14/9/2015
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dal 14/09/2015 al 20/09/2015
Lunedì 14 Settembre 2015
IL NEMICO COMUNE È L'ISIS
Normalizzare la Libia
per salvare la Siria
Troppe le omissioni degli attori in campo. Era imperativo evitare
l'internazionalizzazione del conflitto ed esercitare ogni pressione su Assad
perché accettasse una soluzione negoziata. Su questo, Europa, Stati Uniti,
Russia e Iran avrebbero dovuto impegnarsi insieme. Il ritorno sulla scena di
Putin può consentire una ripresa incisiva dell'azione diplomatica
Stefano Costalli
Dopo la decisione del governo russo di
incrementare il sostegno militare al regime
di Assad nella guerra civile siriana, molti
hanno temuto che la “terza guerra mondiale
a pezzi” citata da Papa Francesco si stesse
per realizzare. In realtà, la mossa di Putin
questa volta non necessariamente peggiora
lo scenario. Anzi, per quanto nasca dal
preciso interesse strategico di mantenere la
base navale di Tartus in territorio siriano e
dalla volontà di riaffermare un ruolo politico e militare globale per la Russia, Putin ha
dimostrato già in passato di avere sulla Siria una visione più chiara di molti leader occidentali.
Proviamo a mettere qualche punto fermo nella complicata vicenda siriana. La prima cosa da
tenere presente è che la situazione attuale è veramente molto complessa, quasi irrisolvibile.
Molti sono gli attori che con politiche miopi o scellerate hanno contribuito a mettere in scena
la tragedia. Prima di tutto Assad, che governando con la violenza ed escludendo dall’accesso
al potere interi gruppi sociali, ne ha alimentato il risentimento e l’indignazione, spingendoli
verso la mobilitazione armata. Sbaglia dunque chi adesso vede nel dittatore di Damasco un
salvatore della patria. Sbaglia anche chi si lamenta del fatto che Papa Francesco e Putin
convinsero Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia a non bombardare la Siria nel 2011, all’inizio
della rivolta contro il regime di Assad. Una letteratura consolidata e la storia recente
dimostrano che quel tipo d’intervento aumenta il livello di violenza senza condurre a una
soluzione politica stabile sul terreno. Basta vedere cosa hanno ottenuto le stesse tre potenze
in Libia per rendersene conto. http://www.agensir.it/sir/documenti/2015/09/00321178_normalizzare_la_libia_per_salvare_la_siri.html
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Se non bombardare allora era giusto, c’erano però altre cose da fare nel frattempo per
evitare di giungere alla situazione attuale. Soprattutto, era necessario portare avanti una
forte azione diplomatica su più fronti, possibilmente in sede Onu, così che tutta la comunità
internazionale e l’opinione pubblica mondiale si concentrassero sul conflitto siriano, che
rischia di cambiare faccia per sempre al Medio Oriente. Si doveva impedire una buona volta
alle monarchie del Golfo di fare il doppio gioco, finanziando e sostenendo l’Isis per affermare
l’egemonia sunnita in Medio Oriente in funzione anti­iraniana. Era necessario pretendere che
la Turchia impedisse il copioso afflusso di combattenti provenienti dall’Europa e che si
impegnasse sinceramente per combattere il nascente califfato, invece di cogliere l’occasione
per organizzare l’ennesima campagna contro i curdi. Era imperativo evitare
l’internazionalizzazione del conflitto ed esercitare ogni pressione su Assad perché accettasse
una soluzione negoziata. Su questo, Europa, Stati Uniti, Russia e Iran avrebbero dovuto
impegnarsi insieme. Tutto ciò non è avvenuto e adesso ci troviamo in una situazione di stallo che è già costata
centinaia di migliaia di vittime e milioni di profughi, di cui solo una minoranza è giunta finora
in Europa perché la maggior parte è ancora in Libano e Giordania. L’Isis ha di fatto cambiato
i confini del Medio Oriente, è presente in Libia, stringe alleanze con Boko Haram in Nigeria,
mira in prospettiva a destabilizzare l’Egitto. In questo grande intreccio in cui gli attori locali
sono spesso cinici e spietati, mentre quelli esterni sono miopi o con interessi inconfessabili, è
molto difficile muoversi. Come la Germania nazista, l’Isis è mosso da un’ideologia che lo
spinge in una lotta all’ultimo sangue. La Siria ha bisogno di recuperare una struttura statale,
ma Assad ormai è compromesso e nessuno dei gruppi ribelli non­jihadisti (ammesso che ne
rimangano) ha la forza di porsi come alternativa. Si potrebbe pensare a un passaggio di
consegne concordato con una figura meno compromessa e aprendo il regime a un maggiore
pluralismo, ma servirebbe lo sforzo diplomatico che finora non c’è stato, in condizioni
peggiori e con un notevole coinvolgimento anche a livello militare. L’alternativa è rassegnarsi
a un Medio Oriente modificato con la forza, sperando di non dover organizzare in futuro la
“terza guerra mondiale unificata”. Anche in quest’ottica, rimane urgente fare ogni sforzo per
riportare l’ordine almeno in Libia.
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