause
più comuni sono: incidenti stradali sia che si tratti di passeggeri dei veicoli coinvolti pedoni o ciclisti ,
seguiti da cadute, annegamenti ed incidenti domestici. Altre cause sono rappresentate da aggressioni (con
o senza armi da fuoco) ed abusi. Cadute ed incidenti automobilistici rappresentano circa il 90% di tutti i
traumi pediatrici.In un lavoro del 1998, condotto sulla popolazione pediatrica della zona settentrionale
di Manhattan, Durkin ha osservato un’incidenza di lesioni neurologiche da trauma, esitate nel decesso o
nel ricovero ospedaliero del paziente, pari a 155 eventi per 100.000 abitanti per anno, con una mortalità di 6 individui ogni 100.000 abitanti per anno: traumi della strada di bambini in età scolastica ( incid.
76.3/100000/anno), pedoni morbilità circa del 70% (incid, 41.2/100000/anno), ciclisti passeggeri di veicoli
morbilità del 15% (8.7/100000/anno),cadute (34% lesioni traumatiche) sono la causa più frequente di trauma nei bambini compresi nella fascia di età 0-4 anni. Lesioni conseguenti ad aggressioni (12% del totale
delle lesioni da trauma) sono quelle più frequenti in età: infantile (24.9/100.000 bambini/anno), adolescenziale (51/100.000/anno, lesioni da abuso sono infine più frequenti nell’età infantile (45.9/100.000/anno). La
letteratura riporta un esiguo numero di lavori scientifici riguardanti la realtà Italiana e limitati a singole
territori. Tali dati sono forniti dal Ministero Italiano della Salute e dall’Istituto Italiano di Statistica (ISTAT)
relativi all’anno1999: l’incidenza del trauma cranico nella popolazione italiana di età inferiore ai 14 anni è
stata pari a 271.6 eventi per 100000 abitanti pari a 22.616 casi a fronte dei 94.818 casi che hanno riguardato
la popolazione italiana di età superiore ai 15 anni. In questa casistica rientrano tutti i pazienti, per i quali
sia stato necessario il ricovero in seguito ad eventi traumatici di interesse neurologico. Questi dati globali
devono comunque focalizzare l’attenzione circa l’importanza di prevenzione e tutela fondamentali per la
salvaguardia dei nostri bambini. Quello che maggiormente deve essere preso in considerazione è il trattamento e la gestione del trauma cranico pediatrico (TCP) per le peculiarità anatomo-fisiologiche di questo
tipo di paziente e le possibili conseguenze invalidanti. si tratta di fattori da considerare durante valutazione
trattamento e stabilizzazione del bambino rispetto al soggetto adulto in analogo stato.
La maggior parte delle pubblicazioni scientifiche (di autori operanti negli USA) è concorde nell’affermare
che il miglior trattamento per i pazienti pediatrici gravemente traumatizzati, è ottenuto presso strutture
specifiche quali Trauma Centers Pediatrici o presso altre strutture ad alta specializzazione (tipo Trauma
Centers Adulti) che presentino risorse specialistiche dedicate all’età pediatrica. In Liguria l’ assistenza ai
traumatizzati maggiori viene erogata nel contesto del Sistema Integrato di Assistenza ai Traumi (S.I.A.T.),
come delineato nell’ accordo Stato-Regioni e Provincie autonome di Trento e Bolzano dello 04/04/’02
(G.U. n° 146 del 24 giugno 2002), e si articola in 2 fasi sequenziali: fase territoriale del soccorso, gestita dal
SERVIZIO di EMERGENZA TERRITORIALE (S.E.T. ) 1-1-8, fase ospedaliera del soccorso, cui provvedono le strutture ospedaliere organizzate in rete, secondo un criterio “inclusivo”, sul modello “Hub & Spoke”.
In quest’ ottica il trauma maggiore deve allora essere identificabile in maniera univoca già sul luogo dell’
evento. Convenzionalmente si parla di trauma maggiore quando si riscontra un Injury Severity Score (ISS)
> 15. La processualizzazione di tale assetto organizzativo prevede l’ elaborazione di un documento (Manuale di rete) che definisca un programma di cooperazione concordato e condiviso per la regolamentazione dei rapporti fra il SET 1-1-8 e la rete ospedaliera e fra i vari nodi all’ interno di questa, tenuto conto delle varie tipologie di trauma e delle caratteristiche delle diverse realtà coinvolte. Nel contesto poi di ciascuna
struttura compresa nella rete viene redatto un percorso clinico integrato intra ospedaliero, uniformato per
quanto possibile, ad un modello anch’ esso concordato e condiviso a livello regionale.L’ Istituto G. Gaslini
(CTS pediatrico) opera come “hub” di II livello a valenza regionale per itraumatizzati maggiori di età inferiore ai 15 anni.
Stabilizzazione Del Paziente
La stabilizzazione del paziente, emodinamica e respiratoria, è la prima fase deve essere approcciata al
momento dell’ingresso del paziente in ospedale (Dipartimento Emergenza Accettazione DEA o Centro
di Rianimazione). Questa, oltre a mantenere le funzioni vitali, è indispensabile ad evitare danni secondari
dovuti a complicanze intracraniche o sistemiche.
Primary survey: monitoraggio parametri vitali assicurare la pervietà delle vie respiratorie e la ventilazione,
trattare immediatamente un pneumotorace iperteso, emotorace massivo, tamponamento cardiaco, riconoscere e trattare uno stato emorragico, determinare il livello di coscienza con le apposite scale, valutare
lo stato delle pupille (diametro, eguaglianza, reattività), assicurare un adeguato stato di idratazione con un
adeguato apporto di fluidi, trattare lo stato di shock.
Secondary survey: capo (ispezione, palpazione, esame otoscopico ed oftalmoscopico, esame neurologico
completo con riflessi pupillari, scala di Glasgow, funzione motoria, riflessi, tono, forza, radiografia Rx, TAC
cranio), viso (ispezione, palpazione di ossa e denti, Rx cranio), collo, ricordando di procedere sempre con
l’allineamento di capo-collo-torace, eventualmente con la manovra del log-rolling, che mantiene la colonna vertebrale in asse durante la rotazione con l’intervento di 3 o 4 soccorritori, torace (ispezione, palpazione, percussione, auscultazione, ECG, Rx torace, TAC torace), addome (osservazione, ispezione, palpazione, auscultazione, emorragie dalla sonda gastrica, esplorazione rettale chirurgica, ecografia, TAC addome,
lavaggio peritoneale, urografia, Rx addome in laterale per pneumoperitoneo), pelvi (ispezione, palpazione
delle creste iliache, ecografia vescicale, uretrografia retrograda, Rx pelvi, colonna vertebrale (ricordare la
manovra del log-rolling e valutare con ispezione e palpazione, osservare la funzione sensoriale e motoria,
Rx colonna, TAC, RM), estremità (ispezione, palpazione, valutazione polsi periferici e sensibilità cutanea,
radiografie,angiografie). Al termine dell’esame secondario va definito il piano dei trattamenti d’emergenza,
osservando sempre qualsiasi modificazione sospetta dei parametri vitali, il cui deterioramento impone il
ricorso immediato alle manovre di rianimazione.
Attivita’ Infermieristiche Nel Pz. Politraumatizzato
Concordare con medico referente ed il SIAT tempi di trasporto del paziente. allestimento unità paziente
con: apparecchiature necessarie e controllo funzionamento, presidi per primary survey (ABCD). Identificazione personale necessario per l’accoglienza e suddivisione delle competenze, monitoraggio paziente,
allestimento farmaci, procedura intubazione tracheale, posizionamento vasi, esecuzione esami ematochimici, trasferimento paziente per esami diagnostici (TAC), monitoraggio continuo parametri vitali
riconoscimento precoce di segni di shock compensato, care del paziente, accoglienza familiari.
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INFERMIERISTICA LEGALE E FORENSE
GESTIONE DEL POTENZIALE DONATORE D’ORGANI
IL BAMBINO ABUSATO
Angelina Lettieri, Pamela Paolinelli
Saveria Genova
SOS Rianimazione, SOD Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto
I°-Lancisi-Salesi”, Presidio Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
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La gestione del potenziale donatore d’organi costituisce per il nostro reparto di rianimazione una attivita’
estremamente complessa che richiede un notevole impegno clinico organizzativo e psicologico e si avvale di
risorse umane e tecnologiche che solo un equipe multidisciplinare può fornire.
Gran parte del lavoro svolto dall’infermiere durante l’accertamento di morte è mirato all’omeostasi del potenziale donatore. E dalle esecuzioni di indagini svolte a escludere patologie trasmissibile al ricevente
All’ingresso in rianimazione di un paziente con lesioni encefaliche, Glasgow (GCS) uguale o inferiore a
cinque si segnala,attraverso il Servizio allerta urgenza (SAU) tramite un sms generato da computer al coordinatore ospedaliero del prelievo di organi
Con la morte celebrale,diagnosticata con elettroencefalogramma (EEG) o con la prova di flusso, si ha l’obbligo di istituire il collegio per l’accertamento di morte che viene nominato dalla Direzione medica di presidio
ed è costituito da : 1 medico Anestesista e Rianimatore, 1 Neurologo ed 1Medico legale.
L’osservazione di accertamento di morte con criteri neurologici è della durata di 6 ore.
Dove vi e’ la non opposizione dei famigliari alla donazione degli organi, l’infermiere provvede a gestire tutti
quegli aspetti organizzativi e burocratici come da protocollo.
E’ infatti questa la fase dove si devono compiere numerosi adempimenti formali e burocratici,dove vi è
la necessità di coordinare l’intervento di consulenti diversi, di confrontarsi con numerosi interlocutori, di
garantire la stabilità clinica del paziente e degli organi, ma soprattutto dove si inseriscono principi etici ed
umani con il rispetto della scelta, e sostegno ai familiari con una buona comunicazione.
All’inizio dell’osservazione viene identificato un infermiere che segue, durante il proprio turno il donatore,
che collabora strettamente con il Coordinatore ospedaliero dei prelievi d’organo e con il Rianimatore a correggere e prevenire le alterazioni cliniche e fisiologiche che potrebbero verificarsi.
Durante il periodo di osservazione, oltre al mantenimento dell’omeostasi, si inviano campioni per il CrossMatch al NIT di Milano, vengono prelevati tutti gli esami di laboratorio microbiologici e virologici.
L’infermiere durante l’accertamento di morte collabora con il collegio in tutte le manovre e gli esami di legge.
Primo fra tutti l’elettroencefalogramma , che dimostra l’assenza di attività elettrica celebrale, ed ha una durata di 30 minuti.
Poi viene ricercata dal neurologo, l’assenza di riflessi dei nervi cranici (fotomotore,corneale,ocucefalico,ves
tibolare e carenale).
A questi indagini si associa il test dell’Apnea, che verifica l’assenza del respiro spontaneo, segue un emogasanalisi che mette in evidenza il valore di PCO2 superiore a 60 mmHg.
E’ indispensabile in questa fase fronteggiare l’ipotermia con sistemi di riscaldamento attivi e passivi.
Vengono costantemente monitorizzati i parametrici emodinamici :frequenza cardiaca , pressione arteriosa
cruenta, saturimetria, capnometria , pressione venosa centrale (PVC), diuresi ed controllo glicemico ad
orario e temperatura corporea.Al termine del periodo di osservazione l’infermiere prepara il potenziale
donatore al trasferimento in sala operatoria. Questo fase rappresenta il momento più critico, in quanto può
verificarsi un alterazione dell’equilibrio emodinamico e/o arresto cardiaco
Tutta la check –list relativa al potenziale donatore viene consegnata all’infermiere referente del blocco operatorio che provedderà alla seconda fase con successiva riconsegna della documentazione in rianimazione.
UO di Anatomia Patologica Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti”, Foggia
Negli ultimi tempi la cronaca ci mostra episodi sempre più gravi ed eclatanti di abuso ai danni di minori,
che nelle situazioni peggiori, terminano con la morte degli stessi. Tali episodi sembrano senza apparente
motivazione se non la follia.
Si tratta di una forma di criminalità non nuova nella storia dell’umanità infatti la violenza sui minori, da
sempre esistita, pare in aumento vertiginoso ma questo dato non è completamente realistico in quanto
lo sviluppo e diffusione dei più moderni mezzi di comunicazione tecnologica (vedi internet) hanno reso
maggiormente evidente la dimensione del problema divulgando le notizie in tempo reale e con dovizia di
particolari.
Nessuno spazio è ritenuto più sicuro: le scuole, le parrocchie, e men che meno i nuclei familiari, in cui la
sacralità del luogo ha lasciato spazio a violenze di rara barbarie culminanti (a volte ma non di rado) nella
morte.
Ciò che emerge è un fenomeno vasto, complesso e articolato che riguarda la violenza sui minori: violenza
fisica, morale, psicologica e sessuale. A tal riguardo assume un ruolo fondamentale la figura dell’infermiere
forense e legale che sia peraltro competente in campo pediatrico. Cosa fa l’infermiere legale e forense in
questi casi? Troviamo le risposte in questa definizione: “La professione di infermiere legale consiste nell’applicazione delle conoscenze infermieristiche alle procedure pubbliche o giudiziarie; consiste inoltre nell’applicazione di procedimenti propri della medicina legale, in combinazione con una preparazione bio – psico – sociale dell’infermiere laureato, nel campo dell’indagine scientifica, del trattamento di casi di lesione
e/o decesso di vittime di abusi, violenza, attività delinquenziale ed incidenti traumatici”.
Nello specifico, quindi, l’infermiere forense ha un ruolo anche nei casi di “child abuse”, intendendo con
questo termine tutte le forme di abuso che un bambino può subire: maltrattamento (fisico e psicologico);
patologia delle cure (incuria, discuria, ipercuria);abuso sessuale (intrafamiliare, extrafamiliare).
In linea generale possiamo affermare che:
- l’abuso può avvenire sia all’interno che all’esterno della famiglia;
- tende ad essere tenuto nascosto e/o negato;
- è difficilmente rilevabile con sufficiente certezza (aspetto importantissimo per le responsabilità derivanti);
- tende ad aggravarsi nel tempo.
Le condizioni di abuso incidono su: sviluppo della personalità, relazioni con la famiglia, relazioni al di
fuori della famiglia, relazioni con i coetanei; sviluppo psicologico, emotivo, comportamentale e relazionale
del minore.
Ogni forma di violenza ai danni di un minore destabilizza seriamente la personalità in via di sviluppo provocando danni a breve, medio e lungo termine sul processo di crescita dell’individuo: abbiamo il dovere di
considerare il bambino abusato come un soggetto“violato nella psiche” ancor prima che nel fisico.
Un aspetto molto importante riguarda il dato numerico e statistico circa la reale entità del problema.
Possiamo disporre di diversi dati statistici anche su base regionale i cui risultati concordano con quelli
nazionali e dell’ONU. In particolare la Regione Veneto, attraverso l’Osservatorio Regionale per l’Infanzia e
l’Adolescenza ed uno studio condotto fra gli studenti della provincia di Vicenza fornisce dati interessanti:
- la fascia di età maggiormente interessata è quella compresa fra i 6 ed i 10 anni;
- gli abusi sessuali coinvolgono prevalentemente il sesso femminile;
- l’abusante è prevalentemente un soggetto conosciuto, interno alla famiglia o comunque un parente;
- nella maggior parte dei casi le violenze e gli abusi non vengono denunciati alle istituzioni (magistratura,
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74
organi di polizia giudiziaria, assistenti sociali);
- si tratta prevalentemente di bambini di nazionalità italiana (precisazione doverosa in considerazione
della multietnicità ormai presente in Italia).
Presso il Ministero di Grazia e Giustizia, già da anni, l’Ufficio Studi promuove il monitoraggio del fenomeno della violenza e dell’abuso ai danni di minori, attraverso la raccolta dei dati disponibili.
Secondo le stime del Censis circa due bambini su mille subiscono mediamente ogni anno una violenza
sessuale. Questa percentuale già altissima è da ritenersi inferiore al dato reale poiché si calcola che su 2040 reati effettivamente compiuti uno solo venga scoperto e denunciato causa, appunto, l’inconfessabilità
del reato, la vergogna di denunciarlo. Il Censis riporta una sintesi dei dati ricavati dai procedimenti penali
del Tribunale di Roma che, per l’anno 2006, dimostrano che:
- il 90% dei casi di abuso nei confronti dei minori avviene in famiglia e l’abusante risulta essere il padre
naturale, il patrigno, o più raramente la madre/matrigna;
- nell’8% dei casi l’abuso avviene al di fuori della famiglia, come a scuola o in palestra dove comunque
l’abusante risulta essere una persona conosciuta come l’insegnante, il personale scolastico o altre figure
professionali frequentate dai minori;
- soltanto il 2% dei casi l’autore dell’abuso risulta essere del tutto sconosciuto.
Un altro dato sconcertante ricavabile dal Censis riguarda il basso numero di denunce contro ignoti che si
registrano per questi delitti (il 10-15% di tutte le denunce di violenze sessuali: la percentuale più bassa in
assoluto tra tutti I tipi di delitti).
L’esperienza di maltrattamento subita dal bambino può generare interpretazioni distorte destabilizzanti
soprattutto se l’abusante è un genitore a cui la vittima è legata. Per questo motivo il bambino arriva ad
attribuire la colpa dell’accaduto ad altre persone o addirittura ad autoaccusarsi. Si tratta di un aspetto
assolutamente da non sottovalutare. E’ pertanto necessario che i professionisti della salute, in particolare
l’infermiere forense, abbiano competenze adeguate per poter individuare ed interpretare correttamente i
segnali e i sintomi di disagio o le situazioni a rischio: presenza di sintomi fisici, psicologici, psicosomatici
e/o comportamentali rappresentano sicuramente degli indicatori di rischio ma vanno attentamente analizzati prima di giungere a conclusioni affrettate. Occorre sempre tener presente che ogni segnale non va mai
considerato isolato dal contesto in cui il minore è inserito e che è fondamentale una valutazione complessiva della situazione per poter formulare ipotesi di maltrattamenti e/o abusi. Una non corretta interpretazione di tutti questi segnali che porti ad identificare erroneamente un abuso anziché una patologia d’organo
ed un genitore abusante che in realtà non lo è porterebbe a conseguenze ancor più gravi, sia da un punto di
vista sociale e familiare che mediatico.
RESPONSABILITÀ DELL’INFERMIERE IN AMBITO PEDIATRICO
Eugenio Cortigiano
Presidente AILF - Unità Funzionale Salute Mentale, Azienda USL 7, Siena
L’intervento verte su una disamina, storica, giurisprudenziale e normativa sulla figura infermieristica, sulle
sue competenze e professionalità.
La Responsabilità Professionale Infermieristica
L’infermiere è un professionista che risponde a 3 lvelli di responsabilità:
- Civile
- Disciplinare
- Penale
La Responsabilità Disciplinare
-Codice Deontologico
-Contratto di lavoro
Responsabilità Civile
La responsabilità civile è di tipo contrattuale, si fonda sul rapporto che viene stabilito fra paziente e struttura sanitaria.
Rapporti Con La Struttura E Gli Altri Sanitari
- Formazione
- Informazione
- Consulenza
Risk Management
Un’attività di Risk management efficace si sviluppa in più fasi e permette di prevenire gli errori o nmodificare i comportamenti pericolosi.
L’infermiere in pediatria
L’ordinamento italiano prevedeva la figura della Vigilatrice d’Infanzia accanto a quella dell’Infermiere Professionale. Nel 1994, il DM 739 introduceva fondamentali innovazioni nella normativa professionale.
Il principio di affidamento
Consiste nel principio in base al quale un soggetto può confidare nel comportamento lecito di altri soggetti.
La Documentazione Sanitaria
Per documentazione sanitaria si intendono tutti gli atti che gli operatori sanitari compilano nell’esercizio
della loro attività.
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ANESTESIA
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ORGANIZZAZIONE DEL BLOCCO OPERATORIO PER IL PRELIEVO MULTIORGANO
ANESTESIA LOCO-REGIONALE IN ETA’ PEDIATRICA
Valentina Gatti
Annarita Galeazzi, Ana Ligero Bilbao
Blocco Operatorio, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”, Presidio
Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
Blocco Operatorio, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I°-Lancisi-Salesi”, Presidio
Materno-Infantile “Salesi”, Ancona
Il perfezionamento di apparecchiature sempre più sofisticate, l’evolversi delle tecniche chirurgiche ed il
progresso delle conoscenze nel campo dell’immunologia con l’avvento della Ciclosporina A, la prima
molecola utilizzata come immunosoppressore, grazie alla quale è stato possibile controllare la risposta del
sistema immunitario, vale a dire a ridurre il rischio di rigetto dell’organo trapiantato e, successivamente
con la scoperta di nuove molecole che riducono ulteriormente il rischio, diminuendo gli effetti collaterali e
agendo selettivamente sul sistema immunitario, hanno reso possibile un “miracolo”, cioè quello di utilizzare organi di una persona per salvare la vita di un’altra e quindi: il trapianto d’organo a scopo terapeutico.
Per la donazione di organi è necessario che la famiglia del paziente sia favorevole ed esprima per iscritto la
volontà della donazione, in mancanza di una precisa volontà espressa dalla persona deceduta, quando era
in vita.
Tutti gli interventi di prelievo di organi vengono eseguiti nel rispetto dei seguenti riferimenti di legge:
-L.301 del 12/08/93
-L.91 del 01/04/99 (compilazione verbali di prelievo organi a scopo di trapianti)
-L.578 del 29/12/93
-D.M.S.582 del 22/08/94
-L.198 del 13/07/90.
Quando si rende disponibile un potenziale donatore di organi, si innesca un flusso operativo che coinvolge
essenzialmente quattro strutture: la Rianimazione che ha dato la disponibilità del potenziale donatore, la
Direzione Sanitaria, il Centro Interregionale Trapianti e il Blocco Operatorio (B.O.).
L’organizzazione del B.O. viene suddivisa in tre fasi: Pre-prelievo, Prelievo, Post-prelievo; e al fine di garantire un’assistenza infermieristica efficace,in sala operatoria, durante l’intervento chirurgico, sono indispensabili: quattro infermieri (due infermieri addetti in sala e due strumentisti), due operatori di supporto
(OSS) ed il Coordinatore del B.O.Le strumentiste collaborano e assistono le equipe chirurgiche impegnate
al tavolo operatorio,rendendo pronto e disponibile tutto quanto richiesto; il personale di sala presta attenzione sia all’aspetto chirurgico che all’aspetto anestesiologico dell’intervento, collaborando con le strumentiste e l’anestesista; il personale di supporto collabora con il personale infermieristico occupato nell’intervento, provvede a portare eventuali provette per esami, all’approvvigionamento del ghiaccio e al corretto
smaltimento del materiale sporco ; il Coordinatore intraprende i vari contatti telefonici, fornisce aiuto ai
colleghi in sala, qualora vi fosse bisogno, collabora con il Coordinatore Locale di Trapianti e tiene i contatti con la Direzione Sanitaria. L’intervento di prelievo di organi avviene in diversi tempi, espletati da varie
equipe chirurgiche che si alternano sul campo operatorio:
1.Tempo in cui vengono prelevati il cuore ed i polmoni;
2.Tempo in cui vengono prelevati il fegato ed il pancreas;
3.Tempo in cui vengono prelevati i reni;
4.Tempo in cui vengono prelevate le cornee.
Il prelievo di organi ha due fasi chirurgiche ben precise: la prima si svolge sul tavolo operatorio,mentre la
seconda si svolge in un tavolo allestito sterilmente per la “chirurgia da banco”, in cui gli organi prelevati
vengono perfusi e confezionati in sacchetti sterili, immersi in soluzione fisiologica tra 0° e 4° C e ghiaccio
sterile; quindi chiusi in un contenitore termico con ghiaccio, in modo da ottenere una temperatura costante tra 4° e 6°C per un tempo tale da permettere il trasporto entro i limiti di sicurezza.
Perché l’anestesia loco-regionale in Pediatria? L’anestesia regionale è stata da sempre oggetto di accesi dibattiti, sia nel bambino che nell’adulto. L’anestesia regionale ha radici antichissime, almeno quanto le tecniche
sistemiche di sollievo del dolore. Nell’anestesia moderna, l’anestesia loco regionale in pediatria nasce nel
1899 quando Karl Gustav Pier esegue un blocco spinale in un bambino. Seguirono gli studi di Bainbridge
agli inizi del secolo scorso. Le prime pubblicazioni sull’anestesia caudale nel bambino uscirono negli anni’30.
Solo negli ultimi 2 decenni si è assistito ad un notevole aumento degli studi sull’importanza dell’anestesia
regionale in pediatria che acquista sempre più campo nelle varie specialità chirurgiche e nella terapia del dolore post-operatorio. Fino agli anni ottanta si dubitava sulla capacità del bambino e soprattutto nel neonato
a percepire il dolore. Tutto questo portò ad incentivare numerosi studi che si sono concentrati su due aspetti
fondamentali del dolore del bambino:
1)conoscenza delle basi neurologiche del dolore e della sua espressione;
2)analgesia e anestesia efficace e sicura attraverso una migliore comprensione della cinetica e dinamica dei
farmaci e lo sviluppo di nuove tecniche analgesiche.
Attualmente le conoscenze neurobiologiche ci dimostrano che, in seguito allo stimolo nocicettivo, non solo
esiste una modulazione a vari livelli, ma ci sono sostanziali modifiche a livello sinaptico a vari livelli del
SNC, dalle corna dorsali del midollo spinale ai centri più alti, come il talamo e la corteccia.
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CONTROLLO DEL DOLORE POST-OPERATORIO
Ines Antoniani
U.O. Anestesia e Terapia Intensiva APPS Ospedale “S. Chiara”, Trento
Introduzione
La gestione del dolore è un argomento importante e attuale per tutti i contesti della sanità.
Scopo
Redigere un protocollo per la gestione del dolore postoperatorio.
Il dolore è definito come un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata ad un danno tessutale
potenziale o in atto o descritta nei termini di tale danno. ( IASP – International Association for the Study
of the Pain)
Il dolore è difficilmente quantificabile, in quanto non è solo una risposta neurofisiologica ad uno o più
stimoli, ma la mescolanza di fattori psicologici, sociali, culturali, ambientali e di memoria in grado di modificare la sensazione dolorosa.
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Il Dolore Post Operatorio (DPO) rientra nella classificazione del dolore acuto, ma diversamente da quello
causato da un’evento imprevisto è prevedibile e prevenibile, ed ha una durata limitata nel tempo.
E’ dimostrato che un buon controllo del DPO oltre a ridurre la sofferenza produca anche esiti favorevoli
per i pazienti quali la riduzione delle giornate di degenza, minor incidenza di complicanze postoperatorie,
guarigione precoce della ferita, riduzione della progressione del dolore acuto a cronico.
L’infermiere è coinvolto in particolare nell’educazione preoperatoria, nel supporto psicologico e nella valutazione e documentazione del dolore.
La valutazione del dolore in genere và effettuata:
•prima dell’intervento chirurgico
•a intervalli regolari di 2-4 ore in prima giornata
•a riposo e in movimento
•a ogni nuovo episodio di dolore
•dopo ogni trattamento ( 30 minuti dopo terapia parenterale, 60 minuti dopo la terapia orale, 30 minuti
dopo interventi non farmacologici e comunque secondo l’evoluzione clinica).
Nella valutazione del dolore nel bambino si possono evidenziare tre punti critici:
•la globalità del dolore
•lo strumento di valutazione
•il trattamento del dolore
SESSIONE
POSTER
79
FAST TRACK NEL PAZIENTE PEDIATRICO: PESO E CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA
SONO FATTORI DI RISCHIO?
UTILIZZO DELLA MASCHERA LARINGEA AIR-Q PER LA VENTILAZIONE E L’INTUBAZIONE
DI UN NEONATO ED UN BAMBINO CON VIE AEREE DIFFICILI
Presentatore: Marta Agulli
Autore: 2Angeli E., 1Fucà A.,Di 1Luca D.,1Frascaroli G.
1. Dipartimento di Anestesia e Rianimazione Cardiochirurgica . Osp. S.Orsola –Malpighi Bologna.
2. Dipartimento di Cardiochirurgia pediatrica Osp. S.Orsola-Malpighi Bologna
Presentatore: Valeria Alessandri
Autore: Alessandri V., Ferrari F., Marchetti G., Cimino A., Picardo S.
Obiettivo dello studio
Valutare l’impatto dell’estubazione precoce realizzata nelle prime sei ore dall’arrivo in terapia intensiva pediatrica (PICU), in una popolazione di pazienti di peso ≤ 5 Kg, sottoposti a correzione completa di cardiopatia congenita semplice ( Difetto interatriale, difetto interventricolare, canale atrioventricolare parziale e
totale ) in circolazione extracorporea.
Materiali e metodi
E’ stata eseguita un’analisi retrospettiva su 59 pazienti. Età media all’intervento 113,4 ± 53,5 gg, peso medio
4,3 ± 0,5 Kg, tempo medio di intubazione 2,4 ± 1,2 ore, degenza media in PICU 1 ±0,3 gg.
80
Risultati
Nessun paziente è deceduto. In nessun caso è stato necessario ricorrere a reintubazione, né a metodiche
ventilatorie non invasive. Il quadro emodinamico non ha subito variazioni e non si segnalano casi in cui
si sia ricorsi ad incremento del supporto inotropo a breve e medio termine. La funzione cardiaca, valutata
ecocardiograficamente, non ha mostrato alterazioni significative a seguito dell’estubazione.
Conclusioni
L’estubazione precoce è una metodica ormai consolidata. I risultati ottenuti nella nostra esperienza confermano che tale approccio, anche nei pazienti di peso ≤ 5 Kg, sottoposti a circolazione extracorporea per
correzione di cardiopatia congenita, non rappresenta un fattore di rischio nell’outcome precoce di questi
pazienti, né agisce negativamente sulla funzione cardiaca.
Background
La maschera laringea classica è stata utilizzata negli ultimi anni, oltre che per ventilare, anche per intubare pazienti con vie aeree difficili. Tuttavia il suo utilizzo nei neonati e nei bambini è limitato da alcune
caratteristiche del presidio e per consentire il posizionamento del tubo endotracheale si devono effettuare
delle modifiche sulla maschera laringea e/o sul tubo endotracheale. E’ di recente introduzione una nuova
maschera laringea per l’ intubazione, l’Air-Q (ILA, intubating laryngeal airway, Cookgas LLC, Mercury
Medical, Clearwater, FL), disponibile in tutte le misure pediatriche, progettata appositamente per superare
tali limitazioni. L’ILA consente l’intubazione tracheale con tecnica “blind” o tramite fibrobroncoscopio,
permettendo il passaggio di tubi endotracheali cuffiati e la rimozione sicura del presidio utilizzando lo
specifico stiletto.
Metodi
Presentiamo due pazienti, un neonato ed un bambino, con vie aeree difficili nei quali utilizzando l’Air-Q
l’intubazione tracheale è stata eseguita con successo al primo tentativo.
CASE REPORT
Paziente n°1
Paziente maschio, neonato di 2 gg di vita e 2.980 g di peso, affetto da sindrome di Pierre-Robin, ricoverato d’urgenza in T.I. per insufficienza respiratoria ingravescente. Il paziente presentava una difficoltà alla
ventilazione in MF ed una impossibilità ad IOT con laringoscopia convenzionale ((Cormack-Lehane IV).
Si posizionava quindi Air-Q n°1 che consentiva una buona ossigenazione e ventilazione del paziente. Non
avendo prontamente disponibile un fibrobroncoscopio si procedeva ad IOT con TET 3 cuffiato mediante
tecnica “blind” e posizionamento del TET in “normal loading”. L’ascultazione del torace e la presenza di
curva capnografica confermavano il corretto posizionamento del TET. Si procedeva quindi ad agevole
rimozione dell’ILA utilizzando l’apposito stiletto n°00, senza causare estubazione del paziente.
Paziente n°2
Paziente maschio, bambino di 7 anni di età e 30 kg di peso, affetto da mucopolisaccaridosi di tipo II, in
lista operatoria per eseguire posizionamento PEG e port-a-cath. Dopo l’induzione per via inalatoria, la
ventilazione in MF si presentava difficoltosa: si procedeva a laringoscopia convenzionale in respiro spontaneo e a due tentativi di IOT falliti (Cormack-Lehane III). Si posizionava quindi l’Air-Q n° 2.5, che consentiva una buona ossigenazione e ventilazione del paziente e si effettuava IOT con TET 5.5 cuffiato tramite
fibrobroncoscopio. Una volta confermato il corretto posizionamento del TET si procedeva ad agevole
rimozione dell’ILA utilizzando l’apposito stiletto n°0 senza causare l’estubazione del paziente.
CONCLUSIONI: l’Air-Q è un presidio sopraglottico semplice da utilizzare, che oltre ad aver consentito
una buona ventilazione ed ossigenazione in pazienti con difficile gestione in MF, ha permesso anche di
intubare pazienti che in laringoscopia convenzionale risultavano difficili o impossibili da intubare, permettendo un’agevole posizionamento del TET mediante tecnica “blind” (in situazione d’emergenza) o tramite
fibrobroncoscopio.
81
ASPETTI E PROBLEMATICHE DELL’O.T.I. IN ETA’ PEDIATRICA
Presentatore: Barile Maria Grazia Diana
AORN - Santobono- Pausilipon di Napoli Az. Osp. Pediatrica
82
Anche se presso il nostro Centro vengono trattati prevalentemente pazienti adulti, non è rara la presenza
di bambini (è l’unico Centro Iperbarico,in Italia, situato in un Ospedale Pediatrico)
Le patologie più frequenti, in età pediatrica, da noi trattate, sono: traumi domestici (ustioni, schiacciamento dell’estremità di arti), traumi da scoppio (sfaceli di mano, amputazioni
traumatiche), traumi della strada (fratture esposte con perdita di sostanza), intossicazioni da CO.
I compiti dell’infermiere di Camera Iperbarica sono molteplici: dalle procedure amministrative a tutte le
indicazioni sull’ O.T.I., gli esami propedeutici da effettuare, gli indumenti da indossare, gli oggetti da non
portare in camera, istruzioni sull’uso delle maschere e le manovre di compensazione durante il trattamento. Deve inoltre provvedere alle attività ambulatoriale di medicazioni e day hospital, gli ingressi in camera
per l’assistenza a pazienti pediatrici e/o in condizioni critiche, alla conduzione della camera iperbarica in
assenza del tecnico etc.
L’infermiere ha, inoltre, il compito di instaurare con il paziente un rapporto di fiducia, aiutandolo in questi
momenti difficili e invogliandolo a collaborare il più possibile affinchè questa terapia possa sortire gli effetti sperati.
Particolare attenzione va riservata ai pazienti pediatrici.
I bambini costituiscono, spesso, soggetti difficili da trattare, con particolari problemi psico-affettivi legati
al ricovero in ospedale, alla durata della degenza, all’eventuale intervento chirurgico, ai frequenti prelievi di
sangue, alle medicazioni etc.
E’ necessario in questi casi stabilire con il piccolo paziente un rapporto di amicizia e di fiducia, stimolargli
la fantasia e l’interesse. La nostra camera iperbarica è di un allegro colore rosa con lunghe fasce orizzontali
di vari colori, e dal nome stimolante “Pinky”. e la paragoniamo ad una “astronave” con riferimenti a cose o
personaggi noti di fumetti o cartoni animati. Utile anche un sottofondo musicale supportato da CD musicali (canzoni per bambini o sigle di cartoni animati)
Le manovre di compensazione sono diverse a seconda dell’età del bambino:
-Per i più grandicelli (4-12 anni): la manovra di Valsalva, la deglutizione, un sorso d’acqua o lo sbadiglio;
-Per i più piccoli (fino a 3 anni): l’uso del biberon o del ciucciotto o la somministrazione di piccole dosi
d’acqua.
Per far comprendere come respirare attraverso la maschera, facciamo alcuni paragoni esemplificativi, come
lo sbuffare di una locomotiva, l’alitare di un cane, il soffio del vento etc.
Anche se nelle linee guida è consigliato l’uso del casco, la nostra esperienza ci ha dimostrato, nella maggior parte dei casi, una cattiva ricezione di esso, probabilmente legata ad una sensazione di oppressione o
di mancanza di aria.
Il paziente in condizioni critiche, (intubato o tracheostomizzato) va trattato sempre da solo e nonostante
le difficoltà legate all’ambiente piccolo e confinato quale quello iperbarico, è necessario garantire la continuità della terapia in atto (infusioni, monitorizzazione, assistenza respiratoria, somministrazione di farmaci e tutti gli interventi terapeutici d’urgenza che si dovessero rendere necessari.
Non per ultima e meno importante è la costante collaborazione tra il personale all’interno della camera e
quello all’esterno, che viene assicurata attraverso un interfono, ampi oblò e due telecamere che inquadrano
continuamente l’interno della camera.
La presenza della camera di equilibrio consente in caso di necessità l’ingresso in camera di ulteriore personale, mentre la porta passa-oggetti permette, in ogni momento, la rapida introduzione in camera di tutto
quello che si può rendere necessario.
Nel caso di bambini fortemente oppositivi, con crisi di pianto, agitazione psicomotoria e negazione assoluta
alla terapia (spesso si tratta di pazienti portatori di handicap), può essere necessario l’ingresso in camera
anche della mamma (ovviamente previa esecuzione degli esami routinari e consenso informato).
In conclusione, il nostro tipo di lavoro richiede, empatia e impegno costante nei riguardi dei pazienti, specialmente di quelli più piccoli, al fine di migliorare la qualità del rapporto e rendere, più tollerabile e gradita,
questo tipo di terapia, cosa indispensabile perché essa possa sortire gli effetti sperati.
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LA NOSTRA ESPERIENZA NELLA GESTIONE ANTALGICA INTRA-/POST-OPERATORIA PRESSO
L’UNITÀ PEDIATRICA DI ANESTESIA E RIANIMAZIONE DELL’OSPEDALE MOTOL DI PRAGA
Presentatore: Cristina Bonetti
1
2
2
2
Autore: Bonetti C., Petrucci E., Mariani R., Scimia P., 2Valenti F., 2Marzilli C., 2Fiorenzi M., 2Di Marco C.,
2
3
2
Castellani M., Fusco F., Marinangeli F.
1. Cattedra di Anestesia e Rianimazione, Università degli studi di L’Aquila. 2. Cattedra di Anestesia e Rianimazione,
Università degli studi di L’Aquila.
3. Dirigente medico di primo livello Anestesia e Rianimazione c/o U.O.C Anestesia e Rianimazione Ospedale San
Salvatore L’Aquila
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Introduzione
Il dolore peri-operatorio in pediatria ha avuto solo recentemente un proprio riconoscimento1. Sebbene la
nocicezione sia già formata dal 6° mese di vita intrauterina, nel neonato a termine le vie algogene non sono
ancora completamente mielinizzate, causando una maggiore lentezza di trasmissione dell’impulso nocicettivo. La percezione del dolore, però, è accentuata dalla immaturità delle vie di inibizione dell’impulso: gli
interneuroni inibitori nelle corna dorsali del midollo spinale – gate control – e le vie inibitorie discendenti
dal grigio periacqueduttale alle corna dorsali del midollo. Situazione amplificata nel neonato pretermine.
Da ciò la necessità di trattare il sintomo dolore, la impossibilità di predeterminare l’entità con cui si manifesterà e lo sviluppo di allodinia. Inoltre, un’intensa percezione dolorifica inficia il ripristino delle normali
funzioni vitali, induce uno stato di stress e sofferenza tali da alterare il ripristino delle normali funzioni
respiratorie, cardiovascolari, gastrointestinali, muscolari e neuroendocrine, rende disagevoli normali attività quali la tosse, il respiro profondo o la mobilitazione ed aumenta la degenza post-operatoria. Fino agli
anni 80 solo il 3% dei bambini riceveva farmaci specifici per il dolore dopo interventi chirurgici2 rispetto
alla popolazione adulta3. Le principali cause erano rintracciabili nella reticenza di utilizzo di oppiacei nel
bambino e nella scarsa conoscenza4 degli effetti collaterali di metodiche invasive. Alla luce di ciò, abbiamo valutato la gestione anestesiologica, la analgesia e gli effetti collaterali, in chirurgia pediatrica presso lo
University Hospital Motol a Praga, mediante l’utilizzo e valutazione del cateterino epidurale.
Materiali E Metodi
Sono stati arruolati 30 pazienti (pz) sottoposti ad interventi di chirurgia toracica, addominale maggiore,
ortopedica, ginecologica e urologica, ASA II-IV. Sono stati registrati: dati demografici, comorbilità, terapia
domiciliare farmacologica e nutrizionale, parametri vitali alla visita anestesiologica (SpO2, PA, FC, Kg). I
criteri di esclusione erano: mancato consenso dei genitori al trattamento antalgico invasivo, deformità del
rachide, sensibilità accertata verso uno dei farmaci utilizzati, anamnesi positiva per potenziali effetti collaterali dello stesso. La premedicazione per os prevedeva: Diazepam 0,2-0,3 mg/kg, Antistaminico (0-6aa:
0,5-1mg; 7-14aa: 1-2mg; >14aa: 4-8mg), Midazolam 0,25-0,75mg. Gli interventi venivano condotti in anestesia generale: induzione con 2-3mg/kg Propofol 1% (fino a 6 aa solo con Sevoflurano, 6-10 anni Propofol
0,5%), 0,1mg/kg Cisatracurim, 0,15-0,3 mcg/kg Sufentanil. Il mantenimento era con Isoflurano e boli di
Sufentanil ogni 30-40min o alle variazioni di parametri vitali. Ad inizio intervento si posizionava un catetere epidurale, con tunnellizzazione dermica per evitare dislocazioni o infezioni del presidio, e contestualmente si iniettava un bolo di 2mg/kg di levobupivacaina 0,25% e 0,1-0,3mcg/ml di sufentanil (per ogni ml
di levobupivacaina). L’analgesia postoperatoria era garantita dall’infusione di 2 mg/kg di levobupivacaina
0,5%, NaCl 0.9% (1/2 della miscela infusa) e 0,1 mcg/ml di sufentanil (per ogni ml di levobupivacaina 0.5%
e NaCl 0.9%) con una velocità di 0,2-0,4 mg/Kg/h, variabile da 0,4ml/h a 6ml/h per 24-48 ore (in base al
tipo di intervento). Al bisogno era previsto un farmaco per l’entità di dolore5 valutato con scale comporta-
mentali – fisiologiche tra 0-3aa; autovalutazione (Face pain scale e scale colorimetriche) – comportamentali – fisiologica tra 3-6 aa; autovalutazione (scale verbali e NRS) – comportamentali – fisiologica per età >
6aa. La valutazione del dolore – registrato su una cartella algologica– dei parametri vitali e la gestione del
cateterino (ispezione e disinfezione sito circostante) era effettuata dal personale paramedico e vagliata in
reparto da un accesso/die dell’anestesista. Al termine della infusione veniva chiesto ai familiari del paziente
una valutazione della gestione del dolore e del dispositivo, quantificandola in termini di risultati in: scadente=0, sufficiente=1, discreto=2, ottimo=3.
Risultati
Sono stati trattati 17M E 13F (età minima 2 settimane – massima 15 anni, dei quali 6 pz < 6 anni, ASA
II-IV, peso da 900g a 67kg ). Nell’intraoperatorio sono stati posizionati: 17 cateteri a livello a L3-L4/ L4-L5,
13 a T6-T7, senza registrare complicanze nel posizionamento. La valutazione del dolore intraoperatorio
non ha riportato variazioni dei parametri vitali correlabili al sintomo dolore. La valutazione dell’analgesia
postoperatoria ha rilevato che i 6 pz di età < 6 anni non hanno riportato variazioni parametri vitali o indicazione nella scala a disegni correlabili con D.E.I e i restanti hanno riferito una NRS media/die di 2(+/-2)
senza significative variazioni dei parametri vitali. Tutti i pz non hanno presentato depressione respiratoria,
deposizionamento catetere, ipersedazione, cefalea, infezioni, ritenzione urinaria, prurito, nausea e vomito. Nessun pz ha ricevuto oppiacei e.v o per os per i D.E.I né antinfiammatori per l’analgesia. 8 pz hanno
ricevuto paracetamolo e.v. per rialzo febbrile. La valutazione dell’analgesia e del dispositivo da parte dei
familiari è stata pari a 3.
Conclusioni
L’analgesia, l’assenza di effetti collaterali, il mancato utilizzo di farmaci oppiacei per via parenterale hanno
confermato la preminenza dell’utilizzo del catetere epidurale nella gestione del dolore anche nei pazienti
più piccoli. La nostra esperienza, condotta su un numero esiguo di campione, non può avere valore universale ma può porsi come ulteriore supporto per effettuare protocolli di analgesia pediatrica, sensibilizzando quella parte degli anestesisti reticenti all’utilizzo di metodiche invasive pediatriche. Riteniamo che
una maggiore conoscenza del problema “dolore” in questi pazienti, una maggiore sicurezza, proveniente
da un sovente utilizzo di tecniche e presidi antalgici invasivi, diminuirebbe i tempi di out come, dilatati
dal dolore, migliorerebbe la degenza, nonché, l’impatto psicologico dei familiari, spesso ostacolo all’attività
medica.
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GESTIONE ANESTESIOLOGICA IN CORSO DI EX UTERO INTRAPARTUM TREATMENT (EXIT)
IN FETO PORTATORE DI VOLUMINOSO LINFANGIOMA DEL COLLO: CASE REPORT
Presentatore: Laura Carboni
Autore: Carboni L., Dell’Oste C, Mergoni P, Schleef J, Pittalis A, Cherti S, Furlan S.
Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste, Italia - Direttore Dott. Furlan S.
Introduzione
Le ostruzioni congenite delle alte vie aeree rappresentano una condizione a rischio di vita per il nascituro.
Il crescente utilizzo di metodiche di diagnosi prenatale ha permesso il precoce riconoscimento di malformazioni della testa e del collo a rischio di ostruzione delle vie aeree e quindi la pianificazione di adeguate
strategie di trattamento.
La procedura EXIT (ex utero intrapartum treatment) prevede il mantenimento della circolazione feto-placentare, consentendo un’adeguata ossigenazione fetale durante il trattamento dell’ostruzione delle vie aeree.
Le indicazioni all’utilizzo di tale procedura sono diverse: masse della testa e del collo, neoformazioni del
polmone e del mediastino, CHAOS (congenital high airway obstruction syndrome), ernia diaframmatica
congenita1,2,3.
In questo case report descriviamo la condotta anestesiologica in corso di EXIT per il trattamento di feto
portatore di voluminoso linfangioma del collo.
86
Caso clinico
Una donna di 33 anni secondipara (EG 37w + 3), ASA II, è stata sottoposta a procedura EXIT in anestesia
combinata.
In corso di valutazione prenatale fu identificata una voluminosa massa antero-laterale del collo con estensione craniale e protrusione della lingua. Alle immagini radiologiche (MRI) eseguite alla 29w + 4 di gestazione
è stato confermato il reperto ecografico con visualizzazione di una massa disposta a “ferro di cavallo” nelle
porzioni antero-laterali del collo di dimensioni 7.4 x 4.8 x 2.5 cm (diametri latero-laterali, cranio-caudali
ed antero-posteriori) con estensione craniale fino alla base della lingua, in assenza di compressione e dislocazione tracheale, di verosimile natura linfangiomatosa. In considerazione della sospetta difficoltà nella gestione delle vie aeree, dopo discussione collegiale (ginecologi, anestesisti, neonatologi e chirurghi pediatrici)
ed adeguata informazione materna, è stata proposta la procedura EXIT.
Sono state predisposte due equipe anestesiologiche, una per la madre ed una per il feto.
Previo posizionamento di catetere peridurale lombare, è stata indotta e mantenuta anestesia generale. La
tocolisi è stata assicurata con alogenato (sevofluorane MAC 1-1.3). E’ stata eseguita incisione dell’utero con
estrazione della testa e del braccio sinistro fetali ed avvio dell’amnioinfusione. Tre tentativi di laringoscopia
diretta sono stati eseguiti senza visualizzazione delle corde vocali. L’intubazione orotracheale è stata poi
assicurata mediante tracheoscopia. Durante l’intera procedura EXIT (13 minuti totali) il benessere fetale è
stato monitorizzato mediante ecocardiografia. Non si sono verificati episodi di tachicardia né bradicardia
fetale. L’ipotensione materna è stata controllata dalla somministrazione di fenilefrina a boli refratti. Dopo
estrazione fetale e placentare, è stato somministrato bolo di ossitocina e metilergonovina. La durata totale della procedura chirurgica è stata di 37 minuti. Le condizioni emodinamiche materne si sono sempre
mantenute stabili. Le perdite ematiche stimate sono state di circa 400 mL e non è stato necessario eseguire
emotrasfusioni.
Discussione
La procedura EXIT richiede un team multidisciplinare esperto ed adeguata comunicazione tra le figure
professionali coinvolte (ginecologo, anestesista pediatrico, chirurgo pediatrico, neonatologo) per garantire
il benessere materno-fetale. L’anestesia generale, attualmente considerata di seconda scelta in corso di taglio
cesareo, in questo tipo di procedura diventa fondamentale per due ragioni: tocolisi uterina, assicurando così
la circolazione utero-placentare, e anestesia del neonato. Compito dell’anestesista è quello di ottimizzare la
circolazione feto-placentare (tocolisi e amnioinfusione) e minimizzare il rischio di emorragia peripartum
(stabilizzazione dell’emodinamica materna, infusione di uterotonici).
Nella nostra esperienza l’adeguata formazione del team coinvolto, la comunicazione nella gestione dei vari
steps dell’evento (tocolisi, estrazione fetale, gestione vie aeree, ripresa del tono uterino, clampaggio cordone)
hanno garantito la sicurezza materna ed il benessere fetale durante l’intera procedura.
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RISONANZA MAGNETICA PEDIATRICO-NEONATALE IN SEDAZIONE: UN ANNO DI ESPERIENZA
Presentatore: Marisa Cascione
1
1
2
1
2
2
3
3
Autore: Cascione M., Ricci S., Molesi A., Piccinini P., Marzocchini S., Fattorini L., Passarini G., Totaro A.
1. U.O.C. Pediatria – Neonatologia - ASUR Marche – Zona Vasta n°2 – Ospedale di Jesi
2. U.O.C. Anestesia Terapia Intensiva Analgesia - ASUR Marche – Zona Vasta n°2 – Ospedale di Jesi
3. U.O.C. Diagnostica per immagini - ASUR Marche – Zona Vasta n°2 – Ospedale di Jesi
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La sedazione dei bambini per l’esecuzione di procedure di Risonanza Magnetica (RM) è un problema diffuso nella rete ospedaliera italiana.
Non sempre, infatti, si dispone di un’equipe multidisciplinare – Anestesista, Pediatra, Radiologo – che consenta di sedare un paziente pediatrico al di fuori della Sala Operatoria.
Ottimizzare e armonizzare i comportamenti assistenziali tra le figure professionali coinvolte, riduce i tempi
di attesa, facilitando il percorso dei pazienti, contenendo i costi e minimizzando il rischio clinico.
A questo scopo è stata istituita presso la nostra Struttura Ospedaliera di Jesi una collaborazione tra Pediatri,
Anestesisti e Radiologi.
Riportiamo la nostra esperienza relativamente all’anno 2011.
Abbiamo sottoposto a RM 92 bambini, di cui 58 non sedati. L’età media di questo gruppo è di 13,6 anni
±0,52 (13 anni e 7 mesi).
Sono stati sedati 30 bambini con età > 1 anno (età media 6,4 anni ±2,67), e peso medio di 23,3kg ±10,57 e 4
bambini di età < 2 mesi, uno dei quali ha presentato apnea durante l’induzione della sedazione. La complicazione ha richiesto la ventilazione in maschera facciale in miscela aria/ossigeno e l’esame è iniziato dopo la
ripresa della respirazione spontanea.
La sedazione profonda è stata ottenuta infondendo Midazolam con bolo iniziale di 0,2mg/Kg e quindi boli
aggiuntivi, utilizzando in totale una dose media proKg di 0,32mg ±0,19, senza superare la dose totale di
0,5mg/Kg; e con Ketamina con bolo iniziale di 0,5/Kg e quindi boli aggiuntivi, utilizzando in totale una dose
media proKg di 1,3mg ±0,77, senza superare la dose totale di 2,0mg/Kg.
Al termine dell’esame RM, che ha una durata media di 33 minuti ¬±0.008, il paziente è stato rivalutato
dall’Anestesista fino al risveglio, avvenuto tramite eliminazione metabolica del farmaco e non per antagonizzazione.
Il 93% (28 bambini) è stato dimesso a poche ore dal risveglio tranne in due casi, in cui l’esame è stato eseguito in corso di ricovero ordinario.
VANTAGGI DEI PICC POWER INJECTABLE IN TERAPIA INTENSIVA PEDIATRICA: STUDIO
RETROSPETTIVO
Presentatore: Davide Celentano
Autore: Celentano D., Piastra M.,Tortorolo L., Mancino A., Pulitanò S., Muscheri L., Pittiruti M.
Unità di Terapia Intensiva Pediatrica, Policlinico Universitario ‘A.Gemelli’, Roma
Introduzione
In terapia intensiva pediatrica (TIP), i cateteri venosi centrali ad inserzione periferica (PICC) possono
essere vantaggiosi, particolarmente nei pazienti con disturbi della coagulazione o immuno-compromessi.
Fino ad oggi però i PICC erano scarsamente utilizzati in terapia intensiva a causa dei loro flussi ridotti; tale
limite è stato recentemente superato grazie ai nuovi PICC in poliuretano ultraresistente - cosiddetti ‘power
injectable’ – in grado di tollerare alte pressioni e quindi alti flussi di infusione.
Metodo
Abbiamo esaminato retrospettivamente tutti i PICC Power Injectable posizionati negli ultimi 18 mesi nei
pazienti pediatrici della nostra TIP, valutandone il tasso di complicanze alla inserzione e durante la gestione. Tutti i PICC sono stati posizionati mediante puntura ecoguidata delle vene profonde del braccio e la
posizione della punta verificata con il metodo dell’ECG intracavitario.
Risultati
Durante il periodo in esame, sono stati posizionati 50 PICC a punta aperta in poliuretano Power injectable: 37 bilume 5Fr, 3 bilume 4Fr, 9 monolume 4Fr ed 1 monolume 3Fr. Tutti i PICC sono stati inseriti con
successo, con minima incidenza di complicanze alla inserzione (un solo mal posizionamento primario
per artefatti nella tecnica dell’ECG intracavitario; due casi di ematomi locali; due casi di punture ripetute
della vena). Durante la gestione, non si sono verificati episodi di infezione batteriemica catetere-relata, né
episodi di dislocazione accidentale, né trombosi venose sintomatiche. Rari e non rilevanti i fenomeni di
occlusione del lume, risolti con la semplice infusione di soluzione fisiologica a pressione. Tutti i PICC esaminati hanno garantito alti flussi di infusione, il monitoraggio della pressione venosa centrale e l’iniezione
di mezzo di contrasto durante TC. La maggior parte dei PICC sono stati rimossi dopo la dimissione dalla
TIP, tranne uno tolto in seguito al decesso del paziente.
Conclusioni
In TIP, i PICC Power Injectable possono essere usati come linee centrali multiuso, monolume o bilume,
adatte alla infusione di qualsiasi tipo di soluzione, al monitoraggio emodinamico, nonché alla iniezione ad
alta pressione di mezzo di contrasto durante le procedure radiologiche. Il posizionamento ecoguidato ha
un tasso di successo del 100% e non è associato a rischi significativi per il paziente, anche in presenza di
disturbi della coagulazione.
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GESTIONE DEL DOLORE INTRA E POSTOPERATORIO PER INTERVENTI INGUINALI E
CORREZIONE DELL’IPOSPADIA
Presentatore: Carlo Ferrazza
Autori: Ferrazza C., De Francisci G.
Istituto di Anestesia e Rianimazione, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
90
Presentiamo qui di seguito la nostra esperienza nella prevenzione e trattamento del dolore intra e postoperatorio per interventi inguinali, come erniotomia ed orchidopessi, e interventi al pene, come la correzione
dell’ ipospadia. Questi interventi rappresentano una grande fetta della casistica chirurgica in età pediatrica.
Si tratta per lo più di bambini sani, senza altre patologie associate: per esempio soggetti in buona salute
che devono essere sottoposti ad intervento chirurgico. È importante come sempre la visita preoperatoria,
ma nella nostra esperienza è particolarmente difficile discutere con i genitori del rischio anestesiologico,
perché spesso sono convinti che l’intervento sia “una sciocchezza”, come diceva un nostro chirurgo per
fortuna andato in pensione. Probabilmente per un bravo chirurgo una erniotomia è una “sciocchezza”, ma
per nessuno di noi una anestesia generale lo è. Non eseguiamo alcun tipo di esame preoperatorio, a meno
che nel corso della visita non ne emerga l’indicazione, nè prescriviamo alcuna premedicazione. I bambini
devono rispettare le normali regole del digiuno preoperatorio, ovvero mangiare fino a mezzanotte e bere
liquidi chiari fino alle 5 del giorno programmato per l’operazione.
L’anestesia generale viene indotta, alla presenza di un genitore che poi si allontana quando il figlio ha perso
coscienza, con Sevoflurano all’ 8%, aria e ossigeno (tranne nei casi in cui è controindicato, come nelle
miopatie). Si incannula una vena periferica e una volta ottenuto un accesso venoso stabile ed affidabile, si
procede con la laringoscopia e intubazione orotracheale dopo la miorisoluzione ottenuta con Rocuronio
0,5 mg/kg. L’anestesia viene mantenuta con O2, aria e Desflurano.
Il nostro protocollo per garantire l’analgesia intra e postoperatoria prevede:
1)Anestesia loco-regionale: viene eseguito il blocco ileoipogastrico-ileoinguinale per interventi come ernia
inguinale o orchidopessi e il blocco caudale per l’ipospadia.
Come anestetico locale, noi usiamo la Ropivacaina, 1 ml per kg di peso corporeo (non più di 20 ml, anche
in bambini che pesano più di 20 kg) di una miscela in pari quantità di Ropivacaina 7,5 mg/ml e Ropivacaina 2 mg/ml. In questo modo il nostro dosaggio è di 4,75 mg/kg, superiore a quello consigliato dalla maggior parte degli autori.
2)Alfentanil: al dosaggio di 12,5 mcg/kg. Se per qualsiasi motivo non è stato possibile eseguire una tecnica
loco-regionale 25 mcg/kg.
Una dose di richiamo di Alfentanil, anche meno della dose iniziale, si può iniettare se durante l’intervento
ci sono segni di alleggerimento del piano di anestesia, come tachicardia.
3)Ketorolac 1 mg/kg, senza superare 30 mg.
Al risveglio il bambino viene tenuto monitorizzato in Recovery Room, insieme con un genitore; quando giudicato stabile dall’anestesista viene inviato al reparto di degenza. Permettiamo l’immediata ripresa
dell’alimentazione, iniziando con l’acqua e consentendo i cibi solidi se non si osservano nausea e vomito.
Per un eventuale dolore postoperatorio prescriviamo Paracetamolo 10 mg/kg.
Per “cercare” di avere una valutazione oggettiva del dolore e seguire i nostri pazienti nel post-operatorio
abbiamo osservato 21 bambini con un età media di 45,5 mesi (3 anni e mezzo circa) sottoposti a erniotomia mono o bilaterale, orchidopessi mono o bilaterale, ed ipospadia.
Per la valutazione del dolore sono state utilizzate le scale FLACC (Face, Legs, Activity, Cry, Consolability
scale) e CHEOPS (Children’s Hospital of Eastern Ontario Pain Scale) per i bambini di età compresa tra 0
e 60 mesi e una scala analogica visiva (VAS) per quelli di età superiore. Con le prime due il dolore viene
valutato osservando il comportamento del bambino come la mimica facciale, la posizione delle gambe,
se piange, se è facilmente consolabile, ecc; mentre con la VAS è stato chiesto al bambino di indicare su un
righello lungo 10 cm l’intensità del dolore (0=assenza e 10=massimo). La valutazione veniva eseguita a 0,
30, 60, 120, 180, 240, 300 minuti dal termine dell’intervento, inoltre è stato annotata l’eventuale presenza di
nausea o vomito.
I risultati hanno dimostrato come il dolore post-operatorio scenda drasticamente con il passare dei minuti dal termine dell’intervento, fino ad essere praticamente assente allo scoccare della prima ora. Infatti
si passa da valori di 5.5 (FLACC; min:0, max:10), 9.9 (CHEOPS; min:4, max 13) e 5 (VAS; min:0, max:10)
al tempo 0, che rappresentano un dolore di intensità lieve-moderata, a valori di 4.4, 8.4, 4.8 a 30 minuti
ovvero un dolore lieve fino a 1.1, 5.3, 3.2 ad un’ora dall’intervento che rappresentano un dolore lieve o praticamente assente. Tali si mantengono per un’altra ora fino ad azzerarsi completamente quando vengono
raggiunti i 180 minuti dal termine dell’intervento. In nessun caso è stato osservata nausea o vomito.
C’è da notare come le scale osservazionali FLACC e CHEOPS possano essere a tratti “fuorvianti” perché
i bambini, specie quelli più piccoli, possono essere semplicemente innervositi dal digiuno pre-operatorio,
dalla breve lontananza dal genitore, dalla presenza dell’ago-cannula sulla mano o del cerotto sulla ferita
chirurgica.
A nostro parere, i punti forza del nostro protocollo per l’analgesia intra e postoperatoria sono:
-pluralità di intervento sul dolore da parte dei farmaci da noi utilizzati (blocco inguinale o caudale, oppioidi e FANS)
-“sovradosaggio” della Ropivacaina fino a 4,75 mg/kg
-utilizzo dell’Alfentanil, oppioide più maneggevole e con una durata d’azione di circa 1/3 rispetto al fentanil
-ripresa delle normali attività del bambino subito dopo la fine dell’intervento (contatto con un genitore,
ripresa dell’alimentazione, riposo).
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PERIOPERATIVE AIRWAY MANAGEMENT DURING CLEFT LIP AND PALATE SURGERY:
OUR EXPERIENCE
IL TRANSVERSUS ABDOMINIS PLANE (TAP) BLOCK ECOGUIDATO PER L’ANALGESIA
POSTOPERATORIA NEL PAZIENTE PEDIATRICO
Presentatore: Grazia Foresta
Autori: Foresta G., Russotto V., Dones F.
Department of Anesthesiology and Intensive Care, Universitary Hospital “P. Giaccone”, Palermo, Italy
Presentatore: Dario Galante
1
1
2
1
1
1
Autori: Galante D., Meola S., Caso A., Melchionda M., Fortarezza D., Leone R.
1. C. di Anestesia e Rianimazione Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia
2. C. di Anestesia e Rianimazione Ospedale Teresa Masselli Mascia di San Severo (FG)
Cleft lip and palate (CLP) represents one of the most common craniofacial disorders, with an estimated
incidence of about one in 750 live births; it could be observed alone or associated with several syndromes
or sequences (e.g. Pierre Robin sequence, Treacher Collins and Goldenhar syndromes) and requires early
surgery.
Airway management, dealing with associated anatomical abnormalities and patients size, is one of the key
points of anesthesia for CLP repair. Preoperative assessment of the degree of intubation difficulty and exact
endotracheal tube (ETT) size selection using age-based formulae are not always feasible; combined bilateral CLP, micrognathia, age <6 months have been reported as risk factors for difficult laryngoscopy and
intubation.
Attention should be paid during and after every change of position, often occurring during surgery, and a
careful protection of airway from blood and secretions inhalation should be provided. When endotracheal
intubation is not executable and the use of supraglottic airway devices is taken in consideration, the use
of Fastrach laryngeal mask airway (Fastrach-LMA) may be particularly indicated and a fiberoptic scopeguided endotracheal intubation through Fastrach-LMA could be attempted.
The alteration of physiological ratio between the tongue and the oral cavity, which is also considered as
one of the hallmarks of pathogenesis, may be responsible of difficult airway management and upper airway
obstruction especially after surgery, when the swelling of soft tissues may lead to a further reduction of
oral cavity volume: antiedemigenic drugs administration may be useful in order to limit tissue swelling
run by surgical stress and inflammation. The positioning of a nasopharyngeal airway (NPA) before emergence, in order to ensure an adequate airflow after surgery, is effective and well tolerated.
The use of nerve blocks (e.g. maxillary block) could reduce intra and postoperative opioids consumption
and the incidence of postoperative respiratory complications.
In this paper we present the anesthesiological management during CLP surgery performed at our institution, along with other relevant issues concerning the perioperative airway management of infants and
children undergoing CLP repair.
Introduzione
La tecnica di anestesia locoregionale descritta come Transversus Abdominis Plane (TAP) Block è tradizionalmente eseguita con tecnica “blind” attraverso il triangolo di Petit per ottenere una buona analgesia
della parete addominale. La maggiore esperienza clinica riguarda i pazienti adulti nei quali si è dimostrata
un’efficace analgesia postoperatoria nei pazienti sottoposti a taglio cesareo o dopo interventi di chirurgia addominale per ampie resezioni intestinali. L’efficacia analgesica postoperatoria si concretizza nella riduzione
del fabbisogno di analgesici e oppioidi. L’avvento degli ultrasuoni ha consentito di aumentare la sicurezza di
esecuzione del blocco con una notevole riduzione del rischio di puntura accidentale di organi riccamente
vascolarizzati come il fegato. Di recente il TAP block ecoguidato è stato applicato anche ai pazienti pediatrici
e ai neonati. Il nostro studio dimostra l’efficacia analgesica postoperatoria del TAP block ecoguidato combinato alla sicurezza che la tecnica ecoguidata assicura ai piccoli pazienti (1).
Metodi
Sono stati arruolati, dopo aver ottenuto il consenso informato dai genitori, 46 bambini (20 maschi e 26 femmine) ASA I-II di età compresa fra 1 e 10 anni e del peso fra i 9 e 53 kg, sottoposti ad intervento chirurgico
per idrocele ed ernia inguinale. I bambini sono stati sottoposti ad anestesia generale e l’induzione eseguita
con propofol e fentanest per via e.v. o inalatoria attraverso maschera facciale con sevoflurane in aria e ossigeno. Nessun bambino è stato intubato e la ventilazione è stata assicurata con maschera laringea proseal
mantenendo l’anestesia per via inalatoria attraverso una miscela di aria ossigeno e sevoflurane senza somministrazione di curari. Dopo aver adattato il bambino al respiratore si procedeva all’esecuzione del TAP
block in real time ecoguidato somministrando 0.30 ml di levobupivacaina allo 0.25%. L’utilizzo dell’ecografo
permette di identificare tre strutture muscolari con le relative fasce: l’obliquo interno, l’obliquo esterno e il
trasverso dell’addome. L’anestetico era somministrato sopra il trasverso dell’addome appena sotto la fascia
muscolare e la valutazione del dolore postoperatoria eseguita con CHIPPS scale.
Risultati
Tutti i blocchi sono stati eseguiti con successo senza alcuna complicanza. La procedura chirurgica non ha
presentato difficoltà, in particolare per quel che riguardava il rilassamento muscolare e/o l’identificazione
dei piani chirurgici. La durata media dell’analgesia postoperatoria (misurata come tempo necessario per la
somministrazione della prima dose di analgesico supplementare) è stata di 15± 2 h. La degenza postoperatoria dei piccoli pazienti è stata eccellente sia dal punto di vista del dolore postoperatorio che della ripresa delle
attività quotidiane poiché il TAP block coinvolge esclusivamente le fibre nervose connesse alla sensibilità
dolorifica della parete addominale.
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Conclusioni
Il TAP block ecoguidato è di facile esecuzione anche nel paziente pediatrico e allo stesso tempo si dimostra più sicuro rispetto alla tecnica tradizionale blind (2). Nel nostro studio l’analgesia postoperatoria per
gli interventi di idrocele ed ernia inguinale si è dimostrata eccellente con soddisfazione dei genitori e del
personale di assistenza infermieristica grazie al minor fabbisogno di analgesia supplementare. Il TAP block
ecoguidato può, a nostro parere, rappresentare una valida alternativa al blocco ileoipogastrico/ileoinguinale
e alla stessa peridurale per la chirurgia sottombelicale e/o genitourinaria purchè eseguita da mani esperte
dopo idoneo training circa l’utilizzo di tecniche ecoguidate (3, 4).
UTILITÀ DELLA PREVALUTAZIONE ECOGRAFICA COME METODO PREDITTIVO DEL FALLIMENTO DEL BLOCCO PERIDURALE CAUDALE PEDIATRICO. NOSTRA ESPERIENZA
Presentatore: Dario Galante
Autore:1Galante D., 1Meola S.,2 Caso A., 1Melchionda M, 1Fortarezza D., 1Leone R.
1. C. di Anestesia e Rianimazione Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia
2. C. di Anestesia e Rianimazione Ospedale Teresa Masselli Mascia di San Severo (FG)
Introduzione
L’anestesia peridurale caudale è una tecnica di frequente utilizzo nei neonati e nei lattanti sottoposti a chirurgia addominale bassa. Nella maggioranza dei casi è di facile esecuzione sebbene in circa l’11% dei pazienti
è seguita da insuccesso (1). Talora, lo spazio peridurale caudale può presentare alcune anomalie o varianti
anatomiche che possono essere causa dell’insuccesso. Una prevalutazione ecografica della regione caudale e
sacrale consente di riconoscere tali anomalie e/o di prevedere eventuali difficoltà di esecuzione della tecnica
di blocco.
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Metodi
Nel nostro studio sono stati arruolati 35 neonati e lattanti di età compresa fra 18 giorni e 6 mesi e di peso
variabile fra 2.1 e 8.4 kg sottoposti ad intervento di chirurgia addominale bassa. Prima dell’esecuzione della
tecnica di blocco peridurale caudale tutti i bambini sono stati sottoposti a un “prescanning” ecografico su
piano trasversale e longitudinale della regione sacrale e caudale attraverso una sonda lineare ad alta frequenza. Tutta la procedura di prescanning, insieme con l’esecuzione ecoguidata del blocco per ciascun bambino,
è stata videoregistrata in modo da analizzare il tempo richiesto per l’esecuzione della procedura e in numero
di passaggi e reindirizzamento dell’ago. Lo spread dell’anestetico locale, inoltre, fu visualizzato e verificato
con tecnica color doppler flow (2).
Risultati
Non abbiamo riscontrato alcuna differenza nel tempo necessario per l’esecuzione della procedura del blocco caudale ma il numero di passaggi e reindirizzamento dell’ago è stato maggiore soltanto in due neonati
a causa di alcune varianti anatomiche consistenti nella scarsa visualizzazione dei cornetti sacrali. Occorre
sottolineare, dalla nostra esperienza, che la ridotta visualizzazione dei cornetti sacrali si accompagna frequentemente a difficoltà di esecuzione del blocco o al fallimento dello stesso. In questi casi abbiamo preferito
utilizzare tecniche alternative piuttosto che eseguire ripetuti tentativi seguiti da insuccesso con aumento dei
tempi chirurgici, del discomfort e dei costi legati allo spreco di materiale.
Discussione
La mancata visualizzazione delle corna sacrali è associata a una prolungata e più difficile esecuzione della
tecnica di blocco peridurale caudale. Sebbene non sia sempre necessario utilizzare l’ecografo per un tale
tipo di anestesia locoregionale (piuttosto semplice da eseguirsi “a cielo coperto”), riteniamo che una prevalutazione ecografica delle strutture neuroassiali della regione caudale e della colonna vertebrale sia almeno
raccomandabile. Ciò consente di evitare inutili e reiterati tentativi a cui deve aggiungersi il rischio di cagionare lesioni ed allungare i tempi dell’intervento. A ciò deve aggiungersi che le tecniche di anestesia locoregionale in neonati e lattanti devono essere eseguite da mani esperte e, a nostro parere, non senza l’utilizzo
di un ecografo che consente di vedere in tempo reale ciò che si sta facendo e di documentarlo anche ai fini
medico-legali (3, 4).
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ANESTESIA AL DI FUORI DELLA SALA OPERATORIA:
ESPERIENZA IN RNM CON I BAMBINI DISABILI, IN UN OSPEDALE NON PEDIATRICO
Presentatore: Paola De Stefanis
Autore: De Stefanis P., Rigoldi C., Romano S., Tomasini P., Zanini S., D’Agostini S.
Azienda Ospedaliera Universitaria S. Maria Misericordia Udine-SOC Anestesia Rianimazione 2
Introduzione
Da circa sei anni il Servizio di Anestesia della nostra Azienda si occupa della sedazione in Risonanza dei
bambini seguiti dall’UDGEE (Unità per le Disabilità Gravi nell’Età Evolutiva) dell’Istituto Scientifico Eugenio Medea.
Obiettivi
Organizzare un protocollo di sedazione sicuro che consentisse un esame di buona qualità in regime di Dy
Hospital in un ospedale non pediatrico.
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Difficoltà Iniziali
Benchè il nostro servizio avesse esperienza in ambito pediatrico sia in sala operatoria che in Terapia Intensiva, occuparci della sedazione e dell’assistenza di questi bambini, in ambito neuroradiologico, ha presentato
difficoltà superiori alle aspettative soprattutto nella fase di accoglimento e preparazione dei piccoli autistici.
La maggiorparte dei bambini si rifiutava di entrare nei locali della RNM ed era sempre necessaria una premedicazione farmacologia prima di poter procedere all’incannulamento venoso.
Il Colloquio
Organizzare un incontro con genitori e bambini prima dell’esame per conoscerli e stabilire le strategie da
mettere in atto ha radicalmente cambiato il nostro approccio. Durante il colloquio i genitori ci raccontano
le precedenti esperienze in ambito ospedaliero e le reazioni dei bambini. Scopriamo cosa “fare e non fare”,
si scelgono i giochi, le musiche e filmati preferiti. Ai bambini più grandi e in grado di collaborare viene raccontato l’esame, utilizzando disegni colorati e grazie alle applicazioni dell’IPhone è possibile fare ascoltare
i rumore che accompagna ogni scansione. Tutto è utile per immaginare l’esame in RNM come una specie
di viaggio in astronave. Al termine dell’incontro consegniamo a genitori deplians colorati in cui è descritto
quello che è stato detto e le cose da ricordare (digiuno, abbigliamento..)
Il Gioco
La mattina dell’esame il bambino, da solo o accompagnato da un genitore, è accolto in una saletta dei locali
della RNM attrezzata per la sedazione. L’approccio iniziale è sempre il gioco: da quelli più semplici come, le
macchinine, le pentoline o i pupazzi animati a quelli più moderni come i giochi in PC. Utilissimo un piccolo
lettore DVD: può bastare il CD del cartone preferito per catturare l’attenzione del bambino. Se gradito viene
offerto al piccolo, un Chupa-Chupa molto utile a ridurre il senso di fame. Giocare o vedere un DVD rilassa
e distrae il bambino ed il più delle volte è sufficiente l’EMLA sul dorso della mano prima di procedere alla
venipuntura. Anche per i piccoli autistici è utile il DVD ma in questi casi è fondamentale la visione o l’ascolto di CD noti al bambino o l’utilizzo di giocattoli portati direttamente da casa.
La Saletta Per L’anestesia
Oltre ad essere fornita di giochi, ha tutto ciò che è necessario per affrontare un’anestesia. Per rendere le
cose più semplici ed accessibili anche a personale con meno esperienza in ambito pediatrico, il materiale è
organizzato con il sistema Broselow in borsette colorate, secondo un codice colore che identifica il bambino
in base a peso/altezza.
La Sedazione
I farmaci utilizzati possono variare in base all’età o la patologia ma il farmaco più utilizzato è il Propofol.
Si esegue un’induzione con 2-3 mg/Kg e quindi un’infusione continua (75-100 ug/Kg/min) con impiego di
pompa amagnetica.
Quando la sedazione ha raggiunto un piano di profondità adeguato, si trasferisce il bambino, monitorizzato,
sul lettino della RNM.
L’esame è Terminato
Nella fase di risveglio al bambino vengono proposti nuovamente giochi e video e quando ha recuperato un
buon tono muscolare viene riaccompagnato nei locali dell’UDGEE. Non manca il diploma di pilota di RNM
per i più grandi e piccoli regali, da mostrare come trofei ai genitori, per tutti.
A distanza di un paio d’ore dal termine della sedazione il bambino riprende l’assunzione di liquidi chiari e
di una merenda. Viene dimesso con parametri vitali stabili e quando ha riacquistato una motilità normale o
sovrapponibile a quella pre-esame.
Commenti
I problemi affrontati in questi anni sono stati diversi. Ormai abbiamo sottoposto a sedazione in RNM più
di 400 bambini disabili. E’ stato necessario creare una stanza in neuroradiologia adatta ad accogliere i nostri piccoli pazienti dall’arrivo fino al completo risveglio e disporre di materiale e sistemi di monitoraggio
adeguati. Con grande soddisfazione e coinvolgimento di tutto il personale della Neuroradiologia abbiamo
imparato ad avvicinarci a questi bambini, rispettando i loro tempi e le loro reazioni, perché potessero superare questo esame senza stress e paura.
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NECROTIZING PNEUMONIA IN CHILDREN: COMPARING DIFFERENT APPROACHES
EMERGENZA CORNO D’ AFRICA: UN’ESPERIENZA PEDIATRICA
Presentatore: Chiara Giorgetti
Autore: Giorgetti G., Palumbo P., De Benedictis F.M., Gatti S.
Division of Pediatrics, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti”, Ancona
Presentatore: Lucia Grottini
Autore: Grottini L., Rossitti D., Boggian M.G., Rossi A., Bortoli G., Maddaloni D.
Università Politecnica delle Marche, Croce Rossa Italiana
Background
Necrotizing pneumonia (NP) is a severe complication of community acquired pneumonia (CAP) characterized by liquefaction and cavitation of lung tissue. The diagnosis can be suspected by plan chest radiography,
but chest computed tomography (CT) is often required to confirm the diagnosis. NP is a variably evolving
disease which requires a therapeutic approach tailored to the disease stage.
Methods: Cases of NP among patients hospitalized at the Department of Pediatrics, Salesi Children’s Hospital, Ancona, from January 2003 to December 2011 were retrospectively identified and reviewed for clinical
presentation, laboratory data, therapeutic approach and hospital course. Outcomes during hospitalization
were compared according to different treatments.
La moderna Medicina d’Emergenza-Urgenza deve oggi porsi questi obiettivi: fornire un sistema integrato
preospedaliero ed ospedaliero (anche “da campo”) di cure per l’emergenza; migliorare e standardizzare la
qualità dell’assistenza sanitaria nella catena del soccorso; raccogliere i dati epidemiologici utili a favorire la
prevenzione delle situazioni critiche e la promozione della salute; formare ed aggiornare il personale sanitario a prestare la migliore assistenza al paziente traumatizzato. Le condizioni logistico-operative ipotizzabili
in situazioni di grande calamità possono essere assimilate a quelle presenti quotidianamente in vaste regioni
dell’Africa dove persistono situazioni estreme di limite alla sopravvivenza .
Dal 22 agosto 2011 al 22 dicembre 2011 è stato attuato un progetto di cooperazione tra la Croce Rossa Italiana e la Croce Rossa Keniota al fine di assistere la popolazione Turkana nell’ambito dell’ EMERGENZA
UMANITARIA CORNO D’AFRICA.
All’inizio del nostro mandato, per avvicinarci agli obiettivi specifici assegnatici, cioè:” ridurre l’eccesso di
morbilità, mortalità e malnutrizione causato dalla siccità nel distretto di Kaikor”, abbiamo pensato di procedere anzitutto alla mappatura dei 12 villaggi del Turkana assegnatici, per conoscere le criticità e quindi gli
interventi da affrontare complessivamente e per ciascuno di essi. Così, nei confronti di: EKOPUS, KENYA
OIL, KOTOME’, LOKOMARINYANG, MUYEN, NAPAK, NATODOMERI, NAKINOMET, LORUMURU,
KOYESA, KIBISH, KANG’KALA’, è stata compilata la seguente griglia:
Results
A total of 15 cases (7 males, 8 females) with a mean age of 4.3 years were identified. The mean duration
of symptoms before the admission was 13.6 days (range 4-44). Thirteen patients (87%) had concomitant
empyema and 2 patients developed bronchopleural fistula. In all patients except for one the diagnosis of NP
was based on CT scan. Etiology was identified in 9 patients (60%): Streptococcus pneumoniae was detected
in 8 cases by culture and/or polymerase chain reaction. Eight patients needed admission to Intensive Care
Unit with a mean hospital stay of 12.4 days. All patients received antibiotic treatment (mean duration 23.5
days). Nine patients (60%) underwent video-assisted thoracoscopic surgery (VATS) and 8 received intrapleural urokinase. Five patients received both treatments. The mean duration of pleural drainage was 16.6
days. The mean length of hospital stay was 21.1 days. No significant difference was found between the VATS
and non-VATS group for lentgh of hospital stay (p= 0.06) and duration of antibiotic treatment (p= 0.99). In
the VATS group, the administration of intrapleural urokinase was associated with a shorter length of stay
(21.2 vs 29.2 days), but no statistical relevance (p= 0.35).
Conclusions
NP should be recognized as an increasingly detected complication of CAP. Optimal management of NP
may be obtained with antibiotics alone. However, treatment is conditioned by frequently associated empyema, which requires a more aggressive approach. In such cases, surgical and non surgical approaches both
resulted in good outcomes with no differences between them. There is not a gold standard for treatment of
empyema, but the selection of the method used is largely dependent on the local tradition and availability
of expert surgeons.
distance from KaiKor
Chief/Head
residents
children
common kitchen
well education. activities (*)
school
vegetable garden
generator
latrines Malnutr.
HEALT
MALARIA HIV TB
Follow-Up: Food Habits
Dalle uscite effettuate possiamo affermare che l’accesso della Kenya Red Cross costituisce un buon mezzo di
contatto con una popolazione altrimenti difficile da raggiungere senza un sistema mobile ed una profonda
conoscenza del territorio. Infatti nel distretto Turkana Nord si pratica un allevamento che assume forme
piuttosto povere spesso associabili alla pastorizia nomade ed i bambini stessi - privi di qualsiasi diritto –
sono considerati solo come “conduttori di animali” (infatti il tasso di analfabetismo è elevato, nonostante
l’istruzione elementare –che dura 8 anni- sia gratuita). Siamo poi capitati nella stagione delle “piogge del
miglio” o “piccole piogge” che invece sono abbondanti e creano corsi d’acqua a carattere torrentizio per cui
le strade, costituite da piste in terra, possono diventare molto difficoltose da percorrere e talvolta ci han
costretto a tornare alla base. Ma il futuro utilizzo del “Lince”, che è stato donato dalla C.R.I., eviterà queste
difficoltà (si consideri, come esempio, che la distanza Kaikor/ Lodwar - 230 Km – e’ percorribile in 4 ½ hh.
!!). Si è proceduto poi alla riorganizzazione delle visite, tenendo conto della situazione riscontrata nei mesi
precedenti, con l’applicazione d’un TRIAGE all’ingresso, per evitare la richiesta di visite inappropriate o
ripetute. In particolare: sono state valutate le condizioni di salute generale dei bambini malnutriti, sottoposti
nel controllo alla misurazione del MUAC + peso + lunghezza, rispettando così le Linee Guida dettate dallo
99
100
stesso Ministero della Salute del Kenya ( Cfr: “ NATIONAL GUIDELINE FOR INTEGRATED MANAGEMENT OF ACUTE MALNUTRITION “ Ministry of Public Health & Sanitation – Kenya) . E’ dimostrato
infatti che un accurato monitoraggio clinico è il fattore maggiormente associato ad un outcome favorevole
per questi bambini. E’ stato necessario quindi programmare visite di follow-up con cadenza mensile o bisettimanale in base alle problematiche sociosanitarie del bambino ed alla necessità di garantire la regolare
distribuzione del “Plumpy nut”, pretendendo una calendarizzazione rigorosa ed intervalli cadenzati tra una
visita e la successiva per assicurare anche il rispetto dei richiami vaccinali.
Al fine di uniformare la nostra attività con quella di eventuali contingenti che seguiranno (o per altre missioni) abbiamo anche elaborato una sintesi delle metodologie attualmente accettate secondo i principi della
“best practice” per l’approccio alla malnutrizione (documento disponibile su richiesta all’autore).
Riguardo l’alimentazione nel Turkana, non e’ attualmente noto il reale fabbisogno nutrizionale e non si conosce pertanto se l’alimentazione e’ sufficiente sia dal punto di vista calorico che qualitativo per permettere
un accrescimento normale. L’alimentazione e’ fornita su base tradizionale, utilizzando le risorse a disposizione (poco accettabili dal punto di vista igienico) ed approfittando dell’assistenzialismo che numerose ONG
offrono di continuo. In definitiva i bambini non sono controllati da un punto di vista nutrizionale e non si
sa -vista la distanza dai villaggi- se hanno la possibilità di accedere alle strutture sanitarie locali in caso di
bisogno.
Nel riorganizzare l’attività, i bambini malnutriti vengono sottoposti a visita medica per valutare lo stato di
salute generale e di crescita secondo i parametri della letteratura internazionale, lo stato vaccinale e le patologie note (malaria, TB). Va segnalata la problematicità nella fase della visita dei bambini per mancanza perfino di un piano dove potersi appoggiare per effettuare la visita; c’è poi pochissima collaborazione da parte
delle madri. Si rivela inoltre la necessità di diffondere norme igienico-sanitarie di base, tanta e’ l’arretratezza
in tal campo a partire dalla lotta al fecalismo ambientale. Abbiamo così dovuto introdurre nel breafing iniziale alla popolazione, la dimostrazione di come si lava un bambino...
Per i malnutriti viene compilata una scheda personale (recentemente ne e’ stata elaborata una versione più
precisa, attualmente in press) da utilizzare nei successivi controlli. Da notare la difficoltà nell’identificazione anagrafica: pur nel pieno rispetto delle tradizioni, della cultura locale e delle note difficoltà logistiche
soprattutto in ambiente rurale, abbiamo scoperto scambi di cartellini e/o di bambini per accaparrarsi gli
integratori alimentari o i farmaci...
Si e’ cercato di ottenere il miglioramento dello stato di salute attraverso i seguenti interventi: -valutazione
dello stato nutrizionale: abbiamo verificato come sia stato sopravvalutato il severo stato nutrizionale della
popolazione;
•controllo longitudinale dell’ accrescimento: a questo proposito abbiamo fortemente promosso un’accurata
aderenza al protocollo; i bambini malnutriti venivano visitati, misurati in altezza, peso, circonferenza brachiale, essendo la scala WHO P/A indispensabile per una valutazione obiettiva della malnutrizione; in presenza d’uno stato di malnutrizione severa, veniva poi aggiunto un’ integratore ipercalorico (Plumpy nut) alla
dieta, riconosciuto dalle organizzazioni internazionali come uno strumento efficace, economico e sicuro.
•screening sanitario e valutazione dello stato di salute: trattamento delle patologie comuni con riferimento
del bambino alle strutture ospedaliere per patologie compless; attraverso le visite mediche sono state evidenziate condizioni morbose (URI, malaria, inf. intestinali, affezioni cutanee, piccole lesioni traumatiche a
rischio di complicanze) ed in accordo con le istituzioni sanitarie locali, praticata una terapia ambulatoriale
(per patologie semplici) o sollecitato l’intervento delle S.S. a cui il paziente veniva indirizzato. Va sottolineato che durante la visita si è registrata una frequenza rilevante di patologie –per lo più facilmente risolvibiliquali parassitosi ed infezioni respiratorie che potessero influenzare le condizioni di crescita del bambino,
trattate con distribuzione gratuita dei farmaci;
•valutazione dello stato vaccinale: necessità d’intervento diretto se riscontrato un incompleto stato vaccinale;
- per mezzo delle II.VV. e del V.d.S. sono state fornite alle madri ed alle famiglie indicazioni sui principi igienici e le corrette modalità di mantenimento della pulizia, con distribuzione gratuita di sapone di marsiglia.
Nelle ore di riposo, siamo stati più volte chiamati per urgenze nei villaggi viciniori.
Abbiamo condotto attività c/o l’ H. Rurale di KaiKor, la cui funzione e’ di provvedere alle vaccinazioni (con
campagne mirate); assistere eventuali gestanti (che abbiamo aiutato a partorire), compreso il trasferimento
assistito in elicottero (in collaborazione con AMREF) di una gravida poi sottoposta a TC; prime cure ai neonati con relative profilassi (Credè, penicillina,etc.); trattamento di affezioni comuni dopo test di conferma
(malaria, infezioni intestinali, leismaniosi, TB); selezione di casi da inviare negli H. Distrettuali maggiori. Le
II.VV. con il V.d.S. hanno dedicato un fine settimana alla intera pulizia della degenza e dei locali maternoinfantile, riordinando i presidi medico-chirurgici in dotazione, ma in stato di abbandono.
Concludendo, nell’ottica della solidarietà e della cooperazione vs. la popolazione del Turkana, il prolungamento del PIA (Project Implementation Agreement) oltre i 4 mesi è condizionato, a nostro parere, dal
miglioramento e dalla realizzazione delle seguenti attività:
•Completare la mappatura dei villaggi
•Definire il calendario di visite ai villaggi e rispettarlo rigorosamente (1 o 2 gg. max di tolleranza)
•Riorganizzazione delle visite libere (triage)
•Maggiore aderenza al protocollo nutrizionale con operatori motivati
•Presenza continuativa del personale sanitario kenyota
•Disponibilità continuativa delle scorte di Plumpy nut (futura produzione in loco ?) ed Unimix (controllo
di Q !)
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PROBLEMI ANESTESIOLOGICI NELLE MPS: ESPERIENZA DEL CENTRO PER LE MALATTIE
RARE DI ANCONA
Presentatore: Marco Manna
Autore: 1Manna M.,1Morganti A., 1Del Baldo G., 1Giovanetti V., 2Cordiali R., 3Gabrielli O., 2Ficcadenti F.
1. SOD Clinica Pediatrica- Istituto di Scienze Materno-Infantili dell’Università Politecnica delle Marche dell’Università Politecnica delle Marche - Ospedali Riuniti di Ancona;
2. Centro Regionale per le Malattie Rare, Ancona;
3. Direttore SOD Clinica Pediatrica- Istituto di Scienze Materno-Infantili dell’Università Politecnica delle Marche
dell’Università Politecnica delle Marche - Ospedali Riuniti di Ancona;
102
Le mucopolisaccaridosi (MPS) sono malattie genetiche caratterizzate dal deficit di diversi enzimi lisosomiali con conseguente accumulo di glicosamminoglicani (GAGs) all’interno dei lisosomi delle cellule di
tutto l’organismo (eccetto il globulo rosso). Le MPS, nel loro complesso, sono associate ad un elevato rischio
anestesiologico, che varia da forma a forma, risultando molto elevato nella sindrome di Hurler (I H), nel
Morquio (IV) e nella Sly (VII); elevato nella Hunter (II), nella Scheie (I S) e nella Maroteaux-Lamy (VI) e
moderatamente elevato nella Hurler-Scheie (I HS).
I bambini affetti da MPS incontrano frequentemente indicazioni chirurgiche: procedure ORL, ortopediche
(stabilizzazione di colonna), odontoiatriche, neurochirurgiche (derivazioni ventricolo peritoneali), ematologiche (trapianto di midollo) e di chirurgia generale (in particolare ernioplastiche). Frequente è anche la
necessità di effettuare indagini diagnostiche in narcosi (soprattutto RMN).
Il rischio anestesiologico risulta elevato per la tendenza all’ostruzione delle vie aeree superiori, le difficoltà di
intubazione (macroglossia, ipertrofia adeno-tonsillare, trachea di calibro ridotto per accumulo di GAGs nel
sottocutaneo, compressione midollare), la presenza di secrezioni dense nelle vie aeree, la possibile cardiopatia (insufficienza aortica), la frequente ipoplasia dell’apofisi odontoide, le eventuali grossolane alterazioni
della gabbia toracica (grave cifoscoliosi), la trombocitopenia.
Ogni qualvolta venga posta un’ indicazione chirurgica in un paziente affetto da MPS è necessario considerare che:
•generalmente il rischio anestesiologico è molto elevato (la mortalità perioperatoria varia dal 7 % al 20 % a
secondo delle casistiche) ed aumenta con l’aumentare dell’età;
•l’indicazione ad una procedura chirurgica deve essere posta solo dopo il parere dell’anestesista, che ne
deve illustrare i rischi e i benefici ai genitori;
•i pazienti devono essere trattati in centri di riferimento nei quali siano presenti anestesisti, chirurghi, neurochirurghi, pediatri e otorinolaringoiatri di sicura esperienza, a conoscenza dei molti aspetti particolari di
queste malattie;
•qualora si ravveda la necessità di un trattamento chirurgico o medico intensivo, tanto più se in un ospedale
periferico, è necessario trasferire urgentemente il paziente presso un centro di riferimento.
Il nostro Centro di Malattie Rare ha seguito negli anni 42 pazienti affetti dalle varie forme di MPS. 12 di
loro sono stati sottoposti a trapianto di midollo osseo (TMO), 12 stanno effettuando terapia enzimatica sostitutiva (ERT) (vedi tabella). Abbiamo raccolto i dati relativi agli accessi presso la Rianimazione Salesi dal
1998 al 2012. Tra i nostri pazienti è compreso anche un bambino che ha iniziato la ERT all’età di 4 mesi (il
più precoce trattamento a livello mondiale); attualmente ha 9 anni e non presenta alcun segno o sintomo,
se non sfumato, di malattia. In particolare, presenta una morbilità respiratoria nella norma; non presenta
note di adenoidismo o deformità delle vie aeree superiori. Ha subito interventi chirurgici con anestesia,
ma come tutti gli altri nostri pazienti affetti da MPS, non ha mai presentato complicanze anestesiologicorianimatorie. Di fatto non abbiamo avuto alcun paziente con necessità di ricovero presso la Rianimazione,
nonostante l’indubbia complessità di questi pazienti. Come nei più recenti riscontri della letteratura internazionale riteniamo che ciò sia dovuto soprattutto all’avvio precoce della terapia enzimatica sostitutiva ed
alla conseguente ridotta insorgenza di complicazioni respiratorie, all’approccio multidisciplinare, allo stretto
follow-up che applichiamo in questi pazienti.
TIPO di MPS
seguite
Pazienti seguiti c/o il
Centro Mal. Rare Ancona
Trattamento (trapianto midollo osseo TMO , terapia
enzimatica sostitutiva ERT)
MPS I H
11
3 pazienti TMO
MPS I HS
7
7 pazienti ERT
MPS I S
2
2 pazienti ERT
MPS II
11
6 pazienti TMO e 2 pazienti ERT
MPS III A
6
2 TMO
MPS IV
3
/
MPS VI
2
/
Tot. 42
103
TECNICA BLIND vs TECNICA ECOGUIDATA
UPDATE NELLA VENIPUNTURA CENTRALE PEDIATRICA
rischio di complicanze e rende più sicuro l’incannulamento. L’ecografia bi-dimenzionale è più utile rispetto
all’uso dell’eco-doppler.
Presentatore: Salvatore Meola
1
1
1
1
1
2
Autore: Meola S., Galante D., Fortarezza D., Leone R., Melchionda M., Caso A.
1. S.C. Anestesia e Rianimazione Azienda Osped.-Univ. “OO.RR.” di Foggia
2. S.C. Anestesia e Rianimazione Az. Osped. “Teresa Masselli Mascia” San Severo (FG)
Obiettivo
Scopo di questo lavoro è dimostrare che, attualmente, l’incannulamento venoso centrale ecoguidato nei
neonati e nei pazienti pediatrici è il golden goal.
104
Discussione
L’incannulamento venoso centrale percutaneo, routinariamente eseguito in terapia intensive pediatrica, è
una pratica particolarmente difficoltosa nei neonati e nei pazienti pediatrici, è caratterizzata da molte complicanze iatrogene e costituisce una sfida anche per anestesisti pediatrici dotati di notevole esperienza. La
vena giugulare interna è il vaso normalmente incannulato e i cateteri vengono posizionati alla cieca, utilizzando i classici punti di repere.
Non di rado, l’uso di questa tecnica si accompagna alla comparsa delle seguenti complicanze: pneumotorace,
emotorace, idrotorace, puntura arteriosa, lesione nervosa, malposizionamenti, infezioni locali ed infezioni
ematiche catetere-correlate.
Secondo la letteratura internazionale, questi eventi sono osservabili nel 15% dei casi (1).
In letteratura, esistono molti lavori scientifici che confrontano la sicurezza e l’efficacia della tecnica di incannulamento ecoguidata vs la tecnica “blind” (2). Tutti questi studi hanno dimostrato che la percentuale di
successo dell’incannulamento della Vena Giugulare Interna in pazienti afferenti alle chirurgie pediatriche è
complessivamente migliorata dall’uso della guida ecografica.
Un altro vaso venoso spesso preferito per il cateterismo venoso centrale è la vena succlavia il cui incannulamento con “tecnica blind” è frequentemente associato alla “Pinch-off Syndrome”, consistente nella compressione meccanica del catetere venoso fra la clavicola e la prima costola omolaterale. Recentemente, la
letteratura internazionale ha dimostrato che i sistemi venosi centrali collocati in vena succlavia per via sottoclaveare, se ripetutamente sottoposti a compressione meccanica, possono subire la rottura del frammento
distale e la sua embolizzazione nelle vene centrali (1). La puntura percutanea sovraclavicolare, impedisce la
compressione meccanica del catetere tra la clavicola e la prima costola, ma non azzera il rischio di pneumotorace.
Nonostante la tecnica percutanea sopraclaveare sia in grado di evitare la “Pinch-off Syndrome”, la medicina basata sulle evidenze (EBM) ha dimostrato che l’incannulamento venoso ecoguidato è, attualmente, il
golden goal (1, 3). Infatti, il problema può essere evitato eseguendo l’incannulamento ecoguidato della vena
ascellare: grazie a questa tecnica, è possibile osservare direttamente il vaso venoso che decorre anteriormente alla clavicola e la puntura della stessa può essere eseguita con precisione e sicurezza, riducendo drasticamente il numero di tentativi di venipuntura e la Pinch-off Syndrome.
Conclusioni
Possiamo affermare che, attualmente, l’incannulamento venoso centrale ecoguidato è il golden goal. La guida ecografica offre una nuova possibilità di cateterismo venoso centrale nei neonati e nei bambini, consente
di guidare con precisione la punta dell’ago e permette di verificare la pervietà e l’integrità del vaso prima che
venga punto. La tecnica della venipuntura ecoguidata incrementa la percentuale di successo, minimizza il
105
TRASPORTO NEONATALE DI EMERGENZA: RISK MANAGEMENT
Presentatore: Francesca Osimani
Autore: Osimani F., Morico M., Milia M., Paialunga E., Posa A.
G Salesi Ancona SOD di Terapia intensiva Neonatale
Background
Negli ultimi decenni in Italia, come nel resto del mondo occidentale, si è osservato un sensibile miglioramento delle cure perinatali che ha comportato un progressivo declino della mortalità e della morbilità neonatale. Parte integrante nell’organizzazione delle cure perinatali è ora la centralizzazione delle gravidanze a
rischio nei centri di terzo livello. Il “trasporto in utero”, ossia il trasferimento della gestante “a rischio” in una
struttura di III livello, è oggi universalmente riconosciuto come la modalità più efficace per garantire alla
gestante ed al neonato l’assistenza più qualificata. Purtroppo però, il trasporto in utero non è sempre attuabile: esistono infatti, condizioni materne e/o legate al parto e patologie feto neonatali che non sono sempre
prevedibili. In tutti questi casi si rende necessario il trasferimento del neonato, dopo la nascita, verso i centri
di III livello.
106
Obiettivi
La conoscenza e la valutazione dei fattori di rischio collegati alle diverse tipologie di trasporto sanitario
consentono di attuare una gestione efficace e sicura dei pazienti che devono essere trasportati. Il trasporto
di un paziente rappresenta un momento importante nel continuum dell’assistenza sanitaria che richiede
una gestione articolata e complessa e competenze specifiche. Questa relazione è stata redatta al solo scopo
di evidenziare i fattori di rischio che sono stati rilevati in questi anni o che potrebbero intervenire durante il
trasporto neonatale di emergenza, così da attuare misure di miglioramento per rendere tale nostro servizio
più efficiente. Il risk management in sanità rappresenta l’insieme di varie azioni complesse messe in atto per
migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e garantire la sicurezza del paziente, basata sull’apprendere
dall’errore. Dobbiamo infatti considerare l’errore componente ineliminabile, purtroppo della realtà umana,
come fonte di conoscenza e miglioramento per evitare il ripetersi delle circostanze che hanno portato l’individuo a sbagliare e mettere in atto iniziative, a vari livelli istituzionali garanti dell’assistenza sanitaria che
riducano l’incidenza di errori. Il risk management perché sia efficace, deve interessare tutte le aree in cui
l’errore si può manifestare durante il processo clinico assistenziale del paziente. Solo una gestione integrata
del rischio può portare a cambiamenti nella pratica clinica, promuovere la crescita di una cultura della salute
più attenta e vicina ai pazienti ed agli operatori, contribuire indirettamente ad una diminuzione dei costi
delle prestazioni ed infine favorire la destinazione di risorse su interventi tesi a sviluppare organizzazioni
e strutture sanitarie sicure ed efficienti. Secondo la procedura del risk management abbiamo deciso di interessarci su eventi avversi che ultimamente si sono riscontrati nella nostra U.O. soprattutto a riguardo del
trasporto di emergenza neonatale.
Metodi
Abbiamo suddiviso i fattori di rischio in base ai fattori che li hanno scaturiti per poi formulare le nostre azioni di miglioramento: 1)Fattori dipendenti dalle strutture extraospedaliere : AZIONE DI MIGLIORAMENTO: La predisposizione e l’adozione di linee guida e/o di regolamenti per il trasporto in emergenza al fine
di uniformare i parametri di valutazione dei pazienti e i criteri per la gestione degli stessi. 2)Fattori di competenza esclusiva del servizio di trasporto: problematiche riscontrate proprio nelle attrezzature facenti parte
del servizio: AZIONE DI MIGLIORAMENTO: Corsi di formazione degli autisti facenti parte del servizio,
certificazioni obbligatorie per le ambulanze 3)Fattori dipendenti dai nostri operatori: corso obbligatorio
formazione infermieri (BLSD, PBLSD, ALS, RCP NEONATALEe corso formazione ambulanza STEN);
check list trolley da trasporto e culla da trasporto obbligatoriamente ogni 2gg. 4)Fattori derivanti dal personale medico: Scarsa o inadeguata comunicazione medico-genitore del neonato: alcuni episodi di non efficacia della comunicazione tra medico-genitore, potrebbero creare una maggiore difficoltà non nello svolgere
il proprio intervento sanitario quanto nel riuscire ad entrare in “relazione” costruttiva con i genitori. Molte
volte si utilizzano terminologie che, se per chi lavorano nel settore sono “chiare” spesso non lo sono per i
genitori dei piccoli pazienti. Tale comunicazione deve essere gestita al meglio anche in stato di emergenza.
Azione Di Miglioramento
Corsi di counseling in trasporto neonatale.
Risultati
Nello studio sopracitato e attraverso l’utilizzo del nostro programma gestionale neonati NEOTOOLS, è
emerso prendendo in esame gli ultimi 5 anni di operatività del servizio STEN quindi Gennaio 2005, quando
furono dotati i centri ospedalieri di I e II livello di protocolli per l’attivazione del trasporto di emergenza
neonatale, al Gennaio 2011 , una considerevole diminuzione di trasporti di emergenza. Nell’anno 2005 si
sono effettuati ben 93 trasporti di emergenza, a fronte di 45 trasporti effettuati nel 2011.
Inoltre molti trasporti “non necessari” o “evitabili” (ovvero secondo i parametri dettati nei protocolli forniti
alle U.O. extraospedaliere da noi nel 2005), hanno subito un calo significativo almeno del 20%.
Purtroppo le altre problematiche affrontate in questo studio, non hanno a tutt’oggi, un riscontro risolutivo
in termini di dati quantitativi, ma solamente di dati qualitativi perché il trasporto neonatale di emergenza
secondo il nostro modesto parere non può basarsi soltanto su una questione di numeri. E’ importante sapere che, mantenere in sicurezza un neonato di 700 gr in una incubatrice da trasporto, collocata all’interno
di un’ambulanza che solitamente viaggia in media a 120km/h in autostrada non può limitarsi solo a una
questione puramente numerica. La competenza acquisita da noi operatori (medici/infermieri) attraverso
corsi di formazione annuali, vale molto di più che un aumento o una diminuzione di ricoveri di urgenza e
su questo ne siamo pienamente coscienti.
Conclusioni
La conoscenza dei fattori di rischio, collegati alle diverse tipologie di trasporto sanitario, consente una migliore valutazione degli interventi da effettuare e di conseguenza la riduzione dei rischi collegati al trasporto
dei piccoli pazienti.
certificazioni obbligatorie per le ambulanze 3)Fattori dipendenti dai nostri operatori: corso obbligatorio formazione infermieri (BLSD, PBLSD, ALS, RCP NEONATALEe corso formazione ambulanza STEN); check
list trolley da trasporto e culla da trasporto obbligatoriamente ogni 2gg. 4)Fattori derivanti dal personale
medico: Scarsa o inadeguata comunicazione medico-genitore del neonato: alcuni episodi di non efficacia
della comunicazione tra medico-genitore, potrebbero creare una maggiore difficoltà non nello svolgere il
proprio intervento sanitario quanto nel riuscire ad entrare in “relazione” costruttiva con i genitori. Molte
volte si utilizzano terminologie che, se per chi lavorano nel settore sono “chiare” spesso non lo sono per i
genitori dei piccoli pazienti. Tale comunicazione deve essere gestita al meglio anche in stato di emergenza.
Azione Di Miglioramento
Corsi di counseling in trasporto neonatale.
107
VENTILAZIONE DOMICILIARE NEI BAMBINI IN CARICO PRESSO UN CENTRO REGIONALE DI
CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE: MODELLO DI ASSISTENZA
Presentatore: Chiara Po’
Autore: Po’ C., Agosto C., Farina M., Catalano I., Benini F.
Centro Regionale Veneto di Terapia Antalgica e Cure Palliative Pediatriche, Padova, Italia
Assistere a domicilio i bambini in ventilazione assistita può avere un impatto positivo sul benessere di tutta
la famiglia e migliorare la qualità della vita, ma comporta molte difficoltà, come la ricaduta di un elevato
carico assistenziale sui genitori, frammentazione dell’assistenza specialistica, isolamento, frustrazione, tutti
aspetti che influenzano negativamente la qualità della vita.
Presentiamo il modello di assistenza a domicilio di pazienti in ventilazione invasiva e non invasiva presi in
carico presso il Centro Regionale Veneto di Cure Palliative Pediatriche.
108
Metodi
Il Centro Regionale Veneto di Cure Palliative Pediatriche dal 2003 coordina una rete di assistenza composta
da palliativisti, pediatri di famiglia, pediatri ospedalieri, medici del Servizio di Emergenza di zona, assistenti
sociali, psicologi, personale scolastico, fisioterapisti. La rete assicura reperibilità h24, valutazioni programmate e su richiesta a domicilio e in ospedale territoriale, fornitura dei presidi, formazione delle famiglie e
degli operatori, assistenza sui diritti e sui benefici economici, flow-chart di gestione dell’emergenza, possibilità di degenza in Hospice pediatrico, anche per ricoveri sollievo.
Risultati
Dal 2007 esiste una raccolta informatizzata dei dati sui pazienti assistiti. Dal 2007 ha seguito un totale di 231
pazienti. Ad oggi 72 sono deceduti e 89 sono stati dimessi dalla presa in carico. Attualmente sono presi in
carico 70 pazienti, di cui 33 necessitano di ventilazione domiciliare (47%). 8 pazienti con ipoventilazione,
3 con malattia metabolica, 5 neurologica, 16 neuromuscolare, 1 oncologica. Durata media della presa in
carico per questi pazienti è stata di 1059 giorni/paziente. Sono state effettuate una media di 36 chiamate a
domicilio/paziente/anno; sono state effettuate circa 30 visite domiciliari da parte del team di cure palliative.
23 pazienti sono trattati con ventilazione invasiva attraverso tracheostomia: tra questi, 11 sono dipendenti
dalla ventilazione h24 e 12 soltanto durante il sonno oppure in caso di infezione delle vie respiratorie. Tutti
i 10 pazienti non tracheostomizzati sono attualmente trattati con ventilazione non invasiva durante le ore
notturne.
Sul totale di 33 ventilati, 23 sono stati avviati a metodiche di tosse assistita e fisioterapia respiratoria (13
macchina della tosse e 10 pallone auto espansibile tipo Ambu).
Tutti i pazienti sono inseriti in un programma di follow-up e sono stati valutati da un minimo di 1 ad un
massimo di 4 volte l’anno. Durante il periodo di presa in carico si sono verificati una mediana di 0.6 ricoveri/paziente/anno per causa acuta intercorrente, prevalentemente infezioni delle vie respiratorie; 10 pazienti
non hanno avuto alcun ricovero per acuzie. Solo 2 pazienti sono stati ricoverati acutamente per problemi di
gestione della cannula e della ventilazione. 3 famiglie hanno usufruito di ricoveri sollievo durante la presa
in carico.
Su 29 pazienti di età maggiore o uguale a 3 anni, 23 frequentano la scuola da un minimo di 10 ad un massimo di 30 ore settimanali; 17 su 18 pazienti in età della scuola dell’obbligo riescono a frequentare la scuola,
per una media di 23 ore la settimana. Il Centro ha formato complessivamente 18 operatori per l’assistenza
scolastica di questi bambini, comprensivo di formazione teorica e esercitazione pratica (ripartite in 2-3
giorni per circa 24 ore complessive), re-training a distanza per conferma dell’abilitazione. Nessun evento
acuto tale da richiedere intervento medico si è verificato durante le ore scolastiche. Il personale del Centro
ha effettuato per questi pazienti un totale di 8 colloqui con il personale scolastico ed i compagni di classe.
Tutte le famiglie sono state formate all’assistenza respiratoria in emergenza e per tutti è stata stilata una
flow-chart personalizzata di soccorso in caso di insufficienza respiratoria acuta. Tutti i pazienti sono stati segnalati alla Centrale Operativa del 118 di zona. Tutti i presidi sono stati forniti a carico del sistema sanitario
nazionale senza spese per le famiglie. Il pediatra di famiglia viene consultato nel 70% dei casi per problemi
di ordine medico, in una minoranza dei casi per richieste burocratiche e impegnative. Tutte le famiglie sono
soddisfatte del servizio proposto dal Centro, il 90% non cambierebbe nulla, il 10% incrementerebbe il personale impiegato.
Conclusioni
La rete di cure palliative assicura una assistenza multidisciplinare che risponde a molti bisogni dei bambini
ventilati a domicilio e delle loro famiglie, con una elevata soddisfazione.
109
110
ANESTHESIA FOR INFANTS UNDERGOING CRANIOSYNOSTOSIS SURGERY: OUR EXPERIENCE
L’APPROCCIO AL DOLORE NEL BAMBINO: PRIMI DATI NELL’OSPEDALE DI TREVISO
Presentatore: Vincenzo Russotto
Autore: Russotto V., Grazia Foresta, Francesco Dones
Department of Anesthesiology and Intensive Care, Universitary Hospital “P. Giaccone” Palermo, Italy.
Presentatore: Federica Scozzola
1
1
1
1
2
Autore: Scozzola F., Cavicchiolo M.E., Berlese P., Da Dalt L., Benini F.
1. Reparto di Pediatria - Azienda ULSS 9 Treviso
2. Servizio di Terapia Antalgica e Cure Palliative Pediatriche- Dipartimento di Pediatria, Padova
Craniosynostosis could be defined as the premature fusion of one or more cranial sutures. Its estimated incidence is of 1 in 2000 to 2500 live births annually worldwide.1
The anesthesiologic management of infants with craniosynostosis is challenging because of several features
related to patient’s own characteristics (small size), to the disease (potential difficult air management due to
craniofacial and other structures abnormalities2, increased intracranial pressure), and to the adopted surgical technique (blood loss3, hypotermia, air embolism4).
Along with the cornerstones of neuroanesthesiology (preservation of cerebral blood flow, control of intracranial pressure), the main concerns of the anesthesiologic management of infants with craniosynostosis are
preventing and reducing blood loss (through several techniques such as hyperventilation and antifibrinolitic
agents admnistration5) and its treatment through an adequate fluidotherapy and blood components administration6.
Postoperative hyponatremia, though asymptomatic in the majority of cases, has been reported as a relatively
common feature of major craniofacial surgery: even if its pathogenesis is unclear and several mechanisms
have been proposed (fluid overload, hypotonic cristalloids administration, syndrome of inappropriate antidiuretic hormone, cerebral salt wasting syndrome) it should be promptly detected due to the potential
severe consequences.7
We illustrate the anesthesiologic management of our case series of craniosynostosis surgery performed at
our institution from 2002.
Introduzione
Il dolore è parte integrante dell’approccio quotidiano al bambino malato: più dell’80% dei ricoveri pediatrici
è dovuto a patologie che presentano anche dolore. Non esistono limiti di età alla percezione del dolore, vi
è una “memoria” dello stesso sin dall’età neonatale ed il dolore non trattato in età evolutiva è associato ad
aumentata morbidità e mortalità con effetti sulla maturazione del sistema algico. Un’adeguata terapia antalgica accelera la guarigione dei bambini malati e riduce i giorni di degenza. Nonostante le ormai ampie
conoscenze sull’analgesia pediatrica non corrisponde ancora oggi una pratica clinica adeguata.
Obiettivo
Valutare l’approccio al dolore nell’Ospedale di Treviso nel setting della degenza e del Pronto Soccorso (PS).
Metodi: distribuzione di tre diversi questionari dal 14.11.2011 al 17.02.2012 ai capireparto, agli operatori
sanitari, ai bambini (ai genitori se bambino di età inferiore a 7 anni) nei reparti di Pediatria, Chirurgia Pediatrica, Patologia Neonatale ed il Pronto Soccorso. Sono stati esclusi i neonati ricoverati presso la patologia
neonatale per il ridotto tempo di assistenza da parte dei genitori. Risultati: ha risposto il 100% dei capireparto ed il 56% degli operatori sanitari. Il 50% dei medici ed 68% degli infermieri ha seguito corsi sul dolore, di
durata inferiore a 4 ore nel 72,7% dei casi. Dei 212 bambini reclutati (range di età 0-18 anni) 108 bambini
presentano dolore. La valutazione è stata eseguita nell’81,4% dei casi, con % più alte per i bambini degenti.
La valutazione è stata eseguita da entrambi gli operatori nel 54,3% dei casi, nei restanti da un solo operatore.
La scala FLACC è stata usata nello 0,1% dei casi, la scala di Wong-Baker nell’1%, la scala VAS nel 29,5%, la
descrizione verbale della quantità di dolore è la più usata (73,8%). Il 56,4% dei bambini con dolore non è stato trattato, in particolare il 91,7% di quelli visti nel PS generale. Il 91,8% dei trattati ha avuto beneficio dalla
terapia eseguita. Il paracetamolo è usato dall’86,8% degli operatori, seguito dai FANS (67,9%). La morfina
ed il tramadolo sono usati rispettivamente dal 15,1% e dal 12,3% degli operatori sanitari.
Conclusioni
La valutazione del dolore viene eseguita maggiormente nel bambino ricoverato ma la misurazione non viene eseguita con metodi validati nel 72,8% dei casi in entrambi i setting (degenza/PS). Il dolore è ipotrattato
soprattutto nei bambini accolti in PS e gli oppioidi sono poco usati nella pratica clinica.
111
LA SEDAZIONE/ANALGESIA IN ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA: 5 ANNI DI ATTIVITA’
Presentatore: Valter Sonzogni
1
1
3
1
2
1
Autore: Sonzogni V., Spotti A., Sonzogni R., Busi I., Provenzi M., Cobelli S.
1. USC Anestesia e Rianimazione I AO Ospedali Riuniti di Bergamo
2. USC Pediatria AO Ospedali Riuniti di Bergamo
3. Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Brescia
Introduzione
La sedaoanalgesia in oncoematologia pediatrica è ormai attività consolidata e rappresenta lo standard di
comportamento per molti centri anche non specificatamente pediatrici. La puntura durale e ancor più il
prelievo o la biopsia di midollo sono fonte di dolore e di stress per il paziente in tutte le età. Non sono da
trascurare le punture ripetute, il distacco dai genitori, la rabbia per l’evento subito e lo stress per i familiari,
operatori sempre diversi, il distacco dal mondo reale al momento dell’induzione. L’aumento degli esordi,
25% in più nel 2011 rispetto al 2010, la ripetitività delle procedure previste dallo schema diagnostico/terapeutico, i tempi di preparazione del farmaco intrarachide, la consegna del materiale biologico, impongono
una rigida programmazione, il rispetto della tempistica, un comportamento anestesiologico “tollerante”.
112
Materiali E Metodi
Le procedure oncologiche vengono eseguite di prima mattina dall’anestesista di guardia H24 e se questo
occupato dal primo Collega disponibile limitando al massimo il numero dei professionisti dedicati; il protocollo adottato è fentanyl 1-2 mcg/kg e propofol 2 mg/kg, respiro spontaneo, monitoraggio SatO2, ECG,
PA. In caso di sola rachicentesi è posizionata crema anestetica in sede di puntura. L’induzione viene eseguita
nella presala e davanti ai genitori se presente accesso venoso; in caso contrario s’invita il genitore ad entrare
in sala. Il risveglio avviene sempre in presenza del genitore.
Risultati
Dal 2007 abbiamo eseguito 1127 sedazioni (età compresa tra 3m e 17aa). Abbiamo registrato 9 depressioni
respiratorie (SaO2 <92%) risolte con posizionamento della maschera facciale e sollevamento della mandibola, 3 agitazioni al risveglio, mai vomito. Nessun altro effetto collaterale è stato riportato. L’alimentazione è
stata subito ripresa. Un questionario di gradimento sottoposto nel 2011 ha mostrato un gradimento giudicato ottimo alle procedure così eseguite.
Conclusioni
Il contenimento dei tempi del digiuno, il rispetto dei tempi di somministrazione dei farmaci e di consegna
dei materiali biologici, il carattere di urgenza, i bisogni dei bambini e dei loro genitori, hanno sollecitato
l’adozione e il perfezionamento di modelli atti al tempestivo soddisfacimento della programmazione anche
urgente. Questa gestione ci ha permesso di ottenere gli obiettivi desiderati: abolizione del dolore e dello
stress da procedura, immediata ripresa delle attività ludiche e dell’alimentazione, contenimento estremo
delle complicanze e non ultimo, miglioramento del processo di relazione tra i piccoli pazienti, genitori e
operatori sanitari.
REVERSIBILITÀ PRECOCE DEL BLOCCO NEUROMUSCOLARE PROFONDO INDOTTO IN ETÀ
PEDIATRICA: RISULTATI PRELIMINARI
Presentatore: Valter Sonzogni
Autore: Sonzogni V., Spotti A., Benigni A., Busi I., Maffioletti M.
USC Anestesia e Rianimazione I, Ospedali Riuniti di Bergamo
Introduzione
Il sugammadex è il precursore di una nuova famiglia di antagonisti del curaro in particolare del rocuronio.
La disponibilità di un antidoto che agisca anche in presenza di un blocco neuromuscolare profondo, riveste
notevole interesse clinico in procedure di breve durata che richiedono AG e miorisoluzione. Se si eccettua
qualche report, non esistono a tutt’oggi studi che dimostrino chiaramente l’efficacia e la sicurezza del farmaco nei pazienti di peso inferiore a 30 Kg.
Materiali e Metodi
All’interno di un progetto di studio abbiamo arruolato 23 pazienti di peso tra 7,5 e 30 kg (10 ASA 3, 13 ASA
2) sottoposti a procedure endoscopiche di durata inferiore a 10 min ma che necessitano di AG con intubazione. I pazienti ricevono 2mg/Kg di propofol, 1 mcg/Kg di fentanil, 0,6mg/Kg di rouronio e mantenimento
con sevoflurano; il curaro viene antagonizzato con 2mg/kg di sugammadex in dosi ripetute ad intervalli di
3m’ fino a raggiungimento di TOF ratio > 0,9. Si descrivono i dati preliminari.
Risultati
Nei 23 pazienti studiati, aventi almeno un TOF<20% del basale e PTC di 0, il raggiungimento, in 20”-30”
di un TOF > 0,9 è stato ottenuto con 2mg/kg di sugammadex in 10 pz, 4 mg/Kg in 6 pazienti, 8 mg/Kg in
altrettanti; un solo paziente ha richiesto la dose massima di 16 mg/Kg.
Conclusioni
Questi dati preliminari suggeriscono che sugammadex è efficace e sicuro nell’antagonizzare un blocco neuromuscolare profondo anche in pazienti pediatrici e che potrebbe essere impiegato in sicurezza per la reversione immediata al dosaggio di 16mg/kg in caso di impreviste vie aeree difficili. Allo stesso modo il rocuronio potrebbe essere utilizzato quale sostituto della succinilcolina in presenza di vie aeree difficili previste.
113
REAL-TIME ULTRASOUND EVALUATION OF CAUDAL ANESTHESIA SPREAD
FOR PILORIC STENOSIS SURGERY: PRELIMINARY STUDY
Presentatore: Ilaria Toretti
Autore: Toretti I., Vilardi A, Brazzoni M, Dottore B, Iacobucci A , Muzzi R, De Monte A.
Department of Anesthesia and Intensive Care, AOU, Udine, Italy (Dir. De Monte A)
Background
Anaesthesia management for hypertrophic pylorus stenosis (HPS) correction is usually performed under
general anaesthesia and only a few publications describe avoidance of tracheal intubation in infants by
using spinal or caudal anesthesia. There is evidence that the classically recommended anesthetic solution
volume to reach the midthoracic level (1.25 mL. Kg) does not provide an anesthetic level adequate for
HPS correction.
We report the preliminary results of our experience to evaluate the real-time ultrasound spinal level distribution of a volume of 1.6 mL. Kg of local anesthetic administered caudally in neonates for surgical repair
of HPS.
114
Methods
We observed three neonates undergoing caudal anaesthesia for pyloromyotomy according to the Weber–
Ramstedt technique.
Monitoring in all patients included (ECG, SpO2, T°), a peripheral venous access was established and the
secretions of the stomac were aspirated via nasogastric tube.
After sedation with intravenous ketamine 0.5-2 mg/kg, the neonate was placed in left lateral decubitus position and caudal block was performed. The neuraxial ultrasound investigation was performed to identify
the dura mater, the epidural space, and the conus medullaris using a LOGIQ e (General Electric Healtcare
Company) machine and a linear 12 MHz ultrasound transducer.
The preliminary sonoanatomy view of vertebral column was started from identification of T12 spinous
process by palpation of the 12th rib, which was then tracked medially by ultrasound scanning, thereby
identifying the 12th vertebral body. Subsequently, the transducer was moved cranially for the exact localization of T6 level and its position was marked on the skin.
After location of the sacral hiatus by palpation a Pajunk 24 G short-beveled caudal Crawford needle was
inserted into epidural space and longitudinal ultrasound view confirmed its correct placement. The local
anestetic solution of 4 mg . kg-1 bupivacaina 0.5 % diluted in 1.6 mL. kg-1 total volume was administered
over a period of 60 s. The maximum spread of the local anesthetic during the injection was directly observed via ultrasound in a longitudinal paramedian view with probe position at T6 level.
Skin incision was performed after twenty min of local anesthetic injection, previously pinprick test.
A successful block was defined as absence of movements or tachicardia response to skin incision with no
need for the administration of supplemental analgesics, except for i.v. rescue sedation dose of ketamine
during the traction and isolation of the pylorus.
In all patients sonographic local anesthetic spread was evaluated in real-time visualization, sensory and
motor blockades was evaluated by pinprick test and Bromage score.
Perioperative vital parameters (SpO2, HR, T°), intraoperative and postoperative need of analgesia, respiratory and cardiovascular complication were recorded.
Results
Demographic data are reported in table 1. Sonographic and clinical characteristics of caudal block, respiratory and cardiovascular complication, intraoperative and postoperative need of analgesia are showed in
table 2.
Table 1
Table 2
PATIENT DATA presented as median (range)
US and CLINICAL PARAMETERS
Population (n=3)
29.7 + 4.5
Confirmation of needle position n (%)
3 (100)
3.7 + 1.1
51.6 + 3.5
Maximum local anesthetic spread
vision (> T6)
AGE (days)
Weight (kg)
Heigth (cm)
ASA
I
Pinprick test level n (%)
3 (100)
AG conversion n (%)
0
Bradycardia (HR< 90 bpm) n (%)
0
SpO2 < 90% n (%)
0
Total spinal n (%)
0
Rescue analgesia intraoperative n (%)
0
Analgesia duration (h)
6
Postoperative fasting period (h)
10
Conclusions
In our very preliminary study the real-time ultrasound spread evaluation of anesthetic solution during
caudal anesthesia, suggests that a higher volume than classically recommended is required to reach the
spinal level for HPS correction. However, due to the limited number of cases further studies are required.
115
ANESTHESIA FOR PEDIATRIC FOREARM FRACTURE: ULTRASOUND GUIDED AXILLARY
BLOCK WITH TCI CONSCIOUS SEDATION
Presentatore: Anna Vilardi
2
2
2
1
1
1
2
Autore: Vilardi A., Brazzoni M., Toretti I. ,Dottore B., Muzzi R., De Monte A., Della Rocca G.
1. Department of Anesthesia and Intensive Care AOU “Santa Maria della Misericordia” Udine, Italy
2. Department of Anesthesia and Intensive Care Medicine, Dir Prof. G. Della Rocca, University of Udine, Udine,
Italy
Background
Forearm fracture is the most frequent trauma in the pediatric patients. This kind of trauma needs a minor
surgery and a light postoperative analgesia. The ideal anaesthetic management for this type of intervention
is peripheral nerve block. In the pediatric patients is difficult to perform unless it is associated with heavy
sedation or general anesthesia, because of the lack of collaboration. We present ultrasound guided axillary
block done under conscious sedation produced by propofol target Controlled Infusion (TCI ) system in 15
pediatric patients.
116
Methods
15 children (ASA1,age 3-11years), candidates to reduction of forearm fracture, were premedicated with
oral midazolam 0.5 mg/kg. In the operating room after vital signs monitoring plus nasal cannula O2/CO2,
was started the TCI of propofol 1%, using an AstraZeneca® syringe driver (Alaris® Medical Systems, Alaris
Medical UK Ltd, Basingstoke, UK) with the Kataria pharmacokinetic (PK) model (weight proportional
age-adjusted) software, beginning with low doses and continuing with slow increments to achieve a state of
conscious sedation (level 4 ramsey scale). To perform axillary block, after placing the upper arm abducted
and with 90 ° elbow bent, thanks to a high frequency ultrasound probe positioned in short axis view have
been identified all nerve close to axillary artery. Viewing in plain the tip of the needle the local anesthetic
was equally distribuited around the target of the brachial plexus (muscolocutaneous, median, ulnar, radial)
mepivacaine 1% 0.5 ml/kg total dose. In case of no good viewing radial nerve it was visualized at mid-level
humeral and anesthetized. There was a rescue analgesic intraoperative dose of fentanyl 1 mcg/kg IV when
basaline HR and NIBP increased more than 20%. All patients were heated by forced air system. At the end
of the intervention was administered paracetamol IV 10 mg/kg . In all patients, demographic information,
block characteristics, performance time, latency time, need of supplementary drugs during surgery, duration of analgesia, patient satisfaction discharge time and complication rate were recorded.
Success rate n (%)/Rescue analgesia requirement
during surgery n (%)
15/15
0/15
GA conversions n (%)
0/15
Surgery time (min)
49+10
Time to Ramsay level 2 from end of surgery (min)
4+2
Paresthesia/Haematoma n (%)
0/15
Postoperative bromage score 2 in PACU n (%)
14/15
Postoperative pain /Rescue analgesia requirement in
postoperative time n (%)
0/15
0/15
Time to discharge department (min)
15
Time to discharge home (Day after surgery)
1
Patient’s parents satisfaction /Agree to repeat
A.L.R n (%)
15/15
Conclusions
In our experience, combining the advantage of propofol TCI that allows to create and maintain a level of
conscious sedation in spontaneously breathing avoiding the manipulation of the airway, together with
the absence of painful muscle twich typical of US in ALR, the peripheral nerve block in lightly sedated
children is a valid alternative to the general anesthesia.
117
IL MANAGEMENT RESPIRATORIO NELLA SINDROME CHARGE: CASISTICA PERSONALE
Presentatore: Federica Zallocco
1
1
1
1
2
1
Autore: Zallocco F., Antonini L., Gatto C., Maravalle D., Ceccarani P., Ficcadenti A.
1. Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche,Università Politecnica delle Marche, Ospedali Riuniti Presidio
Salesi, Sezione Pediatria, Ancona
2. Centro di Riabilitazione Lega del Filo d’Oro, Osimo
Introduzione
La Sindrome CHARGE è una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante causata da mutazioni
o alterazioni del gene CHD7 1. Il termine “CHARGE” è un acronimo che denota le sei caratteristiche cliniche principali: Coloboma oculare, (Heart) difetti cardiaci, Atresia delle coane, Ritardo di crescita e\o di
sviluppo, anomalie Genitali e\o urinarie, (Ear) anomalie dell’orecchio e sordità. 2 L’incidenza della Sindrome
CHARGE è stimata in 1 su 8.500-12.000 nati. 3 La mortalità è maggiore nel periodo neonatale e nella prima
infanzia. Le condizioni cliniche associate ad una riduzione della sopravvivenza sono: l’atresia bilaterale delle
coane, le malformazioni congenite cardiache complesse e cianotiche, le anomalie del sistema nervoso centrale e l’atresia esofagea. 4,5,6 I fattori che contribuiscono ad incrementare la mortalità post-neonatale sono
le alterazioni della deglutizione che aumenta il rischio di aspirazione, la malattia da reflusso gastro-esofageo
(MRGE), le complicanze respiratorie post-chirurgiche. 7
118
Scopo
Il nostro studio presenta una casistica di 25 individui CHARGE italiani, provenienti da tutto il territorio
nazionale, con alterazione del gene CHD7, per ciascuno dei quali è stato applicato un protocollo diagnostico teso alla valutazione globale del bambino ed in particolare all’indagine delle problematiche respiratorie
presenti.
Risultati
Nella nostra casistica abbiamo riscontrato diverse anomalie delle alte vie respiratorie: atresia delle coane
(28%), palatoschisi (12%), laringomalacia (12%), fistola tracheo-esofagea (4%). Il 16% dei pazienti era portatore di tracheostomia ed il 40% soffriva di MRGE. L’80% dei neonati ha mostrato un difetto cardiaco
settale, mentre malformazioni cardio-vascolari maggiori, incluse valvulopatie, erano presenti nel 16% dei
pazienti.
Conclusioni
I neonati CHARGE richiedono un’immediata valutazione delle vie aeree, della deglutizione e del sistema
cardiaco, in quanto presentano una elevata percentuale di anomalie che predispongono ad un alto rischio
anestesiologico. Fondamentale, pertanto, è la precocità della diagnosi che consente e impone la ricerca di
tali anomalie ed un mirato monitoraggio clinico. La Sindrome CHARGE, in quanto patologia caratterizzata
da un grave coinvolgimento multi-organo, comporta l’esecuzione di vari interventi chirurgici, è quindi indispensabile un attento monitoraggio post-chirurgico al fine di identificare e trattare precocemente eventuali
complicanze respiratorie.
IL SISTEMA BROSELOW NELLA GESTONE DEL POTENZIALE DONATORE DI ORGANI
PEDIATRICO
Presentatore: Alessandra Zorzenon
Autore: Zorzenon A., Mattiussi E., Berini A., De Stefanis P., Di Silvestre A., Sepulcri A., Sostero A., Peressutti R.
Azienda Ospedaliera Università Santa Maria della Misericordia, Udine
Introduzione
Il mantenimento clinico del potenziale donatore di organi in terapia intensiva inizia quando vi sono i primi
segni di morte encefalica e termina con il prelievo chirurgico degli organi. In questo periodo vi è un elevato
rischio per instabilità emodinamica e insufficienza d’organo. Il donatore dovrebbe essere trattato come ogni
paziente affetto da shock multifattoriale , con lo scopo di ottimizzare la funzionalità d’organo a fini del trapianto.
Per assicurare un efficace monitoraggio e trattamento durante il mantenimento del potenziale donatore di
organi pediatrico è essenziale conoscere la fisiopatologia della morte encefalica e la differenza rispetto alla
presentazione della stessa negli adulti.
Nell’Ospedale di Udine non vi è una terapia intensiva pediatrica, solo rianimazioni generali ove i pazienti
pediatrici vengono occasionalmente ricoverati. Per questo motivo il mantenimento del potenziale donatore
di organi pediatrico è raro e non completamente noto ai professionisti. Ai fini di semplificare questa attività
abbiamo creato un manuale operativo per il mantenimento del potenziale donatore di organi pediatrico.
Materiali E Metodi
-Utilizzo del Sistema Broselow per definire i paramentri vitali, il dosaggio dei farmaci e la dimensione dei
presidi (tubo endotracheale, cateteri di aspirazione, ecc.) per il mantenimento del donatore pediatrico
-Distinzione di gruppi di pazienti pediatrici secondo i criteri codice colore/peso
Risultati
Creazione di un manuale pediatrico dedicato per il mantenimento clinico del potenziale donatore di organi
seguendo il sistema codice colore secondo Broselow-Luten. Il manuale fornisce indicazioni specifiche
rispetto a:
-misure dei presidi
-farmaci d’emergenza con indicazione dei dosaggi
-parametri vitali normali e ideali per il potenziale donatore
-bilancio idroelettrolitico e riempimento volemico
-trattamento della instabilità emodinamica
-mantenimento della funzionalità d’organo
Conclusioni
Il manuale:
-semplifica il mantenimento del potenziale donatore di organi pediatrico,
-aumenta i livelli di sicurezza del processo di procurement,
-aumenta le conoscenze dei professionisti sanitari,
-ha un impatto positivo in un ospedale non pediatrico.
119
UN PROTOCOLLO MULTIDISCIPLINARE PER LA GESTIONE DEL POTENZIALE DONATORE
DI ORGANI PEDIATRICO
Presentatore: Alessandra Zorzenon
Autore: Zorzenon A., Mattiussi E., Berini A., De Stefanis P., Di Silvestre A., Sepulcri A., Sostero A., Peressutti R.
Azienda Ospedaliera Università Santa Maria della Misericordia, Udine
Introduzione
Nella Regione Friuli Venezia Giulia il numero di donatori pediatrici a cuore battente dal 2008 al 2010 è stato
7. Nelle terapie intensive dell’Ospedale di Udine l’attività di gestione di donatori pediatrici è rara (4 donatori
dal 2008 al 2010) e la conoscenza del personale sanitario sull’argomento è generalmente bassa. Per questo
motivo il gruppo che lavora sul protocollo per il potenziale donatore di organi adulto ha sviluppato nel 2010
un protocollo per la gestione in terapia intensiva del donatore di organi pediatrico a cuore battente.
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Materiali E Metodi
-Creazione di un gruppo multidisciplinare per lo sviluppo del protocollo composto da: medici ed infermieri
della terapia intensiva, personale del coordinamento dal Centro Regionale Trapianti. Il gruppo ha inoltre
coinvolto medici pediatri e personale afferente al Dipartimento di laboratorio.
-Revisione di: letteratura, linee guida nazionali, legislazione in materia di donazione e trapianto.
-Analisi delle differenti fasi della gestione del potenziale donatore di organi pediatrico dal momento
dell’identificazione sino alla fase di trasporto in sala per il prelievo di organi.
-Creazione di procedure specifiche e condivise finalizzate a guidare l’attività del personale sanitario delle
terapie intensive.
-Creazione di un manuale dedicato alla gestione clinica del potenziale donatore di organi pediatrico: utilizzo
dei criteri peso secondo Broselow per la definizione dei trattamenti.
Risultati
L’attività del gruppo ha creato un protocollo completo per la gestione del potenziale donatore di organi
a cuore battente dal momento della sua identificazione sino al momento della donazione. Questo lavoro
include tutte le specifiche attenzioni correlate alla valutazione di rischio, alla legislazione nel campo della
donazione, al trattamento clinico e alle tematiche sulla donazione e trapianto in età pediatrica.
Conclusioni
La creazione di un protocollo e il processo di formazione sul campo per l’implementazione dello stesso,
facilitano l’attività di procurement all’interno delle terapie intensive e riduce i rischi. Questa attività inoltre
aumenta la conoscenza del personale di rianimazione sulla donatore di organi pediatrico.
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NOTE:
122
NOTE:
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1° Congresso Nazionale SIAATIP - Anestesia Pediatrica e Neonatale