IL GIOCO DEGLI ATTANTI
Studio semiotico sul disagio scolastico e sul bullismo
Domenico Di Chiara
Docente di Lettere
Palermo
RIASSUNTO – Le categorie narrative, riconosciute da Vladimir J. Propp e da Algirdas J. Greimas
sul piano semio-narrativo, si ripresentano sul versante filosofico e psicopedagogico nelle teorie di
Paul Ricoeur e di Jerome Bruner e confluiscono nel concetto di personalità narratomorfica, i cui
indicatori si ritrovano in tutte le opere della narrativa mondiale: l’auto-narrazione si presenta come
il principio-guida del processo di costruzione dell’identità di ogni essere umano. Il lavoro espone
uno studio semiotico del disagio esistenziale, e di quello scolastico in particolare, la costruzione di
modelli semiotici e la loro sperimentazione a scuola. Gli esiti dimostrano che il disagio e il bullismo
hanno la loro vera origine nella perdita o nella mancanza o nella difficoltà di recuperare la propria
identità, nella fascia d’età più cruciale nel processo di formazione della persona (la
preadolescenza). Lo studio propone la prevenzione dei fenomeni di disagio attraverso il sistema
didattico-educativo attanziale, che fa propri i princìpi della semiotica e della psicologia
investigativa e ne mostra il perno nella figura del docente, quella richiesta dalle aspettative sociali e
delineata dal nostro attuale ordinamento giuridico in materia. PAROLE CHIAVE: Motivazione ed
Emozione, Linguistica, Comportamento antisociale, Spazio vitale, Identità.
1. Presupposti teorici – 2. Ipotesi metodologica: la psicologia investigativa e la semiotica delle passioni – 3. Analisi
semiotica del disagio e del bullismo: le figure attanziali in gioco – 4. Il gruppo e il branco – 5. Le sperimentazioni:
risultati e inferenze – 6. Conclusioni
INTRODUZIONE
Questo articolo, sintesi di un più ampio saggio, presenta gli esiti di un lavoro di ricerca e di
sperimentazione a scuola sul fenomeno del disagio scolastico e del bullismo, affrontato sul piano
semiotico al fine di scoprirne le cause profonde, più difficilmente rilevabili con i sistemi
tradizionali di indagine, e per attuare più autentiche ed efficaci misure di prevenzione.
L’attuale stato della ricerca sul fenomeno non sembra ancora indirizzato a uno studio sotto
l’aspetto semiotico né pare, altresì, che la formazione dei docenti e degli educatori in questa
direzione sia stata mai promossa né programmata né, in qualche modo, “sentita” dagli stessi addetti
ai lavori. Gli osservatori scientifici e le riviste specialistiche in materia evidenziano come, sul piano
istituzionale, continui la propensione a contrastare il fenomeno accentuando le misure repressive
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nei confronti degli autori di atti di bullismo. Gli interventi per il loro recupero, altresì, e quelli di
assistenza psicologica alle vittime non pare possano rientrare nell’ambito di vere e proprie misure
preventive perché si tratta di interventi riparatori successivi. Il fenomeno, infatti, permane ed anzi è
in crescita. È necessario, pertanto, andare alla ricerca di ciò che sta oltre la superficie manifesta ed
empiricamente osservabile dei comportamenti umani per arrivare a cogliere gli elementi che
sfuggono all’osservazione immediata, ma che “giocano” nella “struttura profonda” della
personalità. Uno studio in tale direzione richiede necessariamente l’ausilio della Semiotica, la
scienza che studia il senso «così come lo percepiamo attraverso le forme del linguaggio e, ancor più
concretamente, attraverso i discorsi che lo manifestano, rendendolo comunicabile e garantendone una qualche
condivisione» (Bertrand, tr. it., 2002, 11).
Il presente lavoro propone un’ipotesi di ricerca e di metodo per conoscere e prevedere i moventi
dei comportamenti e per individuare efficaci percorsi di prevenzione di fenomeni antisociali, come
il bullismo in ambiente scolastico.
1. Presupposti teorici.
Lo studio parte dal concetto di narratomorfismo, dimensione costitutiva della personalità, che
corrisponde all’innata predisposizione della mente umana a razionalizzare i dati della conoscenza e
dell’esperienza di sé e del mondo, strutturandoli secondo un modello narrativo innato, che è quello
studiato e ricostruito dal narratologo Vladimir J. Propp (Propp, ed. 1985) e dal semiologo Algirdas
J. Greimas (Greimas, 1970, 1974, 1985, 2000; Greimas, Fontanille, tr. it. 1996; Greimas, Courtés,
tr. it. 2007). In ogni storia, reale o ri-costruita, vera o inventata, vissuta o immaginata, scritta o
raccontata oralmente o rappresentata dal vivo o anche trasmessa per immagini (grafiche,
fotografiche, cinematografiche, televisive, virtuali, ecc.), si riscontra sempre non solo la presenza di
figure, di personaggi e di attori descritti nel modello attanziale di Greimas, ma anche uno sviluppo
narrativo secondo lo schema di Propp. Sul versante filosofico e psicopedagogico, le contemporanee
teorie di Paul Ricoeur (Ricoeur, 1981, 1986) e di Jerome Bruner (Bruner, 1984, 2003) sull’autonarrazione, quale strumento per la costruzione dell’identità personale, permettono la formazione di
un quadro generale, che si può sintetizzare nella seguente proposizione: l’essere umano costruisce
la propria identità auto-narrandosi secondo schemi e modelli narrativi innati, universali, necessari
e invaranti.
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Lo schema narrativo di Propp mostra che una storia si sviluppa secondo una sequenza logica e
temporale di azioni e di fatti legati alle sfere d’azione dei personaggi (= funzioni); il modello
attanziale di Greimas evidenzia che le azioni dei personaggi sono determinate dai ruoli tematici
degli attanti, cioè di quelle figure o posizioni formali che nella grammatica narrativa superficiale
si presentano come “sintagmi nominali o sostantivi che nell’enunciato narrativo sono collegati da
una funzione” (Tesnière, 1959). Gli attanti, portatori di un ruolo tematico pertinente al proprio
stato, necessario e invariante, e posti a un livello più profondo rispetto ai personaggi, i quali stanno
a un livello più superficiale, stabiliscono a priori, attraverso contratti (espressi dalle operazioni di
giunzione [S ∩ O e S
O, in cui ∩ = congiunzione e
= disgiunzione]), relazioni di stato e
relazioni di fare tra un Soggetto e un Oggetto (Greimas, 1985), che determinano lo sviluppo della
storia proprio secondo lo schema di Propp e si relazionano secondo il modello di Greimas:
Complicazione o movente
(trauma funzionale)
Situazione iniziale
(calma apparente)
Evoluzione
della vicenda
Funzioni straordinarie (prove)
dell’eroe protagonista
Ristabilimento
dell’equilibrio
Ripristino della
situazione iniziale
Rottura dell’equilibrio
(trauma narrativo)
Situazione finale
Fig. 1: Le funzioni di Vladimir J. Propp raggruppate in situazioni narrative.
Aiutante
Soggetto
Destinante
Funzioni straordinarie
Oppositore
Oggetto
Destinatario
Fig. 2: Il modello attanziale di Algirdas J. Greimas.
I due modelli mostrano che il soggetto esercita funzioni straordinarie (= azioni insolite) quando si
verifica una rottura del contratto instaurato con l’oggetto, quasi sempre provocata da un antisoggetto che vuole ottenere per sé l’oggetto di valore. Il soggetto, per riottenere l’oggetto che gli è
stato sottratto, instaura altri contratti con altri attanti che possano offrirgli le modalità utili al
conseguimento del suo scopo.
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Sul piano semiotico, il contratto, tacito o esplicito che sia, instaura una relazione di stato tra i
contraenti, che solitamente stabilisce le gerarchie attanziali e che tuttavia non determina, per se
stessa, uno sviluppo della storia; occorre, infatti, che la relazione di stato si trasformi in relazione di
fare, e ciò avviene attraverso una negoziazione, in cui gli attanti figurativizzano un nuovo sviluppo
della loro storia e, dunque, si scambiano (= negoziano) le modalità di cui dispongono (= volere,
dovere, potere, sapere…), nel tentativo di ricavare il massimo vantaggio: qualcuno di essi accetterà
di essere modalizzato nel suo fare e/o nel suo essere e qualcun altro, viceversa, sarà riconosciuto
come soggetto modalizzatore. Si tratta, sostanzialmente, della formula contrattualista, secondo la
quale i contraenti rinunziano a qualcosa in cambio di vantaggi certi, altrimenti inottenibili.
Nei fenomeni di disagio e di bullismo la negoziazione, da parte della vittima, assume le
caratteristiche della costrizione semiotica: «Dal punto di vista modale, si può dire […] che le costrizioni
semiotiche non rilevano né del voler-fare né del dover-fare del soggetto, ma piuttosto di un voler-dover-essere»
(Greimas, Courtés, 2007, 65). La condizione della vittima, sul piano modale, è quella di un soggetto
che “sente” se stesso come un oggetto, obbligato ad essere “altro” da ciò che “sente” di essere;
privato delle modalità che gli appartenevano come soggetto, non ha più certezze sul suo ruolo e la
sua identità è compromessa. Il bullo, al contrario, omologabile all’aggressore di Propp e all’antisoggetto di Greimas e «la cui sfera d’azione comprende il misfatto, il combattimento e le altre forme di lotta contro
l’eroe […], ha per funzione essenziale quella di instaurare la mancanza e, di qui, innescare ciò che Propp chiama il
“movimento del racconto”: la trasformazione negativa richiede infatti, per equilibrio, una trasformazione positiva»
(ibid., 3). L’aspetto negoziale del suo contratto con la vittima si configura come imposizione
semiotica, che rileva della categoria modale del poter fare, sovradeterminata (= modalizzata) dal
saper fare. Le articolazioni modali del saper fare (saper fare persuasivo e saper fare impositivo)
dipendono dal valore (= investimento timico) che l’anti-soggetto riversa sull’oggetto e che deve
essere di grandezza maggiore di quello della sua vittima. Il bullo, dunque, si riconosce nella figura
attanziale (anti-soggetto) che detiene le modalità fattitive del saper far fare, del poter far fare, del
voler far fare e del dover far fare (= manipolazione).
Greimas desume le sue osservazioni semiotiche dallo studio della narratività, cioè dall’analisi dei
giochi di linguaggio insiti nel discorso, vale a dire dallo studio della grammatica narrativa e della
sintassi narrativa degli enunciati scritti, letti, parlati, ascoltati, dove ha luogo la produzione della
significazione e, dunque, la generazione del senso. Egli lega, così, indissolubilmente il linguaggio
alla personalità, stabilendo un nesso tra l’essere e la sua manifestazione linguistica. La teoria
semiotica delle modalità di Greimas rivela l’immenso potere di queste categorie linguistiche, che le
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nostre grammatiche classificano come verbi modali. Le modalità, infatti, sono predicati modali che
sovradeterminano e modificano predicati descrittivi, determinando la modalizzazione dello status
degli attanti e/o del loro fare, in un gioco linguistico, grammaticale e di sintassi, strettamente legato
alla personalità dell’autore della storia e che produce significazione e genera senso. Il processo
semiotico che, a livello profondo attanziale, genera il senso dei comportamenti umani, mostra che
gli attanti, attraverso la figurativizzazione, attualizzano un fare pertinente al loro stato, indicato
come ruolo tematico e, con la narrativizzazione, lo realizzano in un comportamento, che assume
senso per via dell’investimento timico (o di valore o etico) sulle categorie semiotiche che giocano
nella storia. Le categorie semiotiche, descritte nel quadrato semiotico di Greimas, possono essere,
così, assiologizzate «in base alla proiezione, sul quadrato che l’articola, della categoria timica i cui termini contrari
sono denominati /euforia/ vs /disforia/. Si tratta di una categoria “primitiva” […] poiché con il suo aiuto si cerca di
descrivere […] il modo in cui ogni essere vivente, inscritto in un ambiente e considerato come “un sistema di attrazioni
e repulsioni”, “sente” se stesso e reagisce a ciò che lo circonda. […] Saranno allora detti assiologizzati sia il quadrato
che la categoria di cui il quadrato è la rappresentazione tassonomica. […] Si dirà dunque che l’applicazione del
“timico” al “descrittivo” trasforma le tassonomie in assiologie» (Greimas, 1985, 89):
----------------
dove
S2
S1
S2
S1
: relazione di contraddizione
: relazione di contrarietà
: relazione di complementarietà
: asse dei contrari
: asse dei subcontrari
: schema positivo
: schema negativo
: deissi positiva
: deissi negativa
___
S1 - S2
S2 - S1
S1 - S1
S2 - S2
S1 - S2
S2 - S1
in cui S1 (soggetto positivo), S2 (soggetto negativo), S1 (soggetto non-positivo), S2 (soggetto nonnegativo) sono nella relazione (asse, schema o deissi) determinata dal contratto che vanno a
stipulare.
Fig. 3: Il quadrato semiotico e le relazioni attanziali.
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La valorizzazione o investimento timico appare, dunque, il momento topico della realizzazione del
transfert. Si pensi al conflitto interiore dell’Achille omerico nel suo aspro diverbio con
Agamennone (Iliade, canto I), risolto col ricorso all’aiuto divino quale effetto di senso che
conferisce all’evento una dimensione culturale antropologica. Sul piano semio-narrativo, questo
episodio mostra l’entrata in scena di un attante (= aiutante), che si pone in relazione di stato col
soggetto (una sorta di posizione d’attesa), fino a quando la sua presenza assume senso con la
trasformazione della relazione di stato in relazione di fare, ossia con l’esercizio della funzione
propria dell’aiutante: attraverso il fare la figura attanziale si realizza nel personaggio (= la dea
Atena), costituendosi come attore e assumendo la precisa funzione di risolvere lo stato conflittuale
di Achille (= soggetto), indeciso se obbedire (rinunciando, così, alla propria libertà) o ribellarsi ad
Agamennone (perdendo in tal modo l’onore per aver infranto il codice del gruppo). È il momento
della negoziazione e dello scambio delle modalità: lo aiuta, infatti, fornendogli il /potere/ (=
donazione, funzione n. 14 dello schema di Propp), una modalità che l’eroe non possiede e che lo
modalizza nel suo fare (= poter fare). Ad Achille, infatti, viene indicato un cammino da seguire (=
funzione n. 15) che, attraverso una contesa verbale col suo antagonista (= lotta, funzione n. 16), fa
crescere la sua autostima (= marchiatura, funzione n. 17) e gli permette di salvare (= vittoria,
funzione n. 18) sia l’onore che la libertà, valori che l’eroe investe sulle categorie semiotiche in
gioco e che ricadono nell’orizzonte culturale della società omerica. Il fare del nuovo personaggio è,
dunque, un far fare, modalità fattitiva propria dell’aiutante.
La narrazione, che appariva senza sviluppo e prossima a una tragica conclusione per via della
mancanza di alternative onorevoli per Achille, può così continuare a svilupparsi secondo un nuovo
programma narrativo. L’analisi semiotica del racconto omerico mostra un sistema attanziale privo
della figura dell’aiutante, che l’autore si premura a far entrare in scena come deus ex machina per
continuare la storia secondo l’orizzonte d’attesa dei destinatari.
Anche in molte fiction pirandelliane l’epilogo delle drammatiche storie mostra sostanzialmente tre
modalità conclusive che ruotano attorno a tale figura attanziale:
1. Lo stato polemico del soggetto scompare sempre quando interviene una figura attanziale
esterna, che entra nella storia come elemento risolutore.
2. Il conflitto è risolto talvolta dallo stesso soggetto, che crea in sé una figura attanziale
risolutrice interna.
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3. Lo stato polemico del soggetto permane sempre e non trova soluzione quando manca la
figura attanziale risolutrice, sia interna che esterna.
Un esempio di figura attanziale risolutrice esterna è nella novella Il treno ha fischiato
(Pirandello, ed. 1957), dove il drammaturgo presenta una classica situazione di mobbing (Leymann,
1993). L’autore introduce nella storia una figura amica, che conosce la vita del protagonista e che
valuta da un livello superiore le sue situazioni drammatiche, decidendo di fare qualcosa per aiutare
l’amico. Il suo intervento provvidenziale provoca un cambiamento delle relazioni attanziali fra i
personaggi, dal momento che tutti gli riconoscono i ruoli attanziali del destinante e dell’aiutante: il
fare del nuovo personaggio è, infatti, un far sapere a tutti la verità sulla vita del suo amico (=
comunicazione/mediazione, funzione n. 9), dotando, così, gli altri personaggi di una competenza (=
donazione, funzione n. 14) necessaria per comprendere, interpretare, spiegare (= marchiatura,
funzione n. 17 [il soggetto possiede i dati per essere identificato]) e, infine, giudicare i suoi
comportamenti antisociali inspiegabili (= riconoscimento e identificazione, funzione n. 27).
Nel romanzo L’esclusa (Pirandello, 1994), invece, è presentata una situazione persecutoria nei
confronti di una donna, ritenuta infedele dal marito. Il “normale” sviluppo della storia conduce la
protagonista alla solitudine e all’emarginazione, dalle quali riesce a venir fuori con la costruzione
all’interno di sé, nella sua personalità, di un gioco di attanti in cui compare quella figura attanziale
risolutrice, assente nella narrazione, risolvendo, così, il suo dramma esistenziale. Sarà lo stesso
soggetto ad attualizzare in sé quella figura e, infine, a realizzarla in una nuova storia, dove otterrà
la vittoria finale sui suoi persecutori.
C’è, infine, il terzo aspetto, dove lo stato polemico del soggetto rimane senza soluzione, come nel
Fu Mattia Pascal (Pirandello, 1993). La condizione del protagonista è uno stato di disagio dovuto
all’insoddisfazione per il suo ruolo subordinato e per le persecuzioni psicologiche alle quali non sa
reagire. La mancanza dell’attante risolutore e la mediocre personalità del soggetto lasciano
insoluto ogni possibile sviluppo narrativo alternativo: il soggetto ha, infatti, delegato sempre al
“Caso” (= pseudo-destinante) ogni sua performanza, accettando che tutto gli cascasse addosso per
cogliere al volo e senza fatica il male ritenuto minore. Sul piano semiotico la delega è il contratto di
congiunzione tra il Soggetto e il Destinante (S ∩ D). Mattia Pascal delega all’attante sbagliato (o
all’attante che non c’è) la modalità fattitiva del far fare, attribuendo al “Caso” competenze e
modalità che esso non ha e, comunque, non compatibili col ruolo attanziale di pertinenza. La
conclusione della storia presenterà un soggetto totalmente annullato.
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La narratività, da un lato, e il comportamento, dall’altro, sono, dunque, manifestazioni a livello
superficiale della personalità, di cui l’analisi semiotica mette in luce il senso, prodotto a livello
profondo attanziale. Il senso è da Greimas inteso «sia come ciò che permette le operazioni di parafrasi o di
trascodifica, sia come ciò che fonda l’attività umana in quanto intenzionalità» (Greimas, Courtés, 2007, 313). Il
senso, proprio perché legato all’intenzionalità, è necessariamente legato anche alla corrispondenza
tra il finalismo di ogni azione umana e quello delle parole e dei discorsi che la raccontano. Si tratta,
in buona sostanza, della questione della corrispondenza tra realtà narrata o narratività e realtà
fattuale. La Semiotica, dunque, indica dove e come cogliere il senso dei comportamenti umani e, di
conseguenza, presuppone che in qualunque intervento sociale finalizzato a correggere
comportamenti antisociali o in-sensati è necessario avere la conoscenza preventiva dei “perché” e
dei “come” di tali comportamenti.
2. Ipotesi metodologica: la psicologia investigativa e la semiotica delle passioni.
L’analisi semiotica delle fiction pirandelliane mostra che spesso i comportamenti antisociali,
quelli devianti o quelli più genericamente in-sensati di molti personaggi (e non solamente
pirandelliani) sono associati a stati conflittuali interiori, in un quadro attanziale dove il soggetto
spesso appare come anti-soggetto, l’anti-destinante come destinante, l’oppositore come aiutante
(come se una maschera ne velasse la vera identità) e, quindi, l’anti-storia come storia (ma anche
viceversa). Il quadro generale di riferimento, sul piano della narratività, è offerto dal quadrato
della veridizione di Greimas:
verità
------------------
essere
sembrare
segreto
menzogna
non-sembrare
non-essere
falsità
Fig. 4: Il quadrato semiotico della veridizione secondo Algirdas J. Greimas.
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dove sono descritte le categorie semiotiche attorno alle quali ruota la questione della verità.
Precursore, ante litteram, di una disciplina modernissima, la psicologia investigativa, Pirandello
affronta le problematiche veridittive in Così è (se vi pare), commedia teatrale tratta dalla novella La
signora Frola e il signor Ponza, suo genero (Pirandello, ed. 1957). I due soggetti presentano due
verità perfettamente logiche e razionalmente convincenti, ma diametralmente opposte, tanto da
escludersi a vicenda e che producono dubbi e incertezze tra la gente del paese. L’analisi semiotica
evidenzia un oggetto, che i due protagonisti presentano in modo differente, tanto da sdoppiarlo in
due oggetti, uno per ciascuno, sui quali i rispettivi soggetti operano due differenti investimenti
timici che, pur continuando a produrre confusione, fanno emergere, tuttavia, una certezza: tra i due
soggetti è in atto una sfida personale, apparentemente rivestita di complicità (una sorta di fronte
comune) nei confronti del vero oppositore, la gente curiosa. La posta in gioco è allora, più ancora
che l’accertamento della verità, la difesa ad oltranza della propria autostima e del concetto di sé,
che costituiscono per i due protagonisti/antagonisti gli oggetti di valore da salvaguardare e da
conseguire. La verità, infatti, diventa un mero oggetto di valore sociale fine a se stesso, agognato
solo dagli oppositori e che si identifica con la morbosa curiosità della gente, finalizzata non
all’aiuto e alla solidarietà, bensì a un giudizio sociale inevitabilmente negativo.
Ma nel sistema attanziale che la storia presenta, altri rapporti si intrecciano tra le figure attanziali.
L’evento mostra due soggetti, l’uno anti-soggetto rispetto all’altro, che sono allo stesso tempo autodestinanti e auto-aiutanti all’interno delle rispettive storie, in perfetto equilibrio fra loro perché
dotati delle medesime competenze e possessori delle medesime modalità, autori di due storie, l’una
anti-storia rispetto all’altra e, perciò anti-autori l’uno rispetto all’altro. Il surreale sistema attanziale
mostra, dunque, due anti-autori che instaurano con i loro interlocutori due contratti di veridizione,
l’uno opposto all’altro, ma perfettamente in equilibrio fra loro e che dividono i destinatari in due
opposti movimenti d’opinione fra loro antitetici.
La novella è il sintomo dell’enorme potere di un anti-soggetto verso tutti gli attanti coi quali si
relaziona. È questa la prova che la modalità fattitiva del far credere, su cui ogni attante investe il
massimo valore, è spesso prerogativa di chi, nel sistema, riveste la figura dell’anti-soggetto. In un
sistema attanziale del genere non si potrà mai venire a capo della verità, almeno seguendo il criterio
della narratività, come fa Pirandello. L’analisi letteraria, infatti, non presenta un Giudice legittimato
a tale funzione, ma una Società che vuole conoscere la verità, sostituendosi, senza averne le
prerogative, ad un Giudice legittimo. Sul piano semiotico si assiste ad una vera e propria invasione
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di campo fra ruoli e relazioni attanziali. La società, attante/destinatario, gerarchicamente
subordinato, non possiede le modalità e le competenze del potere, del sapere e del volere,
compatibili solo col ruolo attanziale del destinante, gerarchicamente superiore. L’assunzione di un
ruolo non pertinente alla propria figura attanziale non produce né relazioni funzionali né effetti
risolutivi di situazioni problematiche. Basta osservare le cronache giudiziarie più recenti, come
quella riguardante il delitto di Avetrana, per riconoscere in differenti contesti il medesimo schema
attanziale. Lo stesso schema attanziale si riscontra spesso a scuola in situazioni di dubbio o
incertezza, quando si richiedono riscontri oggettivi per smascherare i veri autori di atti di
prevaricazione o di bullismo.
Un percorso, tuttavia, che può condurre ad una soluzione della questione veridittiva è suggerito
dall’episodio del Giudizio di Salomone (Bibbia, 1 Re, 3, 16-28), dove il Re d’Israele interpreta le
due opposte verità che gli vengono raccontate focalizzando il punto di vista sull’oggetto (il
bambino), distraendolo dai due soggetti. Questi ultimi, infatti, mostrando di operare sull’oggetto un
investimento timico apparentemente analogo, generano una confusione che Salomone risolve “alla
radice”, ossia facendo emergere la vera passione (= il movente) di entrambe le donne. Egli adotta
una strategia empatica con l’obiettivo di ottenere il coinvolgimento emotivo delle donne, le quali
non potranno non svelare la passione che le ha mosse: il Giudice le priva delle modalità utili al
segreto, alla menzogna e alla falsità, “costringendole” a giocare l’unica modalità che resta e che
deve condurre allo svelamento della verità (vedi fig. 4). L’operato di Salomone, sul piano
semiotico, rivela l’adozione della strategia attanziale “canonica”, il cui punto di partenza è proprio
l’analisi semiotica delle passioni. I valori investiti dalle due madri sono, infatti, mossi proprio da
due moventi passionali diversi, i quali non possono che essere generati da due differenti sistemi
assiologici, quelli delle rispettive indagate e che si traducono in due opposti codici di
comportamento: l’una (la vera madre), accettando la disgiunzione dall’oggetto di valore (S → Ov)
per farlo restare in vita, assume un comportamento dotato di senso e mostra di avere investito sul
bambino un amore materno totale e autentico, che per il Re è sintomo certo di verità e, dunque, di
incolpevolezza; l’altra, a cui non interessa la sorte del bambino ed incolpa del delitto la rivale
(anche in maniera molto circostanziata!), accettando una congiunzione con un falso oggetto di
valore (S → ∩ ≠ Ov), senza vita, assume un comportamento privo di senso e fornisce la prova
incontrovertibile che il bambino non è suo, mostrando, così, di essere stata mossa da un dis-valore,
l’invidia e/o la gelosia, passioni che sono sintomi di falsità e di colpevolezza.
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Le due storie qui analizzate mostrano due differenti modalità investigative:
1. La novella pirandelliana sembra seguire modalità d’indagine secondo i criteri della
moderna Psicologia investigativa (Canter, 1995), disciplina di ultima generazione
nell’ambito della Psicologia giuridica, perché l’indagine si sviluppa sull’analisi delle
informazioni disponibili che consentono di estrapolare il profilo comportamentale degli
autori degli atti sotto inchiesta; inoltre Pirandello presenta una sorta di analisi
vittimologica quando mette in evidenza le caratteristiche della vittima (la moglie/nuora) e
dei processi interattivi che la legano agli autori delle due opposte storie (il marito e la
suocera/madre). C’è infine il tema della Psicologia della Testimonianza, che chiama in
causa, in qualche modo, la gente del paese a sancire la veridicità delle azioni dei due
protagonisti. Tuttavia, questa modalità investigativa non porta, ipso facto, alla verità
(almeno nella novella) perché manca di una verifica oggettiva dei fatti, che può venire
solo da riscontri oggettivi o da deduzioni incontrovertibili.
2. La storia biblica mostra un sistema di indagine che alla Psicologia investigativa canonica
aggiunge un’Analisi semiotica delle passioni (Greimas, Fontanille, 1991), senza la quale
è impossibile risalire al vero movente e chiudere così, con una deduzione
incontrovertibile, il cerchio attorno al responsabile dell’atto criminoso.
Questi ragionamenti teorici, suffragati dalle sperimentazioni attanziali nell’ambito del disagio e
del bullismo (vedi sotto, par. 5), sono anche avvertiti da Canter (1995) quando propone una chiave
di lettura degli atti criminosi centrata sullo studio delle narratives che informano il comportamento
di soggetti criminali, e possono aprire nuovi panorami su metodologie investigative connesse con
discipline scientifiche, come la Semiotica, oggi in rapidissima evoluzione.
L’utilizzo delle modalità nel quadro di un gioco di attanti, che si presenta in tutte le opere della
narrativa mondiale, autorizza un parallelismo tra le teorie di Propp e di Greimas e i risultati clinici
ottenuti in questi ultimi anni dagli psicologi dell’Università di Filadelfia (Kahana, 2006) su soggetti
mirati (per lo più affetti da patologie della sfera cognitiva) i quali, sottoposti a stimoli di natura
comportamentale (= il perseguimento di una mèta desiderabile e/o nuova e/o utile e/o piacevole),
mostrano a livello cerebrale uno spiccato aumento della produzione di dopamina, il
neurotrasmettitore che, in qualche modo, è ritenuto responsabile della ri-messa in moto di
comportamenti e, quindi, di processi d’apprendimento, apparentemente interrotti. Le inferenze della
comunità scientifica internazionale concordano su un punto: i risultati clinici, correlati alle recenti
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teorie cognitiviste dell’apprendimento, dimostrano in maniera inequivocabile che la motivazione
all’apprendimento è strettamente legata all’emozione suscitata non solo da ciò che si apprende ma
anche da come si apprende, vale a dire dalle modalità dell’apprendimento stesso. I modelli narrativi
di cui si parla, infatti, mostrano che tutte le volte che ad una situazione narrativa di normalità e di
equilibrio subentra una situazione di rottura (= trauma narrativo), a questa corrisponde un trauma
funzionale, vale a dire un cambiamento nel comportamento del soggetto (= le funzioni straordinarie
dell’eroe protagonista, secondo la terminologia narratologica). Gli psicologi clinici di Filadelfia
dimostrano che proprio in reali situazioni del genere le oscillazioni del cervello umano mostrano
una maggiore attività del sistema dopaminergico, con conseguente maggior produzione di
dopamina. La psicologia del comportamento attribuisce all’emozione tale maggiore attività e lega
questi fattori al transfert d’apprendimento.
È su tali premesse che nasce questo studio semiotico del disagio. Esso, muovendo
dall’osservazione dei comportamenti, ne indaga i segni sulla base di quanto ci sta offrendo la
moderna semiotica sulla produzione della significazione e sulla generazione del senso. Il sistema
che ne scaturisce propone, attraverso modelli, il conseguimento degli obiettivi didattici ed educativi
per il tramite di mète intermedie, desiderabili o ritenute utili dagli allievi, costruite secondo i criteri
del cognitivismo costruttivista e della semiotica, tassonomizzabli secondo l’ordine e il grado
d’istruzione e l’età dei soggetti e capaci di suscitare emozioni, al fine dell’ottenimento del transfert
dell’apprendimento. Il sistema educativo e didattico attanziale, così come si sviluppa nei suoi
aspetti teorici e nelle fasi concrete della sua applicazione, è, pertanto, la risultante di una sorta di
sincretismo delle teorie cognitiviste di ultima generazione, ivi compreso il costruttivismo che,
considerando gli allievi come organismi che ricercano attivamente dei significati, si basa
sull’assunto che essi siano i protagonisti della costruzione della conoscenza, nel tentativo di
aggiungere senso alle loro esperienze. Le sperimentazioni sono state effettuate in situazioni
modellate su soggetti “a rischio” nella scuola dell’obbligo e con la principale finalità di prevenire il
disagio scolastico e il bullismo, visti come effetto di crisi di identità in età preadolescenziale. Esse
mostrano quanto siano diffuse, nel mondo della scuola, le relazioni dis-funzionali tra i soggetti della
comunicazione e perchè i fenomeni del disagio e del bullismo stiano diventando una vera piaga
sociale. La dis-funzione relazionale, sul piano semiotico, è lo stato di non-funzione, o di fuori-ruolo,
tra i soggetti della comunicazione, vale a dire che nel sistema attanziale di contesto gli attanti non
hanno rispettato la funzione pertinente al proprio ruolo attanziale, o perchè l’hanno confusa con
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un’altra o perchè si sono volontariamente appropriati di un ruolo attanziale non pertinente,
scardinando, così, il sistema relazionale e provocando un riordino dei ruoli e, quindi, un nuovo
sistema attanziale, non più rispondente al contesto originario. Nel nuovo sistema gli attanti non si
riconoscono più e perdono la loro identità e, con essa, le competenze e le modalità acquisite e i
valori investiti nel precedente sistema.
3. Analisi semiotica del disagio e del bullismo: le figure attanziali in gioco.
Il bullismo a scuola e il disagio scolastico sono fenomeni che si manifestano nell’ambiente
circoscritto della scuola, dove sono presenti figure attanziali che esercitano la funzione docente,
specifica di un ruolo condiviso e riconosciuto socialmente, che è possibile ritrovare nel modello di
Greimas e nello schema di Propp. Almeno dodici delle trentuno funzioni di Propp (2 – 9 – 12 – 14
– 15 – 17 – 19 – 20 – 25 – 27 – 28 – 30) presentano sfere d’azione compatibili con i ruoli attanziali
di due figure del modello di Greimas (destinante e aiutante), le quali detengono le medesime
competenze richieste e previste dalla normativa che disciplina la funzione docente. Tali norme sono
raccolte nel Testo Unico D.P.R. n. 297/94, agli artt. dal 395 al 541, e provengono dal D.P.R. n.
417/74, dove erano state trasferite dall’originario D.P.R. n. 3/57. A tali norme si aggiungono quelle
previste dal C.C.N.L. del 4/8/1995 e successivi. Queste norme, infine, coordinate con la L. n.
59/1997, che all’art. 21 introduce l’Autonomia scolastica, descrivono il profilo professionale del
docente tanto sul piano istituzionale quanto su quello delle aspettative sociali. L’analisi semionarrativa del fenomeno mostra, altresì, che almeno sette funzioni di Propp (3 – 4 – 5 – 6 – 8 – 16 –
24) sono compatibili con i comportamenti del bullo e che le funzioni 1 – 3 – 7 – 21 – 22 – 23 – 27 –
29 riguardano quelli della vittima. Sotto questo aspetto, l’analisi mette in luce le strutture semionarrative del fenomeno e le relazioni che lo governano, dalle quali è possibile prevedere i
comportamenti e risalirne ai processi di generazione del senso. L’analisi semio-narrativa, infatti,
mostra tre figure attanziali in relazione gerarchica, attualizzate in tre personaggi (docente, bullo,
vittima), che interagiscono in una storia nel tentativo di ciascuno di realizzare le proprie
intenzionalità, i propri valori, il proprio sentire, ossia il proprio senso (Greimas, Courtés, 2007,
313): senso di libertà (= senso comune?), senso di dominio, senso di riscatto.
Il fenomeno del bullismo e del disagio in ambiente scolastico ha un impatto sociale rilevante
rispetto agli analoghi fenomeni che si verificano in altri ambienti, come la strada o il quartiere; il
contesto socio-ambientale della scuola infatti è, nelle aspettative sociali, un contesto sicuro,
13
preordinato all’istruzione e alla formazione morale e civile dei giovani, con personale qualificato e
competente fornito dalle istituzioni, e dove la devianza e il disagio non dovrebbero proprio
manifestarsi. Tuttavia la scuola offre uno spaccato della società in cui funzionano le medesime
dinamiche attanziali ma dove i soggetti sono dei minori, cioè delle figure attanziali deboli, ancora
prive delle modalità che dovranno acquisire attraverso l’opera educativa di altri attanti,
gerarchicamente preordinati a tale funzione. Nel trasferimento (= allontanamento, funzione n. 1
dello schema di Propp) dal contesto familiare noto al contesto scolastico nuovo e ignoto, il soggetto
tende a ri-costruire il sistema attanziale noto, con le figure che conosce e che gli danno sicurezza
(destinante e aiutante). Secondo lo schema narrativo di Propp, è questo il momento di massimo
pericolo per il soggetto, ancora privo di modalità e, dunque, facile preda di anti-soggetti e di
oppositori che lo ingannano per ottenere qualche vantaggio. Osservando ancora la sequenza
proppiana, le funzioni n. 2 e n. 3 sembrano descrivere il fenomeno della devianza, tipica dell’antisoggetto, ma in cui può cadere anche un soggetto debole. La devianza, sul piano semio-narrativo, è
la risultante di un divieto o ordine (funzione n. 2), corrispondente alla sfera d’azione di un
destinante che ha posto delle regole di convivenza, e di un’infrazione (funzione n. 3), che
corrisponde alla sfera d’azione di un soggetto debole, che non ha la capacità di prevedere le
conseguenze, oppure di un soggetto totalmente sicuro di sé, tanto da non rispettare le regole. La
sicurezza, nei suoi aspetti sociale e personale, è «1. Condizione oggettiva di uno Stato [= di una
Società o di una Comunità sociale come la Scuola, o di un Gruppo] in cui sia garantito ai singoli il
tranquillo svolgimento delle proprie attività. […] 2. Modo che dimostra l’ormai piena acquisizione
di una capacità o la consapevolezza di una superiorità» (Devoto, Oli, alla voce “sicurezza”). Essa
indica, da un lato, uno stato di equilibrio personale e sociale, in un contesto conosciuto e
circoscritto, scandito da ritmi consueti e disciplinato da regole condivise (= la situazione iniziale
dello schema di Propp in fig. 1). Tuttavia, nel suo aspetto individuale, la sicurezza facilmente porta
alla pienezza di sé e ad un senso di superiorità. Con l’infrazione che segue al divieto, sul piano
semiotico il soggetto rompe il contratto col suo destinante, o perché non lo riconosce o perché
vuole appropriarsi del suo ruolo attanziale, ma senza averne le prerogative.
4. Il gruppo e il branco.
Nella fenomenologia del gruppo le relazioni attanziali evidenziano il loro carattere gerarchico
dal momento che il gruppo fornisce protezione e sicurezza a chi, da solo, non è in grado di
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procurarsele. Il senso del legame di gruppo (il “sentire” e il “sentirsi” di ciascun membro) è senso
di appartenenza e interdipendenza e rispetto delle gerarchie: il senso di appartenenza al gruppo è
sovradeterminato dal senso di appartenenza al Capo; a questi viene infatti riservato il ruolo del
comando perché la sua forza e la sua intelligenza non sono soltanto riconosciute da tutti i membri
ma anche considerate come fattore di unità del gruppo stesso. Un esempio tratto dall’Iliade omerica
mostra la totale adesione dei Mirmidoni alla ferma decisione di Achille di abbandonare la lotta
contro i Troiani. È evidente che il /dover-essere/ e il /dover-fare/ del gruppo coincidono col senso
dell’onore e col codice d’onore di Achille. La latente riluttanza che qua e là traspare nei sudditi di
Achille è tacitamente soffocata dalla forza fisica e carismatica del Capo. Il racconto omerico
presenta un senso di appartenenza al gruppo totalmente subordinato a quello di appartenenza al
Capo, come se la figura di Achille avesse in sé il potere di fare del gruppo un branco ai suoi ordini.
La storia, tuttavia, presenta una situazione di rottura di tale “equilibrio”, e si sviluppa diversamente
dalle aspettative, quando nella narrazione si determina una focalizzazione su un Valore, presentato
come superiore a quello di Achille. Si tratta dell’episodio di Patroclo, il quale disobbedendo agli
ordini del suo Capo mostra di non condividerne più il codice di comportamento: è il segno di un
nuovo investimento timico da parte di Patroclo e di un differente sistema assiologico che ne
consegue, che si traduce in un codice d’onore più ampio e condivisibile, superiore a quello
d’Achille e, quindi, in un nuovo codice di comportamento: il branco torna così ad essere gruppo,
perché l’investimento timico di Patroclo è stata scelta libera di giocare lo stesso valore “sentito” dai
suoi compagni. L’estremo sacrificio di Patroclo, infine, è il chiaro segno dell’appropriazione
indebita da parte del giovane Mirmidone di un ruolo attanziale gerarchicamente superiore, non
compatibile con la sua figura attanziale subordinata: il nuovo programma narrativo costruito da
Patroclo, infatti, mostra un sistema attanziale privo del destinante e dell’aiutante, figure attanziali
che il giovane amico di Achille, indebitamente, non esita ad assumere nella sua figura.
Nella fenomenologia del branco, gli attanti/anti-aiutanti (= i gregari), che sono costretti ad
aderire al programma di veridizione dell’anti-soggetto assumendo il ruolo di complici, sono di
solito vittime delle sue azioni, legate a lui da una relazione di sottomissione alimentata dalla
passione della paura e/o dalla sua forza carismatica o, ancora, da un senso dell’onore che li lega
forzatamente ad un codice di comportamento ormai passivamente accettato ma, comunque,
condiviso e la cui assiologia è evidenziata più sotto, nel quadrato di Greimas (fig. 5). Il loro
comportamento è un /non poter-non fare/, determinato proprio dal vincolo che li lega all’anti15
soggetto; quest’ultimo, sul piano relazionale, esercita le funzioni di un soggetto manipolatore,
detentore delle modalità del volere, del sapere e del potere e, dunque, dotato delle competenze
dell’attante/destinante. Proiettando sul quadrato le categorie semiotiche che competono al
destinante (la libertà e l’indipendenza) e le corrispondenti modalità del /poter-fare/ e del /poter-non
fare/, scaturisce un codice di comportamento ascrivibile alla sovranità; allo stesso modo il codice di
comportamento della vittima è quello della sottomissione (= categorie dell’obbedienza e
dell’impotenza e modalità del /non poter-non fare/ e del /non poter-fare/). Ma, come spesso
succede, gli anti-aiutanti possono essere anche gli stessi familiari, mossi dall’amore egoistico e dal
senso dell’onore di famiglia (si consideri che nella cultura del branco l’onore è legato alla
vergogna), passioni che diventano il movente di un comportamento attanziale descritto nella deissi
negativa del quadrato della veridizione. In sostanza, di solito la famiglia del bullo “mette in gioco”
le due modalità di cui dispone (/poter-non fare/ e /non poter-fare/), che nel quadrato corrispondono
all’indipendenza e all’impotenza, determinando la ricaduta dei comportamenti nel codice
dell’umiltà. Questo succede quando scuola e famiglia collaborano nell’educazione. Quando ciò non
avviene, i familiari di un bullo, ancorché smascherato, assumono le funzioni di attanti/antidestinanti, pronti a costruire e a sostenere un nuovo programma di veridizione credibile e a
suggerire ed omologare le mosse dell’anti-soggetto per il perseguimento dell’oggetto di valore
posto in gioco. Il loro comportamento ricade nella deissi positiva del quadrato e rientra nel codice
della fierezza. Un oggetto di valore da conquistare subito attraverso un tranello o un
danneggiamento, diretto o trasversale, (funzioni 6 e 8 dello schema di Propp) è il coinvolgimento
del soggetto manipolato nel codice d’onore del soggetto manipolatore, all’interno del quale
quest’ultimo sa di avere le competenze per ottenere la vittoria sul rivale. Greimas propone una
possibile articolazione del codice d’onore proiettando sul quadrato le articolazioni della modalità
del /poter fare/, dove sono descritte le relazioni di gerarchia (Greimas, 1985, 212):
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codice della sovranità
libertà
pf
pf
codice della fierezza
obbedienza
indipendenza
codice dell’umiltà
pf
pf
codice della libertà
impotenza
codice dell’obbedienza
codice della sottomissione
-
Legenda:
pf = modalità del /poter fare/ (libertà)
-
pf = modalità del /poter non fare (indipendenza)
-
pf = modalità del /non poter non fare/ (obbedienza)
-
pf = modalità del /non poter fare/ (impotenza)
Fig. 5: Assiologia del codice d’onore e sottocodici dell’onore nel quadrato semiotico.
La lettura di questo modello evidenzia che ciascun asse, schema o deissi costituisce un
sottocodice d’onore suscettibile di svilupparsi in sistema assiologico autonomo. Si vede bene come
il codice d’onore costituisca uno spartiacque nella risposta che il soggetto manipolato è obbligato a
dare all’anti-soggetto: se il comportamento del soggetto manipolato non rientra nel programma del
soggetto manipolatore, cambia il sistema assiologico ed entra in crisi il movente passionale che lo
sostiene; ne consegue il fallimento del programma e la perdita delle certezze, delle motivazioni e
delle competenze dell’anti-soggetto. Greimas si serve di un esempio concreto nel contesto
dell’analisi della sfida: «Se lo schiaffo [a Gesù] di cui parlano i Vangeli è una provocazione e una sfida, non ci
sono apparentemente che due risposte possibili: o agire rendendo lo schiaffo (e affermare così un poter-fare), o non fare
niente (e accettare così una constatazione di impotenza). Ora, Gesù adotta una soluzione deviante: presenta la guancia
sinistra. Si tratta non solamente di un rifiuto a “giocare lo stesso gioco” ma, al tempo stesso, della proposta di un altro
codice d’onore» (Greimas, 1985, 211), il cui movente passionale appartiene, chiaramente, ad un
sistema assiologico diverso.
5. Le sperimentazioni: risultati e inferenze.
Gli individui, oggetto delle sperimentazioni, sono gli alunni preadolescenti delle scuole medie, tra
gli 11 e i 14 anni, in stato di disagio, verificato attraverso gli indicatori e secondo i protocolli
riconosciuti dalla vasta letteratura scientifica sul fenomeno (per tutti, Olweus, 1980; id., tr. it.,
1996).
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Le sperimentazioni attanziali mettono in luce alcuni elementi nuovi perché affrontano i processi
educativi e di apprendimento a scuola in situazione modellata. La ripetizione empirica attraverso i
modelli rende possibile l’osservazione e il controllo delle diverse variabili che entrano in gioco,
permettendo di selezionarle secondo uno schema e un processo di stile comportamentista: 1)
prendere atto degli antecedenti del comportamento (variabili indipendenti); 2) registrare le variabili
intermedie che entrano nella dinamica del processo; 3) studiare i prodotti o le risultanti associate a
queste condizioni, come loro conseguenze (variabili dipendenti). Le sperimentazioni tengono conto
di queste macrovariabili e delle microvariabili ad esse connesse, nella logica della teoria S-R
(Stimolo-Risposta) che intende per stimolo una situazione totale antecedente e per risposta la
risultante di un insieme di comportamenti piuttosto complessi, che coinvolgono il soggetto nella sua
totalità. Nelle situazioni modellate, inoltre, è sempre presente la figura dell’insegnante, che ha un
ruolo importante nell’influenzare il gioco degli attanti, perché si pone nei processi intermedi fra gli
antecedenti osservati e le conseguenze misurate, condizionando queste ultime in maniera decisiva.
Il modello di lezione attanziale è un modello semio-narrativo strutturato secondo lo schema
narrativo “canonico” di Propp e di Greimas; si presenta, infatti, come lo schema della
sceneggiatura di un testo teatrale o cinematografico, in cui gli attanti si attualizzano nei
personaggi e si realizzano negli attori; i ruoli attanziali degli uni e le sfere d’azione degli altri
confluiscono nelle azioni degli attori, che si sviluppano secondo la sequenza delle funzioni di
Propp, creando il “movimento del racconto” e determinando le relazioni attanziali; gli ambienti,
infine, sono costituiti dalle scenografie (eventuali), mentre i linguaggi stabiliscono i modi propri
della comunicazione e dell’espressione, esclusivi del modello scelto. L’aspetto semiotico del
modello è costituito dalle categorie semiotiche, dalle modalità e dalle passioni che giocano nella
storia costruita dal docente e dalle quali deve scaturire l’investimento timico progettato e
programmato.
Nelle sperimentazioni il gruppo sperimentale è costituito dall’intero gruppo-classe, distribuito in
due sottogruppi (gruppo “S”, formato da alunni con scarso rendimento scolastico, e gruppo “B”,
formato da alunni con un buon rendimento scolastico). L’assegnazione dei compiti è fatta sulla
base delle osservazioni sui singoli soggetti. Il gruppo di controllo è formato sia da alunni con
scarso rendimento scolastico (gruppo “S”) che da alunni con un buon rendimento scolastico
(gruppo “B”), appartenenti ad altre classi parallele e “trattati” secondo i sistemi tradizionali
d’insegnamento. Quando non è possibile il coinvolgimento di altre classi la variabile determinante
18
sarà costituita dal sistema didattico attanziale, che verrà applicato sul gruppo-classe come fase
sperimentale; i sistemi didattici tradizionali costituiranno la fase di controllo. I due grafici seguenti
mostrano i risultati delle sperimentazioni:
10 -
10 -
5-
5-
0
0
(fig. 6/a)
(fig. 6/b)
Gruppo sperimentale “B”
Fase sperimentale
Gruppo di controllo “B”
Fase di controllo
Gruppo sperimentale “S”
Gruppo di controllo “S”
Fig. 6/a: Rendimento scolastico per classi parallele.
Fig. 6/b: Rendimento scolastico dello stesso gruppo-classe per fasi.
I grafici mostrano un successo scolastico mediamente superiore negli alunni del gruppo
sperimentale rispetto a quelli del gruppo di controllo (fig. 6/a). La fig. 6/b evidenzia il maggior
rendimento scolastico degli alunni dello stesso gruppo-classe nella fase sperimentale.
Con riguardo ai ragazzi “S” dei due gruppi (sperimentale e di controllo), è nettamente evidente la
ricaduta positiva dei risultati sui gruppi sperimentali; per gli alunni dello stesso gruppo-classe i
risultati sono positivi non soltanto nella fase sperimentale ma pure nella fase di controllo; questi
alunni, infatti, tendono ad impegnarsi maggiormente nello studio perché già abituati al sistema
attanziale, dal quale non vogliono, in nessun caso e per nessun motivo, essere più esclusi o tagliati
fuori; essi mostrano una motivazione all’apprendimento in cui non risulta estranea la figura
dell’insegnante, su cui riversano un investimento timico alla stregua di quanto avviene nei riguardi
delle categorie semiotiche rappresentate in un quadrato: sul piano semiotico, infatti, si tratta
dell’instaurazione di un legame contrattuale fra l’oggetto (“O”) e il destinante (“D”), che Greimas
19
indica con i segni di giunzione (∩ = congiunzione e = disgiunzione); essi stabiliscono la direzione
verso cui è attratto l’oggetto e indicano l’investimento timico in atto: «O → ∩ D».
6. Conclusioni
Le riflessioni semiotiche, sviluppate in questo studio a livelli diversi d’analisi, mettono in luce il
nesso tra i fenomeni linguistici e quelli comportamentali; questi fenomeni sono ciò che appare a
livello superficiale antropomorfico e informano che il loro senso è generato a livello profondo della
personalità. È quanto, in verità, afferma anche Pirandello (1908) a proposito delle sue riflessioni su
apparenza e sostanza. La narratività, il raccontare e il raccontarsi da un lato, e le manifestazioni
comportamentali dall’altro, sono dunque segni di un’unica realtà significata, che può essere
decriptata attraverso l’analisi semiotica, che ne studia il senso «così come lo percepiamo attraverso le
forme del linguaggio e, ancor più concretamente, attraverso i discorsi che lo manifestano, rendendolo comunicabile e
garantendone una qualche condivisione.» (Bertrand, tr. it., 2002, 11).
Gli assunti della Semiotica, ormai ampiamente condivisi dal mondo scientifico, non possono,
pertanto, che costituire dottrina ai fini giurisprudenziali in ordine al riconoscimento di valenza
giuridica a sistemi investigativi associati a indagini semiotiche.
Nell’ambiente scolastico e nel contesto della classe, dove il governo dei fenomeni linguistici e di
quelli comportamentali rientra nella funzione didattica ed educativa del docente, il sistema
attanziale e l’utilizzo dei diversi modelli di lezione attanziale consentono di programmare le
situazioni di apprendimento, specialmente nei casi di disagio e di svantaggio, finalizzandole al
recupero degli alunni “a rischio” e alla prevenzione del fenomeno del bullismo. Attraverso i modelli
è possibile ri-creare contesti ed esperienze in continua interazione con realtà al di fuori delle mura
scolastiche, attualizzare e narrativizzare le esperienze scolastiche in funzione delle esperienze
personali e viceversa. Viene così a crearsi un gioco di attanti interattivo, dove nuove esperienze e
nuove conoscenze diventano apprendimento motivato e realizzano un transfert. Tutto ciò è in
aderenza e continuità con molti assunti del pragmatismo di John Dewey (1938), per il quale
l’educazione è attività che si svolge dal gioco al lavoro, ove allo stadio iniziale sta l’esperienza
intesa come attività impulsiva. È il fare che suscita i problemi e mette in movimento il pensiero.
Così il metodo scolastico, secondo il Dewey, non è più risolto in formule generiche ed astratte, ma
si pone concretamente come guida dell’azione e si riveste di caratteri morali come la franchezza,
l’aderenza alle situazioni, la volontà di imparare, l’onestà e il senso di responsabilità. In quest’ottica
20
la scuola diventa una forma di vita sociale, una comunità in miniatura, in continua interazione con
altri metodi d’esperienza associata al di fuori delle mura della scuola. Dewey pone alla base del
sistema didattico ed educativo il metodo attivo, che tiene conto dello sviluppo delle capacità e degli
interessi nell’allievo e dove l’aspetto attivo precede l’aspetto recettivo.
Tutto ciò è illustrato nelle sperimentazioni, esposte in dettaglio nel saggio da cui è tratto
quest’articolo. Una di esse in particolare (anno scolastico 1998/99) mostra il movente di un
comportamento antisociale di un allievo nel difficile, complicato ed imperfetto rapporto col padre,
vissuto dal ragazzo come una sorta di in-sensata punizione (= pena inflitta, “sentita” come
negazione d’amore), dalla quale riscattarsi e affrancarsi attraverso un’azione di ri-valsa (= dal
verbo ri-valere, ri-dare-valore), proiettata alla ri-conquista dell’oggetto d’amore. Il modello
attanziale applicato (modello mimetico: sceneggiatura di una fiction con testo e personaggi mirati) e
l’analisi semiotica, sia preventiva che in itinere, hanno prodotto un transfert attanziale nel ragazzo
(attore) e un transfert affettivo nel padre (spettatore). Il classico spettacolo di fine anno, che si fa in
tutte le scuole, è stato così piegato e finalizzato al recupero di un allievo in stato di grave disagio
esistenziale e scolastico.
Ciò che si nota nella scuola di oggi, soprattutto nella scuola secondaria, è sicuramente l’aderenza
formale a tali sistemi educativi ma non la loro applicazione sostanziale. L’aderenza formale,
eminentemente istituzionale e normativa, presuppone che tutto il personale docente delle scuole di
ogni ordine e grado possieda i prerequisiti, la formazione e la preparazione adeguate al ruolo
rivestito. Ma tutti sanno che non è così: la formazione universitaria dei docenti della scuola
secondaria è carente in materia di Scienze pedagogiche, a differenza degli insegnanti della scuola
dell’infanzia e di quella primaria. A ciò si aggiunge la deficienza degli Organi Istituzionali in
materia di erogazione di risorse per colmare tale deficit formativo.
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Il gioco degli attanti. Studio semiotico sul