AIF-Scuola 2007
Contesti teorici e scoperte sperimentali Immagini della natura e modellizzazione in
fisica
Immagini della natura e
modellizzazione in cosmologia
S. Bergia, Dip di Fisica, Bologna
INFN, Sezione di Bologna
Un confronto fra l’elaborazione fisico-matematica di modelli
e le osservazioni astronomiche ed astrofisiche con valenza
cosmologica nella cosmologia del ventesimo secolo.
•Osservazioni con valenza cosmologica e speculazioni fisicomatematiche sull’universo hanno proceduto inizialmente
lungo cammini largamente indipendenti.
•In cosmologia l’elaborazione fisico-matematica presuppone
sistematicamente un’opzione iniziale fortissima.
•La cosmologia è anche necessariamente cosmogonia?
Un’espansione implica necessariamente un’evoluzione?
Due concezioni contrapposte alla prova dei fatti.
Inizio secolo – Le prime tappe della cosmologia osservativa:
le distanze galattiche; i costituenti elementari dell’universo.
Si tenderebbe probabilmente a pensare la materia dell’universo
essenzialmente contenuta nelle stelle, e a ritenere queste ultime
distribuite grosso modo uniformemente nell'universo.
Il fatto che i nostri cieli notturni siano solcati dalla Via Lattea è un
primo elemento fortemente discordante con l'idea appena espressa.
Negli anni fra il 20 e il 30 del secolo passato, essendosi trovati,
nelle stelle variabili note come Cefeidi, dei buoni misuratori
(o marcatori) di distanza si poté stabilire che quelle che allora
si chiamavano nebulose a spirale erano oggetti extragalattici,
cioè non appartenenti alla Via Lattea. E nel giro di pochi anni
si raggiunse la conclusione che essi costituivano altrettante Vie
Lattee, o meglio galassie.
Le modalità della loro distribuzione nello spazio sono tuttora
oggetto di studi osservativi ...
... e di discussione teorica.
Ma, mentre per le stelle quanto accennato esclude subito che
si possa parlare di una loro distribuzione uniforme nello spazio,
questo è apparso plausibile per le galassie sulla base delle
osservazioni condotte fino dall’epoca accennata.
Sono dunque le galassie, in quanto appaiono poter essere
frutto di una distribuzione casuale, che si candidano a formare
i costituenti elementari dell'universo.
Inizio secolo – Le prime tappe della cosmologia osservativa:
la deteminazione delle velocità galattiche.
Nel 1912, l’astronomo statunitense Vesto M. Slipher osservò che le
righe spettrali emesse dalla nebulosa in Andromeda apparivano spostate
verso il violetto. Veniva più che naturale interpretare tale spostamento
come dovuto ad un effetto Doppler, e quindi a un avvicinamento della
sorgente emittente alla Terra.
Egli misurò in seguito gli spettri di altre galassie, e trovò che la maggior
parte di essi mostrava uno spostamento verso il rosso (redshift),
interpretato consistentemente come dovuto ad un moto di allontanamento
Slipher pubblicò una lista di 13 velocità nel 1914. Lo scetticismo iniziale
degli astronomi di fronte agli alti valori delle velocità si dissolse mano a
mano che nuovi dati erano accumulati da parte dello stesso Slipher e
di altri autori.
Le prime tappe della cosmologia osservativa: una correlazione
fra distanze e velocità
Gradualmente si fece poi strada la conclusione che i maggiori
redshifts erano presentati dagli oggetti più lontani.
Fu l’astronomo americano
Edwin Hubble nel 1929 a
indicare l'esistenza di una
correlazione (lineare) fra
velocità e distanze
galattiche (legge di Hubble).
In seguito il campo dei redshifts e delle corrispondenti
distanze esplorati si estese enormemente, con una
sostanziale conferma di questa prima indicazione.
L’universo in espansione
Come si è detto, i redshifts galattici furono letti, inizialmente, in
termini di un effetto Doppler, dovuto a un moto effettivo di
recessione delle galassie attraverso lo spazio.
Ci sono due ragioni per le quali una lettura in questi termini non
appare accettabile. In primo luogo, in questa ipotesi, le galassie
sarebbero animate di un moto proprio di allontanamento dalla
nostra galassia, che dunque, in questo senso, si collocherebbe,
senza che per questo sia riscontrabile alcun motivo plausibile,
al centro dell’universo.
In secondo luogo, si dovrebbe trovare una ragione per l’aumento
della velocità di allontanamento con la distanza.
Questi problemi scompaiono immediatamente se si assume
il punto di vista che il redshift non deve essere interpretato
in termini di un effettivo moto di recessione delle galassie
attraverso lo spazio, bensì di una dilatazione dello stesso
spazio intergalattico.
Secondo questa lettura non si è quindi in presenza di
un’espansione della materia in uno spazio prefissato, ma
di un'espansione dello spazio stesso.
Essa è diventata comune, e la legge di Hubble è assunta
come documento chiave testimoniante l’espansione
dell’universo.
Le riflessioni di carattere fisico-matematico sull'universo
presero corpo quasi contemporaneamente agli sviluppi
osservativi ricordati, ma ne furono a lungo ampiamente
indipendenti.
Le prime speculazioni teoriche sull’universo: il
modello statico di Einstein del 1917.
Le basi del principio cosmologico: in cosmologia bisogna
far proprio l’atteggiamento dei geodeti “che, per mezzo di
un ellissoide, si approssimano alla forma della superficie
terrestre, che su piccola scala è invece molto complicata.”
Le singole galassie devono dunque, per così dire, sparire,
e, con esse, ogni traccia di una distribuzione granulare della
materia, sostituita da un fluido (il fluido cosmico).
Il fluido cosmico deve avere
1) in qualunque regione sufficientemente estesa dell’universo
una densità pari alla densità media della materia in quel
volume;
2) ovunque nell’universo la stessa densità e le stesse altre
proprietà generali. Osserviamo che, una volta formulata
l’ipotesi dell’omogeneità della distribuzione della materia,
una teoria geometrica della gravitazione quale quella
einsteiniana ci darà come conseguenza l’omogeneità dello
spazio che la alberga quanto alle sue proprietà geometriche.
La caratteristiche dell’universo einsteiniano:
Staticità
Geometria spaziale ipersferica
La staticità non poteva emergere dalle sue equazioni di
campo, che Einstein si vide costretto a modificare.
Le radici di queste equazioni si ritovano in quella di Poisson:
L’aggiunta della costante cosmologica:
Caratterizzati da una visione immediatamente dinamica
furono invece gli studi successivi condotti dal matematico
Russo Alexander Friedmann (1922, 1924) e dall'astrofisico
belga Georges Lemaître (1926).
L’universo è assimilato ad un sistema dinamico, il cui stato
di moto è determinato dalle forze agenti e dalle condizioni
iniziali.
L’universo eisteiniano diventa un sistema dinamico ad un solo
grado di libertà.
Friedmann e
Lemaître,
concordemente,
scelgono uno
stato iniziale
caratterizzato
da una velocità
d’espansione.
N.B.: si
introduce
un tempo
cosmico
Un universo spazialmente euclideo può essere affrontato negli
stessi termini.
L’equazione di Friedmann per un universo di “polvere”:
Un classico problema:
I modelli di Friedmann
La legge di Hubble
non può valere rigorosamente, perché la velocità d’espansione
varia col tempo cosmico.
Per k=0
L’universo di Einstein-de Sitter
La
Confrontando la
si integra immediatamente:
con la
si vede che “la costante di Hubble” H deve diventare “il parametro
di Hubble” H(t), del quale rappresenta il valore attuale.
Se siamo in un universo di Einstein-de Sitter, l’andamento col
tempo cosmico di H(t) è determinato, e altrettanto, per la
quella della densità.
In particolare, al tempo cosmico attuale,
Dunque, se siamo in un universo di Einstein-de Sitter, la
densità media della materia deve avere un valore fissato,
determinato da quello della costante di Hubble.
I due cammini confluiscono
I lavori di Friedmann e Lemaître furono a lungo ignorati.
Venuto a conoscenza dei risultati di Hubble, Arthur
Eddington riscopre (~1930) l’articolo di Lemaître . Grazie
alla sua opera di mediazione e diffusione di idee e risultati
cosmologa osservativa e fisico-matematca iniziarono un
processo di fecondazione mutua.
Ma la teoria si assiomatizza
Il punto di vista del geodeta diventa un principio:
Nei primi anni trenta, come conseguenza dell'opera di fisici
matematici come Howard Percy Robertson e Arthur Geoffrey
Walker, fu stabilito quello che si può chiamare il paradigma
della cosmologia dell'universo in espansione, noto come
Principio cosmologico.
L’universo dev’essere spazialmente omogeneo. Non potrà
esserlo che ad ogni dato istante di tempo cosmico.
La richiesta di omogeneità riduce le geometrie
possibili a quelle della congruenza, le geometrie
per le quali il trasporto di una figura geometrica
non ne altera forma e dimensioni.
In termini alternativi, le varietà spaziali
possibili sono quelle a curvatura
costante (la condizione si traduce in
quella di costanza dello scalare di
curvatura R), positiva, nulla o negativa.
Queste condizioni sono sufficienti a
determinare un’espressione per la
metrica dell'universo (Metrica di
Robertson-Walker, o di FriedmannLemaître-Robertson-Walker) a meno
del valore della costante di curvatura
e del fattore di scala a(t).
Ma in che universo viviamo?
Il principio cosmologico inquadra, in prima battuta, i tre
semplici modelli di Friedmann.
Qualche osservazione di carattere generale. La prima:
per tutti e tre i casi, l'universo ha avuto un'origine nel tempo;
un'origine più o meno remota in dipendenza dalla curvatura
dell'universo.
Mandando la tangente alle tre
curve in corrispondenza del
valore attuale del tempo cosmico,
la sua intercetta con l’asse dei
tempi di dà un tetto per l’età
dell’universo.
Curvatura e destino dell’universo.
La seconda: fin che ci si ferma a questi modelli, il destino
dell’universo appare determinato dalla curvatura dello spazio:
espansione indefinita per curvatura costante positiva o nulla,
con velocità residua all'infinito nel primo caso, espansione
seguita da contrazione per curvatura costante positiva.
Piuttosto che “determinato dalla” sarebbe più opportuno dire
“collegato alla”: le due proprietà hanno infatti una comune
origine.
Riprendiamo l’equazione di Friedmann
Per k=0 (universo di Einstein-de Sitter), si è visto che è
prescritto l’andamento della densità ρ col tempo cosmico;
se k è rispettivamente maggiore o minore di zero, si toglie
o aggiunge qualcosa a secondo membro.
Corrispondentemente dovrà, per ogni istante di tempo cosmico,
essere rispettivamente maggiore o minore la densità.
Per questo motivo la densità Einstein-de Sitter è detta critica:
un universo caratterizzato da una densità media pari a quella
critica sarebbe spazialmente piatto e desinato ad espansione
indefinita con velocità residua nulla; per k<0 si avrebbe un
universo iperbolico (espansione indefinita); per k>o universo
ellittico destinato a ricontrarsi.
Ritorniamo alla
e alla sua versione per il tempo attuale:
Come si diceva, in un universo di Einstein-de Sitter la densità
media della materia deve avere, al tempo attuale, un valore
critico fissato, determinato da quello della costante di Hubble.
Come si raffronta il valore della densità media con quello
della densità critica al tempo attuale?
Qual è il valore del rapporto
Gli astronomi ci dicono che la densità media attuale della
materia visibile – nel senso che emette onde elettromagnetiche
– è circa l’un per cento della densità critica determinata dal
valore attuale del parametro di Hubble.
Stando a questo dato, e beninteso ipotizzando che viviamo in
ogni caso in un universo descritto da uno dei tre modelli di
Friedmann tratteggiati, dovremmo concludere che viviamo
in un universo a curvatura costante negativa.
Ci sono però da parecchio tempo molteplici evidenze di varia
natura per l’esistenza di “materia oscura”, cioè materia non
visibile nel senso specificato sopra.
Dal complesso degli effetti gravitazionali ad essa attribuiti si
è arrivati in epoche più recenti a stabilire che essa porterebbe
il valore della densità media ad un valore dell’ordine del trenta
per cento di quella critica, cosa che certamente non chiude la
questione a favore di un universo di Einstein-de Sitter ma
cambia notevolmente le cose.
Eppure …
La
o
dovrebbe essere sostituita dalla
Osserviamo ora che, al tendere di a(t), dunque di t, a 0, la
densità cresce come 1/a^3 . Dunque, in quel limite, il termine
di densità domina su quello di curvatura. Sulla base dei dati
allora disponibili circa la densità media della materia
nell’universo, nel 1979 Dicke e Peebles concludevano che
al tempo di un secondo – “sufficiente perché si sia già prodotta
la maggior parte dell’elio dell’universo” – il termine di densità
doveva già essere 24 ordini di grandezza più grande del
termine di curvatura.
Un universo in evoluzione?
Che ci sia evoluzione su scala locale è indubbio. Ma qui si
parla di evoluzione su scala globale.
In conseguenza dell’espansione, la materia si rarefà.
Ripercorrendo mentalmente a ritroso la storia dell’universo
si deve pensare a densità tali per cui la materia non poteva
esistere negli stati consueti di aggregazione.
Un’evoluzione globale sembra conseguenza inevitabile
dell’espansione.
O no?
Un’espansione implica necessariamente un’evoluzione?
Nel 1948 Hermann Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle,
formularono una teoria alternativa, nota come teoria
dello stato stazionario. La conclusione sulla densità della
materia poteva essere elusa ipotizando forme di “creazione‘”
di materia localizzate nello spazio e nel tempo. Bastava,
per ripristinare l’equilibrio, la “creazione‘” di un atomo
d’idrogeno all'anno in un cubo di sessanta chilometri di
spigolo.
La teoria venne formalizzata e vide gradualmente aumentare
i consensi nei suoi confronti, al punto che, per un certo
periodo, apparve prevalere sulla concezione rivale.
Due concezioni contrapposte alla prova dei fatti.
Un segnale in senso opposto emerse dalle osservazioni delle
radiosorgenti, galassie emittenti prevalentemente nel campo delle
onde radio (si deve ricordare al proposito che la radioastronomia,
che aveva mosso i primi passi negli anni trenta, era giunta per
quell’epoca a piena maturità).
Era diventato possibile valutarne la distribuzione nello spazio al
variare della distanza; avendo ben presente che guardare (molto)
lontano nello spazio comporta guardare molto lontano nel passato
sottoscrivendo che le radiosorgenti costituissero una classe di
oggetti che contribuiscono in qualche modo a caratterizzare
l’universo nel suo complesso, una variazione col tempo cosmico
della densità della loro distribuzione nello spazio avrebbe
documentato il sussistere di una forma di evoluzione complessiva
dell’universo stesso.
1953: Il radioastronomo britannico Martin Ryle, raggiunge
la convinzione che le radiosorgenti conteggiate non erano
stelle ma oggetti extragalattici;
- verificato che la loro densità appariva crescere con la
distanza, ritenne che si dovesse ritenere confutata la teoria
dello stato stazionario;
-seguì un breve periodo di osservazioni contrastanti, ma,
nel corso degli anni sessanta, l’effetto fu confermato, anche
con il contributo del primo radiotelescopio italiano, “La Croce
del Nord” di Medicina (Bologna), uno strumento che aveva
tutte le caratteristiche necessarie per permettere un salto
di qualità e dare una risposta definitiva;
- sarebbero seguiti altri - e ancor più decisivi – eventi.
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